You light up my world

di Curly_crush
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stand up ***
Capitolo 2: *** Are you thinking of me, yeah? ***
Capitolo 3: *** We can both remove the masks and admit we regret it from the start ***
Capitolo 4: *** Let's pretend it's love ***
Capitolo 5: *** So let them take a picture... ***
Capitolo 6: *** ... Spread it all around the world, now ***
Capitolo 7: *** Are we friends or are we more? ***
Capitolo 8: *** We're so London, we're together, we're so good ***
Capitolo 9: *** I build you up, I'll never stop ***
Capitolo 10: *** 'Cause I know you wanna be back ***
Capitolo 11: *** You light up my world like nobody else ***
Capitolo 12: *** If everytimewe touch you get this kind of rush... ***
Capitolo 13: *** I just wanna tell the world that you're mine, girl ***
Capitolo 14: *** There is no other place that I would rather be ***
Capitolo 15: *** I wanna stay up all night ***
Capitolo 16: *** Other guys see you... ***
Capitolo 17: *** We wanna live while we're young ***
Capitolo 18: *** She's calling out ***
Capitolo 19: *** Don't overthink, just let it go ***
Capitolo 20: *** I'm in love with you, and all these little things ***
Capitolo 21: *** Let's just take it real slow ***
Capitolo 22: *** She's a lucky girl ***
Capitolo 23: *** Let's go crazy 'til we see the sun ***
Capitolo 24: *** Everything you do is magic ***
Capitolo 25: *** But you're perfect to me ***
Capitolo 26: *** Dark turns to light ***
Capitolo 27: *** Can we take the same road, two days in the same clothes? ***
Capitolo 28: *** Truly, madly, crazy, deeply in love, with you ***
Capitolo 29: *** So we laugh at nothing ***
Capitolo 30: *** Never in your wildest dreams ***
Capitolo 31: *** Nobody's going home tonight ***
Capitolo 32: *** And every time we both touch I only want more ***
Capitolo 33: *** You know, I'd take you to another world ***
Capitolo 34: *** You don't have to worry, I'll be coming back for you ***
Capitolo 35: *** Like everybody is just us two ***
Capitolo 36: *** She's not afraid ***
Capitolo 37: *** Though it makes no sense to me ***
Capitolo 38: *** I wish I knew the answer ***
Capitolo 39: *** I wanna save you tonight ***
Capitolo 40: *** Tell me a lie ***
Capitolo 41: *** Don't let me go ***
Capitolo 42: *** Thought you would be the one ***
Capitolo 43: *** No woman in the world deserves this ***
Capitolo 44: *** Now she's feeling so low, since she went solo ***
Capitolo 45: *** You know I'll be your voice ***
Capitolo 46: *** Still the one ***
Capitolo 47: *** Cause there is nobody else ***
Capitolo 48: *** Push a button and rewind ***
Capitolo 49: *** Something great ***



Capitolo 1
*** Stand up ***


Aprii la porta dell’appartamento di Londra, in cui avrei dovuto vivere per i sei mesi seguenti, appoggiai le valigie a terra e mi richiusi la porta alle spalle. Avevo tentato di non piangere per tutta la durata del viaggio, e ci ero riuscita, ma ora il groppo in gola si fece prepotente, ed io non riuscii più a trattenere le lacrime e i singhiozzi. Ero fatta così, la lontananza da casa, da tutto ciò che conoscevo bene, da tutti quelli che amavo, mi faceva questo effetto. Mi consolai, pensando che almeno questa volta ero riuscita a sbloccarmi e a decidere di partire da sola; non che avessi altra scelta, comunque. La mia università, infatti, prevedeva sei mesi obbligatori all’estero, quindi la mia decisione era caduta sull’Inghilterra, in particolare Londra. Mi resi conto di essere patetica, perciò, non senza difficoltà, smisi di piangere, e decisi di sistemare le mie cose e poi di uscire in esplorazione.
L’appartamento non era grande, ma per una persona, cioè io, sarebbe andato benissimo: c’era una camera da letto, una piccola cucina che faceva anche da sala da pranzo, un bagno ed un ripostiglio; l’intera abitazione era di un colore indefinito, una specie di giallo pallido tendente al verde acido, ma, fortunatamente, mi piaceva. Era uno di quegli appartamenti già arredati, perciò l’affitto veniva a costarmi parecchio, ma perlomeno non dovevo preoccuparmi di comprare mobili di cui, alla fine dei sei mesi, non avrei saputo che farmene. Inoltre, era molto luminoso, il numero delle finestre era normale, non erano né troppe né troppo poche, ma evidentemente l’appartamento si trovava in una buona posizione per quanto riguardava la luce. Per raggiungerlo, avevo dovuto salire ben cinque rampe di scale, impresa difficoltosa con le valigie, poiché l’ascensore del condominio in cui era situato era –stranamente- bloccato. Poco male, avrei rassodato glutei e gambe!
Sistemati tutti i miei indumenti negli armadi e nei cassetti, decisi di uscire. Mi detti un’occhiata veloce allo specchio, e mi sorpresi di vedermi in uno stato anche abbastanza presentabile; optai comunque per una rinfrescata, ed in dieci minuti ero pronta a conquistare Londra.
Il mio appartamento si trovava poco lontano dal centro, così in una ventina di minuti ero già in Oxford Street ad ammirare l’infinità di negozi lì presente. C’era veramente di tutto: elettronica, vestiti, scarpe, accessori, divertimento … Non sapevo veramente da che parte guardare! La mia attenzione fu però attirata da un piccolo cartello bianco, appeso alla vetrata di un pub: “Cercasi aiutante barista per il pomeriggio”. Doveva essere il mio giorno fortunato. Infatti, a Londra avrei dovuto frequentare una scuola d’Inglese il mattino, mentre avevo il pomeriggio libero. Ma non era mia intenzione stare con le mani in mano, poiché dovevo pagare l’affitto e, soprattutto, imparare bene l’Inglese; quindi, quale miglior modo per farlo, se non quello di stare in mezzo alla gente? Essendo domenica, il pub era chiuso, ma decisi di trascrivermi l’indirizzo e tornarvi il giorno dopo.
Proseguii la mia passeggiata, entrando in qualche negozio e passando attraverso un piccolo parco, dove gli scoiattoli la facevano da padroni. Dopo un po’ cominciai a sentire la stanchezza del viaggio, e decisi così di tornare a casa; questa volta però presi la metro, avevo già camminato abbastanza e avrei potuto addormentarmi in piedi.
Pensai a cosa prepararmi per cena e, incapace ancora per il momento di abbandonare il cibo italiano, optai per una semplice pasta con panna e prosciutto. Quello era l’unico legame con l’Italia che potevo permettermi, non c’erano altre maniere; quindi qualche sano cibo italiano ogni tanto sarebbe andato benissimo! Dopo cena mi sedetti sul divano e guardai un po’ di tv inglese e mi sorpresi della mia capacità di comprensione: non riuscivo a captare ogni singola parola, ma almeno il senso del discorso c’era. Mi rallegrai all’idea che il giorno dopo avrei capito ciò che mi avrebbero detto sia a scuola, sia al pub. Quando mi accorsi che dovevo sforzarmi per tenere aperti gli occhi, mi decisi ad alzarmi dal divano e a spostarmi direttamente nel letto, senza altre deviazioni.

Fu una notte tranquilla, di sonno profondo e ristoratore, proprio quello di cui avevo bisogno. Appena sentii il suono della sveglia mi alzai, non scattante, ma decisa a rendere la mia prima giornata inglese perfetta. Mi feci una doccia, poi una colazione abbondante, preparai la borsa e scelsi l’abbigliamento: un paio di pantaloni beige, un maglioncino color panna sopra una camicetta marrone e delle ballerine in tinta con quest’ultima. Poi passai al trucco: decisi di fare una cosa semplice, ma seria. Una filo di eyeliner marrone, mascara e lucidalabbra rosa. Indossai il mio nuovo cappottino comprato apposta per Londra, chiusi a chiave ed uscii. Salutai il portiere con un sorriso e mi diressi verso la scuola.
L’edificio era vecchio all’esterno, ma dentro gli ambienti erano stati completamente rinnovati ed erano accoglienti. Chiesi informazioni su dove dovessi recarmi alla signora che stava all’entrata e questa mi rispose gentilmente che il mio corso si svolgeva al primo piano, nell’aula H. Appena la trovai, entrai e notai che c’erano già parecchie persone, di età e nazionalità diverse, che parlavano tra loro. Quando mi notarono, mi salutarono e cominciarono a farmi le solite domande di rito che si fanno ai nuovi arrivati; ero leggermente imbarazzata, ma riuscii a rispondere più o meno decentemente a tutti. Erano tutte persone cordiali e sorridenti, il mio ideale: pensai che andare a scuola non sarebbe stato così terribile, in fondo. C’era una ragazza portoghese, Ana, che si offrì di accompagnarmi nel mio primo giorno in quell’istituto, ed io accettai molto volentieri, ero contenta di avere già una mezza amica in questa grande città in cui non conoscevo nessuno.
Alla fine delle lezioni io e Ana andammo a mangiare insieme da McDonald, tanto per cominciare subito a stare sane … Poi lei mi disse che lavorava in un negozio di abbigliamento a Piccadilly Circus, così le riferii la mia idea di chiedere per quel posto al pub. “Beh, se vuoi lavorare a Londra, cominciare da un pub è l’ideale, secondo me”, mi rispose. Poco dopo ci salutammo, e, mentre lei andava verso il suo lavoro, io mi incamminai per trovarne uno.

“Ciao!”, salutai entrando al pub. L’ambiente che mi si presentò davanti era quello tipico dei pub inglesi: luce soffusa, un lungo bancone di legno a cui erano seduti alcuni ragazzi, sopra ai classici sgabelli da bar. Fui sollevata dal fatto che la clientela fosse giovane, se mi avessero presa avrei avuto meno difficoltà a relazionarmi con i clienti. Intravidi una ragazza, probabilmente una cameriera, la raggiunsi e le chiesi: “Sono qui per l’annuncio di lavoro che è appeso sulla vetrata del pub. Che devo fare per avere il lavoro?”. Lei mi rispose: “Oh, io non ne so molto, è stato Jake a mettere l’annuncio. È quel ragazzo dietro il bancone, parla con lui.”. La ringraziai e mi diressi verso Jake. Ok, volevo decisamente avere quel posto! Jake era alto, slanciato, con dei folti capelli biondi, due occhi tra il verde e l’azzurro leggermente allungati, naso e bocca regolari. Portava una camicia a quadri aperta sopra una maglietta grigia a tinta unita e dei jeans blu stretti. Era davvero molto carino.
“Ciao, ti serve qualcosa?”, mi chiese improvvisamente. Mi ero talmente incantata a guardarlo da non accorgermi che si era avvicinato al punto del bancone in cui mi trovavo, così quando capii che stava parlando con me, mi sentii avvampare. “Cominciamo bene”, pensai, “Dai, forza Gioia, non è tutto perduto!”.
“Ciao, mi chiamo Gioia. Ho visto il cartello che c’è fuori e sarei interessata al posto, se non avete già trovato qualcuno…” spiegai. Jake, immediatamente rispose: “No, in realtà sei la prima che si presenta, anche se il cartello è fuori da qualche settimana ormai… Mah, evidentemente nessuno ha bisogno di lavorare, qui.” Sorrise, tra l’ironico e il rassegnato; io presi la palla al balzo: “Beh, io ne ho bisogno invece. Sono italiana, devo restare qui a Londra per sei mesi per imparare meglio la vostra lingua, ma non posso studiare e basta, avendo un affitto da pagare e tutto il resto. Quindi…”. Lui mi guardò un attimo, poi disse: “Quindi sei in prova. Il tuo inglese non è proprio spaventoso, perciò quello sarà il problema minore. Vediamo come te la cavi con vassoi e boccali, adesso.”. Mi stava sfidando, lo vedevo nel suo sguardo e lo sentivo nel suo tono. D’accordo, sarà anche stato simpatico, ma le persone che mi prendono sottogamba non mi sono mai piaciute; gli avrei fatto vedere di cos’ero capace. Sfida accettata. Lo guardai fisso e gli risposi: “D’accordo. Comincio subito?”; lui rise, divertito dalla mia determinazione, e mi rispose: “No, stai tranquilla, puoi cominciare domani, così hai tempo di organizzarti. Il turno va dalle 15.00 alle 20.00, e, mi raccomando, sii puntuale!”. Cominciavo a detestarlo seriamente. “Sarò puntualissima. Ci vediamo domani allora. Ciao e grazie.”, salutai ed uscii dal pub. Ero molto nervosa, non potevo crederci, ma con quale diritto Jake aveva potuto essere così strafottente? Non mi conosceva nemmeno! Se pensava che avrei rinunciato a quel posto a causa sua, beh se lo poteva scordare. Avevo bisogno di un lavoro e avrei lottato contro qualsiasi cosa per averlo, anche contro di lui. Il nervosismo mi accompagnò per tutta la giornata, così quando finalmente venne l’ora di dormire ero mentalmente esausta e mi addormentai subito.
La mattinata del giorno dopo passò velocemente, o forse ero io che scalpitavo per prendermi la rivincita in quel dannato pub; avevo raccontato ad Ana l’intera storia e lei, dapprima, aveva tentato di convincermi che forse mi ero sbagliata, che Jake non voleva comportarsi come aveva fatto ed era stata tutta una mia impressione, ma quando vide che non c’era modo di farmi cambiare idea, mi consigliò di fare del mio meglio per farlo ricredere sulle mie capacità. Presi in seria considerazione il suo consiglio e cominciai ad elaborare mentalmente mille strategie per mettermi in buona luce. Finita la lezione mattutina, andai a pranzo con Ana come il giorno prima e poi mi diressi verso il pub. Quando arrivai ero addirittura in anticipo. Entrai sorridendo, decisa a non far vedere a Jake che ero infuriata, ma, appena mi vide, mi salutò con un sorriso sincero ed esclamò: “Oh, ecco qui il nostro nuovo acquisto!”. Ma cosa stava dicendo? Il giorno prima mi aveva detto che ero in prova e sappiamo bene con che tono; oggi invece sembrava volesse essere addirittura gentile e simpatico. Lo guardai, confusa. “Credo di non averti fatto una buona impressione ieri. Sai, ci ho pensato quando te ne sei andata, e mi sono reso conto che ti ho trattata davvero male; non sono sempre così, te lo assicuro, ma ieri è stata una giornata davvero pesante e così mi sono sfogato su di te… Scusami.”. Fantastico. Un lunatico. Non potevo chiedere di meglio. Lui continuò a scusarsi: “Però sono felice che tu sia venuta, vuol dire che sei una che non si arrende facilmente, neanche davanti ad un capo scorbutico!”, sorrise, e decisi di lasciar passare questo piccolo malinteso. “Tranquillo, non fa niente, a me interessa troppo questo posto per perderlo così.”, gli risposi. Lui rise ( non era male quando era di buonumore ) e propose: “Dai, ti offro qualcosa per farmi perdonare! Cosa vuoi? Qui abbiamo di tutto…”. In effetti ero assetata, così chiesi se potevo avere un succo all’arancia e lo ringraziai. Dato che ormai ero lì, pensai fosse una buona idea mettermi a lavorare, così chiesi al “capo”: “Allora, spiegami cosa devo fare in questo pub, che comincio ad organizzarmi.”, tentando di essere un po’ spiritosa, cosi che capisse che non ce l’avevo più con lui. “Beh, per il momento mi servirebbe una cameriera, se non ti dispiace. Vai dai clienti, prendi le ordinazioni, le porti a me e poi li servi al tavolo.”, “D’accordo capo!”, e cominciai la mia prima giornata-prova di lavoro.
Quando finii il turno ero semplicemente distrutta: ero andata su e giù per il pub tutto il pomeriggio, cercando di essere gentile e carina con tutti i clienti, per convincere ancora di più Jake sul mio conto; inoltre, lo avevo aiutato a scaricare un furgoncino, poiché non aveva nessun altro che potesse farlo al posto mio, quindi mi facevano male tutti i muscoli delle braccia. Mi stavo preparando per tornare a casa, quando Jake mi raggiunse nel retro e mi chiese: “Allora, come ti sembra sia andata?”; risposi: “Beh, dipende da te. Io sono soddisfatta di quello che ho fatto e come l’ho fatto, ma qui il capo sei tu.”. Mi sorrise: “Parole sante!” e rise di gusto, “Secondo me hai fatto un buonissimo lavoro, sei gentile e i clienti se ne sono accorti. Quindi, non ha più senso tenerti sulle spine. Se vuoi il posto, è tuo!”. Ce l’avevo fatta. Avevo trovato un lavoro due giorni dopo essere arrivata nella City. Ora non poteva fermarmi più nessuno. Ero talmente felice che l’avrei abbracciato, ma non avevo ancora tutta quella confidenza, così mi limitai ad un sorriso a trentadue denti e lo ringraziai circa una ventina di volte. Poi lo salutai e me ne tornai a casa, esausta, ma soddisfatta e felice.

Mi trovavo a Londra ormai da un mese e tutto sembrava procedere a gonfie vele: avevo un lavoro che mi piaceva, il mio capo era simpatico e carino, la paga era buona, a scuola avevo fatto amicizia anche con altre persone, conoscevo bene la lingua e riuscivo ad orientarmi decentemente. Non potevo chiedere di meglio! Quel giorno Jake mi aveva chiesto di arrivare al pub un po’ prima per aprire perché lui aveva un impegno, e mi aveva lasciato le chiavi. Pioveva ( l’unica cosa che ancora non sopportavo) e c’era molto vento: non per niente era novembre. Avevo dimenticato a casa l’ombrello, così ero costretta a camminare a testa bassa e, oltretutto, avevo alcuni libri in mano che non ero riuscita a mettere nella borsa. La giornata sembrava aver preso una brutta piega. Stavo attraversando una piazza, quando improvvisamente mi ritrovai a terra. Non avevo ancora realizzato che qualcuno mi era venuto addosso violentemente, ma vidi i miei libri sparsi sul cemento; poi, lentamente, sollevai la testa, e vidi che c’era un ragazzo proprio di fronte a me che  mi fissava dall’alto. “Ma tu non guardi dove vai quando cammini?”, mi chiese, scocciato. Ero incredula. “Non so se hai notato, ma piove e sono senza ombrello, quindi l’acqua mi entra negli occhi. Non posso fare altro che guardare a terra, scusami tanto, eh!”, gli risposi a tono. La giornata stava decisamente andando per il peggio. Lui sembrava inquieto: “Dai, veloce, raccogli le tue cose. Muoviti, che la gente sta cominciando a fermarsi a vedere cos’è successo.”. Ero senza parole; mi alzai, pensando che fosse tutto un sogno assurdo: “Ma …”. Non riuscii ad aggiungere altro, perché lui mi interruppe subito: “Dai, ma guarda che sei lenta!”, ovviamente senza muovere un muscolo per aiutarmi. Lo guardai fisso. Avevo già sentito quella voce, mi era familiare: leggermente roca, ma calma e lenta e come parlata. Non riuscivo a vedere il suo viso: la sciarpa lo copriva fin sopra il naso, e in testa aveva un cappello calato sulla fronte. L’unica parte scoperta erano gli occhi. Avevo già visto anche quelli. Due occhi verdi. Estremamente belli. Facevano luce, anche se non era possibile, con quella pioggia. Erano leggermente arrossati e lucidi, e pensai fosse a causa del vento. Improvvisamente realizzai. Lo riconobbi. Fino a quel momento l’avevo visto sempre e solo in tv, sui giornali, in Internet. Ora ce l’avevo davanti. E ci ero appena andata a sbattere contro. Mi ero scontrata con Harry Styles. Uno dei One Direction. Il mio preferito, ad essere sincera. Merda. Non sapevo cosa fare, né cosa dire. Provai a parlare, e ne uscì un tremolante “Ma … Tu … Sei …”. Lui capì che l’avevo riconosciuto, e mi disse, svelto: “Sì, sì, sono io. Non metterti ad urlare, per favore. Dio, non si può neanche uscire a fare una passeggiata che qualcuno ti viene addosso e ti fa saltare la copertura!”. Era davvero arrabbiato e maleducato. Non riuscivo a crederci: era stato lui a venirmi addosso in realtà! Glielo dissi, ma lui ribatté subito che ero io quella che camminava cercando le formiche. Mi stava anche prendendo in giro. Non mi lasciò il tempo di rispondere, si voltò e se ne andò, sparendo nella pioggia. Mi resi conto di essere in ritardo per l’apertura del pub, così decisi di lasciar perdere e mi diressi al lavoro. Mentre camminavo, rivedevo la scena nella mia testa e i peggiori improperi si facevano largo tra i pensieri. “E’ una celebrità, che pensavi? Che fosse simpatico e gentile? È un montato, come tutti gli altri. Non mi farò mai più illusioni su nessuna di quelle persone.”

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Capitolo 2
*** Are you thinking of me, yeah? ***


Quando arrivai al pub trovai una brutta sorpresa: Jake. Era fuori dal locale, in piedi, braccia incrociate e non sembrava per niente allegro. “Pensavo di potermi fidare di te”, mi accusò. Fantastico. Questa ci voleva proprio. Pensavo di riuscire ad arrivare lo stesso prima di lui, ma il destino era evidentemente contro di me quel giorno. “L’impegno che avevo e per il quale ti ho chiesto di aprire il pub è saltato. Ma ero sicuro di arrivare e trovare tutto a posto, invece sono qui da dieci minuti e tu arrivi adesso”, continuò. Provai a spiegare: “Jake, io ti assicuro che ero addirittura in anticipo. Stavo venendo qui, quando un cretino mi è venuto addosso e mi ha fatto perdere un sacco di tempo. Non volevo deluderti”. Sembrava credermi, così rincarai la dose: “Se vuoi faccio anche gli straordinari oggi, domani e fino al weekend! Ma, ti prego, non licenziarmi”, mancava poco che mi mettessi in ginocchio. Alla fine Jake si mise a ridere e rispose: “Non serve che tu faccia gli straordinari. Solo, magari la prossima volta avvertimi”, “D’accordo, capo, lo farò!”, e quella giornata si risolse per il meglio. Mio malgrado, per tutto il pomeriggio continuai a ripensare al mio incontro, o meglio, scontro, con Harry; molto probabilmente dovevo sembrare su un altro mondo dato che Jake mi chiese se stavo bene parecchie volte. A fine turno, infine, mi chiese: “Ehi, ma non mi hai nemmeno detto chi è questo tipo che ti è venuto addosso …”; non pensavo mi avrebbe creduto, così decisi di mentire “Ma, non lo so, non lo conosco …”, e la storia si chiuse lì. La sera tornai a casa, stanca, pensierosa, e, soprattutto, molto delusa. Harry mi piaceva davvero tanto, era logico che non potesse essere perfetto, ma non credevo nemmeno così scorbutico. Quella notte, per concludere in bellezza, lo sognai: non so dove ci trovassimo, forse era un parco, e stavamo uno di fronte all’altra, a fissarci in maniera ostinata, quando lui ad un certo punto, mi fissò ancora più intensamente e poi sorrise. Sembrava un sorriso di resa, complice. Non avevo idea di come interpretare quel sogno, e me lo portai dietro tutta la giornata successiva, tentando di dargli un senso, e scoprendomi, purtroppo, a sorridere ogni volta che mi tornava in mente.

Grazie alla mia distrazione, oltre il fatto di essere rimasta a discutere sotto la pioggia per qualche minuto, mi guadagnai una settimana di ferie forzate: avevo preso l’influenza. Se mai avessi incontrato di nuovo quell’Harry Styles non so cosa gli avrei fatto: da quando mi ero scontrata con lui era andato tutto male! A scuola, per quell’unica giornata in cui ero riuscita ad andare, ero distratta e mi avevano richiamata più volte; il pomeriggio stesso avevo rovesciato un vassoio, fortunatamente per terra e non addosso ai clienti; e mentre cercavo un negozio, mi ero persa e avevo vissuto attimi di panico. Infine, erano arrivati il raffreddore, la tosse e la febbre. Stavo malissimo, ma, in fondo, piuttosto che finire nei guai in giro per la città, preferii restare a casa e cercare di guarire; speravo che in quei giorni passasse così anche l’ondata di sfortuna che sembrava avermi sommerso. La vicina di appartamento si rivelò estremamente gentile e si trasformò nella mia infermiera: mi portava da mangiare, mi assisteva se ne avevo bisogno e, quando non era a casa, mi chiamava per sapere se andava tutto bene. Fu la mia salvatrice. Il mercoledì, finalmente, mi sentii pronta per tornare alla mia vita londinese. A scuola mi informai su tutto quello che avevo perso in quei cinque/sei giorni di assenza e tentai di recuperare il più possibile; al pub feci del mio meglio, tirai fuori tutte le energie che avevo in corpo pur di soddisfare Jake e in pochi giorni ripresi il mio normale ritmo. Tutto sembrava essere tornato a posto, finalmente!

Ero guarita da circa due settimane, quando lo incontrai di nuovo. Avendo dedicato tutte le mie forze alla scuola ed al lavoro, a lui non avevo più pensato e non ricordavo nemmeno più di averlo sognato. Era fine novembre ormai, Londra cominciava a prepararsi per il Natale, i negozi erano addobbati e ogni piazza era illuminata da mille luci. Nella stessa piazza in cui mi ci ero scontrata, lo ritrovai. Ero appena uscita da un negozio di abbigliamento, avevo comprato un maglione, poiché ne ero a corto, e mi stavo dirigendo verso la strada, quando sentii una voce alle mie spalle: “Ehi,  cappello grigio! Hai perso questo!”. Mi voltai. Appena lo vidi, alzai gli occhi al cielo e sbuffai: “Che cosa vuoi? Venirmi addosso di nuovo?”. Si mise a ridere; teneva in mano il mio bloc-notes, doveva essermi uscito dalla borsa. Lo guardai bene: era alto, circa dieci centimetri più di me, i suoi capelli ricci e castani si muovevano leggermente a causa dell’arietta frizzante di quella sera, i suoi occhi brillavano, erano felici, sorridenti, l’esatto contrario del giorno dello scontro. Sorrideva. Aveva un cappotto grigio corto, una sciarpa nera e dei jeans blu stretti. Ai piedi un paio di Converse in pelle, di quelle con il pelo all’interno, marroni. Sembrava felice, quella sera, e gentile. Era bello. Mi resi conto che lo stavo fissando senza dire niente, era calato un silenzio imbarazzante. Fu lui a romperlo: “Allora? Questo lo tengo io? Me lo regali per Natale?”, chiese, con un sorriso da presa in giro (affettuosa, però). Recuperai il mio blocco: “No, mi serve. Grazie per averlo raccolto”. Non so per quale motivo, continuavo a rispondere in modo freddo e distaccato, come se volessi essere superiore. Non mi fidavo: non mi era piaciuto il suo comportamento dell’altra volta e quindi facevo fatica a credere che potesse essere gentile sul serio … Lui continuava a fissarmi; stava diventando imbarazzante, davvero. “Allora, dove vai di bello?”, mi chiese. Stavo per rispondere, quando si avvicinò un gruppo di ragazzine: “Ciao Harry, possiamo fare una foto insieme?”. Non si preoccuparono nemmeno di chi potessi essere io, probabilmente neanche mi avevano vista. Lui rispose gentilmente di sì; mi ero sbagliata, mi avevano vista eccome, infatti mi chiesero se potevo scattar loro la foto. Mi venne da ridere, ma accettai. Quando se ne furono andate (dopo decine di “Sei fantastico, bellissimo, oddio Harry, che bello …, eccetera), Harry mi guardò, divertito, e mi chiese: “E tu? Non vuoi una foto con me?!”. Questa volta non riuscii a trattenermi: scoppiai a ridere, e lui con me. Era bello ridere con lui, mi ci sentivo in sintonia. Era come se qualcosa fosse scattato, come se un filo invisibile fosse partito contemporaneamente da me  e da lui, e si fosse unito al centro del piccolo spazio che c’era tra noi. “Dai, dico sul serio, quando ti ricapita una fortuna del genere?”, insistette, ma si vedeva che stava scherzando. Decisi di stare al gioco: “Beh, in realtà è già la seconda volta che ti incontro, sfortunatamente, quindi magari la facciamo la prossima volta, ok?”; lui, pronto, ribatté: “ Ma guarda che sei forte eh! Cioè, qui il vip sono io, e sei tu che te la tiri … Assurdo, non riesco proprio a crederci!”, e mise il broncio, incrociò le braccia sul petto e rimase muto. “Beh, dovevi pur incontrare qualcuno che ti desse filo da torcere prima o poi! La vita non è sempre piena di gente che ti adora”. Ovviamente stavo scherzando, ma lui cambiò improvvisamente espressione, non scherzava più: “Oh, questo lo so benissimo. Non dovevi arrivare tu per dirmelo”. Era secco, freddo, distaccato e credo anche arrabbiato. Sentii quel sottile filo invisibile spezzarsi. Non sapevo più che dire, ero paralizzata. “Scusa, io non volevo dire sul serio, stavo solo …”, ma non riuscii a finire la frase. “Sì, so cosa stavi cercando di dire: che sono un montato, che mi credo chissà chi, eccetera eccetera. Grazie infinite. E io stupido che sono anche venuto a cercarti”. Spalancai gli occhi. Era venuto a cercare me? Che ne sapeva di dove mi trovavo? E, soprattutto, perché? Sentii un groppo alla gola, tentai di parlare, ma non riuscii a dire niente, così lui mi guardò con due occhi sperduti e tristi, scosse la testa e se ne andò. Non fui nemmeno in grado di seguirlo. Ero completamente bloccata, migliaia di domande mi giravano per la testa, assieme ad un’unica affermazione: “Sei una deficiente. Questa volta è tutta colpa tua”, e non riuscii a trovare nessuna parola che potesse cancellare questa autoaccusa.

Mi sentivo veramente una persona orribile. Come avevo fatto a dire una cosa del genere? Stavo scherzando, ok, ma avrei potuto trovare qualcosa di meglio, no? Tentai di vedere in modo esagerato la sua reazione, ma non riuscivo a crederci nemmeno io. Avevo sbagliato e basta. Almeno me ne rendevo conto, ma a cosa serviva? L’unica cosa utile sarebbe stata parlare con lui, ma non avevo idea di quando e, soprattutto, se l’avrei rivisto. Decisi di fare qualche ricerca in Internet per vedere se trovavo gli indirizzi degli studi di registrazione o della casa in cui abitava con i suoi compagni di band, ma non riuscii a trovare niente. Era finita. Avevo avuto la possibilità di conoscere Harry realmente, come persona e non come cantante, e l’avevo buttata via in un modo completamente assurdo. Stupida, stupida, stupida!

Il mattino dopo decisi di andare a trovare Ana al negozio: era domenica, ma il suo capo le aveva chiesto di dargli una mano per qualche ora. Presi la metro che arrivava a Piccadilly Circus e poi cercai il negozio; lo trovai quasi subito, non era in una posizione difficile. Vidi che la mia amica era impegnata con una cliente, così nell’attesa detti un’occhiata in giro: c’erano cose davvero molto carine in quel negozio, ci sarei tornata per comprare qualcosa. Non appena si fu liberata, Ana venne da me, mi salutò con un abbraccio e mi chiese: “Che bello vederti! Ma che ci fai qui?”, le risposi che avevo bisogno di un consiglio e lei, immediatamente, chiese al capo dieci minuti di pausa, che lui gentilmente le concesse. Lo ringraziai anch’io, poi uscimmo e le raccontai tutta la storia, e questa volta non nascosi l’identità di Harry. Lei inizialmente sembrava scettica, e la capii perfettamente, ma quando comprese che non stavo scherzando, si impegnò a fondo per aiutarmi. “Ok, quindi ti ha detto che era venuto a cercarti, giusto?”, indagò. “Sì, cioè, in realtà l’ha borbottato andando via, ma sono riuscita a capire lo stesso le sue parole”, spiegai. “E vi siete incontrati nello stesso posto della prima volta. Quindi, lui sapeva di poterti trovare là, il che vuol dire che gli interessava davvero incontrarti di nuovo”; io seguivo il suo ragionamento, in attesa di una soluzione. Lei continuò: “… e quello è l’unico posto in cui vi siete visti. Se, come penso e spero per te, volesse vederti di nuovo, non potrebbe far altro che tornare lì e aspettare di rincontrarti”. A questo punto la fermai: “Ma, Ana, scusa, l’ho offeso a morte come posso sperare che mi voglia rivedere?”, “Ragazza mia, non mi sembra che la prima volta sia stata rose e fiori, anzi! Potrebbe anche averci riflettuto, e aver capito che volevi solo scherzare”. Questo mi ridiede speranza, non ci avevo pensato, ero stata troppo impegnata ad autoinsultarmi. “E quindi? Io cosa potrei fare?”, chiesi: ormai ero nelle sue mani. Lei rispose semplicemente: “Torna in quella dannata piazza, secondo me sarà lì ad aspettarti”.

Decisi di ascoltare il consiglio di Ana: rimasi in quella piazza, seduta su una panchina per tutto il resto della mattinata, ad aspettare che Harry si facesse vedere, ma all’ora di pranzo, più triste e sconsolata che mai, decisi di tornare a casa. Avevo poca fame, così mangiai un’insalata mista, poi tentai di distrarmi facendo i compiti per il giorno dopo e ascoltando un po’ di musica. Quest’ultima cosa non si rivelò di nessun aiuto, anzi: avevo impostato la playlist in riproduzione casuale, ed improvvisamente era partita una delle canzoni del suo gruppo, così avevo deciso di staccare lo stereo e finire lì quella sofferenza inutile. Avevo finito tutte le distrazioni possibili: avevo studiato, avevo ballato, avevo fatto un dolce, avevo tentato di dormire, ma niente, lui era sempre lì nella mia testa, non in una sola piccola parte, era proprio dappertutto! Non ce la facevo più! Disperata, decisi di fare un ultimo tentativo: mi lavai, mi vestii molto semplicemente e non mi truccai nemmeno, avevo troppa fretta. Poi uscii e mi diressi verso quella “dannata piazza”, come l’aveva ribattezzata Ana. Ormai il pensiero della dannazione mi convinceva parecchio …



Nota dell'autore:
Eccomi qui con la mia PRIMA  storia a capitoli! Yeeeeeeeeeeeeeeeee!! :D Allora, un paio di cose: il primo capitolo mi serviva da ambientazione, quindi se l'avete trovato noioso, vi capisco; ammetto che la storia è un po' lenta a partire, ma se mi darete fiducia e continuerete a leggerla, vederete che non vi deluderò! ;)
Dunque, la nostra protagonista incontra, o meglio, scontra Harry... Dopo il loro secondo incontro tutto sembra perduto, ma voi che dite, si rincontreranno?! Boooooooooooh! Ahahahahahahah =P Seguite la storia per scoprirlo, vi assicuro che non ci vorrà ancora molto prima che il racconto parta davvero! :)
Al prossimo MERCOLEDì, ovvero quando pubblicherò il terzo capitolo! Ciaooooooo!
Vostra Curly_crush

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Capitolo 3
*** We can both remove the masks and admit we regret it from the start ***


We can both remove the masks and admit we regret it from the start 
 


Quando arrivai, era buio, essendo tardo pomeriggio. I miei occhi si abituarono in fretta alle luci che illuminavano la piazza: era bellissima, ma non avevo tempo di distrarmi. Feci una rapida panoramica di tutti gli angoli più affollati, ma niente. Era impossibile non notarlo, se ci fosse stato sarei stata richiamata da urletti isterici, ma stavolta non sentivo proprio niente. Zero. Così mi sentivo. Un niente, una nullità. Quel ragazzo si era portato via un pezzo di me  senza che neanche ci conoscessimo. Stavo per girare i tacchi ed andarmene, quando i miei occhi furono attirati da qualcosa, o meglio qualcuno: sulla panchina su cui ero stata seduta tutta la mattina, c’era una persona. Se ne stava sola, con la testa china, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le braccia penzoloni in mezzo alle gambe. Era impossibile vederne la faccia, ma seppi che era lui. Mi avvicinai alla panchina, senza fare rumore. Quando gli fui di fianco, dissi, piano: “Ciao”. Lui alzò la testa. Non mi ero sbagliata. L’avevo trovato. Harry. Mi guardò: “Ah, sei tu”, disse, con freddezza assoluta. Me lo aspettavo. Aveva ragione. Me lo meritavo. Ma non avevo nessuna intenzione di rovinare tutto di nuovo. Così presi coraggio e gli chiesi: “Posso sedermi?”. Lui non rispose, ma mi sedetti ugualmente. Rimasi in silenzio qualche istante, volevo trovare le parole giuste. Ero sul bordo di un precipizio, incerta se buttarmi o tornare indietro. Poi mi lanciai.
“Harry, ho bisogno che tu capisca, perciò io ora parlo e tu mi ascolti”; non aspettai un suo cenno, ormai ero decisa a parlare e basta. “Non ti conosco per niente, posso essermi fatta una certa impressione su di te vedendoti in tv o in Internet, ma non è detto che sia giusta. Quando ti ho detto quelle cose l’altra volta –lui sbuffò e si girò dall’altra parte, ma lo ignorai- non le pensavo davvero: stavamo scherzando, era una presa in giro, pensavo che avresti capito, invece ti ho solo offeso e mi dispiace davvero tanto. Però almeno adesso so che non ti piacciono le battute su questa cosa, quindi ci penserò due volte prima di dire qualcosa di stupido”.
Feci una pausa. Sapevo che mi stava ascoltando, anche se non lo dava a vedere: guardava in giro, giocherellava con la cerniera della giacca, si distraeva con il cellulare. Chiunque si sarebbe arreso a causa del suo comportamento, ma io non ne avevo nessuna intenzione.
Continuai: “Prima di andartene hai detto che eri venuto a cercarmi. Perché? D’accordo, non rispondere se non vuoi. Però voglio dirti che ho pensato e ripensato a quelle parole e, scusa la franchezza, ma mi hanno fatta felice, anche se tu le hai dette come per rinfacciarmi qualcosa, a ragione, ovviamente. Oggi, invece, sono venuta io a cercarti. Questo non ti dice niente?”. Questa volta aspettai la sua risposta, che non si fece attendere. Un secco “No”.
Tentai di spiegare: “Bene. Per caso non potrebbe farti venire in mente che, pur non conoscendoti, mi importa di te? Che ci tengo? Che non voglio che come mio ultimo ricordo tu abbia degli insulti? Che voglio conoscerti? Guardami, per favore!”.
Lui girò lentamente il viso verso di me. “Harry …”.
“Ok, ok, basta”, mi interruppe, “Hai detto abbastanza”.
Ora toccava a lui. Avevo il cuore a mille, la gola secca e le mani che tremavano.
Harry notò quest’ultima cosa e mi chiese, gentilmente: “Hai freddo?”; pensai che fosse una buona scusa per dissimulare la tensione così annuii.
Inaspettatamente, mi prese le mani tra le sue: non erano molto più calde delle mie, ma non le avrei lasciate per nulla al mondo. Ci guardammo. Lui sorrise dolcemente. Poi finalmente parlò: “Non è giusto però”. Lo guardai con sguardo interrogativo.
“Cioè, tu mi vieni addosso, ti arrabbi, mi insulti, poi ti scusi …”. Mi stavo preparando al peggio. “… E io non so neanche come ti chiami. Ti sembra normale?”.
Me n’ero completamente dimenticata, aveva ragione, non gli avevo mai detto il mio nome. Rimediai subito: “Mi chiamo Gioia”.
Lui sorrise: “Così va meglio … in inglese sarebbe Joy, immagino. Il suono è quello”.
Annuii: “Sì, è proprio quello!”, “Bel nome”, “Grazie, Harry”.
Era tutto finito. Mi aveva perdonata, o almeno così sembrava. Mi rilassai, ma il mio cuore continuò a battere come un forsennato, molto probabilmente a causa della sua presenza. Brutto segno. Le nostre mani erano ancora strette tra loro.
“Non so te, ma io avrei un po’ di freddo. Ti va di andare a prendere qualcosa di caldo? Conosco un posto carino qui vicino …”.
Accettai subito: oltre al freddo, cominciava a farsi sentire anche una certa fame, dovuta al misero pranzo e allo scioglimento della tensione. Ci alzammo dalla panchina, e camminammo fianco a fianco fino ad un piccolo ma accogliente bar poco distante dalla “nostra” piazza. Avrei dovuto segnarmene il nome. Appena entrammo, Harry salutò il barista con un familiare “Ehi, Joe!”. L’uomo, sulla cinquantina, lo salutò e poi chiese: “Hai portato un’ospite, Harry?”.
Lui mi guardò sorridendo, poi disse: “Sì, non se lo meriterebbe poi molto, ma io sono buono e quindi l’ho portata qui lo stesso”.
Io risi, cercando di dissimulare l’imbarazzo. Ci sedemmo ad un tavolino in fondo al locale, poi ordinammo due cioccolate calde con panna, tanto per stare leggeri. Io e Harry chiacchierammo del più e del meno, gli raccontai che cosa facevo a Londra e gli chiesi cosa stavano facendo in quel periodo lui e i ragazzi. Lui mi rispose che erano impegnati nella promozione del nuovo album e nell’organizzazione del tour successivo. Conversazioni semplici, ma che ci permisero di cominciare a conoscerci facilmente. Era come se ci conoscessimo da sempre, non c’erano momenti di silenzio, ci completavamo le frasi a vicenda, trovavamo sempre nuovi argomenti. Ad un certo punto, dopo che Harry ebbe finito la cioccolata, notai che parte di essa gli era rimasta sotto il naso, formando i famosi “baffi”. Decisi di non dirglielo subito e di divertirmi un po’, finché lui non se ne accorse. Per vendetta, intinse l’indice nella mia cioccolata e mi sporcò il naso. Scoppiammo a ridere, così Joe venne a vedere cosa c’era di tanto divertente, poi chiese, ridendo: “Che c’è, la mia cioccolata fa così schifo da giocarci?”. Io ed Harry lo guardammo, ancora ridendo, poi io risposi: “No, no, è davvero ottima, Joe, scusaci!”.
Dopo poco pagammo, o meglio Harry pagò, (volle a tutti i costi offrirmi la cioccolata senza sentire storie) ed uscimmo. Si era fatto tardi, così decidemmo di salutarci. Mi chiese dove abitavo e, appena gli risposi, disse che avremmo dovuto fare un pezzo di strada insieme, poiché lui doveva andare nella stessa mia direzione per andare a casa. Ne fui felice. Tutto finalmente sembrava girare nel senso giusto. Arrivammo ad un bivio, e lì ci salutammo; non sapevo cosa fare, così lui decise per me: mi prese la mano destra e la baciò delicatamente, poi mi sorrise, disse “Ciao” e se ne andò. Dire che tornai a casa tranquillamente sarebbe mentire spudoratamente; infatti, me la feci quasi di corsa, saltando, cantando e ridendo. Arrivata a casa chiamai subito Ana, le raccontai tutto e la ringraziai ancora per i suoi consigli. Non vedevo l’ora di rivederlo. Improvvisamente, caddi nel panico: non ci eravamo scambiati i numeri di telefono, come avremmo fatto a ritrovarci? Decisi di non pensarci, per quella sera, ero troppo felice e non mi andava di ricadere nel panico. Ero riuscita a provare di nuovo quella bellissima sensazione, quel filo invisibile che ci legava era ricomparso, solo che questa volta ci avevo fatto un bel doppio nodo, forte, da non potersi più strappare.

Il giorno dopo, mi svegliai sorridendo come un’ebete, e non era assolutamente normale, dato che era lunedì ed io odio il lunedì. Ma quel mattino era diverso. Tutto era diverso, e tutto mi sembrava possibile. Mi preparai velocemente, ma questa volta fui attenta ai particolari, volevo essere carina, stare bene con me stessa, sentivo di meritarmelo. Se avessi rivisto Harry, avrei dovuto ringraziarlo per tutto questo, perché in fondo era merito suo se avevo ritrovato questo amor proprio che mi mancava da tempo.
Mi guardai allo specchio: la mia immagine era sempre quella di una ragazza alta e slanciata, non troppo magra, ma con un fisico gradevole, capelli lunghi fino a sotto le spalle, di un ordinario castano, ma che con la luce del sole rivelavano riflessi rossi; occhi verde scuro, quasi tendenti al marrone, all’apparenza malinconici, forse, ma capaci di diventare furbi non appena sorridevo; naso, bocca e orecchie regolari, come il resto; piede numero 40, taglia 44, M per le maglie. Ma avevo qualcosa di diverso. Qualcosa che le altre persone non avrebbero sicuramente notato, ma io sapevo che c’era. Avevo una nuova luce negli occhi. E mi sentivo più bella. Questa cosa era molto difficile da ammettere con me stessa: non sono mai stata disinvolta, o meglio, sicura di me. Avevo sempre paura di quello che la gente pensava guardandomi, pensavo sempre al peggio. Quel giorno era diverso. Volevo sentirmi bella. Per me, per Harry, per il mondo. Avrei apprezzato di più me stessa.
Con questi nuovi buoni propositi uscii di casa, e sorridendo salutai la signora che mi aveva assistita quando avevo l’influenza. Quando arrivai a scuola, fui praticamente assalita da Ana: voleva sapere ogni minimo dettaglio della sera prima, e io, non aspettando altro, le raccontai tutto. Non mi lasciò stare un attimo, perciò continuai a risponderle finché non fummo entrambe richiamate dal professore, ma la prendemmo alla leggera e ci ridemmo su.
Nel pomeriggio andai, come ogni giorno, al pub, ma c’era una novità: Jake mi aveva promossa a spillare le birre e le bibite, perciò a volte stavo anche dietro il bancone, oltre che a servire ai tavoli. Il turno passò velocemente, senza eventi particolari. Jake notò che ero più allegra del solito, e provò a farmi dire qualcosa con domande trabocchetto, ma io non gli dissi niente, anche se i suoi tentativi mi facevano sorridere. Infine tornai a casa, e a quel punto lasciai che la delusione si facesse sentire. L’avevo tenuta sotto controllo per tutta la giornata, ma non ce n’era più bisogno. Speravo di rivedere Harry quel giorno, lo ammetto, e mi ero fatta parecchie illusioni, ma non era accaduto niente di tutto quello che avevo immaginato. Decisi però di non abbattermi del tutto, ci sarebbero state altre giornate e non poteva finire tutto così, non dopo quello che avevo sentito stando con lui. Ributtai indietro la delusione, la chiusi a chiave in un angolo della mia testa e lì rimase per la giornata seguente.



Curly space:
Woooooohoooooo! Sono quiiiiiiiiii! ;)
Beh, come avrete SICURAMENTE notato, l'impaginazione della storia è molto migliorata, e di questo ringrazio Nanek e Tommo's girl93 che mi hanno dato preziosi consigli al riguardo... :) <3
Bene, sembra che finalmente i nostri due protagonisti abbiano trovato un'"equilibrio"! :) Contente?! Non ho particolari commenti da fare, se non che ADORO incondizionatamente questa "coppia"... Mah, chissà che succederà andando avanti... Volete scoprirlo?
Continuate a seguire la storia...! ;)
Bacioni,
Curly crush



  

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Capitolo 4
*** Let's pretend it's love ***


Let's pretend it's love



La sera dopo, mancavano circa venti minuti alla chiusura e alla fine del turno, ed ero rimasta momentaneamente sola al pub. Stavo pulendo il banco, quando sentii qualcuno entrare. Salutai, ma non mi preoccupai di vedere chi fosse, e chiesi di attendere un istante.
Il cliente allora parlò: “D’accordo, aspetterò. Appena finisce mi fa una birra alla spina, per favore?”.
Per poco non mi prese un infarto: alzai di colpo lo sguardo, avevo riconosciuto la voce. Harry era lì, seduto al bancone, e mi guardava con un sorriso molto divertito.
Non appena mi ripresi, dissi: “Ciao! Oddio, che ci fai tu qui?”, al che lui rispose semplicemente: “Volevo prendere una birra, posso?”; spiazzata, risposi: “Sì sì, certo, scusa … come la vuoi?”.
A quel punto si alzò dallo sgabello e, ridendo, mi disse: “Dai scema, sono venuto a trovarti! Volevo vederti”.
Il mio cuore, se già prima faceva mille battiti al minuto, ora li aveva sicuramente raddoppiati: non avrebbe retto ancora per molto … Passai dall’altra parte del bancone per avvicinarmi a lui, poi mi sedetti su uno sgabello e Harry mi imitò, sedendosi di fronte a me e piantando i suoi occhioni verdi nei miei.
“E come facevi a sapere dove trovarmi scusa?”, chiesi sospettosa.
“Ehm, mi hai detto tu l’altra sera che lavoravi qui”.
Scema. Aveva ragione.
“Ma non ti avevo dato l’indirizzo … Vabbè, fa niente”, ero troppo sorpresa per riuscire a connettere il cervello con la bocca.
Lui mi chiese: “Ma ti dà fastidio che sia venuto a trovarti?”.
Oddio, no. Sei pazzo? Se ti ho aspettato tutta ieri, vuoi che adesso mi dispiaccia?
Risposi semplicemente: “No, tranquillo, anzi! È che sono molto sorpresa …”; “Ero venuto anche ieri, ma il pub era già chiuso …”.
Ommioddio. Era venuto anche il giorno prima: doveva tenerci veramente tanto.
Tentai di scherzarci su per capire qualcosa di più: “Oh, davvero? Non vedevi proprio l’ora di rivedermi eh?!”.
Stava per rispondere, quando il mio cellulare squillò; guardai il numero sul display: Jake. Lo maledii silenziosamente, poi mi scusai con Harry e risposi.
“Ciao Jake, dimmi tutto!”, “Ehi, ascolta, ho avuto un contrattempo e non riesco a tornare al locale per chiudere. Potresti farlo tu, per favore? Le chiavi ce le hai, giusto?”, “D’accordo, chiudo io, sì, le chiavi ce le ho, tranquillo!”, poi ci salutammo e riattaccai.
Harry non aveva smesso un attimo di fissarmi. Lo guardai, poi gli dissi: “Allora, fra poco devo chiudere, però devo ancora finire di pulire. Ti va di aspettarmi dieci minuti o te ne devi andare subito?”; ovviamente speravo che restasse, ma non volevo che si sentisse legato. Inaspettatamente, lui rispose con un’altra domanda: “Cosa devi fare ancora?”; incerta, gli spiegai che dovevo spazzare per terra e pulire i tavolini del pub, poi avrei finito. Lui allora mi disse, con un’espressione serissima: “Beh, ti do una mano, così facciamo prima! Dove sono le scope?”. Credevo che mi stesse prendendo in giro, ma la sua faccia diceva completamente il contrario. Decisi di assecondarlo, e andai nel retro a prendere una scopa, la migliore che trovai. Poi cominciammo a pulire, io i tavolini e lui il pavimento: se la cavava proprio bene per essere un ragazzo, ed in pochi minuti avevamo finito. Mancavano cinque minuti alle otto, ma di solito a quell’ora non veniva mai nessuno, così chiusi il locale un po’ prima e io ed Harry finalmente uscimmo.
“Beh, grazie mille! Ci avrei messo molto di più se non ci fossi stato tu”, gli dissi, sorridendo.
Lui mi sorrise e poi disse: “Beh, diciamo che è una delle mie doti nascoste pulire i pavimenti!”. Scoppiammo a ridere, poi ci avviammo, senza sapere bene dove andare. Come se mi avesse letto nel pensiero, Harry mi chiese: “Dove andiamo? Credo che ormai sia un po’ tardi per girovagare senza meta … Vuoi che ti accompagno a casa?”.
Non potevo crederci: Harry Styles si stava offrendo di accompagnarmi fino a casa. Accettai immediatamente. Lungo la strada, camminammo molto vicini e le nostre mani spesso si sfiorarono, provocandomi forti brividi lungo la schiena. Stavamo parlando tranquillamente di un film, quando Harry improvvisamente mi prese la mano e mi tirò indietro: non mi ero accorta che eravamo arrivati ad un attraversamento pedonale e stava sopraggiungendo una macchina. “Ma che fai? Vuoi ammazzarti così?”, chiese, con gli occhi sgranati. Era davvero spaventato. Non avevo notato la macchina semplicemente perché stavo guardando lui. “No, certo che no, scusami, ero distratta”, risposi. Lui tirò un sospiro di sollievo, e alzò gli occhi al cielo. Le nostre mani erano ancora strette. Fermai quel momento nella mia mente, poi Harry, forse imbarazzato, lasciò la presa e infilò entrambe le mani nelle tasche della giacca. Lo imitai, poi, quando la strada fu libera, attraversammo e camminammo per un po’ in silenzio. Ad un certo punto, Harry ruppe il silenzio, e mi chiese: “Cosa fai durante le feste? Torni in Italia?”. Mancavano poco più di due settimane a Natale, non avevo ancora fatto dei piani. “Non lo so ancora, in realtà, ma non credo di tornare a casa, non credo neanche di poterlo fare … Però forse lo passerò con i miei compagni di scuola”; Ana effettivamente mi aveva dato questa idea un giorno, ma non avevamo ancora deciso niente. “Tu che fai?”, chiesi.
“La mia famiglia viene a Londra con quelle di Niall e Louis, e festeggiamo insieme”.
Mi piaceva l’idea che stessero insieme anche a Natale: non sarebbero stati al completo, ma erano sempre tra loro.
“Che bello! Mi piacerebbe vedervi tutti vestiti da Babbo Natale …”.
Mi immaginai la scena, e scoppiai a ridere.
“Beh, tu allora potresti fare il mio elfo aiutante!”, e scoppiò a ridere anche lui. Poi continuò: “Però, insomma … cioè …”.
Lo vedevo in difficoltà, ma non sapevo cosa volesse dire, quindi non potevo aiutarlo. Poi, all’improvviso, buttò fuori tutto, ma lo fece così velocemente che ci misi un po’ a decifrare le sue parole.
“Sì, insomma, se non sai cosa fare, potrestivenireacasamiaanchetu!”.
Ero troppo abituata alla sua parlata lenta, così lo guardai scioccata, non tanto per quello che aveva detto (in realtà, ero più che sconvolta!), ma per come l’aveva fatto.
“Scusa? Potresti ripetere? Non credo di aver capito”.
Lui sbuffò, poi si fermò e rilassò le spalle, poi parlò: “Ti ho detto che se non trovi niente da fare, potresti venire da me, tanto per una persona in più non credo ci siano problemi”, spiegò, guardandomi fisso negli occhi. Non sapevo cosa dire: ci conoscevamo da poco, e neanche molto bene, in fondo, non conoscevo il suo mondo, cosa avrebbero pensato di me? E poi, come mi avrebbe presentata? Un’amica? Una conoscente? Ero piena di dubbi, ma una parte di me voleva assolutamente accettare.
“Ehi, non serve che mi rispondi subito. Era solo un’idea, non sei obbligata a venire. Capisco che tu possa essere confusa …”, mi disse, comprensivo.
Allora riuscii a rispondere: “Ci penso, d’accordo? Non fraintendermi, sono contentissima che tu abbia pensato a me! Solo che non so …”.
“Tranquilla, piccola, tranquilla. Fai quello che ti senti”, disse toccandomi il braccio.
Piccola. Mi aveva chiamata “piccola”.
Poi riprendemmo a camminare verso casa mia. Quando arrivammo, mi venne un’idea: “Ehi, vuoi fermarti a mangiare qui? Ti preparo una bella pasta italiana!”.
Lui sorrise, poi rispose: “Grazie, piccola, accetterei davvero volentieri, ma ho promesso ai ragazzi che stasera mangiamo assieme e … Sì, sono già in ritardo”, disse dando un’occhiata veloce all’orologio.
“Ah, d’accordo …”, risposi, leggermente delusa.
“Però la prossima volta sono prenotato allora! Se l’invito è ancora valido …”,
“Ma certo, Harry! Quando vuoi. Anzi, spero di non averti fatto ritardare troppo”, mi sentivo in colpa. In fondo, mi aveva accompagnata sapendo di avere un impegno, era stato davvero un angelo.
Lui rispose, tranquillo: “Ma no, non preoccuparti, mi aspettano. Sono l’anima della festa, io, che credi?”, disse, ridendo. Poi aggiunse: “Ora vado. Ciao, piccola italiana, ci si vede!”, e si chinò per baciarmi la guancia destra, anche se precisamente mi baciò lo zigomo.
“Ciao, Harry”, sussurrai, incredula. Poi lui si avviò ed io entrai in casa, ancora più felice del giorno prima. C’eravamo dimenticati di scambiarci qualche contatto, di nuovo, ma ricacciai indietro il pensiero e mi crogiolai nella mia felicità.

Il giorno dopo fu ancora più incredibile: Harry si fece trovare all’uscita da scuola. Quando lo vidi, non so cosa mi trattenne dal saltargli addosso per abbracciarlo. Ah, già, forse il gruppetto che gli si era formato intorno? Ma non l’avevo notato subito, avevo visto solo lui, sembrava irradiasse luce. Ero con Ana, e anche lei, per un momento, sembrò sul punto di unirsi alla piccola folla urlante che circondava Harry, ma poi si ricordò di me e mi restò accanto; ovviamente avrei dovuto presentarglielo, sempre se lui non avesse avuto problemi. Quando Harry riuscì a vedermi, mi fece un sorriso che mi tolse il fiato e mi salutò con la mano, poi si rivolse alle sue adulatrici e disse: “Scusate ragazze, ma ora devo andare …”; qualcuna, più sfacciata delle altre, chiese: “E dove vai, Harry?”. Lui tenne lo sguardo fisso su di me per qualche istante, poi rispose: “A studiare italiano con la mia nuova professoressa! Ciao a tutte!”.
Io mi misi a ridere, ma nascosi il viso nella sciarpa, poi appena lui riuscì a raggiungermi (dopo interminabili proteste delle fan), alzai la testa e lui mi baciò la guancia. Da qualche parte sentii un obiettivo scattare. Ottimo.
“Ciao, italiana”, mi salutò; “Ciao, allievo”, scherzai.
“Tutto bene?”,
“Sì, grazie, Harry. Lei è Ana, una mia amica e compagna di scuola”; Ana arrossì e poi disse: “Ciao Harry!”.
Lui la salutò gentilmente, poi si rivolse a me e mi chiese: “Hai già qualche programma per pranzo, o posso invitarti io?”.
In effetti, avevo detto ad Ana che andavo a mangiare con lei come al solito, quindi la guardai e lei, senza che Harry la vedesse, scosse la testa e mi indicò il mio “allievo”: voleva che andassi con lui. L’avrei abbracciata all’istante per questa concessione, ma mi limitai a sorriderle, grata. Poi risposi ad Harry: “No, non so ancora dove mangiare …”.
Lui, subito, ordinò: “Allora vieni con me, ti porto io in un bel posto!”.
Salutai Ana, poi mi incamminai con lui verso questo posto misterioso. Durante la strada mi chiese come era andata la mattinata e io feci lo stesso: lui aveva passato gran parte del mattino in studio con i ragazzi, stavano finendo di organizzare un tour in alcune città inglesi, precisamente nelle loro città natali, mentre io ero stata vittima di un compito a sorpresa, tuttavia non doveva essere andato proprio male. Infine, arrivammo. Rimasi a guardare il “locale” a bocca aperta, ero molto sorpresa e incuriosita: eravamo sulla sponda del Tamigi, e lì c’era un barcone adibito a ristorante. Non ne avevo mai visto uno, tranne che in alcuni film, e avevo sempre sognato di andarci, tanto per cambiare atmosfera. Dentro, era ancora meglio: non era troppo elegante come posto, c’era un’aria rilassata e mi sentii subito a mio agio. Harry mi guardò un momento, poi mi chiese, incerto: “Ti piace?”.
Lo guardai, seria, poi mi aprii in un sorriso e risposi: “Moltissimo, Harry! È fantastico!”, e mi alzai in punta di piedi per baciargli la guancia.
Lui si rilassò, e poi disse, malizioso: “Beh, devo trovare altri posti interessanti, se la reazione è questa …”.
Stetti al gioco, e risposi: “Beh, magari migliorando ancora di più, potrebbe migliorare anche la reazione … è tutto a tuo favore, pensaci”.
Poi mi avviai verso un tavolo, guardandolo sorridente; lui restò un momento impalato sulla soglia del locale, poi si mosse e mi seguì, pregandomi: “Ehi, ehi aspetta un attimo, spiegami meglio questa teoria …”, ma io non risposi e mi misi a ridere nel vederlo così incuriosito.
Ci sedemmo vicino ad una vetrata, così da vedere il panorama all’esterno, poi arrivò una ragazza, molto carina tra l’altro, e ci disse che ci avrebbe servito lei. Ordinammo lo stesso piatto (seguii i consigli di Harry, dato che non avevo idea di cosa prendere) e poi se ne andò, seguita dallo sguardo di Harry, cosa che mi infastidì parecchio, ma provai comunque a scherzarci su: “Carina, eh?”.
Lui, facendo il finto tonto, rispose: “Oh, non so, non l’ho vista bene. Beh, poi guarderò meglio, se dici che ne vale la pena”.
Lo stava facendo apposta, lo capii subito dal suo sguardo strafottente, quello che la prima volta mi aveva fatto andare su tutte le furie. Ma ora, era diverso: stava scherzando con me, e stava tentando di ingelosirmi. Mi venne da ridere, ma cercai di trattenermi, anche se un sorriso riuscì a sfuggirmi.
“Che hai da ridere?”, mi chiese, sospetto.
“Oh, niente, niente, pensieri miei …”.
Sfoderò uno sguardo assolutamente adorabile, che mi fermò il cuore per poi farlo ripartire alla velocità della luce; poi, mi pregò: “Me lo dici? Dai, sono curioso”. Come diavolo facevo a resistere? Non ero per niente lucida, era come se avessi bevuto troppo, senza avere in realtà assunto niente, nemmeno un goccio d’acqua. Tentai di trovare un lume di ragione nella mia testa, e ci riuscii, quindi, facendomi forza, risposi, secca, ma dolcemente: “No, non te lo dico”.
Sotto il tavolo, mi diede un calcetto con il piede, poi con entrambe le gambe, intrappolò le mie tra le sue; poi si sporse sopra il tavolo, e riuscì a catturare le mie mani prima che potessi ritirarle. I nostri visi erano vicini, forse troppo.
“Allora, finché non mi dici cosa ti passa per la testa, non ti lascio andare. Scelta tua!”.
Lo guardai, allibita, poi chiesi: “E come faccio a mangiare, scusa?”; lui rispose, molto semplicemente (come facevo a non esserci arrivata io, eh?): “Non mangi”.
Cercai qualche protesta valida, ma lui mi teneva stretta, e continuava ad avvicinarsi sempre di più al mio viso; poi sussurrò: “Dovrai pagare pegno per questo tuo silenzio …”.
Ormai potevo sentire il suo respiro addosso. Cominciai ad avvertire un certo calore, il sangue mi stava salendo alle guance, dovevo essere rossa in viso; lui sorrise, poi …
“Eccoci qua, ragazzi, il vostro pranzo”, annunciò allegramente la cameriera. Ok, adesso la odiavo definitivamente. Non poteva aspettare ancora qualche minuto? Harry lasciò le mie mani per permettere alla ragazza di appoggiare i piatti, ma mantenne la stretta alle gambe. La ringraziammo (io molto freddamente), poi ci lasciò finalmente in pace. Harry prese il mio piatto e se lo mise davanti e, non appena provai a riprendermelo, scosse la testa: “No, no. Te l’avevo detto che non mangiavi, tesoro”; io protestai: “Ma sei stato tu a portarmi fuori a pranzo! E ora non mi vuoi far mangiare? Sei incoerente!”.
 Lui si mise a ridere, poi mi restituì il piatto e cominciammo a mangiare. Aveva allentato anche la presa alle gambe, ma non le aveva ancora lasciate del tutto, così restammo tutto il tempo con le gambe morbidamente attorcigliate.
Inaspettatamente, mi chiese: “Mi insegni qualche parola di Italiano? Insomma non voglio mica dire le bugie alle mie fans!”.
Mi ero dimenticata di essere stata indicata come sua professoressa d’Italiano, così appena ricordai, mi misi a ridere, e indagai: “Allora, che parole vuoi imparare, piccolo inglese?”.
Lui sorrise, poi cominciò con una lista molto lunga di parole inglesi, che io automaticamente gli traducevo; lui le ripeteva man mano, provocandomi grandi risate a causa della sua pronuncia. Alla fine, gli dissi: “Bravissimo, Harry! Sei uno studente modello”. Lui mi guardò incuriosito, poi mi chiese quale fosse il significato della prima parola che gli avevo detto in Italiano. Glielo spiegai, poi lui cominciò a ripeterlo ininterrottamente: “Bravissimo, bravissimo, bravissimo!”. Mi faceva tenerezza, era così dolce nella sua pronuncia imbranata
“Allora, sono promosso?”, mi chiese.
“Mmm, dovremo lavorare ancora molto, ma stai andando bene, allievo!”; sorrise soddisfatto, poi: “E c’è anche un premio, alla fine?”, chiese, con uno sguardo tra il malizioso e l’adorabile. Bum. Morta. Di nuovo. Non poteva continuare a guardarmi in quel modo, non sarei sopravvissuta. Risposi balbettando: “S-s-sì, forse …”; “Oh, molto bene. Sai, non mi piace fare fatica e poi non ricevere niente per la mia bravura”, disse, scherzando. Essendo riuscita a riprendermi, risposi: “D’accordo, ci penserò su. Tu però studia, intanto”. Nel frattempo avevamo finito di mangiare, così ci alzammo per andare a pagare. Al banco adibito a cassa, Harry si appropriò del conto, e io protestai subito: “Non pensarci nemmeno! Non pagherai tutto tu anche stavolta!”.
Lui rise, poi disse: “Beh, come hai detto prima, sono io che ti ho invitata, quindi sono io che pago. Perciò, zitta, esci, e niente storie”.
Usò un tono autoritario, ma estremamente dolce, così che non riuscii a dire più niente, se non: “Però ti aspetto qui, non fuori”.
Contento di avermi spenta, pagò sorridente, poi uscimmo e, con mia grande sorpresa, mi prese per mano. Aveva una presa forte e la sua mano era calda: la strinsi forte anche io, non volevo lasciarla per nessun motivo al mondo.
Arrivammo davanti il locale e lì decidemmo di salutarci: molto probabilmente non ci saremmo più visti per una settimana buona, dato che lui doveva partire per questo breve tour inglese dopo pochi giorni. Tentai di sorridere il più possibile, ma lui notò ugualmente la mia tristezza: mi conosceva già così bene?
“Ehi, guarda che non sto via per sempre …”, mi consolò. “Vedrai che non farai nemmeno in tempo ad accorgerti che me ne sono andato, che starai già sbuffando per la mia brutta pronuncia italiana e le mie battutacce. E poi …”.
 Tacque un attimo, poi mi fissò negli occhi. Si avvicinò e mi abbracciò. Mi strinse forte, sembrava disperato. Ricambiai l’abbraccio e lo strinsi anche io più forte che potevo, non avevo nessuna intenzione di farlo andare via. Dopo qualche istante che sembrò –fortunatamente- interminabile, concluse, sussurrandomi all’orecchio, la frase che aveva iniziato prima: “… Mi mancherai. Tantissimo”.
Sentii le lacrime arrivare, ma non volevo piangere; da una parte ero triste, ma dall’altra non avrei potuto essere più felice. Gli sarei mancata. Me l’aveva detto. Lo strinsi più forte a me.
Anche tu mi mancherai, Harry”, confidai al suo cuore, poiché era quella l’altezza a cui arrivava la mia bocca. Restammo stretti ancora un po’, ero riuscita a trattenere le lacrime; aveva un profumo buonissimo, la sua giacca era morbida, e le sue braccia strette attorno a me erano forti, mi ci sentivo protetta. Alla fine, dopo una stretta ancora più forte da parte sua, ci staccammo e ci fissammo negli occhi. Poi lui parlò: “Promettimi una cosa”; attesi in silenzio la sua richiesta, non riuscivo a parlare, “Se qualcuno ti dà fastidio, tu non badarci, d’accordo? Risolverò tutto io”.
Non capivo le sue parole, ma annuii ugualmente.
“Ci vediamo presto, piccola mia”, disse, poi mi baciò la guancia tenendomi il viso con le mani. Io risposi, piano: “Ciao, Harry. Stai attento, guarda che mi metto in contatto con i tuoi compagni e gli dico di tenerti d’occhio, eh”.
Lui sorrise, poi disse: “Non ce ne sarà bisogno questa volta, sarò il più tranquillo di tutti. Ehi, devo pur imparare l’italiano, non voglio che la mia professoressa mi lasci per strada!”.
Ci sorridemmo un’ultima volta, lui mi baciò di nuovo la guancia e poi se ne andò, mentre io entravo al pub.



Curly space:
Yuhuuuuuuuuuuu! E' mercoledì e sono tornataaaaaaaa!! :D Allora. Quanto dolci non sono questi due?! Harry sembra davvero preso da questa Italiana! ;) Sarà amore???? :) Bah, per il momento,... LET'S PRETEND! *.*
Spero che il capitolo vi sia paiciuto e che lasciate un commentino dolce... =P
Alla prossima! Bacioni,
Curly crush 





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Capitolo 5
*** So let them take a picture... ***


So let them take a picture...
 

Speravo che Jake non avesse visto niente, ma mi sbagliavo. Appena entrai, si precipitò da me e, quasi urlando, chiese: “HARRY STYLES?!”. Tentai di evitarlo, rispondendo evasivamente: “Ehi, ciao anche a te, Jake! Tutto bene?”, ma non funzionò. Lui mi seguì fino nel retro e mi bombardò di domande: “Ma lo conosci? Uscite insieme? Da quanto? Eh?”. Non capivo molto bene la sua funzione in questo interrogatorio di terzo grado, così sbuffai: “Ma, Jake, chi sei? Mio padre? Un agente segreto dell’FBI?”.
Jake rimase interdetto qualche secondo, poi disse: “Hai ragione, scusa. È che mi ha sorpreso molto questa cosa …”.
Mi ammorbidii un po’, vedendolo davvero in imbarazzo, così proposi: “Se mi prometti che non vai a sbandierare tutto in giro e, soprattutto, se ti calmi, ti racconto qualcosa”.
Dire che si illuminò è poco: continuavo a non capire tutto quell’entusiasmo, in ogni caso. Alla fine lo accontentai e gli raccontai di quando io e Harry ci eravamo scontrati (quindi capì finalmente chi era quel “cretino” che mi aveva fatto ritardare al lavoro), poi di quando avevamo parlato la prima volta e dell’incontro di quel giorno, assolutamente non programmato. Ovviamente tenni per me i particolari per cui il mio cuore aveva galoppato gran parte del tempo, ma Jake si era ricomposto e non indagò oltre. Dopo questa adorabile conversazione, mi lasciò cominciare a lavorare, così il pomeriggio trascorse tranquillo e anonimo.
La sera tornai a casa e, dopo molto tempo che non lo facevo, accesi il computer. O, meglio, entrai in Facebook, il computer effettivamente lo usavo quasi ogni giorno. Controllai le notifiche degli amici che mi scrivevano dall’Italia, poi notai una richiesta d’amicizia. La aprii, e cominciai a ridere come una stupida. Harry. Era lui il misterioso nuovo “amico”. La accettai immediatamente, poi visitai velocemente il suo profilo. Trovai una frase curiosa: “Una gioia che si può toccare con mano! :)”, seguita da un cuoricino. Sorrisi. Non volevo montarmi la testa, ma probabilmente era rivolta a me. 195 “mi piace”. Non male, avrei dovuto fargli i complimenti. Tornai alla Home e scorsi velocemente le notizie; il mio sguardo distratto fu attirato da una foto in particolare. Merda. Era una foto di quel mattino, quando Harry era venuto a prendermi a scuola: era il momento in cui mi stava salutando baciandomi sulla guancia. Però mi piaceva come foto, era di buona qualità e, soprattutto, era un ricordo; quindi, la salvai nel computer, poi entrai nella pagina che l’aveva pubblicata. Non c’era solo quella foto, ce n’erano molte altre, tutte di quel giorno, tutte con Harry o con Harry e me. Un servizio fotografico, praticamente. Cominciai a leggere i commenti: non avrei mai dovuto farlo. In quel momento capii le ultime parole di Harry. Pensai di spegnere tutto, ma non riuscivo a smettere di leggere. Non c’era niente di positivo: erano tutte offese, insulti, avvertimenti. Erano tutti delle fans, gelose o chissà cos’altro. Tutte si rifiutavano di credere che Harry potesse vedersi con qualcuna, ne reclamavano la proprietà, e, oltretutto, offendevano “quella sconosciuta” pesantemente: scrivevano cose del tipo “è bruttissima”, “ma chi cavolo è questa?”, “da dove salta fuori?”, “chi la vuole?”, “Harry è mio, quella zoccola non l’avrà mai!”. Mi sentii salire il groppo alla gola. Avevo appena cominciato ad apprezzarmi, perché un gruppo di ragazze doveva smontarmi così velocemente? Infine, spensi il computer, non ne potevo più. Harry non era ancora partito e io sentivo già un assoluto bisogno di vederlo di nuovo, di un suo abbraccio: solo lì, tra le sue braccia, mi sarei sentita di nuovo bene e protetta. E ancora non avevo suoi contatti. O forse sì. Avrei potuto scrivergli un messaggio privato in Facebook, ma l’avrebbe notato, tra tutti quelli delle fan? E poi, sarei sembrata una frignona. No, non gli avrei scritto, gliene avrei parlato appena fosse tornato. Mi feci forza, e guardai il calendario: dieci giorni. Dieci giorni di ansia, e di nostalgia. Ma ce l’avrei fatta, ero forte, adesso. Dopo essermi fatta una buona dose di autoconvinzione ed essermi calmata, decisi di andare a dormire, ma non appena riuscii ad addormentarmi, fui svegliata di nuovo dal mio cellulare, che squillava come se fosse impazzito.
“Pronto?”, risposi, con voce assonnata.
Dall’altro lato, non sentii altro che un respiro soffocato dai singhiozzi; controllai il numero: era Ana.
“Ana? Ana? Che succede? Stai male?”, chiesi, preoccupata.
Dopo alcuni istanti, lei rispose, tra i singhiozzi: “Gioia, scusami, scusami davvero tanto per l’ora … Ma avevo bisogno di parlare con qualcuno”, spiegò.
Ormai ero sveglia, così mi spostai in soggiorno e mi sedetti sul divano. “Dimmi tutto, ti ascolto”, la incalzai.
“Ok. Ti ricordi Alan? Beh, certo che te lo ricordi, è a scuola con noi, che stupida che sono”. Alan era un ragazzo francese che frequentava il nostro stesso corso, lui e Ana da qualche settimana uscivano insieme, e fino a quel momento era andato tutto bene. Fino a quel momento.
“Sì … che ha combinato?”, indagai, temendo il peggio.
“Eh … Che ha combinato … Ha combinato che è uno stronzo e io non lo vorrei più vedere, ma non posso!”.
Porca miseria. Non la seguivo.
“Ana, non capisco, spiegati meglio”.
Dopo una lunga pausa, buttò fuori tutto: “Praticamente, non so se l’hai mai notato quando parlava con quella ragazza della classe accanto alla nostra? Ecco, lui i aveva sempre detto che era solo un’amica – ovviamente – e io mi ero fidata. Invece, l’altro giorno si è deciso a dirmi che questa Jessie gli piace e stanno già uscendo insieme da qualche giorno”.
Sarà stato il sonno o la rabbia di prima o la nostalgia per Harry, ma non riuscivo proprio a seguire il senso del discorso, quindi chiesi: “Ma lui non sta uscendo con te scusa?!”.
Ana rispose, freddamente: “Ora non più. Infatti mi ha spifferato tutto proprio per avere la coscienza pulita –secondo lui- e poter uscire con lei! In pratica, mi ha scaricata”.
Non riuscii a rispondere altro che “Che stronzo”.
Lei continuò: “E il problema maggiore non è quello di vederlo tutti i giorni a scuola, ma … Natale”.
Natale?”, chiesi, sempre più confusa.
“Sì, Natale, Gioia, Natale! Hai presente la festa che sto organizzando? Beh, sono stata talmente gentile da proporgli di portare anche la sua amichetta! Ancora quando uscivamo, logico. Però adesso non posso disdire l’invito, quindi mi toccherà vederli sbaciucchiarsi per tutta la sera”.
Ora capivo, perfettamente.
“Oh, capisco. Mi dispiace. Ascolta, ti prometto che penserò ad una soluzione e risolveremo tutto”.
Ana rispose, spiazzandomi: “Ah, ma stai tranquilla, non c’è bisogno che ti scervelli. Mi basta che tu ci sia quella sera. Ci sarai, vero? Ti pregoooooooooooooo!”.
Ecco. La soluzione era arrivata senza pensarci troppo: mi sarei scusata con Harry, gli avrei spiegato tutta la storia e gli avrei detto che non sarei potuta andare da lui, sperando che non se la prendesse troppo. Non ero ancora pronta per conoscere i suoi amici e parenti, avevo troppa paura di non piacergli. E poi mi dispiaceva troppo lasciare Ana da sola in questa situazione: insomma, lei era stata la prima ad accogliermi quando non conoscevo ancora nessuno, appena arrivata a Londra. Non potevo abbandonarla così.
“Certo, che ci sarò, Ana. Conta su di me”, risposi infine.
“Grazie Gioia, grazie! Sei un tesoro! Ora ti lascio dormire; domani ne parliamo meglio. Grazie ancora per avermi ascoltata!”.
La salutai anch’io, poi completamente esausta, tornai a letto e mi addormentai subito, fino al mattino dopo.

Appena arrivai a scuola, fui rapita dalla mia amica, che mi trascinò in un angolo del cortile. Da lì, potevamo vedere Alan e Jessie che si abbracciavano in un altro angolo del giardino. La portai via da lì, chiedendole perché continuava a farsi del male da sola. Lei rispose semplicemente che voleva che vedessi anche io la scena.
“Cioè, capisci? Non fa nemmeno finta di nascondersi!”.
Non sapevo cosa risponderle, il comportamento di Alan era davvero infantile. Vedendomi in difficoltà, decise di cambiare discorso: “Ehi, ma tu? Non mi hai più detto niente del tuo cantante …”, disse sorridendo.
Le sorrisi anch’io, poi le raccontai tutto nei particolari, fino ad arrivare alla mia scoperta della sera prima, quelle foto e tutti gli insulti. Era a dir poco scandalizzata.
Cominciò a protestare in mia difesa: “Ma com’è possibile? Cosa credevano? Che il loro idolo non potesse conoscere qualcuna che gli piacesse? Che bambine!”.
In effetti, era proprio così: erano delle bambine, alla fine; la loro età media doveva sfiorare i quindici anni proprio per un pelo. Ma, in fondo, pensandoci lucidamente, potevo anche capirle. Erano affezionate ad Harry forse quanto lo ero io, erano gelose e, probabilmente, temevano che io lo facessi soffrire. Provai a spiegarlo ad Ana, ma lei rispose, pronta: “Sì, ma pensaci: magari vi metterete insieme”, (a queste parole il mio cuore cominciò a galoppare e io a fare gli scongiuri, non volevo sperarci troppo, per poi magari starci male), “e quando succederà, cosa faranno? Dovranno accettarlo e basta! Scusa, lui non è mica l’unico con una ragazza, se non sbaglio …”.
No, le risposi, anche Liam, Louis e Zayn avevano la ragazza, e da parecchio tempo, oltretutto.
“E di loro non dicono niente, mi pare. Perché dovrebbero prendersela con te? Beh, lascia stare, io non ne so niente. Secondo me devi parlarne con Harry direttamente”.
La guardai e mi misi a ridere: aveva una faccia talmente concentrata e agguerrita che non riuscii a fare altro; poi, risposi: “Sì, ci avevo già pensato, ma lo farò quando torna. Non voglio mettergli ansie strane mentre è in tour”.
Dopodiché ci accorgemmo di essere rimaste sole nel cortile, quindi entrammo di fretta in classe per seguire le lezioni e la mattinata trascorse tranquilla.

Nel pomeriggio, mi recai al pub, come ogni giorno. Jake era stranamente irritabile, non capivo cosa avesse, ma non trovai nemmeno il coraggio per chiederglielo, temevo mi rispondesse male, così continuai il mio lavoro tranquillamente e senza interruzioni. Improvvisamente, Jake mi prese per un braccio e mi trascinò nel retro; mi stava spaventando, ma non appena arrivammo, mi tranquillizzò: “Ehi, scusa, non ce l’ho con te, anzi. Ho bisogno di un consiglio”. Oddio, era la giornata del “chiedi aiuto a Gioia”. Ma io non riuscivo nemmeno ad aiutare me stessa, come facevo a dare consigli utili agli altri? Decisi comunque di ascoltarlo.
“Allora, forse ti farà ridere, ma per me è importante: Katie domani torna dall’America”.
Katie era la ragazza di Jake, e si trovava negli Stati Uniti da qualche mese per uno stage e sapevo che doveva tornare a breve, ma non così presto, perciò chiesi chiarimenti a Jake: “Ma come domani? Non doveva tornare per Natale?”.
Lui mi guardò con comprensione, come se avessi centrato il punto. E, infatti: “Appunto! È troppo presto! Io volevo prepararle una sorpresa di bentornato, ma non ce la farò mai entro domani! È per questo che ho bisogno di te …”.
Beh, non era niente di insormontabile; chiesi: “Ok, ti aiuterò, tranquillo. Hai già qualche idea?”.
Lui sorrise, contento, e annuì: “Sì, certo. Avevo intenzione di organizzare una festa a sorpresa qui al locale, con tutti i suoi amici …”.
Ero spiazzata dalla sua poca flessibilità: non c’era niente di difficile in tutto ciò, come poteva essere così disperato? Eppure era il proprietario di un locale, non avrebbe dovuto avere bisogno di aiuto. Mah … Comunque era il mio capo e un amico, e gli volevo bene, quindi gli avrei dato una mano.
“Ok, Jake, allora dimmi cosa c’è da fare, così ci dividiamo i compiti!”.
“Oh, grazie, grazie mille, Gioia, sei un tesoro!”, disse euforico, e mi abbracciò, poi si ricompose e cominciò a pensare ad alta voce: “Beh, allora, bisogna chiamare gli amici e vedere se sono liberi, poi fare una lista delle cose da mangiare e bere e pensare a cosa cucinare. Dovrebbe essere tutto!”, concluse soddisfatto.
Proposi: “Allora se ti va bene, io ti aiuto a fare la lista e vado a fare la spesa, tu chiami gli amici e poi possiamo cucinare insieme, così abbiamo la stessa quantità di cose da fare”, finii, facendogli l’occhiolino. “
Sei una dannatamente perfetta organizzatrice, Gioia!”, si complimentò.
Sì, peccato che non sappia organizzarmi la vita, pensai sarcastica.
Gli sorrisi, poi lui continuò: “Bene, ora torniamo al lavoro, poi se non ti dispiace, ci fermiamo dopo la chiusura cinque minuti per fare la lista, poi comincio a fare le chiamate e domani facciamo il resto”.
Accettai, felice di avere qualcosa che mi occupasse il tempo e mi impedisse così di pensare a Harry e alle critiche che avevo visto in Internet. Inaspettatamente e sfortunatamente, Jake aggiunse: “Sempre se non ti devi vedere con … Harry?”.
L’aveva fatto sul serio.
“No, Jake, non ci vedremo per un po’, è in tour …”, spiegai, affranta.
“Oh, non volevo farti intristire, scusami! Dai, ti offro un dolce, così ti tiri su un po’, ok?”, disse sorridendomi, poi mi prese sottobraccio e tornammo al bancone.
Il pomeriggio trascorse veloce, e venne l’ora di chiudere. Dopo aver pulito velocemente il locale, ci sedemmo al bancone con una Coca-Cola ed una birra davanti a me e lui. Stilammo una lista di tutto quello che sarebbe potuto servire l’indomani, quindi ci ritrovammo a proporre direttamente dei piatti o degli stuzzichini. Infine, Jake decise che il giorno dopo il locale sarebbe rimasto chiuso proprio per poter organizzare la festa per Katie, così non appena avessimo avuto cibo e partecipanti avremmo potuto preparare tutto. Finalmente potei tornare a casa e, anche se riluttante, accesi il computer: e feci bene. Di critiche nuove nemmeno l’ombra, in compenso avevo un messaggio. Quando scoprii di chi era, sorrisi rilassata. Sì, questa era la sensazione che mi faceva provare: tranquillità, relax, sicurezza. In una parola, Harry. Lessi il messaggio:

 

"Ciao piccola! :) Come va lì senza di me? =P Noi siamo appena arrivati a Doncaster, la città di Lou, dopodomani invece partiamo per Holmes Chapel, casa mia! :) Sono felice di tornarci. Per il momento va tutto bene, ci stiamo divertendo, ma io sento che manca qualcosa, o meglio, qualcuno, una certa italiana un po’ antipatica … ;) Gli altri mica sentono la stessa cosa, devo avere qualche problema! =P Ora vado, ci vediamo presto, te lo prometto! Bacini <3 "

Mi stava pensando, e questo mi rallegrò non poco: stavo sorridendo come un’ebete al computer, non era normale. E invece sì, che era normale, cavolo! Il messaggio mica si era scritto da solo, c’era una persona dall’altra parte dello schermo, e non una persona qualunque!
Dopo numerose esitazioni, decisi di rispondergli:

 

"Ciao, inglese antipatico! :) Come va qui senza di te? Mmmh, beh non male, dai! Ahahah, scherzo, non arrabbiarti! Diciamo che senza di te la vita è più noiosa, ma tanto so che non farò in tempo ad abituarmici che sarai già qui di nuovo a rompermi le scatole … E, sì, decisamente hai qualche problema, a differenza di tutti gli altri: mi manchi. Questo, credimi, è un GRANDE problema. ;) Beh, spero che torni presto a rompermi le scatole di nuovo, allievo! Ora vado a dormire, domani dovrò essere in forze per organizzare una festa. A presto! Bacini anche a te <3 "

Il messaggio che avevo scritto non mi piaceva per niente, ma decisi di inviarlo lo stesso: non avrei saputo fare di meglio, quella sera, e comunque volevo che sapesse che anch’io lo stavo pensando e mi mancava. Spensi il computer, poi mangiai, mi feci una doccia e andai a dormire, sperando che l’indomani la festa riuscisse bene e che il tempo che mancava per rivedere Harry passasse presto.

Il giorno dopo decisi di non andare a scuola: temevo di non riuscire a fare tutto, così avvisai Jake e ci mettemmo d’accordo sull’orario in cui trovarci per preparare i piatti per la festa. Lui mi fece sapere che Katie sarebbe arrivata verso le cinque del pomeriggio, quindi gli risposi che non appena ci fossimo visti, avremmo organizzato anche tutti i tempi. Dopodiché uscii di casa e mi recai al supermercato più vicino a fare la spesa. Dopo aver ricontrollato varie volte la lista, andai alla cassa, pagai e avvisai il mio capo che stavo andando a casa sua, lui mi spiegò come arrivarci ed in poco tempo fui lì. Il suo appartamento era grande e moderno, e la cucina pure. Ci mettemmo subito al lavoro e i cibi che ne uscirono erano tutti bellissimi e profumati. Assaggiammo qualcosa, tanto per essere sicuri e non rischiare di avvelenare gli invitati, e ci facemmo i complimenti a vicenda per la nostra bravura. Il tempo passava veloce con Jake, cosicché io non avevo occasione di essere triste o nostalgica. All’ora di pranzo mangiammo, poi ci recammo al locale per preparare i festoni ed addobbarlo un po’ per l’occasione. Infine, tornammo entrambi a casa a prepararci, ma mentre lui partì per l’aeroporto, io tornai al pub per accogliere gli amici che sarebbero arrivati da un momento all’altro. Jake sarebbe arrivato più tardi con Katie e poi sarebbe cominciata la festa, ma per il momento ero sola, così mi ritrovai mio malgrado a pensare a Harry, e al suo messaggio del giorno prima. Stavo per entrare in Internet con il cellulare quando arrivarono i primi invitati: Emily e Dan, che furono seguiti a ruota da Jimmy, Robbie, Lucy e tutti gli altri. Ad ogni persona che entrava al pub, mi presentavo e spiegavo il programma finchè non fossero arrivati Jake e Katie. Le otto, ora prevista per l’arrivo dei due, arrivarono velocemente, così chiesi un attimo di silenzio, poi parlai: “Ok, ragazzi, Jake e Katie saranno qui a momenti, quindi voi ora nascondetevi, poi io spegnerò le luci e li aspetteremo; poi, beh, fate quello che volete!”.
Seguii le mie stesse istruzioni e, poco dopo, la coppia arrivò. Jake entrò dicendo: “Dai, tesoro, solo un attimo, devo averlo lasciato qui … Andiamo subito a cena”, e Katie rispose, sbuffando leggermente: “Sì, d’accordo, dai però, che ho fame!”.
Pensai che fosse il momento: accesi le luci, e gli amici uscirono fuori da tutti gli angoli, urlando: “Sorpresa!!! Bentornata Katie!”.
Katie si nascose il viso tra le mani e scoppiò a ridere, poi disse, sorpresa: “Oddio, ma cosa ci fate tutti qui? Che bello!”.
Jake le si avvicinò e le disse: “Bentornata amore!”, poi scoppiò un applauso e la festa ebbe inizio. La sorpresa era riuscita, ne ero felice. Dopo che Katie ebbe salutato e ringraziato tutti i suoi amici, Jake la portò da me per presentarmela. Mi sentii sotterrare: da lontano non ero riuscita a vederla bene, ma Katie era davvero stupenda. Alta, magra, un fisico spettacolare, capelli biondi e lisci, lunghi fino al sedere, due occhi azzurri grandi come una noce ed un viso angelico. Io in confronto sembravo appena uscita da … Boh, non saprei neanche dire da dove. Mi sentivo intimorita dalla sua presenza, ma non appena lei parlò, quella sensazione svanì: “Ehi ciao! Tu devi essere Gioia, la ragazza italiana, Jake mi ha parlato molto di te! Ora capisco il perché”; Jake sembrò arrossire, io non capii il perché, poi chiesi a Katie: “Ah sì? Beh, spero solo cose belle, allora!”, sorrisi.
Lei rispose: “Oh sì, non ti preoccupare. Dice che lo aiuti molto, anche oggi con questa festa, mi ha detto che se non ci fossi stata tu non sarebbe riuscito a fare niente”; io protestai: “Ma non è vero, Jake aveva già tutte le idee, gli serviva solo una mano concreta, diciamo”.
Continuammo a parlare per un po’, e scoprii che Katie, oltre che bellissima, era anche simpatica, dolce e gentile. Praticamente perfetta. Lei e Jake formavano una bella coppia. La festa proseguì nel migliore dei modi, ma a mezzanotte cominciai a sentirmi estremamente stanca, così salutai Jake, Katie e tutti gli altri e me ne andai a casa.


Curly space:
Allloraaaaaaaaa! Oggi NON è mercoledì, ma martedì sera, ERGO...  Sono in anticipo di qualche ora! yeah! =P
In questo capitolo Harry non è molto presente, ma vi assicuro che nella testa della protagonista non c'è altro... Io lo so bene! ;) 
Cosa succederà nel prossimo capitolo?! Vi anticipo solo che sarà intitolato "... Spread it all around the world now", e che ha a che fare con quella certa foto di Gioia e Harry... Vedrete, vedrete!
Grazie a quelle poche fedeli che mi stanno seguendo, mi fate moooooooolto felice!! <3
bacioni,
Curly crush

 

 

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Capitolo 6
*** ... Spread it all around the world, now ***


... Spread it all around the world, now
 


I giorni seguenti furono lunghi e noiosi, come c’era da aspettarsi; non successe nulla di eclatante, nulla che potesse impegnarmi il tempo e la mente.
Spesso Jake mi riprendeva, al lavoro ero distratta, lenta, non riuscivo ad essere attiva come il solito e a scuola andava anche peggio, Ana non sapeva più cosa fare per vedermi di nuovo felice e piena di vita com’ero solitamente, i professori ormai mi ignoravano, in classe era come se non ci fossi, anche se tentavo ugualmente di intervenire nelle lezioni.
Quei dieci giorni sembrarono durare un’eternità.

Verso fine settimana tentai di recuperare qualcosa, decisi che il mio comportamento non aveva assolutamente senso, perciò mi rimboccai le maniche e tornai ad essere quella di prima, almeno durante il giorno; la sera, invece, a casa, mi chiudevo in me, ascoltavo musica e pensavo.
Una di quelle sere, però, ebbi una sorpresa.
Decisi di guardare un po’ di televisione: non sapevo cosa, di preciso, perciò feci un po’ di zapping. Improvvisamente, in uno dei miei salti da un canale all’altro, li vidi: erano seduti su un divanetto tipico da talk show, estremamente belli tutti e cinque, vestiti quasi eleganti.
Niall, Liam, Zayn, Louis e Harry.
Decisi –ovviamente- di fermarmi su quel programma.
L’intervistatore, a me sconosciuto, stava chiedendo ai ragazzi come era andato il loro piccolo tour anglo-irlandese, evidentemente erano arrivati all’ultima tappa. Presto sarebbero tornati a casa, il mio cuore scoppiò dalla felicità. Il conduttore, dopo aver ascoltato la risposta, introdusse un nuovo argomento, rivolgendosi direttamente a Harry:

X: “Bene, ora cambiamo settore. Harry, voglio mostrarti una cosa, poi aspetto, anzi aspettiamo, tutto il mondo lo aspetta, credo, un tuo commento”

Sullo schermo presente nello studio comparve una foto. La stessa foto che mi aveva sconvolta la prima volta che l’avevo vista. Di nuovo, io e Harry, fuori dalla mia scuola.
I ragazzi esclamarono: “Ooooh ooooh!” ed applaudirono divertiti.
Io restai immobile, con il fiato sospeso.
Harry reagì nel mio stesso modo: la sua espressione era sorpresa, ma dopo poco, si trasformò in un sorriso dolcissimo.
Mi rilassai anche io, e ripresi a respirare.
Il presentatore notò la reazione di Harry, quindi riprese il discorso:

X: “Mmmmmh, vedo uno strano e promettente sorrisino sulla faccia di Harry, signori! Che vorrà dire? Harry, vuoi renderci partecipi di tutto questo?”

Harry lo guardò, riflettendo, poi finalmente parlò:

H: “D’accordo, Bob, cosa vuoi sapere?”

B: “Beh, innanzitutto, chi è questa ragazza? Che cosa rappresenta per te?”

Mi misi attentamente in ascolto.

H: “E’ una ragazza italiana che ho incontrato, o meglio, scontrato –si mise a ridere- a Londra. È … non so bene come descriverla, ma mi fa stare bene.”

B: “Ma c’è del tenero, allora?”

H: “Non voglio dire niente, sono superstizioso. Posso solo dire che in questo momento sono felice. Molto felice.”

B: “Ci diresti, per favore, come si chiama?”

H: “No, per il momento no. Anzi, volevo cogliere l’occasione per chiedere un favore alle fan: posso?”

Bob annuì.

H: “Grazie, Bob. Volevo soltanto chiedere una cosa: che, per piacere, quando saprete il nome, l’identità di questa ragazza, le portiate rispetto, come fate con Eleanor, Perrie e Danielle. Non voglio vedere insulti, come è già successo, perché per me lei è importante, e non voglio che stia male per cose non vere. Ecco, solo questo. Voi siete nostre fan, io ed i ragazzi vi adoriamo, ma volevo chiarire questa cosa.”

Era ufficiale. Lo amavo. Non avrei mai potuto ringraziarlo abbastanza. Mi venne quasi da piangere, ma trattenni le lacrime. Poi ascoltai la fine dell’intervista.

B: “Bene, care Directioners, avete ascoltato attentamente? Uno dei vostri idoli vi ha chiesto una cosa ben precisa: cercate di accontentarlo! Ora torniamo al tour e all’album …”.

Non tornarono più sul discorso “Harry e la misteriosa italiana”, così l’intervista proseguì tranquilla, senza colpi di scena, eccetto per il balletto finale che Bob chiese di fare ai ragazzi. Non appena cominciarono a muoversi, scoppiai a ridere, sembravano così impacciati. Aspettai la fine del programma, poi spensi la tv e pensai di mandare un messaggio a Harry; poi però cambiai idea, sarebbe tornato dopo due giorni, l’avrei ringraziato di persona.
Al solo pensiero, il cuore cominciò a battermi forte nel petto e per una buona ora e mezza non riuscii ad addormentarmi, ma non ci detti troppo peso.
Ero felice grazie a Harry.
Harry era felice grazie a me.
Solo questo importava.



Curly space:
Yeah, sono tornataaaaaa!! :D Avete avuto paura che non pubblicassi, vero?! ;) E invesse!
Beh, che dire? Harry sembrerebbe COTTO, ma non si sbilancia più di tanto... Se volete scoprire le sue vere emozioni, beh... Leggete il prossimo capitolo! Ne vederete delle belle. :D
So che questo è cortino, ma non potevo fare altrimenti... =P
Ciao ciao, bacioni
Curly crush

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Capitolo 7
*** Are we friends or are we more? ***


Are we friends or are we more?
 


Il giorno dopo, mi svegliai come al solito poco più tardi delle sette e mezza, mi feci una doccia e cominciai a vestirmi; avrei fatto colazione dopo.
Avevo i capelli raccolti e le pantofole ai piedi, e non ero ancora truccata, perciò quando il campanello suonò, mi prese alla sprovvista.
Alzai il citofono per sapere chi fosse: mi rispose Joe, il portiere: “Buongiorno signorina. Mi scusi per il disturbo, ma qui c’è un signore che dice di conoscerla e di volerla vedere”.
Il mio cuore fece un salto, ma non volevo illudermi, non era detto che fosse proprio Harry.
Avvisai Joe che stavo arrivando; presi le chiavi, chiusi la porta dietro di me e uscii così com’ero.
Scesi le scale di corsa e, proprio sugli ultimi due gradini, inciampai, ma riuscii a non piantare il naso sul pavimento di marmo dell’entrata.
Dal fondo delle scale non riuscivo a vedere ancora nessuno, così avanzai lentamente e trovai Harry lì, piegato in due dalle risate.
Io non avevo visto lui, ma lui evidentemente era riuscito a vedere me.
Fantastico.
Dieci giorni che non ci vedevamo e la prima immagine che gli regalavo era quella di me ancora mezza addormentata, struccata, in pantofole, che mi inciampavo sui miei stessi piedi. L’ottava meraviglia del mondo, insomma.
Quando si accorse che ero davanti a lui, si ricompose, mi guardò fisso negli occhi e disse semplicemente: “Ehi”.
Era assolutamente perfetto: sembrava che si fosse appena svegliato, aveva i capelli leggermente spettinati, e portava una giacca di feltro beige; sotto si intravedeva una camicia a quadri, sopra i jeans blu stretti.
Non riuscii a trattenermi: attraversai quei pochi metri che ci separavano di corsa, e gli saltai addosso, abbracciandolo.
“Sei tornato in anticipo”, sussurrai, più felice che mai.
Harry mi strinse forte, e mi sollevò da terra. Dopo pochi istanti mi riappoggiò a terra, ma restammo stretti ancora per qualche minuto, in silenzio.
Quanto mi era mancato.
Inspirai forte il suo profumo, riempiendomene il naso, e lo strinsi a me più forte che potevo.
A un certo punto, mi strofinò la schiena, così ci staccammo.
Tenne le mie mani nelle sue, poi disse: “Cosa devi fare stamattina?”; gli risposi semplicemente: “Dovrei andare a scuola”.
Lui sorrise, poi propose, serio: “Ti seccherebbe saltarla per un giorno? Ho la mattinata libera, è un sacco che non ci vediamo, così volevo stare un po’ con te …”. Poi aggiunse, sorridendo: “Se non ti dispiace”.
Non potevo crederci. Con lui era una continua sorpresa.
“Ma certo che mi va, Harry. Non ho mica passato dieci giorni, o più, noiosissimi per niente!”, risposi sorridendo raggiante.
Fosse per me, saremmo potuti partire subito, ma Harry mi fece notare qualcosa di importante.
“Tu pensi di uscire così?”, chiese, con una percettibile punta d’ironia.
Mi guardai. No, decisamente no.
“Non sia mai, signor Styles! Non mi permetterei mai di farla vergognare di me in pubblico!”, risposi ridendo, leggermente imbarazzata.
“E allora vai a vestirti, pagliaccia!”, insistette.
“Beh, vieni come me, che fai, aspetti qui da solo?”.
Lui rispose sottovoce: “Non sono mica da solo, c’è il portiere qui”.
Joe ci stava squadrando da quando ero scesa, così decisi di tranquillizzarlo: “Ehi, Joe, grazie. Tranquillo, è tutto a posto, è un mio amico”.
Amico?! L’avevo detto sul serio?
Beh, ormai era fatta. Harry mi guardò male, mentre Joe sembrò rilassato.
Mi avviai verso le scale, e Harry mi seguì.
Non appena fummo fuori dalla zona di udito di Joe, lui protestò: “Non credo di stargli molto simpatico. È sempre così diffidente con i tuoi amici?”. Calcò l’ultima parola in modo particolare, con un tono sprezzante. Mi venne da sorridere, ma Harry non mi vide, poiché ero davanti a lui sugli scalini.
Gli risposi, ironicamente: “No, di solito è molto socievole. Si vede che tu forse non sei un tipo che gli ispira fiducia …”.
Eravamo arrivati davanti alla porta di casa mia, così lui colse la fermata come l’occasione per sollevarmi e caricarmi in spalla, come un sacco di patate, poi esclamò: “Sì, effettivamente Joe fa bene, è meglio non fidarsi di me! Sgancia le chiavi, tesoro”.
In qualche modo riuscii a tirarle fuori dalla tasca dei jeans e a passargliele. Harry aprì la porta, poi entrò sempre tenendomi sollevata. Io continuavo a protestare, ad ordinargli di farmi scendere, ma non riuscivo a respirare dal ridere, quindi i miei ordini sembravano delle battute ridicole.
Harry richiuse la porta dietro di noi, poi, come se conoscesse già casa mia, si diresse verso la mia camera. Non appena vi arrivò, mi scaricò sul letto, ma non ebbe abbastanza equilibrio, quindi mi cadde sopra, bloccandosi a due centimetri dal mio naso e tenendomi imprigionata tra le sue mani, sprofondate nel letto vicino alla mia testa.
Cadde il silenzio.
Harry mi guardava negli occhi, serio.
Io mi sentivo come ipnotizzata, non riuscivo a distogliere lo sguardo.
Il suo profumo mi riempì di nuovo il naso, mi avvolse, proprio come stava facendo lui.
Improvvisamente, Harry chinò la testa, e cominciò a sfiorare il mio collo con la sua bocca, andando su e giù e provocandomi un leggero solletico.
Mi venne da ridere, ma uscì solo una risatina isterica.
Avevo il cuore a mille, anzi a duemila, le farfalle nello stomaco erano diventate giganti e non mi sentivo più le gambe.
Harry alzò la testa e mi guardò sorpreso: immaginai che avesse sentito la mia risatina.
Poi lui mi chiese: “Tutto bene?”
Risposi, incerta: “Mmmh, sì, perché?”.
Mi guardò serio, poi si spostò e si sedette sul letto di fianco a me, così lo imitai. Poi si sporse verso di me, dicendo: “Scusami, posso?”, e appoggiò il suo orecchio al mio petto.
Il respiro mi si era bloccato, ero in apnea.
Harry stava ascoltando il mio cuore. Questo, invece di calmarmi, non fece altro che aumentare la mia agitazione.
Dopo qualche istante che mi parve eterno, Harry si rimise dritto e mi guardò, sorridendo. Poi mi avvertì: “Guarda che se continui così ti viene un infarto. Lo sentivo anche senza appoggiarmi a te. E poi, scusa, non sono un amico? Non dovrei mica farti questo effetto”.
Se l’era presa davvero per quella descrizione affrettata che avevo dato a Joe, non ci credevo.
Tentai di rimediare: “Ma Harry, dai, sai che non è così. O è così? Non lo so, in effetti, che cosa siamo?”.
Per tutta risposta, mi prese la testa e la appoggiò al suo petto, così che potessi sentire anch’io il suo cuore.
Mi tenne vicina a lui con la sua mano grande, io chiusi gli occhi, mi rilassai e mi misi in ascolto.
Sentivo il battito del suo cuore sotto la pelle e le ossa.
Era forte.
Era veloce. Forse veloce quanto il mio.
Sorrisi.
Sarei rimasta lì in eterno.
Memorizzai il suono del suo cuore che batteva. Per me.


Curly space:
Awwwwww quanto miele....! ;) No, davvero, sono quasi schifata da tutta questa dolcezza. (Non è vero). :D
Allora, è mercoledì, sono tornata! Che ne pensate di questa "amicizia".....
Ta da da daaaaaaa! Chissà chissà cosa succederà..... Lo scopriremo solo vivendo! *balla da sola davanti al computer*
Vabbè dai, ora vado, sennò la situazione qui degenera già più di come sta andando adesso... Ma come cavolo parlo?!
Boh, vabbè, ciao! Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomandooooooo!
Bacioni,
Curly crush <3

 

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Capitolo 8
*** We're so London, we're together, we're so good ***


We're so London, we're together, we're so good



“Ehi piccola, ci prepariamo? Così usciamo anche a fare colazione, ti va?”.
Dopo che Harry ebbe parlato, mi ricordai che non avevo ancora mangiato, e la mia pancia brontolò, così mi alzai, mi truccai leggermente e mi infilai gli stivaletti. Poi mi misi la giacca e la sciarpa e mi voltai per cercare il cappello e scoppiai a ridere: se l’era messo Harry.
Era adorabile.
Gli scattai una foto con il cellulare, poi lui mi si avvicinò, togliendosi il cappello e me lo sistemò in testa, con un gesto dolcissimo.
Uscimmo di casa e, non appena chiusi a chiave, mi prese per mano e scendemmo le scale. Uscimmo dal palazzo sotto lo sguardo sospettoso di Joe, e andammo a fare colazione.
Quel giorno Harry aveva la giornata fotografica: scattava foto a qualsiasi cosa, ma soprattutto a me, ovunque fossimo: Starbucks, Hyde Park, strade, stradine, negozi. Ovunque.
Finché non mi stancai e gli dissi: “Allora, o le foto le facciamo assieme o niente!”.
Lui si mise a ridere, ma mi diede ragione, così scattammo molte foto, tutte bellissime.
Fu la mattinata più incredibile della mia vita: Harry mi portò in posti che non avevo mai visto, girammo praticamente tutta Londra; alla fine avevo i piedi che mi facevano male, ma era una piccolezza in confronto alla felicità che Harry mi procurava.

Infine arrivammo al London Eye.
Era una bella giornata, c’era il sole alto, era quasi mezzogiorno.
Harry mi propose di salire sulla ruota panoramica ed io accettai.
Non ero mai stata su una ruota panoramica, ed ora stavo per salire su quella più famosa al mondo con il ragazzo più spettacolare del mondo.
Harry mi lasciò un attimo per andare a comprare i biglietti, e lo vidi confabulare con l’addetto alla ruota. Poi tornò da me sorridente e ci avvicinammo al London Eye per salire; entrammo in una delle “capsule” e ci sedemmo vicini, ma non troppo. Non appena la ruota si mosse, sentii un leggero malessere dentro di me, una leggera paura, così sussultai e Harry mi guardò, sorpreso.
“Che c’è? Non mi dirai mica che hai paura?”.
Senza aspettare la mia risposta, si avvicinò, eliminando quello piccolo spazio che c’era tra noi e, con un braccio mi cinse le spalle, mentre con la mano libera mi prese la mia. Mi sentii subito meglio.
La ruota continuò a muoversi, e più si muoveva, più cose vedevo: era bellissimo, scoprire Londra così, poco alla volta, andando verso l’alto.
Senza che me accorgessi, eravamo arrivati in cima, esattamente nel punto più alto, esattamente al centro. La ruota si bloccò. Guardai Harry, mi strinsi a lui, leggermente spaventata.
Lui mi tranquillizzò: “Va tutto bene, stai calma. Ho chiesto io all’addetto di fermarla qui in cima”, spiegò sorridendo dolcemente.
In un improvviso impeto di agitazione, gli chiesi: “Ma sei pazzo? Perché gli hai chiesto una cosa del genere?”. Poi mi resi conto di sembrare un’isterica, così mi addolcii un po’ e tentai di rimediare: “Scusa, Harry, non volevo. Credo di soffrire di vertigini …”.
Lui rispose semplicemente: “Guarda fuori, invece”.
Obbedii: lo spettacolo che mi presentò sotto gli occhi era stupefacente: Londra. L’intera Londra era sotto di noi, sotto i nostri piedi. Si riusciva a vedere tutto, qualsiasi cosa era riconoscibile. Ero estasiata.
Harry, vicino a me, cominciò a parlare: “Vedi, se ti ho portata qui, un motivo c’è, ed è molto preciso. Qui non ci sono cameriere che possano intromettersi, i telefoni sono staccati – sì, prima ho preso il tuo cellulare e l’ho spento, chiedo perdono”, si difese, dopo che io mi fui girata di scatto verso di lui, guardandolo stupita.
Non avevo idea di quando avesse fatto quella cosa, non avevo notato niente di strano.
Prima di continuare a parlare, mi chiese: “Potresti continuare a guardare fuori? Riesco a spiegarmi meglio se sono io a guardarti, senza i tuoi occhi puntati addosso …”.
Sorrise timidamente; come dirgli di no?
Mi voltai, e ripresi a contemplare il panorama.
La sua voce riprese ad uscire: “… E tu sembri tranquilla”.
In realtà non ero tranquilla per niente, il mio cuore rischiava seriamente l’infarto.
“Quindi posso dirti tutto, finalmente”.
Tutto cosa? Fece una pausa, poi ricominciò.
“La prima volta che ci siamo incontrati, avevo una brutta giornata, e penso che tu l’abbia notato”.
Io sorrisi al ricordo, pensando anche quanto le cose fossero cambiate da quel giorno.
“Ma, anche se ero arrabbiato, non vuol dire che io non sia stato colpito da qualcosa. O meglio, qualcuno. Tu, in sostanza”.
Il mio cuore accelerò ancora.
“Ma ormai quel giorno mi ero giocato le mie possibilità di rimediare, quindi tornai a casa. Sono tornato in quella piazza praticamente ogni giorno, ma non ti ho più rivista. Poi, un giorno, ti vedo uscire da un negozio e decido di seguirti; ti cade il blocchetto, così io lo raccolgo e prendo subito l’occasione di avvicinarmi a te e dirti qualcosa. Quella volta, sei stata tu a deludermi, magari senza volerlo, ma ero ancora vulnerabile dai giorni precedenti. Me ne sono andato, arrabbiato e deluso, e mi sono ripromesso di non venire più a cercarti. Ma non ne sono stato capace”.
Si fermò nuovamente. Questa volta però non riuscii a guardare oltre, e mi girai verso di lui.
Le nostre mani erano ancora intrecciate, e, per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare, mi resi conto che la sua stava tremando, ed era sudata.
Gli sorrisi teneramente.
Quella situazione mi sembrava altamente surreale, avrebbe potuto essere un bellissimo sogno. Ma era realtà.
Non riuscii a distogliere nuovamente lo sguardo, ma nemmeno lui sembrava intenzionato a farlo.
Riprese a parlare: “Poi, le cose sono migliorate, ed eccoci qui. Stamattina mi hai chiesto che cosa siamo io e te. Per il momento, posso dirti cosa sei tu per me”.
Aspettai, in silenzio, in ansia.
“Mi hai colpito. La prima volta per il tuo aspetto e il tuo carattere forte – e anche un po’ orgoglioso. Insomma, chi altro, dopo essere andato addosso ad una persona famosa ed averla riconosciuta, si sarebbe messo ad accusarla e a protestare, invece di chiedere un autografo?”.
Ridemmo leggermente.
“E poi, un po’ alla volta, ho imparato a conoscerti e ad apprezzarti, sempre di più. Tu non immagini nemmeno cosa succede dentro di me al solo pensiero di vederti, di stare con te, di toccarti. Non avevo mai provato queste cose con una forza simile. Tu sei … Diversa. Sei bella, ma … Non so come spiegarlo, sei bella tutta, fuori, dentro, perfino la tua mente deve essere fantastica. Sei unica”.
Non sapevo cosa dire, o cosa fare.
L’istinto mi diceva di baciarlo, di farlo, ora che ne avevamo la possibilità.
La ruota era ancora ferma. Da quanto eravamo lì? Non m’importava.
Harry mi fissava. I nostri occhi erano incatenati, intrecciati tra loro in una sorta di combinazione caleidoscopica. Il filo invisibile che ci univa era sempre più forte e spesso.
Harry mi si avvicinò ancora di più. I nostri nasi ormai si toccavano. I nostri sguardi si spostavano dalla bocca, al naso, fino ad intrecciarsi di nuovo. E poi successe.
Harry chiuse gli occhi, io lo imitai.
Le nostre labbra si incontrarono per un breve, timido istante, poi si persero di nuovo, per poi ritrovarsi più sicura, più determinate.
Ci baciammo.
Fu un bacio estremamente dolce, a lungo desiderato e finalmente ottenuto. Le nostre labbra si incastravano alla perfezione, come se fossero fatte le une per le altre. Come se io e Harry fossimo fatti per stare insieme.
Dopo molti piccoli baci, ci staccammo e continuammo a guardarci.
Come se il tempo fosse stato calcolato, la ruota ricominciò a muoversi; io e Harry ne fummo presi alla sprovvista, così sussultammo e, dopodiché, scoppiammo a ridere. Harry mi cinse le spalle con un braccio e io mi accoccolai a lui. Rimanemmo così finché la ruota terminò il giro, poi scendemmo, tenendoci per mano. Harry ringraziò l’addetto e, solo in quel momento, mi accorsi che sulla ruota non c’era nessun altro.
C’eravamo solo io e lui. Non ci credevo. Harry aveva fatto funzionare il London Eye solo per me, anzi, solo per noi.
Gli saltai al collo e lo baciai, sorridendo come una stupida. Harry mi strinse a lui, e ricambiò il bacio. Poi ci guardammo e gli sussurrai: “Grazie”.
Lui sorrise, poi mi prese per mano, intrecciando le sue dita con le mie, e ci incamminammo verso un’altra sorpresa.




Curly space:
*si guarda attorno circospetta*
Ok, siamo in onda? Ok. Un momento, butto via il fazzoletto e arrivo...
Ecoomi quiiiiiiii!!
Oddio, sono troppo troppo troppissimo FELICE!! :D E, sì, mi sto commuovendo da sola! Vi prego, ditemi che c'è qualcuno che piange insieme a me... ;)
Ok, basta, ora la smetto. :)
Beh, non so che altro dire, sono troppo felice *si fa i complimenti da sola per questo capitolo*
Spero che vi piaccia e che, magari, lasciate un commentino dolce dolce...
P.s: a MASSIVE THANK YOU a tutte quelle che hanno letto, recensito o inserito la storia in qualche categoria... Ma anche a quelle che leggono e non dicono niente, mi fa comunque piacere vedere che questa storia è "seguita", diciamo. Siete favoloseeeeeee! <3
Un abbraccione,
Curly Crush <3



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Capitolo 9
*** I build you up, I'll never stop ***


I build you up, I'll never stop
 


Dopo poco più di un quarto d’ora di cammino, arrivammo davanti ad un palazzo enorme, molto alto: era un hotel a cinque stelle. Non riuscivo a capire a cosa Harry avesse per la testa, ma decisi di fidarmi. Non appena entrammo, Harry si diresse verso la reception, lasciandomi poco più indietro.
Mentre lo aspettavo, mi tolsi la giacca e la sciarpa e mi guardai attorno: la hall dell’albergo era immensa, al soffitto erano appesi vari lampadari di cristallo che illuminavano la sala, il pavimento era di marmo liscio, di un colore tra il bianco e il beige, con striature marroni e dorate; nella parte opposta alla reception, c’era un bivio: un corridoio portava alle scale per raggiungere le camere, l’altro immaginai portasse alla sala da pranzo.
Mi girai giusto in tempo per vedere Harry che mi raggiungeva con delle chiavi in mano. Il mio cuore ebbe un tuffo e i miei pensieri andarono subito al peggio: non ero pronta, ed era ancora troppo presto per un passo del genere!
Quasi mi avesse letto nel pensiero, Harry mi disse: “Non è quello che pensi. Sono un gentiluomo, io, che credi?”.
Allora mi rilassai e presi la mano che lui mi stava tendendo; andammo verso l’ascensore, su un lato della hall, e vi entrammo.
Harry digitò il piano di arrivo –quinto- e le porte si chiusero.
Calò un silenzio imbarazzante.
Harry mi si piazzò davanti e mi spinse leggermente contro la parete dell’ascensore, poi mi intrappolò tra le sue braccia, e piantò i suoi occhi nei miei.
Stava cominciando ad irritarmi il fatto che, non appena lui facesse questa cosa, io diventassi incapace di ragionare e di guardare da un’altra parte; ma era un risentimento piacevole. Harry mi chiese, con un filo di voce: “Sei nervosa?”.
“Abbastanza”, fu la mia risposta secca.
Lui rispose, innocentemente: “Non ce n’è bisogno”.
Poi cominciò a baciarmi il collo, partendo dall’alto, appena sotto l’orecchio, e arrivando all’inizio della mia spalla.
Brividi cominciarono a percorrermi la schiena, le braccia, le gambe, tutto.
Gli cinsi la vita con le braccia e le mani tremanti, e cominciai a baciarlo anche io nell’incavo del collo, sotto il mento, poiché riuscivo ad arrivare fino a lì, stando con i piedi a terra. Lui avvolse il mio collo con le sue braccia e mi strinse a lui, mentre io continuavo a percorrere il suo collo con le mie labbra.
Poi mi allontanò leggermente, mi prese il viso tra le sue mani grandi, mi guardò alcuni istanti sorridendo, poi mi baciò sulle labbra, ma senza delicatezza, con forza, come se fosse un bisogno necessario.
E, in effetti, era così anche per me: quando mi baciava le mie terminazioni nervose non rispondevano, sembravano quasi impazzite, ma allo stesso tempo mi sentivo adeguata come non mi ero mai sentita, ero nel posto giusto con la persona giusta, e il suo bacio era la realizzazione concreta di questa sensazione.
L’ascensore si fermò improvvisamente, annunciando l’arrivo al terzo piano. Eravamo ancora abbracciati quando una coppia sulla settantina entrò nell’ascensore.
Io e Harry ci staccammo, imbarazzati; io mi schiarii leggermente la voce, mentre lui si passava una mano tra i capelli e guardava verso il soffitto.
I due anziani ci guardarono tra il divertito e l’incerto, salutarono e noi facemmo lo stesso, poi ci guardammo e ci sorridemmo complici.
L’ascensore ripartì e in poco tempo arrivammo a destinazione. I due anziani andarono verso la loro camera, mentre io seguii Harry lungo il corridoio. Mentre camminava poco più avanti di me, tese la sua mano sinistra all’indietro, verso di me, e io la presi. Quel gesto mi dava una sensazione di sicurezza assoluta. Così camminammo fino ad una porta, chiusa a chiave: Harry la aprì con quella che gli aveva dato l’impiegato alla reception, e scoprii una scala secondaria. Harry richiuse la porta dietro di noi, e salimmo.
Quando arrivammo in cima, non riuscivo a credere allo spettacolo che mi si presentò davanti: eravamo sul tetto dell’hotel, era come un terrazzo gigantesco, circondato da pareti di vetro alte due metri da cui si poteva ammirare il panorama di Londra; incredula, esclamai: “Oddio, Harry, è bellissimo!”.
Guardandomi intorno, notai che vicino ad una delle pareti c’era un tavolino rotondo con un carrello vicino. Harry mi porse un braccio e mi invitò: “Vuole accomodarsi, signorina?”.
Stetti al gioco: “Oh sì, molto volentieri. Che gentiluomo!”.
Mi accompagnò al tavolo, poi si avvicinò al carrello e tolse il telo che lo copriva: sotto c’era un’enormità di pietanze che sembravano buonissime. Harry avvicinò il carrello al tavolo, poi estrasse una bottiglia di vino dal secchiello che stava nel piano inferiore, la stappò e ne versò nei nostri bicchieri. Sembrava che lo facesse come minimo una volta al giorno, si muoveva benissimo, senza alcun impaccio, ma mi venne comunque da ridere nel vederlo in quell’atteggiamento. Dopo che ebbe versato il vino, mi passò un piatto, ne prese uno per lui, si sedette e cominciammo a mangiare; era tutto buonissimo, e mi sembrava di stare in una favola. Osservai Harry, seduto di fronte a me, che mangiava: ancora non riuscivo a credere di essere lì con lui, e che lui avesse organizzato tutto questo per me.
Non avevo idea di come ringraziarlo, non riuscivo a trovare delle parole che esprimessero al meglio ciò che avevo dentro.
Improvvisamente, mi ricordai dell’intervista che avevo visto in tv la sera prima, e decisi di partire da lì: “Ehi, Harry, ho visto la vostra intervista ieri sera …”, cominciai.
Lui mi guardò, poi chiese, sorpreso: “Ah, davvero? Non pensavo fossi ancora sveglia a quell’ora”.
Non potrei giurarci, ma mi sembrò di vederlo arrossire.
Io sorrisi, e continuai: “Già. È stata divertente e … Interessante”.
Feci una pausa, non sapevo come dirglielo.
Poi mi lanciai: “Sei stato davvero dolce, Harry. Non so davvero come ringraziarti per tutte le cose che hai detto; tu non sai come mi sentivo prima di vedere quell’intervista …”.
Lui mi interruppe: “Oh, lo so, invece. Le ho viste anche io quelle foto, che credi? E mi ha dato molto fastidio il fatto che ti giudicassero già, senza sapere cosa tu rappresentassi per me”. Cercai di sdrammatizzare, eravamo entrambi troppo seri: “Beh, ora mi giudicheranno sapendo cosa sono, allora!”.
Harry sorrise, ma non era convinto.
Tornai seria: “Harry, che c’è? Sei stato fantastico, ieri sera, oggi, sempre, da quando ti conosco. Non credevo davvero che avrei mai trovato un ragazzo così… irreale. Perché, diciamoci la verità, chi è che si comporterebbe come te, in questo mondo? Nessuno, credo. Tu sei speciale, Harry”.
Ecco.
Senza pensarci molto, le parole erano uscite; era quello il segreto: per esprimere i sentimenti, non c’è preparazione che tenga, bisogna far parlare il cuore, e mettere a tacere la testa. Tutto qui.
Harry mi guardò.
“Tu, sei speciale, Gioia. Sei incredibile, davvero. Se mi sono preoccupato di difenderti così, è perché conosco la sensazione per cui chiunque ti critica, senza conoscerti, e tu non puoi rispondere, ma non puoi nemmeno fregartene. E ti senti uno schifo, senza nessun motivo concreto. Le parole fanno male, più dei pugni”.
Si era intristito, e stava contagiando anche me; non volevo che la nostra giornata perfetta si rovinasse, così mi alzai e mi avvicinai a lui; Harry allontanò la sedia dal tavolo e mi fece sedere sulle sue gambe.
Mi sedetti, e lo abbracciai forte, più forte che potevo, e lui fece lo stesso, strofinando il suo viso sulla mia spalla.
Gli sussurrai all’orecchio: “Harry, so che non è facile fregarsene di quello che la gente dice di noi, sono anche io come te, mi lascio influenzare da qualsiasi commento. Ma solo noi sappiamo come siamo veramente e, per quello che vedo io, tu sei un ragazzo fantastico: sei dolce, sei gentile, sei romantico, simpatico e sei bello. E poi, che cavolo, sei Harry Styles!”. Harry rise sulla mia spalla, poi sollevò la testa, mi guardò, sussurrò “Grazie” e mi baciò sulle labbra.
Poi aggiunse: “Fortuna che ti ho incontrata; come facevo prima, senza di te? Ti voglio bene, Gioia”.


Harry mi accompagnò fino al pub: la scuola potevo saltarla, ma il lavoro proprio no, chi lo sentiva Jake, poi?
Ci fermammo davanti il locale, io non volevo che lui se ne andasse, e Harry non voleva lasciarmi andare.
Mi lanciò una proposta: “Scappiamo insieme. Adesso.”.
Io risi. Avrei davvero voluto dirgli di sì, avrei voluto scappare con lui, andare ovunque lui mi avrebbe portata, quello che contava era stare insieme.
“Non posso, Harry”, dissi dispiaciuta, “E poi? Cosa facciamo? Tu come fai con i ragazzi, il tour, e tutto il resto?”.
Lui mi guardò, e serio disse: “Mollo tutto, voglio solo scappare con te”.
Lo guardai: sembrava davvero serio, quello sguardo determinato mi faceva paura.
Qualcosa, però, brillò nei suoi occhi, una scintilla di divertimento, e allora capii che stava scherzando.
Gli sorrisi, e lui capì che l’avevo beccato.
“D’accordo, d’accordo, non mollo niente, anche perché sennò i ragazzi mi fanno il culo. Però voglio davvero stare con te, e scappare da qualche parte”, rivelò, con un sorriso che mi tolse il fiato.
Gli gettai le braccia al collo, e lo baciai. Sembravano passati giorni, e non poche ore, dalla piccola crisi che aveva avuto sul tetto dell’hotel: ora Harry era tutta un’altra persona, aveva ritrovato la sua allegria, la sua voglia di scherzare, come se non fosse mai successo niente.
Improvvisamente, Harry sembrò ricordarsi di qualcosa. “Non ne abbiamo più parlato! Per Natale che fai allora?”.
Tornai nel mondo reale schiantandomi brutalmente contro il cemento duro della strada. Gli raccontai tutta la storia di Ana e Alan, e mi scusai in tutti i modi possibili e immaginabili, e lui capì.
“Stai tranquilla, se la tua amica ha bisogno di aiuto, vai da lei, lo capisco. Sentirò la tua mancanza, però, lo sai”, confessò infine.
Non potevo mentire: “Anche io, Harry, e non sai quanto. Mi piacerebbe davvero stare con te a Natale, soprattutto dopo oggi”.
Non riuscivo ancora a realizzare di aver trascorso veramente una mattinata del genere.
Oltretutto, ci eravamo baciati per la prima volta. Pensai a che giorno fosse.
22 dicembre.
Notai un improvviso baleno negli occhi verdi di Harry.
Gli chiesi: “Che c’è adesso? Cos’hai in mente?”, chiesi, timorosa che avesse di nuovo una delle sue strane idee in mente.
Lui rispose evasivamente: “Oh, niente, mi sono ricordato di una cosa che devo fare. Ora ti lascio al lavoro e a … Jake, giusto?”, concluse, con un tono sprezzante che non era da lui.
Mi avvicinai, ridendo sotto i baffi: “Che c’è, sei geloso per caso? Guarda che Jake ha una ragazza, tra l’altro molto carina, e a me non interessa”.
Lui mi guardò da sopra il suo naso, e chiese: “Ah, davvero? E chi interessa a te, allora?”.
Mi allontanai leggermente. “Mmm, non so se lo conosci. È un po’ sbruffone, ma mi piace comunque”.
Lui sorrise, minaccioso.
Avevo toccato il tasto giusto.
“Sbruffone, dici? Mah, secondo me sei tu che lo istighi …”.
Non appena finì di parlare, mi afferrò per la vita, e mi attirò a sé, baciandomi quasi in modo aggressivo.
Inizialmente stupita, ricambiai il bacio.
Dopo che ci fummo staccati, Harry disse: “Ciao, sbruffona, ci vediamo”, e mi diede un altro bacio leggero sulle labbra.
Io lo salutai, e lui si girò per andarsene ma, dopo aver fatto pochi passi, si voltò e tornò verso di me.
“Scusa, siamo usciti abbastanza volte, molte anche per caso. Però adesso mi piacerebbe fare dei programmi, tanto per cambiare un po’, sai … avresti un numero di cellulare con cui io possa rintracciarti?”.
Meno male che se ne era ricordato lui; il mio cervello era ormai andato, per quel giorno. Gli detti il mio numero, Harry mi disse che mi avrebbe chiamata per farmi avere il suo. Infine ci salutammo davvero, ed io entrai nel pub, mentre Harry se ne andava chissà dove.


Curly space:
Wohoooooooo! Sono di nuovo qui!! :) Contente, vero?! =P
Allora allora allora... Questa gente che critica senza sapere niente mi fa proooooprio girare le scatoline, a voi no?
Ma meno male che c'è la nostra Gioia a tirare su Harry, e viceversa! :D Checcarini <3
Dunque, dopo 9 capitoli (!) direi che sarebbe ora di cominciare a fare dei ringraziamenti decenti... Quindi.
GRAZIE a carpecaroctem, Nanek e RenesmeeMellark per aver messo questa storia nelle preferite.
GRAZIE a _CarolSmolder1D_ per averla messa nelle ricordate.
GRAZIE a Last1kiss, lavi_1d, Nanek e Tommos_girl93 per averla inserita nelle seguite.
GRAZIE a RenesmeeMellark, Tommos_girl93, _CarolSmolder1D_ e Nanek per aver recensito! :)
I LOOOOOOOVE YOU! <3
Alla prossima,
Curly crush


 

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Capitolo 10
*** 'Cause I know you wanna be back ***


'Cause I know you wanna be back




Entrai nel locale, salutai Jake e trovai anche Katie, con il grembiule da cameriera legato in vita.
“Ehi, ciao Katie! Che ci fai qui?”, le chiesi, sorridendo.
Lei gentilmente rispose: “Sono venuta a dare una mano a Jake e a te, volevo provare”.
Jake tossì, dietro di lei.
Katie mi guardò, leggermente imbarazzata, poi confessò timidamente: “In realtà, volevo vedere il tuo famoso accompagnatore. Jake mi ha raccontato questa cosa, e io non volevo credergli, così mi ha detto di venire qui oggi …”.
Guardai Jake con gli occhi sgranati. L’aveva fatto davvero? Non volevo crederci, ero furiosa, ma tentai di dissimulare la mia rabbia, ridendo leggermente.
“Eh, già, è così. Jake, sei proprio un pettegolo, comunque”, lo apostrofai, guardandolo storto.
Jake si grattò la nuca, evidentemente imbarazzato. Non avevo voglia di perdonarlo subito, io gli avevo raccontato tutto credendo di potermi fidare di lui. Non gli rivolsi la parola per tutto il pomeriggio, se non quando ne ero obbligata per le ordinazioni e il resto. Katie tentò di rimediare, ma non era con lei che ce l’avevo. Lavorai malvolentieri fino a sera, poi tornai a casa e sentii il bisogno di sentire la voce di Harry, di sfogarmi con lui, ma non mi aveva ancora richiamata.
Decisi allora di chiamare Ana, per sentire come stesse, e scoprii con sollievo che era allegra e rilassata: il Natale non la preoccupava più molto, fortunatamente, ma non mi andava comunque di lasciarla sola. Le raccontai la mia giornata da favola e l’arrabbiatura che Jake mi aveva causato. Lei mi tranquillizzò, dicendomi che probabilmente Jake teneva a me e che forse pensava che uscire con un ragazzo del genere avrebbe potuto farmi soffrire, ma non potendo dire a me queste cose, si era sfogato con Katie. Sì, effettivamente poteva essere un’alternativa plausibile. La ringraziai per avermi ascoltata, poi ci organizzammo per i giorni seguenti, in cui avremmo dovuto preparare la festa di Natale.

I giorni seguenti furono davvero pieni ed impegnativi: passavo tutta la giornata con Ana, a casa sua e in giro per Londra a comprare tutto il necessario per il pranzo. Non vidi né sentii più Harry, e questo mi preoccupava parecchio, anche se sapevo che probabilmente era impegnato anche lui nell’organizzazione di feste e altre cose più serie; perciò non caddi in paranoia.

La sera del 24 dicembre, però cominciai a sentire veramente la sua mancanza: avevo voglia di vederlo, o, almeno, di sentire la sua voce per telefono, ma ancora il suo numero non era entrato a far parte dei miei contatti in rubrica.
Ero malinconica e non avevo voglia di uscire.
Ana però mi costrinse a farlo: si presentò a casa mia vestita di tutto punto e ordinò: “Dai, forza, alzati da quel divano, il tè lo bevi dopo, vestiti che usciamo. Londra alla sera della vigilia è stupenda, non vorrai mica perdertela? Harry molto probabilmente sta festeggiando con i suoi amici, ma ti starà pensando sicuramente. Non vorrai mica raccontargli che hai passato la vigilia a piagnucolare?”.
Ana mi aveva aperto gli occhi: aveva ragione, non potevo starmene chiusa in casa la sera di Natale; Harry stava festeggiando il compleanno di Louis con i suoi amici, non potevo fare lo stesso anche io? Sorrisi alla mia amica, felice che fosse venuta a salvarmi da me stessa, poi andai a vestirmi e dopo mezz’ora eravamo fuori dal mio condominio, pronte a vedere Londra illuminata da migliaia di luci natalizie.

Ci ritrovammo a passeggiare per Hyde Park, anch’esso illuminato e decorato per le feste, e a mezzanotte raggiungemmo un chioschetto che vendeva cioccolata e altre bevande per scaldarsi. Faceva davvero freddo, e mi stupii che non stesse nevicando. Io e Ana prendemmo due tazze di cioccolata e brindammo al Natale allo scoccare della mezzanotte.
Poco dopo sentii il mio cellulare squillare, così lo estrassi dalla tasca del cappotto e guardai il numero del chiamante. Non lo riconobbi, non risultava salvato nel telefono.
Risposi, e subito sorrisi.
“Ehi, buon Natale piccola!”.
La sua voce roca mi colpì l’orecchio come la più dolce delle musiche. Harry.
Ora capivo tutto: non mi aveva chiamata prima perché voleva farmi una sorpresa.
In sottofondo, dall’altra parte, sentivo voci e musica, ma la voce di Harry risaltava nitida e forte.
“Harry!”, risposi infine, “Buon Natale anche a te! Che sorpresa!”.
Harry, dall’altro lato, rise. “Sì, lo so, mi avrai maledetto in questi giorni e, credimi, è stato difficile anche per me avere il tuo numero e non chiamarti. Mi perdoni?”.
Io sorrisi, mentre Ana continuava a chiedermi chi fosse gesticolando.
“Certo che ti perdono, sbruffone. Ma solo perché è Natale”.
Harry rise, poi disse: “Oh, grazie per la gentilezza, piccola prepotente. Che stai facendo?”.
Io risposi, scherzando: “Beh, in tua mancanza, sono uscita con un altro inglese meno sbruffone”.
La reazione di Harry fu inaspettata: “Come scusa? Spero tu stia scherzando!”, esclamò, estremamente serio.
Era geloso, non potevo crederci.
Scoppiai a ridere, e sentii che Harry tirava un sospiro di sollievo.
“Dai, sono fuori con Ana, siamo a Hyde Park a bere cioccolata calda”.
Sospirando di nuovo, Harry rispose: “Ah, ora sono molto più tranquillo. Fai gli auguri anche a Ana da parte mia, allora. Io te li faccio dai ragazzi, invece, altrimenti mi fanno fuori”, disse ridendo.
“Allora ringraziali, dopo. Che gentili”.
Dall’altro lato sentii una seconda voce: “Harry, dai, ti muovi? Stiamo aspettando te per il dolce!”.
Harry scoppiò a ridere, poi rispose: “Sì, Niall, arrivo, tranquillo!”; poi, rivolgendosi a me, disse: “Hai sentito l’affamato, no?” – Niall, evidentemente ancora lì, esclamò: “Parla per te, cuoco da strapazzo!”, e io scoppiai a ridere- “Vado ora, ci vediamo. Ti voglio bene, piccola. Ancora auguri!”.
Io risposi, piano: “Sì, vai pure, altrimenti Niall mi odierà ancora prima di conoscermi … Ti voglio bene anche io, Harry”.
Chiudemmo la conversazione e subito Ana mi disse: “Hai visto che avevo ragione? Ti stava pensando, eccome!”.
Ridemmo insieme, entrambe più sollevate, e continuammo a festeggiare ancora per un po’, poi, quando cominciammo a sentirci stanche, andammo a casa a riposarci per il giorno dopo.
 

Curly space:
Oooook, questo capitolo in stile natalizio mi fa un certo che, ma l'ho scritto proprio in quel periodo, quindi che ci posso fare? :) Spero che mi perdonerete l'incoerenza con il periodo attuale... =P
Beh, Harry è una continua sorpresa, non lo trovate ADORABILE?! Io sì, ma io sono (molto) di parte... ;)
Bene, che altro dire? Anticipazione!
Il prossimo capitolo sarà ancora più natalizio (=P), e, in più, avrà una certa... Magia! :D
Tenetevi pronte!
Bacioni a tutte,
Curly crush 

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Capitolo 11
*** You light up my world like nobody else ***


You light up my world like nobody else



Dopo che tutti se ne furono andati, aiutai Ana a riordinare la casa e lavare i piatti e tutto il resto. Verso le sei del pomeriggio avevamo finito. Ero davvero esausta.
Salutai Ana e mi diressi verso casa, scoprendo con meraviglia che aveva ricominciato a nevicare.
Mi persi ad osservare il turbinio dei fiocchi, che scendevano volteggiando leggermente, per poi appoggiarsi al suolo, uniformandosi al resto della neve già caduta.
Quando arrivai a casa, chiamai finalmente la mia famiglia per far loro gli auguri, cosa che non mi era riuscita di fare per tutto il giorno.
Mi buttai sul divano e accesi la televisione; trovai un film natalizio e lo seguii per un po’, finché il silenzio del mio appartamento non fu rotto dal trillo del campanello.
Mi alzai velocemente, e risposi al citofono: “Sì, chi è?”, ma non ebbi risposta.
Allora aprii la porta per controllare, e trovai Harry ad aspettarmi, con un piccolo pacchetto in mano.
Buon Natale, piccola italiana!”, esclamò, con un sorriso che mi fece mancare il respiro per qualche istante.
“Posso entrare?”, chiese, incerto.
Io mi spostai dalla porta e risposi, balbettando: “S-s-sì certo, Harry, entra!”.
Richiusi la porta, ma non feci in tempo a voltarmi che Harry mi aveva già tirata a sé e baciata con una foga mai sentita prima.
Quando ci staccammo, mi chiese: “Ti porto a fare un giro, ti va? Oppure vuoi mangiare qualcosa?”.
Al solo pensiero di dare ancora qualcosa al mio stomaco, feci una smorfia, e accettai invece di uscire con lui.
Ma prima volevo vedere il suo regalo, quindi chiesi: “Posso aprirlo?”.
Inaspettatamente, Harry rispose: “No, adesso no. Dovrai aspettare ancora un po’ …”.
Mi fece un sorriso storto, che non saprei definire, tra l’adorabile e il malizioso; un sorriso, comunque, irresistibile, che mi fece venire voglia di baciarlo e non lasciarlo più.
Infine uscimmo: Harry intascò il regalo e mi prese per mano, incrociando le dita con le mie.
Fuori nevicava ancora e ciò rendeva tutto ancora più magico e incredibile.

Arrivammo davanti ad un cancelletto, più alto di noi, posto fra due siepi. Oltre la griglia, si vedeva però un giardino. Harry provò ad aprirlo, ma il cancello non si mosse; mi chiese, allora, se avessi una forcina, e, appena la trovai, gliela porsi. Armeggiò qualche istante con la serratura e infine il cancelletto si aprì.
Harry si fece da parte e, tendendo il braccio verso il giardino, mi invitò ad entrare: “Prego, principessa”, disse, sorridendo.
Io lo guardai sorpresa, e dissi, ridendo: “Ommioddio, sono uscita con un criminale, il nuovo Arsenio Lupin, signori!”, poi entrai, seguita da lui.
Mi prese per mano, e ci incamminammo per quello che, in condizioni normali, doveva essere un sentiero di ghiaia, ma in quel momento era ricoperto di neve, e i nostri passi lasciavano impronte profonde su di esso.
Nel frattempo aveva smesso di nevicare, le nuvole avevano lasciato il posto ad un cielo limpido ed illuminato dalla luna, piena, e da migliaia di stelle.
Interruppi il silenzio che regnava tra noi: “Harry, ma che posto è questo? Come giardino è un po’ grande …”, dissi, parlando piano.
Lui continuò a guardare avanti e, sorridendo leggermente, rispose: “In realtà è proprio un giardino. È il giardino di una villa abbandonata, dove io vengo spesso a pensare, quando ho voglia di stare da solo. Ora voglio che diventi il nostro giardino, voglio venirci con te”.
Il cuore prese a battere forte, più forte ancora di qualsiasi momento avessi passato con lui: ero emozionata, quasi commossa, e i miei sentimenti erano ben visibili sul mio volto, lo sapevo, lo sentivo; le gambe presero a tremare, camminavo inciampandomi ad ogni cumulo di neve più alto rispetto al sentiero che trovassimo, e, infine, rischiai di cadere a terra, ma Harry fu pronto e mi tenne in piedi tra le sue braccia.
Il nostro giardino.
Era bellissimo: c’erano molti alberi alti, che sembravano toccare il cielo, la neve ricopriva ogni singolo centimetro del suolo, e sembrava brillare sotto la luce della luna.
Ci trovammo davanti ad una siepe, che sembrava di forma circolare, come se dovesse racchiudere qualcosa. E, infatti, era così.
Entrammo nell’apertura del sempreverde e ci trovammo davanti ad uno spettacolo incredibile: di fronte a noi c’era un piccolo lago, che aveva una forma strana, sembrava quasi un cuore. Sì, aveva decisamente la forma di un cuore. La luna piena si rifletteva nell’acqua del lago e diffondeva la sua luce ovunque, dando l’impressione del giorno.
Ero rimasta a bocca aperta; con la coda dell’occhio vidi che Harry mi osservava, in silenzio, con un sorriso timoroso, quasi non fosse sicuro che quella meraviglia mi piacesse.
Fui io a parlare per rassicurarlo: “Harry, è … Stupendo, sono senza parole, davvero!”, riuscii a dire con un filo di voce.
Harry mi sorrise, contento e rilassato, poi mi abbracciò, stringendomi in un abbraccio denso di sentimento, di amore.
Lo guardai, fissandolo negli occhi e i miei pensieri cominciarono a scorrere liberi: mai avrei pensato che potesse succedere a me.
Eppure ero lì, a perdermi nell’incredibile verde dei suoi occhi.
Non poteva essere vero, doveva essere per forza un sogno, ma il tocco caldo delle sue mani sul mio viso mi confermò quella bellissima realtà.
Le mie labbra si aprirono in un sorriso quasi ebete, credo, dato che lui scoppiò in una risata fragorosa.
“Non prendermi in giro”, mi lamentai, facendo la finta offesa.
Non potrei mai”.
A quel punto si avvicinò, e io sprofondai ancora di più nei suoi occhi. Cominciò a baciarmi il collo, la guancia, la tempia, poi tornò al mio orecchio. Lì, cominciò a cantare, sussurrando dolcemente.
Baby, you light up my world like nobody else, the way that you flip your hair gets me overwhelmed, but when you smile at the ground it ain’t hard to tell, you don’t know … You don’t know you’re beautiful”.
Il suo assolo.
L’assolo che mi aveva fatto dire: “Lui è il mio preferito”, l’assolo che mi procurava brividi ogni volta che l’ascoltavo.
E ora lui lo stava cantando a me. Per me.
Lo strinsi forte a me e lo baciai, lo baciai con quanta più forza e amore potevo.
Le nostre labbra si fusero, le nostre lingue per la prima volta si toccarono e divennero un unico vortice, pieno di passione e felicità.
Sentii Harry sorridere e sentii anche le mie labbra piegarsi in un sorriso complice.
Non so per quanto ci baciammo in quel modo, ma quando ci staccammo per riprendere fiato, non desideravo altro che continuare, e Harry voleva lo stesso.
Lui però mi guardò, e chiese, confuso e sorpreso: “Perché piangi? Bacio così male?”.
Non me ne ero resa conto, avevo le guance rigate di lacrime, ma erano lacrime di felicità, e di nessun’altra emozione.
“Piango perché sei il più bel regalo di Natale che il mondo potesse farmi, Harry, ecco perché”, risposi sorridendo.
Lui mi guardò, felice, gli occhi gli brillavano, non avevo mai visto nessuno con una luce simile negli occhi. Poi lo disse.
Ti amo, Gioia”.
E lo disse così, semplicemente, in italiano, come se non avesse mai detto altro in tutta la sua vita.
“Ti amo anch’io, Harry, più di qualsiasi altra cosa”.
Ed era vero. Lo sentivo, forte e potente in me, quel sentimento che a volte spaventa.
Ma io non ero spaventata, ero sicura. Ero sicura del mio amore, ed ero sicura di Harry.
Ci baciammo di nuovo, ora consapevoli del nostro amore.
Harry mi sollevò, e mi prese in braccio. Camminò per qualche metro, poi inciampò in una radice e cademmo entrambi nella neve soffice, lui sopra di me. Scoppiammo a ridere e cominciammo a tremare violentemente. Ma non erano tutti brividi di freddo, quelli. Harry si piegò su di me e mi baciò nuovamente, con più impeto, ma sempre con dolcezza infinita.

Dopo alcuni minuti ci alzammo e ci sedemmo su una panchina in riva al laghetto; Harry estrasse il suo regalo e me lo porse. Stavo per afferrarlo, quando Harry ritirò la mano e disse: “Eh no, troppo facile così. Se vuoi il tuo regalo, devi ricambiare in qualche modo”.
Accettai il pegno: lo afferrai per i baveri del cappotto, lo attirai a me e lo baciai; lui mi prese il viso tra le mani e partecipò all’opera.
Sì, era così, un’opera d’arte.
Un nostro bacio sarebbe potuto valere milioni, per quello che mi provocava dentro.
“Molto bene, ora te lo meriti davvero”, replicò soddisfatto Harry, e mi lasciò prendere il pacchetto.
Lo scartai, sotto il suo sguardo attento, e trovai una scatolina blu quadrata. La aprii e dentro trovai una collanina, molto semplice, argento. Ma la cosa speciale era il ciondolo: erano una G ed una H fuse tra loro, unite per sempre.
“Harry, è bellissima! Come hai fatto a …”, ma lasciai perdere la domanda, e scossi la testa, sorridendo.
Lui poteva fare qualsiasi cosa, non c’era niente, o quasi, che gli fosse impossibile.
“Mi aiuti a metterla?”, chiesi, levandomi la sciarpa per facilitare l’azione, poi mi voltai.
Harry agganciò la catenina con un “Ecco fatto”, poi mi guardò, e disse: “Sei bellissima. Tu non sai nemmeno quanto mi piaci”.
Abbassai lo sguardo, e risposi, timida e lusingata: “Oh, lo so, eccome se lo so, Harry. Perché so cosa provo io quando mi guardi, quando mi baci, quando mi stringi la mano. Lo so”.
“Ti amo”, concluse Harry.

Ci stendemmo sulla panchina, stando abbracciati, stretti l’uno all’altra; io appoggiai la testa al suo petto e Harry mi avvolse con le sue braccia.
Cominciammo a guardare le stelle, e a trovare delle forme strane.
“Ehi, Harry, quelle sembrano un pino!”,
“E quelle un coniglio!”, e ridevamo, ridevamo senza fermarci.
Era tutto perfetto.
Stavamo bene, stavamo insieme.
Ad un certo punto Harry esclamò: “Ehi! Quelle invece formano una G! Seriamente!”.
Guardai nella direzione che il suo indice mi indicava e mi stupii nello scoprire che aveva ragione.
“Beh, vorrà dire che quella sarà la mia costellazione da oggi!”, scherzai.
Lui si lamentò: “E io?”.
Risposi, pronta: “Tu sei già qui, non puoi stare anche in cielo, stella mia!”.
Harry sprofondò il viso nei miei capelli e inspirò forte.
Io continuai a setacciare il cielo per trovare qualcosa di interessante e, infine, trovai ciò che cercavo.
Cinque stelle messe più o meno in fila, tutte in una direzione.
“E quelle cinque lì, non ti ricordano niente?”, chiesi sorridendo.
Lui piegò le labbra in un sorriso tenero, e rispose: “Sì, vagamente … A proposito …”.
Si bloccò.
Lo guardai. “Sì, Harry?”.
Harry continuò a fissare il cielo, e io presi a percorrere con lo sguardo il suo profilo illuminato dalla luna: i boccoli gli ricadevano morbidamente all’indietro, lasciandogli la fronte libera; il naso, leggermente allargato, quella notte sembrava calzare a pennello su quei lineamenti morbidi; gli occhi sembravano ancora più verdi del solito; le sue labbra erano piegate in un’espressione concentrata e quasi indecisa; sopra la bocca e sul mento, grazie alla luce lunare, riuscivo a vedere alcuni peletti, ancora precoci, contrariamente alla sua età.
Non avrei mai smesso di guardarlo.
Finalmente Harry riprese da dove si era interrotto: “Insomma, i ragazzi, molte volte mi chiedono cosa siamo, io e te; se siamo amici, se usciamo e basta o … Beh, la prossima volta che mi faranno questa domanda vorrei dir loro che sei la mia ragazza. Posso farlo?”.
Chiusi gli occhi; mi sentivo il suo sguardo addosso e quella sensazione mi piaceva.
Decisi di rispondere con un’altra domanda: “Quindi io ora sarei la ragazza di Harry Styles?”.
La risposta di Harry non si fece attendere: “Sì. Ora sei mia, e di nessun altro”.
“Ti amo, Harry”.
Harry si sollevò leggermente per protendersi verso di me, e ci baciammo.

Dopo essere rimasti nel “nostro” parco ancora qualche tempo, Harry mi riaccompagnò a casa.
Ci salutammo sull’entrata del condominio, ma nessuno dei due aveva voglia di andarsene per primo, così continuammo a dirci “Ciao”, “Ciao”, e baciarci ogni volta, per una buona mezz’ora prima di decidere di stare ancora un po’ insieme a casa mia.
Salimmo le scale lentamente, eravamo entrambi molto stanchi, ma non volevamo lasciarci.
Entrammo in casa, ci togliemmo le giacche e le scarpe e ci sedemmo sul divano.
Alle mie scuse per non avergli preso niente per Natale, Harry rispose che non ce n’era bisogno, “Il mio regalo sei tu, piccola”.
Mi ripromisi che il giorno dopo sarei andata a cercare qualcosa di carino; dopotutto, era il mio ragazzo!
Senza accorgermene, gli occhi si fecero pesanti, e mi addormentai.
Dopo un po’, sentii un leggero scossone, così aprii gli occhi: Harry mi aveva presa in braccio, e mi stava portando in camera; mi appoggiò delicatamente sul letto, poi si stese accanto a me e ricoprì entrambi con le coperte.
Rimanemmo lì abbracciati per un po’, fissandoci negli occhi senza dire né fare niente, poi ci addormentammo entrambi.


Curly space:
Mannaggia, ho finito la scorta di fazzoletti... ;)
Aaaaaallora, lettrici belle! Pay(ne) attention, please! (pessima, lo so) =P
Questo capitolo è MOLTO IMPORTANTE, forse il più importante a livello affettivo, perchè è proprio da questo che è partita l'idea per l'intera storia.
Tutto è partito da quell'assolo. Quindi, ringraziate l'assolo di Harry ;) *Grazie assolo di Harry* in coro <3
E, beh, credo che ora sia chiaro da dove è uscito il titolo di questa FF... :D
Beh, spero che vi piaccia e che lasciate una piccola recensioncina per farmelo sapere... Sarebbe davvero importante! :)
Grazie in anticipo e grazie a quelle che continuano a leggere, vi adoro! <3
Bacionii,
Curly Crush <3


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Capitolo 12
*** If everytimewe touch you get this kind of rush... ***



If everytime we touch you get this kind of rush...



Il mattino dopo mi svegliai a causa di Harry: mi stava sfiorando il collo con le sue dita fredde, provocandomi brividi e solletico.
Ancora assonnata, tentai di voltarmi dall’altra parte sbuffando, ma Harry fu più veloce, e mi circondò con le sue braccia, ridendo come un pazzo.
Scoppiai a ridere anch’io, mi sentivo una bambina che veniva sballottata di qua e di là da un papà dispettoso.
“Harryyyyyyyyyy! Smettila, ti prego!”, tentai di difendermi, senza successo: le risate e Harry erano più forti.
Finalmente Harry smise di fare il pagliaccio e mi sussurrò all’orecchio: “Buongiorno, principessa”.
Io mugugnai qualcosa, ma mi scappò un sorriso, così Harry si avvicinò e mi baciò sulla guancia, teneramente.
“Buongiorno anche a lei, signor Styles-che-sveglia-la-gente-in-modo-assurdo”, gli dissi ridendo.
Mi misi a sedere sul letto, a gambe incrociate, mentre Harry rimase disteso, appoggiandosi sul gomito, a fissarmi.
Poi chiese: “Che facciamo oggi? Abbiamo una giornata intera per noi!”, rivelò felice.
Fui contenta di quella novità, ma prima avevo un assoluto bisogno di due cose: “Beh, prima di tutto, direi di fare colazione e … una doccia, mi farebbe comodo”, ammisi, timidamente. Harry prese la palla al balzo: “Allora possiamo farle entrambe insieme, no?!”.
Sgranai gli occhi, e lui scoppiò a ridere; grazie alla sua risata mi rilassai anche io, poi lui disse: “In effetti ne avrei bisogno anch’io; posso sfruttare la tua doccia?”.
Feci di sì con la testa e gli dissi di andare per primo, mentre io preparavo la colazione. Prima però mi misi più comoda: indossavo ancora i vestiti del giorno prima, e non erano proprio il massimo per stare in casa; trovai un paio di pantaloni di felpa grigi e una maglia bianca a maniche lunghe, poi mi spostai in cucina.
Sentivo lo scrosciare dell’acqua della doccia e la voce di Harry, che cantava; mi venne da ridere, poi cominciai a canticchiare anche io.

Stavo preparando il tè, persa nei miei pensieri, e non mi ero minimamente accorta che Harry aveva smesso di cantare e il getto d’acqua non c’era più. Così, quando Harry mi si avvicinò da dietro e mi appoggiò i capelli umidi sul viso e sul collo, feci un salto, impaurita.
Harry scoppiò a ridere, mentre io tentavo di riprendere il controllo e urlavo, ridendo: “Ma sei completamente impazzito?”.
Harry continuò a ridere e, guardandolo, notai per la prima volta da quando mi aveva fatto prendere quello spavento, che non indossava altro che un asciugamano legato attorno alla vita; arrossii, nel constatare che aveva davvero un bel fisico: spalle larghe, braccia muscolose, con i vari tatuaggi sparsi qui e là, i pettorali, anch’essi coperti da quei due sparvieri di cui non avevo mai capito il senso, erano ricoperti di brividi di freddo, come gli addominali; mi soffermai sul punto appena sotto l’ombelico, dove le ossa del bacino formavano quella leggera cavità a V (quella parte del corpo maschile mi aveva sempre attratta particolarmente).
Lo ammirai, dall’alto in basso, e, quando risollevai lo sguardo, trovai Harry che mi fissava con fare malizioso.
Cercai di darmi un contegno ed ignorare quell’occhiata, chiedendogli di cosa avesse bisogno.
Mi chiese dove potesse trovare un phon, così entrai in bagno, seguita da lui e lo estrassi da uno degli armadietti presenti.
“Mi aiuti ad asciugare i capelli?”, chiese Harry, di nuovo con quello sguardo.
“D’accordo. Ma ti fidi?”, chiesi, incerta.
Harry annuì, poi esclamò: “Fai quello che vuoi!”, e rise divertito.
Restammo nel bagno circa venti minuti, più del dovuto, poiché Harry continuava a muoversi, e io non riuscivo a fare bene il mio lavoro di parrucchiera improvvisata; alla fine, si guardò allo specchio e, semiscandalizzato, urlò drammaticamente: “Oddio, ma che cosa hai combinato? Non potrò mai più uscire con questi capelli! Sarai punita!”; dopodiché mi caricò in spalla e mi portò in camera, catapultandomi sul letto.
Io continuavo a ridere, sia per la condizione in cui avevo ridotto i suoi capelli, sia per la situazione in cui mi trovavo.
Harry si piazzò in piedi, tra le mie gambe, a braccia incrociate e prese a fissarmi con quel suo solito sguardo malizioso: avrei dovuto abituarmici.
Lentamente, si protese verso di me, appoggiando le mani ai lati della mia testa; avvicinò il suo viso al mio, fino a sfiorare le mie labbra con le sue, ma, invece di baciarmi, si spostò leggermente più in basso, e cominciò a mordicchiarmi la mascella, poi il collo, diventando sempre più feroce.
Affondai le dita tra i suoi capelli, e mugugnai qualcosa, ma Harry mi ignorò e continuò a mordermi.
Dopo qualche istante, mi lasciò libera, con il collo bollente dove fino a qualche secondo prima c’era stata la sua bocca; mi baciò quel piccolo lembo di pelle, poi mi aiutò a rialzarmi, ridendo.
Io ero leggermente disorientata, i suoi morsi mi avevano provocato qualcosa di strano dentro, un impulso sconosciuto a cui non sapevo dare un nome; qualsiasi cosa fosse, comunque, era positiva.
Dopo che Harry si fu vestito, occupai il bagno: mi spogliai ed entrai velocemente nel box doccia, senza passaggi intermedi. Mi rilassai sotto lo scorrere dell’acqua e, quando mi fui svegliata per bene, uscii.
Mi avvolsi nell’asciugamano e mi avvicinai allo specchio, appannato; ci passai sopra con la mano, così da riuscire a vedermi; dopodiché vidi il mio riflesso che sgranava gli occhi osservando la chiazza che avevo sul collo.
“Harryyyyyyyyyyyyyyy!”, urlai, “Ma sei impazzito?!”.
Harry si precipitò nel bagno, entrando senza bussare e con un’espressione davvero preoccupata.
“Ma che succede?”, chiese sorpreso.
Gli indicai il segno sul collo: “Che succede? Ti sembrano domande da fare?”, risposi, esasperata.
La preoccupazione di pochi secondi prima lasciò lo spazio al solito sorriso sfrontato; Harry si appoggiò allo stipite della porta, si infilò le mani in tasca, e rispose candidamente: “Era solo per far vedere agli altri che sei mia”.
Conquistata, mi avvicinai e lo baciai; Harry mi prese per la vita e mi avvicinò a lui. Sentivo l’asciugamano scivolare poco alla volta, così lo tenni fermo con una mano.
Harry se ne accorse e, sempre baciandomi, suggerì, con tono profondo e sensuale: “Lascia stare l’asciugamano, non mi scandalizzo se cade”.
Io sorrisi, e mormorai: “Sei troppo furbo tu, caro Harold …”, e tenni ben stretto l’asciugamano.
Se dicessi che non ci avevo pensato anch’io, sarei la più grande bugiarda di questo mondo; desideravo Harry con tutte le mie forze, ma mi sembrava ancora troppo presto per un passo del genere.
Harry brontolò, ma continuò a baciarmi, poi uscì e io potei vestirmi “in pace”.

Quando tornai in cucina, trovai Harry intento a preparare del pane e Nutella; mi avvicinai a lui e lo abbracciai da dietro, appoggiandomi con il mento alla sua spalla. Harry mi baciò la punta del naso, poi annunciò: “La colazione è pronta, principessa, si può sedere”; io scherzai: “Mmm, non mi sento molto in vena di camminare, stamattina”; Harry colse al volo e mi prese in braccio, poi mi portò fino alla sedia e mi appoggiò delicatamente; poi chiese, timidamente: “Un premio per il servitore?”.
Lo baciai e lui sorrise soddisfatto.
Poi andò a prendere la colazione e cominciammo a mangiare, pasticciando un po’ con la Nutella e ridendo a crepapelle.

Poco più tardi, dopo aver sparecchiato, accesi il computer, e Harry si sedette di fianco a me, in osservazione.
Quando vedemmo alcune foto della nostra giornata londinese, entrambi emettemmo un lamento contrariato e Harry borbottò: “Non siamo stati abbastanza attenti, anzi in realtà ce ne siamo proprio fregati”, ma quando lo guardai incerta, mi sorrise e disse che non importava, perché ormai stavamo insieme e presto si sarebbe saputo.
Leggemmo i commenti, che non erano molto cambiati rispetto alla prima volta, nonostante la richiesta di Harry; al contrario, alcuni erano anche peggiori, al che Harry si arrabbiò seriamente.
“Ma che cosa devo fare per far capire loro che voglio stare con te? E, soprattutto, che non devono nemmeno provare ad insultarti?”, protestò.
Cercai di tranquillizzarlo, dicendogli che non importava, che la prima volta era stata dura, ma che ora non mi toccavano più di tanto; poi aggiunsi: “Finché sto con te, andrà tutto bene, Harry. Con te non ho paura, mi dai forza, mi dai coraggio”.
A queste parole Harry si calmò; mi disse, guardandomi negli occhi, che avevo ragione, che anche per lui era lo stesso, e che insieme saremmo resistiti a tutto; poi mi prese il computer, batté qualcosa sulla tastiera, poi lo chiuse e disse, serio: “Ora usciamo. Andiamo a mostrarci al mondo”.
Scoppiammo a ridere, ma, in fondo, sapevo che era quello che avremmo fatto, pur non esibendoci in alcun modo.
Ed ero pronta a farlo.



Curly space:
Wohoooooo la situazione si fa interessante! ;)
Beh beh, che dire? Con uno come Harry non è sicuramente facile tenere a bada certi istinti, ma la nostra Gioia resiste!
Ahahahahhaa a par vera... =P
Vabbè, sparisco ora, ditemi cosa ne pensate, sapete che mi fa piacere! <3
Bacioni,
Curly Crush ;)

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Capitolo 13
*** I just wanna tell the world that you're mine, girl ***


I just wanna tell the world that you're mine, girl



Londra quel giorno sembrava impazzita: c’era gente ovunque, che camminava, correva, apparentemente senza nessuna meta precisa; sembravano tutti presi da una qualche isteria particolare.
O forse eravamo io ed Harry ad essere troppo tranquilli: camminavamo tenendoci per mano, guardandoci intorno e richiamando uno l’attenzione dell’altra non appena vedevamo qualcosa di buffo o fuori dal comune.
Ad un certo punto, presi a fissare i capelli di Harry: erano davvero un mezzo disastro, ed era colpa mia. Il ciuffo che di solito gli ricadeva morbido sulla fronte, ora era in parte sollevato, per non parlare del resto dei riccioli, che non avevano una direzione che fosse una; alla fine scoppiai a ridere, poiché l’insieme dei capelli, così particolari quel mattino, e della sua espressione, in quel momento seria, facevano veramente a pugni.
Harry mi guardò incuriosito e chiese: “Che c’è?”; io, tra le risate, risposi: “Oh, niente, solo che ho capito che non farò mai la parrucchiera!”.
Harry mise un finto broncio e si disse d’accordo con me.
Quando mi fu passato l’attacco ilare, Harry mi chiese dove volessi andare; non ne avevo idea, ma l’importante era che ci andassimo insieme, ovunque avessimo deciso.
Harry allora propose: “Ti va di vedere dove abito?”, io annuii sorridendo e ci incamminammo verso la metro più vicina.

A bordo del treno, la gente ci guardava di sottecchi e bisbigliava; una ragazzina, più coraggiosa degli altri chiese ad Harry un autografo ed una foto e, dopo che Harry l’ebbe esaudita, mi salutò e se ne andò contenta; dopo di lei, si fecero coraggio in molti, perciò il nostro viaggio in metro si trasformò in un meet&greet con Harry Styles.
Infine, però, arrivammo a destinazione e Harry salutò tutti i fan, i quali avevano delle espressioni molto dispiaciute (ma anche felici) stampate in volto; salutai anch’io e in molti risposero al mio saluto, il che mi fece sperare in bene.
Harry mi cinse le spalle e ci incamminammo verso il suo quartiere, Primrose Hill.

Non appena arrivammo nei paraggi di casa sua, notammo uno strano movimento: c’erano molte persone, e anche Harry ne fu stupito, ma continuammo ad avvicinarci.
Svoltammo l’angolo, e il motivo di tanta agitazione ci fu subito chiaro: Harry mi indicò la sua casa, ma non vidi altro che una piccola folla di persone armate di microfoni e telecamere. Uno di loro improvvisamente si voltò e ci vide, quindi urlò agli altri: “Eccoli! Sono loro!”.
Harry si girò rapidamente verso di me: “Ottimo –notai l’ironia nella sua voce- sono i paparazzi. Vuoi parlare con loro?”.
Ero terrorizzata, boccheggiavo, e non riuscivo a rispondere a Harry; infine, ritrovai la mia voce, anche se flebile, e risposi: “N-no, io no!”.
Harry mi strinse la mano per tranquillizzarmi e tentò di spiegare: “Allora, stai calma. Noi ora restiamo qui, non possiamo correre via … No, non guardarmi così, ti prego”, disse, poiché il mio sguardo chiedeva assolutamente di scappare a gambe levate, “Ora io ci parlo, sento cosa vogliono e stop. Se posso dir loro qualcosa, lo dirò, tu non serve che fai niente. Stammi vicina, vedrai che non ci sarà nessun problema”.
Ok, mi aveva convinta; feci di sì con la testa, ormai la voce si rifiutava di uscire, e lui, in risposta, mi strinse più forte la mano; la stretta era umida, entrambi avevamo le mani sudate e tremanti.
L’orda di paparazzi si avvicinava scattando foto; quando furono a pochi passi da noi, mi strinsi a Harry, quasi nascondendomi dietro di lui.
Poi arrivarono, e fu il caos. “Harry, guarda di qua!”, “Harry, cosa ci dici di questa ragazza?”, “Harry, le tue fan vogliono sapere che succede, forza, dicci qualcosa!”, e via di questo passo. Vedevo Harry in difficoltà, anche se tentava di nascondere la sua insicurezza dietro un sorriso di circostanza; poi perse la pazienza, e urlò: “Allora, per favore, uno alla volta o non dirò niente!”.
La folla si placò e le mani cominciarono a levarsi; io continuavo a fissare Harry e l’asfalto, dando occhiate sfuggenti ai giornalisti; gli strinsi la mano, per fargli capire che c’ero, e lui mi guardò sorridendo.
Un nuovo attacco di flash ci sommerse, ormai non ci vedevo più.
Harry si voltò e cominciò a rispondere alle domande: inizialmente, erano tutte molto poco precise e riguardavano più che altro la band e il tour mondiale che si avvicinava; poi arrivarono anche le domande su di me: chiesero prima come mi chiamassi, da dove venissi, tutte informazioni generali; infine, arrivò la domanda precisa: “State insieme?”.
Harry mi guardò, raggiante, poi rispose, serio: “”.
A quel punto la folla riesplose: l’ordine e il silenzio erano finiti; qualcuno chiese un bacio, ma Harry rispose, risoluto: “La bacio quando voglio, non se mi viene chiesto”.
Gli sorrisi, guardandolo come se mi avesse salvata da un mostro inferocito.
Poi Harry annunciò che ce ne saremmo andati, si voltò e io lo seguii; mentre ci allontanavamo, sempre seguiti dai flash e dai proprietari delle macchine fotografiche, si scusò: “Casa mia la vedrai un giorno, te lo prometto”.
Alla fine riuscimmo a liberarci della folla, o almeno pensavamo che così fosse, e tornammo verso casa mia.

Arrivati fuori dall’entrata del condominio, non facemmo in tempo ad entrare che subito un paparazzo ci assalì, facendo mille foto e domande contemporaneamente.
Quando fu soddisfatto delle foto, lasciò la macchina fotografica e si rivolse a me: “Tu prima non hai detto niente, ma ti capisco, con tutta quella gente, non sarai abituata; è così?”. Guardai Harry: ero intimidita, ma se volevamo togliercelo dai piedi il prima possibile, era meglio che cominciassi a parlare; così, emisi un debole “Sì”, e il giornalista partì in quarta: “Da quanto state insieme? Com’è Harry, visto da vicino? E tu? Parlami un po’ di te, insomma, non sappiamo niente!”.
Ero allibita, davvero non riuscivo a capire come Harry e gli altri ragazzi potessero sopportare uno stress del genere ogni volta che uscivano.
Provai a dire qualcosa, per esempio da dove venivo, come mi trovavo a Londra e con Harry, ma non c’era modo di fare un discorso logico con quell’uomo, era come impazzito, avido di informazioni.
All’ennesima domanda privata – anzi, definirla privata sarebbe un insulto- non ci vidi più e arrossii, paonazza di vergogna.
Aveva avuto la faccia tosta di chiedermi se Harry quella notte avesse dormito da me, dato che non era tornato a casa.
A quel punto, Harry intervenne, sbottando: “Questi non sono affari tuoi o dei tuoi colleghi, spiacente”, e mi trascinò nel condominio; salimmo le scale, in silenzio: ero imbarazzata, e lui era furioso.
Quando arrivammo al mio appartamento, Harry parlò, lentamente: “Ascolta, mi dispiace averti lasciata nelle grinfie di quel giornalista, non sei ancora pronta per questo. Non succederà più, te lo assicuro”; io tentai di minimizzare, ma lui restò serio, e capii che la nostra giornata era finita.


Curly space:

Allora, avete tutte le ragioni per prendermi a pomodori in faccia, questa volta...
1. L'angolo autore dell'altra volta faceva schifo, lo so, ma avevo poco tempo;
2. SONO IN RITARDO;
3. Ho fatto finire maluccio questo capitolo, ma non temete, non è come sembra! ;)

Dunque... Harry in questo capitolo si mostra forte, oserei dire un vero uomo. Caaaaaaaaaaaaaro lui! <3
E la piccola Gioia, così indifesa, che vorrebbe solo scappare da quella gentaglia che sono i paparazzi...
Che nervi! Rovinare una mattinata così perfetta... -.-"
Ma la vostra Curly, qui, ha in serbo delle sorprese, vedrete!

Passiamo ai ringraziamenti:
GRAZIE a niky_loveharry per aver recensito e aver messo la storia tra le preferite :)
GRAZIE a SweetSmile e Lavinia_ per averla inserita nelle seguite :)
GRAZIE a Nanek per essere tornata con una delle sue recensioni colorate :)
E poi, GRAZIE a tutte le altre e a tutte quelle che leggono lasciando la visita... Mi fate sentire fiera di questa storia! :D

Come sempre, se voleste lasciare una recensioncina o un commento breve anche, mi fareste moooooolto piacere!
Alla prossima,
Curly_crush



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Capitolo 14
*** There is no other place that I would rather be ***


There is no other place that I would rather be than right here with you tonight
 


I giorni seguenti, ripresi il lavoro: il pub era rimasto chiuso solamente nei giorni festivi, e Jake non mi aveva dato ferie aggiuntive.
L’incontro con i paparazzi mi aveva lasciata con l’amaro in bocca, e temevo che Harry si fosse in qualche modo allontanato, anche se ci sentivamo tutti i giorni e lui sembrava sempre lo stesso.
A rassicurarmi su questo fatto, fu proprio lui; il 30 dicembre mi chiamò e, dopo qualche scambio di battute senza senso, mi chiese: “Ascolta, ti andrebbe di passare il Capodanno con me?”.
Ma che domande mi faceva?
“Certo, Harry! E me lo chiedi anche?”, risposi sicura.
Lui poi aggiunse, con una nota di soddisfazione che inizialmente non compresi: “Oh, bene. Allora raduna un po’ di cose, che oggi pomeriggio passo a prenderti e partiamo!”.
Lo sentivo davvero felice, sapevo che stava sorridendo, ma io non avevo capito niente di ciò che mi aveva appena detto, perciò chiesi, impreparata: “Ehi ehi ehi, aspetta un attimo. Partiamo per dove?! E quanto stiamo via?”.
La risposta arrivò a pezzi: “Oh, non preoccuparti, staremo via poco, un paio di giorni, al massimo tre o quattro”.
La destinazione continuava a rimanere ignota.
“Harry, dove?”.
Stavo cominciando a spazientirmi e a sentire una strana ansia.
Poi Harry finalmente rispose: “Ho chiesto a mia madre se posso portarti a Holmes Chapel, a casa mia, per Capodanno, e per lei va bene. Così conosci la mia famiglia e i miei amici di lì”, affermò candidamente.
Ora capivo perché mi era salita l’ansia, che non era più semplice ansia, era diventata terrore puro.
Tentai di ragionare: “Ma Harry, scusa, non è un po’ presto? Cioè, insomma, non è molto che stiamo insieme …”.
Mi stavo attaccando alle scuse più futili, ma in realtà l’unica cosa vera, era che avevo paura di non piacere a sua madre;
Harry lo capì immediatamente, così mi disse: “Gioia, le piacerai, stai tranquilla. E, no, non penso che sia troppo presto. I giornali e Internet li vede anche lei, sai? A che serve aspettare? Lei ormai sa che sto con questa sconosciuta italiana, gliel’ho detto io personalmente prima che uscissero le ultime foto. E, oltretutto, non vede l’ora di conoscerti di persona”.
Era incredibile come quel ragazzo riuscisse a tranquillizzarmi usando parole tanto semplici. “Allora”, continuò, “verrai?”.
Come potevo dirgli di no?
“Sì, Harry, verrò”.

Preparai le mie cose in poco tempo, ma scegliendo bene i vestiti dal mio armadio: volevo fare bella figura con la sua famiglia, volevo che mi apprezzassero e che mi vedessero degna di stare con Harry.
Harry arrivò a casa mia nel primo pomeriggio, mi aiutò a caricare le borse sul taxi che ci portò a King’s Cross, da dove avremmo preso il treno per Holmes Chapel.
Il viaggio fu abbastanza lungo, ma io e Harry trascorremmo il tempo parlando e raccontandoci delle nostre famiglie, tanto per stare in tema.
Quando arrivammo erano circa le sei del pomeriggio, ed era buio. Harry estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans (particolarmente stretti, gli mettevano in risalto le gambe lunghe e snelle) e chiamò sua madre, perché venisse a prenderci.
Mentre la aspettavamo fuori dalla stazione, passarono alcune ragazze e una di loro ci notò; dapprima strabuzzò gli occhi, incredula, poi attirò l’attenzione delle amiche e si diressero verso di noi. Harry si prestò alle solite foto e ai soliti baci, bacini e bacetti e saluti e, finalmente, arrivò sua madre.
Finalmente, ma troppo presto, per i miei gusti.
La persona che scese dall’auto però, con mia sorpresa, non era la madre di Harry.
Gemma!”, esclamò lui, vedendo la sorella che gli andava incontro; quando si raggiunsero, si abbracciarono, e Gemma salutò il fratello: “Harry, che bello vederti! Finalmente, ci mancavi, lo sai?”.
Io restai in disparte, osservando teneramente quei due fratelli che si riabbracciavano dopo molto tempo, sentendo improvvisamente la mancanza di casa mia.
Harry, non appena si sciolse dall’abbraccio della sorella, si voltò verso di me, e mi tese la mano; io la presi e mi avvicinai.
“Gemma, lei è Gioia, la mia ragazza”, annunciò, soddisfatto e felice.
Gemma mi sorrise e mi strinse la mano: “Piacere, io sono Gemma, la sorella di questo sbruffone”.
Io e Harry ci guardammo e scoppiammo a ridere, lasciando Gemma con un’espressione interrogativa, poi io mi presentai: “Scusaci, è un piacere anche per me conoscerti. Io e Harry ci chiamiamo spesso sbruffone o sbruffona, ma lui dice di non esserlo”, poi rivolgendomi a lui, “Visto? Tua sorella è d’accordo con me”, e stavolta fu Gemma a ridere, nel vedere l’espressione sconfitta sul volto di Harry.
Poi caricammo i bagagli in auto e salimmo, dirigendoci verso casa Styles.

In macchina chiacchierammo del più e del meno, e arrivammo in un batter d’occhio: la casa era grande, ma non troppo, ed illuminata. Scendemmo dall’auto, Gemma ci aiutò con le valigie e andò ad aprire la porta.
Non appena entrammo, fummo accolti da un profumo delizioso, e dalla madre di Harry, che venne a salutarci.
Lei e Harry si abbracciarono, poi, come prima, Harry mi presentò.
Anne mi guardò sorridendo, con un’espressione dolce (io ero imbarazzatissima e mi sudavano le mani), poi disse: “Sei ancora più bella dal vivo, tesoro”, strappandomi un sorriso sincero e, questa volta, rilassato.
Risposi, arrossendo leggermente: “Grazie, signora …”.
Lei mi interruppe: “Anne. Chiamami Anne, non voglio sentire “signora”, mi fa sentire vecchia”.
Risi, annuendo con la testa: era proprio uguale alle altre mamme, con le stesse fissazioni e gli stessi occhi che brillavano guardando il figlio.
“Harry, forza, fai vedere alla tua ragazza dove dormirà, sperando che non si spaventi”, incitò.

Harry mi prese per mano e mi guidò su per le scale, poi arrivati al primo piano, prese un’altra scala, a chiocciola e salimmo ancora, finché arrivammo in una specie di mansarda.
“Ecco, questa è la mia camera, e dormiremo qui, se per te va bene”, annunciò con un sorriso timido.
Io avanzai, e mi guardai attorno: c’erano poster e foto ovunque, un armadio a quattro ante e un letto a due piazze e la camera era ordinata; su un lato, c’erano due finestre che davano sul giardino anteriore la casa.
Facendo un grosso errore, mi ero fermata davanti al letto, e Harry ne approfittò immediatamente per prendermi di sorpresa da dietro e saltarmi addosso, facendoci finire entrambi sopra di esso, ridendo come due forsennati.
Mentre ancora stavamo tentando di riprendere fiato, fummo raggiunti da un rumore, o meglio, qualcuno che si schiariva la voce, leggermente imbarazzato; ci voltammo e, appena in cima alle scale, c’era Gemma, che sorrideva.
“Ehi, ragazzi, è quasi pronto, se volete venire …”. Io e Harry ci alzammo velocemente e seguimmo Gemma giù per le scale, spintonandoci affettuosamente.

La serata trascorse velocemente e in modo piacevole; finito di cenare, aiutammo Anne a mettere in ordine, poi io e Harry tornammo in camera e a turno andammo a farci una doccia, per poi uscire; Harry infatti mi aveva proposto di fare un giro per Holmes Chapel.
Mentre aspettavo che lui uscisse dalla doccia, mi vestii e poco dopo fui raggiunta da Anne.
“Ehilà, tutto bene cara?”, chiese con tono gentile.
Risposi: “Certo, grazie Anne. Anzi, grazie davvero per farmi stare quicon Harry … Insomma, noi non … Cioè…”; volevo ringraziarla della fiducia che mi aveva dato, pur senza conoscermi, di farmi dormire con Harry, ma non trovavo le parole, ed ero intimidita.
Lei mi interruppe tranquillamente: “Oh, tranquilla. È stato Harry a chiedermelo, e, dato che torna così poche volte a casa, cerco sempre di accontentarlo, quando è qui. E poi, lui mi ha già spiegato tutto, mi fido”.
A quelle parole reagii arrossendo violentemente e balbettai un “Ok, grazie” fissando il pavimento.
Lei si sedette sul letto e io la imitai: evidentemente voleva dirmi qualcosa, ed io ero pronta ad ascoltarla, di qualsiasi cosa si trattasse.
“Sai, era da tanto che non vedevo Harry così. Cioè, così … Felice. Quella luce che ha negli occhi oggi, mancava da molto. Ovviamente lui è molto soddisfatto per il successo che sta avendo, è contento della band, dei ragazzi … Ma era davvero molto che non era così rilassato e felice grazie ad una ragazza. Si vede che è innamorato, e molto; ci tiene tantissimo a te e, anche se non me l’ha detto, l’ho capito perfettamente. Tu lo rendi felice”.
Non sapevo cosa dire: ero senza parole, sbalordita dal discorso di Anne, e ne ero rimasta piacevolmente compiaciuta.
Ma non volevo che pensasse che fosse una cosa a senso unico, così provai ad esprimerle anche i miei sentimenti.
“Per me è lo stesso, davvero. Non stiamo insieme da molto, ma io lo amo davvero tanto e non credo che lo lascerei mai, se non lo volesse lui, ovviamente. Lui … Sa tirare fuori il meglio di me e quando sto con lui mi sembra tutto una favola, un sogno”.
Anne mi sorrise dolcemente, poi confermò: “Sì, lo vedo anche nei tuoi occhi, Gioia. Hai anche tu quella luce. E, credimi, nessuna ragazza prima mi aveva fatto una buona impressione al primo incontro come te. Tu lo farai stare bene, lo so. Ho fiducia in voi due, e vi sosterrò sempre”.
Ormai ero commossa, non sapevo come ringraziarla per quelle bellissime parole.
E io che avevo avuto paura di incontrarla e di non piacerle; che stupida.
Anne era adorabile e in quel momento capii da chi avesse preso Harry.
“Ehi, mamma, che ci fai qui? La stai terrorizzando?”, insinuò Harry, comparendo in cima alle scale.
Anne rise e rispose: “Oh, certo, la sto convincendo a scappare a gambe levate!”, poi si alzò dal letto e se ne andò, lasciando Harry e me soli.
Harry si avvicinò e si sedette accanto a me. Profumava di buono, e di pulito, e aveva ancora i capelli leggermente umidi. Mi accorsi che avevamo scelto un abbigliamento simile: io avevo addosso un maglione bianco e dei jeans stretti, mentre lui si era messo una T-shirt bianca leggermente scollata e dei jeans aderentissimi, che ne mettevano in risalto le gambe snelle e lunghe.
Era bello, bello come il cielo d’estate, quando è azzurro e senza nuvole.
“Allora, che ti ha detto?”, chiese Harry. “Solo cose belle”, risposi semplicemente.
Lui ribatté: “A te, non si può dire altro”.
Gli posai una mano tra il collo e la spalla, e lo tirai a me per baciarlo.
Lui rabbrividì sotto il mio tocco freddo, poi socchiuse la bocca e mi baciò, tenero e passionale allo stesso tempo.
Poi ci staccammo e lui chiese, sorridendo: “Allora, pronta per conoscere Holmes Chapel? Usciamo”.

Holmes Chapel era quel che si dice una città graziosa: le strade, molto illuminate, erano pulite e in ordine, e correvano tra negozi e abitazioni, anche queste molto carine.
Dopo poco che eravamo usciti, un ragazzo alto e robusto ci venne incontro, salutando Harry con una confidenziale pacca sulla spalla.
“Harry! Che sorpresa, quando sei arrivato?”, esclamò il misterioso amico.
“Ehi, Jay, ciao bello! Stasera, prima di cena”, rispose Harry, poi mi guardò e disse a Jay: “Lei è Gioia, la mia ragazza”.
Jay mi strinse la mano e mi fece l’occhiolino, poi, coprendosi la bocca con una mano, mi disse, fingendo di non farsi sentire da Harry: “Ehi, attenta con questo qui, è un furbone”.
Scoppiai a ridere, e Harry guardò il suo amico e gli disse: “Oh, beh grazie tante! Ma che c’è, vi siete messi d’accordo tutti per farmela scappare via?”, si lamentò, ricordando l’episodio di prima con sua madre.
Poi mi abbracciò stretta, e disse, con tono scherzosamente minaccioso: “Non ti lascerò andare via, mai! Ti rinchiuderò nel mio castello e resterai con me per sempre”.
Io risi leggermente, poi risposi: “Come ne “La bella e la bestia”, insomma”.
Lui si fece serio: “Oh sì, esatto, ma io sono molto peggio della bestia!”, poi urlò e mi morse il collo; entrambi scoppiammo a ridere, poi Jay ci ricordò che era ancora lì, tossendo leggermente imbarazzato.
Io e Harry ci ricomponemmo e lui ci invitò ad una festa per la sera seguente, “Sempre se non avete altro da fare, ovviamente”, sottolineò con una punta di malizia molto evidente.
Harry lo rimbeccò subito: “Beh, la notte è lunga, tranquillo! Ehi, piccola, ti va se ci andiamo?”.
Annuii, anche se ero leggermente imbarazzata da quelle battute e Jay aveva perso parecchi punti.
Poi lui ci salutò e noi potemmo proseguire nella nostra passeggiata, non senza l’accompagnamento di alcuni flash qui e là, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
Arrivammo davanti ad un ponte, e cominciammo ad attraversarlo; poi, quando fummo al centro di esso, Harry si fermò e cominciò a raccontare: “Questo è il ponte dei baci di Holmes Chapel: la leggenda narra che chi si bacia qui alle …”, guardò l’orologio, “Ehm, alle 23 e 04 del 30 dicembre, starà insieme per sempre”, terminò, sorridendo imbarazzato per la gag. Decisi di stare al gioco: “Ok, bello, e quindi?”.
Harry rimase spiazzato dalla mia risposta indifferente, mentre io mi avvicinavo lentamente a lui, sussurrando: “Tu vuoi stare con me per sempre, Harry?”.
Harry annuì con forza, poi chiese: “E tu?”.
“Se non ti muovi a baciarmi il tempo passa e l’incantesimo finisce, Styles”, risposi io, al che Harry mi abbracciò stretto in vita e mi tirò a sé.
Io sorrisi, poi ci baciammo a lungo, credendo per qualche istante a quella leggenda inventata al momento per noi.


Curly space:
Wohooooooooooooooooo! Eccomi qui, questa volta puntuale! :D
Bene, bene, cosa abbiamo qui? L'incontro con la famiglia, ahiahiahi... Beh, ma sembra essere andato tutto bene, no? :3
Che cariniiiiiiiiii <3
Boh, non so cosa dire, questi due sono sempre peggio, nel senso di sdolcinatezza al massimo, ma sono talmente ADORABILI... *.* Vabbè, basta va! ;)
Passiamo ai ringraziamenti:
GRAZIE a Nanek, Tommos_girl93 e Hannies per aver recensito. <3
GRAZIE a bunazza per aver messo la storia nelle Preferite <3
GRAZIE a pilletta per averla messa nelle Seguite <3
E, come sempre, GRAZIE  a tutte quelle che lasciano la visita! Vi adoroooooooooo tutte! <3
Alla prossima, vostra
Curly crush



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Capitolo 15
*** I wanna stay up all night ***


I wanna stay up all night and do it all with you


La sera dopo, ero in panico: non sapevo che cosa mettermi, ed ero terrorizzata dal fatto che avrei incontrato altri amici di Harry; lui percepì il mio nervosismo, così mi chiese se volessi rimanere a casa, ma risposi di no, non volevo privarlo del divertimento e della compagnia degli amici che vedeva così di rado.
Così, alla fine, scelsi un vestito verde, intonato ai suoi occhi, senza maniche, con le spalline larghe, leggermente più stretto in vita, che poi cadeva giù, morbido e un paio di scarpe con il tacco nere, poi mi truccai meglio che potevo, ma non troppo e, quando Harry mi vide, restò a fissarmi a bocca aperta.
La stessa reazione la ebbi io nei suoi confronti: indossava una camicia azzurra, i primi bottoni erano stati lasciati aperti e lasciavano intravedere il tatuaggio appena sotto le clavicole, un paio di pantaloni neri eleganti, immancabilmente stretti e, sopra, la giacca coordinata; aveva tirato su il ciuffo che di solito gli copriva parte della fronte e i suoi occhi risaltavano più che mai.
Ci sorridemmo a vicenda, poi lui disse, in un sussurro: “Sei bellissima”.
Sorrisi timidamente, guardando a terra, poi lui mi sollevò il mento con un dito e mi baciò leggero.
Poi aggiunse: “Non sono sicuro di arrivare alla festa … potrei improvvisamente decidere di fermarmi e portarti in un altro posto, dove stare da soli a festeggiare per conto nostro”.
Devo ammettere che l’idea allettava parecchio anche me, così lo guardai, ma non riuscii a trovare le parole per farglielo capire; ma lui, in qualche modo, capì ugualmente e si aprì in un sorriso smagliante e vittorioso, oserei dire.
Prese il cellulare dalla tasca, digitò un numero, poi guardandomi, attese che qualcuno rispondesse; infine, Jay rispose e Harry cominciò a recitare: “Ciao Jay! Sì, tutto bene, cioè, anzi in realtà, io non sto bene, credo di aver fatto indigestione di qualcosa, è tutto il giorno che sto male”; cominciai a ridere in silenzio, aveva un’espressione davvero buffa e il tono lamentoso che stava usando era straordinario, degno dei migliori attori.
“Già, credo che dovremo restare a casa”, mi fece “OK” con il pollice e l’occhiolino, poi concluse la telefonata: “Già, mi dispiace. No, Gioia non viene, resta qui con me!”, il suo tono si alzò di un’ottava e la sua espressione cambiò totalmente: ora era serio e assolutamente incredulo.
“Sì, mi deve assistere, povera, che Capodanno di merda le farò passare …”, e ricominciò a sghignazzare sotto i baffi.
Mi sentivo leggermente in colpa, ma se a lui stava bene restare a casa o da qualche altra parte con me, che ci potevo fare?
Harry riattaccò, poi disse: “Tutto sistemato”, e si avvicinò a me facendomi capire esplicitamente che cosa avesse deciso di fare.
La casa era vuota, Anne e Gemma erano uscite a festeggiare in un altro posto, convinte che io e Harry saremmo usciti di lì a poco.
Ma, per quella sera, la casa non l’avremmo più lasciata.

Harry mi prese in braccio e mi portò in salotto, appoggiandomi sul divano, poi si mise sopra di me, attento a non pesarmi troppo e cominciò a baciarmi in modo estremamente dolce e avvolgente.
Le sue mani percorrevano il mio corpo, accarezzandomi le braccia nude e soffermandosi sulla scollatura del vestito; le mie, invece, accarezzavano i suoi riccioli folti, per poi scendere lungo il viso, il collo e poi arrivare a quei primi bottoni della camicia, giocherellandoci, senza avere però il coraggio di aprirli.
La sua mano scese lungo le mie cosce, infilandosi sotto il vestito, le mie lasciarono i bottoni per andare sulla sua schiena forte, tracciando il percorso della colonna vertebrale sotto la camicia con le mie dita, poi scesero, fino al fondo della schiena e poi più giù, sul sedere; mi soffermai sulle cuciture laterali dei pantaloni, mentre Harry mi sfilava le calze con assoluta nonchalance, facendomi avvertire il freddo sulle gambe; poi le gettò a terra, sempre continuando a baciarmi appassionatamente.
Spostò la sua bocca sul mio collo, provocandomi brividi e pelle d’oca, mentre io ripercorrevo il percorso di prima all’indietro, restando questa volta aggrappata alla sua schiena.
Avevo le farfalle nello stomaco, e il cuore che faceva mille battiti al secondo, ma non era solo il mio: sentivo anche il cuore di Harry battere contro il suo petto a un ritmo forsennato. All’improvviso, squillò il telefono, ed entrambi sussultammo spaventati; Harry cadde addirittura dal divano, e scoppiammo a ridere, anche se con un leggero imbarazzo.
Harry rispose al telefono e, non appena sentì chi c’era dall’altra parte, si batté una mano sulla fronte. “Sì, mamma, siamo ancora a casa, no, non penso che usciremo. Eh, non ne avevamo molta voglia”, continuò a parlare al telefono guardandomi con una faccia che diceva “Porca miseria ci hanno beccati”, mentre io non sapevo se ridere o piangere; alla fine optai per l’allegria e, non appena Harry mi raggiunse, cominciai a punzecchiarlo su un fianco e a prenderlo in giro.
Lui mi guardò con uno sguardo serio, oserei dire pericoloso, poi andò ad alimentare il fuoco nel camino e subito dopo spense le luci del salotto, che prima erano rimaste accese.
Io mi rannicchiai sul divano, sedendomi a gambe incrociate, e quando ebbe finito di sistemare tutto, Harry venne a sedersi accanto a me; avvicinò il suo viso al mio orecchio, e, soffiando leggermente, chiese: “Allora, dove eravamo rimasti?”.
Io mi voltai, gli presi il viso tra le mani e lo baciai con forza, lasciando Harry quasi sorpreso; ma, dopo un attimo di esitazione, prese a baciarmi anche lui, abbracciandomi in vita e, senza che io me ne accorgessi subito, spingendomi lentamente giù, fino a farmi trovare distesa.
Mi sentivo diversa, dico rispetto a prima che suonasse il telefono: mi rendevo conto di essere più sicura, meno intimidita e … non so, una sensazione strana, era come se io e Harry fossimo esattamente dove dovevamo essere, io e lui e basta, come se non ci fosse nient’altro che potessimo fare in quel momento.
Così mi decisi: le mie mani andarono sicure sulla sua camicia, su quel primo bottone tanto temuto, mentre Harry mi guardava leggermente sorpreso, per poi sorridere e continuare a baciarmi.
Le sue mani vagarono incerte sul mio vestito, come se stesse cercando qualcosa, così lo aiutai: gli presi la mano destra e gliela portai sulla zip laterale del mio vestito.
“Grazie”, disse in un soffio, e mi venne da ridere.
Abbassò la piccola cerniera, poi continuò ad accarezzarmi le braccia, il viso, i capelli, mentre io, ormai persa in quel vortice di baci e batticuore, aprii un altro bottone.
Harry si alzò leggermente, staccandosi e facendo riprendere fiato ad entrambi, ma solo per pochi secondi, poi tornammo immediatamente in apnea.
Sentivo i suoi riccioli morbidi sotto le mie dita, e il suo profumo mi inondava il naso e la bocca.
Improvvisamente, Harry mi prese e mi tirò su, facendoci trovare seduti: cominciò a sollevarmi lentamente il vestito …
Poi chiusi gli occhi, stringendoli incredula, mentre Harry si alzava di scatto dal divano, protestando a gran voce: “Ma no, no, non è possibile porca miseria! Chi è che va a suonare per le case la notte di Capodanno? Cioè, non ci cre…”, ma quando aprì la porta, le parole gli morirono in gola.
Era Jay, insieme ad una ragazza.
Guardai Harry: la sua espressione non prometteva niente di buono, infatti, appena parlò, il tono che ne uscì non era dei più affabili.
“Ehilà, Jay. Come mai non sei alla festa?”, chiese, provando a rimanere tranquillo.
“Harry, disturbiamo? Sai, visto che ci hai detto che non stavi molto bene, abbiamo pensato di portarti un saluto dagli altri e gli auguri, visto che non manca molto a mezzanotte”, rispose Jay, in modo arrogante.
Guardai l’orologio, segnava le undici e trenta. Evidentemente aveva pensato di passare prima per non perdersi i festeggiamenti di mezzanotte al party.
“Beh, grazie”, rispose Harry. Poi aggiunse: “Volete entrare?”; ma, nella sua domanda, la risposta era già chiaramente espressa.
“No, no figurati, poi mi sembra che hai da fare, qui”, disse, spostando lo sguardo da Harry a me.
Arrossii fino alle punte dei capelli, ma fortunatamente Jay decise che era ora di andare e sparì.
Mi alzai lentamente dal divano e mi avvicinai a Harry, che borbottò: “I miei amici non sono tutti così, sul serio, e lui non è uno dei migliori”.
Lo abbracciai per tranquillizzarlo, poi mi guardai nello specchio che c’era in entrata e scoppiai a ridere.
“Beh, non aveva tutti i torti a credere che eravamo impegnati! Guardaci”.
Ci guardammo entrambi allo specchio, e Harry finalmente sorrise di nuovo: i miei capelli erano spettinati, e i suoi erano tutti sollevati e in disordine; oltretutto, io avevo ancora la zip del vestito aperta e quegli unici due bottoni della sua camicia che ero riuscita a sganciare si notavano davvero troppo.
Harry mi avvicinò a lui, poi sospirò, con tono rassegnato ma dolce: “Mi sa che non è serata, oggi …”, e mi richiuse la zip, facendo scorrere delicatamente la mano sul mio fianco; lo guardai, poi risposi: “Beh, ma siamo comunque insieme, no?”.
Poi gli richiusi i bottoni, abbassai il colletto e cercai di sistemare alla meglio i suoi riccioli.
Il suo sguardo si illuminò improvvisamente, poi esclamò: “Ti va di vedere i fuochi di Holmes Chapel? Ti assicuro che ne vale la pena!”.
Come dirgli di no?
Tornai in salotto a recuperare le calze, che si trovavano ancora sul pavimento, poi infilai le scarpe e presi il cappotto, Harry fece lo stesso, poi mi prese per mano, e si diresse … Verso le scale.
Non capivo niente, così chiesi: “Ma, Harry, i fuochi di solito non sono all’aperto?”.
La sua risposta arrivò ovvia: “Certo che sono all’aperto”, mentre prendevamo le scale per arrivare in camera sua.
Non appena fummo lì, Harry mi ordinò di aspettarlo un momento, poi si catapultò giù per le scale e per poco non cadde.
Mi avvicinai alla finestra, e osservai il cielo: era limpido e stellato, come la sera al laghetto.
Harry tornò dopo pochi minuti, portando una bottiglia e due bicchieri, poi si avviò verso uno degli armadi e ne estrasse una coperta, per poi venire da me.
Mi sorrise e mi baciò, e io mi persi in quelle labbra morbide che si muovevano abili e dolci, fino a farmi arrivare su un altro mondo. Harry mi strinse forte a sé, lasciando cadere la coperta e perdendosi anche lui in quel mondo nuovo; poi tornammo a terra, e lui aprì la finestra, dopo aver guardato l’orologio che teneva al polso.
“Manca poco”, affermò, “Dai, vieni qui, avvicinati”.
Feci come mi diceva, poi guidata dalla sua voce, uscii dalla finestra e mi sedetti sul davanzale, seguita poco dopo da lui.
Harry ci avvolse nella coperta, e io mi strinsi ancora di più a lui, un po’ per il freddo, un po’ perché volevo sentire il suo corpo caldo a contatto con il mio. Appoggiò i bicchieri e la bottiglia accanto a lui, poi guardò l’orologio e sorrise.
“Ok, manca ancora qualche minuto, poi sarà un nuovo anno; sai, quest’anno è stato davvero fantastico, per il gruppo, i ragazzi, il successo, insomma … però mi mancava qualcosa che non riuscivo a capire cosa fosse. Poi tu, piccola sbruffona italiana, hai deciso di venirmi addosso, e da quel momento ho capito cosa mi mancava, ed è cambiato tutto. Ti amo, piccola mia, e non sai nemmeno quanto”.
Sorrisi, al ricordo dei nostri primi turbolenti incontri, e pensai a quanto fossero cambiate le cose. In meglio, ovviamente.
“Harry, tu hai cambiato la mia vita, non solo quest’anno. E ti ringrazio infinitamente per questo, davvero. Ti ricordi quando mi hai cantato il tuo assolo, al parco? Beh, TU illumini il mio mondo, Harry. Tu, con i tuoi occhi e il tuo sorriso, e il tuo modo di essere e di starmi vicino. E spero di amarti abbastanza da ringraziarti di esistere. Ti amo, Harry, ti amo, ti amo, ti amo”.
Harry sorrise, poi avvicinò il suo viso al mio e ci baciammo come non ci eravamo mai baciati prima: era un bacio nuovo, appena nato, pieno di amore consapevole e vero.
Neanche l’avessimo fatto apposta, nell’esatto istante in cui le nostre labbra si toccarono, il cielo esplose, illuminandosi di mille colori: i fuochi di Holmes Chapel.
Il nuovo anno.
Io e Harry.
Noi.
Noi sotto una pioggia di luci e colori, noi che ci amavamo e che ci promettevamo di stare insieme per sempre.

Dopo una mezz’ora abbondante, i fuochi terminarono e a Holmes Chapel ripresero i festeggiamenti per il nuovo anno: le urla e i canti si sentivano fin lassù, sul nostro davanzale.
Io e Harry restammo lì ancora per un po’, sorseggiando il vino e chiacchierando e baciandoci. Poi, senza che ce ne accorgessimo, il vino era finito, ed era già l’una della notte. Decidemmo di tornare dentro e scendere in salotto ad aspettare Anne e Gemma per far loro gli auguri, ma non appena appoggiammo i piedi a terra, ci rendemmo conto di essere parecchio instabili e leggermente brilli: io avevo un cerchio alla testa, e Harry ridacchiava sotto i baffi per qualsiasi cosa.
Rientrammo, e quasi inciampai nei miei piedi, ma Harry, in un momento di lucidità, mi prese in tempo; purtroppo però, dovevo aver preso velocità, così finimmo entrambi per cadere, fortunatamente sul letto. Cominciammo a ridere ancora, sempre più forte, con le nostre facce sprofondate nel piumone, poi Harry si tirò su e si mise a sedere, tirandomi per le braccia perché lo seguissi. Continuavo a ridere, non avevo più fiato, così quando mi baciò improvvisamente mancò poco che soffocassi. Mi ripresi, e ricambiai il bacio, poi, spinta da non so quale sicurezza, lo spinsi all’indietro, facendolo stendere. Harry mi guardò leggermente sorpreso, poi sorrise e mi attirò a sé, facendomi accomodare sopra di lui. Leggermente imbarazzata, mi spostai di fianco a lui, che mi abbracciò stretta e restò a guardarmi fisso negli occhi, senza dire niente, senza fare niente. Era bello stare così, abbracciati, vicini, e perdermi nei suoi occhi verde smeraldo, così grandi e dolci.
Non so quanto restammo lì accoccolati, ma so che, pur non essendo successo niente, quella fu una delle migliori notti della mia vita.

Quando Anne e Gemma rientrarono, erano circa le tre e mezzo, e noi ci eravamo addormentati abbracciati, senza accorgercene. Harry mi scosse delicatamente, sussurrando: “Ehi, sono tornate, andiamo a salutarle?”.
Aprii a fatica gli occhi, poi annuii e lo seguii, tenendolo per mano, giù per le scale. Anne e Gemma avevano l’aria di essersi divertite, ma erano anche molto stanche, così ci facemmo velocemente gli auguri, e poi io e Harry tornammo di sopra, mentre loro chiudevano porte e finestre per poi andare a letto.
Arrivati in camera, decidemmo di toglierci i vestiti, davvero troppo scomodi per dormire, ma non avevamo voglia di tornare di sotto in bagno, così ci cambiammo lì, una sotto gli occhi dell’altro.
Harry mi osservò con occhi attenti e uno sguardo parecchio malizioso e sorrise vedendomi arrossire mentre restavo in reggiseno e slip, e mentre lo guardavo togliersi la camicia e i pantaloni; poi, disinvolto, si avvicinò all’armadio, lo aprì e ne trasse una maglietta a maniche corte, e capii che quello era il suo “pigiama”, ma decisi di chiederglielo comunque.
“Quello sarebbe il tuo pigiama, scusa?”, lo interrogai, squadrandolo da capo a piedi.
“Ringrazia che tengo le mutande, sbruffona!”, rispose lui, a tono.
Arrossii violentemente, poi scoppiai a ridere.
Presi la mia valigia ed estrassi il mio, il più carino che avevo e lo indossai.
Harry mi guardò sorridendo e facendo finta di avvicinarsi minacciosamente, così io scappai ridendo verso il letto, e ci saltai sopra, coprendomi immediatamente con il piumone. Harry mi raggiunse subito, si infilò sotto le coperte e mi avvicinò a lui prendendomi in vita; gli cinsi il collo con le mie braccia, ed infilai una gamba tra le sue, sfiorandole con il piede freddo e facendolo rabbrividire.
Ci baciammo un’ultima volta, e poi crollammo addormentati.



Curly space:
Ehmmmmmmmmmm, no, non ho scritto davvero un capitolo del genere... *arrosisce*
Beh, insomma, faccaimo che per questa volta la storia è GIALLA (molto) tendente all'ARANCIONE... :D Ok?! =P
Allora, che ve ne pare? Bel Capodanno, sembrerebbe...
Però, Jay, che odiooooooso! -.-" Guastafeste proprio! U.U
Ma i nostri due innamorati hanno trovato lo stesso il modo di divertirsi stando insieme! Cariiiiiiiiiiiiiii <3

Bon, ringraziamenti:
a massive thank you to Tommos_girl93, Nanek e Hannies per aver recensito! Vi adoooooooro! <3
Poi, a massive thank you ai nuovi arrivi: CherryHaz69 per aver messo la storia nelle seguite, e onlymeandmyself per averla messa nelle preferite! <3

Volevo ringraziare come sempre anche coloro che lasciano la visita :) però, vi chiedo anche un piccolo favore: mi piacerebbe se ogni tanto lasciaste una recensione o un commento anche breve, giusto per sapere cosa ne pensate di questa storia, se vi piace, se avete qualche consiglio e, perchè no, anche qualche critica... Sarebbe utile e mi farebbe molto piacere!

Detto questo, me ne vado!
Al prossimo capitolo,
Curly crush :)
 

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Capitolo 16
*** Other guys see you... ***


Other guys see you but they don't realize that it's my loving


Il mattino dopo ci alzammo tardi; Harry si svegliò per primo, e mi fece sussultare nel letto, infilandomi una mano fredda sotto la maglia del pigiama per sfiorarmi la vita: aprii gli occhi di colpo, sgranandoli, e lo vidi disteso accanto a me che mi guardava sorridendo furbamente.
Sprofondai la faccia nel cuscino, e mugugnai: “Tu sei pazzo!”.
Lui si avvicinò ulteriormente, e mi sussurrò all’orecchio: “Buongiorno, principessa. Buon anno”.
Continuai a borbottare nel cuscino, poi mi voltai leggermente verso di lui, che mi baciò sulla guancia.
Poi saltò giù dal letto e disse: “Aspettami qui, torno subito!”.

Feci come mi aveva detto, e dopo alcuni minuti, tornò in camera con un vassoio pieno di cose da mangiare.
“La colazione è servita, signorina”, annunciò Harry, sorridendo.
Mi tirai su, reggendomi sulle braccia, poi sollevai il cuscino e attesi che Harry si sedesse vicino a me.
Facemmo colazione a letto, entrambi seduti a gambe incrociate, facendo programmi per la giornata: avremmo mangiato a casa, Anne stava già cucinando, e profumi deliziosi arrivavano fino a noi, poi avremmo fatto un altro giro per Holmes Chapel per salutare gli amici di Harry, ai quali la sera prima avevamo dato buca, e in serata saremmo tornati a Londra.

Il pranzo che Anne aveva preparato era davvero squisito, e tutti mangiammo abbondantemente e facendo mille complimenti alla cuoca, che ringraziava arrossendo. Poco prima di pranzo, Harry aveva contattato alcuni dei suoi amici e aveva chiesto loro se fossero liberi nel pomeriggio per incontrarsi, scusandosi anche per la sera prima.

Così, quando furono circa le tre e mezzo, uscimmo, diretti alla piazza di Holmes Chapel.
I suoi amici, White Eskimo al completo compresi, erano già lì, e fra loro c’era Jay; non volevo che avesse una brutta impressione di me, così non appena si avvicinò per salutare Harry con la solita pacca sulla spalla, attirai la sua attenzione.
“Ehi, ciao Jay”, dissi.
Lui mi guardò sorpreso, poi rispose al saluto.
“Ascolta, ieri non credo di essere stata molto gentile con te, e oltretutto ho corrotto Harry per non venire alla festa”, spiegai, tentando di scherzare.
Ma, in fondo, era così.
Jay mi guardò, dapprima serio, poi scoppiò a ridere, ed esclamò: “Beh, sei davvero forte, piccoletta! Avrei voluto vederti mentre lo corrompevi!”.
Harry non perse una singola parola di quel discorso, e mi guardava esterrefatto, sentivo il suo sguardo su di me; mi girai, e spiegai: “Harry, dai, ieri sono stata una stupida. Quindi volevo scusarmi con il tuo amico …”.
Harry scosse la testa, poi andò a salutare gli altri, e temetti di aver fatto qualcosa che non andava, ma, per capirlo, sapevo che avrei dovuto aspettare di restare di nuovo sola con lui, valeva a dire, quando saremmo tornati a casa.

Il pomeriggio passò veloce e in allegria, e scoprii che gli amici di Harry erano davvero gradevoli, anche Jay, che avevo giudicato ingiustamente. Passammo delle ore piacevoli, ridendo e scherzando, e quel gruppo di ragazzi mi fece sentire come una di loro, sembrava che ci conoscessimo da sempre, e non che io fossi la “nuova ragazza” del loro amico famoso; mi divertii davvero, e, quando ci salutammo, capii cosa doveva provare Harry ogni volta che li lasciava per tornare a Londra.

Lungo la strada per tornare a casa, Harry era insolitamente serio e taciturno, il che mi provocò un peso allo stomaco difficile da portare avanti; lui mi teneva per mano, ma lo sentivo distante e, ogni volta che provavo a dire qualcosa, lui liquidava il discorso con risposte brevi e secche.
Ad un certo punto, non riuscii più a sopportare quel peso, e mi fermai di botto.
Harry si voltò a guardarmi con espressione assente, il che mi fece ancora più male.
“Harry, che c’è?”, chiesi, sapendo già che non avrei avuto una risposta.
Niente”, rispose lui, infatti.
“Sì, certo. Niente. So che non stiamo insieme da molto, ma ormai sono in grado di capire se c’è qualcosa che non va, sai?”, insistetti.
“Ah, sì? Beh, bene allora”, rispose secco, e riprese a camminare, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans.
Incredula, sgranai gli occhi, e lo seguii, standogli dietro a fatica. Decisa a non lasciar perdere, accelerai il passo, e mi fermai davanti a lui, prendendolo per le braccia per bloccarlo. Harry era indifferente, guardava un punto lontano, oltre me, e il suo sguardo era offeso, o arrabbiato, non riuscivo a capire. Sentii il groppo salirmi alla gola.
“Harry, per favore, non fare così, abbiamo passato una serata fantastica ieri, e oggi…”, cominciai, ma lui mi interruppe.
  “Già, una serata fantastica. E mi sarei dovuto accontentare, invece di uscire oggi pomeriggio”, disse, sempre evitando il mio sguardo.
“Cosa stai dicendo?”, chiesi, ormai con la voce che mi tremava.
“Che volevo farti conoscere i miei amici, non che tu ti scusassi con loro!”, esplose infine.
Ero basita. Io pensavo di aver fatto una buona cosa, e invece …
Harry approfittò della mia distrazione per staccarsi da me e riprendere a camminare velocemente.
Lo seguii, stavolta più lentamente, poi mi affiancai a lui e mormorai: “Harry, scusami, io pensavo di essere in torto. Insomma, tu torni qui, cosa? Sì e no due volte all’anno? e a causa mia non hai potuto festeggiare con i tuoi amici, pensavo loro fossero arrabbiati con me, soprattutto Jay e …”.
Questa volta fu lui a fermarsi.
Quando mi voltai, finalmente mi guardò, serio, ma c’era una qualche dolcezza in quel cipiglio, così mi avvicinai.
“E’ GRAZIE a te, che non ho festeggiato con loro, non A CAUSA TUA. Ieri sera è stato fantastico, hai ragione tu, e i miei amici, o meglio, Jay, non si devono permettere di intromettersi tra noi, ok? Tu non gli dovevi nessuna scusa, nessuna spiegazione. Sono stato io a decidere di restare a casa”, spiegò lui, con tono calmo.
“Ma allora perché hai reagito così male?”, chiesi, ancora non riuscivo a comprendere la sua reazione.
“Perché non voglio che loro prendano troppa confidenza con te! Tu sei mia e basta”, disse, guardandomi negli occhi.
Era geloso. Era geloso DEI SUOI AMICI. Non ci credevo. Ma come poteva pensare una cosa del genere? Lo guardai incredula, quasi a bocca aperta, e lui sorrise.
“Tu non ti rendi conto di quanto sei bella, Gioia mia. Non lo sai, proprio. Invece gli altri se ne accorgono eccome, è per questo che non voglio che si prendano troppe confidenze. Perché tu hai già me, ormai, e questo voglio che sia chiaro a tutti”, ribadì.
Mi coprii il viso con le mani, lo sentivo bollente, dovevo avere un colore che andava dal rosso al bordeaux: troppi complimenti, non potevo reggerli.
E non potevo credere che Harry fosse così geloso.
“Hai ragione, Harry: io ho già te. E non mi serve nessun altro. Non preoccuparti di questo. Ovviamente per te vale lo stesso”, risposi infine con un sorriso.
Harry mi strinse tra le sue braccia, e mi lasciai cullare leggermente, così, dondolando lentamente avanti e indietro, abbracciati, gelosi e felici.


Curly space:
Yeheeeeeeeeeeeee sono tornata!
Allora allora, cosa abbiamo qui?
Uno Styles gelosone, ma che cariiiiiiiiino! <3 e la nostra Gioia, che non ci crede, ahahahhah, tontaaaaaaaaaa! =P
Beh, ora me ne vo! Mi raccomando, lasciatemi taaaaaaaaaaante visite! XD
Ah, e non perdetevi il prossimo capitolo, ci sarà da ridere, almeno spero... ;) e una sorpresa... :D Vi piacciono le sorprese, vero?! =P
Come sempre, grazie a tutte quelle che stanno seguendo questa storia, mi fate feliceeeeeeeeeeeeee! <3
Alla prossima,
Curly crush ;)


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Capitolo 17
*** We wanna live while we're young ***


We wanna live while we're young


Il primo mese con Harry fu assolutamente una cosa fuori dal normale, ovviamente in senso positivo.
Non riuscivamo a vederci spesso, a causa dei suoi e dei miei impegni: dopo la fine delle vacanze, lui aveva cominciato le prove con i ragazzi per il tour che sarebbe iniziato a fine febbraio e che li avrebbe portati in giro per il mondo per un anno, e io ero tornata a scuola, dove mi avevano massacrata di compiti e studio, ed al pub, dove invece, nonostante l’abbondante frequenza di clienti riuscivo a rilassarmi.
Io e Harry riuscivamo a incontrarci circa una volta alla settimana, quando andava bene addirittura due, e ogni volta il tempo volava, crudele.
Ma, grazie a Harry, tutto continuava a sembrare una favola, e i momenti che passavamo insieme erano indimenticabili.

Poco prima che arrivasse il giorno del nostro primo “mesiversario”, Harry mi disse che voleva presentarmi ai ragazzi, così decidemmo un giorno in cui sarei andata a casa sua (o meglio, loro) a conoscerli.
Dal 18 al 20 gennaio andarono in Giappone, e furono tre giorni lunghissimi, anche perché a causa del fuso orario non riuscimmo a sentirci; il fine settimana seguente sarebbero andati in Francia, a Cannes, per gli NRJ Awards, così optammo per un giorno in mezzo ai due eventi, il 21 gennaio.

Quel mattino ero davvero agitata, camminavo su e giù per l’appartamento con mille pensieri per la testa, avevo paura di non piacere ai ragazzi e che non mi reputassero all’altezza di Harry, e la notte non avevo dormito molto, nonostante le rassicurazioni di Harry della sera prima.
Aprii l’armadio e sbuffai: altro problema, l’abbigliamento. Trovai una gonna blu a vita alta che mi arrivava leggermente sopra le ginocchia, poi un golfino grigio perla e una canotta in tinta; pensai che sarebbe andato bene come completo, era semplice ma elegante, e, cosa più importante, mi ci sentivo a mio agio.
Dovevo essere a casa dei ragazzi per mezzogiorno circa, avremmo mangiato insieme, ma uscii di casa verso le undici per comprare qualcosa di dolce da portar loro. Entrai in una pasticceria e acquistai un bel vassoio di pasticcini assortiti, poi andai verso la metro e presi il primo treno che passò.
Scesi alla fermata vicino a casa di Harry, e mi diressi sicura verso Primrose Hill. Ricordavo la strada da quella volta in cui Harry voleva mostrarmi dove abitava, ma non eravamo riusciti a raggiungere la casa a causa dei paparazzi.
Quando arrivai, però, non seppi che fare, vicino al cancelletto c’erano diversi campanelli, ma nessuno corrispondeva ai nomi dei ragazzi.
Presi il cellulare e chiamai Harry, che rispose al primo squillo: “Ehi, piccola, tutto bene? Quando arrivi?”.
Sorrisi, sentendo l’entusiasmo nella sua voce, e risposi: “Veramente sono già qui, mi apri?”.
Harry riattaccò senza dirmi niente e dopo pochi secondi me lo trovai davanti, mentre mi apriva il cancelletto.
Ci salutammo con un bacio, poi mi cinse le spalle con un braccio e salimmo verso il loro appartamento.
Dalle scale potevo già sentire le voci di Louis e Zayn, che sembravano molto agguerriti, e, non appena Harry aprì la porta, ne scoprii il motivo e mi venne da ridere.
Louis e Zayn erano impegnati in una partita di calcio alla Playstation, e sembravano davvero in competizione: Louis arrivò addirittura a tirare un cuscino in faccia a Zayn per distrarlo, evidentemente stava perdendo; Liam, invece, era seduto sul poggiolo del divano accanto a loro, e seguiva la partita divertito e commentando le azioni; non riuscivo a vedere Niall, sembrava non ci fosse, ma da qualche parte sentivo canticchiare, ed ero quasi sicura che fosse lui.
“Ehm, ehm, ragazzi …”, Harry si schiarì la voce, attirando l’attenzione dei ragazzi.
Louis fu il primo ad alzarsi dal divano, mollando il telecomando sulle gambe di Zayn, ed esclamando con tono superiore: “Tu continua a giocare pure, pivello! La prossima volta ti straccio!”.
Poi scavalcò il divano e corse incontro a me e a Harry; Zayn, più tranquillo, spense il gioco e si avvicinò a noi, mentre Liam chiamava a gran voce il “resto della gente”.
Con mia grande sorpresa, comparvero, oltre a Niall, Perrie, Eleanor e Danielle.
Harry mi sussurrò all’orecchio: “Erano curiose, volevano assolutamente conoscerti anche loro…”, e, dopo un attimo di esitazione, mi rilassai e salutai tutti con un sorriso.

Erano tutti lì, davanti a me, facevo fatica a credere ai miei occhi. Soprattutto per il fatto che visti dal vivo erano ancora più belli che in qualsiasi fotografia, e non è una cosa semplice da realizzare. In quel momento però, stavano tutti aspettando un mio cenno, non potevo restare lì imbambolata a fissarli senza dire niente. Avrei fatto le mie riflessioni profonde più tardi.

“Ehm, ciao, io sono Gioia”, dissi timidamente.
“Oh, finalmente ti conosciamo! Harry ci ha fatto una testa così a forza di parlare di te!”, esclamò Louis, poi mi tese la mano, ignorando Harry che sbuffò alla sua battuta, e si presentò, come se servisse: “Io sono Louis!”.
Mi scoccò due baci sulle guance, poi gli altri, un po’ alla volta lo imitarono: Zayn mi strinse la mano e mi stese con uno dei suoi sorrisi da infarto, Liam mi baciò la guancia stringendomi la mano e dicendo “Finalmente riusciamo a vederti in carne ed ossa”; poi fu il turno di Niall, che mi strinse la mano e poi scusandosi tornò immediatamente in cucina, “altrimenti si brucia tutto!”.
Harry mi fece togliere la giacca e la appoggiò sull’attaccapanni in entrata, poi mi accompagnò in salotto assieme agli altri. Le ragazze erano state davvero gentili, e ognuna di loro aveva fatto una battuta sui ragazzi, dicendomi che ero stata coraggiosa ad entrare in quel gruppo. I ragazzi, soprattutto Louis, mi bombardarono di domande, mentre Harry assisteva divertito a quella conoscenza improvvisata. Poi si alzò, raggiungendo Niall in cucina, e lasciandomi lì con i suoi amici e amiche: temevo che sarebbe calato il solito silenzio imbarazzante, invece mi sbagliavo. Ormai ero una di loro, dopo pochi minuti non ero già più la “nuova”, e questo mi piaceva molto; le mie paure di non piacergli si erano rivelate infondate, dovevo imparare a fidarmi un po’ più di me stessa.

Il pranzo cucinato da Niall si rivelò ottimo, così glielo dissi, e lui arrossì, facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
Harry ogni tanto mi lanciava sguardi leggermente apprensivi, ma quando mi vedeva sorridergli, capiva che tutto stava andando per il meglio, e si rilassava anche lui.
Era davvero bello stare in mezzo a quei cinque pazzi, e vedere le loro ragazze trattarli a volte teneramente, a volte con accondiscendenza, sembravano una grande famiglia di cui ora facevo parte anche io.

Dopo il pranzo, io e le ragazze spreparammo e mettemmo in ordine la cucina, mentre i ragazzi riprendevano le partite a calcio, accompagnati dalla musica che Niall suonava con la chitarra. Eleanor mi chiese se avessi sentito la mancanza di Harry quando erano stati in Giappone, e ammisi che sì, mi era mancato davvero troppo.
“Ma questa cosa passa, dopo un po’?”, chiesi loro.
“Dipende, per esempio, io mi ci sono abituata abbastanza”, rispose sorridendo Eleanor.
“Io invece no, per il momento”, si aggiunse Perrie.
“Per me è diverso, cioè, ne sento la mancanza, ma cerco di ignorarla, altrimenti mi rattristo”, confessò infine Danielle, con un sorriso rassegnato. Poi mi chiese: “Ma com’è che vi siete conosciuti tu e Harry? Perché l’ho chiesto a Liam, ma lui mica mi dice cosa gli raccontano i suoi amici!”, e rise dolcemente.
Le altre mi guardarono incuriosite, così raccontai del nostro scontro e degli incontri successivi, fino a che Harry non mise la testa in cucina e chiese, scherzando: “Ehi, me l’avete rapita per caso?”.
Perrie, Danielle ed Eleanor risero, poi uscimmo dalla cucina e ci unimmo ai ragazzi sul divano e sulle poltrone. Io mi accomodai in braccio a Harry, che mi strinse forte, e mi chiese, soffiandomi nell’orecchio: “Allora, come sta andando?”.
Gli sorrisi, poi risposi piano: “I ragazzi sono fantastici, Harry, e anche le ragazze! Non me ne andrei più da qui, sto davvero bene con voi”.
Lui sorrise contento, poi tirò un cuscino a Niall, che in quel momento stava strimpellando a caso, e lo incitò a suonare qualcosa di sensato. Niall sorrise, divertito, poi cominciò a suonare “Little things”, e, poco dopo, tutti ci unimmo a lui.
Era la prima volta che li sentivo cantare tutti insieme senza che ci fosse uno schermo di mezzo, ed era fantastico. Ognuno aveva un timbro di voce diverso, ed ognuno cantava a suo modo, ma tutti avevano la stessa passione e la stessa luce negli occhi. Mentre cantava, Harry mi guardava fisso, sorridendo e facendo espressioni strane con gli occhi, e mi pizzicava i fianchi, facendomi il solletico.
Quel momento sembrava talmente irreale, era davvero troppo bello per essere vero, così dissi a Harry sottovoce di darmi un pizzicotto più forte, ma lui, invece di fare quello che gli avevo chiesto, mi baciò, facendomi perdere la cognizione del tempo e dello spazio, e facendomi dimenticare che oltre a noi due c’erano altre sette persone; furono proprio loro a riportarci alla realtà: Louis, Niall, Zayn e Liam cominciarono a fischiare e ridere ed applaudire, mentre le ragazze tentavano di zittirli, senza successo. Nascosi il viso nella spalla di Harry, mentre lui rideva, arrossendo leggermente, anche lui come me.
Niall aveva finito di suonare, e non ce n’eravamo nemmeno accorti, e ci stava guardando sorridendo teneramente. Louis si alzò dal divano e si piazzò davanti a noi, guardando Harry.
“Posso rubarti la piccoletta italiana un momento?”, chiese gentilmente.
Harry lo guardò sorpreso, poi mi sciolse dall’abbraccio e rispose: “Certo, Lou, ma un momento solo eh!”.
“Grazie cucciolo!”, sorrise Louis, prendendolo in giro.
Poi mi alzai, e mi prese a braccetto, portandomi verso la cucina. Mi voltai un attimo per assicurarmi che fosse tutto a posto: Eleanor stava parlando con Perrie e Danielle, assolutamente tranquilla, mentre Harry ci seguì con lo sguardo finché sparimmo dietro la porta della cucina, che Louis chiuse piano dietro di noi.
“Allora, stai tranquilla, non voglio fare niente di male, volevo solo proporti una cosa”, spiegò con tono calmo.
“Ok, dimmi tutto”, risposi.
“Beh, fra qualche giorno è il compleanno di Harry, e noi gli stiamo organizzando una festa a sorpresa. Quindi, avevamo pensato che sarebbe bello –e ovvio- se ci fossi anche tu!”, disse Louis, sorridendo.
“Davvero? Che bello! Grazie! E posso dare una mano per qualcosa? Ti prego ti prego ti pregoooooo!”, implorai.
Volevo assolutamente fare parte di quella specie di famiglia pazza, e volevo fare qualcosa di bello per Harry.
Louis sorrise, divertito dalla mia reazione, poi aggiunse: “Certo che puoi fare qualcosa, anche perché noi questo fine settimana siamo in Francia, e da lì non possiamo fare molto … Quindi pensavamo che tu, El, Perrie e Danielle potreste andare avanti nell’organizzazione mentre noi siamo via”.
“Va bene, perfetto, che devo fare?”, chiesi con entusiasmo.
Louis rise di nuovo, poi rispose: “Allora appena puoi, quando Harry non ti vede, scambia i numeri di cellulare con le ragazze, così potete mettervi d’accordo quando volete”.
“D’accordo, grazie Louis!”, risposi sorridendo.

Harry è importante per te, vero?”, chiese inaspettatamente dopo alcuni istanti di silenzio.
“Sì, Louis, davvero tanto, non lo lascerei per nulla al mondo”, confessai arrossendo.
Louis sorrise, poi disse: “Sì, è quello che mi dice anche lui ogni volta che gli chiedo di te …”.
Al sentire quelle parole, ebbi un tuffo al cuore.
Poi Louis continuò: “Sembra davvero innamorato, e felice. Era tanto che non lo vedevo così, ed è tutto grazie a te. Sai, di solito sono geloso delle ragazze di Harry, perché ho paura che lo facciano soffrire, è il mio migliore amico, e odio vederlo star male. Lui sembra forte, ma in realtà è davvero molto fragile. Ma non credo che tu sia quel tipo di persona che lo farà soffrire, anzi ne sono certo”.
Aveva fatto tutto questo discorso guardandomi intensamente negli occhi, e quello sguardo così profondo mi aveva messo quasi in soggezione; si capiva che avrebbe fatto davvero di tutto per proteggere Harry, doveva volergli davvero molto bene.
Tentai di trovare qualcosa da dire che potesse “rassicurarlo”, ma non mi uscì che un “Non lo farò, Louis, è una promessa. Lo amo davvero, non potrei mai ferirlo”.
Louis sorrise, dicendo “Lo so”, poi uscimmo dalla cucina per tornare dagli altri. Harry mi corse quasi incontro, chiedendomi cosa volesse “Boobear”.
Scoppiai a ridere, e gli risposi che era un segreto, al che Harry incrociò le braccia sul petto e fece il finto offeso.
“Ma guardatelo, quello che fra pochi giorni compie 19 anni!”, lo punzecchiò Zayn.
Harry prese un cuscino e glielo tirò, sbuffando: “Sì, va bene, se devo essere un bambino, voglio farlo bene allora!”.
Zayn schivò il cuscino, poi lo raccolse e glielo ritirò addosso, colpendolo in piena faccia.
Harry spalancò gli occhi e minacciò: “Ah, vuoi la guerra? E guerra sia, allora!”.
Non avrebbe dovuto farlo.
Da quel momento si scatenò il putiferio: cuscini volavano ovunque, e ogni persona lì presente veniva colpita e colpiva, ridendo a crepapelle.
La giornata aveva preso una piega piuttosto battagliera, e nessuno se ne sottrasse.
Tentai di nascondermi dietro a Harry, ma lui si spostava in continuazione, così ci rinunciai e mi buttai nella mischia, colpendo chiunque mi capitasse a tiro; le risate cristalline delle ragazze venivano coperte da quelle sguaiate dei ragazzi, ma nelle urla ce la cavavamo sicuramente meglio. A ogni cuscinata che ricevevo sgranavo gli occhi e rispondevo con un’altra, ottenendo la stessa reazione.
Ad un certo punto, colpii Harry alle spalle, lui si girò velocemente ed esclamò: “Traditrice! Colpire così, alle spalle! Non si fa”; scoppiai a ridergli in faccia, e lui come risposta mi prese fulmineamente, caricandomi in spalla, e portandomi via dalla battaglia, chissà dove.
Liam ci vide, ed urlò: “Codardi, dove pensate di andare? Venite qui a combattere!”, ma Harry lo ignorò ridendo come un pazzo, e continuò la sua fuga con me in spalla.
Arrivammo davanti ad una porta, che Harry aprì con la mano libera, poi la richiuse dietro di noi; nel frattempo, la guerra in salotto e le urla proseguivano.
Harry borbottò: “Sei stata meschina, quindi ora ti tengo in ostaggio qui”, poi mi scaricò.
Eravamo in camera sua. Mi guardai intorno: la stanza ricordava molto quella della sua casa di Holmes Chapel, c’erano due grandi finestre che davano sul giardino e un letto a due piazze. Il resto era caos: c’erano magliette e pantaloni ovunque, poster e fotografie sui muri e sull’armadio, alcuni libri e dvd sopra quella che assomigliava ad una scrivania, e una sedia, anch’essa ricoperta di vestiti, blazer, più che altro.
“Ehm, scusa il casino, non ho fatto in tempo a riordinare …”, si scusò timidamente.
Lo guardai e sorrisi, per niente disturbata da quel disordine; in fondo, era la sua vita, era un altro modo di conoscerlo meglio.
“Quindi io ora sarei in ostaggio?”, ripresi il suo discorso.
“Certo, te lo meriti, è questa la punizione per chi colpisce alle spalle”, rispose divertito.
“Oddio, no! Louuuuuuuuuuuuis! Aiuto! Harry mi tiene in ostaggio, aiutatemiiiiiiii!”, cominciai ad urlare, ma Harry mi bloccò e mi mise a tacere con un bacio.
Sorrisi, presa, e lo abbracciai.
“Beh, come prigionia non è male, devo dire”, confessai, quando ci staccammo.
“C’è anche di meglio, se vuoi”, rispose veloce Harry, prendendo la palla al balzo.
“Mmmmmh, no!”, esclamai, e feci uno scatto verso la porta, ma lui fu più veloce e la bloccò, mettendosi davanti.
Scoppiai a ridere, poi mi avvicinai a lui e lo abbracciai in vita, fissandolo intensamente e, volutamente, con sguardo malizioso; Harry mi guardò, dall’alto, e sorrise, furbo. Allora attaccai: cominciai a fargli il solletico nei fianchi, poi sul collo, facendolo piegare e ridere, finché non si accasciò sul pavimento, sfinito.
Mi chinai, gli diedi un bacio veloce, poi lo scavalcai e corsi fuori dalla camera, ridendo, e facendomi raggiungere poco dopo nel corridoio.
Harry mi arrivò davanti di corsa, ma non si fermò in tempo, così mi venne addosso, spingendomi al muro; colse l’occasione, e mi intrappolò con le braccia, poi lo tirai a me per la maglietta, avvicinando il mio viso al suo, ma senza baciarlo.
Lui ci provò, ma io mi girai velocemente, dandogli solo la guancia. Poi mi voltai di nuovo verso di lui, e lo fissai negli occhi; lui ricambiò lo sguardo, e tentò di baciarmi, ma gli sfuggii di nuovo. Si morse il labbro inferiore, e mi guardò. Questa volta fui io ad avvicinarmi, e lui a tirarsi indietro.
“Eh no, cara mia, troppo facile così … Adesso dovrai aspettare finché non deciderò di baciarti di nuovo io”, disse in un soffio.
Poi mi prese per mano e tornammo in salotto, dove la guerra dei cuscini era terminata, e tutti stavano riprendendo fiato e bevendo qualcosa. Ci unimmo a loro, che ci guardarono incuriositi, poi Niall annunciò: “Beh, ragazzi, vi siete persi la più epica delle battaglie a cuscinate! Siete dei loser”.
Gli altri risero e gli diedero ragione, mentre Harry replicava: “Guardate, non sapete neanche a cosa ha portato questa guerra … La traditrice, qui, non avrà più baci finché non lo decido io!”.
Lo guardai, sorpresa che mettesse i suoi amici al corrente di questa trovata, ma subito dopo capii il perché.
Infatti Louis insinuò immediatamente: “Scommetto invece che sarai tu a non resistere per più di dieci minuti”.
 Gli altri lo sostennero con dei “Già, sì dai, provaci, vogliamo vedere!”.
A quel punto, quella che ci rimetteva sarei stata io, così mi intromisi, esclamando: “Eh no, che cavolo ragazzi, qui ne va della mia dipendenza! Non facciamo scherzi eh!”.
Tutti mi guardarono un momento in silenzio, sorpresi da quella mia uscita drammatica, poi scoppiarono a ridere insieme a me, mentre Harry mi guardava divertito, quasi fiero.
Mi avvicinai, ma non mi baciò, così misi il broncio ed andai a sedermi tra Niall e Louis, che mi accolsero felici, spalleggiandomi.
Poi guardai Harry con aria di sfida, e capii di aver vinto: era troppo geloso perfino per sopportare che stessi tra i suoi migliori amici, così si avvicinò velocemente al divano, mi si piazzò di fronte, mi prese le mani e fece alzare di forza.
Mi sorrise, essendosi ormai arreso.
Poi mi baciò, dicendomi: “Mi hai fatto perdere la scommessa, sbruffona”; io risposi: “Non mi dispiace per niente, tesoro”.
Louis, Niall, Liam e Zayn e le ragazze risero e si misero ad applaudire, venendo subito fulminati da Harry.
Poi, guardando Louis e Niall, disse, minaccioso: “Questa me la pagate, voi due”.
Louis lo guardò serio, poi con un movimento velocissimo, prese un cuscino, e urlando “Ma per favore!”, glielo lanciò addosso, poi scappò via, verso le camere, e Harry lo inseguì, scivolando sul tappeto e quasi cadendo.
Ne approfittai per avvicinarmi alle ragazze e fare ciò che Louis mi aveva consigliato.
Dopo pochi minuti, Harry e Louis tornarono, camminando a braccetto e ridendo tra loro.

Restai lì ancora un’ora, poi quando cominciò a diventare buio, dissi a Harry che me ne sarei andata, anche se mi dispiaceva molto lasciare quella casa e quei ragazzi così divertenti. Harry mi disse che mi avrebbe accompagnata a casa, perché “non si fidava a lasciarmi andare in giro da sola di sera”.
Salutai i ragazzi, che mi chiesero di tornare appena potessi, e mi invitarono anche allo studio di registrazione per vederli mentre provavano per il tour.
Liam aggiunse: “Tanto loro –indicò Danielle, Perrie ed Eleanor- ci sono spesso!”.
Risposi che sarei andata volentieri a trovarli, e chiesi a Harry di darmi l’indirizzo.
Alla fine salutai tutti con un bacio sulla guancia, poi io e Harry scendemmo per andare a prendere la macchina, e ci dirigemmo verso casa mia.

“Riusciamo a vederci prima che tu parta di nuovo?”, chiesi a Harry quando fummo fermi davanti al mio condominio.
“Mmmh, non lo so, abbiamo un sacco di cose da fare in questi giorni, ma ci proverò, lo prometto”, rispose sorridendo.
Mi accarezzò una guancia, e chiusi gli occhi per concentrarmi sul suo tocco delicato.
“Sei stata fantastica oggi, piccola mia”, sussurrò, “Non potrei davvero sognare una ragazza migliore”.
Sorrisi, e lo baciai.
“TU sei fantastico, Harry, e ancora non riesco a credere di stare con te. Sei una persona unica, sei dolce, sei gentile, sei buono, e mi fai stare bene, come nessun altro prima”, risposi.
Sarei rimasta in quell’auto, in quei pochi metri di spazio, per sempre, solo con lui, perdendomi nel suo profumo e nei suoi baci, ma ad un certo punto dovemmo salutarci. Mi baciò un’ultima volta, poi scesi dalla macchina, e salii al mio appartamento, mentre lui tornava a casa dai suoi “fratelli”.




Curly space:
Ehilaaaaaaaaaaaaaaaaaaà! Sono tornataaaaaaaaaaaaaa! :)
Dio, non sapete quanta voglia avevo di pubblicare questo capitolo... ;)
Che ne pensate?
La nostra protagonista finalmente conosce i ragazzi (WAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!)! Quanto fuori di testa sono, eh?! =P
Carini loro! E Louuuuuuuu *.* Go Tomlinson, party organizerrrrrrrrr! :D
Ahahahah basta sto delirando... =P

Allora allora, ho visto dei nuovi arrivi nelle "Ricordate", quindi:
GRAZIE a Chialoves1D_ Smiler and lovectioner_ e Stefania1996 ;)
E GRAZIE per le recensioni/ commenti brevi niky_loveharry, Nanek e RenesmeeMellark :)
Vi adoroooooooo tutte, anche quelle che leggono e basta! <3
Alla prossima,
Curly crush ;)

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Capitolo 18
*** She's calling out ***


She's calling out


Il giorno dopo, mentre stavo ancora a scuola, fui distratta dalla vibrazione del mio telefono: avevo ricevuto un messaggio, così guardai il mittente. Harry. Sorrisi, curiosa di sapere cosa mi avesse scritto, e aprii il messaggio.
 


Un mese fa, circa a quest’ora, eravamo sul London Eye, sopra Londra, e ti baciavo per la prima volta! <3 Buona giornata, piccola :)
 


Guardai la data e l’ora: 22 gennaio, mezzogiorno. Sorrisi. Sì, aveva ragione, esattamente un mese prima trascorrevamo la nostra prima giornata insieme. Il nostro primo bacio. Mi sembravano passati solo pochi giorni, e invece era già un mese. Trasalii, quando Ana mi diede una gomitata per attirare la mia attenzione. Il professore mi stava fissando con sguardo severo, così mi scusai e ripresi a concentrarmi.
Quando uscimmo da scuola, risposi a Harry, dicendogli che era stato il mese più incredibile della mia vita e che avevo voglia di abbracciarlo. Ma sapevo che per quel giorno non sarebbe stato possibile, lui e i ragazzi avevano una giornata davvero piena, e non mi andava di disturbarli, o fargli perdere tempo.
Trascorsi la mia giornata tranquillamente, senza particolari eventi, se non per alcune ragazzine che incrociai per strada e mi riconobbero: mi salutarono, sorridendo, e poi mi chiesero come stesse Harry; io risposi che stava bene, e alla fine se ne andarono soddisfatte. Ma, in realtà, quella più felice ero io: non mi sembravano particolarmente arrabbiate o gelose, proprio no, e questo mi faceva piacere e, oltretutto, mi sembrò di sentirle dire, mentre se ne andavano, che io e Harry stavamo proprio bene insieme.

La sera, Harry mi chiamò, e fui felice di sentire la sua voce calma e roca. Parlammo del più e del meno, e gli raccontai l’episodio delle ragazzine, il che lo rese felice e speranzoso. Mi disse che avrebbe voluto portarmi a Cannes con lui e i ragazzi, ma Paul gli aveva negato il permesso, senza dargli spiegazioni, così scoppiai a ridere, immaginandomi la scena del piccolo Harry Styles che chiedeva al grande Paul di portare la sua fidanzatina in Francia.
Dopodiché ci salutammo, Harry mi augurò la buonanotte, e riattaccammo.

I giorni seguenti non riuscimmo a vederci, come Harry aveva previsto, ma perlomeno riuscivamo a sentirci per telefono almeno una volta al giorno.

Il venerdì –proprio il giorno del nostro primo “mesiversario”- partirono per la Francia.
Non appena atterrarono Harry mi chiamò per “fare gli auguri alla sua piccola sbruffona” per il primo mese insieme, ma fu una telefonata breve e disturbata, malgrado Harry si fosse rifugiato (così mi disse) in un bagno.
Sorrisi nel sentire il suo tono seccato mentre rispondeva che il bagno era occupato, ed imprecando subito dopo perché aveva capito che oltre la porta c’erano dei paparazzi.
Dopo alcuni istanti fummo costretti a salutarci e a riattaccare, ma Harry mi promise che avrebbe tentato di chiamarmi in serata. Lo tranquillizzai, dicendogli che facesse ciò che doveva fare e che non si preoccupasse per me.
Oltretutto, avevo una festa da organizzare.

Proprio in quel primo pomeriggio di “solitudine”, chiamai Eleanor per sapere come organizzarci. Ci mettemmo d’accordo per incontrarci con Perrie e Danielle la sera, a casa di Perrie, così da lavorare in santa pace, senza commenti indiscreti che sarebbero senz’altro arrivati ai ragazzi in Francia, rovinando così la sorpresa per Harry.
Così, quella sera, verso le otto, ci trovammo lì per mangiare insieme e darci da fare.
Stare in compagnia di quelle ragazze non aveva nessuna differenza rispetto allo stare con Ana, o con la mia migliore amica in Italia: erano tre ragazze assolutamente normali, simpatiche ed estremamente dolci, che si divertivano con poco ed andavano d’accordo tra loro, e, ora, anche con me, senza farmi pesare un momento il fatto che fossi nuova, in quel mondo.
Cominciammo a pensare al posto dove fare la festa, e mi misero al corrente che per gli invitati e il cibo ci avrebbero pensato i ragazzi.
“Noi dobbiamo solo trovare il posto, alla fine, perché abbiamo più buon gusto, almeno secondo Zayn”, spiegò Perrie, addolcendosi mentre nominava il suo ragazzo.
Danielle ed Eleanor annuirono, trovandosi d’accordo con lei, così ognuna cominciò a proporre vari locali dove sarebbe stato possibile festeggiare, ma io non ne conoscevo quasi nessuno, così le ragazze me li descrissero, pazientemente. Pensai anche io a qualche posto, cercando tra quelli in cui ero stata con Harry, poi, improvvisamente, mi venne un’idea pazza ma sicuramente originale.
Io ce l’avrei un posto”, affermai, guadagnandomi l’attenzione di tutte e tre.
“Dai, raccontaci”, mi incitò Danielle.
“Allora, non so se sia fattibile, ma … C’è una villa abbandonata che Harry conosce, o meglio, ne conosce il giardino, e gli piace molto. Però, essendo abbandonata, non so se sia possibile farci una festa …”, spiegai.
“Beh, ma ci possiamo informare. È un’idea fortissima, Gioia! Dai, magari domani ce la fai vedere e proviamo a cercare qualcuno a cui chiedere informazioni”, esclamò Eleanor.
Danielle e Perrie si trovarono d’accordo, entusiaste anche loro, così decidemmo un orario per il giorno seguente per andare a vedere la villa.
Mentre stavamo decidendo dove incontrarci, il mio telefono squillò; guardai il numero sul display: era Harry, così chiesi alle ragazze se potessi rispondere un attimo; come se avessi chiesto la cosa più stupida su questo mondo, risposero quasi in coro: “Ma certo, vai pure!”, e poi sorrisero dolcemente.
Andai nel corridoio, e risposi.
“Pronto, Harry?”
Dall’altra parte sentii un caos incredibile, ma riconobbi le voci di Louis, che urlava come un pazzo, e di Niall, che rideva, altrettanto divertito.
“Dai, smettetela deficienti!”, rise Harry, poi finalmente ci fu silenzio; probabilmente Harry si era spostato da un’altra parte, lontano da loro.
“Ciao italiana”, mi salutò infine.
“Ciao inglese”, risposi, “Come va?”.
“Bene, anzi molto bene, ci stiamo divertendo davvero tanto”, rispose.
Potevo sentire il suo sorriso nella sua voce.
“Oh, beh, quello lo immagino, stando agli altri due …”, risposi sorridendo.
“Ah, lasciali perdere quei due pagliacci …”
“Oh, ma pagliacci a chi? Ma guardati, per favore!”, intervenne Louis dall’altra parte.
“Sì infatti, parla Mister Serietà!”, si aggiunse poi Niall.
A quanto pare lo avevano raggiunto.
“Ma, scusate, posso fare una telefonata in santa pace o devo chiudermi in bagno sul serio?!”, rispose Harry.
Louis e Niall scoppiarono a ridere, ma non furono gli unici: sentii anche Zayn e Liam aggiungersi alle risate.
“Tanto poi ti trovano lo stesso anche lì”, affermò Zayn, ridendo.
“Ciao ragazziiiiiiiii!”, esclamai io.
Ormai era diventata una conferenza, quindi decisi di partecipare anch’io. 
“Gioia vi saluta”, Harry informò i ragazzi, al che tutti risposero in coro: “Ciao Gioiaaaaaaaaaaaa!!”.
Scoppiai a ridere, erano completamente pazzi.
Sentii un ulteriore rumore, e Harry che protestava, poi sentii la voce di Louis più vicina: doveva avergli preso il telefono dalle mani.
“Ehi ciao! Sono Lou, come va? Tutto bene lì con l’organizzazione della merenda?”, chiese la voce di Louis.
Risi, intuendo di cosa stesse parlando, così risposi: “Sì, certo, tutto ok! Sono con le ragazze adesso”, aggiunsi sottovoce.
Dall’altro lato, sentivo Harry lamentarsi: “Merenda? Ma di che cavolo stai parlando? Posso riavere il mio telefono E LA MIA RAGAZZA, per favore?!”.
Infine, Louis mi salutò e restituì il cellulare a Harry, che sbuffò e li cacciò definitivamente dalla stanza, non senza che prima urlassero un ultimo “Ciao Gioia!” collettivo.
“Ma di che stava parlando Lou?”, chiese Harry, che non stava capendo più niente.
“Ah, niente tranquillo, è un discorso che è uscito quando sono venuta a casa tua, niente di che”, risposi evasiva e ridendo sotto i baffi.
“Vabbé dai, che mi racconti? Cosa stai facendo di bello?”, chiese.
“Mah, niente di che, sono a casa, guardo un film … voi che avete fatto oggi?”, risposi, tentando di cambiare argomento. Funzionò: Harry mi raccontò la sua giornata e di tutte le persone che avevano incontrato, e di alcune fans che gli avevano chiesto di me.
Poi venne il momento di salutarci; perfino le telefonate duravano troppo poco con lui.
“Adesso devo andare. Ci vediamo presto, piccola”, disse, leggermente rassegnato.
“Sì, lo spero. Ciao Harry”, risposi io, ugualmente rassegnata.
Je t'aime”, sussurrò all’altro capo del telefono, con accento strano, strappandomi un sorriso.
“Ti amo anch’io”, risposi, e poi riattaccammo.
Tornai dalle ragazze, che mi accolsero sorridendo e con mille domande su cosa mi avesse detto Harry, alle quali risposi tranquillamente; poi raccontai loro anche della rumorosa incursione dei ragazzi, al che Eleanor, Perrie e Danielle scoppiarono a ridere, esclamando: “Sono sempre i soliti!”. Passammo ancora una mezzora circa ad organizzarci, poi ci salutammo e tornammo ognuna a casa propria, tranne Eleanor che in quei giorni stava da Danielle.

Il mattino seguente ci incontrammo nuovamente per andare a vedere la villa, dato che io non avevo scuola e le ragazze erano libere.
Quando arrivammo, trovammo il cancello d’entrata aperto, segno che doveva esserci qualcuno e, infatti, poco dopo incontrammo un uomo sulla sessantina che ci disse di essere il custode della villa. Gli chiedemmo speranzose se fosse possibile vederla all’interno e lui rispose gentilmente che ci avrebbe accompagnate lui. Quindi lo seguimmo, e ci mostrò l’intera casa, che era davvero enorme e, al contrario delle mie aspettative, pur essendo abbandonata era in ottimo stato. Dopo aver terminato il giro turistico, io e le ragazze ci consultammo un attimo e decidemmo di chiedere al custode se fosse possibile fare una festa in quella casa.
“Beh, ragazze mie, per fare, si può fare, la casa non è pericolante, l’avete visto voi stesse. Però bisognerà darci una bella pulita, perché non credo che ai vostri amici farebbe piacere festeggiare in mezzo alla polvere!”, spiegò serio. “Ma per questo dovrete arrangiarvi voi, mi dispiace. Io mi occupo solo del giardino”, aggiunse poi.
Ok, quello sarebbe stato un problema; ma avevo già un’idea.
Quel posto mi piaceva troppo per rinunciarci, volevo stupire Harry, e farlo felice. Così, presi da parte le ragazze, ed esposi loro il mio piano.
“Allora, ragazze, so che sarà una faticaccia, ma secondo me Harry si merita questo ed altro per il suo compleanno, quindi ascoltatemi un momento, poi decidete se dirmi di sì o lasciar perdere”, cominciai.
Loro erano attente. Bene.
“Se noi raduniamo un po’ di gente, amici, conoscenti, qualcuno insomma, e ci facciamo dare una mano a pulire questa casa, secondo me non ci metteremo tanto. Che ne dite? Ovviamente dobbiamo fare tutto in segreto, ma immagino che i ragazzi troveranno qualche scusa con Harry e anche io. Saremmo noi quattro, poi i ragazzi, escluso Harry, e io posso chiamare alcuni dei miei compagni di scuola, non credo che mi diranno di no. Insomma, in una decina dovremmo farcela, no?”.
Avevo buttato fuori tutto d’un fiato, e non ero sicura che mi avessero capita perfettamente, ma i loro sguardi erano attenti e pensierosi; le guardai un attimo, incerta, non capivo se fossero d’accordo o se pensassero che sarebbe stato meglio cercare un altro posto; la prima a parlare fu Perrie.
“Secondo me è un’ottima idea, io ci sto!”, esclamò sorridente.
La adorai, così non seppi trattenermi e la abbracciai, ringraziandola. Successivamente, anche Danielle ed Eleanor annuirono, così ringraziai anche loro, felice di avere avuto quell’idea e che potessimo realizzarla.
Eleanor, inoltre, si offrì di mettere al corrente di tutto Louis, non appena lo avesse sentito, così che cominciassero ad organizzarsi anche loro.
Mettemmo il custode al corrente della nostra decisione, e lui ci rispose che avremmo dovuto firmare dei documenti per la responsabilità, eccetera, e che una di noi sarebbe dovuta passare nel pomeriggio per farsi dare una copia delle chiavi, così mi offrii io.
Dopodiché ci salutammo e tornammo a casa.
Chiamai Ana e altre tre ragazze della mia classe con le quali avevo legato di più, e le invitai a casa mia la sera per una pizza e per proporre loro questa pazzia.
Dopo essere passata a prendere le chiavi, ordinai le pizze, e poco dopo arrivarono Ana, Lindsey, Becky e Isabel. Non appena nominai le parole “Harry” e “compleanno”, scoppiò il putiferio: le mie amiche si misero ad urlare, ridere, applaudire, perfino a saltare in giro per casa, e, per cinque minuti buoni, non riuscii a calmarle.
Quando si fu ristabilito l’ordine, cominciai a spiegare il loro ruolo in tutta questa faccenda e, se prima pensavo che, non appena avessero saputo di dover lavorare, mi avrebbero mollata immediatamente, in quel momento capii che mi ero sbagliata di grosso: se possibile, erano ancora più contente di prima, ed erano pronte a darsi da fare.
“Ma poi possiamo venire alla festa?”, chiese ovviamente Lindsey.
“Se fosse solo per me, certamente! Ma devo sentire anche le altre ragazze; comunque, visto tutto l’aiuto che ci date, non credo che avranno il coraggio di dirvi di no”, risposi sorridendo, e sperando che Eleanor, Perrie e Danielle accettassero questo compromesso.

Il giorno dopo, era domenica e, dato il giorno libero, ci ritrovammo nella villa tutti quanti per decidere come organizzare le “squadre di pulizia”.
Quando arrivai lì con Ana, Becky, Lindsey e Isabel, trovai una gradita sorpresa: anche Perrie, Danielle ed Eleanor avevano radunato alcuni amici, cosicché non eravamo più meno di una decina, ma una quindicina buona di persone; quando poi sarebbero tornati i ragazzi, avremmo raggiunto la ventina. Eravamo perciò a buon punto, non ci avremmo messo molto tempo essendo così tanti. Tutto sembrava andare nel modo giusto.
Prima di arrivare alla villa, ero riuscita a strappare una promessa alle mie amiche: non avrebbero dovuto comportarsi da fan con le ragazze, ma come persone normali e, soprattutto quando sarebbero arrivati anche Louis, Liam, Niall e Zayn, avrebbero cercato di trattenersi dal chiedere autografi e foto varie. Sapevo che era difficile –e anche un po’ da stronza, effettivamente- ma non volevo che qualcosa andasse storto; ovviamente, quando avremmo finito il lavoro, avrebbero potuto fare quel che volevano.
Così, quando ci ritrovammo tutti assieme nel salone della villa, le mie amiche si comportarono come da copione, perfettamente, se non per qualche gomitata e qualche inevitabile bisbiglio.
Eleanor spiegò a tutti come avremmo dovuto procedere (sembrava la direttrice di qualche grande lavoro), poi, alla fine, aggiunse, sorridente: “Ovviamente, per ringraziarvi dell’aiuto che ci state dando, siete tutti invitati alla festa per Harry!”.
A quel punto, il copione fallì: le mie amiche scoppiarono in un applauso soddisfatto e corsero da Eleanor, Danielle e Perrie a ringraziarle.
Mi coprii il viso con una mano, disperata, poi le raggiunsi.
Perrie stava tentando di scacciare i ringraziamenti, poi, quando arrivai, mi guardò e disse: “In realtà è lei che dovete ringraziare! Ha pensato lei a questa cosa e, oltretutto, Harry è il SUO ragazzo”, poi mi fece l’occhiolino e, con il labiale, sillabò: “Sei un fenomeno, Gioia!”.
Le mie amiche si voltarono e mi saltarono addosso, abbracciandomi felici, quasi soffocandomi. Dopo i vari ringraziamenti e commenti entusiasti, ci mettemmo al lavoro, staccando per un’ora abbondante per il pranzo, per poi riprendere fino al tardo pomeriggio. Alla fine, eravamo tutti esausti.

I ragazzi tornarono a Londra domenica sera, e nemmeno quel giorno vidi Harry, ma speravo in quello dopo.



Curly space:
Allora allora! Come andiamo genteeeee?! ;)
Io sono moooooooooolto contenta, perchè... fra poco si va a Veronaaaaaaaaaa!
No, non ho il biglietto, ma per loro, questo ed altro! <3


Beh, passiamo al capitolo: tutta questa organizzazione sembra far pensare al meglio eh? :) E le ragazze, quanto carine sono? Dolci :3
Il nostro Harry -e i ragazzi, ovvio- sono in Francia, ignari di tutto... Beh, Harry è ignaro, gli altri mica tanto... =P
In questo capitolo non succede molto, lo so, spero di recuperare con i prossimi...

Riiiiiiiingraziamenti:
GRAZIE MILLE a Nanek e Tommos_girl93 che mi lasciano sempre una dolce recensione... Vi voglio beneeeeeee ragazze! <3
Daiiiiii che fra poco si va!
#LettheHungerGamesBegin e #bestplanever saranno con noi! XD

Grazie anche a quelle che leggono silenziosamente! <3

Beh, alla prossima!
Curly crush :)



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Capitolo 19
*** Don't overthink, just let it go ***


Don't overthink, just let it go


Il mattino seguente stavo ancora dormendo, quando sentii bussare alla porta.
Mi alzai, controvoglia, pensando che fosse la vicina di appartamento, e ciabattai fino a lì, stropicciandomi gli occhi.
Non appena aprii, tentai di richiudere la porta di scatto, ma Harry ci infilò in mezzo un piede, così non ci riuscii; allora scappai in camera mia, tuffandomi sul letto, e nascondendomi. Sentii Harry richiudere la porta e ridere, poi esclamò: “Ehi, ma sei impazzita? Pensavo di mancarti e che fossi felice di vedermi!”.
Mi raggiunse in camera e, solo in quel momento, mi accorsi che aveva una rosa in mano, così mi tirai su e lo guardai bene.
Aveva gli occhi che sorridevano, mentre mi guardava.
“Certo che sono felice di vederti, Harry, mi sei mancato un sacco! È che, insomma, dai, aspetta due secondi, vado un attimo in bagno e arrivo”, risposi, tentando di recuperare; poi saltai giù dal letto, lo baciai velocemente sulla guancia, e andai in bagno a lavarmi il viso e i denti, poi tornai da lui.
Si era seduto sul letto, così lo presi di sorpresa da dietro, cingendogli il collo con le braccia, e lo riempii di baci sul collo e sulle guance, facendolo ridere.
“Ehi, finalmente! Vieni qui, vampira”, disse sorridendo.
Mi sedetti vicino a lui, accoccolandomi sotto il suo braccio; Harry mi baciò i capelli, poi disse: “Ehm, e questa me la devo riportare a casa? Sai, i paparazzi mi hanno già visto andare in giro con questa rosa, e se dovessero vedermi anche tornare indietro, penserebbero che ci siamo mollati e bla bla bla”.
Lo guardai, inorridita.
“O mio Dio, no, non sia mai! È bellissima, figurati se me la faccio portare via”, risposi, poi lo baciai.
Buon primo mesiversario in ritardo, piccola”, sussurrò Harry.
“Auguri anche a te, tesoro mio”, risposi.
Dopo aver messo la rosa in un vaso con un po’ d’acqua, decisi di vestirmi, ma non fu facile come pensavo: infatti Harry non mi lasciava, continuava ad abbracciarmi e baciarmi, mentre io continuavo a protestare che dovevo andare a scuola e che mi avrebbe fatta arrivare in ritardo, ma lui non sentiva ragioni, così alla fine mi arresi.
“Ok, cosa devo fare?”, chiesi, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
Harry sorrise, soddisfatto, poi rispose: “Niente. Stai ferma così, ti vesto io”.
Pensavo stesse scherzando, invece si diresse deciso verso il mio armadio e cominciò a rovistare tra i miei vestiti.
Dopo pochi minuti, tornò da me con tre capi: una maglietta bianca, leggermente scollata, dei jeans molto aderenti che portavo solo in occasioni speciali, e un blazer blu con profili rossi. Lo guardai, stupita, e gli chiesi: “Ma secondo te io dovrei andare a scuola vestita così? Cioè, neanche a un matrimonio …”.
Lui mi guardò, indeciso, poi affermò: “Allora non vai a scuola. Oggi voglio vestirti così, quindi se non va bene per l’università, andrà bene per me”.
Era pazzo, completamente, ed io non riuscivo a capire lo sguardo che aveva negli occhi.
“Senti, Gioia, non ti ho vista per tre, e sottolineo, tre giorni! Non ti va di stare un po’ con me oggi?”, chiese; sembrava quasi deluso.
Come potevo dirgli di no? Avrei avuto quegli occhioni tristi sulla coscienza per sempre. Alla fine, cos’era una mattinata di scuola, in confronto all’anno di tour che da lì a poco sarebbe cominciato, e che me l’avrebbe portato via?
Niente, proprio niente.
“Dai, avanti, vestimi come vuoi. Poi però facciamo colazione, ti prego, ho una fame assurda”, mi arresi, rispondendo in finta controvoglia.
Harry sorrise raggiante, mi prese il viso tra le mani e mi baciò con forza, poi cominciò la sua impresa da stilista.
Cominciò a sfilarmi delicatamente la maglia del pigiama, lasciandola poi cadere a terra, e sfiorandomi le braccia con le dita, facendomi rabbrividire; poi si abbassò e mi tolse i pantaloni leggeri, alzandomi leggermente prima una gamba e poi l’altra. Prese i jeans, si spostò dietro di me, e cominciò ad infilarmeli su per le gambe, mentre io lo aiutavo muovendomi come meglio potevo ed appoggiandomi alle sue spalle con le mani; si rialzò, mi si rimise di fronte e, non perdendo un attimo di vista i miei occhi, chiuse la zip ed il bottone.
Terminata quest’operazione, mi prese sui fianchi e cominciò a baciarmi, prima delicatamente, poi sempre con più foga, per poi passare al collo e lasciarmi un altro segno, uno di quelli che dicevano che ero “sua”.
Venne il turno della maglietta: la prese, me la infilò dalla testa, facendomi sollevare le braccia e me la sistemò, stirandola con le sue mani grandi; mi baciò di nuovo, brevemente questa volta, poi prese il blazer; si spostò di nuovo dietro di me e me la infilò; mi abbracciò da dietro e mi baciò la guancia, poi mi girai e lo baciai io con più forza.
“Ecco, ora sei pronta”, concluse lui, sorridendo.
“Non mi dispiace questa idea, da dove ti è venuta?”, chiesi, provocandolo leggermente.
“Mmmh, non lo so, ti ho vista e mi è venuta. Sei tu che mi ispiri, credo”, rispose, sogghignando.
“Beh, buono a sapersi. La prossima volta tocca a me, comunque”, buttai lì, dirigendomi verso il bagno.
Harry mi seguì, si appoggiò allo stipite della porta e mi guardò mentre mi raccoglievo i capelli in una coda e mi truccavo leggermente.
Quando ebbi finito, lui mi guardò e constatò: “Sei bellissima”.
“Grazie, tesoro mio”, risposi, dandogli un bacio.
Lo osservai un momento, e solo allora mi accorsi che era vestito esattamente come aveva fatto vestire me.
“Ma … Siamo vestiti uguali, Harry!”, esclamai sorpresa.
“Già, hai visto? L’ho fatto apposta, non ti piace?”, chiese sorridendo.
“Ma certo che mi piace! Solo che tu sei completamente fuori di testa, ecco tutto”, gli bisbigliai nell’orecchio.
Harry mi guardò, alzando un sopracciglio, poi sorrise e rispose: “Ah sì?”.
“Sì. Ma sei il mio pazzo preferito”, affermai, poi mi alzai in punta di piedi e lo baciai. “Allora, usciamo? O mi hai fatta vestire da Harry Styles così per fare?!”, chiesi, prendendo la giacca e la sciarpa.
“Certo che no, piccola Styles … Andiamo a fare colazione!”, rispose, poi mi seguì fuori dall’appartamento.

Senza farmi vedere, inviai un messaggio ad Eleanor e alle mie amiche per informarle che non sarei andata a scuola e che ero con Harry, anche se non sapevo quanto saremmo rimasti insieme; anche Eleanor stava con Louis, e gli stava spiegando tutto il piano, poi sarebbero andati a vedere la villa insieme; le mie amiche risposero che non c’erano problemi, che nel pomeriggio sarebbero andate ugualmente a pulire, anche se non ci fossi stata io: “Qualcuno dovrà pur tenere impegnato o distrarre Harry, no?!”, mi scrisse Ana.
Ed effettivamente aveva ragione. Harry e i ragazzi avevano due giorni liberi, poi avrebbero ripreso le prove per il tour, quindi dovevamo sfruttare al massimo quel poco tempo.

Mentre facevamo colazione da Starbucks, sotto gli occhi curiosi di alcune persone, Harry mi raccontò della loro esperienza in Francia, non tralasciando alcuni aneddoti divertenti su quello che avevano combinato lui, Liam, Louis, Niall e Zayn stando lì.
Quando uscimmo dalla caffetteria, Harry propose: “Ehi, per il mio compleanno pensavo di organizzare una cosa con te e i ragazzi e Perrie, Eleanor e Danielle; che ne dici?”.
Che ne dicevo?!
Questa non ci voleva: Harry non poteva organizzare una festa per conto suo, avrebbe fatto saltare tutto!
Avevo bisogno di aiuto, ma non sapevo a chi rivolgermi in quel momento e, soprattutto, non potevo farlo senza che lui lo notasse.
Decisi di stare al gioco: “Oh, davvero? Bello, che cosa pensavi di fare?”.
Harry rispose entusiasta che aveva in mente una cosa semplice, per esempio una cena o qualcosa del genere in un locale che piaceva a lui. Rischiando di farlo restare male, bocciai l’idea.
“Mmmh, non so, Harry … Sei sicuro che agli altri piaccia il locale?”, chiesi, incrociando le dita.
“Certo, ci andiamo spesso insieme”, rispose lui, sicuro.
Merda.
Cosa potevo fare?
“D’accordo, allora mi porti a vedere questo posto?”, chiesi, fintamente ingenua.

Ci recammo al locale, e, non appena Harry si allontanò un attimo, presi da parte un cameriere, e spiegai: “Scusami, devo chiederti un favore. Hai presente chi è Harry Styles? –lui annuì- Bene, ha intenzione di organizzare il suo compleanno qui, ma io e i suoi amici lo stiamo già facendo da un’altra parte. Quindi, devi impedirglielo, per favore”.
Il ragazzo era confuso: “Ma come faccio? Non posso rifiutare i clienti!”, protestò.
“Lo so, ma inventati qualcosa, dì che non c’è posto, che è tutto prenotato … Ti prego!”, implorai.
“D’accordo, vedrò cosa posso fare”, accettò infine.
“Grazie, grazie mille davvero!”.
Harry arrivò due secondi dopo, chiedendomi se quel posto mi piaceva; io risposi affermativamente, ma tentai comunque di fargli cambiare idea. Harry cominciava ad insospettirsi, lo vedevo dai suoi occhi che si stringevano a fessura man mano che facevo qualche obiezione, così decisi di lasciar perdere e cambiare discorso. Riuscii stranamente a convincerlo a non prenotare in quel momento, poi ce ne andammo.
Non ti capisco, comunque”, confessò Harry dopo aver fatto pochi passi.
“Che vuoi dire?”, chiesi io, sentendomi terribilmente in colpa.
“Se il posto ti piace, e piace anche agli altri, perché non dovrei fare qui questa benedetta festa?”, chiese con tono seccato.
Mi fermai e lo presi per mano, facendolo voltare verso di me.
“Ascoltami, Harry: ti fidi di me?”, chiesi, seria.
“Certo che mi fido, ma che c’entra questo adesso?”, protestò lui.
“Allora fidati e basta, non ti deluderò. Te lo prometto”, risposi, chiudendo il discorso.
Lo baciai leggera sulle labbra, lui sbuffò ancora un po’, poi però proseguimmo per la nostra strada senza ulteriori discussioni.

“Eleanor, abbiamo un problema”, esordii al telefono, dopo essere arrivata al pub ed aver chiesto a Jake se potessi fare una telefonata.
“Che succede? Problemi con la villa?”, chiese Eleanor, all’altro capo.
“No, problemi con Harry: vuole organizzare qualcosa lui, per il compleanno. Per il momento sono riuscita a farlo arrendere, ma non credo che sia finita così… Potresti chiedere a Louis di inventarsi qualcosa? Perché credo di averlo già deluso abbastanza, per oggi”, spiegai, affranta.
“Ma certo, certo, tranquilla! Ora lo chiamo e vedo di risolvere qualcosa”, rispose lei.
“Ok, grazie mille, El”.
“Grazie a te di avermi avvisata, ci vediamo”, mi salutò e poi riattaccammo.
Tornai al mio lavoro, ma Jake si accorse che ero distratta (ero davvero così facile da leggere?), così mi confidai con lui a proposito degli ultimi sviluppi. Dopo avermi ascoltata, mi sorrise dolcemente, e provò a tranquillizzarmi, dicendomi che Louis avrebbe sicuramente convinto Harry a non fare niente, e che la festa sarebbe riuscita alla perfezione. Gli sorrisi e lo ringraziai per il suo appoggio, poi gli chiesi se volesse venire alla festa: Jake si illuminò, poi rispose che ci sarebbe venuto volentieri, ma che forse avrei dovuto chiedere agli altri prima. Era un ragazzo adorabile, davvero, non avrei potuto trovare un capo ed un amico migliore. Grazie a lui, mi rasserenai, e potei passare il pomeriggio di lavoro tranquillamente, senza troppi grilli per la testa.

Quando uscii dal pub, ricevetti un messaggio da Eleanor, che mi chiedeva se potesse chiamarmi un momento per parlare; le detti il via libera, e dopo alcuni istanti il mio cellulare si illuminò nuovamente.
“Sì, El? Dimmi tutto”, risposi.
“Ehm, scusa, non sono El, sono Lou”, rispose una voce maschile.
“Ah, ciao Louis! Ma, El...?”, chiesi, confusa.
“E’ qui, don’t worry. Le ho chiesto io di chiamarti, così ti aggiorno un attimo su quel testardo di Harry”, spiegò lui.
“Oddio, che c’è adesso? Dimmi pure”, risposi, curiosa.
“Allora, l’ho convinto a non organizzare niente: gli ho detto che sto già facendo qualcosa io, e che è per questo che oggi tu hai reagito così stranamente”, raccontò.
“Ma, allora la sorpresa salta!”, protestai.
Non riuscivo a capire veramente niente, mi sembrava di essere una rincoglionita.
“No, tranquilla, non salta niente. Solo, Harry sa che IO sto organizzando qualcosa di MOLTO SEMPLICE, in un locale che gli piace, quindi del villone e della mega festa che TU stai preparando, non sospetta assolutamente NIENTE”, concluse, con tono molto soddisfatto.
Sei un genio, Louis, lasciatelo dire!”, mi complimentai.
“Lo so, lo so, grazie”, rispose prontamente con finta modestia.
Risi leggermente.
“Ah, però si è incazzato un sacco con me, perché gli ho detto che tu a questa festina non ci sarai”, confessò poi.
“Che cosa?! E, perché?”, chiesi io.
“Perché così la sorpresa verrà ancora meglio! Semplice, no?”, rispose lui.
“Ah-ah, certo, non fa una piega. Beh, grazie mille Louis!”, risposi, ora più rilassata.
Ci salutammo, e, non appena riattaccai, ricevetti un messaggio di Harry.

Ehi, piccola, stasera pizza e film da me? Sono a casa da solo… Così facciamo anche pace come si deve ;) Ti amo <3

 Sorrisi, e gli risposi con due semplici parole:
 

Sto arrivando :)
 

Curly space:
Hi guys!! Ahahahhaha :)
Beh, allora. Che c'è qui?
Harry è tornato! Yeeeeeeeeeeee!! ;)
E' tornato per far danni, yeah =P No, piccino lui, che non sa niente della sorpresa... ;)
E la nostra Gioia ahahah che impedita... =P Con 'sti sensi di colpa...
Vabbè, mi dileguo.
Grazie come sempre a tutte voi che leggete! <3
Al prossimo capitolo, che sarà mooooooolto più carino e dolce :3

Curly crush :)

 




 

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Capitolo 20
*** I'm in love with you, and all these little things ***


I'm in love with you, and all these little things


Dopo una breve toccata e fuga a casa mia per una rinfrescata, mi avviai verso Primrose Hill.
Quando arrivai, vidi Niall, Zayn e Liam che uscivano dal portone della casa, e li osservai sorpresa.
Niall colse il mio sguardo e, dopo avermi salutata, rivelò, fingendosi offeso: “Ehi, il TUO ragazzo, alias Harry Styles nonché nostro compagno di band, ci ha appena cacciati di casa perché vuole stare con te e basta”.
Harry era impazzito.
Io ero davvero a casa da sola, poteva venire da me senza far scomodare altre quattro persone (e non quattro persone qualunque!).
“Mi dispiace, Niall, non lo sapevo; mi aveva detto che era a casa da solo…”, risposi, veramente dispiaciuta.
“Ma sì, dai, non importa per questa volta! Sto scherzando, non preoccuparti”, rise Niall, vedendomi in difficoltà.
“Beh, adesso mi sente, il signorino!”, risposi io.
Zayn, Liam e Niall risero, poi il primo mi disse: “Sarei curioso di sentirti… vabbé dai, ora andiamo. Ciao Gioia!”.
“Ok, divertitevi ragazzi”, li salutai con un sorriso di ringraziamento.
Mi salutarono tutti e tre, poi loro andarono per la loro strada, mentre io entravo in casa.
Salii le scale, e, non appena Harry mi aprì, cominciai: “Ma tu mi avevi detto che eri a casa da so…”, ma non riuscii a finire la frase, perché Harry mi tappò la bocca con uno dei suoi baci da soffocamento.
Mi tirò dentro casa e chiuse la porta dietro di noi.
Buonasera, principessa”, sussurrò Harry, tenendomi stretta.
“Mmh ciao”, bofonchiai io, ancora intontita dal suo bacio.
“Cosa stavi dicendo a proposito dell’essere a casa da solo?”, chiese, con finto sguardo innocente.
“Che non dovresti buttare fuori di casa i tuoi amici solo perché devo venire io”, spiegai, sentendomi in colpa: in fondo, in quel momento ero contenta che fossimo soli.
Nascosi il viso sul suo petto, per non farmi vedere mentre sorridevo soddisfatta.
“Beh, hai ragione. Se vuoi li richiamo”, mi disse, da sopra la mia testa.
Alzai il viso e lo guardai, incerta.
Harry scoppiò a ridere, esclamando: “Lo sapevo! Sei più furba di me tu, altro che!”.
Mi staccai dall’abbraccio e protestando “Non è vero!”, corsi verso il salotto, immediatamente seguita da lui. Mi bloccai di colpo dietro il divano, ma Harry non fece in tempo a fermarsi e mi venne addosso, facendoci cadere sul divano di peso, ridendo come due pazzi.
“Scusa, potresti toglierti dalla mia schiena? Pesi, ciccione!”, scherzai, ridendo.
“Ciccione a chi?! Questa me la paghi!”, rispose Harry, poi cominciò a muoversi sopra di me, tentando di pesarmi ancora di più sulla schiena.
“Daiiiii scemo, alzati!”
“No!”
Harry mi circondò con le sue braccia, poi si sistemò sul fianco e cominciò a baciarmi il collo. Mi persi di nuovo nel suo tocco, chiusi gli occhi e lasciai che mi accarezzasse i capelli, spostandomeli dal collo e dal viso e riordinandoli dietro le orecchie.

“Andiamo a mangiare? Che sennò le pizze si raffreddano”, propose dopo alcuni minuti.
Ci alzammo dal divano e ci spostammo in cucina, dove Harry aveva già apparecchiato il tavolo per due.
“Ehi, volevo chiederti scusa per stamattina. Tu volevi tenere il segreto della sorpresa e io invece ti ho trattata male”, disse Harry all’improvviso. Poi aggiunse: “Certe volte mi comporto proprio da cretino, scusami”.
Lo guardai fisso negli occhi, poi sorrisi. Se solo avesse saputo qual era la vera sorpresa …
“Non fa niente, Harry”.
Gli presi la mano sopra il tavolo, e incrociai le mie dita alle sue, osservando come quel movimento così semplice significasse così tanto per me.

“Ci spostiamo di là?” chiese Harry, dopo che avemmo finito di sparecchiare.
“No, io lo guarderei qui il film, forse dal microonde si vede qualcosa sai?”, risposi ironica.
“Che antipatica che sei stasera”, borbottò Harry.
Poi mi si avvicinò e mi sollevò, caricandomi in spalla come il suo solito. Ormai mi ci ero abituata, così non protestai nemmeno. Mi scaricò sul divano, poi chiese che film volessi vedere.
“Scegli tu”, risposi.
In fatto di film non conoscevo ancora molto bene i suoi gusti, così, quando lo vidi estrarre trionfalmente Titanic, restai sorpresa.
“Va bene questo?”, chiese sorridendo.
“Benissimo. Però preparati a farmi da fazzoletto alla fine”, risposi.
In realtà ero davvero felice che avesse scelto un film del genere: avrei potuto stringermi ancora di più a lui, ed era una cosa che adoravo fare.
Harry avviò il dvd, poi saltò sul divano sedendosi vicino a me. Mi cinse le spalle con un braccio, e ci mettemmo in attenta osservazione.
Non avevo mai visto Titanic in lingua originale e, grazie a questo, con mio grande stupore, mi piacque ancora di più.

Dire che seguimmo attentamente tutto il film, sarebbe una bugia a cui non crederei nemmeno io, ma la parte finale, ovvero l’affondamento e la fine, ebbero la nostra completa attenzione.
Come ogni volta, tentai di non piangere ma, sulla scena finale non riuscii più a trattenermi e scoppiai in lacrime.
Harry mi guardò divertito, poi esclamò: “Ma allora è vero che piangi alla fine!”.
Tra i singhiozzi, risposi: “Che credevi, che fosse una balla?”.
La scena doveva essere altamente comica da vedere: io che piangevo, lui che mi sfotteva e io che tentavo di rispondere a tono, senza riuscirci, se non per qualche nota più acuta nella mia voce.
Guardai Harry e vidi che, nonostante mi stesse prendendo in giro, anche i suoi occhi erano lucidi.
“E tu poi ridi di me, Styles?! Ma se stai piangendo anche tu!”, esclamai, con una leggera punta di soddisfazione.
“Io non sto piangendo, è che ho appena sbadigliato”, si difese subito lui.
“Sì sì, va bene …”, risposi, ridendo.
Il momento di tristezza era passato, ma Harry, per esserne sicuro, cominciò a farmi il solletico dappertutto, facendomi dimenare come se fossi in preda a spasmi nervosi.
“Harry, dai, non farmi il solleticoooooo! Mi dai un bacino, invece?”, chiesi, sfoderando il mio sorriso più adorabile.
“Oh sì, va bene, te ne darò tanti, di bacini”, rispose lui, e cominciò a baciarmi veramente dappertutto.
Tranne che sulle labbra, il che mi stava mettendo a dura prova.
“Uffiiii, ma io voglio un bacio di quelli seri”, protestai infine.
Non avrei mai dovuto dirlo.
Harry si bloccò, mi fissò negli occhi con sguardo attento e passionale, poi mi saltò praticamente addosso: mi ritrovai distesa sul divano, con le sue labbra attaccate alle mie, che premevano forte.
Di nuovo, restai senza fiato, ma non riuscii a staccarmi da lui.
Gli presi il viso tra le mani, poi affondai le dita nei suoi capelli, e continuai a muovere la mia bocca con la sua.
Dopo alcuni istanti che sembrarono ore, Harry si allontanò di pochi millimetri, per poi ricominciare.
Fummo interrotti dal suo cellulare, che stava vibrando sopra il tavolino: Harry lesse il messaggio e digitò velocemente una risposta, poi si alzò dal divano e corse in camera sua senza dirmi niente.
Ne tornò con una coperta. Lo guardai con sguardo interrogativo, al che lui rispose che aveva freddo e che, a giudicare dalla temperatura delle mie mani, dovevo averne anche io. Si distese accanto a me sul divano e coprì entrambi con quella coperta di lana bianca, stringendosi a me.
Riprendemmo da dove eravamo rimasti prima che il suo cellulare vibrasse, ma dopo circa una mezz’ora, senza che ce ne accorgessimo, ci addormentammo entrambi, restando abbracciati e con i visi vicini, rivolti l’uno verso l’altra.

Dopo qualche ora o minuto, non saprei dire, sentii dei rumori, come dei passi silenziosi e delle voci che tentavano di non farsi sentire; aprii lentamente gli occhi, e vidi che la luce dell’entrata era accesa, come quella del corridoio: i ragazzi dovevano essere rientrati.
Alzai gli occhi e per poco non mi prese un infarto: Zayn era dietro il divano, che ci osservava sorridendo intenerito.
“Buongiorno eh”, sussurrò poi.
Harry si mosse, vicino a me, poi aprì gli occhi anche lui.
“Ah, siete tornati … Ma che ore sono?”, chiese sbadigliando.
“Le tre e mezza del mattino, fratello”, rispose Zayn, stropicciandosi gli occhi per la stanchezza.
Mi tirai su a sedere, seguita a ruota da Harry.
“Dio, è tardissimo!”, esclamai, sorpresa, “Devo andare a casa”.
Harry mi guardò come se avessi appena detto “Devo andare ad uccidere qualcuno”; infatti, dopo alcuni secondi, mi chiese: “Ma sei completamente impazzita?!”.
“Vuoi accompagnarmi?”, chiesi.
Non riuscivo a capire niente, avevo troppo sonno, e, se non fosse stato per Zayn, che era ancora lì ad osservare me e Harry mentre parlavamo praticamente con gli occhi chiusi, mi sarei ributtata sul divano e avrei risolto tutto girandomi dall’altra parte.
“Certo che no. Tu resti qui e basta ormai”, affermò sicuro Harry.
Sembrava essersi svegliato del tutto, lui. Zayn lo guardò con sguardo complice, gli fece l’occhiolino e poi se ne andò verso la sua stanza.
Tornai con lo sguardo a Harry: non avrei avuto la forza, e nemmeno la pazzia, ad essere sinceri, di rifiutare la sua proposta, così annuii e mi alzai dal divano molto lentamente.
In corridoio incrociammo Louis, poi Niall ed infine Liam e ci augurammo tutti la buonanotte, poi io e Harry entrammo in camera sua e lui chiuse la porta.
Prima di spogliarmi e infilarmi sotto le coperte però, andai in bagno e tentai di struccarmi meglio che potevo e di lavarmi i denti, pur senza spazzolino; Harry entrò proprio mentre ero nel bel mezzo di quest’operazione, e scoppiò a ridere.
“Ma non potevi aspettare due secondi? Uffa, poi mi prendi sempre in giro”, brontolai, con il dentifricio in bocca.
“Sei bellissima con la schiuma alla bocca, piccola”, rispose.
Lo fulminai guardandolo dallo specchio, e lui mi rispose con un sorriso a trentadue denti, come quelli che avevo visto in tante foto con le fan, tentando di farsi perdonare. Poi mi si avvicinò e cominciò ad imitarmi, prendendo un po’ di dentifricio sull’indice; prima di cominciare ad usarlo correttamente, ovviamente mi sporcò il naso.
“Aaaaaaah! Dai, scemo! Beh, peggio per te, ti farò la pipì nel letto”, minacciai, dopo essere riuscita a risciacquarmi la bocca.
“Che cosa? Starai scherzando spero!”, si spaventò subito lui.
“Ma come, non lo sai che il dentifricio sul naso provoca reazioni strane?”, risposi ridendo.
“Dai, vieni qui, che ti pulisco, prima che combini disastri”.
Mi avvicinai a lui, che prese una spugnetta e tolse finalmente il dentifricio dal mio naso.
Uscii dal bagno e, prima di riuscire ad entrare in camera, una mano afferrò il mio polso e mi tirò indietro.
Louis! Vuoi farmi morire?”, chiesi agli occhi azzurri che mi fissavano divertiti in quel momento.
“Certo che no, abbiamo una festa da organizzare”, disse sorridendo e parlando sottovoce; “Allora, è tutto a posto con Harry?”, chiese poi.
“Sì, certo, anzi grazie mille per aver risolto la situazione, Lou”, risposi io.
“Bene, sono contento. Così adesso possiamo finire di organizzare questa cosa in santa pace”, disse, fingendo ironia; “Beh, buonanotte”, aggiunse poi.
“Buonanotte anche a te, Lou”, risposi, dandogli un leggero bacio sulla guancia.
Entrai in camera, e poco dopo arrivò anche il mio Harry.
Ci togliemmo i vestiti in silenzio, ma scrutandoci attentamente.
Tra me e Harry si era definito una specie di patto silenzioso: dopo il Capodanno a Holmes Chapel non avevamo più avuto momenti ad alto rischio, non perché non ne avessimo avuto l’occasione, ma proprio perché sembrava che entrambi avessimo deciso di aspettare ancora un po’, prima di andare oltre al semplice dormire insieme.
Ci volevamo reciprocamente, ma nessuno dei due voleva fare le cose troppo in fretta, e andava bene così.
Perciò, dopo che entrambi fummo rimasti con solo l’intimo addosso, ci infilammo sotto il piumone, avvicinandoci il più possibile.
Harry mi circondò la vita con un braccio; ci demmo un bacio leggero, poi lui sussurrò: “Buonanotte piccola mia”, e chiudemmo gli occhi, cadendo in un sonno profondo.

Curly space:
Ehilààààà gente, sono tornata a rompervi con un nuovo capitolo! :D
Beh, cosa dire... Una serata tranquilla tra due innamorati, ma quanto belli sono?! *-* 
Boh, non so proprio cosa aggiungere, è un capitolo molto semplice, non accadono grandi cose, solo little things, ahahah ;) 

Buona, ringraziamenti ai nuooooovi arrivi! :)
Grazie a ire1920 per aver messo la storia nelle Preferite!
Grazie a paola_m per averla inserita nelle Ricordate!
E grazie a Bibibibabolle per averla messa tra le Seguite!
Vi adoro <3 
Eeee a massive thank you a Nanek e Tommos_girl93 per le recensioni!! <3 Love youuuuuuu

Alla prossima :)

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Capitolo 21
*** Let's just take it real slow ***


Let's just take it real slow


Il mattino dopo, mi svegliai –per la prima volta- prima di Harry, così decisi di svegliarlo a modo mio: avvicinai il mio viso al suo, e cominciai a baciarlo delicatamente, sussurrando, ad ogni tocco, frasi come “Ehi, sveglia”, “E’ ora di alzarsi”, “Harry, forza, piccolino, dai, su”.
Harry si svegliò al primo bacio, ma continuò a tenere gli occhi chiusi, sebbene ricambiasse i baci e sorridesse, felice di quelle attenzioni mattutine.
Ma la pace non durò molto: improvvisamente, Liam spalancò la porta, esclamando: “Buongioooooorno, begli addormentati! La colazione è pronta!”.
Ci alzammo lentamente, io dopo che Liam fu uscito; Harry, invece, senza alcun problema si diresse verso l’amico e gli chiuse la porta in faccia, brontolando un “Grazie Liam, arriviamo”.
Harry si infilò un paio di pantaloni di felpa e una maglietta a maniche corte, mentre io prendevo i miei vestiti.
“Eh no, tesoro, per una colazione con i One Direction al completo, ci vuole uno stile da One Direction!”, affermò Harry, togliendomi i vestiti dalle mani.
“Aspetta, quindi dovrei vestirmi di nuovo come te PER FARE COLAZIONE?”, chiesi, temendo la risposta.
Ma … “No, tranquilla. Tieni qua”, rispose Harry, passandomi un altro paio di pantaloni della tuta ed una felpa, molto probabilmente suoi.
Li indossai velocemente, inspirando il suo profumo, del quale erano impregnati, poi risi vedendo la mia immagine nello specchio: la felpa mi arrivava quasi a metà coscia, e i pantaloni erano sotto i miei piedi per circa cinque centimetri.
“Vieni qui, meraviglia”, disse Harry, stringendomi a sé e baciandomi i capelli; “Dai, andiamo a fare colazione”.

Quando arrivammo in cucina fummo accolti da un “Buongiorno” collettivo e parecchio assonnato; gli occhi dei ragazzi non contrariavano il tono delle loro voci.
“Vi siete divertiti ieri sera?”, chiesi, prendendo posto vicino a Harry.
“Sì, molto, grazie”, rispose Niall; “E voi?”, aggiunse, nascondendo un sorriso furbo nella tazza di caffè.
“Sì, grazie”, risposi arrossendo.
“Niall, mangia che devi diventare grande, va”, rispose Harry, dopo aver colto la malizia nella domanda dell’amico.
“Tranquillo, Harry, tranquillo, lo sto già facendo”, affermò Niall ridendo.
Gli altri sorrisero a quello scambio di battute, guardando da Harry a Niall con sguardo curioso.
“Dove siete andati?”, mi intromisi, tentando di cambiare discorso.
“In un locale molto carino, non c’eravamo mai stati, mi pare”, rispose Zayn, inghiottendo l’ultimo pezzo di brioche.

Quando terminammo di fare colazione, Harry disse che mi avrebbe accompagnata a scuola, poi lui e i ragazzi sarebbero andati in studio per riprendere le prove.
Mi stavo vestendo, in camera con Harry, quando sentii la risata di Niall, inconfondibile, arrivare forte dal salotto.
Che cariniiiiiiiii!”, esclamò poi.
Harry si insospettì, così uscì dalla camera e raggiunse Niall per vedere cosa ci fosse di tanto divertente.
Pochi secondi dopo, sentii la voce roca del mio ragazzo che urlava: “Zayyyyyyyyyyn! Vieni subito qui!”.
Dato che avevo finito di cambiarmi, uscii anch’io per raggiungere l’intero gruppo in salotto, ed incrociai Zayn che, con aria colpevole e divertita insieme, si dirigeva nella mia stessa direzione; mi fece l’occhiolino, poi arrivammo alla fine del corridoio e Zayn chiese: “Sono qui, che c’è?”.
Il suo tono sembrava ingenuo e sorpreso, ma aveva qualcosa di strano e, non appena raggiunsi il tavolino su cui era poggiato il pc di Niall, capii quel qualcosa.
La sua domanda non era PER NIENTE ingenua o sorpresa, ma era assolutamente colpevole e consapevole della risposta che sarebbe arrivata.
“Che c’è?! E me lo chiedi anche?”, esclamò infatti Harry.
“Scusate, posso vedere bene per favore?”, chiesi, facendomi spazio tra Louis e Liam, che osservavano la foto sullo schermo del computer, accanto a Niall.
La foto ritraeva me e Harry la notte prima, mentre dormivamo sul divano, ed era accompagnata da un commento, ovvero “I più begli addormentati innamorati di Londra :D”.
Sarebbe stata davvero adorabile, se non fosse stato per il fatto che era stata pubblicata su Twitter pochi secondi dopo essere stata scattata.
Da Zayn.
Mi voltai di scatto verso di lui, senza sapere cosa dire. Il primo pensiero che raggiunse la mia testa furono i commenti che sarebbero arrivati da tutto il mondo, il che mi spaventò non poco. Mentre io mi perdevo in questo, Harry continuava a fissare Zayn in modo piuttosto esplicito, assolutamente poco cordiale.
“Zayn, hai presente il casino che verrà fuori?”, chiese Harry, con tono dimesso.
“Ma Harry scusa, con tutte le foto mie e di Perrie, o di Lou ed Eleanor, o di Liam con Danielle che ci sono, tu ti preoccupi di questa? Eppure non è la prima che di te e Gioia che salta fuori”, tentò di spiegare Zayn, dispiaciuto, ma convinto delle sue ragioni.
“Sì, beh, hai ragione … Va bene, proviamo a vedere che succede e speriamo bene”, ammise Harry alla fine.
E poi è così carina!”, esclamò Zayn, calcando la mano.
Harry osservò di nuovo la foto e sorrise, poi rispose: “Sì, hai ragione. È, anzi, siamo proprio carini”.
Mi avvicinai a lui, ancora incerta, ma, non appena fui tra le sue braccia, tutte le mie paure scomparvero.
Lanciai un’altra occhiata al computer e decisi che quella foto sarebbe entrata a far parte della mia collezione.
Era davvero bella.

Mi resi conto di essere in ritardo per la scuola, così finii velocemente di prepararmi, mentre Harry uscì a prendere la macchina per accompagnarmi.
Non appena uscii dalla camera, andai a sbattere contro Louis, che a quanto pare mi stava aspettando.
“Ehilà”, esclamai, sorpresa.
Io e te dobbiamo parlare”, affermò serio.
Subito pensai a cosa avessi potuto fare di male per meritarmi una frase e uno sguardo del genere, ma appena ci sedemmo sul divano Louis mi tranquillizzò.
“Non è niente di grave, cioè almeno credo. Devo solo farti una domanda abbastanza stupida”, cominciò.
Niall era ancora sul divano con il pc, probabilmente stava dando il buongiorno alle fans su Twitter, ma la sua presenza non sembrava preoccupare Louis, che proseguì con il suo discorso.
“Sai già cosa metterti per la festa di Harry?”, chiese, spiazzandomi.
Lo guardai spalancando gli occhi: mai avrei pensato che Louis Tomlinson in carne, ossa e maglietta a righe blu si sarebbe preoccupato del mio abbigliamento.
“Ehm, no, non ci ho ancora pensato, ma qualcosa troverò nel mio armadio”, risposi, quasi incespicando.
La mia risposta parve non soddisfarlo: Louis scosse la testa e piegò le labbra in un’espressione di disapprovazione, accompagnando il gesto con un suono in tema.
“Che c’è?”, chiesi, esasperata.
“Tu pensi DAVVERO di mettere la prima cosa che capita?!”, chiese, più sconvolto di me.
“Beh, no, ma …”
“Sssh, non dire niente e ascoltami, prima che torni il ricciolino. Mi offro di farti da stylist per un giorno, ok? Quando sei libera?”, chiese.
“Ehm, mai…? No, dai, posso chiedere un paio d’ore di permesso a Jake un pomeriggio”
“Perfetto! Facciamo … Domani”, decise Louis. “È l’unica possibilità, non possiamo prenderci l’ultimo giorno, metti che poi non troviamo niente che ti piaccia e le solite cose di voi ragazze, succede un disastro”, spiegò poi.
“Eh, ma allora se sono cose da donne, non può venire El?”, chiesi.
“No. Perché io conosco i gusti di Harry in fatto di abbigliamento femminile e lei no. Io sono il meglio, tesoro”, rispose convinto.
Lo guardai bene: la sua espressione era davvero concentrata e non avevo mai visto un ragazzo preoccuparsi così tanto per i vestiti di una ragazza.
Scoppiai a ridere, così Louis alzò un sopracciglio e mi chiese cosa ci fosse di tanto divertente.
In quel momento Harry rientrò, e sorrise vedendomi ridere in faccia a Louis.
“Ehi, Tommo, che c’è, la mia ragazza ti prende in giro?”, insinuò. “Dai, vieni qui che ti abbraccio e ti proteggo da quella cattivona”, disse avvicinandosi e facendomi l’occhiolino.
Louis si buttò sull’amico e lo prese in un abbraccio stritolante: Harry diventò paonazzo, poi esclamò: “Lou! Lou, ti prego, non respiro!”.
Io e Louis scoppiammo a ridere, mentre Harry riprendeva fiato.
“Ehi, Haz, giovedì pomeriggio pensavo di rapire la tua ragazza per un paio d’ore. Posso?”, Louis si rivolse improvvisamente a Harry.
Lo guardai stupita: pensavo che Harry non avrebbe dovuto saperlo, ma a quanto pare Louis aveva in mente un piano perfetto.
“Va bene, ma … Perché, se posso chiedere?”, rispose Harry.
“Devo comprarmi qualcosa per la tua festa, e ho bisogno di un consiglio femminile”, spiegò Louis, candidamente.
“E non puoi portarti Eleanor?”, fu la domanda ovvia di Harry.
“No, non può, è impegnata in qualche affare strano, boh”, rispose evasivamente Louis.
“Va bene, allora, ti concedo questo onore. Ma tu …”, continuò, prendendomi per mano e tirandomi vicino a lui, “Tu sei mia”.
Lo baciai per tranquillizzarlo, facendolo addirittura arrossire; Louis ne approfittò subito per fare un versetto antipatico, poi scappò lontano da noi per evitare il calcio che stava partendo da Harry.

“Allora, andiamo a scuola?”, chiese Harry.
“Vieni anche tu?”, chiesi io a mia volta, speranzosa.
“Meglio di no, mi caccerebbero dalla classe”, rispose lui sorridendo.
Quando arrivammo davanti al cancello dell’università, Harry non scese dall’auto per evitare di arrivare tardi alle prove, così ci salutammo con un bacio veloce –ok, più di uno-, poi io scesi e lui ripartì.
Entrai in classe leggermente in ritardo, guadagnandomi un’occhiataccia dal professore, poi andai al mio posto vicino ad Ana.
“Ben arrivata, eh”, mi accolse, ironica.
“Ehm, ciao Ana. Ieri non ti ho avvisata, lo so, scusa, è stato un … imprevisto”, risposi, sentendomi in colpa.
“Dai, tranquilla. Allora, la casa ormai è a posto, abbiamo finito ieri di pulire ed è bellissima, vedrai!”, cominciò lei.
“Questo pomeriggio ci faccio un salto. Grazie davvero per l’aiuto che mi avete dato”, la ringraziai, sorridendole.
“Figurati. E poi, che diamine, fra pochi giorni saremo alla festa di compleanno di uno dei One Direction, con tutta la band al completo!”, esultò lei.
Il professore la sentì bisbigliare, così ci riprese, facendoci tacere per il resto della lezione.

Dopo aver mangiato, io ed Ana andammo a fare una visita veloce alla villa, e rimasi sorpresa dal cambiamento che c’era rispetto a prima: era splendida, la luce entrava dalle finestre e illuminava il salone in cui si sarebbe svolta la festa, rendendolo quasi magico.
Abbracciai Ana, emozionata, non sapevo più come ringraziare lei e le altre per tutto quello che avevano fatto. Dopo poco ci salutammo e io mi diressi verso il pub.

“Jake, devo chiederti un favore”, esordii.
Jake si asciugò le mani in uno straccio e si mise in ascolto.
“Allora, il migliore amico del mio ragazzo è impazzito, e vuole portarmi a fare shopping domani pomeriggio”, cominciai, ma lui mi interruppe.
“Oh, oh, oh, aspetta un attimo! Chi sarebbe il migliore amico del tuo ragazzo, alias Harry Styles?”, chiese.
“Jake, non serve che lo chiami ogni volta per nome e cognome. Comunque è Louis”, risposi, leggermente imbarazzata.
Tomlinson”, concluse lui.
“Sì”
“Ok, vuole portarti a comprare qualcosa. E io che c’entro?”, chiese, facendo il finto tonto.
“Ho bisogno di un paio d’ore di permesso”, tagliai corto.
Jake sembrò pensarci su, ma infine rispose: “D’accordo, vai a fare shopping con il migliore amico, cioè Louis Tomlinson, del tuo ragazzo, cioè Harry Styles”.
“Jake, finiscila!”, risposi stizzita.
“Mi piace farti innervosire, lo sai?”, sorrise lui, beffardo.
“Oh, fantastico, davvero fantastico. Scordati la festa, allora”, minacciai.
“Eh, no, questo no! Voglio conoscere i tuoi amici famosi. Dai, ti pregooooooo! Non lo farò più”, protestò.
Risi, divertita, e capì che stavo scherzando, poi riprendemmo tranquillamente il lavoro.


Curly space:
Yeeep, eccomi qui di nuovo a scassarvi l'anima con questa bellissimissima (?) storia! :D
Allora, che carini i nostri ragazzi eh? Zayn, poi, da stritolarlo di abbracci, da quanto dolce e simpatico è... ;) E Louis?! Caaaaaaaaaro! *-* 
Voglio anche io degli amici così!
E, soprattutto, un moroso così, per la miseria! <3 Tanto amore per Harry <3 

Beh, allora passiamo ai ringraziamenti:
GRAZIE a marty_96borgi che ha messo la storia tra le Preferite :) che dolce :)
GRAZIE a Cicci Pasticci per averla inserita nelle Seguite :) dolce anche tu :)
E GRAZIE alle mie due fedelissime seguaci, Nanek e Tommos_girl93 che non mancano una recensione! <3 Vi adoro! *-*

Come sempre, se volete, e mi farebbe molto piacere, potete lasciare un commentino nel riquadro qui sotto, non vedete che vi sta facendo gli occhioni dolci?! *-* 
O, insomma, se il riquadro non vi ispira abbastanza, fate finta che sia uno di quei cinque disperati, a cui gli occhioni non mancano di certo... ;) 

Alla prossima!
Curly crush 

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Capitolo 22
*** She's a lucky girl ***


She's a lucky girl


Il giorno dopo, verso le quattro, lasciai il pub, e mi diressi verso Westfield, dove avevo appuntamento con Louis.

Non appena arrivai, vagai un po’ con lo sguardo, non riuscivo a vederlo; forse non era ancora arrivato.
Invece, dopo due minuti che mi guardavo attorno come un’ebete, sentii un leggero colpetto ad una spalla, così mi voltai e me lo trovai davanti, anche se ebbi qualche difficoltà a riconoscerlo: in testa, aveva un cappello grigio che gli copriva i capelli, occhiali scuri sugli occhi, sciarpa attorno al collo e un giubbotto semplice, nero, sopra un paio di pantaloni della tuta blu larghi.
“Che c’è, sei ricercato e non lo sapevo, Lou?”, chiesi, divertita.
Lui rise leggermente, poi rispose: “No, tranquilla, non sono un pazzo criminale psicopatico che vuole ucciderti. Solo che se mi riconoscono e ci vedono in giro assieme … Sai, no, come sono i paparazzi”.

Non ci avevo pensato, avrei potuto stare più attenta anche io.

“Beh, dai, entriamo: abbiamo un sacco di lavoro da fare!”, scherzò Louis.

In tutti i mesi in cui ero stata a Londra, non ero mai entrata in quel centro commerciale, e me ne pentii seriamente: c’erano talmente tanti negozi da far girare la testa, nel vero senso della parola.
Decidemmo di entrare da Bershka, quel negozio mi era sempre piaciuto anche in Italia, e sapevo che avrei trovato quello che volevo: qualcosa di elegante, ma allo stesso tempo semplice; se ci fossero state occasioni più formali, avrei optato per qualcosa di più impegnativo.
Ma, per quella sera, volevo essere me stessa.

Mi divertii a guardare Louis che estraeva abiti dalle stampelle, si stava divertendo quasi più di me.
Dopo una lunga selezione, entrai nei camerini con una quindicina circa di abiti, di tutti i tipi e colori.
Man mano che li provavo, Louis giudicava, anche solo con un’espressione e molte volte ci trovammo d’accordo.

“No, questo no, ti prego!”, esclamò Louis, scartando l’ennesimo vestito. “Quanti ne restano?”.
“Uno solo, ma è quello che mi piace di più, l’ho tenuto apposta per ultimo”, risposi, speranzosa.

Sembrava un’impresa davvero impossibile.

Entrai nel camerino, leggermente sconsolata, e guardai l’ultimo vestito, appeso al muro davanti a me.
Era davvero bello: nero, senza maniche, scollato a barchetta, e, la cosa che mi piaceva di più, doppio: aveva, cioè, una specie di sottoveste nera, e sopra stava il vestito vero, semitrasparente, con la parte appena sopra il seno e dietro le spalle traforata con un motivo floreale; in vita aveva un cinturino in pelle beige, poi l’abito scendeva morbido lungo i fianchi e arrivava sopra le ginocchia in una doppia gonna, una sul lato destro e una sul sinistro, che si univano al centro in una specie di cuore rovesciato.

Lo indossai, sperando che Louis non lo scartasse, e uscii, sorridente e facendo una piroetta.

“Questo. Assolutamente questo. È lui!”, esclamò Louis, saltando su dalla sedia su cui si era accasciato al quinto vestito ed abbracciandomi.
“Ti piace sul serio?”, chiesi, felice.
“Certo, a me piace, ma non è a me che deve fare effetto. Harry impazzirà, vedrai”, affermò, sicuro.
“Oddio, grazie Lou, grazie, davvero! Ti voglio bene”, esclamai, in un impeto di affetto.
Louis sorrise, soddisfatto, poi chiese: “E sopra? Che ci mettiamo?”.
Su questo non avevo dubbi: “Qualcosa di colorato, magari in tinta con le scarpe …”.
“Ok. Colore?”, chiese lui.
“Verde acqua, o turchese”, risposi sorridendo sicura.

Louis ripartì in missione in giro per il negozio e, dopo alcuni minuti, tornò con un cardigan, un blazer e un golfino corto del colore che avevo chiesto, e provai tutti i capi sopra il vestito, ma nessuno sembrava starci davvero bene.
“E qualcosa di neutro, magari? Un beige o un panna, qualcosa del genere …”, propose Louis.
“Mmmh, va bene, proviamo! Sono nelle tue mani, Lou”, acconsentii.

Provai ancora gli stessi tre capi che Louis mi aveva portato prima, ma in beige e, effettivamente, come colore ci stava meglio; in aggiunta, però, Louis aveva trovato anche un cardigan più lungo, interamente traforato con lo stesso motivo del vestito: non appena lo vidi me ne innamorai e, quando lo provai sul vestito, decisi che era suo: era leggermente più corto del vestito, così che lasciava intravedere la chiusura a sipario anche dietro, evitando di togliere il bello dell’abito.
Continuai a ringraziare Louis finché non uscimmo dal negozio (ovviamente dopo che ebbi pagato), poi mi ricordai del regalo per Harry: avevo avuto una bella idea il giorno prima.

“Lou, qui c’è una gioielleria vero?”, chiesi.
“Certo, quante ne vuoi!”, rispose, poi me le elencò tutte a memoria.

Infine optammo per Nomination.
Quando entrammo nel negozio, fummo subito assaliti da una commessa, che si rivolse esclusivamente a Louis con un “Ciao, ti serve qualcosa?” adorante.
Lui mi guardò e, facendomi l’occhiolino, rispose alla ragazza: “No, a me no. È lei la vera cliente”.
La commessa mi guardò e sembrò accorgersi in quel momento che Louis non era solo.
“Ah, molto bene. Cosa ti serve?”, chiese sprezzante.
Guardai Louis con un’espressione da “cominciamo bene”, e lui rispose socchiudendo gli occhi, come per dirmi di portare pazienza.
“Un momento … tu sei quella con cui esce Harry Styles in questo periodo, vero?”, chiese all’improvviso, illuminandosi.
“Sì, sono la sua ragazza”, precisai io, “E sto cercando un regalo per il suo compleanno”.

Da quel momento la commessa cambiò faccia, e diventò molto più cordiale.

“Mi piacerebbe – se lo avete- un braccialetto, maschile ovviamente, con il simbolo dell’infinito”, spiegai, arrossendo leggermente sotto il sorrisino beffardo di Louis.
La ragazza me ne mostrò alcuni e, dopo averne scelto uno, aggiunsi: “Ci si può incidere qualcosa sopra?”.
L’otto rovesciato era leggermente schiacciato, così da lasciare un po’ di spazio sulle curve; la commessa, infatti, rispose: “Certamente. Cosa vorresti inciderci?”.

“Lou, scusa potresti girarti un momento? Le tue espressioni mi mettono ansia”, dissi, piano.
“E perché dovrei? Tanto poi quando lo darai a Harry lo vedrò ogni giorno, quindi tanto vale che lo veda anche adesso”, rispose, senza alcuna intenzione di ascoltarmi.
“E va bene. Però non ridere”, chiarii.

Capii che non avrebbe obbedito già dallo sguardo che mi lanciò in risposta a quella richiesta.
Adorabile, Tomlinson, adorabile.

Mostrai alla commessa la collana che Harry mi aveva regalato, il ciondolo con la G e la H unite, e chiesi di aggiungerci anche un’ulteriore scritta sulla curva sinistra inferiore dell’otto: “I love you”.
Poteva sembrare banale, ma sulla curva opposta ci sarebbero state le nostre iniziali a renderlo originale.

“Sì, è fattibile. Quando ti serve?”, disse infine la commessa.
“Entro domani sera, se è possibile”, risposi.
“Non c’è problema: al massimo entro le tre di domani pomeriggio dovrebbe essere pronto. Va bene?”, concluse la ragazza.
“Benissimo, grazie mille”, risposi io, poi, evitando di guardarlo in faccia, presi Louis a braccetto ed uscimmo dalla gioielleria.

“Sei molto dolce”, disse lui, inaspettatamente.
Pensando che fosse l’incipit di una presa in giro, risposi con un mugugno insensato; Louis rise, poi insistette: “No, davvero. Insomma, è davvero originale come regalo e …” –si fermò davanti a me e prese tra il pollice e l’indice il mio ciondolo- “Harry non mi aveva detto niente di questa, quel romanticone. Ora capisco cos’erano tutti quei disegnini in camera sua”, concluse sorridendo.
“Quali disegnini?”, chiesi curiosa.
“Quelli che il riccio ha fatto su decine di foglietti, sempre le stesse cose, una G ed una H unite, ma in modi diversi”, spiegò, riprendendo a camminare.

Cercai di immaginarmi Harry mentre disegnava le nostre iniziali, con quello sguardo serio che ogni tanto gli compariva sul viso e che mi faceva tanto ridere, nella sua camera, a quella scrivania sommersa dai vestiti in ogni centimetro; sorrisi.
“Ehi, io non ti ho detto niente eh …”, pregò Louis.
“Certo, certo, stai tranquillo. Sarà il nostro piccolo segreto”, scherzai.
“Sì, ma mi sa che ne abbiamo anche troppi di piccoli segreti io e te in questi giorni”, affermò lui.
“Cosa vorresti dire?”
“Che io ho tentato di nascondermi in qualche modo, ma i paparazzi sono ovunque”, spiegò, sbuffando.
“Beh, ma avevamo avvisato Harry che saremmo usciti”, risposi.
“Certo, lui sì. Ma non il resto del mondo”.


Curly space:
Ta daaaaaaaaaaaaaa! Quest'ultima affermazione di Lou non vi mette un po' di ansia? A me un sacco (non è vero, dato che so cosa succede dopo =P) *stupida*
Comunque, un po' di suspense va sempre bene... 
Beh, allora, cosa mi dite?
Voi andreste a fare shopping con il Tomlinson?!
Io... SIIIIIIIIIIIIII subitissimo! ;)
Vabbé, Curly, basta con 'sti scleri...

Per il vestito, spero di averlo descritto abbastanza decentemente. Non sono ancora in grado di caricare le immagini, perdonatemi... -.-
Magari vedo di imparare per la prossima volta ;)

Volevo ringraziare la nuova arrivata, Chicca Styles, per aver messo la mia storia tra le Seguite :) Thank youuuuuuu! <3
E poi, grazie a tutte quelle timidone che leggono in silenzio... ;)

Alla prossima,
Curly crush :) 

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Capitolo 23
*** Let's go crazy 'til we see the sun ***


Let's go crazy 'til we see the sun


Tornai a casa con Louis, approfittandone per salutare Harry, che non vedevo dal mattino precedente; non appena mettemmo piede in casa, però, fummo raggiunti proprio dalla sua voce, che intimava: “Louis, vieni qui. Mi spieghi cos’è questo?”.

Lo raggiungemmo in salotto, e, quando mi vide, ne restò sorpreso, ma non si avvicinò per salutarmi con un bacio come al solito: restò, anzi, seduto sul divano, con il pc sulle gambe.

“Che succede?”, chiese Louis, sorridendo.

Io restai indietro, avvicinandomi lentamente al divano: lo sguardo di Harry mi aveva fatto male.

“Guarda qui”, disse secco lui, passando il computer a Louis.
“Ma dai, Harry, per favore! Stai scherzando, vero?”, protestò Louis.

Come immaginavo, non doveva esserci niente di buono.

“No, non sto scherzando Lou, sono serio”, rispose Harry.
“Te l’avevamo detto che saremmo usciti, oggi”, insistette Louis.
“Certo, che uscivate. Non che vi abbracciavate in pubblico”, protestò Harry, tentando di restare secco ed indifferente, ma io riuscii ugualmente a percepire quella nota di delusione e tristezza nella sua voce.

Capii subito di cosa stesse parlando.

“E’ colpa mia”, affermai, anticipando la risposta di Louis.

Harry si voltò e mi guardò con lo stesso sguardo accusatore di prima.

“Sono stata io ad abbracciarlo, Harry. Era un … ringraziamento”, spiegai, “E non pensavo che ci fossero macchine fotografiche anche dentro i negozi, altrimenti avrei evitato di fare una cosa del genere”.

Harry passò lo sguardo da me a Louis, al computer.

“Io … Io sono uno stupido, scusatemi. Non so davvero cosa mi prenda ultimamente. Tu sei la mia ragazza e tu il mio migliore amico, e cosa faccio io? Dubito di voi. Devo essere pazzo”, disse sconsolato Harry, prendendosi la testa tra le mani.
Louis gli passò una mano sulla schiena, poi rispose: “Dai, Haz, non è niente, stai tranquillo”.

Finalmente riuscii ad avvicinarmi senza timore, e mi sedetti vicino a Harry, prendendogli una mano tra le mie e sorridendogli dolcemente non appena girò il viso verso di me: aveva gli occhi lucidi, non potevo crederci.
Mi uccideva vederlo così, sarei dovuta stare più attenta da quel momento in poi.
Louis si alzò e ci lasciò soli.

“Che stronzo … Non ti ho neanche salutata”, rise leggermente Harry.
Poi si avvicinò e mi diede un bacio sulle labbra, che presto si trasformò in un bacio ben più profondo ed appassionato.
“Scusami, piccola”, disse Harry in un sussurro.
“Non ti preoccupare, Harry”, risposi.
Può sembrare stupido ed egoista, ma in quel momento preferivo che chiudesse la bocca e la usasse per baciarmi e basta.
“So che mi posso fidare di te”
“Certo”
“E tu di me”
“Non ho dubbi”
“E …”
“Harry, per favore, stai zitto e mi baci?”.

Lui scoppiò a ridere, ma poi mi accontentò, facendomi quasi vedere il Paradiso.

“Resti qui con me? Almeno fino a mezzanotte, poi ti porto a casa, se vuoi”, mi pregò Harry dopo un po’.
“Beh, se me lo chiedi così, come faccio a dirti di no?”, risposi sorridendo.
“Eh, appunto. Poi domani alla festa non ci sei nemmeno, dovrò pur festeggiare anche con te il mio compleanno, insomma”, disse, avvicinandosi al mio viso con uno sguardo furbo.
Mi baciò leggero sulle labbra, poi cominciò a scendere lungo il mento, la mascella, fino ad arrivare al collo; mi misi a ridere per il solletico che le sue labbra mi provocavano sfiorandomi, poi piegai la testa per proteggermi, ma Harry riuscì comunque a darmi un morso sul collo.
“Ahia, sei pazzo?”, mi lamentai, ridendo.
“Sei buona, lo sai?”, rispose lui sorridendo soddisfatto.

Nel frattempo, erano rientrati Zayn, Liam e Niall, facendo un baccano incredibile ed urlandosi da una stanza all’altra le cose che dovevano fare. Io e Harry ci alzammo dal divano, per raggiungere Liam in cucina.

“Ehi, Liam, che facciamo stasera?”, chiese Harry.
“Ragazzi, per stasera allora va bene come abbiamo detto?”, urlò lui, ricevendo in risposta tre “Sì” convinti.

Io e Harry ci guardammo e scoppiammo a ridere, toccandoci le orecchie per far capire a Liam che ci aveva praticamente assordati.

“Ops, scusate ragazzi. Comunque, se per te va bene, pensavamo di restare a casa oggi”, rispose infine Liam.
“Certo, certo va bene. Gioia resta a cena, ok?”, avvisò Harry.
“Oh, bene, così vedrai una delle nostre serate a casa! Perfetto, non vedo l’ora!”, esclamò Zayn, comparendo da dietro l’angolo della porta.
Harry si coprì il viso con le mani, poi brontolò: “Accidenti, questa non l’avevo messa in conto”.
Lo guardai senza capire, ma Liam fu più veloce e rispose al posto di Harry: “Non preoccuparti, sarà divertente, vedrai”.
“Certo che sarà divertente, come sempre”, si aggiunse Niall.

Andò diretto verso il frigorifero e ne estrasse un panino, che subito addentò, facendomi l’occhiolino.

“Qualcuno mi spiega che cosa deve succedere stasera?”, chiesi infine, spiazzata da tutte quelle frasi senza senso.
“Lo vedrai stasera allora”, rispose Louis, entrando in cucina.
“Oh, è arrivato anche l’ultimo. Bene, riunione in cucina insomma. Vi capita spesso?”, chiesi ironica.

La cucina non era piccola, ma in quel momento c’erano sei persone al suo interno, ed era difficile muoversi senza urtare qualcuno.
I ragazzi scoppiarono a ridere alla mia battuta, senza però darmi una risposta.
Ormai mi stavo ambientando, non ero più intimidita da quei cinque ragazzi famosi: erano ragazzi perfettamente normali che per una sera avevano deciso di rimanere a casa in compagnia, non sapevo bene a fare cosa, ma presto avrei scoperto anche quello.

La sera, mi offrii di cucinare, accompagnata comunque da Niall: nella loro dispensa riuscii a trovare gli ingredienti per la pizza, così gliene preparai alcune ad opera d’arte.
Niall mi osservava attento –“Così poi posso farla anche io”, spiegò-, ma, non appena prese in mano la farina, me la ritrovai dappertutto: non avevo fatto in tempo ad aprire il sacchetto, che lui ne aveva già preso un pugno e me l’aveva soffiata addosso; io ovviamente reagii, ma, fortunatamente, le nostre risate non attirarono anche gli altri.
Sarebbe stata la fine della serata tranquilla, e della pizza.

Certo.
Serata tranquilla.
Ci credevo davvero, in effetti: l’avevo pensata, e definita, tale.
Ma mi sbagliavo di grosso.
Non appena finimmo di mangiare (dopo numerosi complimenti dei ragazzi per la mia pizza), mi offrii di mettere a posto velocemente, lasciando che quei cinque pazzi si rilassassero un po’.
Forse relax non era proprio la parola giusta, dato che dalla cucina sentivo arrivare rumori di qualsiasi genere, ma decisi comunque di fidarmi.
Quando terminai di riordinare, li raggiunsi in salotto, aspettando di vedere cosa avessero deciso di fare; non appena superai la porta del soggiorno, strabuzzai gli occhi incredula: la stanza era stata completamente messa sottosopra. I divani erano stati spostati lateralmente, così come il tavolino, per lasciare un ampio spazio al centro, davanti alla tv; ma quello che mi stupì di più, furono proprio i ragazzi: ognuno di loro era seduto sui divani o sulle poltrone, in attesa di non si sa cosa.

“Oh, eccoti qui! Ora possiamo cominciare”, mi accolse Harry, sorridendo.

Mi sedetti accanto a lui, poi Liam accese la tv e la collegò alla Wii. Per il momento non c’era niente di strano, almeno mi parve.

“Chi comincia?”, chiese, dopo aver inserito il disco di Just Dance.
“Diamo una dimostrazione pratica alla novellina, qui. Io e Louis”, rispose entusiasta Niall.
“Ehi, ma per chi mi avete preso? Ho già giocato a questo gioco!”, esclamai io.
“Ma non con le nostre regole”, ribatté Louis, facendomi un sorriso storto.
“Io guido Lou”, si offrì Harry.
“E io Niall, allora”, rispose Zayn.
“Perfetto, io e Gioia allora saremo i giudici”, decise Liam, strizzandomi l’occhio.

Harry e Zayn si alzarono e, con dei pezzi di stoffa che non avevo visto, bendarono gli amici.

“Ehi ehi ehi, fermi un attimo. Voi giocate a Just Dance BENDATI?!”, chiesi io, sbigottita.

Alla fine, avevo capito in cosa consisteva questa serata da One Direction. Harry si voltò sorridente verso di me.

“Non è così difficile, vedrai. Due di noi si bendano, altri due li istruiscono sui movimenti da fare e quello che resta –oggi ci sei anche tu- alla fine decide chi ha ballato meglio”, spiegò.

Ero proprio curiosa.

“D’accordo, voglio vedere”, risposi, impaziente.
“Oh, non vedrai soltanto, piccola … Lo farai direttamente”, anticipò lui con quello sguardo strafottente che le prime volte mi dava sui nervi, ma che ora adoravo.

Dopo poco, cominciarono il gioco, e fu la fine della razionalità: Niall e Louis continuavano ad urtarsi seguendo le istruzioni di Harry e Zayn, mentre io e Liam ridevamo come due pazzi, tenendoci la pancia e arrivando -almeno io- alle lacrime.
Come se la difficoltà non fosse già abbastanza elevata, spesso Harry e Zayn suggerivano le mosse sbagliate agli amici, confondendoli e facendoli protestare, tra le risate generali.
Infine, la prima canzone finì, e io e Liam, dopo una rapida consultazione, dichiarammo la vittoria di Niall, scatenando l’entusiasmo suo e di Zayn e le proteste di Louis e Harry, dall’altra parte.

“Ora tocca a te, tesoro”, mi invitò Harry, porgendomi la benda da mettere davanti agli occhi.

Lo guardai con aria di sfida, ed accettai.

“Però la guido io. Tu sarai il suo sfidante”, propose Louis.

L’idea mi spaventava alquanto, ma decisi di fidarmi: dopotutto, Louis era quello con cui avevo legato maggiormente, quindi avrebbe dovuto aiutarmi. Teoricamente.
La guida per Harry fu invece Liam, mentre Niall e Zayn si stavano già sfregando le mani, pronti a giudicare la nostra performance.
Louis mi legò la benda dietro la testa, poi non vidi più niente, sentivo solo la musica e le voci dei ragazzi che ridevano e commentavano il gioco, ma cercai di concentrarmi su quella della mia guida.
Era davvero difficile seguire le indicazioni, ma estremamente divertente, su questo avevano ragione i ragazzi.
Più di una volta io e Harry ci scontrammo, ridendo come matti e provocando lo stesso negli altri che ci guardavano.
Quando terminammo il nostro balletto, ci togliemmo le bende, e, guardandoci a vicenda, scoppiammo a ridere: eravamo entrambi sudaticci e rossi in viso, per non parlare poi dei capelli di Harry, che non stavano più da nessuna parte.
Harry mi si avvicinò e mi abbracciò, poi disse: “Sei stata brava, piccola”.
“Ma se non mi hai nemmeno vista! Che bugiardo che sei”, sbuffai tra i suoi capelli.

Mi prese per mano ridendo, poi ci girammo verso Niall e Zayn, che ci guardavano sornioni.

“In realtà, non c’è un vincitore”, cominciò Niall.
“Già, avremmo bisogno di un’altra sfida”, continuò Zayn.

Li guardai, sperando che stessero scherzando, ma così non era.

“Invertiamo le guide, però, stavolta”, ordinò Niall.

Così Liam si appostò dietro di me, e Louis dietro a Harry; ci bendammo di nuovo, poi fecero partire un nuovo pezzo.
What makes you beautiful.
Perfetto.
Liam era decisamente meglio come guida: al contrario di Louis, mi spiegava bene i movimenti, e tendeva a non imbrogliare, così per quasi tutto il pezzo riuscii a ballare dignitosamente.
Quando arrivò l’assolo di Harry, però, lui non ascoltò le istruzioni di Louis, e mi si avvicinò, tastando il mio corpo con le mani: riuscì a trovare la mia vita e a stringermi a sé, mentre io mi arrendevo a lui, non potendo muovermi; invece di seguire il balletto, seguì la canzone e ripeté ciò che aveva fatto al parco della villa la notte di Natale: cantò l’assolo al mio orecchio e poi mi baciò, molto tranquillamente ed ignorando totalmente le proteste di Louis che gli ordinava di smetterla e di riprendere a ballare, altrimenti avrebbe perso; io, d’altro canto, non fui da meno: Liam continuava a ripetermi molto gentilmente, ma con una certa ansia, di mollare Harry e riprendere la sfida, ma ormai era fatta.
Così, con gli occhi bendati, la musica di sottofondo e Harry che mi teneva con lui, mi pareva di essere su un altro mondo.
Infine, il pezzo terminò e Harry mi tolse la benda, dopo essersi già liberato della sua; era a pochi centimetri dal mio naso, e sorrideva, felice di questo improvviso cambio nella sfida: i suoi occhi brillavano, e il suo sorriso mi toglieva il fiato, quelle fossette erano davvero la fine del mondo.

“Ehm, ehm, scusate”, Niall attirò la nostra attenzione tossendo leggermente.
“Allora, io e il biondo qui, ci siamo già consultati mentre voi vi perdevate felicemente uno negli occhi dell’altra”, ci informò Zayn, con tono volutamente sognante, ma ironico.
“E abbiamo deciso …”, continuò Niall.
“Che il vincitore è …”, cincischiò Zayn.

Louis e Liam, nel frattempo continuavano ad insultare scherzosamente me e Harry, come se fossero stati i coach di due pugili professionisti.

“Tutti e due!”, esclamarono infine all’unisono Zayn e Niall.

Harry urlò entusiasta e mi abbracciò, sollevandomi da terra, e ridendo come un matto, mentre tutti gli altri applaudivano divertiti.

La serata poi proseguì così, tra sfide e risate, e io ebbi anche l’occasione di vendicarmi di Louis facendogli da guida: nella competizione con Zayn, lo feci indietreggiare fino al divano, facendolo poi inciampare e caderci sopra, e, purtroppo, facendogli perdere la sfida.
Quando fummo tutti esausti, i ragazzi cambiarono gioco, cimentandosi nelle imprese calcistiche di Fifa: Harry era una frana, certo non più di me, ma rispetto a Louis e gli altri, lo era decisamente.
I popcorn che Niall aveva preparato a metà della serata, erano in gran parte sparsi sul pavimento, con grande disappunto del “cuoco”, che si lamentò: “No, ragazzi dai, non si può trattare così del cibo. È un insulto alla miseria, cavoli!”, facendo scoppiare tutti a ridere con la sua espressione preoccupata.

Verso la mezzanotte, Louis e Niall erano nel vivo di una partita tra Inghilterra e Irlanda, e, mentre Zayn e Liam vi assistevano divertiti, io e Harry ci eravamo accoccolati sul divano, stando comunque in loro compagnia.
Ad un certo punto, diedi un’occhiata all’orologio di Harry, scoprendo che era mezzanotte esatta.
Guardai Harry, e sorrisi nel vedere che si era appisolato, con le labbra semiaperte a formare una specie di broncio.

Buon compleanno, tesoro mio”, sussurrai al suo orecchio.

Harry tenne gli occhi chiusi, ma le sue labbra si piegarono in un sorriso quasi da bambino; mi sollevai fino ad arrivare al suo viso, e sfiorai le sue labbra con le mie, provocando la reazione immediata di Harry, che ricambiò il bacio molto meno delicatamente rispetto a me.

“Fortuna che stavi dormendo, eh?”, bisbigliai.

Harry mugugnò qualcosa, sempre sorridendo e stavolta socchiudendo gli occhi. Mi misi a ridere, la sua espressione era molto buffa, sembrava davvero che si fosse appena svegliato.

“Certo che stavo dormendo, che credi?”, rispose lui.

Gli feci una linguaccia, poi lui mi prese il viso e mi avvicinò di nuovo a lui, baciandomi la fronte.
Improvvisamente, fummo assaliti, nel vero senso della parola, da Louis, che si gettò su Harry urlando: “Auguri ricciooooooo!”.
Harry scoppiò a ridere, mentre io lanciai un urlo per la sorpresa, seguita dalle risate degli altri, che avevano lasciato i giochi per buttarsi anche loro sull’amico neo-diciannovenne.
In poco tempo, mi ritrovai ad implorare i ragazzi di farmi uscire da quella ammucchiata, e di farmi prendere aria, anche se riuscii a stento a farmi ascoltare, date le loro grida e le mie risate dovute alla situazione.
Dopo che si furono calmati tutti quanti, brindammo a Harry con delle birre che Niall prontamente estrasse dal frigo, poi i ragazzi ripresero le loro partite: non sapevo quanto avrebbero potuto continuare, probabilmente anche tutta la notte.
Restai lì ancora un’ora, poi gli occhi cominciarono a farsi pesanti e, prima che mi addormentassi sul serio, Harry si offrì di accompagnarmi a casa.
Stavo uscendo di casa con lui, quando Louis distrattamente esclamò: “Ci vediamo domani!”, facendomi sbiancare.
Uscii di fretta, senza rispondergli, ma Harry l’aveva sentito, così cominciò a chiedermi cosa volesse dire l’amico con quella frase.

“Oh, non lo so, Harry, molto probabilmente è il sonno che fa straparlare Lou …”, risposi, sbadigliando evasivamente.

Il giorno dopo avrei proprio dovuto fare una lezione a Louis su come evitare di parlare troppo quando si ha sonno e non si controllano i discorsi.

Harry, fortunatamente, accolse la mia risposta con una risata, poi salimmo in macchina e mi portò a casa, dove mi accompagnò fino alla porta dell’appartamento.
Si appoggiò allo stipite della porta con un braccio, e mi puntò i suoi occhi verdi addosso.

“Sei sicuro di riuscire a tornare a casa, Harry? Ti vedo stanco …”, chiesi.

L’ultima cosa che volevo era che facesse un incidente per colpa mia.

“Sì, piccola, stai tranquilla, ce la faccio”, sorrise, stanco.

Quanto era bello. Non avrei mai smesso di guardarlo. Qualsiasi espressione facesse, per me era fonte di battiti accelerati e farfalle allo stomaco. Era incredibilmente perfetto, nessun essere umano su questa terra avrebbe potuto essere così splendido pur essendo praticamente addormentato. Mi ripresi da quell’estasi, uscendo da quel vortice verde in cui mi ero persa.

“Va bene. Però, quando arrivi mi mandi un messaggio, ok?”, risposi, sempre preoccupata.
“D’accordo, mamma”, mi prese in giro lui.

Mi diede un bacio, e sussurrò: “Ti amo”, poi si voltò e si diresse verso le scale con passo lento.
Entrai nell’appartamento, e chiusi la porta alle mie spalle.


 

Sono arrivato a casetta sano e salvo. Ora dormi tranquilla, piccola mia. Buonanotte e sogni d’oro <3”
 


Lessi il messaggio con un sorriso, poi spensi il cellulare e mi infilai sotto le coperte, addormentandomi finalmente serena.



Curly space:
Yeheeeeeeeeeeeeeee! Sono torrrrrnata! :D
Allora allora...
Che c'è qui?
Un piccolo malinteso iniziale, ma che si risolve subito, tra la nostra Gioia, Harry e Louis...
Non trovate che Harry geloso sia taaaaaanto dolce?! *-*
E poi... questa serata... ahaha scusate, non so voi, ma io scrivendola mi sono divertita un sacco! :) Spero piacerà anche a voi...
Beh, il prossimo capitolo -finalmente- vedrà la luce della festa per il ricciolino, non vedo l'ora! :D

Intanto, passo ai ringraziamenti:
Grazie a _onedismylife_ per aver messo la storia tra le Seguite :)
Grazie a cri1Dforever per averla messa nelle Preferite e per il commento breve :)
E poi grazieeeeeeeee a Tommos_girl93 per la recensione :)
Vi adoro tutte, anche le timidone silenziose! :D
Alla prossima,
Curly crush ;)



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Capitolo 24
*** Everything you do is magic ***


Everything you do is magic


Il giorno dopo, da brava, andai a scuola, poi passai a controllare i preparativi alla villa, e, subito dopo, passai a prendere il braccialetto per Harry a Westfield; non appena lo vidi, ne restai soddisfatta e sorpresa: era venuto ancora meglio di quello che pensavo.
Contenta, tornai a casa a fare il pacchetto, e, poco dopo, ricevetti una telefonata da Eleanor, che mi ordinò di recarmi a un certo indirizzo con il vestito che avrei dovuto mettere quella sera.  
Quell’indirizzo non mi suonava nuovo, ma non ricordavo quando l’avessi sentito.

Arrivai in poco tempo a destinazione, e subito realizzai dove mi trovavo: ci ero passata davanti con Harry in dicembre, ed era stato lui a dirmi che quello era il “salone” in cui lui e i ragazzi si preparavano per qualsiasi show a cui dovevano essere presenti, grazie a Lou Teasdale, la loro hair stylist.

Entrai, e subito Lou mi accolse, come se mi stesse aspettando; mi spiegò che era stata incaricata da Louis (quel ragazzo era una continua sorpresa) di prepararmi al meglio per la festa di Harry.
Così, dopo essermi fatta la doccia, finii sotto le sue mani abili.

In un paio d’ore aveva terminato il lavoro, e potei guardarmi allo specchio: i capelli mi ricadevano sulle spalle, terminando in morbidi boccoli, e il ciuffo, che di solito raccoglievo con una molletta, questa volta era libero, leggermente sollevato per impedirgli di coprirmi gli occhi; scendendo con lo sguardo, ammirai anche il mio viso: era truccato in modo molto naturale, con una leggera ombreggiatura sulle palpebre e un filo di eyeliner ad intensificare lo sguardo, unito al mascara delle ciglia; sugli zigomi, poi, Lou aveva spolverato sapientemente del fard, evitando l’effetto pagliaccio, ma rendendo l’aspetto di un leggero rossore; le labbra, infine, spiccavano sul resto del viso, tinte di un rosso acceso, ma ricoperte da un filo di lucidalabbra per smorzarne leggermente l’effetto, ottenendo così un risultato in linea con il resto del trucco.

Guardai poi il mio riflesso completo, osservando l’abito per arrivare infine alle scarpe con il tacco, che mi slanciavano più del solito.

“Allora, che te ne pare?”, chiese Lou, speranzosa.
“E’ perfetto, grazie Lou. Non avrei potuto chiedere di meglio”, risposi, contenta ed abbracciandola.

Guardai l’ora, e scoprii che si era fatto incredibilmente tardi: Louis molto probabilmente stava andando a prendere Harry per portarlo alla villa, e io dovevo sbrigarmi. Ringraziai ancora Lou, poi uscii e mi diressi verso la festa.

Fortunatamente riuscii ad arrivare prima di Louis e Harry, ma fu proprio questione di minuti.
Infatti, non appena mi fui sistemata e dopo che ebbi salutato tutti gli altri, sentii la voce di Louis provenire da fuori la villa.

“Attento, Harold, qui c’è un gradino … Ecco, sì, bravo, tira su la gamba così …”, sentii Louis dare indicazioni a Harry.
“Ma, scusa Lou, dove cavolo siamo? Dovevamo andare a festeggiare il mio compleanno, mica a giocare a moscacieca!”, protestò Harry in risposta.

Riuscii con fatica a trattenere una risata.

Eravamo d’accordo che Louis avrebbe condotto Harry fino alla villa, tenendolo però bendato, così da non fargli capire dove fossero diretti; così ora i due stavano arrivando, evidentemente con difficoltà, all’interno della villa.
Non appena entrarono, Louis fece segno di stare in silenzio, chiuse la porta, e mi fece segno con l’indice di avvicinarmi a loro. Mi sistemai di fianco a lui, dietro a Harry, e posai le mie mani sui suoi occhi.

“Bene, ora ti toglierò la benda, ma tu devi tenere gli occhi chiusi ancora un minuto”, cominciò Louis.
“Uff, va bene”, sbuffò Harry.

Mi veniva da ridere, ma dovevo trattenermi.
Louis sciolse il nodo dietro la testa di Harry, poi si piazzò davanti a lui e, non appena disse “Bene, ora puoi aprire gli occhi”, tolsi le mani dal suo viso.
Louis esclamò, assieme a tutti gli altri: “Sorpresa! Buon compleanno, Harry!”.

Stando dietro a lui, non potevo vedere la sua espressione, ma lo sentii scoppiare in una risata sorpresa e divertita, per poi ringraziare tutti.

“Ehm, ehm, secondo me ti converrebbe girarti un attimo”, propose Louis, guardando Harry e poi me.

Harry si voltò quasi di scatto, poi, vedendomi, la sua espressione si aprì in un sorriso incredibile, felice oltre ogni limite.
Mi abbracciò forte, e mi fece volteggiare a qualche centimetro dal pavimento, facendomi ridere.

“Ma allora sei qui anche tu!”, esclamò, sorpreso e soddisfatto.
“Certo, vuoi scherzare?”, risposi io, altrettanto felice.

Mi baciò improvvisamente, senza lasciarmi il tempo di dire altro.
Poi la festa ebbe inizio ufficialmente.
Harry fece un lungo giro di ringraziamenti, parlando con qualsiasi persona incrociasse; mi presentò altri suoi amici, tra cui Grimmy –molto simpatico ed estroverso, ma assolutamente fuori di testa-, poi Josh, Sandy e i ragazzi della band, Lou, Tom e la piccola Lux.
C’erano proprio tutti, i ragazzi avevano fatto le cose in grande.
Dopodiché, anche io gli presentai i miei amici, quelli che avevano dato una mano a preparare la festa, e Harry fu carino e gentile con tutti.
O meglio, con quasi tutti: quando gli presentai Jake, capii subito che non era felice di conoscerlo, anche se mascherò bene il suo disappunto con battute che interpretai come frecciatine (molto) pungenti.
Ma non volevo rovinare la serata, né a lui né a me, così ci passai sopra senza più pensarci.
Ad un certo punto, Harry mi lasciò per andare da Grimmy, ma fui subito presa a braccetto da Louis, che mi chiese se stesse andando tutto bene; gli risposi con un sorriso raggiante, non servivano parole, era tutto perfetto.
Per l’occasione, i ragazzi avevano ingaggiato anche un fotografo, così quella sera io e Harry fummo immortalati nelle nostre prime foto ufficiali insieme.
La festa proseguì in modo fantastico, gli invitati si divertivano, e il festeggiato pure: la musica era buona, il cibo ottimo e la compagnia, anche se nuova, era affiatata.
Come tutti, però, fui sedotta dal fascino dei drink, così colorati e invitanti e, molto probabilmente, alzai un po’ troppo il gomito; ma non ero sola: Harry, infatti, mi si avvicinò con un bicchiere in mano, barcollando leggermente, ma con il sorriso stampato in faccia.

Sei bellissima stasera, lo sai vero?”, sussurrò, avvicinandosi con il viso al mio.
“Tutto merito di Lou”, risposi, arrossendo.

Ricevere complimenti da lui mi faceva sempre sentire piccola, e più timida di quello che davvero ero; ma era una sensazione piacevole.

“Mmh, può essere, ma tu ci metti del tuo”, ribatté lui, non ammettendo altre risposte contrarie.
“Volevo darti una cosa”, dissi, ricordandomi del braccialetto, che avevo lasciato nella borsa nell’atrio della villa.

Harry mi seguì fino a lì, giocherellando con i miei capelli.

“Buon compleanno!”, esclamai, consegnandogli il pacchetto.

Harry lo prese, sorpreso, e, con qualche difficoltà manuale, riuscì infine ad aprirlo. Quando lo vide, sorrise dolcemente, improvvisamente lucido, per poi guadarmi con occhi luminosi.

“E’ bellissimo! Grazie, piccola. Sei … sei incredibile. Ci hai perfino fatto incidere il nostro simbolo …”, osservò, continuando ad ammirare quel piccolo segno con sguardo dolce, “Mi aiuti a metterlo?”.

Mi offrì il polso sinistro, e glielo agganciai, poi lo guardò di nuovo e ci scoccò un piccolo bacio.

“Sai una cosa?”, chiese, abbracciandomi.
“Ehm, no, cosa?”, risposi io, cominciando a perdermi nel suo profumo.
Ti amo”, sussurrò, sorridendo.

Sorrisi, guardando i suoi occhi grandi e luminosi, vedendoci davvero dell’amore.

“Ti amo anch’io, Harry mio”, risposi, prima che lui mi baciasse togliendomi il fiato.

Tornammo nel salone per il taglio della torta, accolti da Niall che ci incitò a fare in fretta, poiché “La torta sembra buonissima, e io voglio assaggiarla subito!”.
Ridemmo forte, e lui si unì a noi, facendo voltare tutti i presenti grazie alla sua inconfondibile risata.

Dopo aver fatto tutte le foto di repertorio con amici, collaboratori, ragazza, e chi più ne ha, più ne metta, la torta fu distribuita, per la felicità del biondo, che sembrava ormai parecchio brillo. La festa proseguì allegramente fino a notte inoltrata, con balli, risate e scherzi.

Verso le tre e mezzo del mattino, erano rimasti solo i ragazzi, Perrie, Eleanor e Danielle, che sembravano esauste. Le scarpe di tutte noi giacevano in un angolo del salone, mentre noi camminavano con i piedi liberi, ma doloranti, sul pavimento freddo.
Dopo poco, le tre ragazze decisero di andare a casa, mentre Liam, Louis, Zayn e Niall restarono ancora un po’ con noi.
Volutamente.

All’improvviso, Niall e Louis si avvicinarono a me e Harry con dei pezzi di stoffa tra le mani; anche se ubriaca, riuscii a collegare le due cose, e protestai: “No, ragazzi, per favore, Just Dance a quest’ora e in queste condizioni, no!”

I ragazzi scoppiarono a ridere, poi Niall rispose, con tono quasi autoritario, ma trascinando le parole: “Dai, dai, basta lamentarsi e vieni qui, da brava”.

Mi avvicinai a lui come mi diceva, arrendendomi, e così fece Harry con Louis, che lo stava strattonando leggermente per un braccio. Dopo che ci ebbero bendati –con mano molto malferma-, cominciarono a ridacchiare piano.

“Che avete da ridere?”, chiese Harry, accanto a me.
“Vedrete”, rispose evasivo Liam.

Adorabili, questi quattro ragazzi.

Cominciarono a darci indicazioni, anche se sentivo la presa di Niall sul braccio, e Harry che chiedeva a Louis perché lo stesse tenendo allo stesso modo.

“Bene, ora siamo ai piedi di una scala, quindi state attenti”, avvertì Niall, posandomi una mano sulla schiena per aiutarmi.

Salimmo le scale con difficoltà, rischiando più volte di inciampare, un po’ a causa delle bende, un po’ a causa dell’alcool che tutti avevamo in corpo. Facemmo ancora qualche passo in avanti, poi sentii aprire una porta, ed entrammo in una stanza.

“Bene, siamo arrivati”, annunciò Louis.

Mi portai le mani dietro la testa, per slegare la benda.

“No, fermi lì, con quelle mani!”, ci bloccò subito Niall.
“Ora noi ce ne andiamo, e, quando sentite la porta chiudersi, non prima, potete liberarvi gli occhi”, spiegò Liam.
“E come torniamo a casa noi? Io non ho la macchina qui”, chiese Harry, confuso.
“Oh, io non credo che tornerete a casa per stanotte”, rispose subito Zayn, con un tono che rasentava la decenza.

Dove diavolo ci avevano portati?
Non vedevo l’ora di togliermi quella fascia dagli occhi per scoprire cosa stessero combinando quei quattro.
I ragazzi salutarono, divertiti, poi li sentii scendere le scale ridacchiando e bisbigliando come dei bambini. Dovevano essere proprio ubriachi fradici.
Meno di me sicuramente, però; non riuscivo più a reggermi in piedi, e la testa girava senza fine.

Finalmente, sentimmo la porta della villa sbattere, e ci togliemmo le bende.
La prima cosa che vidi, fu una finestra, da dove entrava la luce della luna; poi, facendo una rapida panoramica, notai che si trattava di una camera da letto.
Con un letto.
Grande. Bianco. Bello.
Quella era pura istigazione.

Guardai Harry, accorgendomi che lui mi stava già fissando.
Arrossii violentemente.
Quei quattro deficienti.
Questa Louis non me l’aveva raccontata, ovviamente.
Sorpresa.
Già, una bella sorpresa.

Harry mi si avvicinò lentamente, con sguardo perso ma attento, e mi avvolse completamente in pochi secondi.        


Curly space:
E alloraaaaaaaaaaa! Questa festa è arrivata, finalmente! :) *tenta di ignorare il ritardo*
Vi è piaciuta?
A me sì =P 
Beh, insomma, immaginate un po', una festa con TUTTI  i ragazzi, e la band, e tutti quanti gli altri... Awwwwwwwww! :3 
Ok, stop it. 
E i nostri due innamorati?! *-* 
Basta, io li adoro, semplicemente <3
E poi, questo finale (molto) aperto... Che succederà?! Booooooooh! :D  

Passiamo ai massive thank you...
Grazie a Candy_Heart per avere messo questa storia nelle preferite! :)
Grazie a cri1Dforever per il commento breve :)
E Grazie a Tommos_girl93 e Nanek per le recensioni :)
Vi adoro tutteeeeeee, ovviamente anche le altre che seguono, preferiscono, ecc... Siete tutte nel mio cuoricino <3 

Alla prossimaaaaa!
Vostra Curly crush ;)

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Capitolo 25
*** But you're perfect to me ***


But you're perfect to me


Il mattino dopo, mi svegliai con la luce del sole che, entrando dalla finestra, mi batteva sul viso.
Aprii lentamente gli occhi, per evitare l’improvviso trauma della luce; in testa, sentivo ancora l’alone dalla sera precedente (eppure non mi sembrava di aver bevuto così tanto); sentivo il braccio di Harry appoggiato sulla mia pancia, nuda, e sentivo il suo respiro calmo vicino a me.

Immagini della notte appena trascorsa mi invasero la mente come un’onda impazzita, facendomi arrossire violentemente.
Tentai di mettere ordine tra i vari ricordi, da quando Liam, Louis, Niall e Zayn se n’erano andati, lasciandoci soli in quella stanza.
Quella notte, io e Harry avevamo rotto il patto; non totalmente, ma in una parte relativamente buona.

Non appena ci eravamo liberati dalle bende che i ragazzi ci avevano messo, io e Harry, dopo un momento di grande stupore, ci eravamo lasciati andare, ed eravamo barcollati fino al letto, cadendoci sopra di peso.
I nostri vestiti avevano presto raggiunto il pavimento, e Harry mi aveva stretta sotto di sé, baciandomi ovunque e percorrendo il mio corpo con le sue mani calde, lasciando scie roventi e brividi di freddo allo stesso tempo.

Il suo tocco era deciso, ma delicato, esperto, e nello stesso momento, timido, e i suoi movimenti erano leggeri e fluidi : mi sentivo perfettamente a mio agio tra le sue braccia, non potevo immaginare un luogo migliore.

Io, al contrario, ero nervosa, mi muovevo quasi a scatti, senza sapere la cosa giusta da fare.

Ad un certo momento, Harry, con tono dolce, mi aveva consigliato di rilassarmi, e la sua voce bastò a raggiungere l’effetto voluto. Da quel momento, tutto era andato meglio.

“A cosa stai pensando?”, sentii mormorare Harry.

Mi voltai di scatto verso di lui, avvampando ancor di più.

“Ehm, niente, niente …”, risposi, sperando che ci credesse.

Speranza vana.

“Eddai, me lo dici? Dai, a cosa pensi?”, insistette lui.
“A stanotte”, borbottai, riluttante, evitando di guardarlo in faccia e convincendomi che il mio intero corpo stesse ormai andando a fuoco.
“Mmmh, interessante”, rispose lui, ghignando.

Spostò la mano sul mio fianco, e mi tirò più vicina a lui, facendomi voltare così che potesse vedermi in faccia. Mi nascosi il viso con le mani, lamentandomi.

“Che c’è?”, chiese Harry, sorpreso.
Sono un disastro”, risposi, in un lamento infantile.
“E’ stata una notte perfetta”, affermò lui.

Aprii leggermente le dita, scoprendomi gli occhi un po’ alla volta.

“Davvero?”, chiesi, incredula.
Lui sorrise furbamente, poi rispose: “Certo, la festa è stata fantastica”.

Cercai di divincolarmi, ma lui mi tenne stretta, così dopo poco mi arresi e mi fermai, coprendomi però nuovamente il viso.

“… E il dopo festa è stato incredibile”, sussurrò, infine.

Mi tolse le mani dagli occhi, spostando le mie dita una ad una, e poi baciandomi dolcemente sulle labbra.

Le sorprese dei ragazzi, però, non erano finite: uscendo dalla camera, infatti, inciampammo in due sacchetti, che contenevano dei vestiti femminili e maschili. Quei quattro pazzi avevano pensato di non farci andare in giro vestiti come la sera prima.
Li adoravo sempre di più.
Indossammo i nostri nuovi vestiti e scendemmo nel salone, dove trovammo un tavolino per due, già apparecchiato per la colazione, con dei sacchetti di Starbucks appoggiati sopra. La colazione era accompagnata da un biglietto:

Buona giornata, piccioncini! :) I vostri Cupidi, Lou, Zayn, Nialler e Liam”                

Dopo aver fatto colazione, io e Harry uscimmo, chiudendo a chiave la porta della villa.
Passeggiammo per Londra senza una meta precisa, poi a Harry venne in mente di portarmi a vedere lo studio in cui lui e i ragazzi facevano le prove per l’imminente tour.

Mentre camminavamo mano nella mano, paparazzi senza decenza si piantavano davanti a noi o alle nostre calcagna per fare quante più foto possibili; Harry tentava di ignorarli guardando da un’altra parte, ma a volte lo sentivo sbuffare e borbottare qualcosa di incomprensibile; io, al contrario, non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle loro macchine fotografiche, vere e proprie armi, ma la mia espressione doveva essere tra il seccato e l’imbarazzato, non saprei dire quale sentimento affiorasse di più dal mio viso. Finalmente, raggiungemmo lo studio, oltrepassammo i cancelli e i paparazzi rimasero fuori.

Lo studio era come l’avevo immaginato: grande, spazioso, arredato con alcune sedie e poltroncine e disseminato di strumentazioni e microfoni vari.
Harry si tolse la giacca, così lo imitai, poi mi avvicinai ad uno dei microfoni, osservandolo senza toccare; sarei stata capace di distruggerlo anche solo sfiorandolo, così feci bene attenzione a tenere le mani dietro la schiena.
Harry mi osservava sornione dalla poltrona, poi, dopo alcuni minuti mi raggiunse e accese il microfono che stavo guardando e un altro lì vicino.

“Ora te lo faccio provare”, annunciò sorridente.
“Come?!”, chiesi io, conoscendo –e temendo- già la risposta.
“Cantiamo qualcosa insieme, no?”

Ecco, appunto.

Optammo per una canzone lenta e abbastanza facile da seguire con la voce, e la nostra scelta cadde su “Every breath you take” dei Police.
Harry trovò la base, la avviò e cominciò ad intonare la canzone.
Timidamente, mi unii a lui, che si zittì per ascoltarmi.
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non andavo per niente fiera delle mie doti canore, così evitai di guardarlo, sentendo il sangue che saliva lentamente e vistosamente alle guance. Harry riprese a cantare, e mi zittii io, invertendo i ruoli: ora lui cantava e io lo guardavo, con la sola differenza che lui ricambiava il mio sguardo con sicurezza.
Mi invitò a terminare la canzone insieme, poi staccò la base e mi raggiunse, stringendomi forte al suo petto e sussurrandomi un “Sei bravissima” che sembrava sincero.

Odiavo la mia voce, soprattutto quando era registrata, e tentai di convincere Harry a non riascoltare quell’agonia, ma lui rifiutò e mandò la registrazione.
Chiusi gli occhi, in attesa della tragedia, e mi concentrai sul pezzo iniziale di Harry: era incredibile quello che la sua voce poteva provocarmi: batticuore, farfalle e strette allo stomaco, brividi lungo la schiena, sorrisi involontari.
Poi arrivò il mio pezzo.
E ne restai sorpresa.
Piacevolmente.
Aprii gli occhi, incredula.
Se non fossi stata esattamente lì a cantare con Harry pochi minuti prima, non avrei mai detto che quella era la mia voce.
Non era ovviamente ai livelli di Harry, ma aveva un che di particolare e di … Bello. Per la prima volta nella mia vita, la mia voce mi parve bella.

Guardai Harry, che mi stava fissando come se stesse in attesa di qualcosa, e gli sorrisi, soddisfatta e felice. Lui ricambiò il mio sorriso, e mi baciò, proprio nel momento in cui le nostre voci si univano nella parte finale, creandone una unica, nuova e speciale.


Curly space:
Ehilaaaaaaaaaaaaaa sono tornataaaaaaa! Questa volta con un solo giorno di ritardo, yeeeeeeee! :D
*Brava Curly, brava*
Beh... Capitoletto corto ma... interessante? Noioso? Troppo miele? 
Boh, ditemi voi, a me piace a sufficienza... =P 
Poi, carina l'idea del cantare insieme, no? Voi non cantereste assieme a Harry? *persa*
E i ragazzi, che lasciano la colazione e i vestiti?!  Awwwwwwwww *-*
(Sì, sto cercando di ritardare il momento che riguarda la parte iniziale del capitolo)
Beh, insomma, so che forse non è molto dettagliata, ma non è successo quello che voi pensate, spero che almeno questo sia chiaro... ;) 
Vedremo andando avanti, per quanto riguarda questa cosa... :)

Ora passo ai ringraziamenti:
GRAZIE a baby10lux e Nandos_ per aver messo la storia tra le seguite! :)
GRAZIE a AllieSwiftie per averla messa nelle preferite! :)
E poi... *rullo di tamburi* GRAZIE a Tommos_girl93 e Nanek per aver recensito! :D Thanksssssss!
E grazie a tutte quelle che leggono in silenzio, è bello vedere le vostre visite... <3 

Alla prossimaaaaa!
Curly crush :)

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Capitolo 26
*** Dark turns to light ***


Dark turns to light


Con tutto il da fare che c’era stato nelle ultime settimane per la festa di Harry, mi ero completamente scordata della faccenda Internet.

Così, alcuni giorni dopo, portai il portatile con me, e durante la pausa pranzo, prima di andare al pub, lo accesi per aggiornarmi sulle ultime novità.
Terribile errore.
Facebook, Twitter e il resto del web erano impazziti e strabordanti di gossip, pettegolezzi e false voci su me e Harry.

Le foto più commentate o comunque più citate andavano da quella che Zayn aveva postato su Twitter, in cui io e Harry stavamo dormendo a casa sua, a quelle della festa di compleanno e della giornata seguente, intervallate da quelle in cui ero con Louis a Westfield, che, fortunatamente, erano solo un paio.
Che casino.
Presi, ovviamente, a leggere i commenti: su cento, quelli positivi andavano dai due ai cinque, non di più.
Il resto era puro odio.

Le fan si erano appese soprattutto alle foto della mia uscita con Louis, convinte che avessi una qualche relazione anche con lui, e perciò sentendosi in diritto di insultarmi pesantemente, dandomi della traditrice, della troia e di quella che “non si accontenta di Harry, ma vuole anche Lou!”, “Vuole solo stare sotto i riflettori”, “Sta usando i ragazzi per diventare famosa”, “Fa soffrire Harry”.
E questi non erano i peggiori: c’era chi mi augurava la morte e chi era convinto che Harry mi avrebbe mollata da un momento all’altro.
La possibilità che Louis fosse un buon amico non le aveva nemmeno sfiorate, né tantomeno quella che io amassi davvero Harry.
Scorsi anche i tweet più recenti, e anche lì, non trovai altro che puro odio.
Chiusi il computer, incapace di andare avanti a leggere, e mi diressi in fretta verso il pub. Forse lavorare mi avrebbe impedito di pensare a tutto quel risentimento.

Ma mi sbagliavo.
Le frasi, i commenti, mi scorrevano nella testa come le scene di un film, rendendomi difficile e quasi impossibile concentrarmi su ciò che stavo facendo.
Dopo l’ennesima birra alla spina fatta straripare dal bordo del bicchiere, Jake mi si avvicinò, mi prese il boccale dalle mani, e sistemò il guaio.
Io continuai a tenere il mio sguardo fisso a terra, incapace di guardarlo negli occhi.

“Che c’è?”, chiese lui, dopo aver pulito il banco.
Niente”, ma sentivo già le lacrime salirmi agli occhi.
“Vieni con me un attimo”, disse, prendendomi sottobraccio e portandomi nel retro, “Allora, sputa il rospo”.

Lo guardai. Mi fissava preoccupato con quei suoi occhi verdeazzurro, in attesa di una risposta.
Tra le lacrime, cominciai a raccontargli quello che avevo visto al computer, e la sua espressione si faceva più seria e scioccata man mano che proseguivo nella storia.

“Sai qual è il problema?”, chiese, quando mi fui zittita.
“N-n-no”, balbettai, ancora scossa dai singhiozzi.
“Che voi ragazze siete terribili, ecco cosa”, rispose, sorridendomi dolcemente.
“Che vuoi dire?”
“Che vi fate prendere troppo dai sentimenti, e non ragionate”, spiegò.

Ma io non riuscivo a capire, e mi stavo innervosendo: voleva forse dire che ad avere ragione erano quelle quattro pazze aspiranti assassine?

“Non sto dicendo che quello che dicono le ragazzine sia giusto, anzi, stanno sbagliando completamente a reagire così. Però, pensaci, tu non faresti lo stesso, se una di loro fosse al tuo posto?”, provò a dire Jake.
No! Cioè, è logico che le invidierei, da questo punto di vista le capisco, ma non insulterei mai così pesantemente nessuna di loro, né augurerei loro la morte!”, affermai decisa.

Di questo ne ero sicura. Jake capì che parlavo sul serio, così passò al secondo argomento.

“E tu pensi di essere pronta per sopportare tutto questo, allora?”.

La sua domanda mi colpì come un fulmine a ciel sereno.

Pensai a Harry, a quella volta sul tetto dell’hotel, a quella piccola crisi che aveva avuto proprio per lo stesso motivo che stava distruggendo me in quel momento: ormai erano più di due anni che lui sopportava cose del genere, chissà se si era mai chiesto se si sentisse pronto, prima di intraprendere quella carriera, tanto entusiasmante quanto difficile, chissà se aveva mai avuto l’istinto di mollare tutto e vivere più tranquillamente.
Come me in quel momento.
No.
Io non ero pronta.
Stavo con lui da quasi due mesi, ed era stato il più bel periodo della mia vita, ma ora la situazione stava precipitando, ed io non ero sicura di voler cadere facendomi così tanto male.

“Vai da lui”, consigliò Jake, “Ce la faccio anche da solo, qui”.

Harry, ciao, sei in studio con i ragazzi per caso?”      

Che bello sentirti piccola! :) Sì, sono qui, abbiamo quasi finito per oggi :D

Posso venire fin lì un attimo?

Sure, baby ;)

Allora fra poco arrivo

Appena entrai nello studio, i ragazzi mi accolsero allegri come sempre, ma non riuscii a reagire a tono.
Feci un cenno a tutti, provocando uno sguardo molto preoccupato da parte di Louis.
Harry era dall’altro lato dello studio, e mi salutò sorridendo, allegro anche lui. Ma, vedendo la mia espressione, comprese subito che c’era qualcosa che non andava, così si avvicinò a me, molto lentamente.
Quando ci trovammo a pochi passi, non ebbi il coraggio, o la forza, per guardarlo negli occhi, e sentii le lacrime salirmi nuovamente agli occhi, prepotenti ed infami come sempre. Harry mi avvicinò a sé, e mi strinse forte, cingendomi il collo con le braccia, mentre le mie restarono distese lungo i fianchi.
Sentii Louis dirgli che lui e i ragazzi si sarebbero spostati in un’altra stanza, lasciandoci soli.
Continuai a piangere, incapace di dire niente, inzuppando la maglietta bianca di Harry con le mie lacrime, mentre lui continuava a stringermi, in silenzio, forse anche lui incapace di trovare le parole giuste da dire in quel momento.

Cercai di reagire, mi imposi di smettere di piangere, ero andata lì per fare una cosa precisa, ma più Harry mi stringeva, più sentivo che non ci sarei riuscita in alcun modo.
Lo amavo troppo, perché avrei dovuto lasciarlo?
Per delle ragazzine impazzite che sparavano insulti di cui nemmeno conoscevano il significato? No, non l’avrei permesso.

Appoggiai le mie mani sul basso ventre di Harry, spingendolo delicatamente indietro.
Lui sciolse l’abbraccio, confuso, e mi guardò, apprensivo.
Alzai lo sguardo sui suoi occhi: erano più grandi del solito, sembravano quasi liquidi, e gridavano preoccupazione, paura e tristezza.
Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, e sorrisi leggermente osservando le macchie che avevo lasciato sulla maglia di Harry.
Lui però non sorrise, mantenne quell’espressione preoccupata sul viso.

“Gioia, che cosa succede?”, chiese infine, non perdendomi un attimo di vista.

Ci sedemmo su uno dei divanetti, e, con difficoltà, provai a spiegargli quello che avevo dentro.

“Io non ce la faccio, Harry. Mi odiano tutte. Non mi sopportano. Credono che abbia una relazione anche con Louis, ti rendi conto? Io so che tu vuoi bene alle tue fan, ma questo è troppo. Forse è meglio se sparisco per un po’ …”
“Ti sei fatta un giretto in Internet, eh?”, rispose lui, seccato.

Non risposi, evitai di guardarlo. Forse se lo avessi lasciato davvero, sarebbe stato meglio. Per entrambi. In fondo, neanche lui doveva star bene con tutta quella pressione.

“Guardami”, ordinò.

Obbedii. I suoi occhi erano lucidi.

“Che cosa hai in testa? Quale sarebbe la tua soluzione per questo casino? Dimmelo, voglio saperlo”, disse, con voce quasi rotta.
“Harry … Sarebbe meglio per tutti e due …”
Cosa?”, il suo tono era quasi rabbioso.
“Non possiamo continuare così, Harry. Mi dispiace. Io soffro, tu soffri, che senso ha?”, cercai di spiegare.
Il senso che io ti amo! Non ha abbastanza senso, questo?”, chiese, ormai disperato, “E’ difficile, sì, lo so bene, ma non possiamo arrenderci di fronte alla prima difficoltà, Gioia! Non possiamo permetterglielo. Ti prego”, implorò, prendendomi il viso tra le mani, “Ti prego, non andartene, non lasciarmi … Non ce la farei

Chiusi gli occhi.
Provai ad immaginare le mie giornate senza di lui, senza le sue risate alle mie figuracce, senza il suo profumo, senza le sue mani strette alle mie, senza i suoi baci.
Sentivo le sue mani tremare sul mio viso, il mio cuore rischiare di spezzarsi.

“Nemmeno io”, risposi, aprendo gli occhi.

Lui mi guardò confuso.

Nemmeno io ce la farei senza di te. Scusami, Harry. Sono una stupida, una debole e stupidissima italiana. Ma ti amo. E nessuno potrà cambiare questa cosa, dicano pure quello che vogliono”.

Lo sguardo di Harry cambiò radicalmente: i suoi occhi riacquistarono quella luce che tanto amavo, e le fossette ai lati della bocca comparvero, più profonde di come le avessi mai viste, regalandomi uno dei suoi sorrisi mozzafiato.
Avvicinò il mio viso al suo, sempre tenendolo tra le sue mani, e mi baciò, prima piano, quasi impaurito, tremando, poi acquisendo sempre più sicurezza e rendendolo più profondo.

Come avevo anche solo potuto pensare ad una cosa del genere? Mi ripromisi che da quel momento in poi sarei stata più forte, e ricambiai il bacio con passione.

Appoggiai la testa alla sua spalla, lasciando che il suo braccio mi cingesse il collo e la sua mano cominciasse a giocherellare con i miei capelli.
I ragazzi dovevano ormai essere tornati a casa, quindi io e Harry eravamo rimasti completamente soli nello studio.
Sentii Harry cominciare ad intonare una melodia che conoscevo, poi cominciò a cantare la canzone vera e propria, con la sua voce roca, fino a farmi venire i brividi.

Oh, thinkin' about all our younger years
There was only you and me
We were young and wild and free
Now nothin' can take you away from me
We've been down that road before
But that's over now
 You keep me comin' back for more

Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven
 
Oh, once in your life you find someone

Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down
Yeah, nothin' could change what you mean to me
Oh, there's lots that I could say
But just hold me now
Cause our love will light the way

Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven

I've been waitin' for so long
For somethin' to arrive
For love to come along
Now our dreams are comin' true
Through the good times and the bad
I'll be standin' there by you

Baby you're all that I want
When you're lyin'here in my arms
I'm findin'it hard to believe
We're in heaven
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn`t too hard to see
We're in heaven

Oh, thinkin' about all our younger years
There was only you and me
We were young and wild and free


Heaven.
Era una delle mie canzone preferite, la conoscevo bene.
E in quel momento ci stava tutta, sembrava che il compositore l’avesse scritta apposta per noi.
Era la nostra canzone, nessun’altra sarebbe stata più giusta. Guardai Harry.

“Ehi, adesso basta piangere però! Avrai consumato tutta la tua riserva d’acqua, ormai!”, rise lui, guardandomi teneramente.

Scoppiai a ridere con lui, asciugandomi per l’ultima volta quelle stupide lacrime, che però questa volta erano di felicità.

“Vieni a casa con me?”, chiesi a Harry, più tardi.
“Certo, piccola. Seratina tranquilla?”, propose lui.
“Assolutamente”.

Circa mezz’ora dopo eravamo nel mio appartamento a lavarci le mani, pronti a preparare la cena insieme.
Discutemmo alcuni minuti sulla ricetta da mettere in atto, poi ci trovammo entrambi d’accordo su delle crêpes dolci, buttando all’aria qualsiasi tipo di pasto sano e regolare.
Estrassi dalla dispensa la farina, il latte e le uova, e presi una terrina dallo scolapiatti.
Harry mi guardava attento, sorridendo ogni tanto per non so quale motivo.

Cominciai ad impastare, ma dopo poco, Harry si lamentò, dicendo che si sentiva inutile, così lasciai il posto a lui, non prima, ovviamente, di essermi presa una soffiata di farina in piena faccia.
Mi spostai accanto a lui, e, non appena ne ebbi l’occasione, intinsi il dito nell’impasto, e sporcai il viso a Harry.
Lui mi guardò sgranando gli occhi, poi minacciò: “Comincia a correre”, e fu quello che feci.

Mi inseguì per tutta la casa, ridendo e scivolando con i calzini sul pavimento, mentre io fuggivo da lui, piegata in due dalle risate. Alla fine riuscì a prendermi e a stendermi a terra. Lo guardai, mentre stava sopra di me a quattro zampe, fissandomi intensamente, con la bocca leggermente socchiusa e il fiatone. Infilai le mani tra i suoi capelli, e lo tirai a me, baciandolo forte e pensando a quanto stupida e debole fossi stata qualche ora prima, e a quanto avevo rischiato di perdere per delle sciocchezze.

“Ora, presta attenzione al maestro”, affermò Harry, tendendo in mano la padella con una parte dell’impasto delle crêpes all’interno.
“Vediamo”, risposi, incrociando le braccia sul petto e lanciandogli uno sguardo di sfida.

Harry ruotò la padella, distribuendo l’impasto in maniera regolare, poi mi guardò soddisfatto. Attendemmo qualche istante, poi quando la crêpe fu cotta su un lato, Harry risollevò la padella e, facendola saltare, riuscì a farla girare. Applaudii contenta, mentre lui si inchinava fiero delle sue capacità culinarie.

“Mi insegni?”, chiesi, tirando fuori lo sguardo più infantile che avevo.
“Certo, bambina”, rispose sorridendo come sorriderebbe un papà alla figlia.

Centro.
Presi la padella in mano, e Harry si sistemò dietro di me, sfiorandomi il collo con le labbra e rendendomi difficile l’impresa di concentrarmi su ciò che dovevo fare.
Avvolse il mio polso con la sua mano destra, e cominciò a manovrarmi con delicatezza, mentre con l’altra mano libera mi sfiorava il fianco, spostandosi poi sotto la maglietta.
La cottura della crêpe stava lentamente degenerando …

Harry …”, riuscii a mormorare ad un certo punto.
“Sì?”, rispose lui, senza smettere di baciarmi il collo.
“Credo che si stia bruciando tutto …”, spiegai, con molta difficoltà.

Harry controllò la padella e scoppiò a ridere, poi rimediò al mezzo disastro; nella prova successiva fummo molto più attenti, e la portammo a buon termine.

Le crêpes risultarono davvero buone, così ci complimentammo a vicenda prendendoci in giro, poi spreparammo la tavola e ci spostammo in soggiorno.

“Film?”, chiese Harry, alzando un sopracciglio.
“Scegli tu”, risposi sorridendo.

Estrasse “Love Actually” dalla libreria e lo inserì nel lettore dvd; poi corse a sedersi vicino a me, a gambe incrociate e tendendomi la mano tra le sue.
Dopo poco, però, cambiò posizione, e si distese appoggiando la testa sulle mie gambe, permettendomi di giocherellare con i suoi riccioli, e allungando spesso una mano a sfiorare il mio viso.

Non ci misi molto per capire che Harry si era talmente rilassato da addormentarsi, con il viso rivolto verso la tv. Lo guardai teneramente, un po’ alla volta però, la dolcezza lasciò spazio al gioco, così, muovendomi il minimo indispensabile per non svegliare il ricciolino, presi il cellulare e immortalai quel momento, pensando a che uso fare di quella foto: sarebbe stata utile per un progetto che si stava facendo largo nella mia testa, e che avrei potuto cominciare a realizzare già dal giorno dopo.

Osservai Harry per un po’, perdendomi parte del film, ma cosa importava? Il mio film da favola stava lì, steso sul mio divano, con la testa appoggiata alle mie gambe, a dormire beato e con un sorriso appena accennato sul viso.


Curly space:
Wohoooooooooo I'm back! :D
Dio, quanto sono fiera di questo capitolo *si applaude da sola*
Voi che dite? Vi piace?
Avete preso un po' di paura, eh? Ma con lo Styles si supera tuuuuutto! ;) 
Quanto carini... Però che peso, mamma mia... A momenti paingevo io... U.U 

E e e... la canzone?! Eh eh eh? Do you like it?
La versione che ho scelto ( sì, ce ne sono diverse) è quella di John Barrowman, al pianoforte... Tenetevela in mente, vedrete che sarà importante più avanti... ;) 

Bon, non so più cosa dire, mi piacciono sempre di più... Giohaz forevvaaaaaa! *-*

Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, sarebbe davvero importante... ;)

Massive thank you to:
indrewsarms per aver messo la storia tra le preferit! :D
Nanek per la recensione! <3 
...e a tutte quelle che leggono in silenzio, you're lovely, you're wonderful! :) 

Alla prossima,
Curly crush

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Capitolo 27
*** Can we take the same road, two days in the same clothes? ***


Can we take the same road, two days in the same clothes?

-Attenzione! Qui è Curly che vi parla. Una parte di questo capitolo è a rating rosso, avrei dovuto postarla separatamente, ma alla fine non me la sono sentita di dividerla... Povera la mia creatura =P 
Comunque, se vorrete arrivare fino in fondo, bene, altrimenti non c'è problema, la mancata lettura non comprometterà la comprensione della storia. Ci saranno degli asterischi a segnalare il cambio di rating, quindi non preoccupatevi. 
Detto questo, buona lettura! ;) -


Piccolaaaaaaa! :) Stasera ti porto a cena in un bel posto! Passo a prenderti alle 20, fatti bella. Anzi no, non serve, sei già bellissima! :D


Rilessi il messaggio di Harry sorridendo come una stupida.
Ma, insomma, un anno prima, a quell’ora, molto probabilmente, anzi, sicuramente, mi stavo deprimendo perché non avevo un ragazzo che mi regalasse delle rose a san Valentino; ora, invece, non solo avevo un ragazzo che mi aveva invitata a cena, ma quel ragazzo era Harry Styles!
Avevo tutte le ragioni di questo mondo per mantenere sul mio viso una paralisi che faceva soffrire la mandibola a forza di sorridere.

Mi risvegliai da questi pensieri, e finii di incartare il mio regalo per Harry, poi andai in camera a prepararmi.

Ero agitata, più del solito: le gambe mi tremavano, il cuore faceva mille battiti al minuto, le farfalle impazzivano nel mio stomaco e le mani mi sudavano.

Quando Harry suonò il campanello, mi precipitai alla porta dell’appartamento, ma, come ogni maledettissima volta, nel momento sbagliato, inciampai, finendo rovinosamente addosso a lui.

“Quand’è che la finirai di farmi questi agguati?”, chiese Harry, ridendo e sostenendomi con le sue braccia.

Arrossii – ovviamente-, poi lo salutai con un bacio, sperando di fargli dimenticare la figuraccia.
Quello che mi piaceva di più del mio rapporto con lui, erano le emozioni che mi faceva provare: non mi ci sarei mai abituata, ogni volta era come se fosse la prima, e, se possibile, erano sempre più intense, non accennavano a stabilizzarsi né tantomeno ad attenuarsi. Ma mi piaceva, era bello così, era perfetto.

Presi il regalo, spensi le luci, chiusi la porta e, prendendo la mano che Harry mi offriva, uscimmo.

Arrivammo ad un ristorante sul Tamigi. Harry parcheggiò, poi, da vero gentleman, venne ad aprirmi la portiera e mi aiutò a scendere.
Entrammo salutando la receptionist, ed avanzammo nel locale: non era molto grande, era piuttosto intimo, luci soffuse, tende pesanti scostate per permettere la vista sul fiume, e alcuni tavoli sparsi qui e là. Seguimmo la cameriera che ci stava accompagnando al tavolo, poi ci accomodammo.
Le candele poste in mezzo al tavolo illuminavano il viso di Harry creando riflessi quasi diamantini nei suoi occhi, e rendendolo, se possibile, ancora più bello. Ignorai i flash poco discreti che arrivavano a intervalli da fuori, o addirittura da dentro, il ristorante, e mi godetti la cena con Harry.

Nel locale c’era anche uno spazio vuoto, adibito a pista da ballo, così, non appena iniziarono a suonare, Harry si alzò, tendendomi una mano, e mi invitò a ballare.
Mi strinse forte in vita, avvicinandomi così tanto a lui da sentirne il cuore battere, e i muscoli tendersi, come se fosse agitato per qualcosa. Ballammo a lungo così, stretti l’uno all’altra, sussurrandoci qualcosa ogni tanto o sorridendo mentre ci baciavamo.

Quando tornammo al tavolo, gli consegnai finalmente il mio regalo.
Ero davvero curiosa di vedere la sua reazione.
Lo scartò lentamente, fissandomi quasi imbarazzato, poi posò gli occhi su di esso: un album spesso, verde, con le nostre lettere intrecciate disegnate sulla copertina.
Harry lo aprì, sorridendo, in attesa di scoprirne l’interno. Spostai la sedia accanto alla sua, e lo sfogliammo insieme.
Avevo fatto sviluppare tutte le nostre fot
o, dalla prima all’ultima, e le avevo inserite nell’album, aggiungendo un commento sotto ognuna di esse.
Harry, leggendo, a volte scoppiava a ridere, altre diventava serio e rifletteva, altre ancora sorrideva felice.

“E’ stupendo, piccola! Ma davvero abbiamo fatto tutte queste foto io e te?”, esclamò infine, chiudendo l’album.

Mi concentrai su quelle ultime parole, “io e te”, e sul modo in cui le aveva dette. Il mio cuore accelerò ancora.

“Beh, per alcune dovresti ringraziare i paparazzi, però sì, ne abbiamo fatte molte”, risposi.
“C’è ancora spazio in fondo …”, constatò lui.
“Possiamo continuarlo insieme, se ti va”, proposi io.
“E me lo chiedi anche?”, sorrise, “Ti amo, tanto tanto tanto”

Non riuscii a rispondere, poiché fummo interrotti dalla cameriera con il dolce.
E con un mazzo gigantesco di rose rosse.
Strabuzzai gli occhi, non ci potevo credere.
Tentai di risvegliarmi da quella visione ed aiutai la ragazza, in evidente difficoltà nel tenere in mano tutte quelle cose. Presi il mazzo di fiori con delicatezza, come se potesse scomparire da un momento all’altro, mentre Harry mi guardava divertito e con gli occhi che brillavano.
La cameriera appoggiò i piattini con il dessert, poi se ne andò in silenzio.

“Dio, Harry, sono … sono … Tantissime! Tu sei fuori, completamente”, affermai, incapace di distogliere lo sguardo da tutto quel rosso.
“Ti piacciono?”, chiese lui, soddisfatto.

In risposta, esibii il mio migliore sorriso a trentadue denti, poi mi avvicinai a lui per baciarlo.

“Se guardi bene, però, c’è ancora qualcosa …”, suggerì Harry subito dopo.

Osservai attentamente le rose, e riuscii ad individuare una bustina bianca. La staccai delicatamente dal bouquet e la aprii. Estrassi il biglietto, e lessi.

Alla mia piccola italiana, buon san Valentino. Ti amo!
P. S: Spero che la Tour Eiffel non ti faccia venire le vertigini come il London Eye


Rilessi l’ultima frase più volte, senza capire, poi guardai Harry e glielo chiesi.

“Che vuol dire questo?”
“Cerca ancora tra le rose”, propose, con un sorriso che definire furbo sarebbe un eufemismo.

Setacciai il mazzo in cerca di un indizio ed infine scorsi un’altra busta, poco più grande, rossa, che si confondeva con le rose. La presi, con le mani che ormai tremavano per l’attesa e la trepidazione, e la aprii. Estrassi i due biglietti cartonati che c’erano all’interno; erano piegati, così li aprii.

Erano due biglietti aerei, con destinazione Parigi, su cui erano stampati il mio nome e quello di Harry.

Guardai Harry, che ormai aveva due fuochi d’artificio al posto degli occhi. Dal canto mio, mi sentivo la mascella dolorante, bloccata in un sorriso permanente e molto probabilmente perenne, da quel momento in poi. Trattenni un urlo di entusiasmo.

“E quando partiremmo, tanto per sapere?”, chiesi, tenendo i biglietti tra le dita.
Immediatamente”, fu la sua risposta.
“Cosa?!”, questa volta non riuscii a trattenere il grido di sorpresa.
“Ora. Usciamo da qui, andiamo a Heathrow e ci facciamo una gita a Parigi, amore mio”.

Amore mio.
Non mi aveva mai chiamata così fino a quel momento.
Sembrò rendersene conto anche lui, poiché mi guardò come se mi stesse leggendo nel pensiero, poi annuì soddisfatto.

“D’accordo, ci sto. Andiamo”, risposi io.
“Ah, sia chiaro, ci andiamo diretti, senza passare a casa a prendere vestiti o cose strane eh! Toccata e fuga, domani sera saremo di nuovo a Londra”, spiegò lui, entusiasta del mio assenso.
“Ti amo”, fu l’unica cosa che riuscii a dire. Non trovai risposta migliore.

Un paio d’ore dopo, stavamo salendo sull’aereo, tenendoci per mano, felici ed esaltati da quella piccola fuga.
Prendemmo posto, e continuammo a parlare animatamente di tutto quello che avremmo potuto fare nella nostra giornata parigina, partendo, ovviamente, con una visita alla Tour Eiffel.
Mentre Harry continuava a sparare nomi di strade a me completamente sconosciute, l’aereo si mosse, e io mi zittii. Il decollo era sempre stata la parte che mi metteva più agitazione; guardai Harry, che nel frattempo aveva smesso di parlare, e tentai di fargli capire la situazione con il mio sguardo.
Senza aprir bocca, mi prese la mano, e me la strinse forte, facendomi coraggio, poi mi baciò sulla guancia e mi infuse ancora più tranquillità con uno dei suoi sorrisi mozzafiato. Risposi al sorriso, e continuai a guardarlo mentre l’aereo prendeva velocità; infine chiusi gli occhi, stringendoli forte.

Apri gli occhi, scema”, sussurrò Harry.

Lo ascoltai, poi guardai fuori dal finestrino e scoprii che eravamo ormai decollati, e stavamo volando sopra Londra. Era uno spettacolo incredibile: la città era illuminata da mille luci, il Big Ben spiccava su tutto, accanto a Westminster.

“E’ il più bel san Valentino di tutta la mia vita, Harry. Grazie”, dissi, dopo un po’, guardandolo fisso nei suoi occhi verde prato.
Lui sorrise, poi sussurrò: “E questo è niente … Vedrai, amore mio, vedrai”.

Non appena uscimmo dall’aeroporto, Harry fermò un taxi, e diede come destinazione la piazza della famosa torre francese; in poco tempo ci arrivammo, trovando quella grande piazza illuminata da mille luci, e l’acqua delle fontane che scrosciava.
Harry mi prese per mano, mi guardò un attimo sorridendo senza dire niente, poi cominciò a correre verso la Tour Eiffel, all’inizio trascinandomi, poi mi misi in pari con lui e corremmo insieme a perdifiato.
Arrivammo ai piedi della Torre con il fiatone e gli occhi che brillavano.
Salimmo sull’ascensore, mescolandoci alle poche persone che a quell’ora della notte erano ancora in giro.
Harry mi fece voltare verso di lui, mi abbracciò forte e mi baciò sulle labbra, stampandomi quel bacio a fondo.

“Tu sei completamente pazzo …”, sussurrai guardandolo, felice, più felice di qualsiasi altro momento trascorso, con o senza di lui.

Quando stavo con lui, non potevo provare sensazioni diverse, se non una felicità ed una completezza sempre più intense, non avrebbero potuto in alcun modo diminuire.

Lui mi guardò intensamente, con le fossette ai lati del suo sorriso, poi disse, piano: “Sì, forse hai ragione, sono pazzo. Ma tu sei con me, perciò tanto a posto non devi essere nemmeno tu”.

Lo baciai, riconoscendo che aveva assolutamente ragione.
Sì, eravamo due pazzi.
Due pazzi che stavano salendo sulla Tour Eiffel alle due del mattino.
Due pazzi che si baciavano in un ascensore in mezzo ad altre persone.
Ma eravamo due pazzi innamorati.

Arrivati all’ultimo piano, corsi verso il parapetto, inseguita da Harry, che, non appena fu dietro di me, mi abbracciò stretta, incrociando le nostre braccia attorno a me e appoggiandosi con il mento alla mia spalla. Parigi era bellissima, sotto di noi, illuminata da mille luci.

“E’ fantastico, Harry”, sussurrai piano, per non rovinare la magia di quel momento incredibile.
“Mmmh …”, fu la sua risposta.

Mi voltai a guardarlo interrogativamente.

“Io credo che NOI siamo fantastici. Non credi?”, rispose lui, guardandomi dolcemente.
“Sì, hai ragione. Io e te siamo fantastici”, sorrisi.
“No, non io e te. Noi”, mi corresse, insistendo sull’ultima parola.

Lo guardai per un attimo, poi lo baciai piano, con calma, facendo incastrare le nostre labbra alla perfezione; Harry, molto dolcemente, le schiuse, e rese il bacio più profondo.


“Oddio, ma questa è ancora più pazzescaaaaaaaa!”, esclamai, saltando sul letto a gattoni come una bambina.
“Sssh, smettila di fare casino, o ci sbatteranno fuori!”, mi riprese Harry sottovoce, ridendo.

Eravamo appena entrati nella nostra camera d’albergo, e me ne ero già innamorata: era grande, con un letto a baldacchino nel mezzo, attaccato al muro, e due comodini ai lati; c’era poi una specchiera a figura intera sul lato destro della stanza, mentre il bagno si trovava al lato opposto. Era semplice, ma graziosa, e, soprattutto, per quella notte sarebbe stata nostra.
Uscii in terrazza, dove poco dopo venni raggiunta da Harry, che mi baciò la guancia teneramente.

“Ehi, ma tu non sei stanca?”, mi chiese dopo un po’.
“Mmh, non troppo, in realtà …”, risposi.

Ed era vero. Il sonno sembrava avermi completamente abbandonata da quando eravamo scesi dall’aereo; mi sentivo attiva, e sveglia come poche volte. Mi voltai verso di lui, e lo abbracciai in vita.

“E tu? Non mi dirai mica che hai sonno …”, insinuai.
“Beh, non saprei, sono le quattro del mattino, vedi un po’ tu!”, rispose lui, sorridendo.

I suoi occhi, in effetti, erano stanchi. Pensai ad un modo per svegliarlo un po’.

“Che vecchietto!”, scherzai.
“Parla per te, signora!”, rispose lui a tono.
“Beh, peggio per te, io avevo un’idea, ma se tu hai sonno …”, buttai lì, improvvisamente.

Harry mi guardò fisso, spalancando gli occhi, improvvisamente sveglio. Avevo fatto centro pieno. Sorrisi, maliziosa, poi scoppiai a ridere e corsi in camera.

“Vieni subito qui!”, esclamò lui, correndomi dietro.

Continuai a ridere, facendomi raggiungere da Harry e baciare subito dopo, con una tale forza che non avrei mai pensato potesse avere un ragazzo mezzo addormentato. 
 

***


Mi alzai sulle punte dei piedi, così da riuscire a guardarlo direttamente negli occhi. Gli cinsi il collo con le braccia, e avvicinai il mio viso al suo, facendo toccare le punte dei nostri nasi. Lui sorrise, abbassando lo sguardo, poi mi baciò con più calma. Mi strinse la vita con le mani, avvicinandomi a lui, poi spostò la presa sotto il sedere, così da sollevarmi; incrociai le mie gambe dietro la sua schiena per tenermi aggrappata. Le sue mani si spostarono sulla mia schiena, accarezzandomi delicatamente, mentre i nostri occhi si perdevano, l’uno nello sguardo dell’altra.

Harry si avvicinò lentamente al letto, poi mi posò delicatamente, senza fretta, baciandomi le labbra e il collo con passione. Mi lasciai distendere su quel letto morbido, su cui avremmo dormito solo per quella notte, e che ne sarebbe stato l’unico testimone.

Presi ad accarezzare i riccioli di Harry, perdendomi nel suo profumo e nei suoi baci, nelle sue carezze. Si chinò su di me, facendo toccare i nostri corpi. Ci sistemammo meglio sul letto, poi lui rise leggermente.

“Che c’è da ridere?”, chiesi, in un sussurro.
“Mah, niente … stavo solo controllando che avessi dei vestiti meno complicati di quello di Capodanno addosso”, spiegò, lentamente, con la voce più roca del solito, fatto che mi provocò brividi irresistibili su tutto il corpo.

Risi anche io al ricordo di quella sera, in cui avevamo avuto del tempo per stare da soli, ma niente era accaduto. Lì, a Parigi, invece, tutto sembrava possibile in quel momento.

“Tranquillo, stasera ho cose abbastanza facili da togliere, incapace”, risposi, guardandolo con aria di finta superiorità.
“Incapace a me?! Vedrai!”, rispose subito lui.

Si spostò velocemente con la bocca sul mio collo, mordendomi e provocandomi subito dopo un lamento sorpreso.

“Harry!”, esclamai, ma lui mi ignorò, proseguendo nella sua impresa.

Non ebbi altra possibilità che adeguarmi. Spostai le mie mani sulla sua schiena, percorrendola lentamente, lasciando che i miei sensi prendessero il sopravvento sul cervello, lasciandomi andare.
Il mio cuore batteva a mille, così come il suo, che sentivo risuonare sul mio petto, le mani tremavano e le gambe erano deboli, ma fortunatamente eravamo distesi. Improvvisamente, la testa sparì, e restammo solo io, il mio cuore, i miei sensi e Harry: mi sentii leggera come non lo ero mai stata, pronta come poche volte nella mia vita.

“Harry, baciami”, chiesi, in un sussurro.

Lui mi accontentò, quasi tremando: appoggiò le sue labbra sulle mie, facendole aderire alla perfezione, poi cominciò a muoverle lentamente, con dolcezza, andando a ritmo con le mie, al ritmo dei nostri cuori che battevano sempre più forte.

Le sue mani scesero sulla mia vita, estraendo la blusetta che avevo quella sera dalla gonna, e infilandole poi lì sotto, sfiorandomi la pancia con tocco quasi impercettibile. Dal canto mio, le spostai dai capelli, passando per il viso, e raggiungendo il colletto della camicia. Ormai a mio agio, aprii un primo bottone, poi un secondo, un terzo, fino a lasciare completamente aperta la camicia, e scorrendo con le mie mani sul suo petto liscio e forte.

Harry si alzò appena, per togliersi la camicia, poi sfilò la mia e tornò con la sua bocca al mio collo, scendendo questa volta verso la spalla. Mi aggrappai a lui, alle sue spalle forti, poi spostai le mani sul torso, appena sotto le clavicole, disegnando con le mie dita le due rondini che aveva tatuate lì. Harry risollevò il viso, e mi baciò con forza, togliendomi il respiro, ma lasciandomi comunque la forza necessaria a rispondere al bacio.

Lentamente, la sua mano scese sulla mia gonna, indugiando per qualche istante. Poi, improvvisamente deciso, la sfilò dalle mie gambe, e, subito dopo, fece lo stesso con le calze. Mi guardò, come per controllare che fosse tutto a posto; risposi con un sorriso, e mi sollevai fino ad arrivare a baciarlo.
Poi, imitandolo, scesi con le mani, percorrendo tutto il suo torace con calma, sentendolo rabbrividire e contrarre i muscoli sotto il mio tocco freddo, fino ad arrivare ai pantaloni. Ne sfiorai l’orlo, prendendo accidentalmente anche la pelle di Harry: lo sentii sospirare forte, il che mi fece accelerare ancora il battito. Sganciai il bottone, decisa, e abbassai la zip, sfilando subito dopo i pantaloni, che finirono a terra assieme al resto dei nostri vestiti.

Appoggiai le mie mani sul suo addome, spingendolo di lato e mettendomi sopra di lui, rannicchiata, mentre Harry mi guardava leggermente sorpreso dalla mia iniziativa. Sorrisi, poi cominciai a baciargli il collo, lasciando le sue mani libere di percorrere la mia schiena, fino ad arrivare in fondo, appena sopra il sedere.
Lasciai un segno che, con buone probabilità, sarebbe stato fin troppo visibile, sul suo collo, poi cominciai a scendere, lentamente, sfiorando ogni suo centimetro con le mie labbra. Lo sentivo ansimare leggermente, il che, inaspettatamente, mi fece ancora più piacere.
Sorrisi, e continuai a baciare il suo petto, scendendo lungo il torace, soffermandomi sugli addominali, in quel momento tesi, poi mi fermai appena sopra quell’elastico nero. Presi a mordicchiarlo delicatamente, ma in modo rapido. Il suo respiro aumentò ancora il ritmo.
“Gioia … mi stai … facendo … morire …”, riuscì a buttare fuori, in un gemito soffocato.

Questa volta fu il mio respiro ad accelerare, a causa della sua voce sempre più roca. Diedi un ultimo bacio al suo basso ventre, poi tornai con la bocca alle sue labbra, lasciando però una carezza nel punto giusto. Sentii Harry irrigidirsi e trattenere il respiro. Mi distesi nuovamente sopra di lui, baciandolo con passione; poi lui allungò le mani sulla mia schiena, sganciando il ferretto del reggiseno, e togliendolo lentamente.
Poi mi prese il viso tra le mani e, con il bacino, mi spinse di lato, invertendo ancora una volta le nostre posizioni.
Mi baciò sulle labbra, aprendole e facendo incontrare le nostre lingue. Poi spostò la sua bocca lungo il collo, mentre con la mano passava nel solco tra i miei seni, facendomi rabbrividire; con le labbra, si fermò appena sopra il seno destro, prendendo subito dopo a baciare e mordicchiare la mia pelle.

Ero totalmente persa, il mio respiro accelerava ad ogni suo tocco, come il battito del mio cuore. Lo spettinai leggermente con le mani, sorridendo vedendo il suo sguardo attento, mentre tornava sulla mia bocca, ma solo per un attimo. Subito dopo, scese, come me prima, fino all’elastico dei miei slip, e lasciò un altro segno.
Fu il culmine.

Harry …”, fu l’unica cosa che riuscii a sospirare.

Lui tornò a baciarmi le labbra, bloccandomi il respiro.

Le mie mani andarono ai suoi boxer, ormai impazienti, incapaci di aspettare oltre. Harry fece lo stesso, sfilandomi gli slip. Con le mani, lo sfiorai appena, provocandogli un gemito. Sorrisi, e lui rispose baciandomi ancora, sempre più forte.
Le sue mani mi accarezzarono delicatamente, senza intrusioni, provocandomi comunque un leggero sobbalzo.
Poi, con calma, la sua mano passò dal mio inguine all’interno coscia, spostandola leggermente di lato.
Il suo tocco era puro fuoco.
Cominciai ad ansimare piano.

Harry sorrise, vittorioso, poi, finalmente, si appoggiò su di me, unendoci.

A quel punto non riuscii più a trattenere i gemiti, che divennero più forti non appena Harry cominciò a muoversi lentamente sopra di me. Il suo respiro affannoso, unito ai suoi gemiti, non fece altro che aumentare i miei sospiri di piacere.
Lo baciai con quanta più forza avevo in corpo, sorprendendolo, andando a ritmo con i nostri respiri.
Nella stanza non c’era altro suono se non i nostri cuori che battevano forte e i nostri gemiti, che entrambi provavamo a trattenere senza risultato. Nei baci, trovammo un modo per soffocarli, ma,  allo stesso tempo, un piacere ancora più intenso.

Le nostre mani si intrecciarono ai lati del cuscino, lasciando impronte profonde non appena le spostammo tra i nostri petti che si alzavano e si abbassavano velocemente.

“Ti amo, Gioia”, sussurrò Harry, prima di baciarmi di nuovo, “Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo”.
“Harry … non credo che potrei vivere senza di te, davvero. Ti amo anche io, amore mio”, sospirai, forte.

Chiudemmo entrambi gli occhi, e, in quell’attimo, fummo completi, uniti più che mai.
I nostri gemiti si alzarono un’ultima volta, poi Harry sorrise e mi baciò, spostandosi al mio fianco e cingendomi la vita con un braccio.
Passai il mio attorno alla sua e appoggiai la testa al suo petto, baciandolo, estremamente felice, perdendomi nel suo respiro ancora leggermente affannoso e nel suo profumo.
Ripresi fiato assieme a lui, accarezzando il suo braccio, la sua vita e il suo petto, mentre lui percorreva la mia schiena con la sua mano, fissandomi negli occhi, perdendosi anche lui come me.
Lo baciai sulle labbra, trasformando poi il bacio in qualcosa di più profondo.

Ti amo”, sospirai un’ultima volta, prima di chiudere gli occhi e sentire la sua voce bassa che mi ripeteva lo stesso.



Curly space:
Ehmehm... *viola*
Sì, insomma, bella Parigi, no? :D *dissimula*
Che cariiiiiiiiino Harry, con la cena e le rose e i biglietti e e e... vabbé, basta.
Carino, sì, molto. *-*
Insomma, non so che dire... Il patto mi sembra ufficialmente saltato -finally- e so che qulcuno ne sarà contento (senza fare nomi, Tomma e Nanek, vero?! XD)

Beh, la situazione rispetto al capitolo precedente è cambiata radicalmente, mi pare, e questi due sono sempre più dolci e innamorati... Cariiiiiiiiiii! <3 Anche io voglio! 

Grazie come sempre a tutte voi che leggete, vi adorooooooo!

Alla prossima,
Curly crush ;)
    

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Capitolo 28
*** Truly, madly, crazy, deeply in love, with you ***


Truly, madly, crazy, deeply in love, with you


Quando aprii gli occhi, il mattino, non trovai Harry accanto a me. Mi voltai verso il comodino e guardai l’ora: mezzogiorno in punto.
Mi stiracchiai mugugnando, poi cercai qualche segno di Harry, ma niente.
La camera era silenziosa, illuminata dal sole che filtrava dalle tende della finestra.
Mi tirai su, appoggiandomi sui gomiti. Presi il cellulare dalla borsa ai piedi del comodino e chiamai Harry, ma presto mi resi conto dell’inutilità del mio tentativo: il suo cellulare stava vibrando sopra l’altro comodino.
Mi trascinai dall’altro lato del letto e riattaccai, prendendo in mano il telefono di Harry. Sorrisi nel vedere lo sfondo che aveva impostato: era la foto in cui entrambi dormivamo a casa sua, scattata da Zayn.
Improvvisamente, il silenzio della camera fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.

Service de chambre”, sentii annunciare.

Servizio in camera? Mi guardai rapidamente: avevo solo la biancheria intima addosso. E non avevo tempo di rivestirmi completamente. Cazzo.

Un moment, s’il vous plaît”, esclamai, saltando giù dal letto.

Corsi in bagno in cerca di qualcosa che mi coprisse abbastanza: niente.
Tornai in camera, e feci una rapida panoramica: niente nemmeno lì. Merda.
L’armadio. Mi ci avvicinai, e lo aprii: bingo! Una vestaglia in cotone lunga fino alle ginocchia color panna era lì ad aspettarmi. La infilai in fretta e furia, e finalmente andai ad aprire.

Excusez-moi pour l’attente”, balbettai.

Inutilmente.

Harry era lì davanti a me che se la rideva di gusto, con un vassoio pieno di cose da mangiare.

“Che scemo che sei, Harold. Mi hai fatto correre per niente”, sbuffai, rilassandomi ed aprendomi in un sorriso.
“Correre?”, chiese lui, reggendo il vassoio con una mano e chiudendo la porta con l’altra.
“Sì, correre. Perché ero mezza nuda, e mica potevo aprire in quelle condizioni! Meno male che ho trovato questa …”, dissi, aprendo le braccia e mostrando la vestaglia.
“Se avessi aperto com’eri, non avrei avuto nessun problema, amore”, rispose subito, “Buongiorno, comunque”.

Mi baciò sulle labbra, poi sembrò ricordarsi di qualcosa.

“Beh, anche io ho dovuto mettermi addosso qualcosa per scendere! Non sia mai che vada a prendere la colazione in mutande”, esclamò, ammiccando.

Lo guardai: effettivamente, aveva addosso una specie di pigiama, dello stesso colore della mia vestaglia.

“Dove l’hai trovato quel coso?!”, chiesi, ridendo.
“Dotazione dell’albergo, babe”, rispose.
“Beh, è orribile”, continuai a ridere.
“Dai, non mi sta così male!”, protestò lui, guardandosi.
“Oh sì invece, tesoro”, rincarai io.
“Vuoi togliermelo?”, chiese, con un sorriso di sfida.

Smisi immediatamente di ridere. Il suo sguardo mi sciolse. Lui appoggiò il vassoio sul letto, sapendo di avere già la vittoria in tasca.

“Allora? Devo aspettare ancora tanto?”, chiese, sussurrando.

Mi appoggiò le mani in vita, e avvicinò il mio bacino al suo, eliminando qualsiasi tipo di distanza.
Sorrisi, poi infilai le mani sotto la maglia, soffermandomi sugli addominali, che sentii contrarsi sotto il mio tocco. Harry si morse il labbro inferiore, poi si avvicinò al mio viso, e cominciò a baciarmi la guancia, scendendo lungo il collo. Mezza ubriaca, riuscii a spostare le mani sulla maglia, cominciando a sollevarla per toglierla. Harry passò alla mia bocca, e si staccò solo quell’attimo che mi serviva per sfilargli la maglia dalla testa, poi riprese a mordicchiarmi le labbra e a baciarmi, prima leggero, poi dischiudendo le labbra e approfondendo il bacio.


“Allora, ci vestiamo e andiamo ad esplorare la ville lumière o preferisci che ci chiudiamo in camera e si salvi chi può?”, chiese Harry, dopo che avemmo finito la colazione (rischiando comunque di farmi soffocare con l’ultimo boccone di brioche), con un sorriso fin troppo sicuro per i miei gusti.

Gli diedi uno spintone e lui cominciò a ridere forte.

“Vedi di non approfittarne troppo adesso, Styles”, risposi io, facendogli una linguaccia.
“Beh, mi sembra che ci siamo divertiti stanotte, no?”, insistette lui.
Smettilaaaaaaaaaaa!”, urlai, nascondendo la faccia nel cuscino.

Stavo andando a fuoco completamente. Harry mi abbracciò, stendendosi accanto a me e appoggiando la testa sul mio cuscino. Scostò lentamente i capelli dal mio viso, poi mi convinse ad uscire dal cuscino.

“Ehi …”, sussurrò.
“Non ci parlo più con te, poi mi prendi sempre in giro!”, mi lamentai, usando il mio migliore tono da bambina di cinque anni.
Lui rise, poi giurò: “Va bene, va bene, non ti prenderò in giro, lo prometto. Però, parliamone, per favore”.

Quell’ultima espressione mi fece scoppiare a ridere, sembrava che stessimo affrontando una questione di stato, quando in realtà si trattava di qualcosa di molto più semplice. E molto più bello.

“Credo … Anzi no, ne sono sicuro. Questa è stata la notte migliore della mia vita”, bisbigliò Harry al mio orecchio.

Arrossii, involontariamente compiaciuta. E felice oltre ogni limite.

“Non vorrei sembrare monotona … Ma anche per me. Sono stata benissimo. Con te. E basta”, risposi, riuscendo a fatica a guardarlo negli occhi.

Ammettere una cosa del genere senza sembrare ripetitiva e insincera era davvero difficile, ma volevo che lui lo sapesse. Lui era l’unico. Era mio. Ed io ero sua. In tutti i modi, ora.

“Ti amo, piccola mia. Sei la mia droga, davvero. Non smetterei mai di baciarti, di toccarti, ho bisogno di sentirti vicina, ho bisogno di te. Ti amo”, confessò lui, stringendomi a sé.

Io sorrisi sulla sua spalla.

“Uffa, stai dicendo tutte le cose che volevo dirti io, poi sembra che ti copio”, brontolai.

Lui rise leggermente.

“Però una cosa ancora non l’hai detta …”, ammiccai, lasciando in sospeso la frase.
“Cosa?”, chiese lui, incuriosito.
“Che sei MIO”, affermai infine.

La sua espressione si aprì in uno dei sorrisi più belli che gli avessi mai visto fare, gli occhi brillavano.

“E’ vero. Sono tuo. Suona bene, no?”, rifletté ad alta voce.
“Molto, molto bene”, risposi.
“Beh, però … Anche tu … Sei … Mia. Non hai più scuse, adesso”, sorrise lui.
“E chi le ha mai avute?”, chiesi, ridendo.
“Appunto”
“Ti amo, Harry”
“Amore mio …”

Infine ci alzammo dal letto per prepararci, anche se la sua idea di restare lì soli soletti mi stuzzicava parecchio.
Ma che cavolo, eravamo a Parigi! Chissà quando mai saremmo potuti tornarci insieme.
Quindi, era meglio godersi quella giornata, che sarebbe trascorsa sicuramente in modo molto più tranquillo rispetto a quando ci trovavamo a Londra: grazie alla partenza improvvisa e ignorata da tutti (tranne che dai ragazzi, ovviamente), i paparazzi non avevano avuto tempo di organizzarsi, perciò la nostra gita sarebbe andata senz’altro per il meglio.

Mentre facevo questi pensieri, mi fermai in piedi davanti allo specchio, prendendo i vestiti da una sedia lì vicino. Guardai il mio corpo, e cominciai a sorridere, un po’ divertita, un po’ scioccata.

“Harry!”, chiamai.
Lui arrivò con calma, finendo di frizionarsi i capelli con l’asciugamano.

“Dimmi tutto, tesoro”, rispose lui tranquillo.
“Ma cosa sei, una sanguisuga?!”, chiesi, con tono fintamente scandalizzato, indicandomi i vari segni sparsi sul corpo: ne avevo uno sul collo, sulle spalle, perfino uno sul braccio, per non parlare di quello sul seno destro e dell’ultimo, appena sopra l’elastico degli slip. Segni dei suoi baci, e dei suoi morsi.
“No, un vampiro”, rispose lui, sorridendo quasi –anzi, decisamente- compiaciuto della sua opera.
“Fammi vedere i denti!”, ordinai, voltandomi verso di lui.
La sua bocca si aprì subito in un sorriso a trentadue denti, poi chiese: “Allora, sono belli aguzzi?”.
Mi misi a ridere, poi risposi: “Sì, certo, tutto a posto, vuoi una limata?”.

Lui si limitò a sorridermi, questa volta di un sorriso sincero e naturale.

“Però … Quanto sei bello, amore mio”, sussurrai.

Ancora non riuscivo ad abituarmi alla sua perfezione. O forse all’idea che potesse stare davvero con me. Mi baciò sulle labbra, poi si guardò allo specchio.

“Beh, però nemmeno tu scherzi eh!”, esclamò, sorpreso.

Guardai attentamente dove mi indicava con l’indice, e rimasi quasi più sorpresa di lui: sul collo, aveva un segno rosso, tendente al viola, di forma circolare, che definire piccolo sarebbe stata una presa in giro. Mi avvicinai per guardare meglio, con gli occhi sgranati; l’avevo davvero fatto io?

“Oddio, Harry, scusa, non me ne sono resa conto …”, cominciai, ma lui mi interruppe con una risata sguaiata.
“Ma guarda che sei proprio scema a volte! Cioè, io ti ho praticamente marchiata ovunque, e tu mi chiedi scusa? Per una cosa del genere? Dovrei ringraziarti, altroché!”, esclamò lui.
Allora mi tranquillizzai, ma avevo ancora un dubbio: “Ma i tuoi manager non si arrabbiano? Cioè, ti resterà per qualche giorno, se devi fare apparizioni in pubblico …”.

Mi baciò, facendomi tacere.

“Ma quanto puoi essere dolce tu, eh? Me lo dici? No, perché credo di non aver ancora visto il tuo massimo …”, disse, tenendomi il viso tra le mani.

Gli sorrisi, poi mi lasciai baciare di nuovo.


Quel giorno il sole splendeva alto nel cielo, e tutto sembrava brillare alla sua luce. Io e Harry passeggiavamo per le vie parigine tenendoci per mano, camminando leggeri, quasi saltellando, ignorando i passanti che ci riconoscevano, non per cattiveria, ma proprio perché non ci accorgevamo delle altre persone, c’eravamo solo io e lui.
Passammo in rassegna tutte le bancarelle sulle sponde della Senna, trovando curiosità di ogni genere, alcune molto buffe e insolite, altre davvero belle. 
Poi, non appena trovammo il modo, salimmo su uno di quei barconi per turisti che fanno il percorso fluviale più adatto a vedere le cose più interessanti di Parigi.

Dapprima io e Harry restammo seduti tranquilli ad ammirare il panorama che scorreva a lato a noi; ad un certo punto, mi venne un’idea, così mi alzai, guardando Harry un attimo, poi corsi via, verso la prua del barcone, passando in mezzo ai turisti e alle loro proteste alle mie spinte maldestre.
Raggiunsi il parapetto, e aspettai.
Quando Harry mi fu vicino, mi venne da ridere: aveva un’espressione preoccupata e si stava scusando con i passeggeri del barcone per me.

“Perché sei scappata così?”, chiese lui.
“Beh … Guarda”, risposi sorridendo, senza guardarlo, tenendo gli occhi fissi davanti a me.

Da quella posizione, si vedeva soltanto il fiume davanti a noi, non la cabina di guida, non il resto del barcone, non le altre persone, niente.
Era come volare sopra l’acqua.
Harry capì ciò che volevo dire, così si avvicinò a me e mi passò un braccio attorno alla vita, baciandomi la guancia. Cominciò a canticchiare la nostra canzone al mio orecchio, poi mi fece girare verso di lui, così da stringermi in vita con entrambe le braccia; passai le mie attorno al suo collo, e appoggiai la testa sul suo petto, perdendomi nella sua voce, che in quel momento era poco più che un sussurro. Cominciammo ad ondeggiare lentamente, improvvisando un ballo romantico senza sottofondo musicale, ma che aveva tutto quello che serviva davvero: io, lui, e il nostro mondo, questa volta soltanto nostro davvero.

Quando scendemmo dal barcone, nel tardo pomeriggio, ci fermammo in un bistrot a mangiare qualcosa, giusto per non fare il viaggio di ritorno a stomaco vuoto.
Sorrisi all’ennesima foto che Harry mi stava facendo, ma ne uscì solo una smorfia ridicola, così che lui si mise a ridere di gusto.

“Questa va a finire dritta dritta nel nostro album, tesoro!”, affermò, osservando la foto in modo divertito.
“Mmm, ma lì ci andavano le foto belle …”, sbuffai io.
“Ma questa è bellissima, infatti”, ribatté lui.
“Immagino … Fammi vedere, per favore”, chiesi.
“Però non cancellarla”
“D’accordo, d’accordo”, promisi, sorridendo.

Guardai la foto: era buffa, non c’era niente da dire, però non era nemmeno troppo terribile.

“Allora?”, chiese lui.
“Carina”, cedetti infine.
“Lo sapevo!”, rispose, con un sorriso vittorioso.

Gli restituii il cellulare, poi presi a guardarmi attorno: la giornata stava finendo, era ormai il tramonto, e i parigini tornavano a casa con le borse delle compere fatte durante quelle ore; la Senna scorreva placida, riflettendo le ultime luci, e c’era una brezza leggera che mi scompigliava i capelli.
Sentivo lo sguardo di Harry su di me, così mi voltai verso di lui, sorridendo. Mi prese la mano, sopra il tavolino, poi si avvicinò a me e mi baciò piano, chiudendo gli occhi, ed indugiando qualche istante sulle mie labbra.
Si rimise a sedere tranquillo, e dopo poco guardò l’orologio; sgranò gli occhi, poi esclamò: “Siamo in ritardo!”.
Pagammo, e di corsa salimmo su un taxi che ci portò fino all’aeroporto; arrivammo giusto pochi minuti prima che il check-in chiudesse, ormai senza fiato.


“Vuoi restare qui?”, chiesi a Harry con un sorriso, quando fummo seduti tranquilli sul divano di casa mia.
“Mi stai tentando un po’ troppo, piccola …”, rispose lui, baciandomi il collo.
“Beh, lo sai che puoi …”, dissi, rabbrividendo al solletico provocato dalle sue labbra sulla mia pelle.

Harry si appoggiò allo schienale del divano, sospirando.

“Stavolta torno a casa, vado a tirar giù dal letto i ragazzi”, rispose infine, guardandomi di sottecchi, come se avesse paura di offendermi.
“Va bene, Harry, come vuoi”, risposi tranquilla.
“Non ti arrabbi, vero?”, chiese, mettendo su l’espressione più adorabile che gli avessi mai visto, piegando il labbro inferiore all’ingiù.

Non riuscii a trattenermi: mi avvicinai al suo viso, e cominciai a mordicchiargli leggermente quel broncio, trasformando poi i morsi in un bacio morbido. Harry sorrise sotto le mie labbra, e fuse le sue con le mie.


“Allora vado”, sussurrò lui, sulla soglia.
“Mmmm, va bene, ti lascio andare. Ma solo perché hai detto che sveglierai i ragazzi …”, risposi, con un sorriso furbo.
“Farò un video. Giuro che lo faccio”, sorrise lui, già pregustando lo scherzo.
“Allora va bene, vai”, risposi.

Mi baciò sulle labbra, chinando leggermente la testa, poi sussurrò: “Buonanotte, amore mio”, e uscì.

Dopo circa un quarto d’ora lo schermo del mio cellulare si illuminò:

Sono stati i due giorni più belli della mia vita, piccola. Grazie di esserci. Ti amo! La mia Gioia … Buonanotte xx

Sorrisi, poi digitai velocemente la risposta:

Il mio Harry … Che organizza viaggetti così, a caso, rendendomi la persona più felice su questo pianeta … Ti amooooooooooooooo <3 Goodnight, love xx”  
 


Curly space:
Saaaaaaalve! :) come andiamo?
Allora, che mi dite, sempre più dolci eh?! *-*
Quanto mi piacerebbe che questa cosa potesse realizzarsi sul serio, ragazze... Penso che mi capiate perfettamente... 

Vabbè, vado...
Grazie a tutte per continuare a seguire questa storia <3 

Alla prossima!
Curly crush

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Capitolo 29
*** So we laugh at nothing ***


So we laugh at nothing


Il mattino dopo, mi incontrai con Ana, che aveva chiesto esplicitamente di vedermi, data la mia scomparsa del giorno prima. Ci salutammo con un bacio sulla guancia, poi decidemmo di andare da Starbucks a prendere qualcosa.

“Allora, questa gita parigina … Pensi di raccontarmi qualcosa, o devo stare con la curiosità per sempre?”, chiese dopo che ci fummo sedute ad un tavolino.
“Ma … Come fai a saperlo?”, chiesi, sorpresa.

Ero sicura che i paparazzi non ci avessero trovati, cosa difficile da credere ma effettivamente –e felicemente- avvenuta.

“Beh, le foto girano in fretta in Internet”, rispose lei con sguardo furbo.

Appunto.

“Ana, scusami, ma che foto? Perché ti giuro che non ho visto macchine fotografiche seguirci in giro”, riflettei, sempre più confusa.
“Gioia, non serve che ci siano sempre i paparazzi dietro l’angolo, sai?”, spiegò, in modo quasi ovvio.
“Ana, per favore, puoi dire le cose in modo chiaro? Non ci sto capendo niente!”, sbottai, cominciando ad innervosirmi.

Ana rise, poi finalmente si spiegò: “Allora, il tuo caro ragazzo ha pubblicato su Twitter ed Instagram una tua foto, specificando il fatto che eravate a Parigi”.

Mi coprii gli occhi con una mano. Harry, ma che cavolo …

“Quale foto? Ti prego, non dirmi …”, chiesi, sospettando già di che foto si trattasse.
“Eh già, ci sei tu con una faccia molto buffa; carina, devo dire”, rispose, sghignazzando.

Scoppiai a ridere anche io.

“Oddio, ma io lo faccio fuori! Poi mi sente”, affermai, dopo aver preso fiato.
“Dai, e per il resto com’è andata? Su, raccontami qualcosaaaaaa!”, mi pregò lei.

Sorrisi ai ricordi nitidi della serata di san Valentino e del giorno dopo.

“Oh oh … Quel sorrisino sognante è molto sospetto. Dai, forza, sputa il rospo!”, insistette la mia amica.
“Beh, è stato bellissimo …”, cominciai, e le raccontai (quasi) tutto.
“Ooooh, che romantico!”, esclamò lei alla fine del racconto con aria sognante. “Ma … Tu non me la racconti giusta, mia cara … C’è qualcos’altro che dovrei sapere?”, chiese poi, sapendo già la risposta.

Arrossii.

“Ah-ah, lo sapevo! Dai, forza, forza, continua il racconto …”, esultò lei, dandomi di gomito.
“Va bene … però giurami che resta tra me e te!”, implorai.
“Lo giuro, lo giuro, lo giuro!”, rispose velocemente lei.
“Beh, ecco … insomma … è … successo qualcosa, sì …”

Dio, era troppo imbarazzante, non ce la facevo proprio. Abbassai ancora di più il tono della voce, poi tentai di raccontare, in maniera non troppo esplicita, la notte con Harry. I dettagli, ovviamente, li tenni per me.

“Oddioooooo! E sei felice?”, mi chiese Ana, entusiasta.
Felicissima”, risposi io, sorridendo ampiamente.
Ana mi abbracciò, poi mi sorrise e bisbigliò: “Sono proprio contenta per te, Gioietta! Te lo meriti”.
“Grazie Ana, lo spero davvero. E spero che non finisca mai con lui …”.


Tornata a casa, mi impossessai del computer, decisa a farmi sentire da quel disgraziato. Ma, non appena entrai in Twitter, mi sciolsi: nelle menzioni, oltre a quella foto “meravigliosa” (e ai vari insulti, a cui ormai non facevo più caso), trovai un tweet di Harry.

Sono felice perché ho passato dei momenti perfetti con la più fantastica delle persone. Ti amo @Gioia_B xx”    

E ora? Chi aveva il coraggio di dirgli qualcosa, pur scherzosamente? Ma l’orgoglio prevalse, così commentai prima la foto.

Questa foto doveva finire da un’altra parte, mi pare! Sei finito, caro @Harry_Styles! Xx

Non potevo però ignorare la dolcezza dell’altro tweet, così risposi anche a quello.

@Harry_Styles La più fantastica e FOTOGENICA, aggiungerei =P Ti amo anch’io <3 Grazie di tutto, amore xx

Infine, notai un’altra menzione, sempre di Harry: un video.
Sorrisi, sospettando di cosa si trattasse; e, infatti, era proprio ciò che Harry mi aveva promesso: un video del suo ritorno a casa, in cui entrava nelle camere dei ragazzi, svegliandoli ad uno ad uno in maniera diversa e poco delicata, guadagnandosi cuscinate, insulti di ogni genere e anche qualche reazione manesca.
Lo guardai tutto piegandomi in due dalle risate, tenendomi la pancia ed arrivando alle lacrime. Oltretutto, il video finiva con Harry che mi dava la buonanotte molto tranquillamente, e con i ragazzi che lo aspettavano con espressione minacciosa e le braccia incrociate sul petto alle sue spalle.
Ovviamente, il video non era passato inosservato dai diretti interessati, che avevano pensato bene di dire la loro.

@Louis_Tomlinson ma che bella sveglia nel cuore della notte! -.- grazie al nostro riccioli d’oro e alla sua ragazza!

 

@zaynmalik sì, proprio grazie ragazzi, mi avete fatto interrompere un sogno in cui mi incoronavano come più bello del mondo :D

 

@NiallOfficial beh, quando mi sveglio ho fame, quindi le lamentele di @Harry_Styles sul frigo vuoto di stamattina non mi toccano! Colpa tua, Harold ;)

 

@Real_Liam_Payne dai, su ragazzi, smettetela, non serve prendersela così … bisogna fare peggio! Ahahah aspettatevi di tutto, cari innamorati =P

 Il tweet di Liam mi preoccupava parecchio, sembrava davvero intenzionato a vendicarsi in qualche modo. Comunque, mi feci una bella risata, poi spensi il computer e mi misi a studiare seriamente.


Il lunedì mattina, stavo ascoltando distrattamente la lezione di Linguistica inglese, quando bussarono alla porta.
Il professore, alquanto sorpreso, rispose: “Avanti”, aspettando di vedere chi fosse.

La persona che entrò fu l’ultima che mi sarei aspettata di vedere entrare nella mia aula universitaria: era Paul Higgins, la guardia del corpo dei ragazzi, che reggeva una piccola videocamera, con un’espressione a dir poco contrariata.
Subito dopo di lui, entrarono le quattro persone che non avrei mai voluto vedere in quell’ambiente, soprattutto dopo le minacce vendicative di Twitter: Louis, Liam, Zayn e Niall, tutti sorridenti, tutti e quattro che già stavano pregustando la loro bravata.
Spalancai gli occhi, e mi feci piccola piccola, ignorando le domande e le gomitate di Ana.

Buongiorno, professore!”, esordì Louis allegramente.

No, non stava succedendo davvero.
Louis non aveva appena salutato il mio professore con una pacca sulla spalla e facendo l’occhiolino al resto dei miei compagni di corso, in realtà.
Non poteva averlo fatto davvero.

“Ehm, buongiorno, ragazzo …”, indugiò il professore, basito.
“Lei saprà sicuramente chi siamo, non è vero?”, continuò Louis, mentre gli altri tre sorridevano e salutavano gli studenti, neanche fossero a uno dei loro concerti o ad un qualche incontro con le fans.
“Beh, certo che lo so, le vostre facce sono ovunque, ultimamente!”, rispose stizzito il professore.
“Molto bene, allora le presentazioni non servono, direi …”, constatò lui, sorridendo educatamente.
“A cosa devo questa visita, allora?”, chiese l’insegnante, ormai arrendendosi all’impudenza del castano.

No. Aveva posto la domanda più sbagliata in assoluto.
Mi abbassai quanto più potei sulla sedia, tentando di nascondere la faccia dietro il libro, inutilmente: se c’era la più piccola possibilità che Louis non mi avesse vista, c’erano gli altri tre a fare da spie.

“Saremmo venuti a salutare una nostra amica che non vediamo da un po’ …”, spiegò candidamente Louis.
“E dovete farlo proprio adesso, durante una lezione universitaria?”, chiese incredulo il professore.

Questa volta, a rispondere fu Liam: “Beh, vede, ultimamente abbiamo davvero molti impegni, siamo senza un minuto di tempo libero, quindi, anche se ci dispiace davvero molto disturbare la sua lezione … Sì, siamo costretti a farlo ora”.

Liam. Il sensibile e serio Liam James Payne. Il suo tono fintamente educato e dispiaciuto aveva evidentemente colpito l’insegnante, che ora lo guardava quasi affettuosamente, tutto il contrario di quando stava ascoltando Louis.

“Beh, chi sarebbe questa vostra amica, dunque?”, chiese il mio insegnante, setacciando l’intero corso con sguardo assassino.

Tentai di nascondermi ancora di più, ma lo sguardo color cielo di Louis fu più veloce, e mi trovò in men che non si dica.

“Eccola lì! La nostra cara Gioia!”, esclamò lui, e, mentre cominciava ad avanzare verso il mio banco, chiese al professore: “Posso?”.

Il professore, rassegnato, gli fece un cenno d’assenso, mentre con gli occhi mi fissava in maniera poco amichevole. Fantastico.
Puntai il mio sguardo su Louis, pregandolo di non fare cazzate, e di tornare indietro portandosi via i suoi amici, fuori da quell’aula.
Invece, continuò la sua camminata –volutamente- lenta verso di me. Quando mi raggiunse, mi sorrise innocentemente, e mi porse la mano, facendomi alzare.

“Gioia! Da quanto! Ci mancavi davvero tanto, lo sai?”, esclamò, baciandomi la guancia.

Giuda. Iscariota. Maledetto Tomlinson.

Come se la sua uscita da attore non bastasse, mi abbracciò stringendomi un po’ troppo.

Ti odio, Tomlinson”, riuscii a borbottare al suo orecchio.
“Oh, no che non mi odi. In realtà, sei felicissima di vedermi, lo so”, sussurrò lui.
“Neanche un po’, proprio no”, fu la mia risposta acida.
Lui rise, poi: “Ragazzi, che fate? Non venite a salutarla anche voi? Mi stava appunto dicendo quanto è contenta di vederci!”.

Liam, Niall e Zayn mi si avvicinarono sorridendo, quello stesso sorriso da traditori che si era messo Louis dal momento in cui aveva varcato la soglia dell’aula.

“Carissima!”, fu il saluto di Liam, seguito da un altro bacio traditore.
“Ehi, piccoletta, bella questa classe eh! Potrei venirci più spesso …”, disse Zayn, facendo finta di pensarci veramente.

Lo fulminai con lo sguardo, poi gli feci un sorriso tiratissimo e mi feci abbracciare anche da lui, aspettando l’ultimo Giuda.
Niall, per l’appunto, mi strinse in uno dei suoi abbracci alla Horan, togliendomi il fiato.

“In realtà a me dispiace un po’, ma era troppo divertente l’idea, così eccomi qui”, mi sussurrò Niall all’orecchio.
Vi odio tutti”, sputai fuori, trattenendo però un sorriso.

L’avevano pensata davvero bella, dovevo riconoscerlo.
Erano dei geni. Diabolici, ma geni.
Non mi sarei mai più permessa di farli alzare nel cuore della notte, questo era sicuro.

“Beh, penso che ora possiamo anche andare, vi lasciamo continuare la lezione”, buttò lì Zayn.
“Sì, Zayn ha ragione, dai ragazzi, andiamo”, lo seguì Liam, ridendo.
Louis finse uno sbadiglio: frecciatina molto esplicita, che trovò la sua realizzazione nel saluto del castano: “Sì, sì, dai. Ultime prove e poi a dormire, che ho un po’ di sonno in arretrato”.

Appunto. Mi misi a ridere, ormai non c’era più niente a trattenermi. Louis mi sorrise, questa volta affettuosamente, e mi si avvicinò.

“Scusa, Tomlinson, ma il mio ragazzo l’avete ammazzato?”, chiesi, sotto voce per non farmi sentire dal professore.

L’assenza di Harry mi aveva preoccupato leggermente, soprattutto perché sarebbe stato l’unico sostegno a cui appendermi, se ci fosse stato.

“No, tranquilla, l’abbiamo solo rinchiuso in studio, così che non potesse venire a salvarti durante la nostra amichevole visita. Ah, e non dirgli niente, a proposito, ci pensiamo noi”, rispose lui, sorridendo.

La mia espressione scandalizzata lo fece scoppiare a ridere, ma venne interrotto dall’insegnante che sbottò: “Ma non ve ne stavate andando, scusate?”.
I ragazzi risero un’altra volta tutti insieme, poi si scusarono per il disturbo e uscirono dall’aula, consigliati caldamente dal calcio di Paul al sedere di ognuno di loro.
Tornai a sedermi con un sorriso, che, non appena incrociai lo sguardo del professore, sparì immediatamente. Era irritato oltre i limiti.

“Allora, signorina …”.

Ecco, appunto.

“Sì?”, cercai di rispondere con quanta più ingenuità potevo.
“Così era da tanto che non li vedeva, i suoi amici famosi?”, insinuò.
“Ehm, già …”, temporeggiai, cercando qualche scusa.
“Ma di solito non sono in cinque?”, chiese, quasi interessato.
“In effetti sì”, risposi.
“E dov’era oggi il quinto, allora?”, indagò.
“Non lo so proprio, in realtà”, risposi, sincera.
“Signorina”, mi richiamò.
“Mi dica, professore”.
“Anche se non ho vent’anni come lei e i suoi amici, le notizie arrivano anche a me, lo sa?”, chiese, con tono acido.

Che antipatico.

“D’accordo, mi fa piacere”, risposi, involontariamente stizzita e maleducata.
“Stia attenta, la prossima volta scelga un posto alternativo alla mia lezione per i suoi incontri”, mi avvisò.

Ma che cavolo voleva da me? “Stia attenta”? E a cosa? Mette una nota da qualche parte a me e, soprattutto, ai ragazzi? Mi scappò un sorriso ironico.

“Lo trova divertente?”, chiese subito lui.
“No, per niente. Starò attenta, professore, lo prometto”, risposi, sotto gli sguardi preoccupati dei miei compagni di corso.
“Molto bene. Riprendiamo la lezione …”. 


Curly space:
Eeeeeeeeh madonna, professore, stia sciallo un poooooo'! =P
Ha avuto l'onore di avere quei quattro psicopatici in classe per alcuni istanti, cosa vuole di più? Un Lucano? :D
Ok, basta.
Beh, capitolo assolutamente inutile, credo, ma mi sono divertita troppo a scriverlo, quindi non ho voluto privarvi del "piacere" di leggerlo...
Che dire: Tomlinson, abbiamo la giornata simpatica, mi pare, come tutti gli altri... U.U 
Chessimpaticoni.
E Gioia, porella... Ma almeno c'è Haz, che le scrive i tweet dolci dolci... *-*
(anche io voglio T.T)

Ora passo ai thank you e poi mi dileguo:
GRAZIE a glo97 e Marialucia099 per aver messo la storia nelle preferite :D
GRAZIE a Nutellagirl per averla messa nelle seguite :D

Facciamo anche un po' di spam, che non fa mai male =P Ho iniziato una nuova storia, Hold your breath e, niente, se volete è lì...
Grazie a tutteeeeeeeeeee e ciao!

Curly crush
(sempre più andata)

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Capitolo 30
*** Never in your wildest dreams ***


Never in your wildest dreams


I Brit Awards. Che spettacolo. Davvero indescrivibile.
C’erano moltissime persone che applaudivano, urlavano, cantavano, facevano foto. E io ero tra loro.
Ero in mezzo a tutta quella gente per lui, e per loro.
Harry, Louis, Zayn, Liam e Niall, quei cinque pazzi che in poche settimane mi avevano accolta come se fossi stata un’amica che conoscevano da tempo, rendendomi partecipe della loro carriera e della loro vita privata.

I ragazzi erano arrivati alle diciannove –ora inglese- per la sfilata sul red carpet, poi alle otto sarebbe iniziata la cerimonia vera e propria.
Ero riuscita a vedere Harry solo di sfuggita poco prima che lui e i ragazzi raggiungessero il tappeto rosso, ma avevo comunque avuto tutto il tempo di prendere un piccolo infarto e riprendermi: non ero riuscita a credere ai miei occhi fino al momento in cui i ragazzi mi avevano fatto dei cenni, chi con la mano, chi con il viso, per salutarmi, svegliandomi dall’estasi in cui ero caduta.
Erano tutti assolutamente e dannatamente belli, oserei dire perfetti, abbigliati in vestiti eleganti che sembravano essere stati tagliati e cuciti su di loro.
Il colore dominante era – ovviamente – il nero, poi ognuno di loro aveva deciso cosa metterci insieme: Liam, Niall e Zayn la classica camicia bianca, che il moro aveva reso più originale aggiungendo un nastro in raso nero legato morbidamente attorno al colletto; Louis aveva optato per una camicia bianca a pois neri, mentre Harry ne indossava una dello stesso colore, ma che, grazie alla fantasia stampata, sembrava tendente al grigio. Tutti e cinque avevano la fronte libera dai capelli, lasciando che le luci illuminassero i loro visi perfetti e rendendo ancora più luminosi i loro occhi.

In quel momento mi trovavo in galleria, e la serata era circa a metà, la prima nomination dei ragazzi era già stata annunciata: Best British Group. Con mio grande disappunto, non avevano vinto loro, essendo in competizione con altre grandi band inglesi. Avevo accolto l’annuncio con un grande nodo allo stomaco, e con un’esclamazione contrariata.
Ma restava l’altra categoria, Global Success.
Finalmente venne il momento della loro esibizione, tante volte annunciata, ma fino a quel momento non ancora avvenuta.  

“I One Direction con il loro singolo di beneficienza, One Way or Another!”, annunciò il presentatore, scatenando le urla delle fan lì presenti, me compresa.

I ragazzi salirono sul palco, e notai con sorpresa che avevano cambiato gli abiti. Applaudii forte, poi mi zittii sulle prime note della canzone dei Blondie, in cui cantava Harry. Inizialmente agitato, si sciolse, partecipando con i suoi compagni alla canzone in modo attivo e fuori dal normale, com’era loro solito: correvano e saltavano in giro per il palco, cantando con le loro voci talentuose. La performance sembrò durare pochissimo, poi i ragazzi tornarono a prendere posto al loro tavolo.

Venne il momento della seconda categoria in cui Harry, Liam, Louis, Niall e Zayn erano nominati.
Passarono le nomination, poi Robbie Williams, che avrebbe dovuto decretare il vincitore, salì sul palco.
Avevo le mani che sudavano mentre le stritolavo, lo stomaco nuovamente stretto dalla tensione, ed ero incapace di stare ferma sulla sedia.
Quando infine Robbie annunciò: “Vincono i One Direction!”, saltai su dalla sedia, applaudendo come una pazza, urlando “Bravi ragazziiiiiii!” e lasciando scendere addirittura un paio di lacrime.
I ragazzi si alzarono dal tavolo, sorridendo e stringendosi in un abbraccio di gruppo, con Louis che dava pacche sulle spalle a tutti. Salirono sul palco, poi Louis prese il microfono, stringendo il premio tra le sue mani e ringraziò tutte le fan, dicendo che avrebbe voluto che fossero tutte lì con loro. Le espressioni sui volti dei ragazzi erano felici, rilassate, Harry faceva addirittura linguacce al pubblico, il che mi fece ridere, ma l’emozione era il sentimento prevalente in tutti. Anche Liam prese il microfono e ringraziò la casa discografica, poi scesero dal palco ridendo contenti.


Bravo amoreeeeeeeeeeeee!”, esclamai, saltando al collo di Harry non appena riuscii a raggiungerlo all’after party dei Brit.

Lui rise, poi mi strinse in un abbraccio, baciandomi e sussurrandomi “Grazie” nello stesso momento.

“Eeeeeh però basta fare i piccioncini, dai!”, si intromise Niall, ridendo e mettendosi tra me e Harry.

Aveva le guance leggermente colorate di rosso, perciò pensai che avesse già cominciato a festeggiare, nel vero senso della parola.
Non era l’unico però: osservai meglio Harry, che mi fissava sorridendo, senza distogliere lo sguardo.
Guardai Louis, che si aggirava con fare sospetto tra le persone invitate alla festa, tenendo il premio stretto tra le mani.
Vidi Zayn e Liam andare in giro a braccetto, con due bicchieri in mano.
Sì, avevano decisamente bevuto. Ma erano talmente allegri e spensierati che non mi preoccupai quando gli ultimi due raggiunsero me, Harry e Niall, dopo aver recuperato anche Louis, con una bottiglia di spumante tra le mani.

“Gente, stasera si festeggia!”, esclamò Zayn, solitamente molto posato nel parlare.

Scoppiai a ridere, poi presi il bicchiere che Liam mi offriva e mi feci versare del vino. Aspettai che tutti avessero il bicchiere (forse fin troppo) pieno, poi brindammo tutti insieme, facendo toccare i bordi dei bicchieri e, ovviamente, rovesciando un po’ del contenuto. Mi accorsi di essere assetata, così finii in poco tempo il mio bicchiere, ricevendo sguardi sorpresi dai ragazzi.

“Eh, scusate, avevo sete …”, tentai di spiegare.
“Ah, non c’è problema! Tieni!”, rispose pronto Liam, riempiendomi di nuovo il bicchiere, ignorando le mie proteste.
“Dai, dai, non fa mica male sai?”, rincarò Niall.
“Va bene, va bene, bevo! Così poi sembrerò un’ubriacona come voi!”, risposi ridendo.
“Attenta però, che poi potremmo fare dei video …”, rispose Louis.
Ssssh!”, lo zittì Zayn, “Quella è una sorpresa per dopo, scemo!”.

Capii che si riferivano al video della loro visita alla mia università, che con tutta probabilità Harry non aveva ancora visto. Comunque, in quel momento non doveva essersi accorto dello scambio di battute tra i suoi compagni, poiché non fece alcuna domanda. Louis, però, per esserne sicuro, cambiò discorso.

“Ehi, ehi ragazzi, guardate cosa ho qui!”, esclamò sottovoce, facendoci avvicinare a lui.

Osservai attentamente Louis mentre spostava lentamente il bavero della sua giacca, e lasciando vedere cosa nascondeva lì sotto. Un Brit. Lo guardammo tutti senza capire, poi lui mise l’espressione più furba che aveva e, facendomi l’occhiolino, rivelò: “Non è mica il nostro questo!”.

Scoppiammo tutti a ridere, poi i ragazzi cominciarono a complimentarsi per la trovata, dandogli sonore pacche sulle spalle, ma tentando di non farsi notare dagli altri invitati.

“One Direction sul red carpet!”, annunciò una voce esterna, facendoci saltare tutti quanti per la sorpresa. I ragazzi, ridacchiando, si avviarono verso l’uscita della festa, mentre Harry mi salutava con un bacio e promettendo di tornare subito.

Assistetti all’intervista tentando di trattenere le risate, ma quando Liam fece dire a Niall “Amo l’Irlanda” non ci riuscii più, e scoppiai, procurandomi sguardi straniti e di evidente superiorità dal resto della gente lì presente; la sola cosa che mi consolò fu il saluto sorridente di Harry, che a quanto pareva, mi aveva sentita. Quando poi Louis estrasse il Brit trafugato, fu il culmine, e dovetti allontanarmi dal red carpet per non essere cacciata.

“Gioia!”, sentii chiamare.

Mi voltai, e mi trovai Eleanor di fronte.

“Ciao El!”, risposi, dopo un momento di smarrimento.
“Non sapevo ci fossi anche tu, non ti avevo vista prima”, disse lei, sorridendo.
“Ah, tranquilla, nemmeno io”, risposi, ridacchiando senza motivo.

Anzi, in realtà il motivo stava alle mie spalle, ed erano quei cinque deficienti che facevano finta di essere seri e, soprattutto, sobri, durante l’intervista.

“Sono già ubriachi, vero?”, chiese lei, indovinando i miei pensieri.
“Già … Beh, inutile che mi tolgo da questo gruppo, lo sono già anche io”, risposi, forse arrossendo.
“Non si nota. Hai stile”, affermò, sincera.
“No, ho Styles”, risposi, senza volerlo.

Battuta pessima. Ero proprio andata.
Eleanor scoppiò a ridere, poi raggiunse Louis, che si stava avvicinando con gli altri facendo un chiasso tremendo. Mi girai giusto in tempo per vedere Harry che mi arrivava addosso con le braccia aperte, chiudendole subito dopo attorno a me, e piantandomi un bacio in piena fronte. Lo guardai da sotto il suo naso, mentre lui abbassava la testa per trovare le mie labbra, leggermente dischiuse. Mi baciò con impeto.

“Sai di vino”, constatò.
“Anche tu”, risposi io, persa.

Che cavolo, avevo bevuto due bicchieri, non reggevo proprio niente!

“Così poi mi fai ubriacare ancora di più, delinquente”, affermò lui.
“Parla per te, va, che ormai non mi reggo neanche più in piedi”, brontolai io in risposta.

Harry mi strinse più forte, ridacchiando, ma, per il resto della serata, non mi lasciò più andare, e continuò a tenermi tra le sue braccia, sostenendomi. 


Curly space:
Yeeeeeeeeeeeeee i Briiiiiiit! :D
Scusatemi, so che il capitolo è corto, ma non potevo fare altrimenti, la notte dei Brit è lunga, e se avessi pubblicato tutto oggi ne sarebbe venuto fuori un libro... U.U
Comunque, spero vi sia piaciuta, questa prima parte :)
A me non convince troppo, ma vi assicuro che nel prossimo ho tentato di dare il meglio di me, quindi, sopportate questo, per favore... ;)
Non  c'è molto da dire, in effetti. La nostra Gioia assiste a questo grande spettacolo per vedere il suo ragazzo ed i suoi amici, e mi sembra un motivo più che valido... *-*
(scusatemi per la battuta davvero pessima, non devo essere stata al culmine della lucidità quando ho scritto questo capitolo U.U)

Beh, ringrazio, e poi mi tolgo dalle scatole!
Grazie a Nanek e Tommos_girl93 per aver recensito <3
Grazie a Boo_Food e Jimmyyou per aver messo la storia tra le Preferite <3
Grazie a gabrygleek e Boo_Food per averla inserita nelle Seguite <3
E grazie a tutte quelle che leggono in silenzio... ;)

Ciaooooooo e al prossimo capitolo! :) 
Curly crush
P.s: ah, avete visto che sono riuscita a mettere una cavolo di immagine?! :D *si fa pat pat sulla spalla da sola* 
P.p.s: wooooooooooooo 30 capitoliiiiii non ci credo! *-* Grazie a chi continua a seguirmi e sopportarmiiiiiiiiii! <3 

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Capitolo 31
*** Nobody's going home tonight ***


Nobody's going home tonight


Dopo alcune ore la festa finì, e i ragazzi decisero di tornare a casa; chiamarono Paul, perché venisse a prenderli e poco dopo ce lo ritrovammo davanti.

“Tu vieni da me, vero?”, chiese Harry, non ammettendo alcuna risposta contraria.
“Certo, amore, come vuoi”, risposi sorridendo, sfinita.

Salimmo tutti sul furgoncino dai vetri oscurati, poi partimmo. I ragazzi erano ancora parecchio brilli, cantavano, ridevano e parlavano a raffica di cose senza senso. L’entusiasmo per la vittoria del Brit non accennava ad esaurirsi. Paul ormai sembrava non vedere l’ora di scaricare quei cinque pazzi, anche se tentò di avere una conversazione sensata con i ragazzi, rinunciandoci poco dopo. Inizialmente seguii, per quello che riuscivo, i mezzi discorsi che riempivano il furgoncino, poi caddi in dormiveglia e, senza che me ne accorgessi, arrivammo a destinazione.

“Ehi, piccola ci siamo”, sussurrò Harry dolcemente al mio orecchio.

Louis non fu altrettanto gentile e, approfittando della mia incoscienza, si mise a strattonarmi per un braccio, urlando che eravamo arrivati. Il suo metodo, però, per quanto poco ortodosso, funzionò, e io mi svegliai immediatamente.

“Tomlinson, sei sempre più delicato tu, eh!”, risposi, dopo essere scesa dietro di lui dal furgoncino.

Louis rise, poi raggiunse Paul e, con una faccia da schiaffi, gli chiese: “Pauly, vieni su con noi a vedere il video?”.

“Non ci penso neanche, ci ho già assistito in diretta e mi basta così! Buonanotte, ragazzi”, rispose lui, sorridendo.
“Scusate, quale video?”, chiese Harry, alle mie spalle.
“Ma non gliel’avete ancora detto, voi quattro?”, chiesi io, rivolgendomi a Louis, Zayn, Niall e Liam, che in quel momento avevano delle espressioni molto divertite in volto.
“Certo che no!”, rispose Niall.

Mi voltai verso Harry, cominciando a spiegargli qualcosa.

“Sai, i tuoi compagni di band sono venuti a …”

Ma Zayn mi si avvicinò di scatto e mi tappò la bocca con una mano.

“Taci, tanto adesso glielo facciamo vedere!”, esclamò.

Alzai le mani in segno di resa, e finalmente il moro mi mollò.
Entrammo nel palazzo e salimmo le scale; Liam aprì la porta ed entrammo, chi fiondandosi immediatamente sul divano (Niall e Louis), chi con più calma si tolse le scarpe e la giacca (Liam e Zayn), chi, con ancora più calma, restò fuori dalla porta, con un’espressione basita in volto (io e Harry).
Ci guardammo e scoppiammo a ridere: ci avevano chiuso la porta in faccia!
Incrociammo le braccia sul petto, con lo sguardo rivolto verso la porta, in attesa. Dopo pochi istanti, questa si aprì, facendoci intravedere uno Zayn piegato in due dalle risate.

Finalmente entrammo anche noi, ci mettemmo comodi e raggiungemmo gli altri in salotto. Harry si sedette per terra, appoggiandosi con la schiena al divano, mentre io mi accoccolai tra le sue gambe, lasciandomi circondare dalle sue braccia.
Improvvisamente mi ritrovai lo sguardo di Louis addosso.

“Che vuoi adesso, Tomlinson?”, chiesi, fintamente irritata.
“Mah, niente … solo che ci chiedevamo …”, temporeggiò lui.
“Cosa?”

La sua espressione cambiò: sorrise in maniera assolutamente strafottente, poi sganciò la bomba.

“Cosa ci racconti della tua gitarella a Parigi con Harry?”.

Gli occhi dei ragazzi erano tutti puntati su di me.
Sentii il mio viso andare in ebollizione, percependo tutte le diverse sfumature di rosso che molto probabilmente stava prendendo. I ragazzi scoppiarono a ridere, mentre Harry, dietro di me, restava in silenzio, quasi trattenendo il respiro.

“Non credo che sia così ubriaca da raccontarvi una cosa del genere, ragazzi”, affermò infine il riccio, sorridendo appena.

Mi voltai di scatto verso di lui.  

“Harry! Ma da che parte stai?”, esclamai, allibita.
“Dalla tua, tesoro”, rispose.
“Ma dai, Gioia, non è giusto, vogliamo sentire anche la tua, di versione!”, protestò Zayn.

Lo fulminai con lo sguardo, poi usai il braccio di Harry per nascondermi il viso.

“Sì, infatti, poi Harry a volte si inventa le cose, abbiamo bisogno di un’altra testimonianza …”, aggiunse Liam.
Non mi avrete mai!”, esclamai dopo qualche istante.

I ragazzi scoppiarono a ridere, mentre Harry si avvicinò al mio orecchio, fino a sfiorarlo con le sue labbra.

“Ma io ti avrò, invece, vero?”, sussurrò, con un tono talmente basso che feci fatica a sentirlo, ma che riuscì ugualmente a provocarmi brividi lungo tutto il corpo.

Chinai all’indietro la mia testa, trovando subito le sue labbra, pronte, in attesa di avermi vicina. Il mondo sparì, restarono solo le nostre bocche che si incontravano, le nostre lingue che si sfioravano, e i nostri sorrisi mescolati al bacio.

“Ehm ehm”, qualcuno si schiarì la voce.

Guastafeste. Chi poteva essere se non … Niall?!
Questa volta era stato proprio lui a riportarci alla realtà, il timido irlandesino.

“Guardiamo questo video o no, allora?”, chiese.

Louis si alzò velocemente, ma, avendo ancora l’effetto dell’alcool in corpo, inciampò nel tappeto, scivolando a terra e provocando una risata collettiva. Si rialzò, sfregandosi le mani come se non fosse successo niente, e ci guardò tutti attentamente, uno alla volta, con sguardo furbo.

“Sapete, è meglio che non ridiate tanto di me …”, affermò, sibilando quasi.
“Dai, Tomlinson, tiratela meno e fatti una risata anche tu, no?”, esclamai, tirandogli un cuscino.
“… perché io posso zittirvi quando voglio”, continuò, ignorandomi.

Puntò il dito su Liam.

“Tu, caro daddy, per esempio”, cominciò Louis.
“Ehi, che c’entro io adesso, che ho fatto?”, protestò Liam.
“Hai riso, come tutti gli altri”, rispose; poi continuò, senza pietà: “Beh, sappiamo tutti della tua paura particolare …”

Liam sbuffò forte.

“ … per i cucchiai. Ma non tutti sanno – la piccoletta di Harry, per esempio – che hai addirittura paura di tirarli fuori dalla lavastoviglie”, concluse Louis.
“Tommo sei uno stronzo!”, esclamò Liam, tirandogli un altro cuscino e incrociando poi le braccia sul petto, offeso.

Lo guardai, divertita, e incrociai il suo sguardo.

“Non è vero!”, mi disse, articolando la sua difesa con le labbra, silenziosamente.

Gli feci l’occhiolino per fargli capire che ero dalla sua parte, poi tornai con lo sguardo su Louis, che stava per continuare con le sue rivelazioni.

“E tu, Malik …”, disse, girandosi verso Zayn.

Quest’ultimo alzò le sopracciglia con fare superiore, in attesa.

“Meglio che non dico neanche quante volte ti sistemi il ciuffo prima di un concerto, l’italiana potrebbe pensare di avere sbagliato sesso”, affermò, tagliente il castano.

Zayn strabuzzò gli occhi, poi si fece una bella risata. Notai però un leggero rossore che gli colorava le guance.

“Niall …”, iniziò Louis.
“Eh no, io non ti ho fatto niente, non provarci neanche!”, tentò di salvarsi il biondo, ma Louis sembrava non avere alcuna pietà, quella sera.
“Niall, Niall, Niall … che si può dire di te?”

Lo sguardo di Niall parlava chiaro, era terrorizzato, le sue guance ormai andavano a fuoco. Mi faceva una pena immensa.

“Dai, Lou, smettila!”, esclamai infine, ridendo.

Louis si voltò verso di me di colpo, poi sorrise, diabolico. Ricambiai il suo sguardo, con aria di sfida.

“No, mi dispiace, di me non sai niente tesoro, hai perso”, sussurrai.

Sentii Harry stringermi più forte al mio “tesoro” rivolto a Louis, poi mi baciò sulla guancia, sospirando. Louis mi guardò fisso, trapassandomi con i suoi occhi azzurri, glaciali.

“Tu pensi che io non sappia niente”, affermò, infine, facendomi perdere tutta la sicurezza che avevo qualche istante prima.

Stava bluffando, sicuramente. Però il suo sguardo non mi piaceva per niente. Cosa poteva sapere di me che avrebbe potuto sputtanarmi? Un lampo si fece strada nella mia mente: Parigi. Forse Harry gli aveva raccontato qualcosa, anzi, quasi sicuramente. Mi sentii avvampare.

“Lou, dai piantala, mi fate vedere questo video o no?”, si intromise Harry.

Mio eroe.
Louis accettò in silenzio, e si diresse verso la sua stanza. Harry mi sfiorò una guancia.

“Ehi, stai bene? Sei bollente”, constatò, appoggiando poi le sue labbra sulla mia fronte.
“Benissimo, tranquillo. È che Lou mi ha messa un po’ in difficoltà”, risposi piano, evitando di farmi sentire dagli altri.

Harry rimase in silenzio.

“Harry, cosa sa lui di me?”, provai.

Lui non rispose. Mi girai per guardarlo meglio in faccia. Lui sostenne il mio sguardo.

“Harry?”, insistetti.

Harry infine cedette: sorrise furbamente, e mi si avvicinò all’orecchio.

“Gli ho solo detto che … in alcune cose … te la cavi bene”, sussurrò, facendomi rabbrividire.

Restai a bocca aperta.

“Harry!”, esclamai, un po’ troppo forte, attirando l’attenzione degli altri.

Bastò uno sguardo di Harry per farli tornare alle loro attività di prima. Lo fissai negli occhi, tentando di mantenere un’espressione arrabbiata.

“Quella è una cosa nostra”, sussurrai piano.
“Vorresti dirmi che ad Ana non hai raccontato niente?”, chiese lui.

Touché.

“Comunque … è vero, quello che gli ho detto”, continuò, sospirando al mio orecchio.

Mi stava istigando, questo era sicuro. Poco mi mancava a prenderlo per il colletto e portarlo in camera, chiudendoci dentro, ma non potevo farlo.
C’erano gli altri.
E dovevamo ancora vedere quel dannato video.
Gli stessi pensieri passarono nella sua mente, lo vedevo dai suoi occhi, mi stavano mangiando, le pupille sempre più dilatate, il respiro che ormai era fatto di sospiri. Ci guardammo negli occhi, sorridendo, poi lui si avvicinò a me, e mi baciò, dischiudendo le labbra e facendo sfiorare le nostre lingue.

“Sono tornato!”, annunciò Louis allegramente.

Mi sistemai di nuovo tra le gambe di Harry, lasciandomi stringere dalle sue braccia; osservai Louis che collegava la telecamera alla televisione e sistemava tutto il necessario. Harry nel frattempo si mise a canticchiarmi Heaven all’orecchio, facendomi sorridere e arrossire nello stesso momento, fino a che lo schermo della tv si illuminò e tutti facemmo silenzio.

Il video cominciava con un’immagine di Niall, Louis, Zayn e Liam che salutavano sorridenti la telecamera.

“Ciao Haz! Quest’oggi abbiamo deciso di farti una sorpresa, o meglio, la faremo alla tua dolce metà, per ringraziarla della sveglia di qualche notte fa”, annunciò Louis, divertito.
“Abbiamo coinvolto anche Paul in questa messinscena, perciò pensa a quanto ci stiamo impegnando”, continuò Zayn.
“Siamo esattamente fuori dallo studio, in macchina, e, secondo quello che ti abbiamo detto, stiamo andando a prendere la colazione”, si inserì Niall, “Guarda, io preferirei sul serio andare da Starbuck’s a prendermi un buon frappuccino e un bel muffin o quel che è, ma questi altri tre mi hanno convinto, non so come …”


Nel salotto, scoppiammo tutti a ridere, facendo arrossire Niall.

“Quindi ora stiamo andando all’università!”, concluse Liam.
“No, Harry, non a studiare. Ho già fatto un anno in più, non ci tengo a fare anche l’universitario ora!”, puntualizzò Louis.
“Ah, e ci tenevo a precisare che l’idea è nata soprattutto da me e Tommo, quindi quando vedrai questo video vogliamo i ringraziamenti personali”, riprese Liam.


Li guardai scandalizzata, e loro scoppiarono a ridere; mimai un “Me la pagherete” con le labbra, poi tornai al video.

“Ma vi rendete conto di quante cazzate state dicendo, ragazzi?”, chiese una voce esterna.

La telecamera venne rivolta verso l’autista, Paul. Pover’uomo.

“Qualcosa da dichiarare, Pauly?”, chiese Louis.
“Assolutamente no. Fatemi guidare, disgraziati”, rispose, rimanendo attento alla strada.

Quando arrivarono, i ragazzi passarono la telecamera a Paul, che la prese sbuffando un “Ma guarda cosa mi tocca fare”; entrando nel palazzo dell’università, sentii Zayn esclamare:
“Wow! Però, potrei farci davvero un pensierino”.

Niall subito lo riprese: “Fratello, stai scherzando, spero! Molleresti la carriera per tornare a scuola?”.

I quattro si guardarono per qualche secondo, poi scoppiarono tutti a ridere davanti all’irrealizzabilità di quell’evento, poi arrivarono alla reception. Si fece avanti Zayn.


“Mi scusi, potrebbe gentilmente dirmi in quale classe potrei trovare questa studentessa?”, chiese con tono seducente (e non oso immaginare lo sguardo) alla signora lì presente, che si dimenticò per qualche istante di respirare.

“Zayn, questa ti è venuta benissimo!”, si complimentò Liam, battendo il cinque all’amico e rimettendosi poi in osservazione.

L’impiegata dette le informazioni necessarie, ma tentò di spiegare che c’era una lezione in corso, e non si poteva disturbare.
Zayn allungò una mano sul bancone, e bisbigliò: “Non si preoccupi, sarà il nostro piccolo segreto


“Zayn!”, esclamai, “Hai tentato di sedurre la signora Johnson! Sei pazzo? Soffre di cuore, quella povera donna!”

Zayn mi guardò, sorridendo e facendomi la linguaccia, compiaciuto della sua impresa.

I ragazzi salirono le scale, fermandosi poi davanti alla porta della mia aula. Paul passò avanti e, fulminandoli uno ad uno, bussò.

Le scene che seguirono erano quelle che –purtroppo- avevo vissuto in prima persona quel mattino; nel salotto, i ragazzi non facevano altro che ridere, battersi il cinque e complimentarsi tra loro, mentre io e Harry guardavamo il video, lui sconvolto ma divertito, io divertita ma con un forte istinto omicida in corpo.

Quando finalmente uscirono dalla classe, i ragazzi si radunarono davanti alla telecamera.

“Bene, la nostra missione è compiuta! Il nemico è stato sconfitto. Agenti Tomlinson, Malik, Horan e Payne a rapporto”, annunciò Louis.
“Ora andiamo a prendere la colazione sul serio”, terminò Niall, salutando la telecamera.


“Ma l’avete fatto sul serio?!”, esclamò incredulo Harry.
“Già, amore, l’hanno fatto davvero”, gli risposi io, tagliente, fissando gli altri quattro che ormai erano arrivati alle lacrime a forza di ridere.
“Allora, ti è piaciuto, Harry?”, chiese Louis, respirando a fatica.

Harry scoppiò a ridere insieme a loro, lasciandomi ancora più scandalizzata. Poco alla volta, però, la finta offesa lasciò il posto alle risate anche da parte mia, così che nell’appartamento non si sentì altro che sghignazzare per qualche tempo.



Curly space:
Yayyyyyyyyyyyyyy! Sono qui! :D
Allora, seconda parte della "serata Brit", che ne dite? 
Giuro che il prossimo capitolo è l'ultimo, poi si passa ad altro :)
Ahahahah ma quanto simpatici sono questi ragazzi? Cioè, punto primo, sono peggio delle pettegole e mi mettono in difficoltà la povera Gioia, punto secondo, si fanno pure i video delle loro imprese diaboliche! =P Scemiiiiiiiiii <3

Beh, bon, spero che questo capitolo vi abbia divertite e che non vi siate addormentate in salotto con loro... ;)

Passo ai ringraziamenti e poi me ne vo :)
GRAZIE a Ally_J13 e Siellalella per aver messo la storia nelle preferite :)
GRAZIE a Tommos_girl93 per la recensione :)
E grazie anche a tutte quelle che leggono in silenzio :)

Alla prossima,
vostra Curly 

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Capitolo 32
*** And every time we both touch I only want more ***


And every time we both touch I only want more


Dopo che Liam ebbe sistemato tutto, gli sbadigli cominciarono ad arrivare.

“Mmmh, io andrei anche a letto”, mugugnò Harry stiracchiandosi.
“D’accordo, vai pure”, rispose Louis, più sveglio degli altri, “La piccoletta che dice, invece?”, chiese, rivolto a me.

Abbassai lo sguardo, arrossendo. Avevo sonno, ero esausta, e, sì, sarei andata a letto anche io, ma sapevo che la mia risposta avrebbe portato diverse battutine e sguardi maliziosi.

“Allora?”, insistette Louis.
“Tomlinson, non hai sonno tu?!”, chiesi, tentando di cambiare bersaglio.
“Sì, un po’, e tu?”

Non aveva funzionato.

“Sì, sì, ho sonno, voglio andare a letto, ok?!”, risposi infine, fingendo di essere infastidita.

Harry si alzò, prendendomi per mano.

“A dormire, eh!”, ordinò Louis, insistendo sull’azione.

Eccolo lì. Maledetto Tomlinson. Sentii le mie guance accendersi, poi mi nascosi sul petto di Harry, che rise leggermente imbarazzato.

“Fatti gli affari tuoi, Lou!”, esclamò il riccio.

Gli altri, fino a poco prima assonnati, ora si davano di gomito, facendosi l’occhiolino e battutine imbarazzanti.

“Siete tutti dei pervertiti!”, esclamai, scappando poi verso la camera di Harry.
Buonanotte, ragazzi!”, risposero gli altri quattro, in un coretto davvero poco innocente.

Harry arrivò in camera poco dopo di me, mentre gli altri stavano ancora in salotto a fare casino; mi si avvicinò velocemente e mi prese per i fianchi, stringendomi a lui.

“Ora posso baciarti senza che nessuno ci interrompa o lanci frecciatine, finalmente”, sussurrò, un attimo prima di appoggiare le sue labbra sulle mie.

Risposi al bacio con trasporto, non opponendo alcuna resistenza alla forza con cui lui mi stava spingendo verso il letto; ci cademmo sopra dopo pochi istanti, sprofondando leggermente. Sorridemmo entrambi, guardandoci un attimo negli occhi. Harry si bloccò un attimo, alzando lo sguardo, come per controllare qualcosa.

“Ho lasciato la porta aperta”, constatò tranquillamente.

Girai la testa quanto potevo, e riuscii a vedere che effettivamente era così. Un’altra cosa che vidi subito dopo, però, avrei preferito che non ci fosse: Zayn che passava lentamente davanti alla camera, non dissimulando in alcun modo il fatto che stesse guardando dentro; non appena ci vide, il suo sguardo si fece malizioso, e il suo passo rallentò ancora di più. Harry si alzò velocemente, mettendosi a posto la camicia con fare indifferente, mentre io, ancora più veloce, mi tirai a sedere sul letto.

“Malik sei un guardone! Vai a dormire, altrimenti quelle occhiaie non lasceranno più quel tuo bel visino perfetto”, lo apostrofai, provando a non arrossire.

Zayn si mise a ridere, ma mi ascoltò e se ne andò in camera sua. Harry si affrettò verso la porta, chiudendola, e facendo anche un giro di chiave.

“Hazza, perché ti chiudi a chiave? Hai paura dei mostri?”, chiese una voce da fuori.
“Niall, vai a dormire anche tu!”, ordinò Harry ridendo.

Ma tu guarda che razza di gente, un po’ di privacy non sapevano proprio cos’era, quei cinque.

“Adesso basta interruzioni. Sul serio”, sospirò Harry.

Cominciò a sbottonarsi la camicia, guardandomi serio. Mi avvicinai a lui, e delicatamente spostai le sue mani, facendo continuare le mie sui bottoni rimasti. Harry lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, portandole poi sulla mia vita, sorridendo leggermente. Arrivata all’ultimo bottone, gli sfilai la camicia, sfiorandogli le braccia con le mie mani, fredde a giudicare dai brividi che lo percorsero.

Poi qualcuno bussò. Harry si voltò di scatto verso la porta, poi vi si avvicinò rapidamente, sbuffando piano: erano i suoi amici, compagni di band e coinquilini e poteva volergli bene come se fossero suoi fratelli, ma ora stavano davvero esagerando.

“Che cosa volete ancora?”, chiese, pronunciando ogni parola separatamente, con il tono più gentile che aveva.
“La tua bella si è dimenticata questa”, spiegò Louis.

Mi avvicinai alla porta, senza ricordarmi di avere ancora la camicia del mio ragazzo in mano. Gli occhi azzurri di Louis andarono subito a posarsi su di essa, facendomi avvampare; poi mi passò la pochette, che avevo lasciato in salotto, e mi fece l’occhiolino.

“Buonanotte e … d’oro”, esclamò.

Non riuscii a comprendere la parola che ci aveva messo nel mezzo, ma Harry evidentemente sì, visto che la sua risposta fu un veloce calcio nel didietro di Louis.

“Buonanotte a tutti! Io adesso chiudo la porta e non la apro più fino a domani mattina, chiaro? Ciao”, sbraitò Harry, poi chiuse la porta, questa volta facendo due giri.

Scoppiai a ridere, seguita a ruota da lui.
Cominciai a togliermi i vestiti velocemente, fino a che Harry mi bloccò un braccio.

“Ehi, ehi, calma, perché corri così? Volevo farlo io questo”, chiese, quasi deluso.
“Perché se lo fai tu poi so che la cosa finisce male e … Io non …”, tentai di spiegare.

Non potevo dire “Non voglio”, anche perché non era assolutamente vero. Solo che quei quattro disgraziati, con le loro continue invasioni, mi avevano intimidita fin troppo. Lui mi guardò, spalancando gli occhi.

“Aspetta … Non credo di capire …”, borbottò.
“E invece hai capito, Harry, scusami. È che … ci sono gli altri …”, balbettai, infastidita.

Sì, ero proprio infastidita. Avrei dovuto ascoltare il mio istinto ancora tempo prima in salotto e trasferirmi in camera con Harry in quel momento.

“Beh, agli altri non deve interessare proprio niente di quello che noi facciamo!”, protestò lui.
“Harry, è anche casa loro”
“Quindi?”

Appoggiai la testa sul suo petto, sospirando. Le sue mani presero a percorrere veloci il mio corpo, facendo accelerare il battito del mio cuore; alzai la testa, e trovai subito le sue labbra ad aspettarmi. Lo baciai con forza, perdendomi come sempre; lui aumentò la stretta sui miei fianchi, avvicinando il suo bacino al mio. Infilò le mani sotto la mia camicetta, aperta per metà, facendomi rabbrividire.
Mi staccai di colpo.

“No, non fare così, Harry, per favore”, pregai.
“Ma così come? Se mi stai chiedendo di non toccarti, sognatelo, è come se mi dicessi di non respirare!”, esclamò, alzando la voce.

Posai una mano sulla sua bocca, ridendo. La sua espressione era davvero sconvolta. Mi avvicinai al suo orecchio.

“Puoi farmi le coccole, se vuoi”, sussurrai.
Mi baciò una guancia, sospirando, poi disse, sorridendo: “Sempre meglio di niente”


“No, così non vale!”, esclamò Harry, osservandomi dall’alto in basso.
“Cosa?”, chiesi, sorpresa.
“E me lo chiedi anche?! Tu non puoi metterti un completo del genere e chiedermi di farti solo le coccole!”

Guardai il completo intimo che avevo scelto per quella sera: era in pizzo, nero.

“Era un’occasione speciale, così ho pensato di mettere questo …”, spiegai, quasi scusandomi.

In effetti, non l’avevo scelto solo per i Brit, quel completo.
Harry allungò le mani verso di me, poi le ritirò, senza toccarmi, e se le portò al viso, coprendolo, e fingendo un pianto disperato.

“Io li faccio fuori, davvero. Ora esco, e, con calma, li tiro giù dal letto e non li faccio dormire per tutta la notte. Così imparano”, rifletté ad alta voce.

Risi, divertita da quella sua disperazione, poi rabbrividii.

“Harry, ho freddo, non è che potresti prestarmi una maglietta per stanotte?”, chiesi.

Andò verso l’armadio e mi passò una maglietta bianca con una stampa sul davanti, il logo dei Rolling Stones. Era una delle magliette che secondo me gli stava davvero bene addosso, una delle mie preferite.

“Sì, forse è meglio che ti copri, in effetti …”, affermò, continuando con la sua tragedia personale.

Mi infilai la maglietta, inspirando forte il suo profumo, poi mi avvicinai a lui e gli lasciai un bacio. Saltai sul letto e mi coprii, apprezzando il calduccio che c’era sotto le coperte. Harry mi seguì, dopo aver spento le luci. Mi abbracciò da dietro, cingendomi la vita con le braccia. Per un po’, restammo in silenzio, ascoltando i nostri respiri calmi.

“Gioia … sei sveglia?”, chiese lui.
Annuii con la testa, “Tu?”

Mi accorsi dopo della stupidità della mia domanda.

“Me l’hai chiesto davvero?”, rise lui.

Mi girai verso di lui, sistemandomi sull’altro fianco. I nostri occhi si incontrarono immediatamente, nonostante l’oscurità. Mi misi a ridere anche io.

“Non ho sonno”, confessai, piano.
“Io neanche”, concordò lui.
“Ehi, ci vieni al concerto sabato, vero?”, chiese dopo un po’.
“Magari! Harry, non ho il biglietto”, risposi, dispiaciuta.
“Allora non capisci proprio niente …”, borbottò.
“Come scusa?”
Sono io il tuo biglietto, amore. Il tuo personalissimo biglietto per il concerto …”, annunciò, sorridendo.
“Davvero? Grazie, grazie, grazie davvero amore!”, esclamai, felice.

Gli accarezzai il viso con una mano, avvicinandolo a me per baciarlo.

“Ti amo”, sussurrò lui.
“Mmmh, io non lo so”, mormorai.
“Stasera sei più dispettosa del solito o sbaglio?”, chiese sorridendo.

Passai un piede tra le sue gambe, e gli feci una linguaccia. Per tutta risposta, le sue mani scesero lungo i miei fianchi, arrivando al sedere, e fermandosi lì, decise a non spostarsi.

“Poi sono io quella dispettosa?”, esclamai, sorpresa.
“Sì, perché non mi vuoi”, rispose, mettendo il broncio.
“E tu sei tutto scemo allora”, dissi, accarezzando il suo petto.
“Perché, di grazia?”
Mi avvicinai di più a lui, per sussurrargli all’orecchio: “Perché ti arrendi con niente, amore”

Vidi i suoi occhi spalancarsi, un sorriso speranzoso sul suo volto. Non gli lasciai il tempo di ribattere. Attaccai la mia bocca alla sua, cercando la sua lingua, mentre le sue mani si infilavano velocemente sotto la maglietta. Mi strinse ancora di più a sé, potevo sentire il suo battito, accelerato quanto il mio, e il suo respiro sul mio viso.

“Ti amo”, sospirai io questa volta.

Lui sorrise, con la speranza che cresceva visibilmente sul suo volto grazie alla mia insinuazione. Si avvicinò ancora di più a me, stringendomi forte.

“E poi”, mormorò, “Abbiamo vinto un Brit stasera, dovremo pur festeggiare anche noi in qualche modo”.    

***

Il mattino dopo mi svegliai, e controllai l’ora sul cellulare: le dieci. Avevo una lezione alle undici, perciò mi alzai lentamente, senza far rumore, sciogliendomi con delicatezza dall’abbraccio di Harry. Lui si mosse, senza svegliarsi, e vidi un sorriso comparire sul suo volto: chissà cosa stava sognando.
Lo osservai per qualche istante, intenerita, poi mi infilai velocemente i vestiti della sera prima, tenendo però la maglietta che avevo indossato per la notte, che teoricamente era di Harry. Mi avvicinai al letto dal suo lato, e gli sfiorai la guancia con un bacio, che, malgrado le mie intenzioni, lo svegliò.

“Buongiorno”, sussurrai.
“Ehi, meraviglia … Te ne stai andando?”, chiese lui, stropicciandosi gli occhi.
“Sì, ho una lezione fra un po’”, spiegai.
“ Allora aspettami, che ti accompagno”, disse, tirandosi su dal letto.

Appoggiai una mano sul suo petto e lo spinsi giù, delicatamente.

“No, resta qui, e riposati”, risposi, “Vado da sola”
“Mmmh, d’accordo”, mugugnò lui in risposta.

Lo baciai sulle labbra, poi gli accarezzai i capelli e mi diressi verso la porta della camera, aprendola. In corridoio, incontrai Niall, già sveglio e già affamato.

“Niall! Stai già mangiando?!”, chiesi piano, ridendo.
Lui mi sorrise, poi, fulminandomi con i suoi occhioni color mare, rispose: “Beh, in mancanza d’altro …”

Frecciatina. Arrossii, poi lo colpii alla spalla con un pugno leggero, al quale lui reagì ridendo –piano, fortunatamente- . Lo salutai sorridendo, poi uscii dalla loro casa.



“Amore, mi sono tenuta la tua maglietta, mi piace troppo ;) me la regali? :D Ti amo <3 Grazie di tutto :) "

“Quella maglietta ti sta un po’ grande o sbaglio?”, chiese Ana, quando ci incontrammo in aula.
“Ehm, sì, è … di Harry”, confessai, timidamente.

Lei sorrise comprensiva, poi prendemmo posto e continuammo a chiacchierare della serata precedente finché il professore non entrò in classe.
Uscita dalla lezione, che quel giorno era stata più noiosa del solito, trovai un messaggio di Harry.


“Va bene, piccola, tienila pure :) poi ti sta anche bene addosso … ;) mi manchi già x”



Curly space:
Yeeeeeeeeee sono tornata! Con un ritardo spaziale, ma sono tornata =P Scusatemi tanto :3
Behbehbeh allora, serata Brit (finalmente) conclusa, e nel migliore dei modi, direi! ;)
Ma quanto carini sono questi dueeeeeeee?! *-* Voglio anche io un Harry cosìììììììì! :3
Ah, per chiarire quale sia la maglietta in questione, vi caccio una bella gif di Haz... <3 


(boh, fa effetti strani XD)
Comunque, a me quella maglietta piace davvero tanto, ormai ha i buchi, ma lui continua a portarla :D

Beh, basta, ringrazio benni_ per aver messo la storia nelle ricordate e tutte quelle che leggono in silenzio e tutte le altre <3 
Alla prossima, 
Curly crush ;)

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Capitolo 33
*** You know, I'd take you to another world ***




You know, I'd take you to another world

Ed eccomi lì, per la seconda volta in pochi giorni, alla Arena O2 di Londra.
Il primo concerto del nuovo tour dei ragazzi stava per cominciare, e io stavo scalpitando per l’emozione; quello sarebbe stato il mio primo vero concerto, e non riuscivo a credere che fosse quello del mio ragazzo e dei suoi amici.

Avevo trascorso del tempo con loro fino a una mezz’oretta prima, nel backstage, durante le ultime prove, e avevo potuto constatare che, nonostante cantare davanti a migliaia di persone fosse il lavoro di quei cinque ragazzi da due anni e più, erano emozionati come se fosse la loro prima volta, la loro prima audizione sul palco di X Factor.
Liam continuava a stritolarsi le mani, e alzare lo sguardo verso l’alto, come in attesa di qualcosa; Louis si passava ripetutamente le dita tra i capelli, spettinandoli, e guadagnandosi occhiate assassine da parte di Lou; Niall sbirciava dal backstage le fan che entravano nell’arena già urlanti ogni cinque minuti; Zayn, forse all’apparenza il più tranquillo, non voleva nessuno vicino, aveva bisogno del suo spazio, del suo momento di raccoglimento interiore, diceva; e Harry, beh, lui, tra capelli, mani, auricolari e braccialetti, non sapeva più cosa toccare, teneva lo sguardo basso e ogni tanto provava qualche nota, magari quelle più complicate.
Io li osservavo, in silenzio, sorridendo a volte nel vedere tutta quell’agitazione immotivata.

Quando venne il momento di salutarli, riuscii ad avvicinarli tutti, compreso Zayn, e cercai le parole giuste per rassicurare e dare la carica a quei cinque ragazzi.

“Ehi, ragazzi, non preoccupatevi, filerà tutto liscio come l’olio, vedrete! Siete bravissimi, e lo sapete, e le ragazze qui fuori –compresa me- impazziscono per voi. Siete i migliori, ok? Quindi, fateci vedere di cosa siete capaci, sono sicura che non ci deluderete!”

Louis, Zayn, Niall, Liam e Harry mi sorrisero, non proprio rilassati, ma contenti del mio appoggio, poi, uno alla volta, mi strinsero in un abbraccio che io ricambiai, ringraziandomi sottovoce; poi mi si avvicinò anche Harry. Gli presi il viso tra le mani, e lo guardai negli occhi, sorridendo.

“Styles, mi raccomando, comportati bene su quel palco. Io sarò lì sotto a guardarti, stanne certo”, sussurrai.

Lui sorrise, finalmente rilassato, poi mi baciò sulle labbra, piano.

“Grazie Gioia, ti amo, lo sai?”, mi disse lui in risposta.
“Certo che lo so. E io amo te. Forza, ora esci, e dai il meglio di te”, risposi.
“Lo farò, piccola, solo per te”, sorrise.
“Ah no! Devi farlo per tutte loro, non solo per me. Io so già che tu sei la cosa migliore su questo pianeta …”, bisbigliai al suo orecchio.

Mi baciò un’altra volta, poi salutai lui e gli altri e uscii dal backstage, per cercare il mio posto nell’arena.

Non appena le note di Up all night risuonarono nell’arena, il pubblico impazzì, e la reazione fu ancora più forte quando i ragazzi entrarono correndo sul palco. I posti a sedere diventarono presto inutili, qualsiasi persona lì presente era in piedi, che saltava ed urlava e cantava. Beh, forse non proprio tutte: i genitori meno entusiasti, per esempio, rimasero seduti, guardando di tanto in tanto l’orologio, mentre le loro figlie si scatenavano accanto a loro al ritmo delle canzoni che si susseguivano, una dopo l’altra, interrotte solo da un paio di pause e dai momenti di divertimento dedicati alle domande di Twitter delle fans.

Più volte lo sguardo di Harry cadde su di me, facendogli scappare sorrisi che mandarono in visibilio le fans, e che facevano arrossire me; tentai di spostare lo sguardo da lui agli altri varie volte, ma subito i miei occhi tornavano a lui, come attirati da una calamita.

Le ragazze sedute accanto a me presto mi riconobbero, e riuscii a fatica a distogliere la loro attenzione da me per riportarla sui ragazzi. A volte si rivolgevano a me per farmi qualche domanda su Harry, ma niente di troppo personale, e il fatto che non mi sembrassero ostili mi scaldò il cuore, facendomi sperare che forse avrebbero imparato ad accettarmi tutte, un po’ alla volta.

Senza che me ne accorgessi, arrivò il momento dell’ultima canzone, What makes you beautiful, che il pubblico accolse con un boato impressionante. I ragazzi sorrisero, felici del successo di quel primo concerto, poi cominciarono a cantare il pezzo che li aveva resi famosi in tutto il mondo, accompagnati dalle fans, ormai in lacrime. Cantai anche io assieme a loro, come per buona parte del concerto, e accorgendomi che la mia voce mi stava abbandonando lentamente, ma non me ne preoccupai più di tanto, così continuai ad intonare la canzone con tutti loro, emozionandomi.

Dopo i saluti e i ringraziamenti, i ragazzi tornarono nel backstage e le fans cominciarono a prendere la direzione per uscire. Salutai le ragazze che erano sedute accanto a me che, inaspettatamente, mi abbracciarono e mi ringraziarono, non saprei di preciso per cosa, poi se ne andarono soddisfatte, mentre io mi avvicinai all’entrata del backstage per raggiungere Harry e gli altri.

“E allora! Visto che vi preoccupavate per niente, fifoni?”, esclamai, entrando allegramente.

Harry mi corse incontro e mi abbracciò forte, alzandomi da terra, facendomi ridere.

“Sei la mia stellina portafortuna, tu”, mi bisbigliò all’orecchio.
“Ma smettila, scemo, siete voi che siete bravi”, risposi, arrossendo.

Era bastata quell’affermazione per far fare un salto al mio cuore, come tutte le volte che quel ragazzo dagli occhi verdi mi diceva qualcosa di dolce: ne ero totalmente innamorata persa.

“Dai, Haz, spostati che ringrazio anch’io la nanetta!”, esclamò Louis, avvicinandosi.
“Nanetta a chi? Qui l’unico nano sei tu, Tomlinson!”, risposi, ridendo.

Louis rise, poi allungò le braccia verso di me, porgendomi i palmi delle sue mani, così che potessi dargli il cinque, o meglio, il dieci, poi mi abbracciò, esortando gli altri ad unirsi. Alla fine mi trovai circondata dalle braccia di Louis, Niall, Zayn, Liam e Harry, che mi stringevano forte e saltellavano, urlando cose incomprensibili, contenti.

Ero felice di stare lì in mezzo a loro, ero felice che il concerto fosse andato per il meglio, ero felice per il loro successo, ma, soprattutto, ero felice del fatto che ormai mi considerassero una di loro,  a tutti gli effetti.


Curly space:
*momentaneamente persa*
Oddio, pensate ritrovarmi stritolate in un abbraccio in mezzo a quei cinque... *-* Basta, andata.
Waaaaaaaaaa oddio il primo concerto di Londonnnnnnnn che bbello! :D 
Quanto carini sono loro, tutti emozionati, tutti impauriti?! Aw :3 
Mamma, questi ragazzi mi stanno facendo perdere la ragione, davvero... <3 
Il capitolo è un po' corto, lo so, perdonatemi... Ma spero che vi piaccia lo stesso ;)

Passiamo ai ringraziamenti:
GRAZIE a AdryLOL deniseforever e Le_Le_Leko per aver messo la storia tra le preferite :)
GRAZIE a totta_carlotta per averla seguita :)
GRAZIE a Tommos_girl93 per la recensione :)
Eeeee GRAZIE alla mitica Nanek per il bannerrrrr stupendo! :)

Come sempre, sapete che se mi lasciate un commentino, anche breve, ne sarò più che felice! ;)
Bacioni e a presto,
Curly crush  

 

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Capitolo 34
*** You don't have to worry, I'll be coming back for you ***


You don't have to worry, I'll be coming back for you


Il tour dei ragazzi procedeva a gonfie vele, e ormai stavano per concludere il primo mese di esso: dopo i concerti in Scozia, Galles e Irlanda, erano tornati in Inghilterra, per le date che avrebbero avuto luogo nelle città della zona di provenienza di Louis.
Era stato un mese abbastanza pesante, in cui erano stati rari i momenti con Harry; ovviamente, essendo impegnato con il tour, aveva giornate molto piene, ed era spesso lontano da Londra, così che non potevamo vederci. In qualsiasi giorno di pausa avessero, lui veniva a trovarmi, se possibile, ma erano comunque incontri molto brevi e assolutamente insufficienti.

Così, quasi senza accorgermene, erano passate ormai due settimane dall’ultima volta che ero riuscita a passare del tempo con Harry, e gli effetti cominciavano a farsi sentire: non avevo voglia di frequentare le lezioni all’università, ma mi costringevo a farlo per non pentirmene al momento degli esami, al pub ero distratta e molto irritabile, condizione che mi causava frequenti battibecchi con Jake; nei momenti liberi che avevo, volevo solo stare da sola, il che offese molto Ana, che considerò il mio comportamento come un’offesa personale.

Oltretutto, prima della fine di marzo, arrivò una lettera dalla mia università italiana, che aprii con riluttanza.
Sapevo già cosa ci sarebbe stato scritto all’interno, e avevo tentato di ignorare questo fatto per mesi, precisamente da quando avevo conosciuto Harry, anche se sapevo che sarebbe arrivato, prima o poi. Così, quando trovai la lettera nella cassetta della posta, la presi e, entrata in casa, la appoggiai sul comodino, rimandando l’apertura ad un altro momento, magari prima di andare a letto.
Ma quel momento, quel giorno, arrivò fin troppo presto, sembrava quasi che dovessi aprire quella dannata lettera per forza. Non appena mi fui sistemata sotto le coperte, la afferrai e, di malavoglia, l’aprii e cominciai a leggere.

“Gentile signorina,
la presente per informarla che il periodo di studio all’estero da lei intrapreso nel mese di Ottobre 2012, giorno 1, sta per volgere al termine. La data prefissata per il suo rientro in Italia è il giorno 14 aprile 2013.
In attesa di rivederla presto,
cordiali saluti,
Segreteria …”

Bla bla bla.
No, io non voglio rivedervi presto, io voglio restare qui con Harry; il mio primo pensiero fu questo.
14 aprile.
La partenza era stata anticipata.
Poco più di due settimane, e sarebbe finito tutto. Avrei dovuto fare le valigie, salutare Harry, e tornare in Italia, e chissà quando l’avrei rivisto. Non ero pronta, assolutamente.
Rimisi la lettera nella busta, spensi la luce, e tentai di addormentarmi, senza successo.
Mille pensieri mi vorticavano nella testa, ma solo uno era chiaro e definito, l’unico che davvero mi importava davvero in quel momento: avevo bisogno di vedere Harry, di sentirgli dire che sarebbe andato tutto per il meglio.

Pochi giorni dopo, Harry e gli altri ragazzi tornarono a Londra e, il giorno seguente, quando ormai non ci speravo più, riuscii finalmente a riabbracciarlo.
Quel mattino, terminate le lezioni, uscii dall’università assieme ad Ana, per andare a pranzo. Come al solito, ci dirigemmo verso destra, senza guardarci troppo attorno, ma, questa volta, qualcosa attirò la mia attenzione. Una voce.

“Ehi, non mi saluti neanche?”

La sua voce.
Mi voltai di scatto, non credendo alle mie orecchie, e la visione più bella e più desiderata di quelle due settimane di attesa, si concretizzò davanti ai miei occhi. Harry. Harry con addosso una semplice maglia grigio scuro, i suoi soliti pantaloni attillati, gli occhiali da sole, e il sorriso che tanto amavo, che quel giorno mi parve ancora più bello.

“Ci vediamo domani, Gioia”, mi bisbigliò Ana, allontanandosi.

Le feci un cenno, poi riportai la mia attenzione su Harry, che stava ancora aspettando una mia risposta. Gli corsi incontro, non riuscendo a trattenermi, e gli saltai al collo non appena lo raggiunsi.

“Harry, Harry, Harry! Finalmente! Quanto mi sei mancato, amore”, esclamai, stringendolo a me, inspirando forte il suo profumo. Sì, mi era mancato anche quello.
“Sapessi tu, piccola mia”, rispose lui, aumentando la stretta sulla mia vita.

Mi allontanai di poco, giusto quel che bastava per trovare la sua bocca. Le sue labbra morbide non esitarono ad appoggiarsi sulle mie, facendo impazzire immediatamente tutte le mie terminazioni nervose, dando sfogo alle farfalle nello stomaco e facendomi vacillare le gambe. E tutto questo per due sole settimane di lontananza. Due settimane. Cosa sarebbe successo dopo la mia partenza?
Il pensiero mi provocò un sussulto, che Harry ovviamente notò.

“Che c’è?”, chiese, guardandomi preoccupato.

Ricambiai lo sguardo, incerta se essere sincera o raccontare una piccola bugia, almeno per il momento. Ci eravamo appena incontrati, non volevo rovinare quell’attimo proprio all’inizio, volevo stare bene almeno per qualche ora, poi gli avrei raccontato tutto. Ma non in quel momento.

“Niente”, risposi, sorridendo, “Stiamo insieme oggi?”

Lui mi guardò un attimo, come se stesse cercando nei miei occhi qualcosa che tradisse la mia risposta sicura, e io pregai che non ci fosse niente.

“Certo, mi pare logico. Ho anche una sorpresa”, rispose, dopo qualche attimo di silenzio.
“Davvero? E che cos’è?”, chiesi, felice.

Lui si mise a ridere, poi mi dette la risposta più ovvia: “Se è una sorpresa che te lo dico a fare?”

Sbuffai, poi lui mi abbracciò e mi baciò la fronte, prima di aprire la macchina ed aprirmi la portiera.


“Allora, mi dici dove andiamo?”, insistetti, dopo circa venti minuti di viaggio.

Lui sorrise, e continuò a guidare, guardando avanti. Giocherellai un po’ con le dita della sua mano, appoggiata alla mia gamba, in attesa della risposta, che non arrivò.

“Hai fame?”, mi chiese invece.
“Un po’”, risposi, esaminando la sua espressione, sempre più divertita.
“Porta pazienza, quando arriviamo ti prometto che mangiamo”, mi disse, guardandomi un attimo.
“In caso, se non resisto, mangerò te, ok?”, risposi, ridendo.

Lui fece finta di spaventarsi a morte, poi scoppiò a ridere con me.

“Dai, amore, dove andiamo?”, chiesi di nuovo, sperando che la risposta gli sfuggisse involontariamente.
“Ma guarda che sei insistente, eh!”, brontolò lui, sorridendomi.
“Guarda la strada, Styles”, risposi, mettendo il broncio e incrociando le braccia sul petto.

Harry rivolse gli occhi davanti a lui come gli avevo detto, ma la sua mano sinistra continuò a cercare la mia destra finché non mi arresi e gliela strinsi di nuovo con un sorriso.

Dopo un’ora abbondante di viaggio, Harry mi annunciò che eravamo arrivati. Inizialmente non riconobbi il posto, e mi preparai a chiedere spiegazioni a Harry ma, subito dopo, un cartello stradale ci si presentò davanti agli occhi, informandoci che eravamo a Brighton. Harry mi aveva portata al mare.

“Allora, hai capito dove siamo, principessa?”, chiese, con un ghigno.
“Sì, adesso sì! Non vedo l’ora di scendere”, risposi, entusiasta.

Harry trovò un parcheggio in una zona non troppo affollata, e posizionò la macchina; poi venne ad aprirmi la portiera e, subito dopo, si diresse verso il bagagliaio, da cui estrasse uno zaino ed una borsa della spesa.

“Da quando so che esisti, non credo di averti mai visto con uno zaino in spalla, Styles”, affermai, non appena mi raggiunse.

Lui sorrise, scuotendo la testa, poi mi prese per mano e ci dirigemmo verso la spiaggia. Fatti pochi passi, venimmo fermati da delle urla.

“Oddio, ma è davvero lui!”
“Harryyyyyyyyy!”
“Questo è il nostro giorno fortunato, ragazze”

Ci voltammo, e vedemmo un gruppetto di cinque ragazze venire sorridenti verso di noi; sentii Harry sbuffare piano, poi le aspettammo.
Non appena ci furono vicine, a turno abbracciarono e baciarono Harry, così io lasciai la sua mano, anche se lui tentò di trattenere la presa. Le ragazze, poi, salutarono anche me, e cominciarono a chiederci come stavamo, e cosa facevamo lì. Harry rispondeva gentilmente, ma i suoi sorrisi mi sembravano parecchio tirati; io non ero molto più rilassata, ma non volevo ricevere nuovo odio su Twitter e chissà dove ancora, così tentai di essere il più spontanea possibile e di chiacchierare con loro.

“Harry, non è che potremmo fare una foto insieme?”, chiese una delle ragazze, la più disinvolta, la più carina, l’unica che mi aveva messo leggermente a disagio.

Alta, fisico da modella, capelli biondi tendenti al rosso, lunghi fino alla vita e lisci, e due occhi verdi che trapassarono da parte a parte il mio ragazzo, da sotto le lunghe ciglia.
Harry sorrise, e riprese la mia mano con la sua, facendo intrecciare le nostre dita.

“No, ragazze, oggi niente foto, mi spiace. È uno dei pochi giorni liberi che ho, e vorrei stare tranquillo con la mia ragazza”, spiegò, il più tranquillamente possibile.

Lo guardai, incredula. Stava davvero rifiutando una foto a delle fan? Per stare con me? Il mio cuore perse un battito, poi ripartì alla velocità della luce. Lui mi guardò, stringendomi forte la mano e sorridendo.

Io rivolsi lo sguardo a quelle cinque ragazze davanti a noi, temendo le espressioni che mi sarei trovata davanti. I loro occhi, tutti rivolti su di me, erano lo specchio della delusione, ma anche di quel disprezzo che fino a quel momento non avevo mai incontrato concretamente. Abbassai lo sguardo, non sapendo come comportarmi.

“Ma neanche una veloce, tutte insieme? Dai, per favore”, insistette la bionda.
“No, scusami. Non offendetevi, ma oggi vorrei essere solo Harry, non Harry dei One Direction. Capite?”, rispose lui.

Le ragazze annuirono con la testa, tutte meno lei, che sembrava la più testarda.

“Dai, Sam, non importa, è già una fortuna averlo incontrato, non ti pare?”, tentò di convincerla una delle amiche.

La ringraziai in silenzio, rivolgendole uno sguardo pieno di gratitudine, che lei ricambiò con un sorriso. Sam sbuffò, poi però si arrese, anche perché Harry sembrava determinato nella sua decisione, e non avrebbe cambiato idea. Così, ci salutarono, e io e Harry potemmo proseguire con la nostra uscita.

“Ma sei impazzito?”, chiesi a Harry, non appena le ragazze furono lontane.
Lui mi guardò, sereno, poi rispose: “Certo che no, sto benissimo. Ho solo voglia di stare con te e basta, sono due settimane che non ci vediamo. Mi sembra il minimo”
“Ma, Harry, sono le tue fan …”, protestai.
“Se mi vogliono bene davvero, capiranno”, rispose lui, convinto.
“Mmmh”, mugugnai.

Lui si fermò, tirandomi indietro, davanti a lui.

“Gioia. Sì, sono le mie fan, sono importanti per me, ma io ora ho anche te, e loro lo sanno! Posso essere gentile e prestarmi a tutte le foto che vogliono, ma non quando sto con te. Tu hai la precedenza, punto”, affermò, serio, tenendomi stretta.
Abbassai lo sguardo, poi lo rialzai, sorridendo: “Ti amo. Grazie, Harry”.

Quel giorno al mare non c’era molta gente, molto probabilmente per il fatto che era fine marzo e non faceva ancora caldo; inoltre, il cielo era coperto, ma sperai con tutte le mie forze che il tempo tenesse. Trovammo una striscia di spiaggia completamente deserta, vicino ad una chiesetta costruita sugli scogli, e ci sistemammo lì. Harry estrasse due coperte dallo zaino e le stese sulla sabbia, appoggiandoci sopra la borsa.

“Allora, sei affamata?”, chiese lui, alzando lo sguardo mentre estraeva diversi sacchetti dalla borsa.

Mi avvicinai a lui e, non appena abbassò lo sguardo di nuovo, lo morsi ad una guancia. Harry fece un salto, poi mi guardò sorpreso.

“Te l’avevo detto che avrei mangiato te”, spiegai, ridendo.
“Ah sì?”, fece lui, poi mollò tutto quello che aveva in mano e si buttò su di me, facendomi il solletico e costringendomi a mettermi distesa sulle coperte; continuai a dimenarmi sotto le sue dita che mi pizzicavano i fianchi, senza riuscire a reagire, tanto ero senza fiato.
La sua bocca poi arrivò al mio collo, mordendomi più volte, mentre io ridevo e tentavo di spingerlo via. Infine, riuscii a fermare il suo viso appena sopra il mio, e ripresi fiato, prima di avvicinarlo a me e baciarlo con forza. Lui sorrise, e adattò le sue labbra alle mie, fermando le sue mani sui miei fianchi, ora accarezzandomi.

“Ma quanta roba hai portato?”, chiesi, quando Harry finì di estrarre cibo dalla borsa.
“Ehi, bella, ho fame io, che credi?”, rispose lui.
“Ah, quindi è tutto per te?”
“Certo che sì, devo crescere”
“Ma come devi crescere? Sei un grattacielo, hai due braccia che fanno paura, per non parlare del resto, e vuoi ancora crescere?’”, chiesi, esasperata.
“Si cresce fino ai 19 anni, tesoro”, puntualizzò lui, con un’espressione da chi se ne intende.

Scoppiai a ridere, così lui terminò quella recita e mi passò un pezzo di torta salata, che trovai deliziosa.

“Guarda che ho fatto tutto io”, rivelò Harry, con sguardo fiero.
“Beh, sei davvero bravo! Complimenti amore, sei un uomo da sposare”, esclamai.
“Ehi, guarda che ti credo, eh”, rispose.
“Sei bravo, sul serio, cucini benissimo!”, lo rassicurai.
“Non parlavo di quello …”, sussurrò.

Mi bloccai un momento. A cosa si riferiva allora? Harry percepì la mia confusione, e mi sorrise, prendendomi la mano.

“Hai detto che sono un uomo da sposare … Io mi fido. Non è che poi cambi idea, vero?”, chiese, improvvisamente insicuro.

Spalancai gli occhi, incredula.

“Cioè … Tu … Vorresti sposarmi?”, chiesi, sconvolta, con il cuore a mille.

Lui sorrise.

“Certo che sì. Magari più avanti, ma ”, rispose, convinto.

Gli buttai le braccia al collo, facendogli perdere l’equilibrio e trovandoci di nuovo distesi. Gli sorrisi,  e lo baciai, felice. Da una stupida battuta, era uscito un discorso così importante, così incredibile che se me l’avessero raccontato, non ci avrei creduto. E invece ero davvero lì, stesa su una coperta, al mare, con Harry, a godermi il suo sapore sulla mia bocca, sulla mia lingua, con la consapevolezza che lui mi aveva scelta per stare con lui per tutta la vita. 


Curly space:
"Vuoi tu Gioia, prendere Harry come tuo legittimo sposo per amarlo, rispettarlo, blablabla per il resto della tua vita?"
*silenzio*
"SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!! Gimme five, don! Yeah!"
*balletto*

Ok, ok, basta, piantiamola.
Oddio.
Voglio Styles qui, subito, immediatamente.
Quanto dolce è questo ragazzo?! Quanto?? *-*
Se voglio sposarlo?! Ma certo che lo voglio, cos'è, una battuta?! :D

Beh, Harry è tornato, e la Gioia è moooooooooolto contenta! :D E poi, uno che non fa le foto con le fans perchè vuole stare con te, cioè, dove lo trovi? Nowhere.
Solo Styles può. <3 
Comunque, tenetevi in mente questo "incontro" con le fans perchè... Beh, vedrete. u.u 

Volevo ringraziare (stile Miss Italia) Tommos_girl93 e Nanek per le recensioni, e __F__ per aver messo la storia nelle Seguite.
Ovviamente ringrazio anche tutte le altre che preferiscono, ricordano, seguono, ecc, e se ho dimenticato qualcuno, anche nei capitoli precedenti, fatemelo notare, perchè io sono un po' rinco, ma voi siete tante, quindi... Così. ;)

Ciao, alla prossima, e un abbraccione alla Horan a tutte! 

Curly crush

 

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Capitolo 35
*** Like everybody is just us two ***


Like everybody is just us two
 

Quando finimmo di mangiare, riportammo ciò che era rimasto in macchina, per andare poi a fare una passeggiata lungo il mare.
Tornati alla spiaggia, decidemmo di visitare la chiesetta che avevamo visto prima; entrammo, in silenzio, e la trovammo completamente deserta. Lasciai la mano di Harry, e mi avvicinai a una delle pareti laterali, notando un affresco particolare: raffigurava una pergamena, su cui c’era scritto qualcosa. Tentai di decifrare il testo, ma era scritto in un alfabeto a me sconosciuto, probabilmente molto antico.

“Psst, ehi, vieni qui”, mi chiamò Harry sottovoce.

Mi voltai, e lo vidi che mi aspettava al centro della chiesetta, davanti all’altare; lo raggiunsi e, non appena gli fui davanti, mi prese entrambe le mani con le sue, lasciandole dondolare tra i nostri corpi.

“Ti piace questo posto?”, chiese, guardandosi attorno.
“Molto”, risposi semplicemente.

Ed era vero: quella chiesetta era talmente piccola ed intima, ma particolare, che non avrebbe potuto non piacermi.

“Allora …”, continuò Harry.

Lo fissai negli occhi, aspettando che si spiegasse.

“Riguardo al discorso di prima …”, la sua voce si faceva sempre più bassa, e le parole più lente.

Il mio cuore, al contrario, accelerò, e prese il volo.

“S-s-sì …”, balbettai.
“Beh, mi piacerebbe che ci sposassimo qui”, concluse finalmente lui.

Fui certa di aver perso almeno due anni di vita, un cuore normale non poteva reggere il ritmo al quale Harry lo stava costringendo ad andare. Sorrisi, non credendo a ciò che Harry mi stava proponendo.

“Dammi un pizzicotto, ti prego”, implorai, chiudendo gli occhi.
“Mmm, i pizzicotti fanno male, non mi piacciono. Avrei in mente qualcosa di meglio”, ribatté lui, un secondo prima di prendermi il viso tra le mani e poggiare le sue labbra sulle mie.

Quando uscimmo dalla chiesetta, poco dopo, trovammo una brutta sorpresa ad accoglierci: aveva cominciato a piovere. No, non a piovere; a diluviare, nel vero senso della parola.

“Tu hai un ombrello?”, chiedemmo all’unisono, l’uno all’altra, scoppiando poi a ridere.
“Questo è un guaio”, affermò Harry, guardando il cielo.
“Torniamo dentro, e aspettiamo che smetta?”, proposi io.

Harry continuò ad osservare la zona, poi strinse gli occhi, guardando davanti a noi.

“No, andiamo lì, c’è una specie di casetta …”, rispose poi.

Guardai meglio, e vidi ciò che mi stava indicando, anche se da dove eravamo non riuscivo a distinguere bene la costruzione. Sembrava una specie di capanna di legno, molto piccola, probabilmente non poteva accogliere più di due persone per volta. Guardai Harry incerta, mentre lui mi sorrise sicuro, così decisi di seguirlo. Tentando invano di coprirci entrambi con il mio golfino di cotone, Harry prese a correre sotto la pioggia, con me a fianco, e in poco tempo raggiungemmo la casetta. Eravamo bagnati fradici.
Harry spinse la porta, che si aprì, ed entrammo. All’interno, trovammo un paio di sedie, un tavolo con degli attrezzi sparsi sopra esso, e delle coperte, inaspettatamente pulite.

“Ma secondo te ci abita qualcuno qui?”, chiesi, sussurrando, a Harry.
“Mmmh, non saprei … Magari è una casetta dove giocano alcuni bambini … O, forse, più probabile, è il rifugio di un assassino!”, rispose, alzando il tono e rendendolo più minaccioso sull’ultima frase.
“Allora me ne vado subito”, minacciai io.

Harry si affrettò a stringermi a sé, circondandomi con le sue braccia.

“No, piccola, ti prego, resta qui”, pregò, fingendo un tono implorante.

Proprio mentre stavo per arrendermi e lasciarmi baciare, fui distratta da una vibrazione nella mia tasca dei jeans; estrassi il cellulare, e mi battei una mano sulla fronte.

Jake! Oddio, mi sono dimenticata di avvisarlo …”, gemetti.
“Dà qua”, disse Harry, con il palmo della mano rivolto verso di me.

Ci posai sopra il cellulare, e lui rispose subito dopo.

“Pronto, Jake? Ciao, sono Harry”, disse, tenendo lo sguardo fisso su di me.
“Sì, sì, tutto ok, è che … l’ho praticamente rapita dopo scuola, e non ci siamo ricordati di avvisare”

Pausa.

“Sì, certo, tranquillo. Ciao”, e riattaccò.

Guardai Harry con aria interrogativa, mentre lui mi restituiva il telefono.

“Tutto a posto”, affermò.
“Ma che ti ha detto?”, chiesi, curiosa.
“Che pensava ti fosse successo qualcosa, dato che non sei arrivata al pub, né l’hai chiamato”, rispose, aggiungendo poi qualcosa brontolando.

Mi parve di capire “Come se non potessi badare io a te” o qualcosa del genere.

“Che c’è, Harry?”, indagai.
“Niente”, rispose lui, facendo finta di niente.
“Harry, è il mio capo ed un mio amico, si preoccupa per me …”, spiegai, capendo il motivo del suo strano silenzio.
“Ma non ce n’è bisogno! Che c’è, non si fida di me, che sono il tuo ragazzo?”, esclamò lui, quasi offeso.
“Harry, ma perché ce l’hai tanto con lui?”, chiesi, dispiaciuta.

Non potevo aspettarmi che andassero in giro a braccetto, dato che si erano incontrati pochissime volte. Ma davvero non riuscivo a capire perché Harry lo disprezzasse così tanto. Attesi la sua risposta, mentre lui mi guardava, incerto se darmi un motivo oppure no.

“E’ che … Sei lì tutti i giorni, anche se per una volta manchi non serve farne una tragedia!”, esclamò infine, girando lo sguardo attorno a lui.

Lo fissai: ancora non riuscivo a capire che fastidio potesse dargli. Poi, un’illuminazione si fece strada nella mia mente.

“Quindi, se ho capito bene, non ti va a genio che io lavori lì tutti i giorni?”, chiesi, prendendola alla larga.

Volevo che fosse lui a dirmi il motivo reale.

“Ma no, no, non è questo. Tu puoi lavorare dove ti pare …”, rispose, lasciando in sospeso la frase.
“Ma il problema è Jake, giusto?”, affermai.

Lui abbassò lo sguardo.

“Sì …”

Incrociai le braccia sul petto, e mi avvicinai a lui. Lo spettinai con una mano, e lui mi fulminò con i suoi occhioni, in quel momento insicuri. Sbuffò un attimo, poi, finalmente, si decise a parlare.

“La verità è che lo invidio, lo invidio da morire. Tu vai lì ogni giorno, e lui ti vede, e può stare con te, mentre ioNo. Non è giusto”, sputò fuori, molto velocemente.

Gli sorrisi dolcemente.

“Harry … E’ solo lavoro. E, sì, lui mi vede tutti i giorni, ma non conta niente”, tentai di rassicurarlo.
“Ah no?”, chiese lui, ancora incerto.
“No, amore, no. Perché nemmeno un anno intero con Jake potrebbe valere quanto poche ore con te”, risposi, sperando di chiudere lì il discorso.

Lui sorrise, rilassando le spalle.

“E poi … Jake non può avere questo”, dissi, prendendogli il viso con le mani e baciandolo piano sulle labbra.

Le sue mani andarono veloci sui miei fianchi, avvicinandomi a lui, facendo toccare i nostri bacini. Sorrisi nel bacio, e lui fece lo stesso, finalmente convinto. Circondai il suo collo con le mie braccia, mentre le sue labbra continuavano a premere avide sulle mie, mordicchiandole ogni tanto. Una delle sue mani si staccò dalla mia schiena per afferrare una delle coperte dal tavolo e gettarla a terra.
Mi staccai un momento, per facilitargli l’opera, ma lui continuò a tenermi stretta anche mentre stendeva la coperta a terra. Non appena ebbe terminato, la sua bocca ritrovò la mia, che non aspettava altro.
Le sue mani, inizialmente sulla mia schiena, scesero, arrivando appena sotto il sedere, sollevandomi poi per farmi sedere a terra, subito seguita da lui. Spingendomi con la sola bocca, riuscì a farmi stendere, tenendo le mani ai lati del mio corpo.
Continuammo a baciarci, mentre fuori si scatenava un temporale degno dell’apocalisse.
Le mie mani ora percorrevano la sua schiena, indugiando sulle sue spalle, poi lungo la spina dorsale. Harry mi accarezzava il viso, con delicatezza, per passare poi al collo, lungo il mio torace, arrivando alla vita. Lì, la sua mano, lentamente, si infilò sotto la mia maglietta, tastandomi piano con i polpastrelli. Portai le mani dietro la sua nuca, per averlo ancora più vicino.

Quanto mi sei mancata”, sussurrò Harry, continuando a baciarmi.
“Anche tu mi sei mancato, Harry, tantissimo”, risposi “Non oso immaginare quando dovrò …

Le parole mi erano sfuggite di bocca senza che me ne accorgessi. Non doveva capitare in quel momento così perfetto, non volevo dirgli della mia partenza imminente proprio ora.
Non ne avevo né il coraggio, né la forza.
Sperai che lui non si fosse accorto della mia frase interrotta a metà, ma, purtroppo, lo aveva fatto. Harry mi guardò, confuso.

“Cosa, Gioia? Che stavi dicendo?”, chiese, staccandosi leggermente dal mio viso.

Lo guardai, intimorita, riflettendo se rispondere o meno. Non ci riuscii.

“Niente, Harry, proprio niente”, sospirai, e avvicinai il suo viso al mio con le mani, baciandolo con più forza di prima, togliendo il respiro ad entrambi.

Le mie mani si fecero più veloci, più bisognose di lui, mentre correvano tra i capelli, sul collo, lungo la schiena, sotto la sua maglia, appiccicata alla pelle a causa della pioggia.

“Ehi, ferma ferma ferma! Piccola, che succede?”, chiese, allontanandosi definitivamente e sedendosi accanto a me.

Mi sedetti appoggiando il mento sulle ginocchia, in silenzio. Harry mi cinse le spalle con un braccio, avvicinandomi a lui, e baciandomi la fronte. Sospirai forte, ignorando subito dopo lo sguardo preoccupato di Harry.

Odio il fatto che tu mi conosca così bene”, affermai, facendo un mezzo sorriso.
“E’ il lato negativo dell’avermi come ragazzo, tesoro …”, rispose lui, dandomi un bacio sui capelli.

Rimasi in silenzio. Il lato negativo. Bah.
Non c’erano lati negativi nell’avere Harry come ragazzo, proprio no. Era tutto quello che avrei mai potuto sognare, anzi, forse era addirittura meglio. Dove lo trovavo un altro che mi faceva sentire amata, protetta, desiderata e unica come lui? L’unica cosa negativa era il fatto di dover stare distanti per qualche tempo, quello sì; ma oltre a quello, non vedevo altri punti a sfavore.

“Dai, seriamente, che cosa succede?”, chiese lui, di nuovo.

Non potevo non dargli una risposta. Però potevo dargliene solo mezza, anziché tutta. Sarebbe stato meno doloroso.

“E’ che … insomma … Quando tornerò in Italia … e tu sarai in tour …”, iniziai, impacciata.

Lui rise leggermente, ma percepii l’ansia nella sua risata.

“Tu credi che io non ci abbia pensato?”, chiese.

Lo guardai, in attesa.

“Il fatto è che … Non ci voglio pensare. Non per ora, almeno. Ora io e te siamo qui, insieme, e non dobbiamo far altro che goderci questi momenti. Alla distanza, penseremo più avanti, so che c’è questo problema, ma riusciremo a superare tutto, anche quella”, spiegò, convinto, guardando a volte davanti a sé, altre fissando i miei occhi.
“D’accordo, hai ragione. Non pensiamoci”, risposi con un sorriso.

Quella era l’unica cosa che davvero avrei voluto sentire, e lui era riuscito ad indovinarla, come la maggior parte delle volte, d’altronde.
Lui ricambiò il sorriso, poi, avvicinandosi al mio viso, chiese: “Quindi, dove eravamo rimasti?”

Ma non riuscii a rispondere a causa di uno starnuto che mi colse alla sprovvista.

“Ahi ahi, questa è tutta colpa dei vestiti bagnati, signorina, bisogna toglierli …”, consigliò lui, con un sorriso furbo.

Mi misi a ridere, non rifiutando comunque l’offerta.

“E tu stai bene? Resti bagnato fradicio tutto il pomeriggio senza problemi?”, chiesi io, alzando un sopracciglio.
“In effetti”, fece finta di tossire, “sarebbe meglio togliere qualcosa anche qui, sì”, rispose, continuando con la sua recita.

In pochi secondi le nostre labbra si ritrovarono attaccate, e le nostre mani vaganti le une sul corpo dell’altro, in una lotta contro la stoffa appiccicata alla nostra pelle. Nonostante la difficoltà, in pochi minuti i nostri indumenti giacevano a terra, sul pavimento, mentre io e Harry, solo con l’intimo addosso, eravamo stesi sulla coperta, entrambi percorsi da innumerevoli brividi.

“Mmmh, forse non è stata una buona idea …”, mugugnai, rabbrividendo.

Harry rise piano.

“Mi sa che hai ragione … ma … aspetta un attimo”, disse, poi si alzò e prese l’altra coperta rimasta sopra il tavolo.

Si sedette accanto a me e, avvicinandosi il più possibile, ci coprì entrambi. Mi accoccolai appoggiando la testa sul suo petto, lasciando che lui mi circondasse con le braccia.

“Ma non smette più di piovere?”, esclamai, dopo qualche tempo.
“No, pioverà per sempre, e sarai costretta a rimanere qui con me”, rispose Harry, quasi come se fosse una minaccia.
“Beh, allora può venire pure il diluvio universale”, ribattei, baciandolo sulla guancia.
“Risposta esatta”, affermò Harry, sorridendomi.

Purtroppo, però, dopo una mezz’ora il temporale finì, così decidemmo di cogliere l’occasione per uscire dalla baracca e tornare alla macchina di Harry, per dirigerci verso casa.

In auto, mi addormentai, e non mi accorsi nemmeno di essere arrivata quando Harry mi baciò delicatamente la guancia per svegliarmi.

“Dove siamo?”, chiesi, stiracchiandomi.
“A Londra, amore, siamo tornati a casa”, rispose lui, piano.

Mi sfuggì uno sbuffo, che lo fece ridere; poi, lentamente scendemmo dall’auto, e mi accorsi che ci trovavamo nel garage della casa dei ragazzi, e non sotto casa mia come credevo. Guardai Harry in modo interrogativo.

“Pensavo volessi salutare i ragazzi, se vuoi ti porto subito a casa”, spiegò, alzando le spalle.

Mi avvicinai a lui, abbracciandolo in vita.

“Hai avuto un’ottima idea, tesoro, non preoccuparti”, lo tranquillizzai.

Lui sorrise, rilassato, poi cominciò a baciarmi sulla guancia, sulla tempia, poi lungo il collo, facendomi il solletico e provocandomi una risatina sommessa.

“Mmh… Non ci riesco… Voglio tenerti ancora un po’ qui con me e basta… Mia, mia, mia, solo mia”, sussurrò, continuando con i suoi bacetti.

Sorrisi, perdendomi nel suo profumo, nel tocco delle sue labbra sulla mia pelle.

“Va bene, va bene, scusate, prendo la macchina e me ne vado, ma aspettate un momento prima di far diventare questo garage un nido, per carità!”, sentimmo esclamare all’improvviso.

Harry si scostò leggermente da me, giusto quello che bastava per permettermi di vedere Louis che arrivava sorridendo con un mazzo di chiavi in mano.

Lou!”, esclamai, felice di vederlo.
“Ciao nanetta, tutto bene?”, chiese.

Annuii sulla sua spalla, mentre lui mi stringeva in un abbraccio da soffocamento, e sbuffai a quel soprannome poco appropriato. Non ero proprio più alta di lui, ma nemmeno più bassa, quindi il suo “nanetta” poteva anche risparmiarselo. Glielo feci notare, ma lui mi ignorò completamente, chiedendo a Harry qualcosa a proposito di una maglietta.

“Beh, io vado, attenti a non fare troppi bambini, voi due!”, ci salutò dopo pochi minuti.
Louis!!”, fu la risposta mia e di Harry all’unisono, seguita a ruota dalla risata del castano.

Salimmo fino all’appartamento e, non appena entrammo, fummo accolti da Liam che si precipitò da Harry.

“Ehi, ha chiamato il management, stasera abbiamo una riunione per alcuni ritocchi dell’ultimo minuto al tour europeo”, spiegò tutto d’un fiato.
Ciao anche a te, Liam!”, scherzò Harry, “Ma proprio stasera? Siamo appena tornati a Londra, che cavolo!”, si lamentò poi, stringendo la mia mano.
“Eh, è proprio per quello che la fanno stasera, perché ci lasciano il resto della settimana libero”, chiarì il biondo.
“Uff, d’accordo”, sbuffò Harry.
“Ciao Gioia, scusa, non ti ho nemmeno salutata”, disse poi Liam, dandomi due baci sulle guance.
“Tranquillo, non c’è problema”, risposi, sorridendo.

Nel frattempo ci avevano raggiunti anche Niall e Zayn, con due facce a dir poco sconvolte, e senza rivolgersi né la parola, né lo sguardo.

“Ragazzi, ma che avete? È successo qualcosa?”, chiesi, preoccupata.
“Oh sì, hanno litigato di brutto”, cominciò Liam.
“E perché?”, chiese Harry, stupito.
Liam scoppiò a ridere, poi si rivolse ai diretti interessati: “Glielo dico io o fate voi?”

Zayn sbuffò e incrociò le braccia sul petto, guardando altrove, mentre Niall arrossì e abbassò lo sguardo. Entrambi erano evidentemente imbarazzati. Io e Harry continuammo a guardarli incuriositi, aspettando una qualche spiegazione.

“Ok, allora faccio io … Praticamente, dopo che te ne sei andato, Niall ha cercato qualcosa nella dispensa, ma non l’ha trovato. Poi ha visto Zayn che masticava qualcosa e l’ha accusato di avergli mangiato i tacos che aveva comprato l’altro giorno”, spiegò Liam.

Lo sguardo di Harry passò dal divertito, al colpevole, al divertito di nuovo, e presto capii il perché.

“Ma Zayn dice di non aver mangiato neanche una briciola di quei tacos, quindi è da oggi a pranzo che vanno avanti così”, concluse Liam.

Io e Harry ci guardammo, poi scoppiammo a ridere come dei pazzi, tenendoci la pancia; gli altri tre rimasero basiti dalla nostra reazione, e cominciarono a chiedere cosa ci fosse di tanto divertente.

“No, niente … E’ che … I tacos erano davvero buoni, non li avevo mai provati prima!”, confessai, tra i sussulti che mi provocavano le risate.

Gli occhi di Niall si spalancarono, fulminandomi subito dopo, mentre Zayn prese a fissare il biondo con sguardo poco amichevole, come a dire “Visto, che io non c’entravo niente?”.

“Che cosa stai dicendo?”, chiese Niall, minaccioso.
“Beh, Niall, li ho presi io stamattina prima di andare a prenderla all’università e … Li abbiamo mangiati al mare”, spiegò Harry, sempre ridendo.

Niall restò immobile un momento, poi ci saltò addosso urlando come un pazzo, ma cominciando a ridere subito dopo.

“Ehi, Zayn, scusa amico, la prossima volta crederò da subito alla tua innocenza”, si scusò poi.

Zayn rimase serio un attimo, annuendo con la testa, poi rise anche lui, stringendo il biondo in un abbraccio.
Rimasi con i ragazzi per una mezz’ora, poi Harry si offrì di accompagnarmi a casa, così li salutai e ce ne andammo.

Non appena entrammo in casa mia e ci fummo tolti le giacche, Harry mi strinse a sé, prendendomi in braccio subito dopo. Entrò in salotto e mi appoggiò piano sul divano, adagiandosi l’attimo dopo su di me. Giocherellava con i miei capelli, mentre io percorrevo con le dita le linee del suo viso, intrecciando il mio sguardo al suo, sempre di quel verde incredibilmente intenso.

Vieni in tour con me, amore”, propose ad un certo punto, “Non resisto senza di te più di un giorno

Io sorrisi, valutando davvero per un momento quell’offerta.

“Non posso, Harry”, risposi, rassegnata all’idea di separarmi di nuovo da lui.
“Lo so”, sospirò lui, dispiaciuto quanto me.
“Però … Lo sai che mi troverai sempre ad aspettarti”, sussurrai, avvicinando il suo viso al mio.

Lui sorrise, e mi baciò sulle labbra, piano.

“Grazie, piccola mia”, rispose poi.

Restammo accoccolati sul divano per un po’, senza parlare, godendoci quei momenti di relax e coccole che significavano così tanto. Harry mi spiegò che sarebbe andato a Holmes Chapel per qualche giorno, per rivedere la sua famiglia, e mi chiese se ci volessi andare anch’io. Ma gli impegni al pub e, soprattutto, all’università, me lo impedivano.

“Cazzo, sono in ritardo!”, esclamò Harry improvvisamente, saltando su dal divano.

La riunione. Me n’ero completamente dimenticata, stando così tranquilla tra le sue braccia.

“I manager mi ammazzano”, sbuffò lui, mettendosi la giacca.

Mi avvicinai a lui, in silenzio, sentendomi leggermente in colpa.

“Digli pure che sono stata io a trattenerti, non voglio che ti rimproverino”, gli dissi, tranquilla.
“Non pensarci nemmeno, che si provino soltanto a dirmi qualcosa”, ribatté lui, deciso.

Sorrisi, abbassando lo sguardo.

“Ehi, allora ci vediamo tra qualche giorno, al massimo tre, prometto”, mi rassicurò, alzandomi il mento con un dito.
“Ok, ti aspetto, amore”, risposi.

Harry mi baciò un’ultima volta, poi uscì dal mio appartamento, e io seguii il rumore dei suoi passi veloci mentre scendeva le scale, finché non sentii più niente. Poi rientrai in casa, con una nostalgia e un peso allo stomaco che non mi piacevano per niente.


Curly space:
Hiyaaaaaaaaaaaaaa! Sono tornata, anche con questa storiaaaaa yeeeeeeee! :D Make some noise! Ok, basta.
Beh, intanto, scusate per il ritardo, ma, sapete, sono stata a Londra, e da lì non potevo pubblicare... Ho visto più o meno tutti i posti in cui vanno Harry e Gioia, ed è stato davvero emozionante, Londra è davvero magica... Credo di essermene innamorata, ancora di più *-*

Beh, allora, questo capitolo... Continuazione del precedente, penso si sia capito, e i nostri piccioncini passano un po' di tempo da soli <3 
Quanto carini non sono, eh? :3 
Poi ci sono gli altri: Jake, che sta mooooooooolto simpatico a Harry (ahah no.), Louis, che fa battutine stupide (go Tommo), Liam stra ansioso per gli impegni (oh, io me lo vedo così), e Niall e Zayn... Ahahahhahahahahha che cretiniiiiiiiiiiii! <3
Beh, averla una compagnia del genere! :D

Grazie a tutte voi che continuate a seguire questa storia, sono proprio contenta! :) 
Grazie a miky1D7689 per averla messa tra le seguite :)

E, basta, ciao, magari se volete lasciare un commentino, giusto per farmi sapere se il capitolo vi è piaciuto oppure no... Così. ;)
Un bacione, alla prossima,

Curly crush :)

P.S: il banner stavolta non c'è perchè Internet è stronzo e non me lo carica. XD

 

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Capitolo 36
*** She's not afraid ***



She's not afraid


Il mattino dopo, la sensazione di malessere interiore non si era attenuata, e quel che più mi dava fastidio era che non ne conoscevo il motivo scatenante. Prima di uscire per le lezioni di quel mattino, decisi di dare un’occhiata ad Internet per assicurarmi che non ci fosse niente di nuovo. Ma, non appena entrai nel profilo Twitter di Harry, capii che qualcosa non andava.
Il suo ultimo post, infatti, diceva: “Un passo falso, e sono tutti pronti a giudicarti”.
Non potevo vedere le sue menzioni, ma potevo scorrere benissimo le mie, così decisi di dare un’occhiata, preparandomi al peggio.

Gli insulti a me rivolti erano sempre dello stesso genere, niente di nuovo, insomma; notai con piacere, però, che erano diminuiti rispetto al solito, e c’erano addirittura alcuni apprezzamenti.

Dopo un po’, però, un tweet attirò la mia attenzione: “Grazie alla fantastica presenza di @Gioia_B, @Harry_Styles ci ha negato una foto. Grazie davvero, ad entrambi #HarryCiHaiDeluse”.
Spalancai gli occhi, davanti ad un simile trend, e subito spostai lo sguardo sulle tendenze, trovando realizzato il mio timore: quella stupidata era ormai tra le tendenze mondiali. Ed era partito tutto da quella Sam, quella ragazza che aveva chiesto a Harry una foto il giorno prima, e che lui aveva rifiutato. Sapevo che sarebbe andata a finire così.

Entrai nella pagina del trend, e cominciai a leggere i diversi tweet: alcuni chiedevano chiarimenti, altri rispondevano, altri ancora ne parlavano senza conoscerne davvero la storia, ed erano quelli che mi facevano più rabbia. Ma la mia angoscia più grande, era sapere ciò che aveva provato Harry vedendo tutto quel risentimento. Ingiustificato, per giunta. E ciò che mi faceva ancora più male, era il fatto che se la stessero prendendo più con lui che con me, che infine ero la vera causa del problema.

Non potevo starmene lì con le mani in mano, mentre tutte quelle cosiddette fan distruggevano il mio ragazzo. Decisi di condividere il trend, scrivendo qualcosa che facesse loro capire di essere sulla strada sbagliata. Ci pensai un attimo, poi cominciai a premere velocemente sulla tastiera. Il risultato finale, che avevo dovuto trasformare in un twitlonger, diceva:

Ragazze, ve la state prendendo con la persona sbagliata, Harry non si merita tutto questo, se proprio dovete insultare qualcuno e disprezzarlo, sfogatevi su di me, come avete sempre fatto. Harry è il vostro idolo, che razza di fan siete se create trend del genere? Per favore, smettetela, sapete che lui ci starà male, e voi non volete questo, vero? Detto questo, vi lascio alle vostre idee, ma se fossi in voi non le renderei pubbliche. Grazie, se mi farete il piacere di smetterla di prendervela con Harry. Altrimenti, beh, grazie lo stesso per la vostra maturità e buonsenso. Ciao

Lo lessi e lo rilessi decine di volte, sperando che le ragazze capissero davvero ciò che volevo dire loro, poi mi decisi a pubblicarlo. Subito dopo, guardai l’ora, e mi resi conto di essere in ritardo per la lezione, così spensi tutto e mi preparai in tutta velocità.



Quando uscii dalla prima lezione, controllai il cellulare, e trovai una chiamata persa da Harry; avendo un'altra lezione dopo pochi minuti, non avevo il tempo di richiamarlo, così rimandai alla fine della lezione successiva. Fine che tardò parecchio ad arrivare, quel giorno; il professore era estremamente lento, e il tempo sembrava non passare più.
Ma, finalmente, con ben dieci minuti di ritardo, la lezione terminò, e potei riprendere in mano il cellulare, notando altre due chiamate, sempre da Harry. Uscita in giardino, premetti sul tasto di chiamata, e la risposta non si fece attendere.

“Ehi, ma dov’eri finita? Ti ho chiamata tre volte!”, mi rimproverò lui.

Sentivo già l’ansia nella sua voce.

“Ho visto, Harry, ma ero a lezione e non potevo rispondere”, risposi, tranquilla.
“Ah, ok, scusami”
“Figurati. Come stai? Sei a casa, finalmente?”, chiesi, tentando di cominciare con calma quella conversazione.
“Mmmh, sì, sono steso sul divano, nullafacente. È tutto … ok, sì”, rispose, incerto.
“Sicuro?”, insistei.
“Tu come stai?”, chiese lui, ignorando la mia domanda.
“Io benissimo, Harry, davvero”, risposi, pronta.
“Non ci credo”, affermò.
E io non credo a te”, ribattei, veloce.

Dall’altro lato sentii soltanto silenzio per un po’. Dopo qualche momento, sentii Harry emettere una specie di sospiro, o forse stava sbuffando.

“Perché l’hai fatto?”, chiese infine.
“Perché te lo dovevo, Harry”, risposi, decisa.
“Non è vero, tu non mi devi un bel niente”, replicò lui.

Non riuscivo a capire qual era il suo stato d’animo, sembrava quasi indifferente.

“Beh, non mi piaceva per niente il modo in cui ti stavano trattando, Harry! Che cavolo, sono le tue fans, dovrebbero volerti bene, non offenderti in quei modi”, affermai.
“Ormai ci sono abituato, ai loro cambi di umore …”, disse, piatto.

Questa volta fui io a restare in silenzio. Stavo cominciando ad innervosirmi, la sua indifferenza mi faceva più male che tutti gli insulti letti il mattino; ma non volevo rispondergli male, non volevo litigare con lui proprio in quel momento e per un motivo del genere, così preferii contare fino a dieci ed aspettare.

“Ci sei ancora?”, chiese Harry, sorpreso.
“Sì, sì, sono qui …”
“Piccola, non ce l’ho con te … Ho solo paura di quello che potrebbero dirti …”, riuscì a confessare.
“Sai una cosa, Harry? Io invece non ho paura, proprio no”, risposi.
“Sei impazzita?”, chiese, dopo una breve risata.
“No, tesoro. Sono solo stanca di fare la brava ragazza silenziosa di Harry Styles. Questa volta hanno esagerato, e dovevo farglielo capire. Tutto qui”, spiegai, mentre un sorriso affiorava sulle mie labbra.
“Ok, sei impazzita, confermato. Però ti amo lo stesso, anzi più di prima”, rispose Harry, finalmente rilassato.
Risi piano, poi risposi: “Ti amo anche io, signor ci-ho-fatto-l’abitudine”
“Grazie, piccola, davvero. Con te non posso avere segreti, eh? Tu sai sempre come mi sento …”, sussurrò lui poi.
“Sono qui per questo, amore”, lo rassicurai.

Conclusa la parte difficile, parlammo un po’ del più e del meno, finché lui non venne richiamato da Anne per il pranzo.

“Ehi, ragazza coraggiosa, devo andare ora”, disse.
“Certo, vai pure. E salutami Anne e Gemma!”, risposi.
“Agli ordini, capo! Ci vediamo presto, amore”
“Lo spero … Ciao, ti amo”, risposi, poi chiudemmo la telefonata.

Finalmente mi sentii meglio. Il nodo presente in me dalla sera prima era sparito, e mi trovai a sorridere come una scema nel bel mezzo del giardino dell’università, sotto gli sguardi incuriositi di quelli che passavano. Quello che aveva detto Harry era vero, le reazioni delle fan al mio tweet sarebbero state diverse e probabilmente poco gentili, ma non mi importava. Mi importava solo che il mio ragazzo stesse bene.


Non appena ebbi del tempo libero, mi immersi nella lettura dei vari complimenti in risposta alla mia richiesta, e, inaspettatamente, la mia reazione fu davvero positiva, alcuni tweet mi fecero addirittura scoppiare a ridere di gusto. La fantasia di quelle ragazze era davvero unica, questo era sicuro.
Oltre ai soliti insulti di quelle a cui non piacevo e non ero mai piaciuta fin dall’inizio, stavolta si erano aggiunti anche quelli che mi davano della falsa, dell’ipocrita e di quella che si piange addosso. Però almeno avevo ottenuto ciò che volevo, ovvero che lasciassero in pace Harry. Ora potevo godermi il mio “momento di fama” personale.

Persi più di mezz’ora a leggere tutte le nuove menzioni, ma in alcuni casi ne valse perfino la pena; due dei tweet che trovai, infatti, dicevano:

@Gioia_B non è per niente una falsa, ragazze. L’ho incontrata ad un concerto, ed è stata molto gentile con me e le mie amiche ;)

Ma con che coraggio vi chiamate fan?! @Harry_Styles e @Gioia_B avranno pur bisogno di stare un po’ insieme, che cavolo! Piantatela con questi insulti, siete delle bambine …

E ancora …

A me @Gioia_B piace, è carina, gentile e si vede che ama Harry, e viceversa :D non si merita tutto questo odio, né lei né Harry

Dite pure quello che volete, io continuerò a sostenere @Harry_Styles e @Gioia_B :) Giohaz foreveeeeeer ahah x

Quei pochi tweet di gradimento nei miei confronti mi fecero talmente felice che decisi di rispondere a tutte con un enorme grazie e la promessa di chiedere a Harry di seguirle non appena fosse tornato. Se lo meritavano, loro erano vere fan, loro volevano davvero bene a Harry.
E io avrei lottato affinché lui stesse bene e loro avessero continuato ad apprezzarlo.
Ora non avevo davvero più nessuna paura, potevo non piacere a qualcuno, sì, ma me ne sarebbe importato ben poco.


Curly space:
She's not afraid of all the attentions, she's not afraid of running wild... Lalalalallaaaaaaaa ma che bella questa canzoneeeeee! :D
La Curly è tornata con il nuovo capitoloetto yeeeeeeeeee!
Ma quanto dolce non è questa Gioia?! Quanto protettiva è nei confronti di Harry?! Awwwwwwww ma che dolci *-*
Beh, cosa ne dite? Vi piace questo episodio? Potrebbe sembrare insignificante, ma non lo è, quindi tenetevelo bene in mente, che non si sa mai cosa potrebbe succedere qui... ;)

Detto questo, passo ai ringraziamenti:
GRAZIE a Honey_Honey per aver messo la storia tra le Preferite :D
GRAZIE a Janehopesmith e luigia__ per averla inserita tra le Seguite :D
E grazie a tutte voi che continuate a leggere anche in silenzio! :D

Alla prossima,
Curly crush :) 

 

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Capitolo 37
*** Though it makes no sense to me ***


Though it makes no sense to me


Harry rimase a Holmes Chapel cinque giorni, più di quanto pensavo, e mi mancò davvero troppo. Ma non potevo assillarlo, in fondo, aveva bisogno anche lui di rivedere la sua famiglia quando poteva, e passare più tempo possibile con loro. Così, quando mi avvisò che avrebbe prolungato il suo soggiorno lì, non feci trasparire alcuna delusione, e accettai la sua decisione in silenzio.

Durante quei giorni, mi tenni impegnata come avevo imparato a fare da quando era iniziato il tour, cosicché il tempo senza di lui non mi pesasse troppo. Mi immersi nello studio, nel lavoro al pub e uscii spesso con Ana, cosa che prima avveniva raramente, dato che tentavo di passare più tempo possibile con Harry, quando era libero. La sera, finalmente, arrivava il momento dedicato a noi, una telefonata prima di andare a dormire, giusto per sentire ognuna la voce dell’altro ed augurarci la buona notte.

Ma era comunque troppo poco.

La mia partenza, segnata sul calendario appeso al muro in cucina, si avvicinava sempre di più, e quel 14 cerchiato in rosso sembrava voler saltare fuori dalla carta da un momento all’altro, pronto a portarmi via, in Italia, lontano da Harry. E quei pochi giorni, che avrei potuto passare con lui, se ne stavano andando velocemente, inesorabili, senza di lui.


Piccola, sono tornato! Contenta? ;) Quando ci vediamo? Ho tanta voglia di stare con te … x

Il messaggio che aspettavo da giorni, finalmente arrivò, giusto l’ultimo giorno di pausa di Harry, poi lui e i ragazzi sarebbero ripartiti per la data di Liverpool e le seguenti a Londra, le ultime tappe del tour inglese.

Contenta? Certo che ero contenta, non l’avevo visto per settimane, e quando avrei potuto stare con lui, era scappato via. Ma ora, finalmente, avremmo potuto stare insieme, soli, anche se per poco. Pensai alla soluzione migliore, poi digitai velocemente la risposta e inviai il messaggio.

Contentissimissima :D che ne dici di venire da me stasera? Cucino per te, sono diventata brava … ;)
 
Così, non appena ebbi la sua conferma, mi misi all’opera, e preparai una cena speciale, che Harry non avrebbe dimenticato facilmente.

Alle otto, puntuale come un orologio svizzero, il campanello suonò, così corsi ad aprire la porta. Ma, diversamente dalle altre volte, non trovai i suoi occhi verdi ad aspettarmi con aria di sfida; così, dopo aver chiuso la porta, scesi velocemente le scale, fino all’entrata del condominio. Nemmeno lì trovai Harry. Forse allora non era ancora arrivato. Decisi di chiedere al portiere se avesse visto qualcuno, ma lui invece di rispondere alla mia domanda, mi porse dei fiori, senza dire niente.

“Joe, ma non potrebbe dirmi chi li ha portati, per favore?”, chiesi, confusa.
Quello che deve farsi perdonare, te li ha portati, scemetta”, sussurrò una voce alle mie spalle, che riconobbi immediatamente.

Vidi Joe sorridermi, poi mi voltai velocemente, e trovai Harry a circa mezzo metro da me. Sorrisi, al colmo della felicità, e gli saltai al collo, stando però attenta a non distruggere il mazzo di fiori. Harry mi strinse forte a lui, alzandomi da terra, e io, come una bambina, mi lasciai dondolare piano.

“Ma dov’eri? Io non ti ho visto!”, chiesi.
“Mmmh, non te lo dico, così la prossima volta posso farti di nuovo una sorpresa …”, mormorò lui.

Mi ricordai improvvisamente della presenza del portiere, così lasciai il collo di Harry, e mi voltai verso Joe.

“Grazie dell’aiuto, Joe”, disse Harry, sorridendo.
“E’ stato un piacere, giovanotto”, rispose lui.

Poi Harry mi prese per mano, e mettendosi una mano sulla pancia, brontolò: “Allora, questa cenetta? Ho fame, io”

“Che strano, non l’avrei mai detto, non mangi mai!”, risposi, ridendo.

Lui sorrise, poi salimmo le scale.

“Siete diventati amici, tu e Joe, mi pare …”, affermai.
“Oh, certo, lui è il migliore!”, rise lui, “Beh, rispetto alla prima volta in cui mi ha visto qui, è diventato molto più gentile, sì”

Scoppiai a ridere, ricordando quella volta in cui Harry era tornato dal tour promozionale ed era venuto a trovarmi, e Joe non si era fidato a farlo salire. E invece ora il riccio era perfino riuscito a coinvolgerlo nella sua sorpresa per me.

“Dai, siediti, la cena è servita!”, annunciai, entrando in casa.

Harry si sedette a tavola, seguendomi con lo sguardo mentre sistemavo i fiori in un vaso e prendevo il cibo.

“Ma, scusa una curiosità … Per cosa dovresti farti perdonare, tu?”, chiesi, ricordandomi improvvisamente del motivo per cui mi aveva portato dei fiori.
“Beh, sono sparito per cinque giorni quando avremmo potuto stare insieme, mi pare di essere stato un po’ stronzo”, spiegò, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
“Ma amore, se ne avevi bisogno …”, lo giustificai io.
“Vieni subito qui”, ordinò.

Mi avvicinai a lui, e mi sedetti sulle sue gambe, mentre lui prendeva a fissarmi in maniera ostinata.

“Se ho detto che mi sono comportato male, è così, ok? Non ammetto obiezioni”, affermò, secco.

Mi venne da ridere.

“Ok, ok, capito! E quindi?”, replicai.
“Beh … Adesso tocca a te”, rispose lui, sorridendo.
“E che dovrei fare?”, chiesi, confusa.
“Mmmh … Farmi sapere, se ti va, se mi perdoni oppure no”, ribatté.

Sorrisi, e abbassai lo sguardo, stando al gioco, decidendo di farlo aspettare un attimo.

“Non saprei, è una decisione difficile da prendere …”, tentennai.
“Capisco …”, sussurrò lui, cominciando a sfiorarmi il collo con le labbra, facendomi perdere qualsiasi residuo di ragione.

Piegai la testa verso di lui, tentando di sfuggire alla sua bocca, e lui scoppiò a ridere.

“Va bene, va bene, sei perdonato, per questa volta!”, esclamai poi.
“Voglio anche qualcos’altro”, disse, con un tono da bambino capriccioso.

Lo guardai negli occhi per qualche istante, poi decisi di accontentare entrambi. Le sue labbra mi mancavano troppo per prolungare ancora quell’astinenza insensata, così posai la mia bocca sulla sua, che si aprì in un sorriso stupendo.


“Oddio, amore, sono pieno, ho mangiato troppo”, sbuffò Harry, dopo aver terminato la cena.
“Attento, o quella bella farfallina diventerà un’aquila reale, tesoro”, scherzai.

Quel tatuaggio proprio non mi piaceva, era troppo grande, ed era troppo in mezzo. Ma non avevo il coraggio di dirglielo, l’aveva fatto da poco, e, se lui ne era soddisfatto, avrei dovuto accettarlo.

“Quale, questa?”, chiese, alzandosi la maglietta.

Arrossii, di fronte a tanta sfrontatezza: non mi ci sarei mai abituata.

“Sì, sì, quella”, risposi, tentando di distogliere lo sguardo dal suo addome.

Lui rise, contento di avermi messa in imbarazzo, poi si rimise a posto la maglietta.

“Comunque, sei diventata davvero brava a cucinare, amore, complimenti”, disse poi.
“Grazie tesoro”, risposi, contenta, “Volevo fare anche un dolce, ma non ci sono riuscita … Se vuoi c’è il gelato, però”

Lui sorrise, piegando un angolo della bocca, e sapevo già che quel sorriso non avrebbe portato a niente di buono, era il suo sorriso speciale, diceva. Per me, era solo il sorriso più malizioso e furbo che aveva. Ma ogni volta era capace di far galoppare il mio cuore a un ritmo forsennato, e mi faceva impazzire.

“Mi basti tu come dolce, piccola”, rispose infatti, dopo pochi secondi.
“Sei prevedibile, Styles”, tentai di resistere io, avvicinandomi comunque a lui.

Gli circondai il collo con le braccia, mentre lui restava seduto, alzando il viso verso di me per osservarmi meglio.

“Non ti sono mancato, amore?”, chiese, con una faccia da schiaffi.

Da schiaffi, ma adorabile. Come resistergli?
Mi chinai per dargli un bacio sulle labbra, troppo casto per i suoi gusti, a giudicare dalla reazione.

“Non troppo, mi pare”, brontolò, serio.

Poi si alzò in piedi, e mi abbracciò stretta in vita, attirandomi a sé, quanto più vicino poteva. Continuai a fissarlo senza dire niente, resistendo ancora, anche se sapevo che da lì a poco sarei crollata. Harry prese a baciarmi il collo, le guance, le tempie, sussurrandomi parole dolci, alternandole a sospiri molto meno innocenti, che mi provocavano la pelle d’oca ovunque.

“Allora, ti sono mancato?”, chiese, in un sussurro.

Deglutii a fatica, cercando la forza di rispondere in modo decente, e facendolo ridere. Lo baciai con più forza, mordendo piano le sue labbra, e sussurrando subito dopo “Tantissimo”.

Allora, il divano accolse i nostri corpi, che si appoggiarono di peso su di esso, mentre le nostre lingue riprendevano confidenza, ritrovando quella sintonia che tanto mi era mancata in quei giorni.
Ad un certo punto, Harry si bloccò, come ricordandosi di qualcosa. Mi guardò, da sopra il mio viso, come per accertarsi che stessi bene.

“Gioia”, sussurrò poi.

Lo guardai, confusa.

Ti amo. Ricordatelo, qualsiasi cosa succeda, ricordati che io ti amo”, sussurrò poi.
“Lo so, Harry, lo so. Non lo dimenticherò mai, stanne certo. Ti amo anche io”, sospirai, non riuscendo a capire il perché di quella dichiarazione così sentita.

Le sue mani mi strinsero forte a lui, la sua bocca si impossessò della mia senza darmi il tempo di respirare, senza darmi il tempo di reagire in alcun modo, se non di baciarlo a mia volta con quanta più forza potevo.

“Resti a dormire qui con me, stanotte? È tanto che non lo fai …”, lo pregai, appena potei.
“Tutto quello che vuoi, principessa”, rispose, in un sussurro.

Poi riprese a baciarmi, con ancora più forza di prima, portando le sue mani sotto la mia maglia, senza fretta, ma facendole correre veloci.
Facemmo l’amore, e lo facemmo come se entrambi sapessimo che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta per lungo tempo.


Durante la notte, pensai di sognare: sentivo la voce di Harry, che si lamentava, sembrava quasi stesse piangendo. Era un suono prolungato, insistente, e non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo. Poi mi svegliai, e capii che non stavo sognando: Harry stava davvero dicendo qualcosa, ma non riuscii a capire subito le sue parole. Mi misi in ascolto più attentamente, fino a non sentire altro che il suo lamento.

Io … Non posso … Loro … Non capiscono … Gioia … Ti prego … Non posso …

Tra le varie cose gli sentii pronunciare più di una volta il mio nome, fatto che mi convinse a scuoterlo delicatamente per svegliarlo. Il suo tono sembrava davvero sofferente, e non mi piaceva sentirlo così.

“Harry”, sussurrai, “Harry, amore, svegliati, stai sognando …”

Inizialmente, lui continuò a tenere gli occhi chiusi e a parlare nel sonno, così gli sfiorai il viso con una mano, di nuovo senza risultato; lo scossi piano per una spalla, e finalmente aprì gli occhi. In verità, li spalancò, terrorizzato.

“Harry, sono io, sono la Gioia, va tutto bene”, sussurrai, tentando di tranquillizzarlo.

Lui si tirò a sedere, con la testa tra le mani.

“Che è successo?”, chiese, piano.
“Stavi sognando, un incubo credo …”, risposi.

Ma presto mi accorsi che Harry era scosso da sussulti irregolari, il che mi spaventò molto.

“Harry … Harry, stai bene?”, chiesi, tentando di spostare le mani dal suo viso.

Improvvisamente, si gettò su di me, nascondendo il volto sul mio petto, stringendomi forte in vita con le braccia. Stava piangendo. Stava piangendo a dirotto, e io non sapevo che fare, come reagire. Lo strinsi a me, a mia volta, sperando che si calmasse, ma i suoi singhiozzi continuavano, disperati. Una strana angoscia si impossessò di me, bloccandomi la gola e pesandomi al centro del petto. Presi ad accarezzargli i capelli, tentando di tranquillizzare entrambi, ma più provavo a calmarmi, più mi agitavo. Harry invece sembrò rilassarsi leggermente: si staccò piano da me, asciugandosi gli occhi e mormorando uno “Scusa” ancora rotto dai singhiozzi. Mi uccideva vederlo così.

“Amore, che … che cosa succede?”, chiesi, impaurita.
“Io … Io … Un incubo, sì”, rispose.
“Che cosa hai sognato?”, indagai, giocherellando con le sue dita, tenendo lo sguardo basso.

Poi lo guardai, in attesa della risposta. Lui ricambiò il mio sguardo per alcuni lunghi istanti: i suoi occhi, ancora lucidi, sembravano terrorizzati, preoccupati da qualcosa di cui non riuscivo a percepire la presenza.

“Non … Non me lo ricordo”, rispose infine, con voce quasi impercettibile.

Sospirai, scontenta del fatto che non potevo fare niente per aiutarlo. Ci stendemmo di nuovo sul letto, e continuai ad accarezzarlo piano per farlo calmare, mentre lui mi avvolse in abbraccio di cui entrambi avevamo bisogno. Quando sentii il suo respiro farsi regolare, capii che si era addormentato di nuovo, così mi rilassai anche io e chiusi gli occhi fino al mattino.

***

“Amore …”

Sbuffai piano, non volevo alzarmi.

“Amore, dai …”

La voce mattutina di Harry, ancora più roca e bassa rispetto al solito, riempiva la stanza. Mi mossi leggermente nel letto, mentre Harry mi stringeva ancora. Mugugnai piano, rifiutandomi di aprire gli occhi. Sentii le labbra di Harry appoggiarsi alla mia guancia, i suoi riccioli solleticarmi il collo.

“Piccola, mi dispiace, ma dobbiamo alzarci …”
“Mmmh, nah, perché?”, chiesi, stringendomi di più a lui.

Harry si mise a ridere piano, coccolandomi ancora un po’.

“Perché stasera ho un concerto a Liverpool, e non ho il teletrasporto”, spiegò lui.
“Beh, inventalo”, brontolai, “Voglio che restiamo qui a letto a fare le coccole tutto il giorno

Questa volta Harry scoppiò proprio a ridere, poi mi baciò sulle labbra, al che, finalmente, aprii gli occhi.

“Ma che ore sono?”, chiesi, strofinandomeli.
“Le undici, quasi”, rispose, calmo.
“Che cosa?!”, esclamai invece io, tirandomi su e rischiando di dare una testata ad Harry.
“Stai tranquilla, abbiamo tutto il tempo, sul serio”, mi calmò lui.
“Mmh, ok, beh buongiorno”, dissi, baciandolo su una guancia.

Lui sorrise teneramente.

“Vieni ad accompagnarmi all’aeroporto, poi, vero?”, chiese, piegando il labbro inferiore.
“Certo, amore mio, certo”, risposi, mordicchiandolo piano.


Durante il viaggio in auto verso l’aeroporto, Harry era silenzioso: non era uno che parlava troppo, ma, quando stava con me, erano rari i momenti di silenzio opprimente come quello in cui eravamo caduti in quel momento. Tentai di uscirne con qualche battuta, ma dopo una breve risata, Harry ammutoliva di nuovo. Sospettavo che quel comportamento anomalo fosse la conseguenza dell’incubo di quella notte, ma non osavo toccare l’argomento per paura di peggiorare la situazione. Quando arrivammo all’aeroporto, però, non resistetti più.

“Ehi, Harry, ti è più venuto in mente il sogno di stanotte?”, chiesi, timorosa.

Lui mi guardò un attimo, poi abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. Scese dall’auto, e io lo imitai, non sapendo se prendere quel cenno come risposta o se aspettare dell’altro. Camminammo in silenzio fino all’entrata, fianco a fianco, senza tenerci la mano. Lo sentivo distante, non riuscivo a capire cosa avesse, e sentivo l’ansia crescere in me.
Raggiunto il check-in, trovammo gli altri ragazzi già lì.

“Oh, finalmente Haz, ormai ti davamo per disperso!”, scherzò Louis, spaparanzato su una poltroncina.

Harry non rispose, io tentai di sorridere a Louis, ma ne uscì soltanto una smorfia.

“Ehi, che sono queste facce lunghe?”, chiese Niall, estraendo una patatina dal sacchetto che aveva in mano.
“Niente Niall, lascia stare, brutte esperienze notturne”, rispose infine Harry, sotto gli sguardi di tutti: quello preoccupato di Louis, quello incerto di Niall, quello illeggibile di Zayn, quello ansioso di Liam e quello che racchiudeva tutte quelle sensazioni in una sola occhiata, il mio.

Niall si avvicinò a Harry con un sorriso furbo in faccia, gli posò una mano sulla spalla, poi lo sentii bisbigliare: “La piccoletta si è comportata male?”

“Horan, guarda che ti sento! Almeno fingi di parlare sottovoce, per favore!”, esclamai, non riuscendo a trattenere una risata, che coinvolse tutti meno Harry.
“Harry, ti prego, facci un sorriso, sei peggio di Zayn quando si sveglia con un brufolo in piena fronte!”, rincarò Liam.
“James, perché devi sempre tirare in mezzo me?”, protestò il diretto interessato.

Le risate si alzarono un'altra volta, strappando a Harry un sorriso che riuscii a riconoscere come forzato. Non sapevo come reagire a quel suo comportamento distaccato, i ragazzi stavano tentando di sollevargli il morale pur non sapendo cosa avesse, ma prima o poi si sarebbero arresi anche loro.

“Ragazzi, muovete quelle chiappe, dobbiamo andare!”, annunciò Paul, comparendo all’improvviso.

Zayn, Louis, Niall e Liam lo seguirono subito dopo avermi salutato con un cenno delle mani, mentre Harry si fermò davanti a me alcuni istanti.

“Ehi, riprenditi per favore, non ti riconosco più …”, lo pregai.

Lui annuì con la testa, mi guardò ancora un attimo negli occhi, poi mi salutò con un bacio sulla fronte e seguì i suoi compagni di band, mentre io restavo lì in piedi a chiedermi cosa non andasse e a sperare che stando con i suoi amici il suo umore migliorasse
.  



Curly space:
Sono tornata :) 
Accidenti, non riesco a fare la scema come al solito, questo capitolo mi ha messa a dura prova... Cioè, il finale, più che altro, perchè per il resto, insomma... Ma devo essere forte.
Quindi, parliamo un po' "del resto": Harry torna, dopo qualche giorno da eremita a Holmes Chapel, e sembrerebbe contento di rivedere la sua Gioia. I due passano una seratina ehmehm molto piacevole, e poi?
Il caos.
L'incubo, lo spavento di Harry, Gioia che non sa cosa fare e il mattino di "crisi"... 
Sono disperata. Cosa sta succedendo Harolddddddd?! :(

Che peso. 

Beh, intanto, almeno, ho voi che mi tirate su:
GRAZIE a Hmary horan_01 e xlovatossmjlex_ per aver messo la storia tra le Preferite :)
GRAZIE a 98_directioner e happiness_14 per averla messa tra le Seguite :)
E, come sempre, grazie a tutte quelle che continuano a leggere! :)

Ah, il primo capitolo è arrivato a 1036 visite!! :D GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!! <3 

Ora vi lascio, sapete che mi farebbe piacere leggere i vostri commenti, su questo capitolo in particolare...
A presto,
Curly crush ;)

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Capitolo 38
*** I wish I knew the answer ***


I wish I knew the answer


 
Sapevo che quella settimana i ragazzi avrebbero avuto concerti praticamente ogni giorno, era la parte finale del tour inglese, poi ci sarebbe stata una pausa prima di quello europeo. Ma pensavo che, essendo a Londra, sarei comunque riuscita a vedere Harry, anche solo per poco, anche solo per salutarci. Invece, oltre al fatto di non vederlo, non lo avevo nemmeno più sentito, da quando ci eravamo salutati all’aeroporto.

Avevo capito che aveva bisogno di stare solo, con i suoi amici, ma credevo che sarebbe stata una cosa rapida, e che ci saremmo risentiti non appena fosse rientrato in città. Ma ormai da quel giorno, ne erano passati tre, senza avere più sue notizie, se non quelle che mi arrivavano dai vari concerti. Mi ero ridotta a cercare notizie del mio ragazzo in Internet, ma ovviamente, più di venire a sapere ciò che riguardava i concerti, non sapevo altro.

Non sapevo cosa pensare, come comportarmi.

Gli avevo spedito decine di messaggi, avevo provato a chiamarlo varie volte, ma lui non aveva risposto a niente. Il suo profilo Twitter era muto, come quello privato di Facebook. Harry sembrava sparito nel nulla, e io ero sulla via giusta per impazzire.

A metà settimana, non resistetti più, e andai a casa sua per controllare che stesse bene. La mattinata libera da lezioni capitò a proposito, così uscii di casa come ogni giorno, ma questa volta presi la metro che portava al quartiere di Harry.
Percorsi velocemente le vie ormai familiari, costeggiate da alberi e villette perlopiù bianche ed eleganti, fino ad arrivare a casa dei ragazzi. Arrivai in vista del cancello giusta per vederne uscire uno Zayn a testa bassa.

“Ehi”, lo salutai.

Il moro alzò lo sguardo, sorpreso.

“Gioia! Che ci fai qui?”, chiese, dopo avermi riconosciuta.
“Ehm, sono venuta a salutare Harry”, risposi, indugiando.

Zayn lanciò un’occhiata oltre il cancello, verso una delle finestre dell’edificio, poi posò gli occhi su di me, con un’espressione poco sicura.

“Harry … Harry non c’è, è uscito poco fa”, mi spiegò.
“Ah, va bene, allora … Allora vado”, risposi, delusa.
“Magari sta venendo a trovarti …”, buttò lì Zayn.
Lo guardai un attimo, prima di rispondere: “No, non credo

Calò il silenzio tra noi, Zayn non era uno di molte parole, e io in quel momento non sapevo davvero cosa dire, ero troppo a terra per fare anche un semplice scambio di battute. Ad interrompere quel silenzio, contro ogni previsione, fu proprio Zayn.

“Dai, vieni qui”, mi invitò, aprendo le braccia.

Mi avvicinai a lui, permettendogli di stringermi in un abbraccio di cui scoprii di avere davvero bisogno. Lo abbracciai a mia volta, lasciandomi andare, poggiando la testa sulla sua spalla, e lasciando che le sue mani mi accarezzassero la schiena.

Vedrai che si sistemerà tutto”, sussurrò.

Annuii con la testa, prima di staccarmi da Zayn, che continuò ad osservarmi dolcemente. Non avevo mai avuto troppa confidenza con quel ragazzo, ma in quel momento riuscii a vedere un vero amico in lui, uno di cui ci si poteva fidare e che ci sarebbe stato per qualsiasi motivo.

“Grazie Zayn”, gli sorrisi, sincera.

Lui sorrise a sua volta, prima di avvertirmi con un “Fai la brava”, e salutarmi con un bacio sulla guancia.
Guardai l’ora: ormai era quasi mezzogiorno, quindi decisi di tornare a casa a mangiare per dirigermi poi verso il pub, dove mi aspettava un pomeriggio di lavoro.

Il mio umore era leggermente migliorato grazie all’incontro con Zayn, e Jake se ne rese conto immediatamente.

“Siamo allegre, oggi?”, chiese, dopo che lo ebbi salutato con una fraterna pacca sulla spalla.
“Diciamo che va leggermente meglio rispetto a ieri”, risposi, sorridendo.
“E all’altro ieri, e al giorno prima …”, precisò lui.
“Ma, Jake, c’è qualcosa che non va?”, chiesi, stupita.
“No, cara, tu hai qualcosa che non va”, replicò, secco.

Cominciai a lavare dei bicchieri nel lavandino, distogliendo per un attimo lo sguardo dal mio capo. Sapevo che di lì a poco avrebbe cominciato con la solita ramanzina, e lo trovavo piuttosto seccante, anche se dovevo riconoscere che fosse molto carino da parte sua preoccuparsi per me in quel modo.

“E’ … è un periodo un po’ strano”, semplificai.
“Strano o difficile?”, chiese, pignolo.

Spostai il mio sguardo su di lui, alzando un sopracciglio.

“Cosa credi, che non me ne sia accorto che ci stai male per quello lì?”, sputò fuori.

Sembrava davvero arrabbiato. Mi asciugai le mani, e lasciai cadere lo strofinaccio sul marmo appena dietro il bancone.

“Intanto, “quello lì” ha un nome, ed è Harry. Poi, a te che cosa interessa se in questo momento c’è qualche difficoltà?”, chiesi, cominciando ad innervosirmi.
“Beh, sai, ultimamente è come se non ci fossi, qui. Hai sempre il muso, e non parli se non per prendere le ordinazioni. Che poi, anche quello lo fai proprio con un entusiasmo che potrebbe ammazzare i morti …”

L’ultima battuta avrebbe anche potuto farmi scoppiare a ridere, in una situazione normale, ma in quel momento non fece altro che accrescere la mia agitazione.

“Oh, scusami se non riesco a isolare il mio umore dal mio corpo!”, sbottai, pur tenendo basso il tono.

Fortunatamente nel locale non c’erano ancora troppi clienti.

“Ma non ti rendi conto che ti sta trattando come una pezza da piedi?”, ribatté lui, acido.
“Jake, tu che ne sai? Non sai proprio niente di quello che sta succedendo, non te ne ho mai parlato, perché vieni a fare supposizioni che non esistono?”, protestai, sulla difensiva.
“D’accordo, di certo non so niente. Ma ho capito che in questi giorni non vi state vedendo, e, forse, nemmeno sentendo. Sbaglio?”, indagò, insistente.

Abbassai lo sguardo, colpita dove faceva più male, e rimasi in silenzio, incapace di mentire.

“Lo sapevo”, affermò, “Gioia, perché non lo capisci?”
“Cosa?”, sbottai, “Cosa dovrei capire?”

Jake si guardò attorno, qualcuno dei clienti si era accorto della situazione a causa della mia ultima esclamazione. Il ragazzo scacciò gli sguardi curiosi con un’occhiata, poi mi prese sottobraccio, e ci spostammo sulla porta che dava sul retro.

“Gioia, mi dispiace … Ma lui ormai si è stancato, devi capirlo”, constatò, serio.

La rabbia cominciò a montare in me.

“Tu non sai un bel niente, e non venire a dirmi cose che non esistono, Jake”, sibilai, “Stiamo insieme da più di tre mesi, credo che avrebbe potuto stancarsi molto prima”
“Lo conosci da troppo poco …”, insinuò lui.

Ma cosa ne sapeva? Harry era il mio ragazzo, lo conoscevo meglio di chiunque altro, e Jake non sapeva assolutamente niente di noi, delle nostre promesse, della nostra storia. Questo mi mandava su tutte le furie.

“Perché, tu lo conosci meglio?”, chiesi allora.

Lui abbassò lo sguardo.

“No, ma so cosa dicono i giornali, e altre persone”, rispose, piano.
“Non pensavo che tu fossi così, Jake, pensavo fossi più intelligente, e meno superficiale … I giornali. I giornali scrivono ciò che vogliono, e questo lo so. È un periodo difficile, sì, ma può capitare a tutti. Io conosco il mio ragazzo, e mi fido di lui”, replicai, secca, decisa a concludere lì quella conversazione assurda.
“Pensa quello che vuoi … Spero solo di non dover venire a dirti “Te l’avevo detto”, un giorno”, ribatté, serio.

Lo fulminai un’ultima volta, poi tornai al lavoro dietro il bancone e non gli rivolsi la parola per il resto del pomeriggio.  



La discussione con Jake era riuscita a portarsi via anche quel briciolo di ottimismo che mi aveva lasciato l’incontro con Zayn, così i giorni seguenti mi rinchiusi nuovamente nella mia bolla di malumore e sorrisi forzati, fino ad arrivare al weekend, finalmente libera da qualsiasi impegno, libera di sentirmi come volevo.

Il sabato pomeriggio uscii con Ana per un po’ di shopping consolatorio, e le raccontai della situazione che si era creata con Harry e del litigio con il mio capo. La mia amica restò molto sorpresa dalla reazione di Jake, ma disse che probabilmente aveva detto quelle cose solo perché ci teneva a me e non voleva che soffrissi, conclusione alla quale ero arrivata anche io, dopo essermi calmata. Ma non aveva comunque il diritto di parlare di Harry in quei modi. Per quanto riguardava la questione Harry, invece, Ana era confusa quanto me, e non seppe consigliarmi.

La sera, decisi di rimanere a casa, anche se mi passò per la mente l’idea di fare un giro nei dintorni dell’arena, dato che quella sarebbe stata l’ultima data del tour britannico. Immediatamente, però, pensai che sarebbe stato uno sbaglio, vista la confusione in cui mi trovavo, così mi arresi e rimasi sul divano con una tazza di tè e un film d’azione alla tv. Uno romantico sarebbe stato la mia fine.

Stavo quasi per addormentarmi, quando sentii il cellulare squillare. Subito dopo averlo afferrato, guardai il nome del chiamante, e il mio cuore perse un colpo.
Lo schermo illuminato leggeva Harry <3.
Premetti velocemente il tasto di risposta, e portai il telefono all’orecchio.

“Harry! Finalmente, ma dov’eri? Sono giorni che ti cerco …”, esclamai, con il fiato corto e il cuore che batteva a mille.
“Ehm, Gioia, ciao”, rispose una voce familiare, ma non quella di Harry, una voce più calda e acuta.
Louis?”, chiesi, sorpresa.

Ricontrollai il numero, non avevo letto male, era proprio quello di Harry.

“Sì, sono io, come stai?”, chiese Louis, dall’altro lato.
“Beh, io … Bene, abbastanza, credo”, balbettai.

Sentii il ragazzo emettere un sospiro. In lontananza, percepivo il suono della musica, ma non ero sicura si trattasse del concerto.

“Lou, che cosa sta succedendo?”, chiesi, non avendo più alcuna sua reazione.
“E’ quello che mi chiedo anche io, Gioia”, rispose, la voce bassa, il tono dispiaciuto.

Fu la mia volta di sospirare.

“Dove sei?”, chiese lui.
“A casa”
“Bene, ora ti vesti e vieni immediatamente qui. Vediamo di risolvere questa cosa”, ordinò, deciso.
“Ma, Louis, vengo dove? A fare cosa? Spiegati un attimo, per favore”, mi informai, confusa.
“Giusto, scusami. Siamo alla festa per la fine del tour inglese. Ci siamo tutti. Riesci a raggiungerci?”, si spiegò.
“Certo, non ho niente da fare. Mandami l’indirizzo, il tempo di prepararmi e arrivo”, risposi, decisa a salvare qualsiasi cosa potessi.
“Ok, appena riattacco te lo mando con il mio numero”, specificò.
“D’accordo. Ah, a proposito, perché mi hai chiamato con il cellulare di Harry?”, chiesi.
“Perché non ho il tuo numero, furbona. Ora me lo salvo e cerco di far riavere il cellulare ad Harry senza che se ne accorga perché, sai, gliel’ho fregato”, spiegò lui, ridendo piano.
“Che genio del male che sei, Tomlinson”, scherzai.

Louis riusciva sempre a mettermi di buonumore, fortunatamente.

“Dai, ora ti saluto, tu preparati che ti mando tutte le informazioni. E muoviti ad arrivare!”, esclamò Louis.
“Agli ordini, capo! Grazie Lou, ci vediamo fra poco”, risposi con un sorriso, prima di chiudere la telefonata.

Come promesso, le indicazioni arrivarono in poco meno di cinque minuti, mentre sceglievo cosa mettermi.
Non sapevo che tipo di festa fosse, ma pensai a qualcosa di piuttosto informale, ma comunque appena elegante, così optai per un abito lungo fino a sopra il ginocchio, blu, semplice, accompagnato da un paio di scarpe con il tacco in tinta. Mi truccai velocemente, ma con attenzione, poi infilai la giacca ed uscii di casa.

Poco meno di quaranta minuti dopo, mi trovavo all’entrata del palazzo dove si svolgeva la festa. 


Curly space:
Whooop whop, sono tornata! :)
Non arrabbiatevi troppo per questo finale-non finale, un po' di suspence ci voleva... Anche perché altrimenti il capitolo sarebbe venuto troppo lungo u.u

Allora, che mi dite?
Harry sembra proprio sparito, cosa cavolo gli sta girando in quel cervellino? 
Gioia, a ragione, è disperata e non sa cosa fare, piccina...
L'incontro con Zayn porta un po' di luce, ma poi Jake rovina tutto di nuovo.
Che manicomio.
Entrambe le situazioni, però, hanno una loro importanza, quindi non dimenticatele! ;)
Poi, finalmente, arriva Louis (rendiamo grazie a Dio Louis), che sembra parecchio confuso pure lui... 
Il prossimo capitolo sarà "avvincente", giuro!
Stay tuned! :D

Passiamo a voi:
GRAZIE a Bea_PayneLove per aver messo la storia nelle Preferite :)
GRAZIE a linda95 per averla inserita nelle Ricordate :)
E GRAZIE a Nanek per la recensione! :)

Volevo farvi sapere che domenica scorsa, 21 ottobre, questa storia ha compiuto un anno! :D Non qui su EFP, è proprio nata un anno fa... La mia piccina sta crescendo :') 
E, facendo qualche conto, mancheranno circa una decina di capitoli alla fine... Sono già tristeeeeeeeee! :(
Beh, insomma, grazie a tutte quelle che continuano a seguire, siete unicheeeeee! <3 
E, come sempre, se voleste lasciare un commentino, sarebbe il benvenuto! ;)

Ora sparisco,
a presto

Curly crush :) 

 

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Capitolo 39
*** I wanna save you tonight ***


I wanna save you tonight


Lasciai la giacca all’entrata, ed entrai senza alcun problema, la sicurezza mi aveva riconosciuta, fortunatamente. Seguii il rumore assordante della musica, fino ad arrivare al salone interessato. Non appena varcai la soglia, mi ritrovai in mezzo ad un centinaio di persone che ballava, parlava e si muoveva. A causa delle luci intermittenti e del buio che in grana parte regnava, non riuscii ad individuare Louis, né tantomeno Harry o gli altri ragazzi. Mi feci strada tra la gente, osservando attentamente qualunque volto incrociassi, ma nessuno corrispondeva a ciò che stavo cercando.

Dopo circa dieci minuti di ricerca infruttuosa, riuscii ad imbattermi in Luke, Ashton, Calum e Michael, i ragazzi dei 5 Seconds of Summer, la band di supporto che apriva i concerti dei “miei” ragazzi. I quattro mi salutarono con i loro soliti sorrisi contagiosi, così mi fermai un momento a parlare con loro, chiedendo anche se avessero visto Louis.

Non feci neanche in tempo a nominarlo che mi sentii afferrare il polso da dietro. Così, mi girai velocemente, per ritrovarmi gli occhi azzurri di Louis piantati nei miei, accompagnati da un sorriso sollevato.

“Meno male che ti ho trovata, pensavo che avrei dovuto farti chiamare dal dj!”, esclamò, urlando sopra la musica.

Sorrisi, contenta di vederlo.

“Ma come siamo belle stasera!”, si complimentò, guardandomi dall’alto in basso e facendomi arrossire.

Poi il ragazzo mi fece cenno di seguirlo, così salutammo i quattro australiani e ci dirigemmo verso il fondo della sala. Raggiungemmo una porta, che Louis aprì subito prima di farsi da parte per farmi entrare. Richiusa la porta, calò finalmente il silenzio.

“Allora, sei pronta?”, mi chiese Louis.
“Non lo so. Cioè, non so cosa stia succedendo, Lou, sono così confusa …”, risposi, guardandolo negli occhi.

Era incredibile come quell’azzurro cielo riuscisse a tranquillizzarmi anche solo con un’occhiata.

“Ti capisco. Perché, sai, lui non ci ha detto niente. Siamo stati noi a notare che in questi giorni non vi siete visti, e quando ho provato a chiedergli qualcosa mi ha risposto di farmi i fatti miei”, spiegò, abbattuto.
“Stai scherzando, spero”, mi stupii.

Lui abbassò lo sguardo.

“Magari … No, da quando ti ha salutata prima di partire per Liverpool si è chiuso in se stesso e non si è confidato, con nessuno di noi. Ed è molto strano, non lo fa mai, quindi credo sia davvero in un momento difficile. Vorrei solo capire perché …”, rispose, sospirando.

Mi fermai un momento a guardarlo: non avevo mai visto Louis, di solito allegro, pronto alla battuta, al gioco, sempre con lo sguardo furbo, in quello stato. Era sconsolato, preoccupato per il suo amico, e io non sapevo come tirarlo su.

“Louis, portami da lui. Ora ci parlo, che lui lo voglia o no, e vedo di risolvere questo casino, ok?”, affermai, decisa.

C’erano in gioco i sentimenti di troppe persone, ormai. Louis mi sorrise, poi mi strinse in un abbraccio, che ricambiai con forza.

“Andiamo allora”

Attraverso il corridoio, ci spostammo in un’altra stanza. Louis bussò.

“Avanti”, sentii.

Il mio cuore partì in quarta. Era la sua voce, la voce di Harry, che non sentivo da una settimana. Mi salì il groppo alla gola. Louis mi lanciò un’occhiata, poi aprì la porta.

“Allora, Harold, hai finito di fare l’asociale? Dai, vieni alla festa”, lo invitò Louis, entrando.

Io lo seguii, restando ancora fuori dalla portata dello sguardo di Harry.

“No, Lou, non ne ho voglia”, rispose lui, annoiato.

Da dove mi trovavo, riuscivo a vedere solo le sue gambe, distese; probabilmente era seduto. Louis si voltò verso di me, e invitò ad entrare. Il mio cuore batteva a mille, all’improvviso non ero più sicura di niente. Entrai lentamente nella stanza, e venni immediatamente investita dallo sguardo di Harry.

“Ciao”, dissi piano.

Dopo un istante di silenzio che mi parve eterno, Harry riportò gli occhi su Louis.

“Cosa ci fa lei qui?”, chiese, con tono accusatorio.

Sentii una prima crepa aprirsi nel mio cuore. Louis strabuzzò gli occhi, poi mi guardò, come per assicurarsi che stessi bene.

“Harry! Ma sei completamente impazzito? È la tua ragazza, è una settimana che non ti vede e non ti fai sentire! Che cazzo di domande mi fai?”, sbraitò Louis.

Harry rimase in silenzio, e continuò a fissarlo in modo indifferente. Posai una mano sul braccio del castano, per calmarlo.

“Lou, non importa, dai … Stai tranquillo, torna a divertirti alla festa”, proposi, cercando di mantenere la calma.

Louis mi guardò, incerto. Non volevo che litigasse con il suo migliore amico per colpa mia, lui non c’entrava proprio niente, non ne valeva la pena.

Lasciaci soli”, intervenne Harry, inaspettatamente.

Rivolsi il mio sguardo verso di lui, sorpresa, e vidi che anche i suoi occhi verdi erano proiettati nei miei.

“D’accordo, allora vado. Ci vediamo dopo”, decise Louis, rivolgendosi più a me che all’amico.

Dopo che il castano se ne fu andato richiudendo la porta alle sue spalle, riportai lo sguardo su Harry, attendendo una sua mossa. Mi invitò a sedermi accanto a lui sul divanetto lì presente, così mi avvicinai. Calò il silenzio tra noi due.
Non avevo mai sentito Harry così distante, così sulle sue, e non sapevo come prenderlo. Lui non mi guardava, giocava con i braccialetti che aveva al polso, teneva lo sguardo basso.

“Come stai?”, si decise infine a chiedere.
“Potrebbe andare meglio, ad essere sincera”, risposi, secca, senza volerlo.

Tentai di calmarmi, ma ormai le mie mani tremavano, come le gambe, e il cuore aveva preso un ritmo tutto suo.
Harry mi guardò, con la stessa maschera d’indifferenza che si era messo da quando ero entrata nella stanza. Cercai qualcosa nei suoi occhi che tradisse quel distacco, ma lui abbassò lo sguardo, come per impedirmi di farlo. Provai ad avvicinare una mano alle sue, che teneva incrociate tra le ginocchia, ma, per una qualche sensazione contraria, la ritrassi subito.

“E perché?”, ebbe il coraggio di chiedermi.

Chiusi gli occhi, e contai fino a dieci. Non saprei dire se in quel momento in me prevalesse la rabbia per la sua freddezza, o la sofferenza che mi aveva procurato nei giorni precedenti non facendomi avere alcuna notizia. Decisi comunque di rispondere, con un’altra domanda.

“Harry. Che cosa sta succedendo?”

Lui mi guardò, con sguardo profondo e serio, poi cominciò a ridere, di una risata che non gli avevo mai sentito, una risata che non era la sua. Una risata falsa, amara, irriconoscibile.

“Vuoi sapere che succede? Davvero?”, mi chiese, alzandosi e dandomi le spalle.
“Sì, davvero, Harry. Non ho voglia di scherzare”, risposi, seguendolo con lo sguardo.
“Bene. Sono stanco, Gioia, davvero troppo stanco”

Sentirgli pronunciare il mio nome con una tale piattezza fu come ricevere un pugno in pieno stomaco.
Deglutii.

“Di cosa?”, insistetti.

Volevo sapere, di qualsiasi cosa si trattasse. Volevo sapere cos’era successo al mio Harry, volevo sapere chi era quel ragazzo irriconoscibile che mi stava davanti.

Di tutto”, replicò, secco.
“Anche di me?”, chiesi.

Avevo paura della risposta che avrebbe potuto darmi, ma non ero riuscita a trattenermi. La pulce che Jake mi aveva messo nell’orecchio quel pomeriggio non se n’era ancora andata.
Harry rimase in silenzio.

“Potresti guardarmi, per favore?”

Mi alzai e gli posai una mano sulla spalla: volevo avere i suoi occhi addosso, qualunque fosse stata la sua risposta. Lui si voltò, di malavoglia, e mi guardò dritta negli occhi. Qualcosa in lui non mi convinceva. Gli presi il viso tra le mani.

“Harry, per favore, sono io, sono sempre io, la tua piccola … Che cosa ti sta succedendo, dove si è nascosto il ragazzo che amo tanto?”, chiesi, cominciando a sentire il groppo alla gola.

Sapevo che di lì a poco non sarei più stata in grado di parlare tranquillamente. Harry allontanò le mie mani, e fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo.
Quel gesto significò più di mille parole: lui non mi voleva più, forse non mi amava nemmeno più, forse si era davvero stancato di me.

“Aveva ragione Jake, allora …”, mi lasciai sfuggire, in un sussurro.
“Cosa?”, chiese lui, alzando il tono.
“Tu ti sei stufato di me, sono solo una come tante, vero?”, ribattei, alzando la voce a mia volta.
“E’ lui che ti ha messo in testa queste idee, giusto? Lo sapevo che non facevo bene a fidarmi!”, sbottò Harry.
“Non mettere in mezzo Jake, adesso, Harry! Sei tu che sei sparito per una settimana senza dirmi niente, lui mi ha solo dato un’opinione”, ribattei, tagliente.
“Avevo i miei motivi!”

Entrambi ormai stavamo gridando, ma molto probabilmente nessuno ci sentiva a causa della musica.

“E ti dispiacerebbe spiegarmeli, allora?”, lo sollecitai.
“Proprio non capisci perché non ti ho detto niente?”, domandò lui.
“No, Harry, no, non capisco!”, gridai, in risposta.

I nostri sguardi continuavano ad intrecciarsi, ma nessuno dei due, fino a quel momento, aveva visto tanta rabbia negli occhi dell’altro.

“Avevo bisogno di stare da solo, semplicemente”, sbottò lui.
“E ti costava tanto dirmelo?”, replicai, scioccata.
“Sono sparito per una settimana, una, e mi hai cercato decine di volte!”, puntualizzò, seccato.

Ero davvero sconvolta, non potevo credere alle mie orecchie. Restai a bocca aperta qualche istante, poi mi ripresi.

“Ti ho cercato perché ero preoccupata per te, volevo solo sapere se stessi bene!”, esclamai.
“Se ti avessi avvisata non mi avresti lasciato in pace comunque”, sputò fuori, acido.

A quel punto, cercai di convincermi che ciò che stava accadendo in quel momento fosse solo un sogno, un incubo, e che presto mi sarei svegliata. Ma il tremore alle mani e alle gambe, il batticuore, e lo sguardo di quel ragazzo castano, riccio, dagli occhi verdi che non riconoscevo più e che stava davanti a me, erano concreti come non avrei mai voluto.

“Non pensavo di opprimerti così tanto … Buono a sapersi, ma potevi farmelo sapere prima”, risposi, con tono piatto e abbassando la voce.

Lui mi lanciò un’occhiata fulminante, prima di dirigersi verso la porta.

“Fermo lì”, lo avvisai, avvicinandomi, “Non ti preoccupare, me ne vado io”

Mi fermai davanti a lui, che all’improvviso sembrò calmarsi e tornare quello di sempre.

“Gioia …”, sussurrò.

Non potevo stare lì, ormai ero a pezzi, avevo solamente bisogno di stare da sola e lasciarmi andare, piangere finché avessi avuto lacrime, nient’altro. Conoscevo già le parole che sarebbero arrivate dopo quel sussurro, e non ero pronta a sentirle.
Non ero pronta a sentirmi dire “E’ finita”, non ero pronta a terminare quel sogno, non ero pronta perché Harry mi lasciasse.

Lo guardai ancora un attimo negli occhi, allungai una mano verso il suo viso, poi, come prima, la ritrassi, e me ne andai verso la sala dove si stava svolgendo la festa.

Non appena varcai la soglia, fui investita dalle luci e dal frastuono assordante della musica, ma riuscii comunque a trovare ciò di cui avevo bisogno. Louis mi venne incontro serio, ma quando mi fu vicino mi sorrise dolcemente.

“Ehi”, mi salutò.

Lo guardai negli occhi, e, senza che dicessi niente, lui capì.

Portami a casa, Lou, per favore”, lo pregai.

Mi prese sottobraccio, e ci dirigemmo verso l’uscita.

Durante il tragitto, in auto regnava il silenzio, interrotto soltanto dalle indicazioni per raggiungere casa mia che davo a Louis. Osservavo il paesaggio londinese scorrere fuori dal finestrino, alzando a tratti lo sguardo verso il cielo, ma senza guardare davvero. La mia mente era lontana, era ancora in quella stanza, ancora lì, con Harry. Le scene della litigata continuavano a scorrermi in testa come un film, e l’eco delle parole taglienti di Harry mi risuonava nelle orecchie.

Non mi accorsi nemmeno che eravamo arrivati, Louis dovette scuotermi per una spalla per attirare la mia attenzione. Mi voltai lentamente verso di lui, e trovai il suo sguardo azzurro, in quel momento preoccupato, ad aspettarmi. Non riuscii a sostenerlo, così abbassai gli occhi.

“Gioia …”, mi chiamò lui.

Continuai a fissarmi le mani. Louis emise un sospiro. La situazione non doveva essere tanto facile nemmeno per lui : Harry era il suo migliore amico, e capivo che non gli avrebbe voltato le spalle, né tantomeno lo volevo; io … Beh, io ero la ragazza del suo amico, ma, conoscendoci, ci eravamo affezionati l’uno all’altra, e perciò la sua preoccupazione era rivolta anche a me ed ai miei sentimenti.

Ho paura, Lou, ho tanta paura”, mormorai, alzando infine lo sguardo.

Lui annuì, poi allungò una mano verso la mia testa, e mi scompigliò leggermente i capelli.

“Lo immagino, tesoro … Ma non devi perdere le speranze”, tentò di tranquillizzarmi.
“Louis, tu non sai cosa Harry sia riuscito a dirmi stasera”, provai a spiegare.

Lui mi fece segno di fermarmi con una mano.

“E non lo voglio sapere. O almeno, non da te. Sono cose vostre”, rispose.
Lui non mi vuole più”, affermai.

Louis rise leggermente, forse per allentare la tensione.

“Ma non dire cavolate, Gioia! Lui ti ama, lo so”, ribatté lui.

Lo guardai, in silenzio. Lui mi amava. Non lo sapevo più, non ero più sicura di niente. Sospirai, incapace di rispondere. In quel momento non vedevo niente di positivo, solo buio.
Louis scese dalla macchina senza dire niente, fece il giro, e venne dalla mia parte.

“Scendi”, ordinò, aprendo la portiera.

Obbedii, e, non appena posai piede a terra, mi trovai tra le braccia di Louis che mi stringevano forte. Gli circondai la vita con le mie, e appoggiai la testa sulla sua spalla, nascondendovi gli occhi e lasciando cadere quelle lacrime che avevo trattenuto per tutta la serata, se non addirittura per tutta la settimana. Le mani di Louis mi strofinavano la schiena per calmarmi, ma i singhiozzi continuarono a scuotermi per almeno una decina di minuti.

Quando riuscii a calmarmi, feci per staccarmi, ma il ragazzo mi tenne stretta a lui ancora per alcuni istanti, per essere sicuro che mi fossi tranquillizzata davvero. Feci un respiro profondo.

Non voglio perderlo”, sussurrai poi.
“Non succederà”, replicò lui, sicuro.

Louis sciolse l’abbraccio, e mi guardò fisso negli occhi. Annuii, non del tutto certa delle sue parole.

“Beh, torna alla festa, ora, vai a divertirti un po’, ti ho già fatto perdere abbastanza tempo per stasera”, proposi, con un leggero sorriso.

Vidi lo sguardo del castano rilassarsi, e lasciare spazio ad un sorriso naturale, sincero.

“Figurati. Vuoi che ti accompagno su?”, propose.
“No, Louis, davvero, hai già fatto abbastanza”, rifiutai, pur essendogli grata.
“D’accordo, allora vado, guarda che mi fido!”, mi avvisò.
“Stai tranquillo”, sorrisi.

Questa volta fui io ad abbracciarlo forte.

“Grazie Lou, ti voglio bene”, sussurrai, contenta di averlo lì.
“Te ne voglio anche io, nanetta”, rispose, scoccandomi un bacio sulla guancia.

Quel soprannome riuscì a strapparmi una risata, anche dopo una serata del genere. Ci salutammo, poi lui ripartì in auto, mentre io rientravo a casa.

Mi sistemai a letto, e non appena spensi la luce, la stanza venne illuminata dallo schermo del cellulare che si accese per l’arrivo di un messaggio.

Harry.

Perdonami


Curly space:
Eccomi qui :) Non sparatemi, vi prego, mi odio già abbastanza da sola per questo capitolo... :( 
Harryyyyyyyyyyyyyyyy! :( cosa succede?! Uffi, che problemi avrà questo adesso.... Il suo comportamento è davvero ambiguo, non credete? Poi questo messaggino finale che significato può avere? Potrebbe essere una cosa positiva... Cosa ne pensate? Daiiiiiii fatemi sapere qualcosa ;) 
E poi c'è Louis... Anche io voglio Louis Tomlinson come amico :3 Quanto dolce non è?! Eh? *-*

Beh, non saprei che altro aggiungere... Oltre al fatto che spero che il capitolo vi piaccia, nonostante la tristezza, mi piacerebbe vedere qulache vostro commento, ogni tanto.. Per Favooooooore!

Intanto, GRAZIE a Marialucia 1D e thebea204 per aver messo la storia nelle Preferite :)
GRAZIE a letizia ghion 1D per averla Ricordata :)
GRAZIE a letizia ghion 1D Maristella_armstrong e thebea204 per averla Seguita :)
E grazie a tutte quelle che continuano a leggere... :)

A presto,

Curly crush

 

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Capitolo 40
*** Tell me a lie ***


Tell me a lie 


Il mattino seguente rimasi a letto fino a tardi, anche se sveglia: non avevo nessuna voglia di appoggiare i piedi a terra ed affrontare quella giornata. Essendo domenica, non avevo nessun impegno, ma il solo pensiero di alzarmi mi dava la nausea. Restai sotto le coperte a pensare alla serata precedente.

Non avevo risposto al messaggio di Harry, dopo averlo letto, non sapevo cosa ribattere. Quello che mi aveva fatto passare in quella saletta era davvero troppo, non se la sarebbe cavata con una semplice parola inviata al mio cellulare. La voglia di rivederlo, di riabbracciarlo, e di assicurarmi che fosse tornato il mio Harry, era tanta, ma avevo bisogno di un confronto faccia a faccia, prima.

Con tutta la confusione dell’ultimo periodo, oltretutto, non ero nemmeno riuscita ad informarlo del mio ritorno in Italia, a cui ormai mancava una sola settimana. Al contrario, ne avevo messo al corrente Jake, Ana, e tutte le altre persone con cui avevo legato. Rendermi conto di quel fatto, non fece altro che peggiorare il mio umore ed aumentare la mia voglia di rimanere a letto. Ma, dopo almeno un’ora di spostamenti da un fianco all’altro, decisi di alzarmi e di dare una svolta a quella giornata.

Finito di fare colazione, mi infilai un paio di pantaloni di felpa e la maglietta di Harry, sotto una felpa con la zip, e preparai i libri sul tavolo della cucina, con la seria intenzione di mettermi a studiare. Ma il campanello rovinò i miei buoni propositi proprio sul nascere. Corsi ad aprire la porta e vidi la persona che per una settimana avevo sperato si facesse viva a casa mia.

Harry mi prese il viso tra le mani, e mi baciò, in modo quasi disperato, in un primo momento sulle labbra, poi, quando mi resi conto di ciò che stava accadendo e risposi al bacio, lo rese più profondo. Le sue mani si intrecciarono tra i miei capelli, dietro la mia nuca, mentre le mie raggiungevano la sua vita e lo portavano più vicino a me. Quanto mi erano mancate quelle labbra, così delicate, ma allo stesso tempo decise, e morbide in una maniera inimmaginabile. Assaporai ancora per un attimo quel momento, quel bacio, poi Harry si allontanò, anche se di poco.

“Tu ti meriti delle spiegazioni”, esordì, sussurrando.

Deglutii, cercando di riprendermi il più velocemente possibile, poi annuii, seria. Harry chiuse la porta, poi mi seguì in soggiorno, dove ci sedemmo sul divano, uno a fianco all’altra.

“Io … Io non volevo dirti quelle cose, ieri sera, te lo giuro”, iniziò, parlando piano, “Non le penso nemmeno, neanche una minima parte di tutto quello che ti ho detto. Non so cosa mi sia preso

I suoi occhi sostenevano il mio sguardo, una delle sue mani sfiorava le mie, provocandomi brividi che di solito erano molto più deboli. Possibile che in una settimana avessi perso le sensazioni che il suo tocco mi dava?

“Puoi dirmi come stai, per favore?”, chiese.

Presi un respiro profondo, prima di rispondere.

“Non lo so, Harry. Non sto bene, questo è sicuro. E non sto bene perché non so come stai tu. Se tu ti chiudi in te stesso, io non posso aiutarti, e questo mi fa male”, spiegai.

Lui distolse lo sguardo, annuendo piano, probabilmente riflettendo sulla mia risposta.

“Quindi vuoi sapere il motivo per il quale sono sparito?”, mi chiese poi.
“Se hai voglia di dirmelo, sì. Voglio solo aiutarti, Harry”, replicai.

Harry rimase un attimo in silenzio, poi sospirò.

“Ok. Allora … Diciamo che è cominciato tutto da quando sono tornato ad Holmes Chapel. Alcune delle menzioni le hai viste anche tu, giusto?”

Annuii, aspettando che proseguisse.

“Ce n’erano troppe, troppe che non contenessero altro che insulti, ma non riuscivo a smettere di scorrerle, e, più ne leggevo, più ci stavo male. Poi ho visto che tiravano in mezzo anche te, e lì oltre alla delusione, è arrivata la rabbia”, spiegò.
“Harry, ma ti ho detto che …”, protestai, ma lui mi bloccò.
“Loro non hanno il diritto di insultarti, non ti conoscono nemmeno. Finché dicono qualcosa a me, d’accordo, ci sto male, ma fino ad un certo punto. Ma quando tirano in ballo le persone a cui tengo, non posso fare finta di niente. Quindi ho scritto quel tweet, poi è arrivato anche il tuo, ed i commenti sono triplicati”

Si fermò un momento per riprendere fiato. Cercai di immedesimarmi in lui, per capire quanto avesse sofferto in quei giorni, ma non avrei potuto immaginare nemmeno volendo la minima parte del suo malessere.

“Così ho deciso di restare a casa mia qualche giorno in più, finché la situazione non si fosse stabilizzata. E poi avevo bisogno di stare solo. Ma mi mancavi, perciò sono tornato”, continuò a ricordare, sorridendo appena.

Mi avvicinai a lui, stringendogli la mano, in silenzio.

“Poi però, quella notte … Non fraintendermi, sono stato benissimo con te, prima di addormentarmi …”, specificò, facendomi arrossire, “Il problema è arrivato dopo, con quel sogno
“Ma allora te lo ricordi?”, esclamai, sorpresa.
“Purtroppo sì”, rispose, “Ho sognato le ragazze, le fans, che continuavano ad insultarmi, e a dirmi che ero una delusione, che loro mi volevano bene e io invece le snobbavo per stare con te”
“Ed è per quello che ti sei allontanato da me?”, insistetti.

Lui annuì, abbassando lo sguardo. Poi, lentamente, lo rialzò, facendomi scordare di respirare per qualche istante.

“Non volevo … Scusami”, sussurrò, prima di avvicinare le sue labbra alle mie, per poi lasciarmi un bacio leggerissimo, quasi un velo. “Avrei dovuto dirti tutto subito. Io non voglio che tu soffra, Gioia”, disse poi.
“Harry, non hai ancora capito che a me basta sapere che tu stia bene, per sentirmi meglio …”
“Gioia”, mi richiamò, “Quel sogno, alla fine, mi è stato d’aiuto, mi ha dato la risposta di cui avevo bisogno, e che conoscevo già, dentro di me, ma che non avevo il coraggio di vedere”

Restai in silenzio.

Non possiamo andare avanti così

Chiusi gli occhi per qualche istante. L’aveva detto. Alla fine l’aveva detto davvero. Respirai profondamente.

“Io ti amo, Harry”, risposi, non sapendo che altro dire.
“Lo so”

Non disse “Anch’io”.

“Io … E’ l’unico modo”, balbettò.
“Non è vero. Insieme siamo forti, quante volte l’abbiamo detto? Sei stato tu stesso a farmelo notare, quando stavo per mollare tutto anch’io”, ribattei.

Le nostre mani non erano più intrecciate, ormai.

“Se continuiamo a stare insieme, riceveremo sempre più insulti … Io non li sopporto più, e tu non li meriti. Quindi, perché dovremmo soffrire entrambi?”, ragionò.
“E se ci lasciamo non credi che soffriremmo allo stesso modo?”, replicai.

Solo pronunciare quell’ipotesi, che in quel momento sentivo davvero fin troppo concreta, mi fece stringere lo stomaco.

“Loro sono le mie fans, Gioia, devo il mio successo a loro, non posso deluderle”, rispose, lo sguardo basso.
“Però puoi deludere me”, ribattei, con un filo di voce.

Non riuscivo davvero a credere alle parole che uscivano dalla sua bocca, non lo riconoscevo più, per la seconda volta in poche ore.
Dov’era finito il mio Harry?
Lui continuò a fissare il pavimento, io mi alzai, guardandolo. Alzò piano lo sguardo, senza dirmi più niente.

“Non ti credo, Harry, non può essere solo questo. Mi hai sempre detto che mi amavi, che volevi stare con me per sempre, e adesso, per un gruppo di ragazzine viziate vorresti mettere fine a tutto questo?”, indagai.

Doveva esserci dell’altro, qualcosa che Harry non voleva dirmi e che mi avrebbe sicuramente fatto soffrire ancora di più. Ma volevo saperlo, volevo conoscere il reale motivo per il quale Harry stava mettendo un punto alla nostra storia.
Un’idea, la peggiore delle ipotesi che potesse venirmi in mente, balenò nella mia testa. Lo guardai un attimo, fissandolo negli occhi.
No, non poteva essere.
Ma dovevo saperlo. Non poteva lasciarmi senza un motivo davvero valido.

Lui continuava a stare in silenzio, avendo preso ormai la sua decisione. Il suo sguardo era distante, completamente diverso da quello che aveva quando era entrato in casa mia, poco tempo prima, e mi aveva baciata.

“Harry … C’è … C’è un’altra?”, chiesi, titubante.

Non sapevo se volevo davvero sentire la sua risposta. In fondo, perché farmi del male da sola? Non potevo accettare i suoi motivi e basta?
Harry mi guardò, spalancando gli occhi. Ma sembrava quasi sollevato, come se gli avessi appena dato la soluzione ad un enigma irrisolvibile. Poi abbassò lo sguardo.

”, rispose, in un sussurro talmente flebile che riuscii a sentire a malapena.

Sentii la terra mancarmi sotto i piedi, il cuore spezzarsi, le lacrime arrivare. Riuscii a trattenerle, giusto prima che cominciassero a scendere lungo le mie guance.

“Harry … Io fra una settimana torno in Italia …”

Non mi uscì altro. Fu il primo pensiero che mi passò per la testa, l’unica frase che le mie labbra riuscirono ad articolare. L’unica cosa che, in qualche assurdo modo, pensai potesse cancellare ciò che lui mi aveva appena svelato.
Gli occhi di Harry incrociarono nuovamente i miei, per guardarmi con un’aria strana, quasi spaventata, mi parve. Fu l’ultimo sguardo che ci scambiammo, poi fui io a portare gli occhi al pavimento.

“Vai via, Harry”, bisbigliai.

Lui non si mosse. Non poteva restare lì, e farmi soffrire ancora di più, non ne aveva il diritto. Doveva sparire, in fretta, e lasciarmi sola. Non volevo piangere davanti a lui, non dopo quella scoperta che mai mi sarei aspettata di fare.

“Vattene!”, gridai, girandomi per dargli le spalle.

Lo sentii muoversi lentamente verso la porta, che si aprì e si richiuse in pochi istanti.
Nello stesso momento in cui Harry uscì, da casa mia e dalla mia vita, le lacrime cominciarono a rigarmi le guance. Le gambe mi cedettero, e mi ritrovai seduta a terra, con il viso tra le mani e un sogno infranto nel cuore.



Curly space:
Non voglio commentare questo capitolo.
Mi sento già troppo male per averlo scritto, figuriamoci ora che lo devo pubblicare.
Posso solo dire che non sono quel che si dice troppo soddisfatta di come è venuto, ma spero vi piacerà comuqnue (per quanto sia triste)...

Quindi, passo subito a voi.
GRAZIE a Fioredicarta e Lalla_Blabla per aver messo la storia tra le Preferite :)
GRAZIE a IgLovepn per averla inserita nelle Seguite :)
GRAZIE a thebea204 e IgLovepn per aver recensito :)
E, come sempre, grazie a tutte quelle che continuano a seguire questa tragedia.... =P

Ah, il prossimo capitolo sarà speciale, ma non vi anticipo niente, credo che capirete da sole il motivo di questa eccezionalità non appena comincerete a leggere... ;)

Bacioni,
Curly crush <3

 

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Capitolo 41
*** Don't let me go ***


Don't let me go

 
- Harry -

I’m broken, do you hear me?
I’m blinded, but you are everything I see…

Richiusi la porta alle mie spalle, emettendo poi un sospiro. Uscito da quell’appartamento, il suo appartamento, dove avevo trascorso parecchio tempo con lei, mi ero già pentito di quello che le avevo detto. Appoggiai il pugno alla porta, con l’intenzione di bussare e dirle tutta la verità, ciò che lei si meritava. Poi però il motivo per il quale l’avevo lasciata mi tornò in mente, e allora mi allontanai, dirigendomi verso le scale.

Uscii dal palazzo a testa bassa, senza rispondere al saluto di Joe, il portiere, al quale ormai non dovevo più nemmeno chiedere se potessi salire o meno: mi sorrideva, poi con un cenno mi invitava ad andare “dalla mia bella”, come mi aveva detto una volta. All’uscita del palazzo, trovai delle ragazze che mi aspettavano attorno alla macchina. Fans. In quel momento, senza volerlo, le disprezzai. Ma non potevo permettermi di essere maleducato.

“Scusatemi ragazze, ora non posso, sono di fretta”, spiegai, facendomi spazio tra loro che tentavano in tutti i modi di bloccarmi, mentre sorridevo forzatamente.

Riuscii a salire in macchina, infilai le chiavi nel quadro, e accesi il motore, poi partii. Restare freddo ed indifferente davanti a lei, con gli occhi già lucidi, era stata dura, pensavo che non avrei resistito e avrei mandato all’aria tutto il mio piano. Me l’immaginavo, in quel momento, mentre piangeva, a casa, probabilmente seduta sul pavimento. Quell’immagine fu la fine della mia virilità. La vista mi si annebbiò, e cominciai a sentire gli occhi che si inumidivano man mano che mi saliva il groppo alla gola. Deglutii, tentando di calmarmi. L’auto davanti era ferma, ma me ne accorsi con un leggero ritardo. Spinsi a fondo il piede sul pedale del freno, ed inchiodai, arrivando a pochi centimetri dal bagagliaio di quella station wagon. Respirai profondamente, e mi passai una mano sugli occhi, per asciugarli velocemente e ripartire verso casa.

Entrai in casa, sperando di essere solo: parlare con qualcuno era l’ultima cosa che volevo in quel momento, pur trattandosi dei miei migliori amici. Lanciai le scarpe in un angolo, prevedendo le maledizioni che Liam mi avrebbe tirato dietro. Liam odiava il disordine. Ma, di nuovo, poco mi importava che le scarpe fossero al loro posto. Nemmeno la mia testa ed il mio cuore erano a posto in quel momento, figuriamoci un paio di calzature.

Gioia. L’unica cosa, l’unico pensiero che mi girava per la testa, era lei. Nient’altro. Mi buttai sul divano. Avevo sempre odiato quelle scene da film in cui, quando sei depresso per qualcosa, come la fine di una storia, nel mio caso, tutto ti torna in mente, anche i dettagli più insignificanti. Come la maglietta che lei indossava quel giorno, la mia maglia, di cui lei si era appropriata e che io avevo deciso di lasciarle. Ma, purtroppo, fu proprio quello che successe. Chiusi gli occhi, e lasciai che la mia mente tornasse indietro, a pochi mesi prima, in quel pomeriggio di pioggia.

Ero arrabbiato, come altre volte, per alcune critiche che avevo letto su Twitter e in altri siti, e per i continui pettegolezzi sulla presunta relazione tra me e Louis. Niente di più assurdo. Ero uscito di casa, e avevo cominciato a camminare, senza una meta. Poi lei mi era venuta addosso, ed era caduta, assieme ai libri che teneva in mano. In un primo momento mi era venuto da ridere, poi avevo visto la sua espressione alterata, e ci avevo ripensato. Ma, anche arrabbiata, era adorabile, l’avevo notato subito. Quei capelli che le ricadevano sul viso, bagnati, le coprivano in parte gli occhi, occhi che mi attirarono come una calamita. Verdi, tendenti al marrone, ma dotati di una bellezza insolita. Quella ragazza aveva qualcosa di speciale, l’avevo capito ormai.

Ma per quel giorno, non potevo fare altro, se non sperare di incontrarla di nuovo, in un’occasione migliore, magari. E, fortunatamente, era successo, ci eravamo incontrati di nuovo, sempre nello stesso posto. Dopo qualche altra incomprensione, eravamo finalmente riusciti a conoscerci, e avevo potuto constatare che non mi ero sbagliato su di lei, avevo visto giusto. Nello stesso momento in cui avevo stretto le sue mani tra le mie, per scaldarle, e mi ero accorto di quanto stesse tremando, avevo capito che lei era davvero dispiaciuta per le nostre discussioni, e quanto ci tenesse a conoscermi come persona reale, e non come celebrità.

Giorno dopo giorno, uscita dopo uscita, la conoscevo sempre meglio, e non era difficile capire che tipo di persona fosse: timida, ma capace di prendere confidenza in poco tempo, dolce e quasi ingenua, ma non stupida, intelligente, forte, sensibile, forse anche troppo, e bella. Bella da impazzire. E mi rendevo  conto che, più la conoscevo, più lei mi permetteva di entrare nel suo mondo, più io mi ci affezionavo.

Ne avevo parlato subito a Louis, dopo il nostro primo incontro. Ero tornato a casa, quasi soddisfatto, e lui aveva capito immediatamente che mi era capitato qualcosa di insolito, lui capiva sempre tutto, non sapevo come facesse. Così gli avevo parlato di lei, di questa ragazza sconosciuta, e lui, puntualmente, la sera, a cena, mi aveva sputtanato davanti a tutti gli altri, dandomi ormai per innamorato perso.

Avevo aspettato a baciarla, nonostante qualche occasione ci fosse stata. Ma non volevo affrettare i tempi, volevo che lei si abituasse, volevo essere sicuro che lei apprezzasse davvero la mia compagnia. Poi, avevo organizzato quella mattinata, e volevo che tutto fosse perfetto. In quei dieci giorni mi era mancata come se non l’avessi vista per anni, e lì avevo capito quanto quella ragazza contasse per me. In tour, avevo dovuto sopportare le prese in giro di quei quattro disgraziati dei miei compagni per giorni, che arrivarono a darmi del tonto, di quello con la testa fra le nuvole, e dell’asociale. Ma avevo riso con loro, e avevo aspettato di tornare, e di vederla.

E quel giorno, finalmente, ci eravamo dati il primo bacio, il nostro primo bacio. Lei sembrava felice, io ero davvero sulle nuvole. Lei voleva stare con me, mi si era affezionata, io avevo già capito di amarla. Così, pochi giorni dopo, la sera di Natale, ho deciso di dirglielo, in quel parco, un posto che per me era davvero importante, ed era solo mio. Gliel’avevo detto in Italiano, così che quello che davvero volevo dirle arrivasse chiaro e tondo. E quando lei mi aveva risposto che mi amava di rimando, non ci potevo credere. In quel momento pensavo che non avrei mai potuto essere stato più felice.

E invece, ogni giorno con lei, dovevo ricredermi, perché ogni minuto era una felicità nuova. La prima notte che avevo dormito da lei, i giorni in cui l’avevo portata con me ad Holmes Chapel per farla conoscere alla mia famiglia, Capodanno, l’incontro con i ragazzi, i vari viaggi promozionali e la voglia di tornare a casa e rivederla, la consapevolezza che lei mi stava aspettando.

Sapeva sorprendermi ogni giorno, con qualcosa di diverso, come aveva fatto per il mio compleanno. Era riuscita ad organizzare tutto senza che io mi accorgessi di niente, con la complicità dei ragazzi. I ragazzi … ed il loro personale regalo, quella camera da letto messa a posto, fatta a proposito per noi. Quella notte ci eravamo spinti leggermente oltre, avevamo cominciato a prendere confidenza l’uno con il corpo dell’altra, ma eravamo riusciti ad aspettare, per qualcosa di ancora più speciale.

La prima volta che avevamo fatto l’amore. Parigi. Anche in quel caso, non le avevo fatto troppe pressioni, non volevo che si sentisse forzata a fare qualcosa che non voleva. Quella notte, però, era speciale, era San Valentino, eravamo insieme. Ed era successo. E pensavo che mi sarebbe scoppiato il cuore da quanto ero felice. La sensazione della sua pelle contro la mia, le sue mani che mi sfioravano timide, i suoi sorrisi e i suoi sospiri. Non era la prima volta per nessuno dei due, credo, ma era come se lo fosse stata, come se quel momento fosse tutto ciò che entrambi avevamo aspettato per tutta la vita. Non mi ero mai sentito più a posto, e con una persona più giusta, come in quella serata. Fu una notte speciale, importante, piena di significato. Una notte che non avrei dimenticato facilmente.

Poi c’erano stati i Brit, e l’inizio del tour. Il primo concerto a cui lei aveva partecipato, ed era riuscita a dare la giusta carica ad ognuno di noi. Gli spettacoli successivi erano andati a meraviglia, il pubblico era entusiasta, io ed i ragazzi eravamo ormai rilassati e Gioia ogni tanto partecipava, stando nel backstage. Poi era arrivato il momento dei concerti lontani da Londra, in cui lei non poteva seguirci. Così, era iniziata la sfida più dura, quella della lontananza, pur non essendo troppo distanti. Era stata dura, non vederla ogni giorno, anche solo per un attimo, ma ce l’avevo fatta, ero stato bravo, lei era sempre nel mio cuore, e nella mia testa. Non c’era niente e nessuno che potesse distogliermi da lei.

Poi, finalmente, ero tornato a Londra, e avevo potuto riabbracciarla. Quanto mi era mancata. L’avevo portata al mare, sapevo che le sarebbe piaciuto. Ma, dopo quella giornata, tutto era cambiato, l’incontro con quella ragazza aveva messo in dubbio tutte le mie certezze, tutto ciò di cui ero sicuro. Niente era stato più come prima.

Avevo provato ad allontanarmi da lei, dalla mia ragazza, avevo cercato di sparire. Le sue chiamate, i suoi messaggi, erano una continua tortura, la voglia di risponderle, o, peggio, di andare a trovarla, era difficile da contrastare. Ma, in qualche modo, ero riuscito ad isolarmi comunque.

Il primo a criticarmi per il mio comportamento, era stato Zayn. Mi disse che l’aveva incontrata, fuori da casa nostra.


“Non è giusto il modo in cui la stai trattando, Harry. Pensaci”, mi aveva detto, poi se n’era andato in camera sua, senza aspettare una risposta che non sarebbe arrivata in ogni caso. Sapere che lei era stata lì, a due passi da me, mi scosse parecchio. Zayn era riuscito a fare la cosa giusta, però, le aveva detto che non c’ero. E gliene ero grato, anche se sapevo che gli era costato molto mentire così.

Poi era stato il turno di Louis. Lui era stato più duro. Mi aveva parlato con calma, mi aveva chiesto che cosa non andasse, perché io e Gioia non ci stessimo vedendo in quei giorni. E tutto quello che ero riuscito a rispondergli era stato: “Fatti gli affari tuoi, Louis, non c’entri niente”. Mi aveva risposto: “Allora arrangiati. Spero che starai bene, solo con te stesso, e che riuscirai a vedere che ti stai comportando da idiota”. Dopodiché se n’era andato, sbattendo la porta.

Non avrei mai pensato che i ragazzi si sarebbero affezionati così tanto a lei. Certo, era adorabile, ma non avevano mai mostrato lo stesso entusiasmo che avevano avuto con lei, con altre ragazze che avevo presentato loro. Storie poco importanti, di breve durata.

I miei pensieri furono interrotti dalla chiave che girava nella serratura della porta di casa. Mi sistemai meglio sul divano, strofinandomi gli occhi, lucidi, probabilmente rossi, e mi passai una mano tra i capelli, per tranquillizzarmi.

“Ehi, Haz, sei già tornato?”, chiese Louis, con tono allegro.

Non risposi. Lui venne a sedersi accanto a me, poi, non appena incrociò il mio sguardo, cambiò espressione. Il suo sorriso sparì, lasciando spazio alla preoccupazione.

“Che succede?”, mi chiese, prevedibilmente.

Lo guardai un attimo in silenzio. Forse aveva già capito, ma non era il caso di comportarsi da indovini.

“Ci siamo lasciati”, buttai fuori, in un sussurro, la gola stretta.
“Cosa? Ma come, Harry, avevi detto che …”
“Lou, per favore, non adesso. Ho bisogno di stare da solo”, dissi, alzandomi dal divano.

Lasciai Louis ed il suo sguardo scioccato in salotto, e mi diressi verso la mia stanza. Chiusi la porta, e mi buttai sul letto, fissando il soffitto.

Lei era speciale. Forse la risposta era questa, ed era davvero molto semplice. Ma ora era tutto finito. L’avevo lasciata, e lei non avrebbe voluto vedermi mai più, a ragione. Tutto quello che riuscivo a pensare era che lei se ne sarebbe andata, di lì a pochi giorni, e non l’avrei più rivista. L’avevo persa. E questo faceva male, male davvero, più di qualsiasi altra cosa, perché io l’amavo sul serio. E l’amavo ancora. E questo lei non l’avrebbe mai saputo.



Curly space:
Wohoooooooooo eccomi quiiiii! Allora, avete capito in cosa consisteva il capitolo speciale?! :D
Sììììììììì, un bel punto di vista dalla parte di Harry! 
Mi ispirava farlo, così per spiegare alcune cose, e spero che sia uscito abbastanza bene... Cioè, a me piace abbastanza, ora però è il vostro turno di dirmi cosa ne pensate ;)
Spero non sia troppo sdolcinato, ma di fondo io sono una romanticona, quindi mi viene un po' difficile fare una cosa... Amara? ^-^ Boh, vedete voi XD
Aspetto i vostri commenti, sono proprio curiosa...
Io sono innamorata di questo Harry... <3

Beh, ora passiamo a voi:
GRAZIE a gilove19 Glostyles Hakota_shipper per aver messo la storia nelle Preferite! :)
GRAZIE a Elfed per averla Seguita! :)
GRAZIE a Bea_PayneLove e IgLovepn per aver recensito! :)
Un grazie speciale a Nanek per il banner, che trovo assolutamente stupendo! *-* 
E grazie, come sempre, a tutte voi che continuate a seguire la storia, spero di non deludervi... ;)

Un bacione e a presto,
Curly crush ;)  


 

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Capitolo 42
*** Thought you would be the one ***


Thought you would be the one


Mi ci volle un buon quarto d’ora per decidere di alzarmi dal pavimento e spostarmi in camera, per buttarmi sul letto, nascondendo il viso nel cuscino. Il mio corpo continuava ad essere scosso dai singhiozzi, mi veniva difficile respirare, gli occhi ormai mi bruciavano per quanto avevo pianto, ed erano arrossati. Alzai la testa, lentamente, e mi guardai attorno. Tutto, in camera mia, sembrava tranquillo: sopra la scrivania c’erano i pochi libri che avevo preso per studiare prima di venire interrotta, la sedia era leggermente spostata per permettermi di sedermi, alcuni vestiti erano appoggiati allo schienale, il cellulare ed il computer erano accanto ai libri, muti, il letto era ancora disfatto e le coperte emanavano ancora un leggero calore. Tutto era come ogni giorno, tutto era a posto.

Tranne il mio cuore. Quello, non era in ordine, non era a posto, non era silenzioso. Era distrutto, potevo vederne i mille pezzi sparsi ovunque, urlava, piangeva, soffriva. Avrebbe potuto smettere di battere da un momento all’altro, tutto ciò per cui vivevo ora non c’era più. Harry non c’era più, se n’era andato, portandosi via il mio amore, portandosi via la mia anima, portandosi via me stessa. Harry mi aveva lasciata. E, oltre a questo, per un’altra.

Un’altra ragazza, una che non conoscevo, non avevo la minima idea di chi potesse essere, ma che era riuscita a portarmelo via. Con che diritto? E lui, come aveva potuto farmi una cosa del genere? Io lo amavo, al massimo delle mie forze, avevo fatto di tutto perché stesse bene con me, ma evidentemente non avevo fatto abbastanza. Forse io non ero abbastanza per lui, forse lui voleva di più, e quel qualcosa in più aveva saputo darglielo un’altra.

Al solo pensiero che ci fosse un’altra tra le sue braccia, labbra che lui baciava che non fossero le mie, parole che solitamente sussurrava a me ed ora rivolgeva ad altri orecchi, sguardi scambiati con altri occhi, di un colore e una forma diversi dai miei, mi sentivo morire. La gelosia mi stava devastando, stava prendendo il controllo di me. Mi trovai a fare pensieri crudeli su questa ragazza sconosciuta che avrebbero fatto paura persino ad un killer professionista. Ma quella non ero io, quella era solo l’immagine di me che il dolore stava creando.

Mi scossi, e mi sedetti sul letto, a gambe incrociate. Mi passai le mani sul viso, respirando a fondo ed asciugandomi gli occhi. Non dovevo reagire così, la violenza non mi avrebbe portata da nessuna parte. Chiusi gli occhi per qualche secondo, sentendo altre lacrime minacciarmi. Presi un altro lungo respiro, e li riaprii. Mi alzai di scatto dal letto, e mi diressi in bagno, dove mi spogliai ed entrai nella doccia. Rimasi sotto il getto caldo dell’acqua per un tempo che mi sembrò eterno, ma che servì a calmarmi, almeno un po’, poi finalmente uscii e ripresi i vestiti di prima. Quando la maglietta di Harry raggiunse le mie mani, rischiai di avere una ricaduta, ma la gettai lontana da me e riuscii a resistere. Mi spostai in cucina, non sapendo che cosa fare: di mangiare non se ne parlava, la nausea era davvero troppo forte, e di studiare nemmeno, non avevo la concentrazione sufficiente. Incrociai le braccia sul petto, e diedi uno sguardo attorno. Il mio sguardo fu attirato da un cerchio rosso, sulla parete davanti a me. il calendario, su cui era segnata la data della mia partenza, quel 14 aprile che per circa un mese avevo maledetto e tanto temuto. In quel momento, in uno stupido numero, vidi la mia salvezza. Sapevo cosa avrei dovuto fare.

Corsi di nuovo in camera, estrassi la valigia, che stava tra l’armadio ed il muro, e la posai aperta sul pavimento. Aprii l’armadio e qualsiasi cassetto ci fosse in quella camera, e cominciai a tirare fuori la mia roba, i miei vestiti, tutto ciò che mi ero portata dall’Italia, e tutto ciò che avevo comprato a Londra in quei mesi. Improvvisamente, la voglia di andarmene da quella città era diventata incontenibile, lasciare Londra era il mio obiettivo, l’unica cosa di cui avevo bisogno. Perché in quella città c’erano troppi ricordi, troppi affetti, troppe cose che mi avrebbero riportato a lui, a partire da casa mia.

Quel piccolo appartamento in cui era iniziato tutto, la mia avventura, il mio percorso di vita, una strada che non avrei mai pensato di poter percorrere un giorno. Poche stanze, in cui mi ero adattata a stare, e a cui mi ero affezionata in poco tempo. Quattro mura che, dopo poco, avevano accolto anche un’altra persona, l’ultima che avrei mai pensato di poter incontrare e conoscere.

La mia mente vagò fino ad arrivare ad un altro luogo che aveva significato molto per me: il pub. Il mio primo lavoro serio, in quella grande città in cui non conoscevo nessuno. Jake era stato uno dei primi con cui avevo stretto amicizia, uno dei primi ad accogliermi, ad offrirmi il suo aiuto, e non lo avrei mai ringraziato abbastanza per questo. Malgrado le ultime discussioni che avevamo avuto, che, visti gli sviluppi, si erano rivelate sensate, gli volevo un gran bene, e sarebbe stato difficile salutarlo, dirgli addirittura addio, probabilmente.

E poi, l’università, Ana, e gli altri compagni. Tutti, un po’ alla volta, erano diventati significanti per me, anche se con qualcuno ci avevo parlato davvero pochissime volte. Erano comunque persone che avevo conosciuto lì, persone che avrei ricordato una volta tornata in Italia.

Infine, la mia mente arrivò dove non avrei voluto, raggiunse quel luogo che in un primo momento avevo maledetto, ma che poi avevo riconosciuto essere stato la mia più grande fortuna. La piazza in cui avevo incontrato Harry la prima volta. Quella piazza di cui ancora ignoravo il nome, ma poco mi importava, sarebbe rimasta per sempre nella mia mente e nel mio cuore, che lo volessi o meno. Mi ci volle poco, poi, per spostarmi di qualche quartiere, e giungere a Primrose Hill, oltrepassare quel cancello, quelle porte, ed entrare in casa dei ragazzi. Immaginai Louis, seduto sul divano con Zayn, mentre combattevano una guerra all’ultimo gol giocando a Fifa; pensai a Liam, che girava per casa tranquillo, canticchiando una melodia tutta sua e scrivendo poi qualcosa su un blocchetto; vidi Niall, seduto su una sedia a suonare la chitarra, magari con una buona birra appoggiata sul tavolo vicino a lui; poi il mio pensiero andò ad Harry

Cercai di bloccare le immagini che mi si pararono davanti agli occhi, ma queste mi investirono come un’onda anomala.
Harry che mi veniva addosso, Harry che mi teneva la mano, Harry che mi sorrideva.
Harry che mi baciava sul London Eye.
Harry che mi portava a casa, Harry che mi presentava la sua famiglia ed i suoi amici, Harry che dormiva con me, Harry che mi abbracciava forte a Parigi, Harry che cantava, ai Brit, ai concerti, Harry che mi chiamava solo per sentire la mia voce, Harry che mi portava al mare.
Harry in quella chiesetta, davanti all’altare.
E poi, ancora, Harry che non mi cercava più, Harry che mi parlava in modo distaccato, Harry che mi lasciava.
Harry che mi diceva che aveva un’altra.

“Basta!”, mi ritrovai a gridare al nulla, al silenzio del mio appartamento.

Una settimana. Ancora una settimana, poi sarei tornata a casa, tra volti e braccia familiari, lontano da Londra, lontano da Harry. In quel momento, non riuscivo a pensare ad altro che non fossero lui, il suo sorriso ed i suoi occhi. Quello che avevo saputo mi stava distruggendo da dentro, avevo davvero creduto di potermi fidare di lui. E, all’inizio, lo avevo fatto a ragione, lui era davvero interessato a me, potevo vederlo dal modo in cui mi guardava, dal modo in cui le sue labbra toccavano le mie. Sembrava innamorato, davvero. E avevo pensato che lui potesse essere quello giusto, quello con cui passare il resto della mia vita. Sì, a vent’anni può essere stupido da dire, ma io ci avevo creduto fino in fondo, non avevo mai dubitato di lui e di quello che diceva di provare per me. Ero pronta a dargli tutta me stessa, anzi, l’avevo fatto senza pensarci troppo, e tutto ciò di cui aveva bisogno. Per me, lui era quello giusto, ed ero convinta che per lui fosse lo stesso.

Ma ora, cos’era cambiato? Cos’era che gli aveva fatto cambiare idea su di me, fino ad arrivare a rifugiarsi tra le braccia di un’altra? Assieme al dolore per averlo perso, cominciai a sentire una rabbia crescente, in me, una rabbia rivolta a lui, e al suo comportamento ingiusto. I peggiori insulti si fecero strada nella mia mente, parole che mai avrei pensato di usare per descrivere lui, quel ragazzo dai capelli ricci e gli occhi verdi che mi in poco tempo mi aveva conquistata. Mi tornò in mente il nostro primo scontro, dopo il quale lo avevo definito un montato. In quel momento, non era quella la parola esatta da usare, ma la sensazione di delusione e cruda realtà era la stessa. L’istinto di prendermi a sberle per essermi fidata di lui era forte.

Ma potevo arrabbiarmi, gridare, piangere quanto volevo. Non avrebbe cambiato niente in ogni caso. Non si può smettere di amare una persona così, di punto in bianco, nonostante il dolore che ti provoca sia immenso e sembri insormontabile. Ed è quello che successe a me. Dovetti riconoscere a me stessa che, malgrado i miei sentimenti in quel momento non fossero dei più rosei, lo amavo ancora. E, in quel momento, non sapevo se sarei mai stata capace di dimenticarlo, di continuare la mia vita come se niente fosse stato, e magari di innamorarmi di nuovo, di fidarmi ancora di qualcuno.

Ma dovevo andare avanti. E il mio ritorno in Italia sarebbe stato un nuovo inizio, invece che un ritorno alla solita vita come avevo pensato in quegli ultimi sei mesi.
           


Curly space:
Ehiiiiiiiiiiiiii eccomi quiiiiiiiii, sono tornata! :D
Scusatemi per il ritardo, ma in questo periodo sono un po' impegnata, e il tempo per scrivere è davvero poco... Perciò, volevo avvisarvi che i prossimi capitoli (come questo) arriveranno con qualche giorno di rtitardo, e scusarmi in anticipo.
Spero che continuerete comunque a leggere ;)

Passiamo al capitolo.
Dopo la riflessione di Harry, abbiamo quella di Gioia, leggermente distrutta. 
Riconosco che questa parte di storia sia parecchio interiore e riflessiva, ma spero che non la troviate noiosa. Fra poco tornerà anche l'azione, non temete! ;) 

Il prossimo capitolo sarà un altro speciale... Qualche idea su chi sarà a parlare questa volta? :) 
Fatemi sapere le vostre idee, il riquadro qui sotto vi aspetta :D

Passiamo a voi, adesso:
GRAZIE a IgLovepn e Tommos_girl93 per le recensioni! <3 
GRAZIE a LollonaPiccolina69 e Story_of_my_life per averla aggiunta alle preferite :)
GRAZIE a lorrainelala per averla seguita :)
E, come sempre, grazie a tutte voi che continuate a leggere! :-)

Alla prossima,
Curly crush ;)

 

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Capitolo 43
*** No woman in the world deserves this ***


No woman in the world deserves this



- Louis -
 
Quella sera, a cena, c’era un silenzio insolito ed opprimente, ma non avevo idea di come fare per animare la serata. Era come se anche Niall, Liam e Zayn sapessero cos’era successo tra Harry e Gioia, e non avessero il coraggio di parlare, né di quello, né di nient’altro. Guardai Harry, che fino a quel momento non aveva toccato cibo, ma continuava a giocarci, spostandolo da un lato all’altro del piatto, tenendosi la testa con l’altra mano.

“Ehi, Haz, so che non cucino bene come te, ma non hai ancora assaggiato niente”, tentò di scherzare Niall, ad un certo punto.

Incrociai il suo sguardo, e provai a sorridere della sua battuta, ma quello che mi uscì fu solo l’ombra di ciò che avrei voluto. Zayn e Liam, invece, risero leggermente. Harry, infine, guardò Niall in silenzio, poi si alzò e, senza dire niente, se ne andò dalla sala da pranzo.

“Ma cosa ho detto di male?”, chiese Niall, rivolgendosi a me.

Alzai le spalle.

“Non è colpa tua, Niall”, risposi.

Non sapevo se raccontare tutto anche a loro, oppure aspettare che fosse Harry a farlo di sua volontà.

“E’ tutta la sera che si comporta stranamente. Cos’è successo, Lou?”, chiese Zayn.

Cosa avrei potuto fare, a quel punto? Mentire, e dire che non ne avevo idea? Non ero abituato a farlo, proprio no.

“Si sono lasciati”, ammisi, infine.
Che cosa?!”, chiesero all’unisono Liam, Niall e Zayn.

Cercai di zittirli con un segno della mano, e loro, obbedienti, posarono i loro occhi attenti su di me.

“Non … Non so come sia successo, stamattina sono tornato e l’ho trovato sul divano, che fissava il nulla. Mi ha solo detto che tra lui e Gioia è finita, non ha voluto aggiungere altro”, spiegai, affranto.
“Non me l’aspettavo. Cioè, sono così belli, insieme. E lei … Mi piaceva, insomma …”, borbottò Zayn.

Guardai il mio amico, e mi venne quasi da sorridere: Zayn di solito non si esponeva mai così tanto sulle persone, ma quella ragazza doveva avere qualcosa di speciale, perché aveva conquistato anche me, fin dal primo momento.

Finimmo di mangiare parlando piano, per non farci sentire da Harry, poiché l’argomento della nostra conversazione rimasero i motivi possibili della loro rottura. Sistemato tutto, mi diressi verso la camera di Harry, trovandovi la porta socchiusa.

“Vieni pure, Lou”, mi chiamò Harry da dentro.

Quasi saltai per lo spavento, come diavolo aveva fatto a sentirmi e, soprattutto, a capire che ero io?

“Haz, che cavolo, cosa sei, un veggente?”, chiesi per l’appunto, entrando.

Lui rispose con un sorriso, poi nascose un foglio su cui stava scrivendo qualcosa alla fine di un librone verde, che non avevo mai visto fino a quella sera. Mi sedetti sul letto accanto a lui, molleggiando appena sul materasso.

“Louis, mi verrà il mal di mare se continui”, borbottò Harry.

Scoppiai a ridere, e anche lui si lasciò andare ad una risata liberatoria. Ero riuscito almeno in uno dei miei intenti. Ora veniva la parte difficile.

“Che fai?”, chiesi.
“Niente, provavo a scrivere qualcosa …”, rispose, tenendo lo sguardo basso.
“Una canzone?”, insistetti.

Lui annuì con la testa, poi tirò fuori il foglio da quello che avevo capito essere un album. Lo tenne fra le mani qualche istante, indeciso se farmelo vedere o no. Alla fine, me lo porse, in silenzio, e io presi ad osservare le poche righe che aveva messo giù con la sua scrittura semiordinata.   

The script was written and I could not change a thing 
I want to rip it all to shreds and start again 
One day I came I’ll come into your world again and get it right
I’ll say we’re better off together here tonight 


Lessi e rilessi quelle parole almeno una decina di volte, ne ero rimasto impressionato. Potevo capirlo benissimo, anche senza chiedere niente ad Harry, che il testo parlava della sua situazione in quel momento. Ma volevo delle spiegazioni, per capirlo meglio, e stargli il più vicino possibile.

“E questa da dove ti è venuta?”, chiesi, dopo aver riletto un’ultima volta quei quattro versi.

Lui alzò le spalle e non rispose.

“Harry … Non potrai tenerti tutto dentro per sempre. Io, Liam, Niall e Zayn, siamo qui per te, lo sai vero?”, insistetti.

Lui annuì con la testa, come se non mi avesse nemmeno sentito, poi aprì l’album, e prese a sfogliarlo. Mi arresi al suo silenzio, almeno per il momento, e guardai le foto con lui. La prima raffigurava Harry con un cappello grigio in testa, femminile. Nella seconda, c’erano lui e Gioia davanti al Tower Bridge, sorridenti, lui le cingeva le spalle con un braccio. La terza era una buffa rappresentazione della ragazza, in cui lei faceva una linguaccia, mentre in quelle dopo il riccio si aggiungeva a lei. E continuavano così, foto di loro due semplici amici, e di loro due innamorati, insieme. Foto scattate da loro, o dai paparazzi, leggermente sfocate o in alta definizione. Ma, in ogni caso, erano foto di loro due insieme e felici.

“Avete documentato proprio tutto, eh?”, buttai lì.

Harry sorrise.

“E meno male che l’abbiamo fatto … Quest’album è tutto ciò che mi rimane, Louis”, rispose finalmente.
Tu la ami ancora”, affermai.
“Sì”, rispose comunque lui, “Troppo”
“E allora che cosa fai qui? Vai da lei e diglielo, no?”, replicai.
“Non è così semplice”, rispose lui, chiudendo l’album di colpo.

Rimasi ad osservarlo, in attesa che si spiegasse meglio.

“Ma sì che lo è, Harry! D’accordo, dovrai mettere da parte l’orgoglio, ma credo che stare con lei valga molto più di questo”, dissi.

Harry continuava a non parlare, non capivo dove volesse arrivare. Vedevo che aveva bisogno di sfogarsi, di confidarsi, ma, per qualche motivo a me oscuro, non ci riusciva.

“Stai per diventare papà, per caso?”, chiesi, tentando di smorzare la tensione.
“No!”, esclamò lui, guardandomi storto.
“E allora che c’è di tanto difficile?”, chiesi, ancora una volta.

Il suo silenzio testardo stava cominciando ad irritarmi, e mi chiesi se non sarebbe stato più sensato andare direttamente da Gioia e farmi raccontare tutto. Ma non potevo farlo, per quanto le volessi bene, Harry veniva prima.

“Lei non vorrà vedermi mai più, ecco che c’è!”, rispose il riccio, portandosi le mani al viso.
“Non ci credo. Tu sei qui, e vedo come sei preso, e lei, posso solo immaginarlo, ma sono sicuro che non sta sicuramente meglio di te”, ribattei, “Quindi, perché stare lontani?”
“Ho … Ho fatto una cosa, in modo che lei non senta più il bisogno di vedermi …”, mormorò, a fatica.

Respirai a fondo, calmandomi un attimo, in attesa di sentire la spiegazione che, questa volta, sarebbe arrivata, lo sentivo.

“Cosa avresti fatto di tanto terribile, dai, dimmi …”, chiesi quindi.
“Le ho detto che mi vedo con un’altra”, rispose, secco.
“Ma allora sei un coglione!”, esclamai, alzandomi di botto dal letto.

Non ci potevo credere, non sapevo come convincermi del fatto che Harry avesse davvero detto una cosa del genere a quella ragazza. Che fossi sconvolto è dire poco. Harry mi fulminò con lo sguardo.

“Grazie mille della comprensione”, rispose, tagliente.
“Grazie della comprensione, Harry, ti rendi conto di come l’avrai ridotta dicendole questo?”, chiesi, provando a farlo ragionare.

Poi, un dubbio si fece strada in me.

“Harry … E’ una bugia, vero?”, chiesi, iniziando a tremare.

Lui mi guardò fisso negli occhi, poi sbuffò, come a deridere la mia domanda.

“Harry, sono serio. Dimmi che è tutta un’invenzione, per favore”, lo pregai, scandendo bene parola per parola.
“Sì, Louis, sì, è una balla, me la sono inventata perché lei non sentisse più il desiderio di stare con me e di vedermi”, rispose, portandosi poi di nuovo le mani al viso.

Girai per la camera, con le braccia incrociate sul petto, elaborando ciò che mi aveva appena detto. In quel momento, capii quanto Harry fosse davvero il più piccolo del gruppo, quanto fosse immaturo e, probabilmente, di quanto avesse bisogno di una sberla. Mentre riflettevo su questo, però, lo sentii sospirare forte, e tutta la mia rabbia venne meno. Tornai a sedermi accanto a lui sul letto, tenendo le mani incrociate tra le gambe. Harry si scoprì il volto, e si passò le mani sugli occhi, asciugando quelle poche lacrime che erano riuscite ad uscire, colorandoglieli comunque di rosso. Sospirò forte un’altra volta, poi mi guardò.

“Io la amo, Lou, sul serio”, confessò.
“Scusami, ma faccio fatica a crederti in questo momento”, ribattei, secco.

Lui alzò gli occhi al soffitto, borbottando un “Perfetto” che capii a stento.

“Ok”, sospirò ancora, “D’accordo”.

Aspettai, in silenzio.

“Tu sai cosa stava succedendo, vero? Le critiche, gli insulti, tutte quelle storie inventate. E sai bene anche che io sopporto fino ad un certo punto”, iniziò a spiegare.

Annuii, facendogli segno di continuare.

“So come ci si sente quando il mondo intero è contro di te, lo so bene. E io non voglio questo per lei, io voglio che lei abbia una vita normale, e felice, lontana da qualsiasi tipo di offesa”, continuò.

Finalmente cominciavo a capire qualcosa.

“Ma, stando con me, lei non può avere tutto questo. Stando con me, lei avrebbe soltanto giornate nere, giornate in cui rimpiangerebbe di avermi conosciuto, giornate in cui sarebbe più facile mollare tutto e tornare alla vita di sempre”, ipotizzò.

Chiusi gli occhi, ascoltandolo. Avevo sbagliato tutto: Harry non era un immaturo, anzi, lui aveva già pensato a tutto, mettendo al primo posto Gioia e il suo benessere, rinunciando a lei ed ai suoi sentimenti verso la ragazza.

“Perciò, ho preferito anticipare quel giorno, in cui sarebbe stata lei a lasciarmi, e soffrire un po’ adesso, prima che tutto diventasse più difficile”, concluse.
“Ho capito. Però lo sai che ora siete in due a soffrire, per un motivo che non ha senso, secondo me. E chissà quanto durerà questa cosa …”, dissi, nel tentativo di farlo ragionare.
“Louis, credimi, è meglio così, per tutti e due. Dovevo allontanarla, per forza. Lei ora starà soffrendo, lo so, e mi faccio schifo per quanto le ho detto. Ma prima o poi, incontrerà qualcun altro, e si dimenticherà di me”, replicò, convinto.
“Tu pensi davvero che sarà così facile? È probabile, invece, che non si fiderà più di nessun ragazzo”, ribattei.
“Meglio così, allora”, rispose, freddo.
“Che vuol dire?”, chiesi.
“Che non voglio saperla con nessun altro, se non con me”, spiegò.

Chiusi gli occhi, reprimendo l’istinto di schiaffeggiarlo un’altra volta. Mi alzai, deciso ad uscire da quella camera: non volevo mettere in pericolo la nostra amicizia, il riccio aveva già combinato abbastanza guai nella sua vita.

“Louis”, mi chiamò Harry.

Mi voltai, fulminandolo.

“Promettimi una cosa”, iniziò.

Lo guardai, curioso.

“Promettimi che non ti metterai in mezzo a questa storia”, chiese.

Strabuzzai gli occhi, non potevo credere che mi avesse chiesto una cosa del genere.

“Non posso farlo, Harry. Io le voglio bene, è come se fosse un’altra sorella minore. Non chiedermi di lasciarla soffrire così”, ribattei.
“Io sono uno dei tuoi migliori amici”, replicò.
“Mi stai chiedendo di scegliere?”, indagai, incredulo.

Lui rimase in silenzio. Sapevo già come sarebbe andata a finire. Non potevo tradire Harry, anche se sapere che Gioia sarebbe stata male per chissà quanto tempo, a causa di una bugia, mi distruggeva. Mi avvicinai alla porta.

“Non chiedermi nient’altro, Harry, niente che abbia a che fare con questa storia”, dissi, aprendo la porta, “Pensaci bene”.

Poi uscii, e lo lasciai solo con i suoi pensieri e le sue convinzioni. Mi sentii in colpa per il fatto che avrei potuto risolvere la situazione in un attimo, ma ero legato, costretto a farmi i fatti miei, cosa che mi dava più fastidio di tutta quella situazione assurda.
Harry, in qualche strano modo, aveva ragione: Gioia sarebbe stata meglio senza tutte le attenzioni dei media a cui sarebbe stata sottoposta stando assieme a lui. Ma in quel momento, sia lei che Harry, stavano soffrendo in un modo innaturale, un modo che non riuscivo nemmeno ad immaginare. Loro si amavano, eppure non potevano stare insieme. Non sarebbe dovuta andare così.
Ma, di lì a poco, la ragazza sarebbe tornata in Italia, e, con un po’ di tempo e fortuna, sarebbe riuscita a riprendere in mano la sua vita e a stare meglio. Quanto ad Harry, ero deciso a stargli vicino il più possibile, finché non si sarebbe sentito bene di nuovo anche lui.

Ma, per quanto riguardava il mio coinvolgimento in quella storia, mi chiamai fuori. Decisi di continuare come se niente fosse stato, sapendo comunque che Gioia mi sarebbe mancata da morire, a me come a Niall, Zayn e Liam. Li raggiunsi in salotto, e venni accolto da tre paia di occhi curiosi, impazienti di ascoltare ciò che avrei raccontato loro. Dopodiché, quella storia per me sarebbe stata chiusa, in un angolo del mio cuore, possibilmente per sempre.



Curly space:
Yayyyyyyyyyyyyyyyyyyy sono tornataaaaaaaa finalmente! Mi mancava troppo la mia storiella bella (?) :D
Allora, intanto scusate il ritardo, d'ora in poi dovrei riuscire ad essere più puntuale, prometto :) Colgo l'occasione per ringraziare coloro che hanno aspettato pazientemente e che non hanno mollato la mia piccola <3 Grazie :D

Quindi, qui ci sono un bel po' di cose da dire...

Intanto, finalmente svelato il mistero per cui Harry ha deciso di lasciare Gioia. Quanto dolce è questo ragazzo?! *-* (cioè, se mi fa una cosa del genere gli strappo i capelli, ma sapendo cosa gli passa in quella testolina riccia, potrei perdonarlo ;)
Poi, Louis, il nostro Lou: questo è il suo capitolo, che cosa ve ne pare? E' stata una sfida per me, provare ad entrare nel suo personaggio, ma spero di essere riuscita a renderlo bene... Vorrei anche io un amichetto come il Tommo, che si incazza un sacco, però sai che ti vuole un bene dell'anima... *-* Aweeeee :3
Come avrete sicuramente notato, sono riuscita ad infilare in questo capitolo Something great (sì, è la mia canzone preferita dell'album, ma chissenefrega), e di questo devo ringraziare/incolpare Tommos_girl93 che, al primo ascolto di questo pezzo ha avuto l'ideona di dirmi: "Sembra la tua storia". E così, eccoci qui, mi pareva potesse starci, ma sarete voi a darmene la conferma o meno... Vero? :D

Bene, dovrei aver finito con i miei scleri, a momenti sono più lunghe le note del capitolo, e quindi passiamo a voi:
GRAZIE a Italian_Directioner e justin 1394 per aver aggiunto la storia alle Seguite :)
GRAZIE a AdryLOL per aver recensito :)
E un GRAZIE speciale a Nanek per il banner <3 

Alla prossimaaaaaaaa! :)
Curly crush <3

PS: grazie a tutte quelle che continuano a leggere, mi rende enormemente felice vedere che le visite salgono ogni giorno... :D 
Ah, e ho notato che alcune di voi sono piuttosto contrariate per la fine di questa relazione... Sono trooooooppo contenta che la coppia Giohaz vi piaccia così tanto insieme! *-* Continuate a leggere, non vi deluderò! 
PS2: Grazie Loueeeeeeeeeeh! ;)

 

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Capitolo 44
*** Now she's feeling so low, since she went solo ***


Now she's feeling so low, since she went solo

 

Tre settimane. Ormai ero tornata in Italia quasi da un mese e sentivo ancora le parole di Harry echeggiarmi in testa, la notte, prima di riuscire ad addormentarmi così da non pensarci. Era più forte di me, non riuscivo a controllare i miei pensieri, i miei ricordi, mi invadevano ogni qualvolta mi trovassi sola, senza un’occupazione precisa, ed era devastante come sensazione. Pensavo che non sarei mai riuscita a riprendermi, a voltare pagina, e a dimenticare Harry e quei pochi mesi assieme a lui.

Lasciando Londra, qualche settimana prima, mi ero sentita sola, addirittura più di quando ci ero arrivata. Ana e Jake mi avevano accompagnata all’aeroporto, e salutarli era stato davvero difficile. Anche Ana, di lì a qualche mese sarebbe tornata a casa, mentre Jake, escluso qualche possibile viaggio, sarebbe rimasto a Londra. Dire addio a quelle due persone, le prime che mi avevano accolta ed aiutata in quella città, fu come lasciare parte del mio cuore a loro, provocando un enorme vuoto dentro di me. Jake mi aveva stretta forte, fino quasi a togliermi il fiato, poi mi aveva guardata fisso negli occhi e si era raccomandato che stessi bene.

Lui sapeva tutto, come Ana, mi ero confidata con loro qualche giorno dopo la rottura con Harry. Jake non mi aveva rinfacciato niente, come invece mi sarei aspettata, e questo non fece che aumentare la mia gratitudine verso di lui. Piuttosto, mi aveva presa sottobraccio, e, come dopo il mio primo giorno di lavoro al pub, mi aveva offerto da bere, dicendomi che Harry non sapeva cosa si stesse perdendo lasciandomi andare così. Era stato un amico vero, sincero, non mi aveva mai mentito, mi aveva sempre detto ciò che pensava, mettendosi anche contro di me, ma, alla fine, dovetti riconoscere che se non avessi avuto lui sarei stata persa.

Ana, invece, reagì molto più bruscamente alla notizia di ciò che era successo con Harry. Ma, forse, avrei dovuto aspettarmelo, lei era una ragazza, come me, e, per solidarietà femminile, avrei dovuto prevedere la sua reazione semitragica. Non avevo mai visto Ana veramente arrabbiata, e quel pomeriggio decisi che era stato meglio che tra noi fosse sempre filato tutto liscio. Aveva preso il tradimento di Harry come un’offesa personale, e aveva tentato in tutti i modi di farsi dire dove lui ed i ragazzi abitassero, per “andare a dirgliene quattro, a lui e ai suoi amichetti famosi”. Ad un certo punto ero addirittura scoppiata a ridere, era talmente buffa, ma la mia momentanea leggerezza non fece che aumentare il suo astio verso il ragazzo, e cominciò a borbottare che avrebbe potuto passare alle mani, anche se era solita non farlo.

In ogni caso, dopo lo shock iniziale, sia lei che Jake avevano deciso di non intromettersi, anche se entrambi, ora, non vedevano di buon occhio né Harry, né gli altri ragazzi, per qualche motivo oscuro. Avevo tentato di correggerli, di dire loro che Louis e Zayn mi erano stati vicini, mi avevano aiutata, ma per loro erano tutti uguali, tutti montati e non sarebbero cambiati. Lasciai perciò cadere il discorso, e chiesi loro se mi avrebbero accompagnata ad Heathrow il giorno della partenza.

E così fu. Il 14 aprile, Jake ed Ana erano lì con me, a riempire il vuoto che qualcun altro aveva lasciato. Dal momento in cui avevo messo piede in aeroporto, fino a quello in cui avevo superato il check-in ed ero sparita dalla visuale dei miei amici, mi ero sentita strana, osservata, come se qualcuno non mi avesse persa di vista un attimo. Più volte mi ero guardata attorno, ma non avevo visto niente di insolito, così dopo un po’ ci avevo rinunciato, rendendomi più socievole con Jake ed Ana.

Il viaggio in aereo era stato noioso, e più lungo di quel che mi ricordavo, forse perché non ero ancora pronta a tornare ed affrontare le mille domande che mi sarebbero state poste. Invece, contro ogni previsione, la mia famiglia e gli amici di sempre mi accolsero come se non fosse successo niente, come se non avessero visto le mie foto con Harry fare il giro del mondo durante quei mesi. Per loro ero sempre io, Gioia, la ragazza timida ma spiritosa che conoscevano da anni. Nessuno, né in famiglia, né all’università, né durante le uscite del sabato sera, toccò l’argomento Harry. Ovviamente, mi chiesero di raccontare la mia esperienza a Londra, ed era inevitabile che il suo ricordo mi tornasse alla mente ogni qualvolta descrivessi tutto ciò che avevo fatto.

Ma, comunque, anche se mi sforzavo di riprendere la mia normale vita, io ero cambiata. Certo, uscivo, andavo a lezione, cercavo di stare più tempo possibile assieme alle mie amiche, ma poi, quando restavo sola, o tornavo a casa, mi chiudevo in me stessa e parlavo solo per dare risposte secche alle domande che mi facevano i miei sulla giornata trascorsa. Il ricordo di Harry sembrava davvero non volermi lasciare in pace.

Avevo tentato di eliminare qualsiasi cosa potesse ricordarmi di lui: la collana che mi aveva regalato a Natale, la sua maglietta, ed altri regali, erano finiti in una scatola, infilata in fondo ad un cassetto; le foto che avevo nel cellulare, dopo aver pensato per qualche istante ad una possibile eliminazione definitiva, erano state trasferite in una cartella del computer, non avevo avuto il coraggio di cancellarle; tolsi il collegamento a qualsiasi pagina in Internet che parlasse dei One Direction, così da non averne più notizie. Mi dispiaceva dover tagliare i ponti con tutti loro, specialmente con Louis, che mi ero abituata a vedere come il fratello maggiore che non avevo, ma avevo dovuto farlo poiché, qualsiasi cosa riguardasse loro, riguardava anche Harry. E non volevo più sentire parlare di lui, non volevo più vederlo, volevo dimenticarlo, far finta che non ci fosse mai stato.

Ma, alcune delle notizie, chissà come, mi arrivavano comunque. Come quella della rottura tra Liam e Danielle, che mi portò una grande tristezza, e mi chiesi perché anche loro avessero deciso di finirla. Fui tentata di scrivere a Danielle, ma poi cambiai idea, sarebbe stato come rimanere legata al passato, per me come per lei. Scorsi i numeri in rubrica, fermandomi su quello di Harry, prima, e su quello di Louis, poi. Come per le foto, non ero ancora riuscita ad eliminare quell’unico collegamento che ancora avevo con loro. Premetti “Elimina”, e la schermata si illuminò di un’altra domanda: “Eliminare contatto?”, seguita da “Sì” e “No”. Chiusi gli occhi, poi annullai l’operazione. Ero un’idiota, una codarda, non avevo il coraggio di andare avanti, di dire addio per sempre a quella storia che non faceva altro che distruggermi sempre di più.

Un’altra news che arrivò rapida alle mie orecchie e alla mia vista, fu proprio quella della fine della mia storia con Harry, il giorno stesso del mio rientro in Italia. Non so chi avesse parlato, l’articolo su Sugarscape parlava del solito insider di cui nessuno conosce mai l’identità. Uno dei ragazzi, forse? Neanche a parlarne, ci mettevano anni a confermare il semplice fatto di uscire con qualcuno, figurarsi annunciare la rottura di uno dei compagni di band. Qualcuno dello staff, ma nemmeno loro dovevano essere così interessati al divulgare la notizia in fretta. I miei amici, no, non l’avrebbero mai fatto. In ogni caso, c’erano un paio di foto scattate all’aeroporto che ritraevano me, Jake ed Ana al momento dei saluti, seguite dalla didascalia che chiedeva perché Harry non fosse lì presente. A seguire, la dichiarazione di questa talpa, che confermava la nostra rottura, ma non ne spiegava i motivi. In conclusione all’articolo, una foto con me ed Harry ai Brit, e la solita frase fastidiosa: “Il nostro Hazlan è quindi tornato sul mercato, ragazze, sempre che non abbia dei ripensamenti”. Risi di quella chiusura, di una risata amara, in quanto Harry non era per niente tornato sul mercato, anzi. Ma questo lo sapevo solo io, anche se non avevo nessuna intenzione di vantarmene.

La mia famiglia sopportò la mia assenza mentale per circa due settimane, poi decise di tirarmi fuori dal mondo in cui mi ero rinchiusa. Fu mia madre a scuotermi, un pomeriggio in cui, non avendo lezioni, ero rimasta a casa, o meglio, mi ero chiusa in camera ad ascoltare musica, lasciando il cellulare e qualsiasi possibilità di contatti umani fuori dalla mia stanza.

“Posso?”, chiese, dopo aver bussato.
“Sì, vieni”, risposi, togliendo le cuffiette.

Entrò in camera, e si sedette sul letto con me.

“Andiamo a fare un po’ di shopping?”, propose, sorridendo.

L’idea, in un primo momento, mi allettò parecchio, ma poi pensai che uscire, vedere gente, rispondere a domande su cosa mi piacesse, che gusti avessi in fatto di abiti, non avrebbe fatto altro che annoiarmi e mettermi di malumore. Così, guardai la mamma, e le dissi che avevo da studiare.

“Gioia, è ora di finirla”, sbottò.

La guardai, con aria indifferente, se di solito il suo malumore mi faceva sentire in colpa, questa volta proprio non mi toccò.

“Sono due settimane che sei tornata, e sappiamo tutti che cosa è successo …”, disse, ma non la lasciai continuare.
“Bene, allora perché non mi lasciate stare?”, ribattei.
“Hai 20 anni, non puoi ridurti così a causa di un cretino!”, replicò lei, arrabbiata.
“Non è un cretino!”, gridai, senza pensarci.

Perché lo stavo difendendo, dopo tutto quello che mi aveva fatto?

“Perciò, uno che dopo tre mesi ti molla perché si è trovato un’altra senza tanti problemi, non è un cretino?”, chiese, lasciandomi di stucco.

Non le avevo mai detto che io ed Harry ci eravamo lasciati per quel motivo, avevo sempre tentato di tenerlo nascosto. Ero davvero così trasparente?

“Tesoro, non sono scema, ci arrivo alle cose. Se ci stai così male, non è possibile che vi siate lasciati per la distanza o qualsiasi altro motivo così semplice. Ti vedo, sei arrabbiata, delusa, e questo può significare soltanto che lui ha tradito la tua fiducia”, spiegò, addolcendosi nei toni.

La tensione che avevo accumulato in quelle settimane, la difficoltà con cui avevo lasciato l’Inghilterra, la delusione, la rabbia, la frustrazione per tutto ciò che era successo, tutto in quel momento, al sentire le parole della mamma, si riversò fuori di me, permettendomi finalmente di sfogarmi, di riuscire ad esprimere ciò che avevo dentro anche con lei, senza il timore che mi giudicasse o mi reputasse una scema ed ingenua ragazzina. Mi buttai tra le sue braccia, facendomi cullare come quando ero piccola, godendomi le coccole che scoprii essermi mancate moltissimo.

“Andrà tutto a posto, Gioia, stai tranquilla …”, sussurrò la mamma, strofinandomi la schiena.

Annuii, poi mormorai un “Grazie” rivolto a tutto quello che lei faceva ed aveva sempre fatto per me, ma che molte volte non avevo capito quanto importante fosse.

“Va bene, adesso ti lascio stare, ma cerca di riprenderti, per favore. Rivoglio la mia bambina felice che ride per cavolate”, disse poi, alzandosi dal letto.

La guardai ancora, asciugandomi gli occhi.

“Stai sicura che lo farò, mamma. Sono stufa di stare così. Da domani tornerò quella di sempre, lo prometto”, risposi, tentando un sorriso.

E dicevo sul serio. Non avevo nessuna intenzione di rimanere a piangermi addosso un minuto di più. Certo, quello che c’era stato con Harry era stato bellissimo, escludendo l’ultimo periodo, ma dovevo andare avanti con la mia vita, provando a dimenticare lui e la nostra storia. Sarebbe stato difficile e doloroso, ma dovevo farlo per il mio bene, era una cosa necessaria. 


Curly space:
Wohooooooo buone feste a tutti, la Curly è tornataaaaaa! :)
Giuro, giurissimo che questo è l'ultimo capitolo così deprimente! (Non ne posso più neanche io di far stare male la povera Gioia u.u)
Comunque, qui abbiamo il ritorno a casa della nostra protagonista, con vari flashback della partenza... Almeno ha degli amici simpatici, no? E una mamma che si preoccupa, yeeeeee!
Vabbè, basta, non so cosa dire, spero che il capitolo vi piaccia e che non lo troviate noioso... ;)

Passiamo a voi:
GRAZIE a IgLovepn per aver recensito :)
GRAZIE a asia brancatelli69 e r a i n b o w_ per aver messo la storia nelle Preferite :)
GRAZIE a Orsolarosa98 per averla Ricordata :)
GRAZIE a Marcella_98 e r a i n b o w_ per averla Seguita :)
E grazie a tutte quelle che continuano a leggere, vi voglio taaaaaaaaanto bene <3 

Alla prossima, con un altro capitolo dalla parte del nostro neo ventiduenne Lou! ;)

Curly crush ;)

P.S: non sono riuscita a mettere il banner, Internet non me lo carica, scusate -.-

 

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Capitolo 45
*** You know I'll be your voice ***


You know I'll be your voice

 
- Louis -
… And I will look after you

Quella sera mi ero ripromesso -come almeno altre dieci volte- che sarei andato a letto presto, e, come al solito, la buona intenzione era andata a farsi benedire. Ma cosa potevo farci? Eravamo in tour e, tra una cosa e l’altra, andare a dormire presto era una specie di battuta a cui tutti, compresa la piccola Lux, ridevano di gusto. Fosse stata una situazione normale, sarei stato il primo ad invitare gli altri a fare festa, ma, dopo quasi tre mesi di tour, di cui le ultime due settimane in giro per l’Europa con un bus, lo spirito festaiolo veniva meno, lasciando posto all’amore incondizionato per il letto.

Così, anche quella notte, per accontentare tutti, ero uscito a fare un giro, e non mi ero coricato prima delle due e mezza del mattino. Ma c’era chi, al mio contrario, aveva poco sonno e tanta voglia di vivere: Harry, infatti, non era ancora rientrato, e questo fatto mi metteva una leggera ansia. Certo, sapeva badare a se stesso, ma temevo che avrebbe potuto combinare qualche cavolata. Sicuro che l’avrei sentito rientrare, stando nella stessa camera dell’hotel berlinese che i manager avevano scelto, mi infilai sotto le lenzuola, e chiusi gli occhi, respirando a fondo prima di addormentarmi.

Stavo finalmente dormendo, forse da poche ore, forse da minuti, quando sentii una voce che mi chiamava. Inizialmente pensai ad un sogno, e lasciai correre, girandomi dall’altro lato.

Louis! Ehi, Lou!

Come sogno era piuttosto insistente, avevo pensato. La voce non mi era del tutto sconosciuta, ma, complice la stanchezza e la poca voglia di darci peso, non riuscivo a capire a chi appartenesse.

“Louis, mi senti?”, sentii bisbigliare, di nuovo.

Mugugnai un “Lasciami stare” nel sonno, e mi tirai le coperte fino al mento. A quel punto, qualcosa si buttò su di me con tutto il suo peso, ed io fui costretto ad aprire gli occhi di colpo, saltando a sedere sul letto. Accesi la luce sul comodino, e guardai la figura che, ridendo a crepapelle, mi stava distesa sulle gambe.

Haz! Ma sei completamente impazzito?”, gridai, dimenticandomi per un secondo che fosse notte fonda.

Presi il cellulare dal comodino, e illuminai lo schermo.

“Sono le quattro del mattino, cosa ti salta in testa?”, chiesi, abbassando il tono.

Harry si sedette sul bordo del letto, permettendomi di piegare le gambe ed incrociarle, mentre continuava a ridacchiare.

“Sono appena tornato”, disse, sorridendomi.
“Questo l’ho notato”, risposi, osservando la camicia aperta fino a metà torace sotto la giacca scura, i jeans neri stretti, e i suoi soliti stivaletti da nonno.
“Certo che hai il sonno pesante tu, eh?”, mi rimbeccò.
“Harry, hai visto che ore sono? Domani, anzi stasera, abbiamo un concerto, forse faresti meglio a dormire anche tu un po’”, lo ripresi.

Mi sembrava di essere suo padre, in alcune occasioni, ma andava bene così. Harry sbuffò davanti al mio rimprovero, poi, come se non avessi detto niente, continuò a parlare.

Mi è venuta un’idea”, affermò.

Senza riuscire a trattenermi, gli sbadigliai praticamente in faccia.

“Oh, grazie Lou, sei molto interessante anche tu”, disse, senza togliersi quel sorrisetto impertinente dalla faccia.
“Harry, hai bevuto?”, chiesi, conoscendo già la risposta.

Harry mi guardò, mostrandomi il suo sorriso “da foto ufficiali”, così lo chiamava: bocca aperta, a mostrare i suoi trentadue denti perfettamente allineati, ed occhi spalancati. Adorabile, ma falso come Giuda. Il sorriso che usava, per l’appunto, quando aveva combinato qualcosa, e non aveva il coraggio di ammetterlo.

“Forse, un pochino”, rispose comunque.

Mi passai una mano sugli occhi, strofinandoli.

“Quanti bicchieri, Harry?”, insistetti.

Il riccio sbuffò di nuovo, questa volta anche aggrottando la fronte.

“Dai, Louis, non lo so, qualcuno … Sto bene, ok? Stai tranquillo!”, ribatté, scalciando via le scarpe.

Appoggiai il mento alla mano, tenendomi su la testa, e sentendo gli occhi minacciare di chiudersi nuovamente.

“Comunque, stavo dicendo, ho avuto un’idea”, riprese.
“A proposito di cosa?”, chiesi.
Gioia”, disse soltanto, sorridendo al solo pensiero della ragazza.
“Oddio, se è un’altra trovata come quella di andarla a ‘salutare’ all’aeroporto, non voglio nemmeno sentirla!”, esclamai, alzando gli occhi al cielo.

Harry mi lanciò un’occhiata storta: anche se ubriaco, capiva benissimo il mio umorismo da zitella acida. Ma non poteva biasimarmi. Quando era entrato a casa a testa bassa, dicendo che era andato all’aeroporto a vedere la sua ex ragazza partire per l’Italia, non ero riuscito a trattenermi.

“Ma sei pazzo? E non ti ha visto nessuno? Harry, davvero, stai perdendo la testa!”, lo avevo rimproverato, tenendomi le mani per non assalirlo.
“Mi sono nascosto bene, tranquillo, so come sfuggire ai paparazzi, lo sai. E comunque non ce n’erano, almeno per quanto ho visto io”, mi aveva spiegato.
“Sei incoerente, Harry, davvero. Non ti capisco quando fai così”, avevo ribattuto io.

Lui mi aveva guardato, con lo sguardo da cane bastonato, e aveva detto che voleva vederla almeno un’ultima volta, anche senza parlarle. A quel punto non avevo potuto far altro che abbracciarlo, anche se ero contrario a questa sua idea. Era un controsenso vivente, il mio amico, ma, in qualche modo, riuscivo a capirlo. La ragazza gli mancava davvero tanto, e la settimana in cui entrambi erano a Londra, ma non si erano incontrati a causa della rottura, era stata parecchio difficile: un minuto prima, Harry voleva correre da lei e spiegarle tutto, sperando di essere perdonato, e quello dopo, si buttava sul divano, coprendosi il viso con le mani e si autoconvinceva che lasciarla andare per la sua strada fosse la cosa più giusta da fare. 

“No, ti assicuro che è molto meglio come idea”, rispose infine, riportandomi a Berlino.
“Facciamo che ora dormiamo, e me la racconti domani, ok?”, proposi.

Harry fece spallucce, poi si alzò e si diresse verso il bagno. Avevo vinto, almeno per quella notte. Mi rimisi a letto, sperando che, grazie al sonno e alla sbornia, dimenticasse qualsiasi cosa gli fosse girata per la testa. Non che non volessi aiutarlo, ma mi aveva strappato una promessa, e preferivo mantenerla, per salvaguardare la sua, e la mia, sanità mentale.     

Ma mi ero sbagliato. Il mattino dopo, alle otto e mezza, Harry era in piedi, accanto al mio letto.

“Louis, forza, è ora di alzarsi!”, esclamò, facendomi la grazia di tenere la voce bassa.

Mugugnai qualcosa di insensato, e tenni gli occhi chiusi, non avevo nessuna intenzione di alzarmi.

“Lou, dai, dobbiamo andare a fare colazione, e poi partire per Amburgo”, insistette Harry, scuotendomi con una mano.
“Non ho voglia di fare colazione, vi raggiungo dopo sul bus”, riuscii a rispondere.
“Ok, allora mi tocca passare alle maniere forti”, decise, un attimo prima di togliermi le coperte di dosso.

Il freddo della stanza mi colpì il corpo quasi con violenza; in realtà la temperatura non era così bassa, ma mi ero abituato al piacevole tepore delle coperte. Serrai le labbra, respirando a fondo, poi mi arresi ed aprii gli occhi. Harry mi stava fissando, già completamente vestito, con le braccia incrociate ed una faccia da sberle, aspettando che mi alzassi.

“Ti odio, Harold”, borbottai.

Harry scoppiò a ridere, poi andò verso la finestra e la spalancò.

“Dì, Harry, sei ancora ubriaco, vero?”, chiesi, mettendo i piedi a terra.
“No, sto benissimo, ho preso una pastiglia per il mal di testa”, rispose, sorridendo.
“E com’è che sei più sveglio di me? Hai dormito solo quattro ore!”, protestai.
“E’ l’adrenalina, Lou”, spiegò, “E poi, ho anche l’età a mio favore”, aggiunse, ammiccando.

Con una velocità che non pensavo di avere, date l’ora e la notte appena passata, afferrai il cuscino e glielo tirai addosso, facendolo barcollare per un istante. Ci mettemmo a ridere tutti e due, poi mi decisi ad alzarmi definitivamente, mi vestii e scesi con il riccio a fare colazione, trovando già lì Zayn, Niall e Liam, tutti in una situazione molto simile alla mia: occhi stanchi, sbadigli a go go, e tanto silenzio durante la colazione.

Mentre sistemavamo le ultime cose in camera, Harry mi espose la sua idea, avuta la notte precedente. A sentirlo parlare, sembrava ci avesse pensato parecchio, perciò dedussi che l’alcool in realtà gli avesse soltanto fatto trovare il coraggio di rivelarla. Dovetti ammettere, in cuor mio, che era una trovata davvero intelligente e dolce, forse anche troppo per me, ma non l’avrei fatto capire a Harry. Non volevo vederlo di nuovo negli stati in cui si era trovato subito dopo aver lasciato Gioia. Avevamo concluso il tour inglese con varie difficoltà, Harry non era al massimo e noi non sapevamo come comportarci, gli stavamo vicini il più possibile, ma il lavoro era lavoro, quindi, una volta saliti sul palco, tutti, compreso lui, eravamo costretti a sembrare entusiasti e dare il meglio di noi, per non deludere le fan. Ma questo, per Harry, si era rivelato troppo, per lui era difficile far vedere quello che non era veramente.

Durante la pausa, prima del tour europeo, era andato qualche giorno ad Holmes Chapel per riposarsi, e quando era tornato a casa, tutti l’avevamo trovato trasformato, come nuovo. Stava bene, sorrideva, faceva le sue solite battute da far cadere le braccia, e, se qualche volta parlavamo di qualcosa collegato all’Italia e quindi a Gioia, si limitava a sorridere in silenzio, senza cadere in depressione. Era, insomma, il nostro Harry. Ripreso il tour, poi, era come rinato un’altra volta, usciva più che poteva, visitava le città in cui ci fermavamo per i concerti, e sembrava quasi aver dimenticato la ragazza. Ma, evidentemente, era tutta apparenza, era ciò che voleva farci credere. O forse, non lo faceva apposta. Lui stava bene davvero, questo lo vedevamo tutti, ma ciò su cui ci eravamo sbagliati era proprio la questione Gioia. Lui non l’aveva dimenticata, né tantomeno voleva farlo, stava soltanto pensando ad un modo per riprendersela. E qui, secondo lui, entravamo in scena io ed i ragazzi.

Proprio per la paura che soffrisse ancora, sentii di dovergli dire “No”, di bocciare immediatamente la sua idea, e lui ne restò sorpreso, quasi colpito nel profondo.

“Ma, Louis, dai, per favore!”, mi pregò.
“No, Harry, mi dispiace, ma mi hai fatto promettere una cosa, e non voglio rimangiarmi la parola”, mentii.
“Ma ti sto chiedendo io di farlo!”, protestò.
“Harry, no. È una cosa impossibile. E poi non ci sono solo io nel gruppo, dovresti chiedere anche ai ragazzi se per loro va bene, e poi ai manager … Lascia perdere”, dissi, chiudendo il discorso.

Ma per il riccio, determinato com’era, la discussione non era chiusa per niente. Alzò le spalle, si caricò il borsone in spalla ed uscì dalla camera d’albergo, diretto, molto probabilmente, da Liam, Niall e Zayn. Salimmo sul tour bus, allegri come ogni volta, facendo dannare Paul e il resto della sicurezza, poi partimmo verso Amburgo, dove avremmo avuto il concerto quella sera. Guardai Harry, mentre, con entusiasmo, spiegava la sua soluzione ai ragazzi, ed iniziai a tremare quando capii che loro l’apprezzavano ed erano d’accordo con lui.

“Beh, grazie per l’appoggio, ragazzi. Ma qui c’è qualcuno che non la pensa come voi …”, disse il riccio, voltandosi appena per fulminarmi.
“Louis, ma perché? È così bella come idea!”, mi interpellò Zayn, con sguardo sorpreso.

Li guardai, uno ad uno, Zayn, Niall e Liam, e capii che avevo già perso in partenza. I loro occhi brillavano quasi, si vedeva lontano chilometri che erano entusiasti di quella novità, così sospirai, e mi rivolsi a Zayn.

“Sì, d’accordo, anche a me piace”, ammisi, “Ma se poi non funziona? Chi raccoglie Styles con il cucchiaino come l’ultima volta?”
Noi, ovviamente! Lo scopo di stare in un gruppo mi pare proprio questo, no? Aiutare quello che si trova in difficoltà, stargli vicino, risolvere i problemi”, si intromise Niall.

Harry gli saltò letteralmente addosso, provocando la risata sguaiata del biondo, e la reazione immediata di Paul.

“Marmocchi, un po’ di silenzio lì dietro, distraete l’autista!”, ci gridò dal sedile anteriore.

Gridammo uno “Scusaci” collettivo, seguito da un’altra risata. Poi riprendemmo il discorso.

“Beh, mi pare di capire che siete tutti d’accordo con Harold, quindi”, constatai, osservando Liam che annuiva al mio sguardo inquisitore.
“Va bene, allora, mica posso fare il cattivo della situazione”, sospirai poi.

Harry mi si avvicinò, e quasi mi stritolò, stringendomi in un forte abbraccio.

“Grazie Lou, sei il migliore”, mi sussurrò.
“Sì, sì, prego. Ma guarda che lo faccio solo per quella poveraccia italiana, immagino come stia ora”, scherzai.

Alla fine, accettando di accontentare Harry, mi resi conto di aver fatto la cosa giusta. Il sentimento di pessimismo che sentivo dentro quel mattino era scomparso, lasciando posto ad una nuova speranza. Sarebbe andato tutto per il verso giusto, me lo sentivo. Quando proponemmo la cosa ai manager, quasi mi venne da ridere: accolsero la proposta con un entusiasmo che sfiorava quello di Harry, dissero che una canzone in più non avrebbe fatto altro che raccogliere consensi. Cominciammo perciò ad organizzare tutto, per il momento parlandone tra noi, poi, quando saremmo scesi dal bus, avremmo fatto qualcosa di più concreto. Avevamo una settimana esatta per preparare tutto alla perfezione.

Osservai Harry: aveva gli occhi che brillavano, mentre ci metteva al corrente di tutto ciò che aveva in testa, poi, quando mi rivolse lo sguardo per farmi quell’ultima richiesta, non potei far altro che sorridere, estrarre il telefono dalla tasca, e digitare il messaggio da inviare alla ragazza. Ancora pochi giorni e saremmo stati in Italia, per quei due concerti a Verona e Milano. Ed era proprio a Verona, una delle città più romantiche che esistano, ambientazione di Romeo e Giulietta, che si sarebbe svolto il nostro piano: con una cornice così, non poteva che funzionare, mi dissi.

Sperai con tutto il cuore che Gioia non facesse mosse strane, che accettasse il compromesso che le avevo offerto, e si facesse vedere al concerto. Io avevo fatto quello che potevo, la parte difficile, per lei ed Harry, sarebbe venuta dopo. Ma su questo non potevo metterci mano, avrebbero dovuto fare tutto da soli. Io non poteva far altro, assieme agli altri, che sperare che tutto andasse per il verso giusto. 



Curly space:
Eeeee la Curly pubblica di nuovo in orariooooooooooooo! Wohooooooooo! *starts the party*
Beh, intanto, buon anno a tutti! <3 
Ho un po' di cose da dirvi: 
1. Se non avete capito troppo bene il piano del nostro Harold, no problema, l'ho fatto apposta per tenere la sorpresa per il prossimo capitolo! ;) 
2. *faccia tristissima* Mancano 3 o 4 capitoli alla fine. D: Non è possibileeeeeee! Questa storia è quasi finita, dopo quasi un anno... Wow. Mi manca già...

Comunque, passiamo al capitolo :) Cosa ne dite? Harry sembra stare molto meglio, e io continuo a volere un amico come Louis. E' troppo dolce il Tommo :3 E anche quegli altri tre, comunque, che supportano Harry e le sue ideone... ;) Cari <3
Spero che vi piaccia, ci ho messo davvero tanto impegno a scrivere questa parte, e ho provato ad immaginare come siano i ragazzi in tour, insieme... *fa le valigie e li raggiunge* Davvero, spero di essere riuscita a rendere l'impressione più giusta... ;)

Ora passiamo a voi:
GRAZIE a IgLovepn per la recensione :D
GRAZIE a aenima per aver messo la storia tra le preferite :D
GRAZIE, come sempre, a voi che continuate a leggere, e spero che (almeno un po') vi dispiaccia che questa storia stia per finire, così almeno so che c'è qualcun'altro che soffre con me. =P

Alla prossima, 
Curly crush <3 

 

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Capitolo 46
*** Still the one ***


Still the one


 
Ehi, nanetta! ;) Come stai? Ci manchi, qui. Il tour procede bene, fra poco saremo in Italia, contenta? Anzi, ti mando un biglietto per lo spettacolo di Verona, così ci salutiamo per bene, anche Niall, Liam e Zayn non vedono l’ora :) Non tirare pacco, sei obbligata a venire! Lou xx

 Ecco. Chi poteva essere, se non Louis William Tomlinson, il primo che avrebbe annientato tutti i minimi progressi che ero riuscita a fare in quel breve periodo? Ricevetti il messaggio durante un pomeriggio in cui mi ero messa seriamente a studiare per l’imminente sessione di esami. Facile immaginare come proseguii nel mio intento.

La vibrazione del cellulare mi aveva già distratta un paio di volte, ma a scrivermi era un’amica che aveva bisogno di un chiarimento sulla materia da studiare. Così, la terza volta, presi il cellulare, sicura che fosse ancora lei, e sbloccai la tastiera, senza troppa attenzione. Sfiorai di poco l’infarto quando lessi il nome del mittente: Louis :). Restai a fissare lo schermo del cellulare per cinque minuti buoni, incerta se aprire o no il messaggio. Poi mi feci coraggio e premetti su “Leggi”. Il saluto iniziale mi fece sorridere, come del resto tutto il testo del messaggio, ma mi resi conto di una cosa, che avevo tentato di ignorare fino a quel momento per stare bene. “Ci manchi, qui”. Rilessi quelle parole una decina di volte, realizzando ciò da cui ero fuggita nell’ultimo mese.

Anche loro mi mancavano. Immensamente. Nei mesi in cui ero stata a Londra, con Harry e con loro, mi ci ero affezionata davvero molto, e sapevo che staccarmene sarebbe stato difficile, ma non immaginavo così tanto. I sorrisi di Louis, Niall, Zayn e Liam mi tornarono alla mente, assieme ai discorsi fatti e a tutti i loro scherzi, primo fra tutti quello all’università. Mi ritrovai a sorridere come una scema, ricordando la figuraccia con il professore e l’imbarazzo che avevo provato in quel momento. Ripensai alle loro risate, alle loro voci, quella più acuta di Louis, quella difficile da sentire di Zayn, quella virile di Liam e quella graffiante di Niall; ripensai alle loro espressioni, che avevo imparato a riconoscere in poco tempo, e ai loro occhi, così sinceri e profondi: azzurri e calmanti, quelli di Louis; nocciola, quasi color caramello e magnetici, quelli di Zayn; castani, piccoli ma grandi nella dolcezza, quelli di Liam; blu, belli, ma capaci di mettermi quasi in soggezione, quelli di Niall. Qualsiasi cosa mi venisse in mente di quei quattro ragazzi mi provocava un moto di affetto immenso, una voglia di rivederli difficile da contenere.

Ma, ovviamente, non c’erano solo loro quattro, nella mia testa. C’erano anche un paio di occhi verdi, dei capelli ricci, delle fossette ed un sorriso difficili da ignorare, difficili da dimenticare. E anche se avevo tentato di staccare quel ragazzo dagli altri quattro, di chiuderlo in un angolo della mia testa e pensare oggettivamente solo a Niall, Zayn, Louis e Liam, non ci ero riuscita. Harry era lì, con loro, e il suo sorriso sembrava brillare, come i suoi occhi, di luce propria, impedendomi di focalizzare il pensiero sugli altri ragazzi. Era estremamente egoista, pur avendomi lasciata, continuava a rimanere un pensiero fisso nella mia testa, non mi permetteva di guardare avanti, di rifarmi una vita, o almeno di provarci, di trovare qualcun altro. Era proprio fuori questione.

In quel momento mi resi conto che, per quanto io avessi tentato e avrei tentato ancora, lui non sarebbe mai sparito del tutto dai miei pensieri, ci sarebbe sempre stato qualcosa che me l’avrebbe ricordato, qualcosa che mi avrebbe impedito di essere di un altro ragazzo come ero stata sua. Capii, improvvisamente, che, nonostante tutto il male che mi aveva fatto, e tutto l’astio che avevo provato verso di lui, Harry mi mancava. E mi mancava tanto, in un modo che non avrebbe dovuto essere permesso.

Ma c’era qualcosa di peggio, qualcosa che sapevo già che avrei dovuto affrontare, prima o poi, ma non immaginavo così presto, e così brutalmente. Al solo pensiero di Harry, al ricordo delle sue mani che stringevano le mie, dei suoi baci delicati ma passionali, delle volte in cui avevamo fatto l’amore, il battito del mio cuore aumentava, e le farfalle nel mio stomaco si agitavano fino a togliermi il respiro. E questo poteva significare solo una cosa: ero ancora innamorata di lui, forse troppo, forse ancora più di prima. La situazione era più tragica di quello che pensavo.

Mi scossi dai miei pensieri, e riflettei sulla risposta da dare a Louis. Rifiutare non avrebbe avuto senso, lui me l’aveva vietato già in partenza, e, dopo tutti i viaggi mentali che mi ero fatta, sarebbe stato incoerente da parte mia. Sì, mi mancavano. Sì, volevo rivederli. Sì, anche Harry. E se lo avessi incontrato? Non potevo calcolare la mia reazione in quel momento, non ero lucida, ma se fosse capitato avrei reagito nel modo più giusto, l’avevo sempre fatto. Così, presi la mia decisione, rilessi un’ultima volta il messaggio di Louis, poi iniziai a digitare la risposta.

“Ciao Louis! :) Sto bene, anche voi mi mancate. Grazie per il biglietto, ci sarò. Ti voglio bene ;) x”  

 Era piuttosto breve come messaggio, ma c’era l’essenziale. Premetti “Invio”, e non dovetti aspettare che un paio di minuti per la risposta del mio amico.

“Perfetto, non vedo l’ora! :D Ci vediamo presto, allora. Ti voglio bene anche io x”    

***

Così, quel 19 maggio, mi svegliai con il cuore in gola, non feci colazione, tanto lo stomaco era chiuso, salutai la mia famiglia e mi diressi verso la stazione per prendere il treno. Direzione: Verona.

Convincere i miei a lasciarmi andare al concerto non era stato facile, avevano tentato dapprima di dissuadermi dal farlo, poi vi si erano opposti con forza. Non capivano perché volessi andare a rivedere i ragazzi, per poi magari stare peggio di prima. Avevo tentato di convincerli che stavo bene, che ero abbastanza forte per farlo, e che molto probabilmente non sarei nemmeno riuscita ad incontrare i ragazzi, o meglio Harry, e scambiarci qualche parola. Le possibilità che ciò accadesse erano davvero troppo basse, con tutta la gente che ci sarebbe stata in città quel giorno. Non erano convinti, questo lo vedevo, ma io avevo preso la mia decisione e, vedendo quanto ferma ero nelle mie convinzioni, alla fine si arresero e mi augurarono buona fortuna.

Sarei tornata a casa in serata, così avevo preso con me solo lo stretto necessario, vale a dire soldi, ombrello, giacca e tanto, tantissimo coraggio. Avevo paura di ciò che avrei potuto provare rivedendo Harry ed i ragazzi. Non sapevo se Louis gli avesse detto che ci sarei stata, non sapevo se avrei visto il suo sguardo cercarmi tra la folla, né tantomeno se sarebbe stato felice della mia presenza. Ma questo non doveva importarmi, io ero lì per Louis, Niall, Liam e Zayn, avevo fatto una promessa e volevo mantenerla, perché volevo bene a quei ragazzi, volevo rivederli almeno un’ultima volta e salutarli come si deve.

I cancelli dell’Arena vennero aperti verso le sei e mezza del pomeriggio, e subito lo scenario venne invaso dalle migliaia di fan che avevano il biglietto, mentre quasi altrettante rimanevano fuori, sperando almeno di sentire le voci dei ragazzi. Guardai le loro espressioni deluse, una qualche debole speranza nei loro occhi riusciva ancora ad esserci malgrado l’impossibilità di entrare nell’Arena. Mi venne la tentazione di cedere il mio biglietto ad una di loro, in lacrime. Avrei risolto tutti i miei problemi e in più avrei reso felice una ragazzina.

Ci sei vero? Sei già entrata? Non fare scherzi, nanetta ;)”   

Come ci riusciva? Come poteva arrivare sempre nel momento più giusto, quel ragazzo? Il messaggio di Louis fu la risposta di cui avevo bisogno, riuscì a svegliarmi, ed a impedirmi di dare via il mio biglietto. Mi avviai verso i cancelli ed entrai anche io nel teatro. Guardai il numero del posto sul biglietto, e scoprii che non era vicinissimo al palco, fortunatamente, ma nemmeno troppo lontano, era comunque in platea, in una delle ultime file. Una volta trovata la mia, misi una mano sulla spalla della ragazza che occupava il primo posto.

“Ciao! Scusami, potresti farmi passare?”, chiesi.

Questa si voltò sorridendo, e annuì, ma, un attimo dopo sgranò gli occhi e restò bloccata dov’era.

“Gioia? Ma sei tu, davvero?”, esclamò, guardandomi fissa.

Ecco una cosa a cui non avevo pensato: le fan. Non avevo minimamente preso in considerazione la possibilità che mi riconoscessero, che si ricordassero di me, perché nessuno fino a quel momento mi aveva mai chiesto niente. Restai ferma un attimo, poi improvvisai un sorriso.

“Eh, già, sembrerebbe …”, balbettai, intimidita.
“Ragazze, guardate chi c’è!”, gridò in direzione delle sue amiche.

Tentai di zittirla, di deviare la sua attenzione su qualcos’altro, ma non funzionò. In pochi secondi mi ritrovai quatto paia di occhi a fissarmi.

“Ehm, ciao”, salutai.

Dire che mi assalirono sarebbe un eufemismo: erano completamente impazzite, mi abbracciarono e baciarono tutte, come fossi stata una di loro, una del gruppo. Mi venne da ridere di fronte alle decine di domande che mi fecero sul perché fossi lì, dove abitassi, come fossi arrivata, se fossi emozionata.

“E Harry come sta?”, mi chiese una ad un certo punto.
“Beh, credo bene. Non l’ho più sentito”, risposi, abbassando il tono.
“Ma perché vi siete lasciati? A me piacevate assieme!”, mi si rivolse un’altra.

In quel momento, sentii che tutta la forza che avevo finto di avere, non c’era proprio, nemmeno un filo di convinzione, niente.

“Ragazze, lasciamo perdere, preferirei non parlare di questo”, risposi, il più educatamente possibile, “Grazie per il sostegno, comunque”

Sorrisi, vedendo che tutte, in quel gruppo, erano mie sostenitrici, e mi tirò su il morale non di poco. Ma ormai non aveva più senso, non serviva più a niente. Io ed Harry ci eravamo lasciati, che ci fossero persone che ci sostenessero non faceva alcuna differenza. Magari avrebbero potuto farla qualche tempo prima. Ripensai al primo motivo che Harry mi aveva dato per porre fine alla nostra storia, e quando lo realizzai fu come se fossi stata colpita da un fulmine a ciel sereno: lui inizialmente aveva detto che non riusciva a sopportare l’idea di deludere le fan, che loro non lo apprezzassero più come una volta. Guardai alcune ragazze che erano sedute davanti a me: alcune di loro mi guardavano e parlavano sottovoce, altre nemmeno mi calcolavano, ero una tra le tante presenti lì quella sera. Riuscii a percepire un “Ma che ci fa qui lei?” da qualche parte, dietro di me, ma non mi voltai per controllare chi l’avesse chiesto.

Qualcosa nella mia testa si mosse, qualcosa a cui non avevo mai pensato prima, una possibilità che, forse, sapeva di speranza: e se mi fossi sbagliata? E se avessi creduto a ciò che non dovevo? Se mi fossi inventata tutto? In quel momento, però, non potevo fare niente, così scossi la testa, allontanandomi dai miei pensieri.
 
Finalmente, riuscii a raggiungere il mio posto, che era proprio vicino alle ragazze con cui avevo chiacchierato, e mi sedetti, ammirando lo scenario in cui, di lì a poco, si sarebbero esibiti i ragazzi. I miei ragazzi.

Terminata l’esibizione di Camryn, la cantante che apriva i concerti, le luci sul palco si abbassarono, e poco dopo, tra le urla e le acclamazioni delle ragazze presenti, i ragazzi fecero il loro ingresso sul palco. Liam. Zayn. Niall. Louis. Ed Harry. Presi un respiro profondo, e li osservai tutti, dal primo all’ultimo. Erano belli, forse ancora più di come li ricordavo, e avevano tutti e cinque gli occhi che brillavano, guardando le quindicimila fan radunate nell’Arena, solo per loro, e lo scenario che si prospettò alla loro vista. Poi Up all night riempì la notte, e il pubblico andò in delirio.

Contrariamente alle mie previsioni, non fu così difficile lasciarmi andare e divertirmi assieme alle altre fan: i ragazzi erano fantastici, come sempre, le canzoni trascinanti e l’atmosfera che si respirava all’interno del teatro romano era carica di adrenalina. Ero riuscita a trattenere le mie emozioni, oppure ad incanalarle negli applausi e nelle urla che ogni tanto mi sfuggivano, fino a quel momento. Avevo cantato, avevo ballato, avevo partecipato al concerto come una normalissima ragazza fa, guardando i suoi idoli sul palco, avevo seguito le canzoni nota per nota, parola per parola, ma venne un momento in cui pensai che avrei fatto meglio a stare zitta e tranquilla, almeno per contenere la vastità di sentimenti ed emozioni che sentivo avrebbero potuto invadermi da un momento all’altro.

Passata la prima metà del concerto, nell’Arena cominciarono a risuonare le note di Summer Love, seguita da Over Again, che mise a dura prova la mia resistenza. Poi arrivò il momento di Little Things. L’arena rimase al buio, solo qualche luce sul palco restò accesa per permettere di individuare i ragazzi. Mi voltai, ed uno degli spettacoli più incredibili che avessi mai visto mi si presentò davanti agli occhi: l’Arena era illuminata da migliaia di luci, ogni ragazza aveva acceso lo schermo del cellulare, così da creare un’atmosfera magica, in accordo con la canzone. Niall iniziò a pizzicare le corde della chitarra, e poco dopo Zayn cominciò a cantare. Rimasi in silenzio, e chiusi gli occhi per qualche secondo, poi, cambiando idea, li riaprii: non volevo perdermi un solo secondo di quello spettacolo.

Fino a quel momento, avevo tentato di deviare il mio sguardo su qualsiasi altra persona che non fosse Harry: Louis, Niall, Liam, Zayn, o addirittura i ragazzi della band. Certo, non potevo ignorarlo, ma ascoltarlo e basta, senza vedere i suoi occhi, o il suo sorriso, rendeva tutto molto più semplice. Durante quella canzone, però, cedetti, e i miei occhi non gli si staccarono un attimo di dosso. Era facile capire come migliaia di ragazze, pur non conoscendolo, fossero pazze di lui, come degli altri ragazzi, d’altronde: quando cantava, ci metteva il cuore, sentiva ogni parola come se fosse sua, la interpretava come se il testo descrivesse la sua personalità, i suoi sentimenti. Ed era facile capire come io ne fossi ancora innamorata, e fossi quasi sul punto di dargli un’altra possibilità, se lui l’avesse voluto, se ce ne fosse stata l’occasione.

Fissai il suo viso su uno dei due maxischermi posti ai lati del palco, e il mio sguardo cadde poi sul suo polso: avrei potuto sbagliarmi, ma quello che aveva legato lì, sembrava davvero il mio braccialetto, quello che gli avevo regalato per il compleanno. Il mio cuore prese il volo, e, complice l’atmosfera magica che si era venuta a creare nell’Arena, le mie emozioni riuscirono a liberarsi nel modo più semplice e patetico che esista, le lacrime, lacrime calde che scendevano lungo le mie guance, lacrime per tutto ciò che avevo passato, ma anche lacrime di felicità e di buone sensazioni.


“Verona, siete stati fantastici fino a questo momento!”, gridò Harry al microfono, non appena la band smise di suonare Live while we’re young.

Il pubblico accolse il complimento con urla ancora più forti, mentre i ragazzi sorridevano soddisfatti. Notai che, pian piano, un pianoforte veniva fatto entrare in scena, e mi chiesi il perché di quella novità: di solito si arrangiavano con le tastiere, ma, forse, in quel breve periodo in cui non li avevo seguiti, avevano apportato qualche modifica agli show.

“E quindi, abbiamo una sorpresa per voi!”, continuò Harry, sempre più entusiasta.

Se l’Arena non fosse venuta giù in quel momento, avrebbe davvero potuto resistere per sempre.

“Abbiamo un pianoforte, qui. Io lo so suonare, lo sapete vero?”, si aggiunse Louis.

Le fan applaudirono forte, incitando Louis a prendere posto.

“Beh, credo proprio che potrei suonarvi qualcosa, sì”, propose, sorridendo.

Si avvicinò allo strumento, e si sedette sullo sgabello. Zayn si avvicinò a Harry, e gli mise una mano sulla spalla.

“Stiamo per fare una cosa che finora non è mai successa, vero Harry?”, annunciò il moro, percorrendo il teatro con lo sguardo.
“Già. Solo per stasera, faremo una canzone in più. Contente?”, rivelò infine Harry.

Contente. Harry aveva definito le fan “contente”. Quelle ragazze avrebbero potuto distruggere Verona, da quanto erano felici, entusiaste, al settimo cielo. Contente era un eufemismo. E io? Beh, io ero oltremodo curiosa, non vedevo l’ora che svelassero il titolo di questa nuova canzone. Pensai a They don’t know about us, che di solito non cantavano, sarebbe stata una bella sorpresa, davvero.

“E’ una canzone … Molto importante, per me, e mi ricorda una persona altrettanto speciale. Spero vi piacerà”, concluse Harry, girandosi poi verso Louis per dargli il via.

Le dita di Louis cominciarono a muoversi veloci sui tasti del pianoforte, con una destrezza che non potevo nemmeno immaginare. Le sue mani, lunghe ed affusolate, delle belle mani, sembravano in totale sintonia con lo strumento, sembrava quasi che quel ragazzo fosse nato per suonarlo, e mi chiesi perché non lo facesse più spesso, perché non inserissero quella specialità negli spettacoli. Non avevo mai visto Louis suonare, era una novità pei i miei occhi. La musica che suonava, invece, non mi era nuova, ma ero talmente presa da quello spettacolo che ci misi qualche minuto prima di riconoscere la canzone.

Fu quando Harry cominciò a cantare, quando la sua voce roca risuonò nell’Arena su quei primi versi, che realizzai cosa stava succedendo. Conoscevo bene quella canzone. Era importante per Harry, e lo era anche per me. Era importante per noi. Per il semplice motivo che era la nostra canzone. Il pezzo che i ragazzi stavano eseguendo in quel momento era Heaven. E io mi convinsi di essere vicina ad una qualche crisi, tanto ero paralizzata. Spalancai gli occhi, e tentai di convincermi che fosse tutto un sogno assurdo. Ma, purtroppo, era tutto vero.

Ascoltai il testo, la musica, le voci dei ragazzi che si sovrapponevano e si distinguevano, ascoltai la nostra canzone che veniva ascoltata da migliaia di persone, ascoltai il mio cuore che sembrava fermo, e invece era completamente impazzito, ignorando le lacrime che avevano ripreso a scorrermi sul viso. Guardai Harry, i suoi occhi, il suo sorriso mentre cantava, e me ne innamorai per la seconda volta. Mi sembrò addirittura che i nostri sguardi fossero riusciti ad incontrarsi, per qualche secondo sfuggente, mi sembrò che lui sapesse esattamente dove mi trovavo quella sera. Quasi nessuno lì conosceva la canzone, così nell’arena il silenzio era quasi perfetto. Iniziai a cantare sottovoce, ma me ne resi conto solo quando la ragazza seduta vicino a me mi chiese se conoscevo il testo. Annuii automaticamente con la testa, senza voltarmi, e continuai a seguire le voci dei ragazzi, e quella di Harry sul finale.

Nell’arena, infine, riprese il chiasso assordante delle urla, che mi svegliò dalla trance in cui ero caduta ascoltando Heaven. Presi la borsa e la giacca, salutai le ragazze e, chiedendo permesso, uscii dalla fila, cercando di raggiungere l’uscita del teatro. Non resistevo un minuto di più lì dentro, avevo bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno che sapeva sicuramente cosa stesse succedendo e che mi desse delle spiegazioni valide. Qualcuno che di nome faceva Louis William Tomlinson.

“Ehi, tu! Dove credi di andare? Manca ancora una canzone!”, esclamò Louis, dal palco, accompagnato da Niall.

Sapevo che si stava rivolgendo a me, ma non mi voltai, pur avendo una voglia matta di gridargli qualcosa di poco educato, continuai a camminare e, arrivata al cancello, uscii. Presi il cellulare, digitai velocemente un messaggio e lo inviai.

“Tomlinson, io e te dobbiamo parlare. Ti aspetto fuori dal backstage, trova il modo di farmi entrare”
 



Curly space
Eccomi qui. Wow, questo capitolo è infinito, ma io so che vi mancavano i miei papiri... Vero?! ;)
Mi sono persa tantissimo, sappiatelo: questo è un capitolo speciale, e spero di essere riuscita a rendere bene tutte le idee che avevo in testa, perché, insomma, siamo a un punto di svolta. Come al solito, nei capitoli più importanti, non sono sicura nè soddisfatta, quindi, per favore, fatemi sapere cosa ne pensate, è davvero importante, a questo punto. :)

Quindi, all'inizio abbiamo l'invito di Louis e una luuuuuuunga riflessione della nostra Gioia, che si rende conto di alcune cose UN PO'  importanti...
Poi, c'è il concerto, che spero di aver descritto bene, pur non essendoci andata (T.T)
E, dulcis in fundo, la sorpresona. E qui mi sono sciolta. :3 Voi che ne dite? Harry riuscirà a risolvere questa brutta situazione oppure... Boh, non voglio pensarci XD

Passo a voi, ora:
GRAZIE a Cri_Directioner e xharrysocks per aver messo la storia nelle Preferite :)
GRAZIE a IgLovepn per la recensione :)
E grazie a tutte voi che continuate a leggere... Manca poco alla fine... ;) 

Alla prossima,
Curly crush x

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Capitolo 47
*** Cause there is nobody else ***


Cause there is nobody else


Mi feci strada a fatica tra le decine di ragazze affollate all’esterno del backstage, non poche mi fulminarono e tentarono di rimettermi al mio posto: insomma, chi ero io per passare davanti a loro, che erano lì da ore ad aspettare chissà che cosa? Cercando di avanzare senza farmi notare, riuscii infine a raggiungere il cancello che separava i tour bus dei ragazzi e tutto lo staff dal resto della piazza veronese. Poco prima, le note di What makes you beautiful erano arrivate fino al mio orecchio, rilassandomi per un attimo. Ora, però, schiacciata tra il cancello e le ragazze in lacrime, l’agitazione che mi aveva presa durante Heaven si impadronì di me nuovamente, impedendomi di ragionare con calma. Non sapevo cosa fare, dove andare, come far sapere a Louis che ero lì, e non sapevo se lui sarebbe riuscito a farmi entrare: il rischio era che le ragazze spingessero troppo sui cancelli, e riuscissero ad entrare in massa nel backstage. Il che non sarebbe stata una buona cosa e i ragazzi si sarebbero trovati in difficoltà, pensai.

Mentre mi scervellavo per trovare una soluzione, vidi qualcuno avvicinarsi al cancello da dentro, ma, a causa della rete e dei teloni sistemati sulla griglia, non riuscii a riconoscere di chi si trattava. Dopo pochi istanti, il cancello si aprì di pochi centimetri, mostrandomi l’espressione severa di Paul.

“Dai, entra, veloce”, mi incitò, facendosi leggermente da parte, ma tenendo il cancello con forza.

Sgusciai dentro velocemente, avanzando di qualche metro, e tirai un sospiro di sollievo: ero salva.

“Grazie, Paul”, dissi.
“Oh, finalmente, eccoti qui!”, esclamò un’altra voce alle mie spalle.

Mi voltai di scatto: era Louis. Accennai un sorriso, ero davvero felice di poterlo avere di nuovo davanti a me. Non feci però in tempo ad iniziare con le mie lamentele, che il ragazzo mi afferrò per un polso e mi trascinò via.

“Louis, fermati, dobbiamo parlare!”, ordinai, sorpresa.
“Sì, sì, più tardi, magari …”, rispose, indifferente.

Non poteva portarmi via così, senza trovare un minimo di resistenza, anche perché sapevo esattamente dove mi avrebbe condotta: da Harry, e io non ero ancora pronta ad incontrarlo. Avevo bisogno di spiegazioni, avevo bisogno che Louis si scusasse della trappola in cui mi aveva guidata così amichevolmente, avevo bisogno di sfogarmi, di urlargli addosso, di insultarlo, forse.

“Fermati!”, dissi di nuovo, alzando il tono.

Louis continuò a camminare velocemente, trascinandomi giù per qualche gradino, passando sotto a degli archi e proseguendo verso destra, in direzione del palco, immaginai. Pensai a qualcosa che lo convincesse a fermare quella corsa, ma le parole con quel ragazzo testardo non sarebbero servite, in quel caso. Piantai i piedi a terra, facendo fermare il castano di botto e tirandomelo quasi addosso.

“Che stai facendo?”, mi chiese, sorpreso, puntandomi il suo sguardo addosso.
“Non credi di dovermi dire niente?”, ribattei.
Io proprio no!”, rispose, quasi seccato.

Sbuffai, guardandolo storto. Lui sorrise, poi mi lasciò il polso, ma solo per abbracciarmi forte. Ricambiai l’abbraccio, allentando finalmente la tensione che mi aveva preso le spalle, e restammo così per qualche istante.

“Perché avete fatto tutto questo casino, Lou? Mi avevi detto di venire per te, Niall, Zayn e Liam, perché vi mancavo e volevate salutarmi. Ma questo non è salutare, questo è attentare alla mia salute mentale!”, protestai, non appena mi staccai da lui.

Louis si mise a ridere piano.

“Mi sei mancata, davvero”, sussurrò, dandomi un buffetto sulla guancia.
“Louis, non mi stai rispondendo”, replicai, secca.

Incrociai le braccia sul petto, in attesa di una spiegazione. Non me ne sarei andata prima di averla avuta.

“Vieni con me, per favore”, mi pregò, facendomi segno di seguirlo.

Sbuffando, presi a camminargli dietro, fulminandolo ogni volta che si girava per assicurarsi che ci fossi. Il mio sguardo correva da un lato all’altro dello spiazzo, intimorito, temendo di incrociare quello di Harry. Dopo pochi metri, entrammo nel vero e proprio backstage: decine di persone stavano già caricando le attrezzature sui camion, c’era una forte frenesia nell’aria, e ritrovarmi in mezzo a tanta confusione mi scombussolò non poco.

Gioia!”, sentii esclamare da qualche parte, da una voce graffiante.

Il mio cuore ebbe un tuffo, ma si calmò non appena le braccia di Niall mi strinsero, sollevandomi leggermente da terra.

“Ciao anche a te, biondo”, lo salutai.

In pochi secondi, comparvero anche Liam e Zayn. Di Harry, per il momento, nessuna traccia. Sospirai di sollievo, poi salutai anche gli ultimi due arrivati.

Vi odio tutti, sappiatelo”, cominciai.

La mia affermazione – che avrebbe dovuto essere davvero seria- fu seguita dalle risate dei quattro, che mi aspettai di veder rotolare per terra da un momento all’altro, da quanto erano divertiti.

 “E perché, scusa? Avevi detto che ti mancavano, ora dici così … Mi deludi, e potrei piangere”, frignò Niall, mettendo il broncio.
“Ma se mi state ridendo in faccia! Traditori, ecco cosa siete”, ribattei, lasciandomi prendere dall’allegria.

La rabbia per il loro “inganno” non era passata, ma una voce nella mia testa mi diceva che non era colpa loro, o almeno, avevano solo una parte in tutto quel copione assurdo in cui mi sembrava di essere finita. In fondo, loro non potevano sapere della canzone, e anche se Harry ne avesse mai parlato, che interesse avrebbero avuto quei quattro, nel cantarla durante un loro concerto? L’idea doveva essere stata di Harry, e loro, da bravi amici, gli erano andati dietro.

Lasciai perdere le mie paranoie, almeno per il momento, e mi gustai quegli attimi con loro, che tanto mi erano mancati dopo il ritorno in Italia. Parlammo un po’ del più e del meno, di come stesse procedendo il tour e dei miei esami all’università, poi il discorso virò sul concerto di quella sera.

“Allora, ti sei divertita?”, chiese Zayn.
“Siete stati bravi”, risposi, tentando di cambiare argomento, anche se di poco.

Non funzionò.

“Non ti ho chiesto come siamo andati noi, lo so che siamo bravi”, rise Zayn, ammiccando.
“Dai, ti è piaciuto?”, insistette Liam.
“Fino ad un certo punto sì, è stato molto piacevole e coinvolgente”, risposi, arrendendomi.
E poi?

Guardai i ragazzi davanti a me: sapevo che non erano stati loro a fare quell’ultima domanda, sapevo che quella voce non apparteneva a nessuno di loro, e sapevo, dai loro sguardi rivolti alle mie spalle, che girarmi non era la cosa giusta da fare. Ma lo feci comunque.

Dopo un mese in cui lo avevo odiato. Dopo un mese in cui avevo pensato a qualsiasi cosa pur di dimenticarlo. Dopo un mese in cui avevo pianto, di delusione e di rabbia, per essermi fidata di lui. Dopo un mese in cui avevo pensato che la cosa migliore sarebbe stata non conoscerlo mai. Dopo un mese, lui era lì, di nuovo, davanti a me, con il sorriso che mi aveva fatto innamorare, gli occhi che sembravano così sinceri ed affidabili, lo sguardo che sembrava voler comunicare migliaia di parole tutte assieme, confuso, ma con una strana luce di … Felicità. Sì, era senz’altro felicità, quella che vidi nei suoi occhi, e temetti che i miei, in quel momento, stessero specchiando i suoi alla perfezione.

“Beh, noi ce ne andiamo, eh …”
“ … Un sacco di cose da fare …”
“Poi Paul rompe …”
“Vi lasciamo soli”

Sentii Louis, Niall, Liam e Zayn trovare le scuse più inutili e senza senso, e andarsene subito dopo bisbigliando tra loro, alle mie spalle. Il mio sguardo e quello di Harry non si erano persi un secondo, erano incatenati. Mi sfuggì un sorriso, leggermente in ritardo, a causa dei pretesti dei ragazzi, poi abbassai gli occhi, prendendo a fissarmi le scarpe. Sentii la mano di Harry appoggiarsi al mio viso, e subito dopo le sue labbra baciarono la mia guancia destra, ormai in fiamme.

Ciao, piccola”, sussurrò.
“Ciao”, risposi, alzando lo sguardo.

Incontrare i suoi occhi così vicini al mio viso, mi fece tornare indietro di qualche mese, alle prime volte in cui uscivamo, in cui c’era sempre quella leggera tensione –almeno da parte mia- che mi faceva apprezzare ancora di più i momenti con lui: il batticuore, gli sguardi scambiati, le risate, i primi contatti delle nostre mani ed il primo bacio. Scossi la testa, tentando di tornare sulla terraferma: le emozioni, in ogni caso, non erano cambiate, ma c’era qualcosa che mi bloccava, qualcosa che mi impediva di essere naturale come un tempo, qualcosa che era molto chiaro, non c’era bisogno di fare mille viaggi mentali per capire cosa fosse.

“Come stai?”, mi chiese Harry, dopo qualche istante di silenzio imbarazzante.
“Questa mi pare di averla già sentita”, mi lasciai sfuggire.

Non avrei voluto sembrare rancorosa, ma in quel momento i miei sentimenti presero il sopravvento sui pensieri. Harry indietreggiò di un passo, alzando le mani.

“Ok, speravo di riuscire a cominciare un po’ meglio, ma ti capisco”, rispose, accennando un sorriso.
“Cominciare cosa?”, chiesi, incerta.

Si infilò una mano in tasca, poi si portò l’altra alla nuca, guardandosi attorno. Lo osservai bene: indossava una maglia bianca a mezze maniche, i pantaloni neri stretti e gli stivaletti marroni dell’ultimo periodo; i capelli erano alti, sulla fronte, il ciuffo ribelle che portava quando ci eravamo conosciuti ormai era sparito, dandogli un’aria più adulta, come lo sguardo, serio e profondo, e le labbra, in quel momento leggermente piegate all’ingiù, in un semibroncio. Era bello come quando l’avevo lasciato, forse ancora di più.

“Beh, cosa … Cosa ti è sembrato del concerto?”, mi chiese poi, riportando gli occhi su di me.
“E’ stato bello, l’ho detto anche ai ragazzi, prima”, risposi, rimanendo distaccata.
“Sì, ma io non c’ero”, ribatté, sorridendo.
“Harry, cosa ti è saltato in mente?”, chiesi, incrociando le braccia sul petto, “E non fare finta di niente, sai perfettamente a cosa mi riferisco”, aggiunsi poi, vedendo i suoi occhi accendersi di una luce divertita.

Harry alzò le spalle, sbuffando piano e ridendo.

“Pensavo che ti sarebbe piaciuto, sentire la nostra canzone ancora una volta …”, cominciò, ma non lo lasciai finire.
“Davanti a quindicimila persone?!”, sbottai.
“L’ho fatto proprio per questo, perché l’avrebbero sentita in molti e perché … Non volevo fare lo stesso errore due volte”, replicò lui, abbassando il tono sull’ultima frase.
“Che cosa vorresti dire?”, chiesi.

Fino a quel momento, avevo tentato di restare calma, di impedire al mio cuore di accelerare troppo, ai miei occhi di perdersi nei suoi, e alle mie mani di avvicinarsi al suo viso per portarlo vicino al mio e baciarlo. Non potevo farlo, non potevo arrendermi così, senza sapere se le sensazioni che avevo avuto al concerto erano giuste, o se mi stavo illudendo e basta. Ma ora, grazie a quella frase, riacquistai un po’ di fiducia, sia in me, che in lui.

“Possiamo andarcene da qui? C’è troppa gente, e io voglio parlare con te con calma”, mi pregò.
“E dove vuoi che andiamo, Harry? Dovete partire per Milano fra poco, vedendo la fretta che c’è qui”, ribattei.
“Avevo già avvisato che mi sarei fermato qui per la notte”, spiegò lui, sicuro, “Dobbiamo solo … Uscire

Risi piano davanti a quella necessità, sapendo cosa ci avrebbe aspettato fuori dall’arena.

“Che c’è da ridere? Non ti farò dormire su una panchina, ho prenotato una camera”, chiarì.
“No, Harry, sono stanca, devo andare a casa, e sono stata trascinata già abbastanza dal tuo amico, quindi chiudiamola qui, ok?”, sbuffai, cominciando a camminare verso i bus.
“Ferma, ferma, ferma! Che vuol dire ‘chiudiamola qui’?”, chiese, rincorrendomi e prendendomi per un polso.

Girai lo sguardo, evitando il suo, riuscendo comunque a vederne la preoccupazione crescente. Ma cosa voleva dirmi? Era stanca, davvero, delusa e non avevo voglia di giochetti.

“Harry, noi fra un po’ dobbiamo andare!”, sentii chiamare Liam, vedendolo poi sbucare dalla porta di uno dei due bus.

Harry si girò a guardarmi, indeciso, o forse mi stava pregando, poi si diresse verso la sicurezza e tornò da me con uno degli uomini.

“Andiamo”, mi disse.
“Ti ho detto che devo tornare a casa”, protestai.
“Questa notte dormi fuori, avvisa i tuoi”, insistette.
“Harry, non puoi dirmi quello che devo fare!”, dissi, alzando la voce.

Lui si girò, e mi si avvicinò, appoggiando le mani sulle mie braccia.

“Gioia” –sussultai sentendogli pronunciare il mio nome- “Ti prego. Ho bisogno di parlarti, ho bisogno di risolvere questa situazione perché mi sta uccidendo. Ho bisogno di te”, mi sussurrò, guardandomi fisso negli occhi.

Maledicendomi in tutti i modi possibili per la mia debolezza, gli feci un cenno e lo seguii. Passando davanti a i bus, salutai i ragazzi.

“Buona fortuna! Fate i bravi!”, ci gridarono poi.

Io ed Harry, assieme alla guardia, salimmo su un’auto nera: i vetri erano leggermente oscurati, come al solito, ma non abbastanza da impedire di vedere all’interno.

“Cerca di coprirti il più possibile, meno ci vedono, meglio è”, mi istruì Harry.

Tolsi la giacca, e me la misi in testa, mentre lui si tirava su il cappuccio della felpa che si era appena messo, poi partimmo. Qualcuno aprì i cancelli, e la macchina poté uscire. Fortunatamente, la via era già stata sgomberata, così riuscimmo a prendere la strada prescelta, non riuscendo comunque ad evitare sguardi indiscreti.

“Ok, dovremmo essere salvi, ora”, sospirò Harry, abbassando il cappuccio.

Guardai fuori dal finestrino, osservando il paesaggio veronese scorrere davanti ai miei occhi. Sentii la mano di Harry sfiorare le mie dita, così mi girai a guardarlo.

“Allora, mi dici come stai?”, chiese, con tono dolce.
“Abbastanza bene. Tu?”, replicai, piano.
Meglio”, rispose.

Poi ripiombammo nel silenzio, fino a quando non arrivammo in vista di un hotel, il cui piazzale era popolato di una decina di ragazze.

“Merda! Ma chi le ha avvisate?”, sbottò Harry, portandosi una mano alla fronte.
“Non lo so, ma non sono tante, ce la possiamo fare”, lo tranquillizzò la guardia.

Parcheggiò davanti all’ingresso dell’hotel, poi scese dall’auto e si spostò davanti alla portiera di Harry.

“Stammi vicina, andrà tutto bene”, mi rassicurò, un attimo prima di scendere.

Lo seguii velocemente, sentendo già le urla di quelle poche ragazze presenti, che chiedevano autografi e foto. Harry salutò e si prestò gentilmente a tutto ciò che chiedevano, non perdendomi di vista un attimo. In pochi minuti, terminò tutto, così si voltò verso di me e mi fece cenno di avvicinarmi. Le ragazze mi squadrarono dall’alto in basso, alcune scattarono delle foto, a cui cercai di sfuggire abbassando lo sguardo. Alcune cominciarono a protestare, a chiedere perché mi trovassi lì, insistendo sul fatto che la storia tra me ed Harry era finita. All’arena mi era andata bene, e avevo trovato delle ragazze gentili e rispettose; lì, non ero stata altrettanto fortunata. Cominciai a chiedermi perché fossi lì, effettivamente, che cosa speravo di ottenere seguendo Harry, e l’ansia prese a crescere in me, bloccandomi il respiro poco alla volta. Ad un tratto, Harry trovò la mia mano, e mi portò dentro l’hotel, salvandomi da quell’incubo.

“Cosa dicevano? Non sono riuscito a capire niente”, mi chiese, fermandosi a pochi metri dalla reception.
“Loro … Si chiedevano perché io sia qui, e dicevano che io e te ci siamo mollati e che quindi non ha senso che io stia qui con te”, spiegai, cercando di respirare a fondo, "E avrebbero anche ragione, in realtà", aggiunsi.

Harry sbuffò forte, e lo vidi farsi più serio.

“Ben, accompagnami fuori ancora un attimo”, chiese alla guardia, che lo seguì immediatamente.

Oltre il vetro dell’hotel, vidi le ragazze esultare e sorridere, felici che Harry fosse tornato fuori da loro e, grazie alla porta lasciata aperta, riuscii anche a sentire quello che lui diceva loro.

“Ragazze, per favore, preferirei che non vi rivolgeste a Gioia come a una di troppo, perché non lo è. Ho delle faccende davvero importanti da risolvere, quindi ora vi saluto”,  spiegò, tenendo la voce più alta che poteva, “Ciao principesse”, aggiunse poi, con un sorriso, scatenando altre urla da parte delle fan.

Le ragazzine continuarono a parlare e gridare finché Harry non rientrò, poi, chiusa la porta, non sentii più niente.

“E anche questa è fatta”, sospirò, “Grazie Ben, ora dovrei cavarmela, puoi andare”, aggiunse poi, con un sorriso rivolto all’uomo.

Questo ci salutò, poi uscì dall’hotel e ripartì con l’auto. Mi guardai attorno: l’atrio era grande, in marmo beige e bianco, e c’erano piante e divanetti ad arredarlo; osservai la targa a fianco del box di ricevimento e lessi il nome dell’hotel, “Due Torri”. Riportai lo sguardo su Harry, che, dopo aver parlato con la receptionist, mi stava aspettando ai piedi delle scale.

“Vieni?”, mi invitò.

Lo raggiunsi e poi lo seguii fino al secondo piano, dove raggiungemmo la stanza che aveva prenotato. Si fece da parte, e mi fece entrare per prima. Respirai a fondo: il letto era uno, e non c’erano divani o altro in aggiunta; c’era una scrivania con una sedia, e una porta-finestra che dava su un piccolo terrazzo. Harry chiuse la porta alle sue spalle, facendomi sussultare appena.

“Ti dispiace se mi faccio una doccia? Sto velocissimo, prometto, poi arrivo”, mi avvisò.

Annuii, e, mentre lui spariva in bagno, mi sedetti sul letto, decidendo poi di stendermi. Mi ricordai improvvisamente della mia famiglia, che mi aspettava a casa, così digitai il numero di mia madre ed attesi che rispondesse. Non fu una conversazione facile, come avevo già immaginato, ma alla fine riuscii a spuntarla, anche perché ormai era tardi per rientrare. Chiusi gli occhi, giusto per riposarli un attimo, e caddi in dormiveglia. Poco tempo dopo, sentii la porta del bagno aprirsi, ed aprii gli occhi giusto in tempo per vedere Harry che si infilava la maglietta, passandosi poi la mano tra i capelli nel suo solito modo. Vedendo che mi ero assopita, sorrise, poi si sedette accanto a me, spostandomi una ciocca di capelli dal viso.

“Perché hai ancora il mio braccialetto, Harry?”, chiesi, notandolo di nuovo.

Lui mi guardò stupito, poi sembrò ricordarsi del motivo per cui potevo avergli posto quella domanda e si fece più serio.

“Perché è l’unica cosa di te che mi è rimasta”, rispose.

Mi tirai su, appoggiandomi sui gomiti.

“Ma se non ti interessa niente di me”, dichiarai.
“E’ qui che ti sbagli”, obiettò lui.

Restai in silenzio, aspettando che si spiegasse meglio. I suoi occhi si spostarono al soffitto, sfuggenti, poi li riportò su di me, per abbassare lo sguardo ancora una volta. La sua mano cercò la mia, giocò con le mie dita, poi la fece salire lungo il braccio, facendomi venire la pelle d’oca, per finire poi sul mio viso. Mi accarezzò la guancia con il pollice, ed io chiusi gli occhi, sospirando piano, poi mi spostai.

“Harry, tu mi hai lasciata. Per un’altra”, dissi, guardandolo seria negli occhi.
“Lo so, lo so, lo so”, ripeté, portandosi le mani al viso.

Mi sedetti meglio, ed incrociai le gambe, stringendomi nelle spalle.

“Questa situazione è assurda, te ne rendi conto, vero?”, dissi, guardando dritto avanti a me.
“No, non lo è”, ribatté lui.
“E allora dimmi perché mi hai portata qui!”, chiesi, esasperata.
“Ok, io ti dirò tutto, perché te lo meriti, e perché voglio farlo. Ma, ti prego, promettimi che mi ascolterai”, mi pregò, costringendomi a guardarlo e stringendo le mie mani tra le sue.

Quel semplice contatto con lui mi era mancato così tanto, ed ora non potevo nemmeno godermelo, perché non riuscivo a lasciarmi andare, non riuscivo a fidarmi di lui. Annuii, guardandolo negli occhi, rischiando di perdermi un’altra volta.

Io ti amo”, sussurrò, “So che non mi crederai, in questo momento, e ti capisco. Ma è così”

Deglutii, iniziando a sentire il groppo in gola.

“E perché mi hai tradita, allora?”, chiesi, facendomi forza.
Non l’ho fatto”, bisbigliò.

Feci fatica a sentirlo, ma alla fine interpretai ciò che era uscito dalle sue labbra.

“Te lo giuro, Gioia, non c’è nessun’altra, nessuna che mi abbia colpito e fatto innamorare quanto te, davvero”, continuò lui, il tono quasi disperato.
“Come faccio a saperlo? Come posso fidarmi?”, chiesi, guardandolo.

Harry sorrise appena.

“Davvero quello che abbiamo fatto stasera non conta niente?”, mi chiese.
“Per me ha contato tantissimo, Harry. Pensavo di essere in un sogno, non mi sembrava vero, sai quanto sia importante per me quella canzone”, ammisi.

Harry annuì, nei suoi occhi un velo di speranza.

“Ma non mi dà quella sicurezza di cui ho bisogno”, aggiunsi poi.
“Ti ho lasciata perché sono stato egoista, e ho pensato solo a me”, iniziò a dire, tutto d’un tratto, “Ho deciso di mettere fine alla nostra storia perché non riuscivo più a sopportare le critiche che ricevevo. Pensavo di essere più forte, invece ho preferito prendere la strada più facile e fare soffrire te invece che chiarire”

Lo guardai, sorpresa. Il suo tono era deciso, come gli occhi, e c’era anche un che di rabbioso, in lui, che mi spaventò.

“Ti ho detto che c’era un’altra perché in quel momento mi è sembrato l’unico modo per allontanarti definitivamente da me, per non farti più tornare. Non volevo che la tua vita diventasse un inferno a causa mia, non volevo che un giorno ti pentissi di essere rimasta al mio fianco”, continuò.
“Così hai deciso tu per tutti e due …”, riflettei ad alta voce.
“Sì. Il problema è che me ne sono pentito non appena uscito da casa tua”, proseguì.
“Non credo ti avrei ascoltato se avessi provato a parlarmi in quel momento”, confessai.

Harry rise leggermente. Mi rilassai un attimo. Finalmente capivo il motivo per cui ci eravamo separati, e mi insultai da sola per non esserci arrivata tempo prima. Ma qualcosa, in me, non era ancora del tutto sicuro delle parole di Harry e dei suoi sentimenti.

“Io ti amo”, ripeté, come a darmi la prova dei miei pensieri.

Mi voltai, e gli sorrisi, ma non riuscii a rispondergli. Volevo dirgli che lo amavo ancora anche io, ma ero bloccata. Harry si avvicinò a me, posandomi una mano sulla guancia, e spostandomi i capelli dietro l’orecchio. La sua bocca si fermò a pochi millimetri dalla mia, e i suoi occhi mi fissarono per qualche istante, poi li chiuse. D’impulso, girai il viso, e le sue labbra toccarono la mia guancia.

Non ci riesco, Harry. Non sono ancora sicura …”, balbettai, il viso in fiamme.

Harry si alzò dal letto, e raggiunse la scrivania, accomodandosi poi sulla sedia. Guardò il muro alcuni istanti, poi si voltò verso di me.

“Ti capisco”, mormorò, “Dormi ora, immagino sia stata una giornata pesante”

Mi stesi, e feci come mi aveva detto, voltandomi dall’altro lato. Chiusi gli occhi, e mi addormentai. Tempo dopo, non saprei se ore o minuti, sentii che Harry si stendeva accanto a me, avvicinandosi, e appoggiando poi il suo petto contro la mia schiena e cingendomi con un braccio.

Vorrei tanto poter tornare indietro, piccola, tu non sai quanto”, lo sentii sussurrare.

Sorrisi, poi mi addormentai definitivamente.


Curly space:
Okay. Okay. Okay. Curly, riprenditi, per favore. 
Mi sono persa tantissimo, penso si sia capito. Spero non mi ucciderete per questo finale in cui non si capisce assolutamente niente (a mio parere), ma non temete! Non è l'ultimo, ci sarà ancora un capitolo e poi... L'epilogo? NO, fermi tutti, non può già essere finita O.o Buuuuuuuuuh :(

Beh, sentimentalismo a parte, che ve ne pare? E' stato parecchio difficile da scrivere, questo capitolo, ma spero di essere riuscita a rendere le giuste emozioni e che vi piaccia... ;)
Il tanto atteso incontro con Harry è arrivato, e, insomma, abbiamo capito che il ricciolino è ancora innamorato persissimo di Gioia, e viceversa, ma, a ragione, lei non si fida... Previsioni di quello che potrebbe succedere nel prossimo, nonché ultimo (D:) capitolo?? Ditemi tutto! :)

Intanto, vorrei ringraziarvi:
GRAZIE a rebh992 e sabrinatomlinson per aver aggiunto la storia alle Preferite :)
GRAZIE a rebh992 per averla messa aanche nelle Ricordate :)
GRAZIE a Chiara_0301 rebh992 e Roxi_ per averla Seguita :)
GRAZIE a IgLovepn thebea204 e Tommos_girl93 per le Recensioni :)
Vi adorooooooooo tutte! <3 

Ah, volevo scusarmi per aver quasi ucciso qualche Louis girl nello scorso capitolo, ma il Tommo al pianoforte mi ispirava troppo! ;)

Alla prossima,
Curly crush  :)

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Capitolo 48
*** Push a button and rewind ***


Push a button and rewind


Il mattino dopo, svegliandomi, non trovai Harry: al suo posto, sopra il letto, c’era un vassoio colmo di cose da mangiare, accompagnate da un piccolo biglietto bianco. Leggendo la scritta –un semplice “Buongiorno! ;)”- sorrisi, riconoscendo la grafia di Harry. Il mio stomaco, vuoto dalla sera precedente, brontolò, così spiluccai un po’ di tutto, scoprendo poi di avere un grande appetito. Finita la colazione, andai in bagno a darmi una rinfrescata, e quando uscii di Harry ancora non c’era il segno. Mi spostai verso la porta finestra per uscire sul terrazzino a pendere una boccata d’aria, ma mi fermai davanti alla scrivania. Sopra, c’era una busta con il mio nome scritto in nero. Presi la lettera e mi sedetti sul letto, incrociando le gambe. Iniziai a leggere, riconoscendo immediatamente la scrittura del riccio.
 
Verona, 20.05.2013
Ore 2.40

Piccola mia,
non so neanche come iniziarla, questa lettera. Ti guardo dormire su un fianco, i tuoi capelli sciolti che cadono lungo la schiena, le spalle che si alzano e abbassano piano, a ritmo con il tuo respiro, una mano sotto il cuscino, l’altro braccio piegato davanti a te, una gamba ad imitarlo, e l’altra tesa. Dormi sempre così. Immagino il tuo labbro inferiore leggermente sporto in avanti, gli occhi chiusi appena, che non sembra neanche tu stia dormendo. Ho passato ore a guardarti dormire, quando stavamo insieme, lo sai? E penso che tu sia la cosa più bella che io abbia mai visto.

Sei tutto ciò che voglio, e non sai quanto male faccia … Non è vero, lo sai eccome, invece. Ma tu almeno non hai te stessa da incolpare, non devi convivere ora per ora con un senso di fallimento assurdo. Perché è così che mi sento, da quando ti ho lasciata: un fallito. Non sono stato neanche capace di amarti fino in fondo, con tutte le mie forze. E ti capisco, capisco perché questa sera non volevi seguirmi, capisco perché non ti sia lasciata baciare. Ti capisco, se non mi ami più.

Ma voglio almeno provarci, voglio provare a riconquistarti, ad averti di nuovo, perché non so più come andare avanti, senza di te.

Vuoi sapere perché ho deciso, con i ragazzi, di cantare quel pezzo durante il concerto? Ecco, il motivo non è semplice, in realtà, e vista l’ora immagino che non riuscirò a spiegarmi nemmeno bene, ma ci provo. Allora. Io e te stavamo benissimo insieme, mi pare, fino ad un certo momento. È cambiato tutto dopo quel pomeriggio al mare, che tu ci creda o no. Ho permesso a delle persone di mettersi tra noi. Delle persone che, come sai, per me sono importanti, tanto. Delle semplici fan. Ho messo la loro opinione davanti alla nostra storia, decidendo poi di finirla, ma questo lo sai perfettamente, purtroppo. Un giorno, però, ho deciso di reagire, di svegliarmi fuori e di fare qualcosa per riaverti. Ed ecco la nostra canzone: una volta le fan si sono messe tra noi, ora io mi metto tra me e te e loro, come una specie di barriera, non so se capisci. No che non capisci, sembro un analfabeta, Dio!”


Scoppiai a ridere, fermando un attimo la lettura. Sentivo ormai gli occhi umidi, ma quell’uscita imprevista attenuò la mia tensione. Ripresi a leggere.

“Beh, comunque sia, tutto questo pandemonio, per far capire loro che sono pronto ad affrontare qualsiasi cosa per stare con te, prima di tutto le loro opinioni, che siano positive o meno. Non mi tirerò mai più indietro, metterò te davanti a tutto e tutti, e cercherò di essere più forte.

Ora chiudo, altrimenti questa lettera va a finire male … Non so se stai dormendo e se ti accorgerai che starò vicino a te, ma almeno questa soddisfazione voglio prendermela. Potrebbe essere l’ultima volta che dormiamo insieme, quindi perché sprecare questa occasione? Basta, Harry, finiscila di dire cazzate. Non sono cazzate, proprio no. Fantastico, comincio ad avere pure disturbi della personalità.

Tuo per sempre (che tu lo voglia o no)
Harry x

P.S: ti amo”


Le ultime righe – un evidente schizzo di stanchezza di Harry- erano cancellate da una linea, ma riuscii comunque a leggerle e a farmi un’altra risata. Okay, Gioia, respira, mi dissi poi, ripercorrendo le parti serie della lettera nella mia mente. Mi passai il dorso della mano sugli occhi, sorridendo poi come una scema. Quella reazione era la risposta a tutti i miei dubbi: amavo ancora Harry, questo l’avevo capito, ormai, ma realizzai un’altra cosa, che forse mi faceva anche un po’ paura. Ero disposta a provarci di nuovo, a fidarmi, e questa volta ero determinata a farla funzionare al meglio.

Presi le mie cose, ed uscii dalla stanza, raggiungendo velocemente la reception.

“Buongiorno. Mi scusi, per caso un certo Styles è passato di qua, stamattina?”, chiesi, con il cuore in gola.
“Certo. Camera 94, immagino”, rispose la donna, con un sorriso gentile.

Annuii.

“Mi ha detto di riferirle che sarebbe rimasto a Verona fino a mezzogiorno circa, poi è uscito a fare una passeggiata”, mi avvisò.
“Le ha detto se ha intenzione di tornare qui?”, chiesi ancora.
“No, ma ha fatto il check out, quindi non credo si farà rivedere”, rispose.

Ringraziai, poi uscii dall’hotel, in preda ad una forte ansia. Guardai l’ora: le undici. Imprecai sottovoce, poi cominciai a camminare veloce verso il centro. Avevo una paura folle di non trovarlo, di perderlo di nuovo. Come avrei fatto a sapere dov’era? Provai a chiamarlo, ma rispose la segreteria telefonica. Decisi di calmarmi e pensare razionalmente: inizialmente esclusi i luoghi di interesse turistico, in cui ci sarebbe stata fin troppa gente per non essere visto, ma a quel punto cosa mi rimaneva? Non conoscevo così bene Verona da pensare ad un qualche posto in cui potesse essersi fermato. Vagai per una ventina di minuti in giro per la città, osservando attentamente ogni via, ogni angolo, ogni luogo che potesse sembrare adatto ad incontrare Harry. Ma alla fine mi arresi, e, dopo aver fatto un rapido punto di dove mi trovavo, mi diressi verso il balcone di Giulietta.

Guardai ogni singolo volto che incrociai durante il tragitto e, arrivata lì, feci lo stesso, ma di Harry nemmeno l’ombra. Lo stesso risultato negativo lo ebbi in Piazza delle Erbe. Presi allora la strada per l’Arena, sentendo di aver già perso in partenza: era il luogo di maggiore attrazione turistica, non l’avrei mai trovato lì. A meno che non si fosse messo in testa di fare il turista. Feci il giro intero della piazza due volte, per essere sicura che non mi fosse sfuggito, poi mi fermai davanti all’Arena, e alzai lo sguardo, non saprei se più al cielo, in cerca di una risposta, o al teatro stesso, guardando i turisti in cima. Nessuno di loro assomigliava neanche lontanamente alla persona che stavo cercando.

Decisi comunque di tentare, così comprai un biglietto ed entrai. Percorsi una lunga galleria, seguendo il flusso di gente che era entrato assieme a me, poi presi gli scalini che portavano in cima, fino all’ultima gradinata del teatro romano. Li salii uno alla volta, facendo attenzione a dove mettevo i piedi, poi, una volta arrivata in cima, mi fermai, e mi guardai attorno, osservando attentamente le persone più o meno vicine, e aguzzando la vista per quelle più lontane.

A circa cento metri da me, c’era un ragazzo che osservava la piazza sottostante, un cappello beige in testa, maglietta bianca con una scritta arancio scuro che copriva gran parte della schiena, e pantaloni neri stretti. Non mi ci volle che mezzo secondo per riconoscerlo. Sorrisi, felice, speranzosa, con il cuore che scoppiava. Presi a camminare lentamente verso di lui, sperando che non si voltasse, e intanto lo osservai: i riccioli che uscivano dal cappello si muovevano leggeri all’aria, le braccia muscolose, il sinistro in parte coperto da tatuaggi, erano appoggiate alla ringhiera di ferro dell’arena; mi soffermai sulle spalle larghe, la schiena forte e lunga, che si stringeva sul bacino, lasciando il posto alle gambe, così belle da poter far invidia alle ragazze.

Mi fermai a qualche metro da lui.

“Ehi, non avevi paura che le fan ti assalissero?”, dissi, cercando di attirare la sua attenzione.

Harry si voltò, quasi di scatto, poi, più tranquillo, mi rispose.

“Ne ho incontrata qualcuna, ma sono sopravvissuto, la maggior parte se n’è andata a casa”

Ed eccolo lì, quel sorriso che tanto mi era mancato, quel sorriso così vero, così suo: le fossette ai lati della bocca gli davano un’aria quasi infantile, ma era ciò che amavo di più di quell’espressione. Gli occhi, con il sole di quella giornata, erano ancora più chiari, ancora più verdi, ancora più brillanti e belli. Gli sorrisi di rimando.

“Ci hai messo un po’ ad arrivare”, si lamentò, avvicinandosi.
“Mi sono svegliata tardi, e non pensavo ti mettessi a fare il turista proprio oggi”, protestai, ridendo.
“Mmmh, avevo voglia di fare un giretto. Comunque, sono io che mi sono svegliato tardi, troppo tardi, mi sa”, mi corresse.

Inizialmente non capii, poi, quando vidi i suoi occhi farsi più seri, riuscii a trovare il significato delle sue parole.

Giusto in tempo, però”, ribattei, sorridendo.

Harry mi si avvicinò ancora di più, lasciando pochi centimetri tra il suo petto ed il mio.

“Cosa mi dici di questa?”, chiesi, estraendo la lettera dalla tasca dei jeans.
“Non hai capito niente, vero?”, chiese, portandosi una mano alla nuca e ridendo.
“Ho capito tutto, invece, Styles. Dovresti fare queste cose di notte più spesso”, ribattei.

Harry rise, rilassato. Anche quella risata, così liberatoria e quasi sguaiata, mi era mancata da morire. Lo guardai mentre i suoi occhi si stringevano, facendo comparire qualche grinzetta ai lati, la bocca completamente spalancata e le mani che si univano davanti al viso. Io tentai di rimanere seria: avevo ancora bisogno di qualche conferma. Lui se ne accorse, e si ricompose.

“Beh, posso giurarti che tutto quello che c’è scritto è vero, compresi i disturbi della personalità. Prometto che comincerò ad andare da uno psicologo”, disse, accennando un sorriso furbo.
“Ho dormito bene, stanotte”, buttai lì, sempre mantenendo una faccia di bronzo.

Harry mi guardò fisso negli occhi, cercando di capire il mio cambio di discorso, poi sorrise.

“Non ti ha dato fastidio?”, chiese, quasi insicuro.

Scossi la testa, abbassando lo sguardo verso la piazza veronese. La gente che camminava sembrava minuscola da lì sopra. Una delle braccia di Harry mi coprì improvvisamente la visuale, andando poi, con l’altro, a circondarmi le spalle. Appoggiai il viso nell’incavo tra il collo e la spalla, inspirando il suo profumo, che non avevo dimenticato, così fresco, così suo, poi gli cinsi la vita con le braccia. Harry mi strinse più forte, sospirando piano.

Mi sei mancata così tanto”, sussurrò.

Lo strinsi più forte a mia volta, e girai il viso verso il suo.

Anche tu”, risposi.

Non so per quanto restammo abbracciati così, in silenzio, ma durò fin troppo poco. Harry mi lasciò le spalle, e fece un paio di passi all’indietro.

“Manca qualcosa, qui”, puntualizzò, appoggiando l’indice e tracciando dei piccoli circoli sulla mia pelle appena sotto il collo, lasciata scoperta dalla leggera scollatura della maglietta.

Brividi cominciarono a scorrermi lungo la schiena non appena il suo dito sfiorò la mia pelle. Poco alla volta, ricominciavo a prendere confidenza con tutte le sensazioni a cui avevo dovuto rinunciare per qualche settimana, e che pensavo mi sarebbero mancate per sempre.

“E’ a casa, non l’ho buttata. Solo che non me la sono più sentita di metterla …”, spiegai, sentendomi quasi colpevole.
“Ssh, ho capito, tranquilla”, sussurrò, accarezzandomi la guancia con il pollice.

Annuii, più tranquilla.

“Non so cosa tu abbia deciso di fare, ma ti prometto che non farò mai più niente che ti possa ferire”, disse poi, guardandomi serio negli occhi.

Potevo credergli, potevo fidarmi, lo vedevo dal suo sguardo chiaro, trasparente, non voleva altro se non me.

“Sai dove va a finire questa?”, chiesi, guardando la lettera.
“Spero non nella spazzatura”, rispose, incerto.
“Questa, caro Styles, te la sbatterò in faccia ogni volta che ti verrà in mente di lasciarmi di nuovo, per un motivo o per l’altro. Un promemoria amichevole, diciamo”, ribattei, trattenendo un sorriso.
“Giuro che non ce ne sarà bisogno, amore”, promise lui, posandomi le mani sulla vita.
“Io ti credo, Harry, voglio farlo. Perché ti amo, e se non sto con te potrei impazzire”, dissi, realizzando solo in quel momento quanto quelle ultime parole uscite dalla mia bocca fossero vere.
“Non ho bisogno di altro nella mia vita, se non di te”, ribatté lui.

Lasciai finalmente libere le mie emozioni, che avevo ignorato fino a quel momento per non farmi troppo male in caso di caduta. Il mio cuore prese a battere alla velocità della luce, lo stomaco mi si chiuse per le troppe farfalle, e le mie labbra si piegarono infine in un sorriso spontaneo e felice. Appoggiai una mano sul petto di Harry, trovando conferma a quell’ultima domanda: anche il suo cuore era praticamente impazzito.

“Anche questo mi è mancato”, dissi, guardandolo con un sorriso.
“A me c’è una cosa che è mancata più di tutto …”, sospirò.

Potevo ben immaginare cosa fosse, soprattutto per il fatto che si trattava della stessa cosa che mi era mancata fino a farmi quasi impazzire. La stessa cosa che in quel momento desideravo più di tutto, la stessa cosa che la sera precedente avevo negato ad entrambi a causa dei miei dubbi. Ma in quel momento, qualsiasi incertezza sembrava essere sparita, dissolta nel nulla.

Harry avvicinò il viso al mio, tentennando per alcuni istanti; passai lo sguardo dai suoi occhi, incatenati ai miei, alla bocca, osservandola fin nei minimi dettagli: le labbra rosse, carnose, quello sopra poco asimmetrico ma comunque perfetto, quello sotto leggermente sporgente, i denti bianchi allineati quasi con le misure. Mi avvicinai di più a lui, lasciando pochi millimetri tra le nostre bocche, e permettendo poi a Harry di riempire quella distanza. Fu un bacio semplice, delicato, fatto solo di labbra, felicità e amore. Un bacio che durò un secondo, ma che bastò a mandare in tilt le mie terminazioni. Riaprii gli occhi, temendo che fosse tutto un sogno, un’altra volta. Harry mi osservò, raggiante.

Grazie”, sussurrò al mio orecchio.
“E di cosa?”, chiesi, girandomi per guardarlo.  
“Di essere di nuovo la mia piccola”, rispose, sorridendo.

Avvicinai di nuovo la bocca alla sua, questa volta chiedendo di più: schiudemmo le labbra insieme, lasciando che le nostre lingue riprendessero confidenza, che si ritrovassero; ritrovai il sapore di Harry, e lui il mio, il mio corpo ritrovò il suo posto nel suo abbraccio, i nostri petti, stretti uno contro l’altro, risuonavano ognuno del cuore dell’altro.

Ti amo, Styles, all’infinito. Grazie di essere stato forte per me”, sussurrai, terminato il bacio.

Lui sorrise.

“Non credo ci sarei riuscito se tu non ci fossi stata. Sei tu che mi dai forza”, rispose.
“Quindi non ci lasceremo più?”, chiesi, quasi come una bambina.
“Mai più”, confermò lui.

Lo abbracciai forte, buttandomi di slancio su di lui, che mi sollevò da terra e mi fece girare un paio di volte, ridendo. Il resto del mondo, in quel momento, sembrava aver deciso di lasciarci soli, in pace, a goderci il nostro attimo di paradiso, quel ritrovarsi che credevamo non sarebbe mai arrivato; non un turista, né nessuna fan, vennero ad interromperci, a chiedere una foto, nulla di tutto ciò. Potevamo essere noi, insieme, e basta.

“Abbiamo ancora un po’ di tempo insieme”, affermò, rimettendomi a terra e guardando l’orologio.
“Ma è mezzogiorno! All’hotel mi hanno detto che …”, protestai, ma lui mi fermò.
“Era solo una scusa per farti correre un po’, non ce la facevo più ad aspettarti”, ribatté, un sorriso furbo sul volto.

Incrociai le braccia sul petto, scuotendo la testa e ridendo.

“Devo essere a Milano al massimo per le cinque. E prima c’è una cosa che vorrei fare”, spiegò.
“E sarebbe?”, indagai.
Portami a conoscere i tuoi”, chiese.

Spalancai gli occhi, incredula.

“Ma sei impazzito?”, esclamai.
“Forse sì, in effetti. Ma devo farmi perdonare anche da loro, altrimenti come faccio a stare con te? Non mi lascerebbero nemmeno avvicinarmi, con quello che ho combinato!”, ribatté lui.

Non era una cattiva idea, in effetti. Sperando nella buona stella, i miei avrebbero lasciato correre, e non avremmo più avuto problemi. Accettai la sua idea, con non poca paura in corpo.

“Fantastico!”, esclamò lui.

Contento come un bambino che apre i pacchetti sotto l’albero a Natale. E doveva conoscere i miei. L’Italia gli faceva decisamente male.

“Prima però, un’altra cosa”, annunciò.

Il cellulare in una mano, mi circondò con un braccio e, mentre mi voltai a guardarlo per capire cosa avesse intenzione di fare, mi baciò di nuovo, scattando una foto nello stesso momento. Non appena le sue labbra si appoggiarono sulle mie, mi lasciai andare, cercando di rendere quel fermo immagine il più spontaneo possibile. Risi della sua momentanea pazzia, poi lo guardai armeggiare con il telefono.

“Non la starai mica pubblicando?!”, chiesi, sorpresa.
“Certo che sì”, rispose, alzando lo sguardo su di me.

Alzai un sopracciglio, in attesa di una spiegazione.

“Amore, hai la testa dura, eh. Ieri sera, la canzone, poi ci hanno visti arrivare assieme in hotel, qualche supposizione l’avranno fatta pure le fan, non credi?”, spiegò, con tono superiore.
“E quindi? Non avevamo detto che la loro opinione contava fino a un certo punto?”, replicai.
“Certo. Ma almeno diamo loro una conferma delle loro supposizioni, no?”, ribatté, facendomi l’occhiolino.           

Capendo infine ciò che voleva dire, mi avvicinai a lui, e gli scoccai un bacio sulla guancia, prima di leggere la didascalia con la quale avrebbe pubblicato la foto.

It isn’t too hard to see we’re in Heaven

 You and I,
We don’t wanna be like them,
We can make it till the end,
Nothing can come between you and I
Not even the Gods above
Can separate the two of us
No, nothing can come between you and I



 
Curly space:
Aaaaaaaaaaaaaaaaaah sono troppo feliceeeeeeeee! Posso cominciare a festeggiare? Eh eh eh??? :D
(Curly, ricomponiti, per favore) Okay. Okay, un attimo che torno sulla terra, eh... =P
Beh, allora, cosa mi dite? Io mi sono appena accorta, pubblicando, che oltre a You & I, in questo capitolo ci sta un sacco anche Strong *-* Giuro, non ci avevo fatto caso prima...

Comunque. Potrebbe essere che troviate il capitolo UN PO' dolce, un po' eh... Ma, sono seria, ho anche provato a ridurre il livello di zucchero, ma non ci sono riuscita, quindi, insomma... Questo. 
Ma, GIOIA E HARRY SONO TORNATI ASSIEMEEEEEEEEEEEEE! <3 Vi prego, ditemi che siete felici anche solo la metà di me, e sarò contenta :D
Voglio sentire le vostre opinioni, quindi, mi raccomando, fatemene arrivare tante tante tante :3 

Ora, prima che la situazione sclero peggiori ancora, passiamo a voi, magiche: 
GRAZIE a jtommo97 maty1D e tommo_is_the_best per aver messo la storia nelle Preferite :D
GRAZIE a IgLovepn Tommos_girl93  e sabrinatomlinson per le recensioni :D
GRAZIE A TUTTE per essere arrivate fin qui... <3

Come saprete, questo è l'ultimo capitolo, il prossimo sarà un epilogo con taaaaaaaante sorprese... Quindi, stay tuned! ;)

Bacioni,
Curly crush :)

 

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Capitolo 49
*** Something great ***


Something great


5 anni dopo 

Questa proprio non me l’aspettavo. Eppure quella piccola linea sul test diceva che mi dovevo adeguare, e cominciare a pensare anche a quello. Avrei dovuto immaginarlo, mi dissi, quel ritardo di due settimane, il senso di nausea che mi capitava negli ultimi giorni, avrebbero dovuto essere dei segnali, qualcosa a cui fare attenzione, e invece avevo lasciato correre, non ci avevo fatto caso, avevo sottovalutato gli avvisi che il mio corpo stava cercando di mandarmi; in fondo, non ero mai stata molto regolare, e per quanto riguardava le nausee, potevo aver mangiato qualcosa che al mio stomaco non era piaciuto. Ma ora ero incinta. Aspettavo un bambino.

Al momento, mi feci prendere dal panico: come era successo? Avevamo sempre usato le giuste precauzioni, avevamo cercato di stare il più attenti possibile. Non sapevo se lui fosse pronto, se lo volesse, se fosse il momento giusto. E io? Io ero pronta a diventare mamma?

In fondo, non ero più una bambina, ero una donna, ormai, e avevo una relazione stabile da qualche anno. Potevo definirmi pronta, questo sì. Respirai a fondo, e una nuova sensazione si impossessò di me. Felicità. Una felicità nuova, mai provata prima, una felicità che sentivo essere legata alla nuova vita che aveva cominciato a crescere dentro di me, chissà da quando. Non vedevo l’ora che Harry tornasse a casa per dirglielo.

Dopo quella breve pausa durante i primi mesi assieme, non c’erano più state particolari difficoltà nel nostro rapporto, se non qualche momento di incertezza dovuto più che altro al fatto di essere distanti e separati. Ma eravamo riusciti comunque a superare tutto, e a restare insieme, come ci eravamo promessi. Dopo aver terminato la laurea triennale in Italia, avevo deciso, provocando non poco dispiacere alla mia famiglia ed agli amici italiani, di trasferirmi in Inghilterra. L’idea, non totalmente mia, mi era stata suggerita da Harry che, come me, sentiva il bisogno di avermi più vicina, almeno nei momenti in cui non era in tour con i ragazzi, non avendo il tempo necessario a venirmi a trovare. Durante i primi anni, appena aveva una settimana libera, prendeva il primo volo per l’Italia e stava con me quanto più tempo poteva, ma, andando avanti con la carriera il tempo era diminuito sempre più, lasciandogli davvero poco spazio per la vita privata.

Con l’occasione del mio arrivo, Harry aveva comprato una casa singola, per me e lui, e così avevano fatto gli altri quattro ragazzi, interrompendo la convivenza tra amici. Arrivata lì, ero riuscita a trovare lavoro quasi subito, in una casa editrice che inizialmente mi aveva assunta come semplice tuttofare, poi, dando un’occhiata più approfondita al mio curriculum, ero stata promossa ad aiuto interprete per i libri italiani che riuscivano a raggiungere l’interesse dei britannici. Così, la mia vita sembrava aver preso la giusta direzione.

Vivere con Harry si era rivelato più facile e bello di quel che pensavo. Anche se riuscivamo a stare assieme praticamente solo la sera, visti gli impegni di entrambi, quei momenti ne valevano davvero la pena e io non aspettavo altro che il rumore della porta di casa che si apriva per corrergli incontro e saltargli al collo come una bambina di cinque anni. E lui rideva, rideva e mi abbracciava forte, come se avesse paura che potessi scomparire da un momento all’altro dalle sue braccia.

Soltanto a metà giornata realizzai che avevo calcolato male i miei piani per quella sera, e quando Harry sarebbe rientrato, non avrei potuto dirgli niente, non subito almeno. Mi ero dimenticata, infatti, che avremmo avuto ospiti: quei quattro pazzi dei suoi compagni di band, i miei ragazzi, che ormai erano diventati uomini.
Mentre entravano a casa, subito dietro ad Harry, li guardai, uno ad uno, e mi sorpresi di quanto fossero cresciuti in quegli anni, in tutti i sensi, pur avendoli avuti sott’occhio quasi ogni giorno. I loro volti avevano più barba rispetto a quando li avevo conosciuti, e i loro lineamenti si erano fatti ancora più maturi, se possibile, accompagnati da sguardi più seri, ma capaci di illuminarsi di quella luce infantile che avevano tempo prima non appena usciva qualche battuta maliziosa o appena più insolita.

Quanto alle relazioni, c’erano stati parecchi sviluppi: Zayn era stato il primo a sposarsi: lui e Perrie avevano dato l’annuncio del loro matrimonio ancora l’anno in cui avevo perso e ritrovato Harry, così, da poco più di tre anni erano marito e moglie, ma di bambini per il momento non c’era ancora l’ombra, molto probabilmente a causa della carriera di entrambi; Liam, dopo essere stato per circa un anno con una certa Sophia, aveva deciso di prendersi una pausa dalle relazioni per qualche tempo; da qualche mese, però, usciva con una ragazza carina, che ancora nessuno di noi aveva conosciuto di persona; Niall, sorprendendo tutti, aveva incontrato una ragazza, una modella poco conosciuta ma bella da togliere il fiato, e l’aveva sposata dopo soltanto due anni assieme, com’era stato per Zayn, d’altronde; Louis, invece, ancora assieme ad Eleanor, sembrava non decidersi. Almeno fino a quella sera.

I discorsi tra i ragazzi, infatti, toccarono più di una volta l’argomento matrimonio, provocando sguardi complici e quasi sospetti tra Harry e Louis. Non sarebbe stata una sorpresa venire a sapere che il castano aveva chiesto al riccio di fargli da testimone, vista la forte amicizia che li legava da sempre. Ma in quel momento, non c’era tempo per le supposizioni, c’era ben altro da festeggiare: la fine del loro terzo tour negli stadi, concluso circa una settimana prima con il solito grande successo.

Niente di insolito, si potrebbe pensare: ma quella fine non era come le altre, segnava qualcos’altro, una cosa che aveva fatto preoccupare i milioni di fan che li seguivano fin dagli inizi, e che, al contrario, metteva particolarmente di buonumore i ragazzi: dopo quelle ultime date, Zayn, Liam, Niall, Louis ed Harry, sarebbero spariti dalle scene per dodici mesi, prendendosi una meritata pausa dopo anni di ritmi frenetici. Ed io ero contenta per loro, così avevo proposto, quella sera, di ritrovarci lì e festeggiare insieme questo “nuovo inizio”.

Riflettendoci bene, non sarebbe stato il momento sbagliato per diventare genitori, vista la decisione presa dai ragazzi. In fondo, tra le motivazioni che loro avevano dato, c’erano la famiglia ed il dedicarsi ad essa in maniera completa e dedita, recuperando il tempo perso durante quegli ultimi anni, senza sminuire o disprezzare la loro carriera ed il successo al quale facevano ancora fatica ad abituarsi. Ma quelli erano pensieri miei, di cui Harry ancora non sapeva niente, perciò ci sarei dovuta andare con i piedi di piombo, senza mettergli pressioni.


“Comunque, tornando al discorso di prima, è importante, lo sai. Cioè, io ti ci vedo bene, ma se vuoi pensarci ancora un po’ …”, stava dicendo Louis, uscendo da casa nostra.
“Sì, sì, Louis, stai tranquillo, non ci sono problemi”, lo liquidò Harry, salutandolo poi con una pacca sulla spalla e spingendolo con poca gentilezza fuori dalla porta.

La mezzanotte era passata da circa mezzora, così i ragazzi avevano deciso di tornare a casa, ma soprattutto di “lasciarci soli”, annuncio accompagnato, ovviamente, da occhiatine e battute maliziose alle quali, pur essendoci ormai abituata, ero arrossita come una bambina sorpresa a combinare chissà cosa. Dopo averli salutati tutti, Harry chiuse la porta, e io mi allontanai di corsa verso il salotto, cercando di non farmi sentire. Così, quando si girò e non mi trovò dietro di lui, lo sentii esclamare: “Ehi! Che storia è questa?” con un tono a dir poco scandalizzato.

Scoppiai a ridere, rivelando il mio nascondiglio, così in pochi istanti mi ritrovai Harry addosso, a farmi il solletico sui fianchi mentre io cercavo di liberarmi. Riuscii ad avvicinare il mio viso al suo, e gli lasciai un bacio leggero sulle labbra, che lui però volle approfondire. Staccandomi, lo osservai: i suoi lineamenti, già decisi e maschili quando ci eravamo conosciuti, si erano evoluti ancora, rendendo la sua espressione più decisa e, se possibile, più sexy. Gli accarezzai le guance, arrivando alla linea della mascella, sentendo sotto i polpastrelli la barba che stava lentamente crescendo e che lui teneva corta solo perché a me piaceva di più così. Infine, spostai lo sguardo sugli occhi, che al contrario di tutto il resto, non erano cambiati: lo stesso verde confortante, la stessa luce, la stessa dolcezza di pochi anni prima erano ancora lì, così come il suo sorriso, reso ancora più adorabile ed in contrasto con il resto dei lineamenti dalle fossette.

“Sono felice che finalmente siamo da soli”, sussurrai, facendo correre le mani sul suo petto.
“Anche io”, replicò lui, portando in risposta le mani sui miei fianchi e infilandole poi sotto il maglioncino che avevo quella sera.

La mia pelle rabbrividì al contatto con le sue mani fredde, così mi strinsi a lui, lasciandogli un bacio sul collo.

“Volevo dirti una cosa”, iniziai, parlando piano e sentendo il mio cuore aumentare i battiti.

Harry si staccò all’improvviso, come se si fosse ricordato di qualcosa giusto in quel momento.

“Anche io. Mi fai sempre perdere il filo del discorso, delinquente”, replicò, lasciandomi un bacetto sulla punta del naso.
“Parla per te, credo di essermi dimenticata talmente tante cose a causa tua in questi anni …”, ribattei, ridendo.
“Devo prima prendere una cosa, arrivo subito”, mi avvisò.

Poi uscì di corsa dal salotto, rischiando di scivolare a terra a causa dei calzini che slittarono sul pavimento liscio. Nei minuti in cui sparì nello studio accanto alla nostra stanza, mi spostai in cucina, sistemando qualcosa qui e là, poi tornai in salotto ad aspettare il ragazzo, che arrivò dopo pochi istanti.         

“Eccomi qui”, annunciò, sventolando un cd.
“Harry, tu e quei disgraziati dei tuoi amici dovreste smetterla di farvi passare i film in anteprima”, protestai.

Harry rise, mi sembrò quasi teso.

“Dai, non dirmi che non ti piace vedere i film prima rispetto al resto del mondo”, ribatté lui, “Comunque non si tratta di questo stasera”, aggiunse poi.
“Ah no? Cos’è allora?”, chiesi, incuriosita.
“Tu intanto siediti, poi vedrai”, replicò lui, con un sorriso furbo sulle labbra.

Feci come mi diceva, e intanto lo osservai armeggiare con il lettore DVD, perdendomi nei movimenti della sua schiena e delle spalle. Sistemato tutto, mi raggiunse sul divano, dove poi mi accomodai su di lui, appoggiando la mia schiena al suo petto, e lasciando che le sue braccia mi avvolgessero. Facemmo partire il dvd, io curiosa di scoprire di cosa si trattasse, lui incapace di restare fermo. Il suo comportamento era insolito, sembrava davvero agitato, ma non capivo il perché. Mi accoccolai più stretta a lui, e decisi di godermi quel momento di pace. Intanto, la tv si era illuminata, e sullo schermo apparve una scritta: “Non sapevo che titolo dare a questo video, quindi accontentati di guardarlo senza capire, per il momento”. Risi piano, e Harry mi strinse più forte.

“Quindi l’hai fatto tu?”, chiesi.

In sottofondo c’era la base di Heaven, che ormai riconoscevo tra mille altre canzoni. Harry annuì in silenzio, poi mi invitò a guardare lo schermo. Iniziarono a passare foto di me e lui, da quando ci eravamo conosciuti, fino a quel momento. Il mio cuore cominciò a battere forte, realizzando quante ne avevamo passate insieme, e quante cose ancora –speravo- dovevano accadere. Più di una volta rischiai di commuovermi, ma mi trattenni reagendo con un sorriso sincero. Le ultime foto, scattate proprio quell’anno, sfumarono di nuovo nel nero.

“Harry, è bellissimo!”, esclamai, girandomi verso di lui.
“Non è ancora finito”, mi suggerì, con un sorriso.

Riportai lo sguardo sulla tv giusto in tempo per veder apparire un’altra scritta.

Cinque anni insieme sono tanti …”

Seguita da un’altra.

E voglio assicurarmi che diventino molti di più …

E poi un’ultima foto, Harry che sorrideva e reggeva un cartellone bianco su cui c’erano scritte poche parole.

Mi vuoi sposare?

Rimasi spiazzata. Spalancai gli occhi, rileggendo quelle parole decine di volte, finché non furono stampate nella mia mente. Il mio cuore prese definitivamente il volo, poi respirai a fondo, stringendo le mani sugli avambracci di Harry, ancora attorno a me. Mi voltai verso di lui, che mi stava già fissando, serio.

“Ma non era Louis a volersi sposare?”, chiesi, stupidamente.

Harry scoppiò a ridere.

“Perché proprio Louis, scusa?”, mi chiese poi.
“Non … Non lo so, visti i discorsi di stasera, pensavo …”, risposi, balbettando.

Ero sicura di essere viola in faccia, non riuscivo a collegare il cervello alla bocca e tutto ciò che mi usciva erano solo sciocchezze. Harry capì la mia confusione e, forse per tranquillizzarmi, mi lasciò un bacio sulle labbra, ottenendo l’effetto perfettamente contrario.

“No, amore, sono io che voglio sposare te, nessun altro”, sussurrò poi.

Finalmente realizzai tutto, e mi lasciai andare ad un sorriso, felice oltre i limiti dell’immaginabile, abbracciando forte Harry e baciandolo con passione.

“Questo però non vale come risposta …”, puntualizzò lui, poi.

Fingendo di essere seccata, sbuffai, poi mormorai un “Sì”, che provocò la stessa reazione che avevo avuto io pochi secondi prima a Harry. Mi ritrovai, così, stesa sotto di lui, che nel frattempo mi riempiva di baci e carezze, facendomi perdere qualsiasi residuo di ragione.

Ti amo”, mi sussurrò all’orecchio.
Ti amo anche io, Harry”, risposi.
“Ora però, facciamo le cose per bene!”, decise, liberandomi dal suo abbraccio e sedendosi composto a fianco a me.
“Chiudi gli occhi”, ordinò, non appena mi fui sistemata anche io.

Obbedii, poi sentii la sua mano prendere delicatamente la mia sinistra, per infilare poi sull’anulare un anello. Quando riaprii gli occhi, lo osservai immediatamente: era una fedina d’argento, con un piccolo brillante incastonato al centro, semplice, ma stupendo.

“Harry è meraviglioso!”, esclamai, alzando lo sguardo su di lui.
“Tu sei meravigliosa, piccola mia”, sussurrò lui in risposta, gli occhi che brillavano.

Gli buttai le braccia al collo, avvicinandomi a lui. Non riuscivo a crederci, non avevo immaginato neanche lontanamente che Harry avrebbe voluto impegnarsi con me così presto, ma ancora una volta era riuscito a stupirmi, e a rendermi felice. Mi baciò la guancia, poi mi guardò fisso negli occhi.

“Ehi, non avevi qualcosa da dirmi anche tu?”, chiese.

Mi ricordai improvvisamente della scoperta di quel mattino, così arrossii violentemente e abbassai lo sguardo, per poi annuire.

“C’è qualcosa che non va?”, chiese lui, vedendo che non parlavo.
“No. No, è tutto così … perfetto, che ho paura sia tutto un sogno”, mormorai.

Harry portò un dito sotto il mio mento per sollevarlo e far incrociare i nostri sguardi.

“Amore, io sono qui, voglio stare con te, ok? Stai tranquilla”, mi rassicurò.

Annuii, in silenzio, poi feci un respiro profondo. Presi a giocare con le sue dita, così lunghe e affusolate, quelle mani che erano così delicate e belle, e che avevano la capacità di farmi sentire al sicuro quando si stringevano attorno alla mia vita o al mio viso.

“Harry, aspetto un bambino. O una bambina, non lo so ancora”, farfugliai, abbassando sempre di più il tono.

I suoi occhi ebbero uno scatto, si chiusero e si riaprirono per poi spalancarsi alla velocità della luce e fissarmi, sorpresi. Dentro quel verde così puro, in pochi secondi lessi paura, sorpresa, incredulità ed entusiasmo. Ma forse ero io a confondere tutte quelle emozioni e stavo fraintendendo tutto. Sospirai piano, lasciando il suo sguardo, e aspettai.

“Ma come … No, lo so come succedono queste cose, ma … Ah, lasciamo perdere!”, borbottò a voce bassa.

Lo guardai di nuovo: era decisamente terrorizzato, potevo benissimo leggerglielo in faccia, ma sembrava anche felice, in qualche modo.

“Harry, non lo so, io …”, provai a spiegare, senza sapere cosa dire di preciso.
“Sssh”, mi zittì lui con gentilezza, “Quindi diventerò papà, presto”, realizzò poi.

Cercai di sorridergli, ma ero troppo tesa, i suoi pensieri non mi erano ancora del tutto chiari. All’improvviso, le sue mani presero il mio viso, e le sue labbra si appoggiarono sulle mie per darmi un bacio così velocemente che quando ci staccammo non me ne ero nemmeno resa conto. Mi accorsi, però, del sorriso di Harry, così aperto e sincero che cancellò ogni mia preoccupazione.

“Cioè, io ti ho chiesto di sposarmi ora visto che abbiamo questo anno di pausa e potremo fare le cose con calma, ma non pensavo che avremmo anche messo su famiglia così presto!”, esclamò, emozionato, quasi esaltato da quell’idea.
“Ma, quindi, sei contento? Cioè, non è troppo tutto in una volta?”, chiesi, speranzosa.

Harry corrugò la fronte, tornando serio per un attimo, poi scosse la testa.

“Beh, diciamo che non me l’aspettavo, questo sì. Però …”, rifletté ad alta voce.

Posò lo sguardo su di me, sorridendo dolcemente.

“Però sei tu, ed è con te che voglio avere tutto questo”, continuò, “E sì, sono contento, anzi sono felice, incredibilmente felice”

Finalmente mi rilassai, e portai le braccia attorno al suo collo, lasciando che le sue circondassero la mia vita, stringendomi a lui quanto più potevano.

“Tu stai bene?”, mi chiese, premuroso.
“Mai stata meglio, amore mio. Credo di essere la persona più felice del pianeta, in questo momento”, sussurrai, sorridendo.

La bocca di Harry si posò sulla mia guancia, lasciando un bacio leggero e spostandosi poi sulle mie labbra. Le sue mani accarezzarono la mia schiena, tornando poi sui miei fianchi.

“Aspetta un attimo, eh”, disse, staccandosi di poco da me.
“Che c’è?”, chiesi, curiosa.

Lui mi guardò con un sorriso misterioso mentre con le mani sollevò il mio maglione, per poi appoggiarle sulla pancia, ancora piatta, facendomi rabbrividire violentemente.

“Hai le mani congelate, disgraziato”, esclamai, socchiudendo gli occhi.

Harry rise, chiedendomi scusa.

“Facciamo così, va”, proposi.

Mi sistemai meglio sul divano, sedendomi dritta e sollevando un po’ di più il maglioncino.

“Vieni qui”, lo invitai poi.

Harry appoggiò l’orecchio al mio ventre, anche se ovviamente in quel momento non avrebbe sentito niente. Girò poi il viso, appoggiandovi le labbra.

“Ehi, piccolino, non so se mi senti … Ma sono tanto felice che tu sia lì dentro, e io e la tua mamma, che amo tanto, daremo il meglio di noi per te, ok?”, sussurrò alla pancia.

Risi leggermente, ma solo per ricacciare indietro le lacrime di commozione che stavano minacciando di arrivare a causa della dolcezza esagerata di quella scena. Harry lasciò un ultimo bacio sul mio addome, poi mi sistemò la maglia, e si sedette accanto a me, mettendomi un braccio attorno alle spalle. Portò il viso vicino al mio, e avvicinò la bocca al mio orecchio.

“Ho aspettato tanto per trovare qualcuno di speciale, qualcuno che mi accettasse per quello che ero. E adesso ho te, e non potrei chiedere di meglio, piccola”, sussurrò.

Tentai di pensare ad una risposta efficace, qualcosa che riuscisse ad esprimere tutto ciò che provavo per lui senza cadere nel banale, nelle solite cose, ma per quanto mi sforzassi in quel momento non mi uscì niente. Lo baciai, con quanto più amore avevo, sperando di riuscire a trasmettergli tutto ciò che avevo dentro. Ero felice, ero innamorata, avevo tutto ciò che una persona potrebbe desiderare, forse anche di più. Stavo bene, perché stavo con lui. Stavo bene, perché lui era tutto ciò di cui avevo bisogno, perché lui era quello giusto, ed ero riuscita a trovarlo.

Alla fine, qualcosa nella mia mente si illuminò, le parole di quella canzone che aveva scritto per me, per noi, quando ci eravamo persi, così lo guardai fisso negli occhi, amandoli ancora di più, e glielo dissi, sperando che per lui fosse abbastanza, sperando che capisse fino in fondo quanto vera ed importante fosse quella dichiarazione.

You’re my something great 

 
FINE 
 

Curly space:
Curly, forza, riprenditi. Queste sono le ultime note di questa storia *scoppia in un pianto isterico* e bisogna farle bene.
Allora, questa volta vado al contrario, e parto da voi, o meglio dalle ultime arrivate ;)
GRAZIE a Cloe__ LukeyPookey e _muffin_ per aver aggiunto la storia alle preferite :)
GRAZIE a _muffin_ per averla anche ricordata ;)
GRAZIE a Walkingdisaster_ e _Elisewin_ per averla seguita :)
GRAZIE a sabrinatomlinson tommo_is_the_best e IgLovepn per le recensioni :D
Grazie anche a coloro che cominceranno, magari, a leggere ora questa storia, sarete comunque le benvenute :)

Quindi, ci siamo, siamo arrivati all'epilogo di questa storia, la mia prima vera storia. Sì, ne ho pubblicate altre, ma questa è la prima che ho cominciato a scrivere in assoluto.
Intanto, chiedo scusa per il ritardo con cui pubblico, ve l'ho fatta aspettare parecchio questa conclusione, ma forse anche il destino non voleva che la finissi.... =P
Perché, insomma, non so voi, ma io sono disperata. Cosa faccio ora che ho finito di scrivere di Harry e Gioia? Sono andata avanti con la loro storia per più di un anno, e assieme a loro sono cresciuta, ho cambiato modo di vedere le cose, c'è stato uno sviluppo, ecco. E adesso boh, è finita. *va a piangere in un angolino*

Sì, è una fanfiction, è tutto un sogno, ma questa storia è importante, importantissima per me, proprio perché è il mio sogno, e allora, perché non crederci, almeno per un attimo? 

Passando all'epilogo, so che è davvero tutto troppo perfetto per essere vero, ma, come per l'ultimo capitolo, la mia vena romantica non mi lascerà mai in pace, quindi vi tocca sorbirvi tutto questo zucchero filato e miele. Sorry not sorry. ;) In ogni caso, spero vi piaccia, e sapete che sarò contenta di leggere i vostri pareri. :)
Ah, l'ultima frase l'ho messa in inglese perché rendeva di più, e si capiva meglio il riferimento alla canzone :D (persona stranaaaaaa)

Ringrazio OGNUNA DI VOI per essere arrivate fino a qui, per esservi appassionate a questa storia, per averla apprezzata, per aver sognato con me. <3 Siete il miglior "pubblico" che si possa avere.
Uno shoutout *SHOUTOUT!!* è di dovere a Jasmine, che ha cominciato a seguire questa storia da poco ma che, come molte altre, ne è già dipendente ahah ;)
E un grazie speciale anche a Tommos_girl93 e a Nanek per essere state le prime a darmi fiducia e a convincermi a pubblicare questa storia, senza di loro molto probabilmente sarebbe soltanto un documento salvato in Word... <3 
Un altro grazie, che dovrà attraversare stati, confini e mari, è quello che va a lui, che mi ha ispirato questa storia semplicemente esistendo e che rimarrà sempre il mio something great: GRAZIE HARRY! <3 

Con questo, mi ritiro... Ah no! Avevo un'idea che mi ronzava per la testa: siccome non riesco ad abbandonare i miei piccioncini così di botto, avrei intenzione di scrivere delle one shot su di loro, con contenuti e stili diversi, e farne una raccolta, a cui ho anche già dato un titolo, "Our moments" :3 
Ora però, sta a voi: se vi piace come idea, se vi interessa, fatemelo sapere, e quando comincerò a pubblicare qualcosa (fra un po' magari) ve lo farò sapere...
Intanto, nella mia pagina ci sono altre storie -poche- e se volete dateci pure un'occhiata ;)

Ora vado davvero a piangere XD
A presto,
vostra Curly crush xxx 

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