Run, so we'd both be free di darkneko_angel (/viewuser.php?uid=296605)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Break a life ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Le Mietiture ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Quando tornerò ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: L'abito non fa il tributo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Everybody stands up and keeps score ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: I'll prove you that I'm strong ***
Capitolo 1 *** Prologo- Break a life ***
Run,
so we'd both be free
È
così facile, in fondo, spezzare una vita. Basta non pensare
che il ragazzo sullo schermo potrebbe essere tuo figlio, o quello del
tuo vicino di casa. Non pensare, quello che Capitol sa fare meglio.
Mietiture, sfilata, addestramento, interviste, arena, morte.
Dimenticare.
È
così da sessantanove anni, perché dovrebbe
cambiare?
Basta
non pensare che c’è qualcuno che non
dimenticherà mai.
Perché
nel cuore di chi li ha amati tutti sono importanti, tutti sono speciali.
Tutti
sono umani.
Chissà,
forse un giorno qualcuno riuscirà a porre fine a questi
giochi della morte. Forse, un giorno.
Ma
adesso… beh, adesso, che i 69esimi Hunger Games abbiano
inizio!
Angolino
Autrici
Ciao! Siamo
darkangel98 e Keily_Neko (da qui il nick unito LOL) e come avrete
già capito, questa è un'altra storia interattiva! Ma specifichiamo che non è assolutamente stata scritta con lo scopo di raccogliere recensioni, non siamo così arriviste uWu Dopotutto scrivere deve essere un divertimento prima di tutto, o no?
Detto ciò, speriamo che la nostra storia vi piaccia: 24 nuovi ragazzi saranno mandati a morire, e ne sopravviverà solo uno. Chi non si può dire: il più forte? Il più scaltro? Il più fortunato? Continuate a leggere e lo saprete!
Un bacione a tutti <3
le
Strateghe
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Capitolo 2 *** Capitolo 1: Le Mietiture ***
Distretto 1:
Lusso
Il Distretto 1 si distingueva immediatamente dagli altri, oltre che per
l'eleganza e la ricchezza della piazza, per la calma dei suoi ragazzi.
Nessuno era smanioso di correre sul palco e vincere, nessuno era
timoroso di venir estratto. I volontari erano già scelti da
mesi, se non anni: non c'erano sorprese nel Distretto 1.
Jamilla quell'anno aveva cercato di rendere più sobrio il
proprio look, dopo essere stata tanto ridicolizzata nel corso della sua
lunga carriera, purtroppo senza successo, dato che la mise era
ridicolamente corta per una donna della sua età e il giallo
brillante in netto contrasto con il rosso fluo dei voluminosi riccioli
la faceva sembrare un semaforo, anche senza le tonnellate di pizzi e
gingilli di cui si copriva solitamente.
- Prima le signore! - trillò la donna-semaforo nel
microfono, ridendo come se avesse fatto una battuta.
Trascinò a lungo la mano nella boccia, cercando di creare un
po' di suspance.
- Strass Levinne! Strass Livenne sul pal...-
- Mi offro volontaria!
Jamilla sospirò, chiedendosi se avrebbe mai avuto il piacere
di accompagnare un bel dodicenne terrorizzato. Le colleghe dicevano che
era così gratificante!
- Vieni avanti cara! Nome?
Una diciottenne dai tratti orientali salì tranquillamente
sul palco, accompagnata dallo sguardo fiero e affettuoso allo stesso
tempo di sua madre, una rarità in quel distretto di genitori
oppressivi e duri.
- Het-Heru Zhao – la ragazza sorrise alla folla,
senza tradire troppa eccitazione. Era evidente che non era stata una
decisione d'impulso, la sua. Non aveva aspettato i diciotto anni per
niente: si era offerta perché aveva la certezza di poter
vincere.
- Oh, e potresti dirmi come mai?-
- Sono pronta per vincere, Jamilla. E' una cosa che voglio provare,
è da così tanto che aspetto! Combattere davvero
deve essere molto più divertente che infilzare manichini
– la ragazza condì le parole con un sorriso quasi
dolce che stonava decisamente con esse.
La capitolina annuì senza commenti, in fondo era abituata a
questo genere di atteggiamenti spietati.
- Passiamo al giovane uomo! - cinguettò frugando nella
boccia – Chissà, magari questa volta mi lascerete
vedere chi ho estrat... -
_ Mi offro volontario! Marvel Reiden – Un sedicenne
attraente, dai meravigliosi occhi verdi salì sul palco con
espressione cupa, fredda.
Incrociò le braccia con un ghigno indifferente stampato sul
volto. Notò che sul viso del suo patrigno si era formato un
mezzo sorrisetto compiaciuto. Evidentemente l'aveva soddisfatto.
Beh, non poté fare a meno di pensare, l'avrei soddisfatto
già da molto tempo se per una volta mi avesse lasciato fare
come mi pareva.
- Che bello! - disse Jamilla cercando di mostrare un po' di entusiasmo
– Famiglia Reiden, famiglia di vincitori! Prima tuo padre,
poi quella deliziosa Layla e ora tu! -
- Il mio patrigno – corresse automaticamente Marvel
– Non direi che a mio padre sia mai importato molto di me. E
non nominare quella troia – continuò in tono
indifferente, lanciando un'occhiata assassina alla capitolina.
I due ragazzi si strinsero la mano, mentre Het non poteva fare a meno
di ridere, dentro di sé. Credeva di convincere gli sponsor
comportandosi così? Che idiota. Quanto a Marvel,
già non la sopportava. Chi credeva di ingannare con quella
falsa dolcezza?
Quando le mani dei due ragazzi si strinsero, dagli sguardi che si
rivolgevano era evidente che non avevano pietà, erano
pronti. Erano cattivi.
- Ecco a voi Marvel Reiden e Het-Heru Zhao, i nostri coraggiosi giovani
dei 69esimi Hunger Games!
Distretto 2:
Lavorazione Minerali
Al pari dell'1 – e forse anche superiore - il
Distretto 2 era quello che contava più volontari che
estratti alle Mietiture; anch'essi venivano scelti con largo anticipo,
tra i giovani più promettenti e capaci, in modo da
prepararli al meglio a qualsiasi tipo di arena in cui avrebbero potuto
finire. Anche qui quindi le sorprese erano molto rare, non c'era quasi
il tempo di leggere i nomi estratti dalle due bocce che subito un
ragazzo o una ragazza alzavano la mano, ansiosi di dimostrare il
proprio valore nell'arena e portare a casa ricchezza e gloria.
Ophelia quindi salì sul palco quasi annoiata: erano almeno
dieci anni che faceva l'accompagnatrice dei tributi del Distretto 2, e
probabilmente rivestiva quel ruolo da così tanto tempo
perché su dieci, sei Vincitori appartenevano a quel
Distretto. Quasi non c'era stato gusto. Per l'occasione indossava un
vestito arancione con motivi bordò, abbinato a delle scarpe
e un cappellino rossi; il tutto veniva completato dai capelli lisci
della donna che per l'occasione aveva tinto di rosso –
Ophelia odiava le parrucche.
All'ora stabilita i ragazzi si erano ritrovati in piazza e si erano
divisi nelle rispettive ordinate file: i volontari ovviamente c'erano
già, quindi anche i rari ragazzi ai quali gli
Hunger Games non interessavano, vivevano nella tranquillità
di non venire estratti. Ophelia si stampò in faccia il
sorriso d'occasione e salutò tutti, dando il benvenuto ai
69esimi Hunger Games; partì quindi il filmato dei Giorni
Bui, che dopo 69 edizioni aveva annoiato anche i più fedeli
a Capitol City, e venne finalmente la volta delle estrazioni.
Ophelia si avvicinò alla boccia delle ragazze: - Prima le...
- Mi offro volontaria!
Ophelia bloccò la mano sgranando gli occhi: di solito la
lasciavano almeno avere l'onore di estrarre il biglietto! Chi era la
ragazza che aveva osato toglierle anche questa piccola soddisfazione?
Alzò gli occhi in cerca della giovane e notò che
non era l'unica rimasta allibita: tutta la piazza osservò
mormorando la figlia dell'astronomo muoversi dalla fila delle
diciassettenni e avanzare verso il palco nel suo vestito azzurro
chiaro, con i capelli castani come sempre sciolti, ma per una volta
abbastanza curati.
Nirvana sentiva intorno a sé i mormorii degli altri ragazzi:
incredulità, disprezzo, scherno, tutti commenti negativi;
adocchiò per caso la ragazza che avrebbe dovuto offrirsi
volontaria quell'anno, che la guardava con un odio nudo e crudo: aveva
18 anni, non avrebbe più potuto offrirsi.
- Mi offro volontaria... - mormorò a se stessa per darsi
nuova forza, o forse solo per rendersi pienamente conto di quello che
aveva fatto.
Ophelia le andò incontro con il microfono; anche lei
conosceva la figlia dell'astronomo per sentito dire, e sapeva che non
ci stava molto con la testa, quindi era incredula come il resto della
piazza: - Come ti chiami ragazza?
- Nirvana. Nirvana Kross – rispose lei, cercando in ogni modo
di apparire forte.
- E perché ti sei offerta volontaria?
Quella domanda era stata formulata dall'accompagnatrice, ma era nelle
menti di tutti.
Nirvana ebbe un attimo di esitazione: cosa rispondere?
Poi vide suo padre: Kurt era in piedi, nella fila dei genitori, con
fresche lacrime a solcargli il viso nel vedere la sua amata figlia
andare incontro alla morte.
E Nirvana seppe cosa rispondere: - L'ho fatto per mio padre: voglio
vincere e tornare da lui.
In fondo era vero, si era offerta per salvargli la vita, anche se forse
lo stava privando definitivamente della sua presenza.
- Un gesto nobile – bofonchiò Ophelia, e si
avvicinò senza ulteriori indugi alla boccia dei ragazzi.
- Ed ora il giovane...
- Mi offro volontario!
E due. Due in un solo anno che non la lasciano estrarre il biglietto.
Ma quando Ophelia alzò la testa, rimase allibita nel vedere
il giovane: anche il ragazzo era già stato scelto mesi
prima, e non era quello che si stava avvicinando al palco.
Elia arrivò, con il suo solito ghigno di
superiorità sulle labbra, in tutto il suo splendore;
passando, sentì i pianti delle ragazze che aveva soddisfatto
e di quelle che l'avrebbero tanto voluto. Salì sul palco e
prese posto alla solita distanza dal tributo femmina, con gli splendidi
lunghi capelli biondi mossi dal leggero vento che si era alzato. Sapeva
che ce l'avrebbe potuta fare, era allenato anche lui, quindi sfoggiava
la sua solita disinvoltura e sfrontatezza verso il mondo.
Ma il ghigno gli morì sulle labbra.
Un bambino, di circa cinque anni, sgusciato dalla presa di Amanda,
corse e salì i gradini del palco, andando ad abbracciare
forte il suo fratellone, piangendo.
- Gabriel tranquillo, andrò tutto bene – disse
Elia, ma in cuor suo era terrorizzato. Non per gli Hunger Games.
Un Pacificatore si avvicinò ai due ed Elia temette il
peggio: la storia di pochi anni prima non doveva ripetersi, non con suo
fratello, non con Gabriel. Il Pacificatore si accucciò per
prendere il bambino in braccio, ma vide che Elia lo tratteneva con la
forza a sé: - Stai tranquillo – gli disse l'uomo
– sono stato un amico di tuo padre, a tuo fratello non
accadrà niente.
E sentendo la sincerità della sua voce, Elia si
rilassò, permettendo all'altro di portare Gabriel ancora
piangente giù dal palco. Suo padre, il suo eroe, era stato
un noto e importante Pacificatore ma tuttavia era stato
fucilato in diretta nazionale per aver difeso con il proprio
corpo un bambino dalla lingua troppo lunga.
- Come ti chiami caro? - chiese Ophelia.
- Elia Klein – rispose lui, tornando in possesso delle sue
facoltà e sorridendo di nuovo.
- E perché ti sei offerto?
- Mi pare ovvio, per vincere! - rispose Elia. Ma il vero motivo era un
altro, e si chiamava atto di ribellione.
- Bene signore e signori! - esclamò Ophelia – ecco
a voi Nirvana Kross ed Elia Klein, tributi del Distretto 2!
Distretto 3:
Tecnologia
Era un po' un controsenso che dopo i distretti favoriti dovesse venire
il 3, quel posto grigio e triste, dove l'unico vantaggio dei potenziali
tributi era saper usare l'elettricità. C'erano solo facce
tristi e spaventare che fissavano Kureè, la magrissima
capitolina quarantenne, dipinta di nero e avvolta in un kimono giallo
fluo, mentre chiacchierava patetica, tentando in modo per niente
nascosto di fare colpo sul giocane e attraente neo-mentore del
distretto. Quando si decise finalmente a passare all'estrazione,
trascinò la mano nella boccia per un tempo esagerato e, dopo
una pausa teatrale, lesse il nome.
- Bella Sanford!
La ragazza era bruna, con gli occhi azzurri e le lentiggini che la
facevano sembrare più piccola dei suoi sedici anni. Non si
prese il disturbo di sorridere. Salì con aria triste, lo
sguardo abbassato sulle proprie vecchie scarpe mezze distrutte.
- Che bella bambina! - trillò Kureè –
Che bello, scommetto che ci darai un fantastico spettacolo!
Bella avrebbe voluto dire che la bambina aveva perso i genitori e aveva
un'intera famiglia sulle spalle. Avrebbe voluto dire che non aveva la
minima intenzione di dare spettacolo, che il pensiero di tutta Panem
che la guardava le faceva venire i brividi, che fosse tornata sarebbe
stato solo perché on poteva abbandonare i nonni e Matisse.
Ma Bella non era stupida, e sapeva benissimo che questo non l'avrebbe
aiutata con gli sponsor. Così si costrinse ad alzare gli
occhi e sorridere, ringraziando mentalmente che Matisse fosse troppo
piccolo per capire cosa le sarebbe accaduto, poi puntò lo
sguardo verso la boccia dei ragazzi, ansiosa di sapere che genere di
minaccia sarebbe stata il suo compagno di distretto.
- Ares... ehm, solo Ares! Chissà perché, magari
non ha i genitori! Oooh, che cosa triste... -
Un diciottenne alto e bruno dalla pelle candida per un attimo
sembrò sorpreso, poi si riscosse e salì con passo
calmo e lento sul palco.
Concesse appena uno sguardo di superiorità a
Kureè e Bella, per classificarle rispettivamente come
un'incorreggibile idiota e una minaccia trascurabile, poi rivolse
un'espressione misteriosa e cupa alle telecamere.
- Non la definirei triste – obiettò – Ci
si abitua, dopo tanto tempo. Concordo con lei comunque. Un ottimo
spettacolo. Fantastica idea, questi giochi –
continuò freddo, indifferente, guardando l'altra ragazzina
come un obiettivo da distruggere o da sfruttare. Come guardava sempre
le persone, del resto.
Bella dal canto suo lo conosceva e, sinceramente, la preoccupava. Aveva
sentito storie di persone uccise dai Pacificatori per ordine suo, e le
sue compagne di classe pettegole non facevano altro che parlare di
com'era bello e di quanto avrebbero voluto essere al posto delle
ragazze scelte che lui si portava in casa per una notte. Non era il
tipo da ascoltare i pettegolezzi, ma in quel momento ogni cosa era da
tenere presente, visto che sarebbe stato suo avversario.
- Ma vi vedete? Siete a-do-ra-bi-li! Oh, che spettacolo, che gran vello
spettacolo! Okay, Ares senzacognome e Bella Sanfors, tributi ai 69
Hunger Games!
Distretto 4:
Pesca
Nel Distretto 4 stranamente quell'anno l'atmosfera non era la solita.
Era evidente dall'ansia e dalla preoccupazione dei ragazzi che nessun
volontario era stato selezionato e che, per quell'anno, non sarebbero
stati un distretto favorito. Ma Sonnie, ovviamente, non si accorgeva di
nulla. Grassoccia e prosperosa, avviluppata in una nuvola di piume,
perle e pizzi bianchi intonati ai suoi capelli, era evidente che non
potesse capire cosa passava nella testa dei comuni, inutili cittadini
dei distretti.
- Buooooooon gioooooooooorno ragazzi miei! E possa la fortuna sempre
essere a vostro favore! - strillò a un tono di voce ai
limiti del sopportabile – Ora estraggo la ragazza...
volontarie? Avanti, so che ci sono volontarie... Forza care, non siate
timide! - La donna strizzò gli occhi e rise come se avesse
fatto una battuta, ma le rispose solo il silenzio. Quindi, con aria
falsamente dispiaciuta, estrasse il bigliettino femminile: - Adele
McMair!
Una graziosa quindicenne dai capelli ramati sbiancò,
portandosi una mano sul ventre. No, non poteva essere vero. Non poteva
essere! Non che avesse paura per sé, in fondo ormai era una
macchina da guerra, ma non c'era solo la sua vita in gioco.
- Adele! Hai sentito? Devi venire su cara. Corri!
La ragazza si decise a salire sul palco, afflitta.
- Oh, qualcuno ha esagerato con i dolci qui, eh? - trillò
Sonnie dando una pacca sul fianco largo e morbido di Adele –
Ma cara, potevi pensarci! Ora come accidenti farà il tuo
stilista?
- Senti chi parla, idiota – bofonchiò Adele
sottovoce, per non farsi sentir. Non si era mai fatta problemi a
rispondere male, ma non poteva permettersi di incattivirsi Capitol
City. Non ora, con la sua piccola Littze da proteggere.
- Ora il giovanotto! Manuel Sonne!
Un ragazzo dalla fila dei diciottenni salì sul palco,
lanciando occhiate disperare a una ragazza in lacrime fuori dal recinto
che stringeva un bimbo piccolo in braccio.
- Oh che scena tris... - sospirò Sonnie con falsa dolcezza,
ma non riuscì a finire la frase perché in quel
momento si accavallarono due “Mi offro volontario! Quasi
contemporanei.
- Oh bene, avete deciso di fare i coraggiosi allora! Tu, con i capelli
lunghi, sei quello che ha alzato la mano per primo mi sembra, vieni su.
Tu, non preoccuparti caro, puoi sempre offrirti l'anno prossimo.
L'altro lanciò uno sguardo afflitto ad Adele e
abbassò la mano cercando di soffocare le lacrime. Era
evidente che qualcosa legava quei quattro ragazzi, ma nessuno fece
domande. Il volontario salì sul palco e abbracciò
Manuel: - Non preoccuparti, se non torno sarà per un buon
motivo. E tu sii un buon papà per Radius, non come il mio,
okay? - gli sussurrò all'orecchio. E anche tu Seth, sarai un
buon padre. Anche se non lo sai, pensò, guardando l'altro
volontario.
- Ehm ehm! - la capitolina reclamò l'attenzione –
Mi diresti come ti chiami?
- Dilan Hedlund.
Il nome non era nuovo a Capitol. Del resto come dimenticare Zibilla
Hedlund, la volontaria dodicenne che aveva sbalordito tutti con la sua
vittoria? Ma Zibilla, sulla sedia riservata ai mentori, non sembrava
troppo felice che suo nipote avesse deciso di seguire le sue orme:
sapeva fin troppo bene che Dilan non era uno di quei ragazzi che non
vedevano la differenza tra un tributo e un manichino da allenamento.
- Oh che caro! Scommetto che era tuo fratello, no? - Dilan non era il
tipo che lancia insulti. Si limitò a guardarla, pensando che
non sarebbe stato male poterla incenerire con lo sguardo. Idiota.
Si posizionò accanto ad Adele e le strinse la mano. Non
poteva parlarle, non con quella cretina di Sonnie che li fissava, ma
del resto Dilan preferiva parlare con lo sguardo che con le parole. E
il suo sguardo diceva Tornerai, non preoccuparti. Tutti e due,
tornerete.
- Ehi, non c'è bisogno di essere così scostanti,
basta dirlo se mi sono sbagliata! Uff, i giovani d'oggi. Beh, ecco a
voi Adele McMair e Dilan Hedlund, i vostri campioni ai 69esimi Hunger
Games!
Distretto 5:
Energia
Il Distretto 5 non era dei più poveri, ma il clima era
comunque cupo e teso, e questo per Audrey era quasi un'offesa
personale. Raggiungeva a stento i venticinque anni ed era splendida,
nel suo tubino attillato blu notte intonato ai tacchi alti e alle
meches che contrastavano in modo piacevole con i capelli dorati.
A Capitol City non era una delle più amate, anzi, era spesso
criticata per il suo stile un po' troppo semplice per gli standard
della capitale, ma il distretto era sinceramente affezionato a quella
ragazza un po' sciocchina, ma dolce e seriamente interessata ai suoi
ragazzi.
- Buongiorno cari! - cinguettò la ragazza al microfono
– Ora estrarrò il tributo femminile. Buona fortuna
ragazze! - strizzò l'occhio ed estrasse un bigliettino.
- Rebecca Runner!
Una bella ragazza dai lunghi capelli castani raccolti in uno chignon
disordinato venne avanti dalla fila delle diciassettenni, sorridendo
con aria sprezzante.
Salì sul palco con la massima tranquillità, come
se non aspettasse altro, ed era vero. L'avrebbe dovuto fare prima o
poi. Iniziava a sentire sempre più forte il desiderio di
uccidere e la sua famiglia meritava una vita migliore,per quanto quell'
ochetta Abby le facesse venire non poco i nervi.
Audrey la abbracciò con fare materno, come era solita fare
con tutti i tributi.
- Oh cara! Credimi, mi dispiace così tanto! Spero che la
fortuna sia sempre a tuo favore.
La ragazza la scansò con un gesto brusco: - E levati! Tanto
mi dovevo offrire – disse stringendosi nelle spalle.
- Oh beh, abbiamo una ragazza coraggiosa – esclamò
Audrey, sebbene un po' offesa dall'asprezza della ragazza. Senza altri
commenti infilò la mano nella boccia dei ragazzi.
- Peter Beetles!
Un ragazzo dalla fila dei sedicenni salì sul palco, cercando
di sorridere nonostante il terrore. Audrey gli rivolse un sorriso
rassicurante, ma non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto subito
dopo...
- Eh no bello, scordatelo! Mi offro volontario! - gridò un
ragazzo praticamente uguale a Peter, saltando sul palco.
- Ma... ma Jake... - ribatté l'altro.
- Niente storie Pete! - urlò Jake e colpì il
gemello facendolo cadere dal palco. Non poteva accettare che Peter
morisse. Sarebbe stato come perdere metà del suo cuore.
- Oh... oh beh, abbiamo un volontario a quanto pare! -
farfugliò Audrey per rompere il silenzio sconvolto che
seguì – Jake Beetles, presumo. Che gesto...
coraggioso! E dimmi, t-ti senti vincente?
Il ragazzo scosse la testa, come per togliersi l'espressione triste e
preoccupata dal viso, e sorrise, strizzando gli occhi verdi da serpente
che stonavano con il suo visto aperto e simpatico: - Eh, mi sono
sentito meglio, ma ci proverò! - disse, saltellando da un
piede all'altro come una tarantola – Ah, e vorrei dire a
tutti che tornerò, oh sì che tornerò a
casa! Posso salutare qualcuno? Beh, allora voglio salutare la mia
mamma, coraggio mamma, non preoccuparti, ci rivedremo, e anche mio
padre e tutti i miei amici, ciao John, ciao Sam, ciao Kurt, ciao
Finchel, ciao...
- Sì caro, ma adesso... - cercò di interromperlo
Audrey
- ciao Bob, ciao Widden, ciao Jemis...
- Okay, okay, basta adesso! - strillò Audrey – E
tu cara, hai qualcosa da dirci?
- Io mi sento molto vincente – dichiarò Rebecca,
con un sorriso malizioso e accattivante stampato in faccia.
- Ma bravi ragazzi, questo è lo spirito giusto! Di questo
passo diventeremo un distretto favorito! Ecco a voi Rebecca Runner e
Jake Beetles, i giovani eroi dei 69esimi Hunger Games!
Distretto 6:
Trasporti
Nel Distretto 6 l'atmosfera solenne era distrutta dai fumi puzzolenti e
dal ronzo perenne delle officine e Radennia doveva sforzarsi non poco
per sovrastarlo. Sulla trentina, era il suo primo anno nel Distretto 6,
ma era stata l'accompagnatrice del 7 e sembrava parecchio nostalgica.
Infatti si ostinava ancora a portare lo stesso vecchio vestito verde di
foglie e fiocchetti rossi, con tanto di cappello-ghirlanda posato sulla
parrucca riccia rosata. Aggiungendo la delicata sfumatura di bordeaux
della sua pelle era semplicemente ridicola. In effetti, sembrava che
andasse alla mietitura solo per sfoggiare la sua improbabile mise.
- Felici Hunger Games cari! - esclamò, facendo smorfie con
le labbra tinte di viola. Sculettando, si diresse verso la boccia ed
estrasse il bigliettino: – Nina Devine! - strillò
con un accento particolarmente marcato.
La diciassettenne, pallida e dai capelli castani, venne avanti
ghignando, le labbra striate in un sorrisetto cinico. Video suo padre
nel gruppo dei Pacificatori e non si stupì della sua aria
indifferente, sollevata persino, come quella di tutti gli abitanti del
distretto. In fondo l'aveva guardata trasformarsi nella creatura
infernale che era senza fare niente, quando mai le era importato
qualcosa di lei? O di sua madre, se era per questo. Si
posizionò a braccia incrociate accanto a Radennia,
guardandola con aria di scherno.
- Ehi, bel cappellino – commentò.
Radennia non notò il sarcasmo in quelle parole: - Oh cara!
Grazie mille, anche tu non saresti male se ti pettinassi un po' quei
capelli e non fossi così terribilmente magra! Ma dimmi cara,
vuoi dirci qualcosa?
La ragazza scoppiò in una risata priva di allegria: - Io?
Qualcosa? Nah, volevo solo ringraziare, ovvio! Che bello essere
estratta, era da tanto che lo aspettavo! - ghignò sarcastica
– Ma fottiti, fottetevi tutti. C'è...
c'è da avere paura di me, sappiatelo! - E scoppiò
di nuovo a ridere, ancora più inquietante, demoniaca quasi.
Radennia, troppo sconcertata per reagire con qualcosa di più
che un balbettio sulle buone maniere, proseguì con la
mietitura.
- Blade Stoner!
Si fece avanti un diciassettenne dall'aria inquietante, i capelli scuri
come gli occhi e un piercing sul sopracciglio aggrottato in
un'espressione cupa.
Squadrò la gente con aria truce e rivolse un'occhiata
assassina alla sua compagna di distretto, un'occhiata che significava:
nessuna pietà. E come Nina, Blade non aveva nessuno.
Perché un padre perennemente ubriaco, che preferiva a lui il
fantasma di quella stronza di Beatriz, si poteva tranquillamente
definire “nessuno”.
- Che bel giovane! E vuoi dire qualcosa? Che ne pensi della tua
estrazione?
Il ragazzo si limitò a guardarla torvo, stringendo i pugni.
- Caro ti prego! Dicci, ti spiace essere stato estratto? -
esclamò angosciata Radennia, sperando di rimediare almeno un
po' la pessima figura fatta con il tributo femminile.
- No! E perché dovrebbe dispiacermi? Sono nato per questo
no? Ammazzare qualcuno per far ridere una manica di deficienti! E alla
fine se muoio chi se ne frega! - ringhiò tra i denti il
ragazzo.
Tutti lo guardarono stupiti, di certo non era un atteggiamento comune
nel distretto.
Mentre Radennia annunciava gli adorabili tributi dei 69esimi Hunger
Games, le loro mani si strinsero e quasi sembrava che volessero
rompersi a vicenda. Ma nei loro sguardi c'era qualcosa, qualcosa che
sembrava stupore, l'uno per la cattiveria, per la sfacciataggine
dell'altro. Ammirazione, quasi. Del resto, loro erano maledettamente
uguali.
Distretto 7:
Legname
Il paesaggio del Distretto 7 era, in un certo senso, rilassante, dopo
tanti distretti industriali. La piazza era contornata di alberi e il
profumo dei pini si poteva sentire fin sul palco.
Purtroppo l'umore dei ragazzi invece era tutto tranne che rilassato e
nei loro volti si potevano distinguere tutte le sfumature dello
sconforto e del terrore.
Laxelyy, pur essendo una diciottenne al primo anno di lavoro, lo notava
benissimo, ma cercava comunque di portare un po' d'allegria, a
cominciare dalla mise: le calze a rete bianche a cuoricini, il vestito
a palloncino rosa confetto e i due codini castani ridicolamente alti;
sembrava una bambinetta dispettosa che medita la sua prossima
marachella.
E poi parlava, parlava, parlava. Aveva impiegato una buona mezz'ora
solo a salutare la folla e aveva dedicato grande attenzione al momento
solenne del discorso di apertura, condendo il tutto con penosi
tentativi di far ridere il suo pubblico. Ma non riuscendo a risollevare
gli animi, era finalmente passata al momento dell'estrazione.
- Hope Dianna Andersone! - gridò la ragazza – Oh,
sono così eccitata! Chissà com'è?
Sicuramente sarà carina, le ragazze sono così
carine qui! Spero solo che non sia una dodicenne, mi fanno sempre
tristezza...
La ragazza che salì sul palco era minuta ed esile, con
lunghi capelli castano chiaro e splendidi occhi color del cielo che
fissavano inespressivi il vuoto. Hope cercava di sorridere, ma era
terrorizzata. Avrebbe solo voluto che fosse tutto un sogno, che il
giorno dopo sarebbe di nuovo uscita con Hector e Robb e sarebbe andata
al matrimonio di suo fratello Simèon. Ma purtroppo non era
così.
Cercò lo sguardo di Esme tra la folla, temendo di vederla
con la mano alzata che strillava come una pazza “Mi offro
volontaria!”, ma grazie al cielo la sua amica era meno
avventata di quanto pensasse e si limitava ad incoraggiarla con lo
sguardo.
- Oh che cara! Dicci qualcosa di te, su! Quanti anni hai? Pensi di
vincere?- trillò Laxelyy eccitata.
- Sedici e... lo spero – sussurrò la ragazza,
abbassando lo sguardo.
- Mi pare giusto che tu speri, ti chiami anche Hope! - gridò
la capitolina ridacchiando e diede una vigorosa pacca sulla spalla di
Hope, con l'unico risultato di farle sgranare ancora di più
gli occhi dal terrore.
- Oh, passiamo al ragazzo – fece firare la mano nella boccia
– Donald Penguin!
La prima reazione a quelle parole fu il grido di dolore e la caduta di
un uomo anziano fuori dal recinto, e una sedicenne dai capelli scuri
che corse subito fuori ad aiutarlo ad alzarsi. Donald, dalla fila dei
diciottenni, salì sul palco senza piangere, senza mostrare
altro che la preoccupazione per il nonno, sebbene allietata da una
debole speranza. Sapeva che quel caro vecchietto aveva una forza
incredibile, e sapeva che poteva continuare ad andare avanti: doveva,
per il bene di Wendy. E lui doveva tornare a riabbracciarli.
Ma Laxelyy notò solo la straordinaria bellezza del ragazzo,
il fisico scolpito, gli occhi color del cioccolato e i capelli
scompigliati che gli davano un'aria spontanea e genuina, come lui
veramente era, del resto.
- Ohh – balbettò la giovane donna –
che... che bel ragazzo – Donald la guardò,
nascondendo una scintilla di disprezzo nel suo sguardo altrimenti
gentile – Ehi, grazie – disse in un forzato tono
scherzoso – Sarà carino stare in treno insieme.
Laxelyy arrossì e farfugliò qualcosa, mentre
Donnie pregava che Wendy capisse che, se avesse dovuto tradire il suo
amore, lo avrebbe fatto solo per tornare da lei. Strinse la mano a Hope
con un sorriso tenero e rassicurante stampato in faccia, mentre una
Laxelyy ancora su di giri annunciava i nomi dei due tributi.
Distretto 8:
Tessuti
A partire dal Distretto 8, i tributi che si offrivano come volontari
erano sempre meno, a causa del fatto che i ragazzi passavano la maggior
parte della vita sul posto dei lavori, già dalla
più tenera età. Il Distretto 8 era caratterizzato
da decine e decine di fabbriche adibite alla tessitura, da quelle meno
importanti i cui prodotti erano destinati alla popolazione, a quelle
più importanti dove si producevano le divise perfette dei
Pacificatori, e guai se una dovesse avere un filo fuori posto!
Anche quell'anno quindi Genevieve avrebbe dovuto mandare letteralmente
a morire due poveri ragazzi, forse addirittura poco più che
bambini; era il quinto anno che estraeva tributi e già al
secondo aveva iniziato a provare un senso di quasi disgusto per quello
che faceva: era stata così euforica quando l'avevano
assegnata a un distretto – sì, non uno dei
più favoriti, ma contava di fare carriera – che
non si sarebbe mai aspettata di odiare il suo lavoro. L'anno prima
aveva estratto una dodicenne: si ricordava ancora il suo sguardo
terrorizzato e la sua fine, quando venne massacrata al bagno di sangue
iniziale. Quella scena la portava nel cuore, e sperava non si ripetesse
mai più; si consolava solo con il fatto che nei Distretti
ancora più inferiori al suo andava molto peggio: nel 12
avevano avuto solo due vincitori in 69 edizioni! Lei sarebbe morta di
crepacuore di sicuro.
Arrivò sul palco vestita sobriamente, giacca e gonna di un
bel marroncino, con scarpe col tacco abbinate e i capelli raccolti in
uno chignon: era una delle rare accompagnatrici che dimostrava la sua
effettiva giovane età, neanche trent'anni. I ragazzi intanto
si stavano riunendo nella piazza, assumendo espressioni molto serie, e
i genitori dietro serravano le fila, probabilmente pregando ognuno per
il proprio figlio; per Genevieve quello era uno strazio e le faceva
venire il nodo alla gola. Alla fine si decise a mostrarsi sorridente
almeno per le telecamere e diede a tutti il benvenuto agli Hunger Games.
Dopo il filmato dei Giorni Bui, venne la volta delle famigerate
estrazioni: Genevieve si avvicinò con il cuore in gola alla
boccia delle ragazze, sperando con tutto il cuore di non estrarre una
dodicenne...
- Joanne Wilson – lesse.
Se la paura potesse uccidere, Joanne sarebbe morta sul colpo. Ma non
fece in tempo ad uscire dalla fila delle quattordicenni.
- Mi offro volontaria!
Gli occhi di tutti cercarono la proprietaria della voce fino a
riconoscerla in una figura dalla corporatura esile, i capelli castani
lunghi fino ai fianchi e la pelle candida come la neve.
Le guance di Jennifer si tinsero di rosso a causa dell'attenzione
probabilmente mondiale che aveva attirato, ma ormai l'aveva fatto: la
sua migliore amica non sarebbe mai sopravvissuta, forse nemmeno al
primo giorno; Joanne non si era mai allenata in vista dei giochi. Lei
sì. Lei aveva qualche possibilità di farcela,
poteva tornare a casa.
Salì sul palco con determinazione e Genevieve le
andò incontro con il microfono: - Come ti chiami tesoro?
- Jennifer Grey.
- E' una tua amica quella per cui ti sei offerta?
Jennifer annuì decisa: - Ce la farò,
tornerò a casa.
Genevieve era commossa da quel gesto – non le era ancora
capitata una cosa del genere – però non si
lasciò sopraffare e si diresse alla boccia dei ragazzi.
- Lysandre Laxfer
Metà popolazione trattenne il respiro: praticamente tutti
conoscevano Lysandre, e altrettanti lo adoravano, soprattutto le donne,
di cui lui era grande amico; perché anche Genevieve sapeva
che il ragazzo era omosessuale dichiarato. Ma omosessuale dichiarato e
fiero, cosa che gli permise di avviarsi con disinvoltura sul palco,
dopo essersi sistemato la sua fedele sciarpa al collo, e salire i
gradini fieramente, ma con il viso mezzo nascosto dall'indumento per
farsi coraggio. Perché anche il più coraggioso
può provare timore dentro di sé.
Genevieve gli si avvicinò: - Lysandre vuoi dire qualcosa?
- Certo – e si spostò la sciarpa dal viso per
poter parlare – Beh, mi ci vorrà una grande botta
di culo per tornare indietro, lo so, ma ehi!, magari accade il miracolo
no? Sappiate che comunque avrò sempre stile, anche da mezzo
morto! - e concluse il tutto con una strizzatina d'occhio e un segno di
vittoria verso le sue amiche, che lo guardavano disperate per aver
perso un compagno così particolare e unico.
Dal palco, Lysandre scorse l'ombra di qualcuno osservare la scena senza
un minimo di espressione facciale: suo padre, anzi no, il suo genitore
biologico, aveva seguito tutto e non aveva provato una sola emozione,
ma a Lysandre questo non turbava più di molto, aveva smesso
di considerarlo suo padre anni prima.
Genevieve si avvicinò a lui sorridendo dolcemente: - La
positività è sempre ben accetta, quindi signori,
ecco qui i tributi del Distretto 8!
Distretto 9:
Grano
Nel Distretto del grano quello era il periodo più rilassante
per gli abitanti, poiché il cereale era stato seminato ad
ottobre, sarebbe stato raccolto a giugno, e in quegli attimi ogni
singola piantina iniziava a crescere vistosamente, dando alle persone
solo il compito di controllarle e proteggerle da intemperie e
parassiti. Probabilmente non era un caso se la Mietitura avveniva
proprio in quel periodo dell'anno: evidentemente Capitol City aveva
organizzato tutto in modo che ogni singolo abitante assistesse, senza
campare la scusa del lavoro che loro stessi avevano affibbiato.
Phelywell era scesa dal treno respirando a pieni polmoni quell'aria
genuina: per fortuna le numerose fabbriche per la lavorazione dei
prodotti erano situate abbastanza al di fuori del contesto cittadino,
che quindi veniva inondato del dolce profumo del grano in crescita. O
almeno questo pensava l'accompagnatrice che da oltre 10 anni si
occupava del Distretto 9. Quell'aria così naturale e
così diversa da quella della capitale, aveva il potere di
rigenerarla ogni anno, forse anche ringiovanendola, per cui per lei la
Mietitura era uno dei momenti dell'anno che preferiva. Sarebbe stato
perfetto se non fosse per il compito che svolgeva: mandare a morte due
ragazzi ogni volta non era proprio la sua più grande
ambizione, ma ormai si era quasi abituata ed esso era diventato un
comune lavoro; e poi contava sul fatto che il Distretto 9 avesse
comunque un buon gruppo di Vincitori.
Phelywell era già pronta sul palco quando i potenziali
tributi si stavano ammassando in piazza, tutti tirati a lucido e
coprendo quasi del tutto i segni del lavoro massacrante che
già svolgevano nei campi. L'accompagnatrice diede il suo
spumeggiante benvenuto a tutti e presentò con entusiasmo il
filmato dei Giorni Bui: non poteva farci niente, l'aria che respirava
la faceva sentire splendidamente.
E venne la volta delle estrazioni: - Prima le signorine! -
esclamò trillando Phelywell, avvicinandosi quasi saltellando
alla boccia delle ragazze: - Karmilla Loshad - e le venne un nodo alla
gola mentre lesse.
Infatti tutti gli abitanti del distretto conoscevano la stramba
– se vogliamo usare un termine leggero – ragazza
che abitava nell'unico maniero dei paraggi. Karmilla uscì
dalla fila delle sedicenni, indossando la fedele divisa da cameriera
che ormai era il suo marchio, i bellissimi capelli ramati illuminati
dalla luce solare e gli occhi cerulei che scrutavano con sufficienza
ciò che la circondava; salì sul palco quasi
stizzita e si mise nella sua postazione.
-Ehm... - iniziò Phelywell, non sapendo come comportarsi
– vuoi dire qualcosa?
Ma Karmilla non la stava ascoltando, anzi, sembrava parlare con qualcun
altro (forse da sola?), al che Phelywell si indispettì:
detestava essere ignorata: - Insomma signorina! Sei stata scelta per
gli Hunger Games e non hai niente da dire??
Karmilla la ignorò ancora, annuendo un'ultima volta, poi si
girò e si rivolse direttamente all'accompagnatrice: - Sai
che è maleducazione interrompere qualcuno mentre parla? E
comunque sì, ho qualcosa da riportare: Gertrude dice che il
tuo abbigliamento fa veramente schifo. E lei era una stilista, se ne
intende – disse, alludendo all'accostamento di rosso e blu di
Phelywell che si arrossò in viso, ma cercò di
trattenersi per non mettersi a sbraitare in diretta. Non aveva neanche
fatto caso alla persona che la giovane aveva nominato, e che non era
presente sul palco.
Molti degli uomini del distretto, compagni di bevute di Karmilla,
abbozzarono un sorriso: loro infatti sapevano bene che la ragazza
parlava da sola o con ipotetici spiriti; d'altronde era matta.
Però sarebbe mancata, per il fatto che offriva sempre lei da
bere ovviamente.
Cercando di trattenersi, Phelywell si avvicinò alla boccia
dei ragazzi: - Ed ora il giovane uomo... - disse, l'entusiasmo ormai
minato da Karmilla.
- Mi offro volontario!
Phelywell alzò lo sguardo speranzosa: raramente erano
capitati volontari in quel distretto; a lei solo una volta, anni prima.
Dalla fila dei diciassettenni si fece avanti un ragazzo minuto,
dall'aria molto fragile che non dimostrava assolutamente la sua
età e sembrava sul punto di cedere; il suo aspetto era
abbastanza trasandato, ma lui non sembrava tenerne conto.
Benjamin avanzò verso il palco, sfiorando con la mano destra
il ciondolo a forma di foglia appeso al collo, regalo della sua
migliore amica.
Phelywell era abbastanza perplessa da quel volontario, come forse molti
del distretto: il ragazzo non sembrava avere qualche
possibilità di vittoria: - Come ti chiami caro? - gli chiese
gentile; in fondo le ispirava fiducia. E poi tutto pur di non tornare
vicino a Karmilla.
- Mi chiamo Benjamin McLein.
- E perché ti sei offerto volontario?
Bella domanda. In realtà Benjamin non lo sapeva con
precisione; la possibilità di per sé di essere
estratto per gli Hunger Games gli era sempre scivolata addosso come un
alito di vento. E poi il suo penultimo anno aveva deciso di offrirsi.
Optò di rispondere con la classica formula: -
Perché ho le possibilità di vincere.
Benjamin alla fine puntava sul passare inosservato, cosa che gli
sarebbe stata facile nell'arena se avesse iniziato fin da subito ad
attuare questa strategia.
- Bene! Signori, vi presento i tributi del Distretto 9! -
esclamò Phelywell, tornando al suo tono allegro.
Distretto 10:
Bestiame
I cavalli pascolavano tranquilli nei campi, le mandrie di bovini erano
rilassate sotto il sole di mezzogiorno di primavera, di una primavera
come tante purtroppo. Di lì a poco un giovane uomo e una
giovane donna sarebbero stati estratti per andare a morire, proprio
come carne da macello, ironico paragone per i tributi del Distretto
dedito all'allevamento del bestiame. Ed era praticamente
così che li considerava Hawness, l'accompagnatrice di quegli
anni; si era talmente infuriata tre anni prima quando l'avevano
assegnata al Distretto 10 che probabilmente a Capitol ancora si
ricordavano di lei e tremavano quando la vedevano; tuttavia non era
servita a niente ed era rimasta nel terzo distretto in ordine di
scarsità di tutta Panem. Per lei era la Mietitura
rappresentava una seccatura, più volte infatti aveva visto i
futuri tributi salire sul palco tremanti e terrorizzati, sul soglio
delle lacrime; detestava quelli come loro, insomma! Visto che erano
ormai in ballo, dovevano ballare! Che poi morivano quasi sempre, uno
dopo l'altro, soprattutto nel bagno di sangue iniziale. I rari
vincitori erano coloro che si facevano furbi prima e si guadagnavano
gli sponsor già dalla Mietitura; erano questi che piacevano
ad Hawness.
La piazza si gremì di gente, ragazzi e genitori, che dopo la
solita registrazione con il sangue, si sorbirono il video sui Giorni
Bui; Hawness sbuffò: in fondo non era colpa sua se i
Distretti si erano ribellati, peggio per loro, ora ne pagavano le
conseguenze.
Hawness si avvicinò alla boccia delle ragazze: - Prima le
signore, ovviamente!
Estrasse un bigliettino dalla potenziale mortalità: - Frida
Burton!
La ragazza si irrigidì: mai avrebbe pensato di poter essere
estratta per gli Hunger Games, insomma, era la figlia del sindaco! E
ora? Lei non si era allenata per niente, avrebbe dovuto morire!
- Mi offro volontaria!
Dalla fila delle dodicenni una voce dolce ma allo stesso tempo
determinata si levò nel silenzio della piazza.
- No Victoria... - sussurrò Frida, ma senza poter fare
niente.
La bambina si avviò verso il palco con fare aggraziato,
sorridendo in maniera spontanea: in cuor suo però sapeva
quanto era importante quella scelta; si era offerta volontaria e ora
doveva andare nell'arena a combattere. Ma aveva le carte in regola per
farcela.
Salì sul palco e Hawness rimase meravigliata da quello
scricciolo volontario, cosa rarissima in quel Distretto, che emanava
una così grande forza e sicurezza attorno a sé:
decise che quella ragazzina le stava stranamente simpatica: - Come ti
chiami?
- Mi chiamo Victoria Burton e mi sono offerta al posto di mia sorella
perché posso vincere.
E nessuno mise in dubbio le sue parole dopo aver guardato nei suoi
fieri occhi argento-azzurri.
Hawness si avvicinò quindi alla boccia dei ragazzi: - Dennis
Nicholas Moore!
Nessun volontario si fece avanti per offrirsi al posto di Dennis. Il
ragazzo avanzò dalla fila dei diciassettenni e
salì sul palco; perfino l'accompagnatrice non
poté rimanergli indifferente: Dennis era uno dei ragazzi
più sexy che avesse mai visto, e quasi a sottolineare
quell'aspetto, continuava a mordersi il labbro inferiore molto
lentamente, facendo sciogliere almeno metà delle donne che
guardavano la Mietitura in quel momento.
- Ehm... - iniziò Hawness; nonostante avesse almeno una
quarantina d'anni, non poteva non provare imbarazzo – Vuoi
dire qualcosa?
Dennis guardò i suoi compagni di scorribande: -
Semplicemente che vincerò, e che non vi dimenticherete
facilmente di me – e si passò la mano tra i
capelli biondi in modo provocante, ammiccando a chissà chi
con i suoi ipnotici occhi turchese.
Hawness andò in mezzo ai due tributi, approfittandone per
respirare, e li presentò come... - I tributi del Distretto
10!
Distretto 11:
Agricoltura
I campi verdeggiavano nel Distretto 11 e gli alberi da frutta stavano
per dare le prime gemme di stagione; tutto era pacifico, la vegetazione
riusciva a donare un senso di tranquillità impossibile da
ottenere da altre parti. Il silenzio regnava sovrano quel giorno, anche
se si sarebbero dovute sentire le voci dei lavoratori all'opera, come
sempre; non era un silenzio di tranquillità, non era un
silenzio rilassato: era il silenzio che precedeva la Mietitura, quando
tutti gli abitanti si riunivano in piazza e pregavano per i loro figli.
Cassandra quell'anno si era equipaggiata a dovere: stivali alti, gonna
resistente, giacca impermeabile e cappellino in testa, tutto delle
tonalità del verde. Non si era dimenticata l'anno prima: era
stata la sua prima Mietitura ed era andata vestita come le colleghe dei
distretti superiori, ma era capitato che il giorno prima avesse piovuto
a dirotto; lei si era sporcata di fango le pregiatissime scarpe di
pelle di coccodrillo, strappata la costosissima gonna su un paio di
cespugli di rovi e un uccello aveva avuto la bella idea di lasciarle un
ricordino sui capelli, per cui quell'anno aveva deciso che premunire
era meglio che curare.
Cassandra amava la natura, quindi era stata felice quando l'avevano
assegnata al Distretto più “naturale” di
tutti ma si era ricreduta l'anno prima, quando aveva visto morire i
suoi due protetti: aveva capito che purtroppo la bellezza del paesaggio
non sempre rispecchiava l'animo dei suoi abitanti, ormai rassegnati a
veder morire ogni anno due dei loro ragazzi. Per cui decise che la
Mietitura di quell'anno sarebbe stata veloce e indolore, almeno per lei.
Dopo il filmato dei Giorni Bui, Cassandra si avvicinò alla
boccia delle ragazze, e senza dire niente estrasse un nome: - Shila
Evans!
Probabilmente la ragazza in questione avrebbe preferito sprofondare
sotto terra piuttosto che salire su quel palco; fece un timido passo in
avanti quando una voce si alzò sopra i mormorii: - Mi offro
volontaria!
Esmeralda uscì dalle file delle sedicenni e si
avviò verso il palco, sorridendo a Shila quando le
passò davanti: Shila non doveva morire in quell'arena, era
la sua unica amica; se ci avesse rimesso la vita, anche lei avrebbe
perso un pezzo della sua. Salì quindi sul palco, i capelli
corvini, di cui andava tanto fiera, mossi dal vento di primavera;
quando fu su, riuscì a vedere in lontananza il suo amato
pesco, dove trascorreva gran parte delle giornate a leggere e scrivere
poesie, dove andava a piangere silenziosamente dopo ogni
Mietitura: quell'anno non avrebbe potuto permettersi quel lusso,
avrebbe dovuto mostrarsi forte, per cui sorrise alle telecamere.
- Come ti chiami cara? - chiese Cassandra tesa; non pensava che potesse
mai vedere un volontario in quel distretto.
- Mi chiamo Esmeralda Dickens, e tornerò a casa –
e dicendolo vide il suo piccolo cuginetto in braccio ai suoi genitori,
che la guardava forse non capendo ancora cosa stesse succedendo.
Sarebbe tornata per lui.
- Bene, e ora il giovane uomo – e Cassandra si
avvicinò alla boccia – Marcus Ayani!
Un giovane muscoloso e di bell'aspetto iniziò a camminare
verso le scale del palco, senza tradire alcuna emozione sul viso.
Marcus un po' se l'aspettava, ma in fondo era preparato: anni e anni di
allenamenti, in vista delle gare di pugilato non proprio legali,
l'avevano temprato nel corpo e nello spirito. E poi ci aveva pensato, e
aveva visto negli Hunger Games la possibilità,
l'opportunità di aiutare la sua famiglia a sistemarsi per
sempre, di aiutare sua sorella a guarire in modo definitivo, o per lo
meno di farle avere sempre le medicine a portata di mano.
Per cui salì deciso i gradini del palco e quando
parlò alla nazione lo fece con forza: - Tornerò
vincitore – e quelle due semplici parole riuscirono a
convincere quasi tutta la piazza. Marcus notò fra le file
Leonora e si ripromise di vincere anche per lei.
- Popolo di Panem – disse Cassandra – vi presento i
tributi del Distretto 11!
Distretto 12:
Carbone
Distretto 12. Il più povero di Panem, quello che ogni anno
offriva i ragazzi come veri e propri tributi, di nome e di fatto, in
quanto quasi sempre morivano nei primi giorni di arena. In 69 edizioni
c'erano stati solo due vincitori, di cui solo uno ancora in vita: dalla
50esima edizione, Haymitch Abernathy era stato l'unico mentore dei due
tributi del distretto dei minatori, ma non era mai riuscito a portarne
a casa uno vivo.
Ma in fondo non era neanche colpa dei tributi: nel distretto, i ragazzi
scendevano nelle miniere una volta compiuti i 18 anni, per cui
imparavano ad utilizzare picconi ed esplosivi solo dopo aver finito gli
anni delle Mietiture, per cui se venivano estratti, partivano
svantaggiati in quanto non avevano una particolare dote: o eri stato
così previdente da imparare ad utilizzare qualche arma
– cosa assai difficile in quanto la maggior parte dei ragazzi
riusciva solo ad andare a scuola e tentare di sopravvivere –
o imparavi velocemente durante l'Addestramento, o eri spacciato.
Perciò Effie Trinket, l'accompagnatrice addetta da
quell'anno, era molto irritata che il suo primo incarico fosse in un
distretto così misero e povero di Vincitori e possibili
tributi di un certo interesse. La donna era alla sua prima Mietitura e
sapeva già cosa aspettarsi: ragazzi mogi e disperati che
andavano al patibolo come dei condannati a morte; ma in fondo
perché negarglielo, lo erano.
Effie si presentò in un vestito rosa, abbinato a delle
scarpe di una tonalità più scura e ad una
parrucca dello stesso colore delle calzature; dopo il filmato dei
Giorni Bui, Effie prese il microfono in mano: - Felici Hunger Games! E
possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
Si diresse verso la boccia delle ragazze: - Prima le sign...
- Prima le signore un paio di balle!
Da un angolo del palco sbucò un ragazzo, di circa 18 anni,
muscoloso e dalla mascella squadrata, i capelli neri ribelli che
venivano ulteriormente scompigliati dal vento; nessuno si era accorto
della sua presenza sul palco, né il sindaco, né i
Pacificatori, né tanto meno Effie, a cui era preso un colpo
e che ora guardava allibita il giovane: detestava il linguaggio
scurrile e quel ragazzo ancora innominato si era presentato quasi
uccidendo le buone maniere. Effie gli si avvicinò allibita:
- Scusa chi...
Ma il ragazzo non le diede quasi il tempo di aprire bocca: - Cazzo, ti
pare questa l'ora di arrivare?!E' da sta mattina che aspetto sul
palco! Uno non si può neanche offrire come tributo
in pace... Mah! Non ci sono più le accompagnatrici di una
volta...
Inutile dire che Effie era rimasta traumatizzata: la sua prima
Mietitura e già la più problematica!
- Quindi tu sei...
- Io sono Wayne Tiger, ma per tutti Tiger, e sono il maschio volontario
del Distretto 12, mi pare ovvio! - si annunciò da solo, dopo
aver strappato di mano il microfono ad Effie, che stava probabilmente
per svenire.
Tiger guardò verso la folla e con soddisfazione vide che
Fred era rimasto a bocca aperta: mai più si sarebbe
aspettato che suo fratello onorasse la scommessa di farsi trovare sul
palco come tributo, ma doveva ricredersi: Tiger era lì,
tributo maschile del distretto dei minatori.
Effie riuscì a riavere indietro il microfono e si
avvicinò alla boccia delle ragazze, bofonchiando qualcosa
sulla mancanza di educazione, di galanteria, di tatto e di buone
maniere del giovane.
- Talia Coulter
Una ragazza bionda uscì dalla fila delle
quindicenni e avanzò, apparentemente molto rilassata; in
fondo se l'aspettava, il suo sesto senso gliel'aveva già
rivelato tempo prima, lasciandole tutto il tempo per organizzarsi al
meglio in vista dei giochi. Talia salì sul palco e da
lì riuscì a vedere la sua migliore amica Dawn che
la guardava sgomenta e disperata; la ragazza mimò con le
labbra un “visto? Te l'avevo detto” in direzione
della sua amica e poi le sorrise rassicurante. Dawn aveva avuto paura
di essere estratta e non aveva voluto credere alle rassicurazioni di
Talia, premonizione che si era avverata.
- Vuoi dire qualcosa? - Effie le si era avvicinata con il microfono.
- Solo che farò di tutto per vincere – rispose
Talia, continuando a sorridere.
Effie si portò in mezzo ai due tributi e tentò di
far tornare quella Mietitura alla quasi normalità,
annunciando: - I tributi del Distretto 12!
Angolino
Autrici
Ed ecco finalmente
le Mietiture! Allora, intanto ci scusiamo per il ritardo e per
l'impaginazione non perfetta, ma al momento della pubblicazione abbiamo
avuto seri problemi con l'HTML >.> provvederemo a
risolvere al più presto (avvalendoci di qualche aiuto
esterno LOL) e magari cercheremo anche di mettere le foto dei 24
tributi **
Che dire, sono tutti
bellissimi <3 ah, a proposito, se aveste qualche precisazione da
fare (cioè, se non abbiamo azzeccato il tributo LOL),
sappiate che ci siamo attenute alla lettera alla scheda che avete
mandato u.u però se c'è qualcosa che possiamo
limare, ditecelo pure <3
A tal proposito,
ecco come sono stati realizzati i Distretti
darkangel98
Distretti: 1, 3, 4, 5, 6 e 7
Keily_Neko
Distretti: 2, 8, 9, 10, 11 e 12
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Capitolo 3 *** Capitolo 2: Quando tornerò ***
Guardami negli occhi, guardali
bene, perché quando li rivedrai avranno visto la morte.
Stringi le mie mani, stringile
forte perché quando lo farai di nuovo saranno state sporche
di sangue.
Ascolta la mia voce ora che
è sincera, perché quando la risentirai
avrà mentito tanto.
Abbracciami forte, ora che sono
tuo, perché quando tornerò sarò
proprietà di Capitol City.
Distretto 1:
Het e Marvel
Het si lasciò sfuggire un risolino eccitato torturandosi una
ciocca di capelli corvini. Non ci poteva credere! Ce l’aveva
fatta, era un tributo.
Anzi, era una vincitrice. Vincitrice in partenza. Si allenava da quando
aveva sei anni e finalemente il momento era arrivato. Si concesse di
fantasticare sull’arena, chissà che genere di
sfide ci sarebbero state?
Il solo pensiero la riempiva di entusiasmo. Marvel, poi, le sembrava un
avversario davvero intrigante. Certo, non molto intelligente
all’apparenza, ma era alto, più di lei nonostante
i due anni in meno, spietato e l’aveva visto spesso
allenarsi, era forte. Iniziò a chiedersi come sarebbe stato
un combattimento con lui, cercando di intuire i suoi punti deboli.
Lo spalancarsi della porta interruppe i suoi pensieri. –Het!- Sua madre
entrò nella stanza con un gran sorriso. La donna corse dalla
figlia e la abbracciò. –Wow, piccola mia, sei stata
adorabile. Credimi, se non ti conoscessi bene non potrei credere che
dietro questo faccino dolce si nasconda una furia assassina.-
- Impareranno a temermi,
mamma. Tra meno di due settimane tornerò, vedrai.-
rispose la ragazza, convinta. – Non ho dubbi di questo, tesoro.
Oh! –la donna rise – Sono così fiera di te!
Mi raccomando, sii forte. Fatti valere. Io ti seguirò in TV,
ma sono sicura che sarai fantastica. Oh, ho incontrato i tuoi amici
dell’accademia. Ti salutano, faranno tutti il tifo per te.
Pensa, Amber mi ha detto che è più sicura di
offrirsi l’hanno prossimo se sa che avrà te come
mentore.-
La figlia si sentì lusingata da quelle parole. Adorava i
suoi amici, non sarebbe stata la stessa cosa allenarsi, senza di loro.
– Oh, si,
dille che anche io sarò contentissima di farle da mentore.
Direi che di strategie me ne intendo, io.- aggiunse,
sicura delle sue capacità. La donna continuò
– Insomma,
siamo tutti felicissimi per te, non vediamo l’ora di vederti
tornare vincitrice. E anche quel ragazzo… Diam ? Ho il
presentimento che non gli dispiacerebbe tornare con te.-
le strizzò l’occhio. Het arrossì
–Mamma, non mi
interessano i ragazzi, ora. Sono tutti dei tali stupidi…
Quando vincerò avrò tutto il tempo per pensarci.-
- Meglio tesoro, meglio.
Quando si tratta di uomini, più tardi è meglio
è. Oh, e a proposito…-
-Sì, lo so. Se
a Capitol City incontro papà lo “saluto”
da parte tua.- disse con un sorriso complice.
– Certo,
“salutalo”. E magari “invitalo in quel
bel paese” , anche. Così impara a fare il padre
sul serio, anziché farsi i cavoli suoi e mandarti ogni tanto
qualche vestito!-
- E fossero almeno bei
vestiti! Guarda- aggiunse, sollevando la gonna bianca e
rosa a fiorellini che portava per la mietitura.
- Ti sembra un vestito
da guerriera questo? - madre e figlia scoppiarono a
ridere. In quel momento il Pacificatore aprì la porta: -Tempo scaduto- La
donna diede un bacio sulla guancia ad Het e si alzò: -Cara, un’ultima
domanda: io sono felice che tu abbia deciso di offrirti, ma non ti
avrò mica fatto troppa pressione? Lo fai per tua scelta,
vero?-
La ragazza annuì, serena :- Certo! Sinceramente non so
nemmeno come ho fatto ad aspettare fin adesso. -
–Bene, allora
sono più tranquilla con me stessa. Buona fortuna, tigre.
-
- Grazie, ma non ne
avrò bisogno-
Marvel si liberò con una gomitata dalla stretta del
Pacificatore e si lasciò cadere con uno sbuffo sulla
poltrona. Sicuramente nessuno dei suoi cosiddetti amici lo sarebbe
venuto a trovare, quindi restava solo il suo patrigno, del quale
avrebbe volentieri fatto a meno. L’uomo entrò
quasi subito, squadrandolo da capo a piedi. – Bene, bene, era ora. Ti sei
offerto finalmente.-
Il ragazzo lo guardò malissimo, trattenendosi per non
prenderlo a parolacce.
– Guarda che
sei tu che mi hai obbligato a aspettare fino adesso. Io volevo andarci
a dodici anni, ma tu devi sempre…- si
fermò per non aggiungere “rompere le
palle”
- Avanti Marvel,
è inutile che ti credi il più forte del mondo.
È ovvio che non hai le capacità per vincere a
sì e no quindici anni come ha fatto Layla. Ora ce la
potresti pure fare, comunque.- aggiunse, squadrando il
figliastro come uno scommettitore che deve scegliere il cavallo
vincente.
Trattieniti. Potrebbe
essere il tuo mentore, ti serve, trattieniti. – Sono nato per questo,
vincerò.- disse il ragazzo, sicuro. –
Bravo, bravo,
l’importante è crederci.-
Marvel non capì se cercasse di prenderlo in giro o parlasse
sul serio, ma decise di ignorarlo, semplicemente. Faceva sempre
così, dal giorno in cui avevano cominciato a prenderlo in
giro per la… diciamo, moralità sessuale di sua
madre.
– Uhm, okay.
Hai qualcosa da dirmi? Sai, tipo consigli da vincitore?-
disse, tanto per cambiare discorso. Non gliene poteva fregare di meno
dei suoi consigli.
– Beh…
te l’ho sempre detto, sei un favorito, sappi di esserlo.
Cerca di essere il capo del gruppo, conviene sempre. E naturalmente,
non farti mai degli amici…-
-Perché poi
dovrò sempre ucciderli- completò
Marvel, annoiato. Glielo ripeteva da quand’era nella culla.
Praticamente erano state le sue prime parole.
– Non
preoccuparti, lo so. Non ne ho la minima intenzione, non sono bravo a
farmi degli amici. Semmai sono loro che vengono da me.-
aggiunse, increspando le labbra in un sorrisetto sprezzante.
– Mah,
sarà. La tua compagna sembra una tosta. Direi che devi
subito far capire agli altri chi comanda e eliminarla prima possibile,
poi vedi di ottenere almeno 10 in addestramento, o non vale nemmeno la
pena di… Marvel! Marvel, mi stai ascoltando?-
Il ragazzo- che effettivamente lo stava bellamente ignorando, pensando
già all’euforia del bagno di sangue- rispose
frettolosamente –Si
si, capito tutto- pur non avendo la minima idea di cosa
stesse parlando. Non aveva bisogno di lui per vincere.
– Bene, visto
che sei così convinto io andrei…-
E meno male! Pensavo che
mi sarebbe rimasto appiccicato fino al bagno di sangue!,
pensò Marvel.
- Buona fortuna, non
vedo l’ora di avere un altro figlio vincitore.-
disse l’uomo, e uscì sbattendo la porta.
– Wow, allora
sì che mi dai una ragione in più per vincere-
ghignò sarcastico e indifferente il ragazzo, nella stanza
vuota.
Distretto 2:
Nirvana ed Elia
Nirvana sedeva sul comodo divanetto in pelle nera di una delle tante
sale del Palazzo di Giustizia, continuando a guardarsi le mani che
tormentavano l'orlo del povero vestito azzurro che ancora indossava;
continuava a chiedersi se avesse fatto la cosa giusta, se veramente
fosse stato necessario offrirsi volontaria. Magari le cose si sarebbero
aggiustate da sole anche senza il suo intervento... No, aveva fatto la
cosa giusta e lo sapeva, ma il senso di angoscia ancora non la voleva
lasciar in pace.
La porta si aprì di colpo e Kurt irruppe come un uragano
nella stanza; si catapultò sulla figlia senza darle neanche
il tempo di alzarsi o spiccicare una parola: - Nirvana! Nirvana! -
la chiamò abbracciandola.
- Papà...
- Figlia mia,
perché, perché l'hai fatto! -
continuò l'uomo, sciogliendo l'abbraccio ma tenendo ancora
la ragazza per le spalle; aveva gli occhi lucidi dalle lacrime che
tentava di trattenere con tutta la sua forza.
Nirvana non riusciva a guardarlo negli occhi: la tentazione di dirgli
il vero motivo era tanta, ma così facendo avrebbe
probabilmente messo in pericolo la sua vita allo stesso modo che se non
si fosse offerta. Quel Pacificatore era stato molto chiaro: Se questa
volta non ti offrirai, tuo padre farà una brutta fine.
Kurt aveva di sicuro pestato i piedi alla gente sbagliata e lei si era
trovata a dover scegliere se dare la morte a suo padre in modo emotivo,
con la sua stessa morte nell'arena, o in modo fisico, con la
fucilazione del genitore nella piazza del Distretto.
- L'ho fatto... l'ho
fatto per dimostrare a tutti quanto valgo! - disse ferma
guardandolo.
C'era infatti una speranza, una possibilità, un lume di
candela ben visibile: vincere. Sì, avrebbe vinto e sarebbe
tornata a casa, portando gloria e onore a lei e suo padre; se il
destino aveva voluto che si offrisse volontaria, una ragione doveva
esserci, e Nirvana si stava auto-convincendo: quella ragione doveva
essere la sua vittoria, doveva per forza.
- Tornerò a
casa papà, e finalmente potremo vivere tranquilli: nessuno
ci disturberà più, nessuno ci
denigrerà più –
continuò, gli occhi accesi della scintilla della speranza.
Kurt la guardò nelle iridi verde/nocciola e sorrise,
lasciando che una delle lacrime sfuggisse al suo controllo: la speranza
nello sguardo della figlia era riuscita ad entrare anche in lui: - A me non interessa del resto
– iniziò – a me basta che ritorni a casa.
Nirvana promettimelo, promettimi che ritornerai.
- Te lo prometto
papà.
E avrebbe onorato ad ogni costo quella promessa.
In un'altra stanza non molto lontana, Elia guardava fuori dalla
finestra che dava sulla piazza: al contrario degli anni precedenti,
quando la Mietitura avveniva in modo ordinato e la gente tornava a casa
serena, in quel momento c'era un putiferio al centro dello spiazzo;
tutto perché i volontari designati non erano riusciti ad
offrirsi, scatenando proteste post-Mietitura, dividendo gli abitanti in
due fazioni, una contro l'altra. Elia ghignò sarcastico: lui
e Nirvana erano riusciti a creare un gran disastro con un piccolo e
semplice gesto ciascuno.
La porta si aprì e un piccolo bolide volò
all'interno, andando a circondare con le braccia la vita del
fratellone, in quanto la differenza di altezza fra i due era molto
importante; in fondo Gabriel aveva solo 5 anni, ma nonostante questo,
capiva perfettamente cosa stava succedendo ad Elia e piangeva tutte le
lacrime di disperazione che possedeva, per la possibile fine che il
fratello avrebbe potuto fare.
Elia sorrise dolcemente, cosa veramente rara per lui, e si
abbassò prendendo Gabriel per le spalle: - Ascoltami Gabriel, non devi
essere triste, non vuoi mica farmi credere che pensi che non
riuscirò a vincere?
Gabriel fece di no con la testa.
- Allora non piangere,
perché io tornerò sicuramente vincitore
– continuò – E poi devi essere forte: devi
proteggere Amanda in mia assenza – e gli
arruffò i capelli con la mano.
- Quindi... quindi
tornerai? - chiese il bambino, cercando di trattenere i
singhiozzi.
- Certo Gabriel, lo
prometto – gli rispose teneramente Elia.
Gabriel fu soddisfatto dal tono sicuro che Elia aveva usato e gli
rivolse un timido sorriso, per poi andare a sedersi sul divano e
lasciare il fratello all'altra visita.
Già, perché oltre a Gabriel, a salutare Elia era
venuta anche Amanda: era una bella ragazza, dai capelli neri e gli
occhi dorati, espressivi e vivaci, ed Elia l'aveva scelta come tata di
Gabriel.
Amanda si avvicinò a lui, gli occhi colmi di tristezza e
sull'orlo delle lacrime che si era ripromessa di non far scendere: - Lo prometti anche a me? Tornerai?
Elia annuì deciso.
- Guarda che ci conto,
sai?
La distanza tra i due diminuì pericolosamente e in Amanda
iniziarono a lottare l'enorme desiderio di baciarlo e la consapevolezza
che lui non volesse: perché anche Elia aveva intuito che la
ragazza provava dei sentimenti verso di lui, e doveva ammettere che
anche lui non era indifferente; ma per il lavoro che faceva, non poteva
permettersi di cadere in “trappole” simili, per cui
si era sempre rifiutato di innamorarsi di lei. Ciononostante, non si
sottrasse quando Amanda lo abbracciò e lo tenne stretto,
anzi, ricambiò il gesto e cercò di trasmetterle
tutta la sicurezza che poteva.
- Ripetimelo, ti prego
– sussurrò Amanda, il viso contro la sua spalla.
- Tornerò da
voi, non devi preoccuparti.
In quel momento Elia sentì qualcosa tirargli la maglia:
Gabriel si era di nuovo avvicinato e lo guardava con un'espressione che
solo un bambino poteva fare: alzò la piccola mano
porgendogli qualcosa che Elia afferrò.
- Ma Gabriel, questo
è il tuo preferito!
- Tienilo,
porterà fortuna – rispose il piccolo
mentre le lacrime riprendevano a scorrere sulle sue guance, e lo
abbracciò di nuovo.
Elia osservò il piccolo peluches a forma di panda: quel
pezzo di stoffa e Gabriel erano inseparabili e il fratellino lo portava
sempre con sé, in ogni occasione; il ragazzo sapeva bene
quanto ci tenesse, per cui rimase doppiamente colpito e commosso da
quel gesto.
- Tempo scaduto
– disse il Pacificatore aprendo la porta – andate
fuori.
Per Gabriel fu quasi impossibile staccarsi dal fratello e se non ci
fosse stata Amanda, probabilmente non l'avrebbe mai fatto.
Elia li osservò uscire e giurò a se stesso che
avrebbe vinto. Per Gabriel. Per Amanda. Per suo padre.
Distretto 3: Bella e Ares
Il Pacificatore afferrò bruscamente il braccio di Bella e la
trascinò verso la saletta delle visite, ma lei
riuscì appena ad accorgersi del suo comportamento
intrattabile.
In quel momento tutte le sue energie erano rivolte a mantenere un
minimo di dignità e non scoppiare in lacrime come una parte
di lei avrebbe voluto. In fondo, se voleva vincere doveva essere
determinata. Si sedette con la poltrona, accennando un sorrisetto
tranquillo, ma quando il Pacificatore uscì si prese il viso
tra le mani e iniziò a piangere sommessamente, cercando di
non farsi sentire. Non voleva uccidere. E non avrebbe saputo nemmeno
farlo! Potevo solo sperare di vincere scappando.
E doveva farlo. La nonna ormai non doveva avere più molti
anni da passare con loro, e Matisse non poteva andare in orfanatrofio.
Era troppo piccolo, troppo dolce. Avrebbe vinto per loro.
–Bella, tesoro.-
sua nonna entrò nella stanza con Matisse per mano e la
abbracciò con dolcezza. – Mi dispiace piccola, mi
dispiace… avevo giurato a tua madre che ti avrei protetta da
ogni cosa. – gli occhi dell’anziana
signora si inumidirono. – Nonna…
non preoccuparti. Non puoi farci niente. Io.. vi prometto che
proverò a tornare.- abbozzò un
sorriso. - Cara, io so
che puoi farlo. Ma devi sapere subito che sarà difficile.
Non sei una che uccide, ma sappi che non devi darti per spacciata. Non
attirare l’attenzione degli altri tributi, non conviene mai.
Evita gli scontri diretti. Sei intelligente e veloce, ricorda che
queste qualità possono essere molto più utili
della forza bruta. E se dovrai uccidere… - il
tono della donna si fece più triste, come se fosse colpita
da un ricordo doloroso –non
sarà bello, per niente, ma ricordati che non sarà
colpa tua, e non ti biasimerò per questo.-
La ragazza la guardò intensamente: -Sembra che ci sia stata, da come
lo racconti.-
La nonna sospirò :- Immagino
che sia ora di dirtelo. Si, ci sono stata-
Bella sgranò i grandi occhi azzurri: -Cosa? Tu, una vincitrice? E
allora perchè non viviamo…-
-Nel villaggio dei
vincitori? Credimi, quando vincerai capirai che non meriti nessun
premio per aver accoltellato un’alleato che si fidava di te,
o… aver fulminato una bambina di dodici anni… –per
un’attimo rischiò di mettersi a piangere.- Non te l’ho mai detto
perché temevo che mi avresti disprezzato per questo.-
– Non potrei
mai farlo- bisbigliò la ragazza.
– Lo immagino,
avrei dovuto avere più fiducia in te. Non sarò la
tua mentore, Wiress è una brava donna, di sicuro
è più giovane e lucida di me, ma spero di averti
dato dei buoni consigli. A proposito, prendi questo.-
prese un braccialetto con un ciondolo dalla tasca e lo porse alla
nipote incredula.
– Un’ingranaggio-
- Sì, cara.
È il simbolo della tecnologia e dell’intelligenza,
quella con cui ho vinto e con cui anche tu vincerai. E ora, anche
Matisse ha qualcosa da darti.- A quelle parole il bimbo
sorrise e salì sulle ginocchia della sorella. – Bel! Vai nell’alena?-
Bella ci restò di stucco: - No Matt, nessun’alena.
Faccio solo… un viaggetto.- si
sforzò di sembrare ottimista.
– Un bimbo di
quattro anni non dovrebbe sapere parole come arena.-
sussurrò alla nonna, in tono triste.
Ma non potevano farci niente. A Matisse non fuggiva niente, proprio
come alla sorella. – Non
piangele, Bel- disse il piccolo, asciugando la guancia
della sorella maggiore – Guarda!-
Le porse un altro ciondolo, a forma di cuore. La ragazza lo
aprì e dentro c’erano le foto del fratellino e
della nonna. –Grazie.-
sussurrò, asciugandosi una lacrima. –Vi prometto che
tornerò. Tornerò per voi.-
Ares si avviò verso la stanza del palazzo di giustizia con
portamento fiero ed eretto, senza degnare di uno sguardo la
giovanissima e terrorizzata Pacificatore che lo scortava (la conosceva,
faceva parte del gruppo di Pacificatori che comandava a bacchetta).
Conosceva il palazzo di giustizia come le sue tasche, non per niente la
sua madre adottiva (o meglio, la sua fornitrice di denaro) era stata
l’amante del sindaco.
–B-buona
fortuna signore- balbettò la ragazza aprendo la
porta.
– Grace!-
chiamò in tono tono autoritario Ares, prima che si
allontanasse.- Prendi
questa. Compra un regalo ai tuoi fratellini.- le
lanciò una monetina.
–G-grazie
signore.- la ragazza eseguì
un’inchino esagerato e si allontanò in fretta.
Ad Ares venne in mente una frase di un qualche grande uomo del passato:
“Se vuoi che il popolo ti ami, fingi di voler esserne
amato”. Quello sconosciuto sarebbe stato indubbiamente fiero
di come Ares esercitava il suo potere. Calmo e imperturbabile, si
sedette sulla poltrona e si sistemò comodamente, in attesa
che l’ora destinata alle visite finisse e lui potesse
smetterla di perdere il suo tempo ad attendere nessuno.
Contrariamente alle sue aspettative, la porta si aprì,
lasciando entrare il capitano Pillory, il fidato comandante del suo
piccolo esercito privato. –Signore-
l’uomo si inchinò cerimoniosamente davanti al
giovanissimo principale.
Il ragazzo nascose alla perfezione la sorpresa che provava. –
Salve, Pillory. Come mai
qui?-
- Oh, sono solo venuto a
salutarvi da parte di tutto il corpo dei Pacificatori.-
Ares sogghignò: - Grazie
del pensiero, ma non lo vedo poi così necessario. Non dovrei
impiegare molto tempo a vincere.-
Il Pacificatore per un istante apparve dubbioso, poi riprese la sua
aria servile. –Certo,
certo, non ho dubbi. Oh, abbiamo indagato nel passato della vostra
compagna di distretto. Vive con la nonna ed il fratello più
giovane, genitori morti in fabbrica. Dobbiamo… eliminarli e
farlo strategicamente sapere alla ragazza, in modo da renderla
emotivamente provata e quindi una minaccia minore?-
Ares considerò per un attimo l’ipotesi. Era
indubbiamente una mossa nel suo stile, ma pensò che non
valeva la pena di scomodarsi tanto per una ragazzina. – No, non lo trovo necessario. Non
credo sia una grande minaccia.-
Un sorriso beffardo si delineò per un attimo sul viso
dell’uomo. –Come
ordinate, signore. Volevo solo farvi presente che non credo che vincere
sia così facile e forse dovre…-
Ares colse immediatamente il tono insunuante delle sue parole e lo
interrupe bruscamente: - Occupati
del tuo lavoro, Pillory. I miei piani sono esclusivamente affar mio.-
L’uomo fece una smorfia. –Fate come volete, ma io non sarei
così sicuro della vostra vittoria.-
Il ragazzo, indispettito da tanta sfrontatezza, si alzò in
piedi e si avvicinò pericolosamente al sottoposto: -Dimmi, non ti ho forse sempre
ricordato che il comando è una posizione fragile?-
sibilò, con il preciso intento di inquietarlo- anzi
terrorizzarlo. Il Pacificatore perse immediatamente la sua espressione
beffarda: -Io…
si signore, certo.-
- Allora vedi di
comportarti da sottoposto, se non vuoi assistere da sotto terra alla
mia incoronazione di vincitore.- disse il ragazzo,
crudele, afferrandolo con uno scatto repentino alla gola.
L’uomo annuì farfugliando e quando il ragazzo lo
lasciò andare si allontanò balbettando un
cerimonioso saluto. Ares sorrise soddisfatto. La morte era parte della
sua vita da sempre. La vittoria era praticamente già sua.
Distretto 4:
Adele e Dilan
Adele si rannicchiò sulla poltrona delle visite, soffocando
le lacrime. Stentava ancora a crederci. La mano andò
istintivamente sull’ Ankh che si era fatta tatuare dietro il
collo quando aveva scoperto di essere incinta. Simbolo di vita, le
avevano detto. Si, vita un corno! Andare nell’arena. Morire.
Uccidere, magari un dodicenne come Chuck. Chi prendeva in giro quando
si era iscritta in accademia? Poteva saper combattere, ma non avrebbe
mai saputo uccidere. Quando diceva che il suo sogno era divantare mamma
non intendeva così! Lo sguardo le cadde sull’altro
tatuaggio, la nota sul polso. La musica che aveva nel cuore. Buon notte
al pescatore, buona notte alla barchetta
buona notte anche a te, o mia dolce sirenetta. Adele
cominciò a cantare senza neanche accorgersene. Era solo una
ninnananna, dolce e semplice, ma era comunqueuna delle preferite di suo
fratello Chuck, ricordava bene il sorriso che si dipingeva sul suo
volto serio quando cantava con lui sulla spiaggia. Prima che fosse
estratto e morisse alla Cornucopia.
Il mare è la tua culla, l’onda azzurra
è il tuo lettino
ora il sole scende,
ninna nanna pesciolino
non aver paura, lo
squalo non ti prenderà
quando riaprirai gli
occhi la tua mamma ci sarà
buona notte al
pescatore, buona notte alla barchetta
buona notte anche a te,
o mia dolce sirenetta.
Aveva dimenticato quanto la facesse sentire bene cantare. E in quel
momento la porta si aprì, lasciando entrare Seth, il ragazzo
che l’aveva salvata, come indicava l’ancora tatuata
sulla clavicola. Nonché padre di sua figlia, anche se lui
non lo sapeva. Il ragazzo corse verso di lei e la baciò
bagnandole il viso di lacrime. – Adele- il ragazzo
singhiozzò- Adele,
non puoi andartene, ti prego! Devi tornare.- il ragazzo
scoppiò in singhiozzi- Non
puoi nemmeno immaginare quanto mi mancherai. -
Il viso della ragazza si addolcì e si lasciò
andare tra le forti braccia del diciottenne.
– Non piangere
Seth- mormorò pur essendo anche lei in
lacrime.- Ci rivedremo,
te lo prometto. Io… farò qualunque cosa per
tornare da te.-
Il ragazzo si sforzò di sorriderle e la
abbracciò, legandole qualcosa dietro il collo: una collana
di perle.. – Ti
ricorderà sempre il mare. Io ti aspetterò.-
- Oh, non vedo
l’ora di rivederti.- sospirò la
ragazza, ritraendosi. - E
dimmi… non è che per caso i miei
genitori…-
Seth scosse la testa. –No,
mi dispiace.-
Adele sospirò, sapeva che sua madre non sarebbe venuta, ma
almeno suo padre avrebbe dovuto essere felice che lei fosse agli Hunger
Games a seguire le sue orme… ma in fondo doveva
aspettarselo. Non era più loro figlia da molto tempo.
Eppure, per quanto fosse (anche lei lo riconosceva) stupido e
insensato, quel pensiero fece crollare l’ultima traccia della
sua maschera di forza e la fece crollare di nuovo tra le braccia del
fidanzato.
–T..ti prego-
singhiozzò- promettimi
che se tornerò, qualunque cosa accada nell’arena,
almeno tu non mi abbandonerai. Io…-
Un Pacificatore entrò in quel momento e subito
abbassò lo sguardo, dispiaciuto di dover interrompere quel
momento, ma la legge era la legge, per quanto assurda Adele la
trovasse: Seth si allontanò,baciandola l’ultima
volta.
–Io aspetto la
tua bambina, Seth. La nostra bambina- sussurrò,
come per accettare quella verità felice, ma che era piombata
su di lei troppo, troppo presto.
-Mi alleno da quando
avevo cinque anni- ripetè mentalmente
Dilan– Non
devo avere paura.-
Benchè il ragionamento non facesse una piega, Dilan non
poteva fare a meno di essere un po’ nervoso. Certo, si era
offerto anche per proteggere Adele, la fidanzata (incinta, tra
l’altro) di uno dei suoi migliori amici e vincere non
rientrava nei suoi programmi,eppure il pensiero della morte lo
spaventava. Lo spaventava l’idea di non rivedere
più il mare, né i suoi amici e gli zii, che
avrebbe fatto meglio in realtà a chiamare genitori. Si
sforzò di dominare il nervosismo e si sedette calmo, seppur
ansioso di salutare, probabilmente per l’ultima volta, le
persone a cui voleva più bene.
–Hey, Silver!-
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, nervoso, trattenendosi
per non insultare Vidal, che era entrato (senza essere invitato, come
al suo solito) nella stanza con tanto di sorellina di nove anni al
seguito. Silver era un soprannome che gli davano gli amici, per il
colore dei suoi occhi. I nemici
non lo chiamavano così. – Johnson.- disse il
ragazzo, incupendosi- Da
quando in qua noi siamo amici?-
Vidal gli rispose con un sorriso da ragazzino – Ma che domande fai, fratello? Da
sempre!-
Dilan strinse con entrambe le mani il bracciolo della poltrona,
sforzandosi di non far apparire tutta la cattiveria sviluppata in anni
di bastonate da parte dei genitori e repressa con tanta fatica.
– Gli amici si
aiutano a vicenda, non si mettono nei guai, Johnson.-
- Ma che cavolate stai
sparando, Silver? Avanti, lo so che forse, ma dico forse non avrei
dovuto tirarti una spada, e so anche che tu padre se
l’è presa con te, ma avanti, eravamo ragazzini di
dodici anni! A quell’età tutti sono stupidi.-
Il ragazzo strinse i pugni, guardandolo male, senza rispondere.
Vidal si scaldò. – Ma cavolo! Può essere
che tu ce l’abbia ancora con me, dopo tanti anni? Io sono tuo
amico, Dilan!- il rosso si avvicinò bruscamente
all’amico, con uno sguardo arrabbiato negli occhi.
– E finitela!-
esclamò la piccola Carline con voce squillante. –Vidal, sei un grandissimo scemo.-
Si mise in mezzo ai due ragazzi e spinse via il fratello, poi con un
saltello si piazzò sulle ginocchia di Dilan, stuzzicandogli
la barba bionda con un dito. – Dil ! Che stavo dicendo? Ah, ah
si: mio frarello è un grandissimo scemo, però non
è cattivo. Cioè, di solito no.
Vabbè… comunque lui mi dice sempre che ha fatto
una cavolata, perché ti vuole bene e non pensava che ti
avrebbe messo così tanto dei guai. E poi dice anche che era
geloso perché tu-
- Carline!-
la interruppe il fratello, arrossendo.
–...perché
pensava che tu fossi una schiappa con le armi e invece sei moooolto
più bravo di lui-
- Carline! Io non ho mai
detto queste cos…-
-Si si, Vidal, come no. E
allora dice sempre che ti vuole chiedere scusa, ma siccome lui
è troppo scemo per farlo, scusalo!-
Un luccichio divertito passò nei grandi occhi del ragazzo.
– Seriamente?-
Vidal era rosso come un aragosta. –Avrei voluto tenerlo per me, ma a
quanto pare…-
Il neo tributo si alzò e diede una pacca sulla spalla
all’amico. –Beh,
se volevi chiedere scusa, non devi mica vergognartene. Sono sempre bene
accette.- Anche l’altro sorrise. –Beh, amici come prima?-
-Più o meno-
-Allora vinci ragazzo. E
sei un favorito: comportati da duro. Da me, insomma-
-Molto modesto-
-Come sempre.-
ridacchiò il diciannovenne. –Beh, buona fortuna.-
-Grazie-
Vidal prese per mano la sorellina (faticando un po’ a
staccarla da Dilan) e uscì dalla stanza, sorridendo. Subito
dopo entrò Alessa. –Era ora! –
disse a Vidal con aria arrabbiata, ma era impossibile prenderla sul
serio con quel viso dolce. Corse a sedersi davanti a Dilan e gli prese
la mano, con gli occhi umidi.
–Silver, non ho
molto tempo per parlarti, ma sappi che non potrò mai
ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me e Manuel. Se il
nostro Radius potrà avere un padre…
sarà solo grazie a te. E…grazie!- le
lacrime fuoriscirono dagli occhi blu della ragazza, che se li
asciugò con il dorso della mano.
–Ma no, non
devi…- stava dicendo Dilan, ma la ragazza lo
bloccò con un bacio, lasciandolo di stucco.
–Oh, beh-
disse la ragazza a mò di spiegazione- so che era da un sacco che volevi
farlo. Buona fortuna, Silver, fai vedere a tutto il mondo quanto sei
forte.-
Distretto 5:
Rebecca e Jack
-Beck! Come sta la mia
assistente preferita?- il bel pacificatore dagli occhi blu
e dai capelli ramati che aveva l’incarico di accompagnare la
ragazza alla saletta delle visite le posò un braccio sulla
spalla con aria noncurante.
- Riffle, ci stai
provando con una ragazza appena estratta. Oddio, ma allora sei proprio
un caso disperato!- la ragazza scoppiò a
ridere. Puramente in teoria lei era davvero la sua assistente, ma in
realtà… beh, in realtà quello che lui
voleva era tutt’altro che professionale. Non che
ciò non le piacesse. Decise di godersi il momento, in fondo
c’erano delle -piccole, minuscole- possibilità che
fosse l’ ultima volta che si divertiva con un ragazzo.
– Perché?
In questi anni di lavoro ho accompagnato tante di quelle ragazze
sexy... Ma tu sei la migliore! È un peccato non potersi dire
addio come si deve- disse il ragazzo ammiccando.
Rebecca considerò per un attimo l’opzione, ma
decise di lasciar perdere. Avrebbe avuto tutto il tempo di divertirsi
una volta vinto, e ora ci teneva a salutare la sua famiglia.
– Quando
vinco, quando vinco facciamo tutto quel che ci pare. Ora
però togliti dalle scatole e vai a lavorare, Pacificatore
sfaticato che non sei altro! Sciò!- rise ed
entrò nella saletta, spingendolo via.
Come previsto, non fece in tempo neanche a sedersi e sospirare che sua
mamma entrò di corsa nella stanza abbracciandola. Mentre
usciva come era venuta, senza parlare, Rebecca restò a bocca
aperta.
Certo non se l’aspettava, ma era contenta di vedere che era
fiduciosa nella sua capacità di tornare. Si era preoccupata
che reagisse come il padre di Steph quando suo padre era morto, ma
aveva visto la sua forza di volontà e non poteva che essere
fiera di essere sua figlia.La porta si aprì di nuovo,
lasciando entrare Tom e Ruby, terrorizzati.
Cavolo. –Ehy,
il resto dell’esercito dove l’avete lasciato?-
chiese, cercando di dare un po’ di allegria alla situazione.
–Beck!-
Ruby si getto tra le braccia della sorella, scoppiando a piangere.
–Beck, scusa!
Io sono la più grande, avrei dovuto offrirmi volontaria al
tuo posto!-
Rebecca sgranò gli occhi. –Ruby, questa
è… la cosa più stupida che abbia mai
sentito! Quale parte della frase “Tanto mi dovevo
offrire” non ti è chiara?-
- Ehm…
parecchie parti! Perché volevi farlo, scusa? Non siamo messi
così male.- si intromise Tom, spaventato. Beck
suppose che “ogni volta che guardo gli Hunger Games mi viene
voglia di uccidere” non fosse una risposta rassicurante per
un ragazzino di quattordici anni, quindi ignorò la domanda.
- Su, su, non
preoccupatevi, io vincerò, lo sapete. Tom, tu devi essere
l’ometto di casa adesso che Kyle si è sposato,
okay?- disse addolcendo il tono. I tre fratelli si
abbracciarono. – Ehy,
a proposito, date un bacio a Kyle e alle ragazze da parte mia. Pensa,
mi mancherà anche Abby , è proprio vero che i
giochi ti cambiano dentro.- Tom e Ruby piegarono la bocca
in un sorrisetto forzato.
–Oh, aspetta!-
Esclamò Ruby, frugando in tasca. –Ecco qua!-
tirò fuori un piccolo libricino consumato e lo porse alla
sorella. – Sono
proverbi, Beck, tutta la saggezza del nostro distretto. Ti
ricorderà casa. Ti vogliamo bene Beck, devi tornare! Ciao!-
Non riuscendo più a trattenere le lacrime, baciò
la sorella sulla guancia, prese la mano di Tom e scappò via,
facendo entrare Stephanie, la migliore amica di Rebecca.
–Ehy, Beck!
Alla fine ci sei finita sul serio nell’arena, eh?-
la ragazza abbozzò un sorriso e si sedette di fronte
all’amica –Non
preoccuparti, nessuno ci sa fare con le armi come te. E poi non voglio
passare il prossimi tre anni anni a consolare quel branco di morti di
figa che ti viene dietro! Vinci, okay?-
Rebecca rise e tirò un sospiro di sollievo. – Meno male, almeno tu un
po’ di allegria! Non potevo più di lacrime! Credo
che non ci sarà più bisogno di dare lo straccio
in questa stanza per i prossimi dieci anni… però
almeno tu niente lacrime, vero Steph? Steph?-
l’altra ragazza lasciò perdere
l’orgoglio e scoppiò a piangere, abbracciandola.
Cavolo. Anche lei. –Oddio!
Chi sei tu, che ne hai fatto di Steph Donovan?- Beck prese
le mani dell’amica e la guardò negli occhi.
–Senti, ti
conosco da undici anni e non hai pianto una volta, una! Nè
quando tua madre se ne è andata, nè quando tuo
padre è diventato.. quello che è. E allora non
piangere neanche adesso, accidenti! Io tornerò, sono
sicurissima. E, nel remoto, impossibile, assurdo caso non dovessi
tornare.. mi prometti che chiamerai la tua prima figlia come me?-
Steph annuì, trattenendo le lacrime.- Si, la chiamerò
Rebecca, ma non ce ne sarà bisogno, perché tu
tornerai.-
Rebecca sorrise. -Bene,
ma non Rebecca, Beck, chiamala Beck. Mi piace di più. E ora
sgombera, ci si rivede tra tre settimane, e salutami il tuo vecchio e
il nostro caro branco di morti di figa!-
Jake si alzò dalla poltrona e cominciò a a
camminare saltellando per la stanza, torcendosi nervosamente le mani.
Aveva paura, tanta paura, ma non doveva crollare.
Doveva tornare dai suoi genitori, dai suoi amici e da Peter,
soprattutto, Peter che era come parte della sua anima. Mentre
saltellava da un piede all’altro per cercare di allontanre i
cattivi pensieri il fratello entrò e, prima di dire una sola
parola, gli diede un sonoro ceffone.
– Peter, ma
cosa cavolo…- il ragazzo si fermò,
perché quello che stava dicendo sembrava un tantino
ipocrita, visto che aveva appena fatto un occhio nero al fratello sul
palco della mietitura.
– Jake, cosa
cavolo avevi in mente!- strillò il gemello,
facendosi sentire anche persino dalla compagna di distretto nella
stanza vicina.
–Ma volevo solo
salvarti! Non potrei mai perdonarmi se morissi.- disse
Jake con una serietà più unica che rara in lui.
–Jake, la mamma
non potrà sopportarlo. Di perdere un altro figlio.Di tutte
le volte che è rimasta incinta le restiamo solo noi, e credi
che questa volta andrà meglio? I nostri genitori non
sarebbero mai più gli stessi, e neanche io. Devi mettercela
tutta per tornare.-
Il tributo abbozzò un sorriso, anche per distogliere
l’attenzione da quel triste discorso –Ma è ovvio! Preparate
i fuochi d’artificio per quanto tornerò.-
Disse, ammiccando per sdrammatizzare la situazione.
Il gemello sorrise incerto, più per confortare il fratello
che per vera allegria. –I
miei fuochi d’artificio non saranno mai belli quanto i tuoi,
lo sai.-
Jake sospirò e abbracciò il fratello. –Su, su coraggio, non cascarmi nel
sentimentale! Non comportarti come se fosse l’ultima volta
che ci vediamo- Jake odiava vedere la gente soffrire,
persino i perfetti sconosciuti, figurarsi la sua famiglia. –Piuttosto, stai vicino a mamma e
papà, per favore. Nessuno sa tirare su il morale alla gente
quanto te e se… non dovessi tornare non voglio che ci stiano
troppo male. Sai, mamma…-
Entrambi lasciarono cadere il silenzio. Ormai tutto il Distretto sapeva
delle innumerevoli gravidanze finite male di Grace e della disperazione
– la follia- che si stava impossessando di lei.
Poi Peter riprese il discorso. –Beh, certo. E poi sono io quello
che cade nel sentimentale, eh?-
Jake ridacchiò. –Dai, fratello, lasciamo perdere e
fatti abbracciare. Promettimi che qualunque cosa accada tu rimarrai
sempre il mio fratellino pazzoide, vero?-
Anche l’altro rise. – Parli tu, che hai quasi fatto
saltare in aria la scuola con i fuochi d’artificio?-
- Ehy, quello
è stato un incidente e non è per niente carino da
parte tua nominarlo!-
- Avanti, non fare
l’offeso adesso. Beh, io ora vado. Fatti valere fratellino,
voglio vederti tornare, e anche tutto intero!- Peter diede
una pacca sulla spalla del fratello e uscì dalla stanza.
Dopo pochi secondi entrò di nuovo, fermandosi con sulla
soglia. –Oh,
Jake, dimenticavo. Buona fortuna.-
Gli lanciò qualcosa e uscì, stavolta
definitivamente.
Il tributo guardò l’oggetto che aveva in mano: il
braccialetto di suo fratello. Si, gli avrebbe portato fortuna.
Distretto 6:
Nina e Blade
Nina aveva incosciamente sperato che fosse suo padre ad accompagnarla
alla saletta, ma non fu così. Ovviamente, l’aveva
abbandonato una volta, perché non avrebbe dovuto farlo di
nuovo? Era solo un disturbo, per lui, un ostacolo alla sua carriera. A
volte era stata persino tentata di farsi scoprire nei suoi crimini,
solo per costringerlo a ricordarsi di lei, ma lui non se ne era mai
accorto. Ad accompagnarla fu un normalissimo pacificatore di mezza
età, che si teneva a debita distanza da lei come se fosse
spaventato. Reazione naturalissima e che le fece piacere, del resto
tutti sapevano quanto persone aveva ucciso per non farsi scoprire,
mentre entrava nelle case a rubare. Ma scusa, pensava Nina, che
c’era di male? Tutte le persone sono cattive. Suo padre aveva
ucciso sua madre lasciandola morire di tubercolosi senza fare niente
per lei. Le donne dell’orfanatrofio lasciavano morire di
tristezza e solitudine i bambini senza nemmeno accorgersene. Si, tutte
le persone sono cattive, ed era per questo che Nina ne stava lontana. E
poi, che ci poteva fare? Non era colpa sua se
nell’orfanatrofio le avevano rubato ogni traccia di
bontà. La porta si spalancò improvvisamente e
Nina corresse i suoi pensieri. Tutte le persone erano cattive, tranne
Alec. –Oh Nina,
povera Nina! Mi dispiace!- il ragazzo corse da lei e la
abbracciò.
–Basta scassare
le balle, Alec.- lo spinse via facendolo cadere sul
pavimento. Detestava la bontà di quel ragazzo. Gli ricordava
troppo la bambina-angelo che anche lei era stata.
–Ma Nina!-
gli occhi azzurri di Alec si fecero tristi. –Io.. Nina, io lo so che non sei
come credi, c’è del buono in te… mi
dispiace vederti cosi!-
La ragazza si strinse nelle spalle. –Oh, ma chissene! Parliamo di
qualcosa di serio, non viene Claire?- disse con una
particolare scintilla di cattiveria nei suoi occhi azzurri e penetranti.
– Claire
è morta, Nina, non verrà.-
sussurrò Alec, con gli occhi pieni di dolore.
– Lo so, lo
so. Uffa, mi andava, di farmici una fumatina. Tu sei proprio una
rottura di balle, Claire è stata un’ idiota, ma
almeno era simpatica.- sbuffò.- Ma tu che fai servizio
all’orfanatrofio, non te ne potevi accorgere che si stava
cannando troppo? Certo che sei proprio inutile.-
Il ragazzo abbassò gli occhi. –Perdonami-
mormorò, quasi tra sè e sè. Aveva
voluto bene a Claire, ma del resto a chi non voleva bene, lui?
-Può darsi.-
la ragazza stirò le labbra in un sorrisetto cinico- Ora sgombera, però,
che mi sono stufata di parlare con te. -
Alec ci restò di stucco: -Ma..
io credevo.. voglio dire, potremmo non rivederci più, vorrei
almeno abbracciarti… Non hai paura di morire?-
- No, perché?
Tanto qui è una schifezza, una vita così meglio
perderla che trovarla.- sbuffò, annoiata, come
se stesse facendo un discorso di poca importanza.
– A me
dispiacerebbe, però!- sbottò il
ragazzo prendendole una mano –Non sei sola, io ti voglio bene e
secondo me anche tuo pad… -
-Alec, non me ne frega un
cacchio di rivederti, ti ci sta in testa o no? E ora leva il disturbo,
ho detto, sciò!- Mentre il ragazzo si
allontanava, trattenendo le lacrime, Nina sorrise. Adorava ferirlo, era
eccitante. Ed era ancora più eccitante vedere come ogni
volta tornasse comunque da lei.
Gli occhi nerissimi di Blade si fissarono cupi sulla porta chiusa.
Per un attimo si concesse una specie di sorriso. Bene, era agli Hunger
Games. Sentì uno strano senso di rilassamento al pensiero
che presto tutta la rabbia repressa da troppo tempo sarebbe fluita
libera alle spese di qualche povero disgraziato. E poi magari suo padre
se fosse riuscito nell’ obiettivo di procurare un vincitore
alla sua famiglia si sarebbe deciso a comportarsi da genitore in modo
accettabile.
In quel momento la porta si aprì.
–Blade, caro!-
Un groviglio di emozioni si agitò nel cuore di quel ragazzo
tanto addestrato a reprimerle.
Dolore. Rancore.
Furia.
–Che ci fai qui?-
urlò il ragazzo scattando in piedi e stringendo i pugni.
La madre gli rivolse un sorriso traboccante falsità.
–Ma come,
tesoro, sono venuta a salutarti!-
Blade ebbe quasi la nausea a sentire quelle parole falsamente dolci.
– Adesso? Solo
adesso che sono appena stato estratto te ne frega qualcosa di me? Io
non esisto per te, o non te ne saresti mai andata!-
Il ragazzo colpì il bracciolo della poltrona con un pugno,
rischiando di romperlo. –Vattene!-
-Caro, ma…-
-Vattene!-
la donna si decise a dargli retta e Blade per un attimo credette di
essere stato lasciato in pace, finchè dalla porta non
entrò suo padre. Che palle. Suo padre veniva dal Distretto 1
e in gioventù era stato uno di quei ragazzi che aspirano
alla vittoria, ma da quando la figlia era morta nella finale dei giochi
due anni prima più che a uno spietato vincitore Favorito
somigliava quello del 12: assente, scorbutico e alcolizzato perso.
Tuttavia in quell’occasione gli sembrava abbastanza in
sé. Doveva essere molto fiero di essere riuscito a gettare
nell’arena entrambi i figli. - Uhm, uhm, bene. Sei agli Hunger
Games, ragazzo!- barcollando leggermente si sedette
davanti al figlio e gli assestò una virile pacca sulla
spalla. – Avrei
preferito che ti offrissi, ma va bene così, non pretendevo
che avessi il coraggio di offrirti a quindici anni come Beatriz.
Cavolo, lei sì che era una ragazza con le palle! Ce
l’aveva quasi fatta… Nah, pazienza, mi accontento
di te.-
Il ragazzo sentì una pericolosa scarica di rabbia
percorrerlo da capo a piedi, ma si sforzò per restare fermo.
– Beatriz era
solo una stupida. Mamma se ne è andata per colpa sua vero ?-
disse, strofinandosi la cicatrice sul sopracciglio fattagli dalla
gemella.
Il padre fece un gesto vago con la mano. –Mah, chi le capisce le donne?
Sono sempre un’errore, Blade. Non voglio vederti nemmeno
parlare a una ragazza, nè nell’arena nè
fuori. Sono solo femminucce piagnucolose che hanno paura anche della
loro ombra, e l‘ultima cosa di cui hai bisogno è
di affezionarti a qualcuno.- Blade annuì
freddamente, malgrado non si trovasse del tutto d’accordo.
Quella ragazza, la sua compagna Tina, o come si chiamava, Blade non
poteva fare a meno di ammirare il suo coraggio. Quanto avrebbe voluto
avere anche lui la forza di sfidare davvero suo padre! Non ne aveva mai
avuto il coraggio, però ricordava ancora troppo bene quando
la madre se ne era andata, spinta dal costante atteggiamento di sfida
di sua sorella, e non voleva perdere anche lui. Per quanto come padre
lasciasse a desiderare, come allenatore gli serviva.
– Bene.
Cos’altro?- chiese brusco.
– Fatti vedere
forte. Non importa se non sei simpatico o interessante, se sei spietato
ti ameranno lo stesso. Corri alla Cornucopia, ma vedi di non morire,
non voglio vergognarmi di te per tutta la vita. Ricorda di non fare
cavolate, non accendere un fuoco di notte e non abbassare mai la
guardia. Ora vado, tu vinci, e non azzardarti a farti ammazzare, non mi
restano più altri figli che possano vincere.
– gli occhi si fecero lucidi al ricordo della sua adorata
Beatriz, riempiendo l’animo del figlio di un confuso turbine
di odio e gelosia – Forse
mi renderai fiero di te, figliolo.- L’uomo
bevette qualcosa dalla fiaschetta che portava al collo e si
allontanò, con seri problemi a restare in piedi .
Ma chi se ne frega,
pensò Blade, guardando annoiato il soffitto.
Distretto 7:
Hope e Donald
Hope riuscì di vincere la timidezza e sorridere al
Pacificatore che la accompagnava e si sedette composta sulla poltrona,
sebbene tremando di paura. Se voleva avere qualche
possibilità doveva abbandonare la sua abituale riervatezza e
trovare un modo per farsi amare anche dagli estranei ed era meglio
cominciare subito: persino il pensiero dell’intervista la
terrorizzava, anche senza parlare dell’arena vera e propria.
Nessuno avrebbe puntato su una silenziosa ragazza che non aveva la
minima abilità, ma in cuor suo sperava lo stesso che qualche
miracolo potesse permetterle di tornare. La ragazza chiuse gli occhi e
canticchiò tra se e se la melodia che amava suonare al
pianoforte, cercando di calmarsi.
– Hope!-
Nella stanza entrarono Robb, Lorence e Simeòn, insieme alla
sua amica Esme. – Ciao-
mormorò timidamente la ragazza, cercando di apparire sicura
di sè.
La prima a rompere il silenzio carico di tensione fu
l’esuberante Esme.
–Hope! Hey non
pensare nemmeno per un momento che tu non possa tornare. Se riesci a
farmi passare un’intero giorno di di scuola senza finire in
punizione allora puoi fare qualunque cosa!-
L’altra si sforzò di sorridere.
- È
vero… non preoccupatevi, io… io ci
proverò. -
–Esatto! Non
temere, Hope, sai arrampicarti, non sei male come mira e poi sei
dolcissima, tutti ti adoreranno. Fortuna che non hai preso da me, che
sono un’imbranato fatto e finito!- aggiunse
Lorence, il secondogenito della famiglia Anderson, che aveva appena
passato l’età da mietitura.
– Finiscila,
Lorence, se le ricordi come sei messo tu la deprimi e basta.
– si intromise il maggiore, Simeòn, ridendo.
– Piccola, tu
sei la sorellina che sognato per tanto tempo, mi manchi tanto da quando
sono andato a vivere con Sybille e di certo non ti perderò
ora. Sono sicuro che puoi vincere, e vedrai che una volta vinto delle
sciocchezze come reggere lo strascico al mio matrimonio non ti
preoccuperanno più!-
Hope arrossì, era da quando Sybille e Simeòn si
erano dati il primo bacio che cercavano inutilmente di costringerla ad
accettare il ruolo di damigella, fregandosene immensamente della sua
repulsione per lo stare al centro dell’attenzione. -Ma non sono brava a stare in
pubblico, lo sai. Come farò davanti a tutta Panem?-
Fu l’altro fratello, Robb, quasi suo gemello per quanto erano
legati, a rispondere per lui. –Tu? Ma se tutti ti adorano!
Lorence sarà uno scemo e un grandissimo sfaticato-
fu interrotto per un attimo da uno sguardo assassino da parte del
fratello, ma proseguì come niente fosse. – ma ha ragione. Sei, gentile,
buona, adorabile. Se potessi sponsorizzare qualcuno sponsorizzerei
sicuramente te. E anche Hector. Il pacificatore non l’ha
fatto entrare, perché siamo troppi, ma dice che non vede
l’ora di vederti tornare.- Hope sorrise al
pensiero dell’allegro cugino più grande,
l’unico a parte Esme e Robb a cui apriva davvero se stessa.
Proprio in quel momento il Pacificatore entrò, annunciando
la fine del tempo.
– Add…
arrivederci- disse Hope, con un dolce sorriso sulle labbra.
Donnie rabbrividì, quando il Pacificatore lo
scortò nella saletta al palazzo di giustizia. Non odiava
nessuno e di certo non senza conoscerlo, ma non poteva proprio
dimenticare il giorno in cui i suoi genitori avevano dato la vita per
proteggere un orfanella innocente dalla loro crudeltà.Come
si poteva essere così cattivi? L’unico lato
positivo di quella triste vicenda era che la povera orfanella accusata
di furto sarebbe poi diventata la sua amata, Wendy.La ragazza
entrò nella stanza quasi contemporaneamente a lui, quasi
spingendo via il Pacificatore e buttandosi tra le sue braccia. Donnie
le gettò le braccia al collo e le sfiorò
dolcemente le labbra carnose, prima di allontarsi quanto bastava per
riuscire a sussurrarle un –
Tornerò, non preoccuparti per me.-
La ragazza mora annuì, con le lacrime agli occhi.- Donnie, so che ce la puoi fare,
ma ho paura per il nonno. Ha avuto un infarto, ora è in
ospedale, ma non so se ce la farà.-
Il fidanzato la abbracciò con dolcezza, cercando di
nascondere la sua paura per fare coraggio a Wendy. –Su, non avere paura. E chi lo
ammazza quello? Sai com’è il nonno.-
Quella frase riuscì a strappare un sorriso alla ragazza.
– Lo spero.
Oh, dimenticavo.-
La sedicenne infilò una mano in tasca e tirò
fuori un sassolino. Abbozzò un sorrisetto stirato.
–Beh, non
è un diamante, ma è la prima cosa che ho trovato,
ci tenevo a darti qualcosa.-
Donnie le sorrise e se lo infilò in tasca. –Oh, grazie mille. Mi
porterà sicuramente fortuna, se me l’hai dato tu.-
disse, prima di baciarla di nuovo, più intensamente. Sarebbe
stato sicuramente bello avere qualcosa che gli ricordasse casa, la pace
dei suoi boschi e le risate dei suoi amici.
– Oh-
disse dopo essersi staccato.- Io…
avevo sempre sperato che avrei avuto un anello per questa occasione, e
anche che fossimo in una situazione più felice,
ma…- dopo aver detto quelle parole si
inginocchiò sul pavimento, tenendo il sassolino in mano a
mò di anello di fidanzamento –Wendy Penguin, vuoi diventare mia
moglie?-
Gli occhi della ragazza si inumidirono, nonostante fosse molto tempo
che nessuno dei due piangeva.
-Oh si Donnie, lo voglio.
Ma senza pensarci un attimo, proprio! Voglio restare con te per sempre,
quindi devi promettermelo, che tornerai. Fai qualunque cosa! Non
importa se devi portarti a letto mezza Capitol City, tu sei solo mio e
non ti perderò così presto!- quasi
urlò, praticamente stritolandogli la mano.
– Ehy, ehy,
calma. Puoi scommetterci che tornerò-
ridacchiò il diciottenne, giocando con le ciocche more della
ragazza. Il Pacificatore entrò dichiarando –Tempo scaduto-
proprio mentre si chinava per baciarla di nuovo.
Donnie pensò che non avrebbe mai, mai sopportato i
Pacificatori.
Distretto 8 : Jennifer e
Lysandre
Jennifer girava nervosamente per la grande stanza del Palazzo di
Giustizia, frugando da tutte le parti: un foglio e una penna, chiedeva
solo questo. Aveva anche domandato al Pacificatore di guardia se avesse
potuto procurarglieli, ma lui aveva risposto con un'alzata di spalle e
un “arrangiati” a cui la ragazza non aveva potuto
ribattere. Il bisogno spasmodico di scrivere l'aveva accompagnata da
quando aveva alzato automaticamente la mano per offrirsi come
volontaria, e non l'aveva ancora abbandonata: era il suo modo per
sfogarsi; quanto avrebbe voluto scrivere cosa pensava in quel momento!
La porta si aprì ed entrarono i suoi genitori: il padre,
Arthur, corse subito ad abbracciarla: - La mia piccola Jennifer! Non
dovevi, non dovevi offrirti!
Jennifer ricambiò l'abbraccio: - Non cambierei idea, anche se
potessi tornare indietro: ho salvato una vita, e di questo sono fiera
– concluse, gli occhi lucidi.
- Arthur, non darla
ancora per spacciata – Eileen si intromise nel
discorso; lei e la figlia avevano sempre avuto un rapporto di leggera
freddezza, ma erano pur sempre sangue dello stesso sangue – Ha preso da te la sua
intelligenza, ed è furba.
Jennifer sorrise a quei complimenti, molto rari da sentire dalla bocca
della madre: - Sì,
ce la posso fare.
- Spero però
che tu abbia ereditato da me il buon senso –
riprese Eileen – ti
servirà, nell'arena.
- Hai anche una buona
mira – continuò Arthur, staccandosi
da lei – sfrutta
bene il periodo di addestramento che avrai a Capitol per capire qual
è l'arma migliore per te.
Già, l'arma. Jennifer aveva sempre pensato che se fosse
stata sorteggiata per gli Hunger Games sarebbe morta, in quanto non
sarebbe riuscita ad uccidere nessuno. Ma ora, una consapevolezza ed una
convinzione si stavano facendo largo in lei: voleva tornare a casa,
voleva vivere, ma per farlo avrebbe dovuto macchiarsi le mani di
chissà quanti omicidi. E l'avrebbe fatto, ora ne era certa.
I suoi genitori vennero richiamati dal Pacificatore che li fece uscire
dalla stanza in modo poco gentile, lasciandola temporaneamente sola con
i suoi pensieri. Ma dopo pochi minuti la porta si aprì di
nuovo e Joanne entrò disperata.
- E' colpa mia! E' colpa
mia! - esclamò, gettandole le braccia al collo
e iniziando a piangere – Se
mi fossi allenata tu non avresti dovuto offrirti al mio posto!
Perché sono così debole!?!
Jennifer lasciò che l'amica si sfogasse, e quando
sentì che i singhiozzi si stavano affievolendo,
iniziò a parlare: - Ascoltami:
non essere stupida, io mi sono offerta perché non voglio che
tu muoia, e l'avrei fatto in ogni caso, credimi.
Forse non era vero: se Joanne si fosse allenata almeno un minimo, forse
Jennifer non si sarebbe offerta al suo posto. Ma con i se e con i ma la
storia non si fa.
- Per cui
– riprese Jennifer – non voglio che tu ti senta in
colpa, hai capito?
Joanne la guardò, pronta a ribattere.
- Ehi! Ti ho detto
niente sensi di colpa! - le sorrise Jennifer, anticipando
la frase dell'amica – Io
tornerò a casa, per cui non avrai neanche tempo di sentirti
male, te lo prometto.
- Stai attenta
– sussurrò solamente l'altra, abbracciandola di
nuovo e sperando con tutto il cuore che quel gesto non diventasse un
addio.
Lysandre si sistemò meglio al collo la sua sciarpa color
turchese intenso e la strinse forte con la mano: doveva ammetterlo, era
nervoso e Sciarpi era l'unica che potesse dargli conforto.
Sì, Sciarpi, la sua fedele sciarpa, quella che aveva tessuto
da solo anni prima, la sua prima creazione; ci era così
affezionato ed era così orgoglioso di lei che le aveva dato
anche un nome, Sciarpi appunto.
Il ragazzo sospirò e si sedette sul comodo divano,
aspettando che il tempo delle visite trascorresse: non si aspettava che
nessuno lo andasse a trovare; di amici ne aveva pochi, o nessuno, e
quasi tutti suoi amanti occasionali; di amiche invece ne aveva, ma
sospettava che fossero attirate dalla sua compagnia più per
consigli che per altro: in fondo era il loro amico gay. Non aveva
famiglia. Perché Lysandre aveva smesso di considerare suo
padre come tale anni addietro, quando dopo molte vicissitudini e
litigi, gli aveva rivelato di non
essere come lui voleva e per premio era stato cacciato di
casa. Lysandre ricordava ancora il suo sguardo traboccante di odio e
disgusto, mentre gli urlava di non farsi più vedere...
La porta si aprì e al ragazzo venne un mezzo infarto,
immerso com'era nei suoi pensieri; senza che avesse modo di capire chi
o come, delle braccia lo circondarono e la sua maglietta
iniziò ad inumidirsi.
- Ehi Franny occhio alla
maglia! Deve durarmi anche per il viaggio in treno! -
esclamò lui sorridendo, avendo riconosciuto la donna.
E poi riuscì a capire chi era venuto a trovarlo. Erano
addirittura in quattro: quella che gli si era buttata addosso era
Franny, una donna trentenne, che Lysandre riteneva un po' matta e con il ciclo perenne,
in quanto aveva costanti sbalzi d'umore, comportamento che gliel'aveva
subito fatta piacere; la seconda era Syria, anch'ella sulla trentina,
che ospitava spesso Lysandre per la notte e lo considerava quasi come
un figlio; la terza si chiamava Haleandra, sua coetanea, ed era una
delle poche che lo apprezzasse per tutti i lati del suo carattere
– buoni o cattivi – e che lo tenesse in riga quando
strafaceva. E poi c'era lei.
- Alzati da
lì, sembri un depresso dopo una sbornia.
Jennyfer andò a grandi passi verso la finestra, la
aprì e si accese una sigaretta – ovviamente non
era permessa, ma dettagli.
- Sì, anche
tu mi mancherai Jen – ghignò
Lysandre; Jennyfer era quella che preferiva senz'altro: insomma, la
prostituta e il gay. Senza dubbio erano una bella accoppiata
– A proposito,
hai notato la coincidenza? Ti chiami come la mia compagna per gli
Hunger Games. Ti giuro che quando l'hanno chiamata mi sono cagato sotto
per paura di vedere te! - rise lui – Ma poi ho ricordato che sei
troppo vecchia per partecipare...
- Sta' zitto
– tagliò lei, fumando nervosamente – Primo, non sono vecchia, sei tu
che sei ancora in fasce; secondo, togliti dalla testa di morire in
quella fottuta arena, te lo vieto: devi tornare, alla faccia di quella
Capitol City del...!
- Sì, ok,
abbiamo capito – la interruppe Haleandra,
cercando di frenare la marea di ingiurie che stava per inondare la
stanza – Lys,
mi raccomando, non fare stupidaggini.
- Non le farà
– disse Syria, avvicinandosi affettuosamente a Lysandre e
accarezzandogli i capelli – sei intelligente e sveglio...
- E soprattutto figo
– continuò Franny asciugandosi il viso con una
manica del vestito – li
conquisterai tutti.
Lysandre sorrise a quegli incoraggiamenti: non pensava che ci potessero
essere persone che tenessero così tanto a lui.
- Sì,
sì, sì, ha le carte in regola per farcela e bla
bla bla – si intromise Jennyfer, buttando il
mozzicone di sigaretta fuori dalla finestra – ma di 24 che hanno il potenziale
per farcela, ne torna vivo solo uno e giuro su Dio, se non sarai tu ti
verrò a menare anche all'inferno!
- Non giurare su Dio se
devi venirmi a cercare all'inferno – disse
sorridendo Lysandre alzandosi – potrebbe essere una cosa blasfema.
- E' una cosa blasfema
– commentò Jennyfer – ma quando mai sono stata una
brava cristiana? - e rise.
Lysandre si lasciò contagiare da quella risata, e con lui
anche le altre tre. Mai un saluto per gli Hunger Games era stato
così ilare, ma Lysandre non poteva che esserne felice: non
aveva bisogno di una famiglia quando aveva quattro amiche
così, e vincere i Giochi della Fame gli sembrava un'impresa
tutt'altro che impossibile in quel momento.
Distretto 9:
Karmilla e Benjamin
Karmilla prese la piccola fiaschetta che teneva sempre al collo legata
ad un cordino e bevve un generoso sorso di vodka. Sì, andava
decisamente meglio.
- L'ho sempre detto,
l'alcool è il rimedio migliore ai guai della vita.
Priska apparve all'improvviso dietro a Karmilla con un boccale di birra
in mano, e imitò la ragazza trangugiandone metà.
- E io ti ho sempre dato
retta – rispose l'altra – Ma pensi che nell'arena mi
lasceranno bere?
Priska rise: - Non
penso, in caso ti offrirò qualcosa io al momento giusto.
- La mia era
un'affermazione ironica e una domanda indiretta per chiederti se avevi
qualche consiglio da darmi.
- I-io ho q-qualcosa da
d-dirti... ma probabilmente n-non ti servirà...
La voce di Anthony raggiunse flebile le orecchie di Karmilla che si
girò: il diplomatico era apparso sulla poltrona e come al
solito si stringeva le ginocchia con le braccia, dondolandosi sul posto.
- Avanti, sputa il rospo
– gli disse lei.
Anthony alzò lo sguardo da cane bastonato: - A parer mio, n-non dovresti dar a
v-vedere questo t-tuo comportamento... R-rischi di spaventare gli
s-sponsor – balbettò lui.
- Oh andiamo Tony! -
esclamò Priska – Fatti un goccio, offro io, ma
togliti quell'espressione da pesce lesso dalla faccia!
- Aspetta Priska
– iniziò Karmilla, bloccandola con un cenno della
mano – stava
dicendo qualcosa di interessante.
Anthony finì di traballare e il suo viso si
illuminò: - D-davvero
pensi che siano c-cose u-utili? - chiese. Se fosse stato
un cane starebbe scodinzolando.
- Ma certo che lei pensa
che siano cose utili! - Ermengarda apparve, nel suo
pomposo vestito settecentesco, brutalmente strappato in due parti
all'altezza dell'addome – Caro,
non dovresti minimizzarti sempre così tanto!
- Stai parlando con un
suicida depresso, dovresti ricordartelo, genio –
commentò sarcastica Priska, bevendo un sorso di birra
– Non mi pare
molto intelligente nel dare consigli.
- Ha parlato quella che
è annegata in un abbeveratoio per animali dopo essere
svenuta per il troppo bere – le rispose a tono e
irritata Ermengarda.
- Almeno io non sono una
sfigata che si è fatta tranciare in due da una carrozza
– sorrise ironica Priska.
- E piantatela!
- Karmilla si era stufata di quei battibecchi, ma non poté
fare a meno di nascondere un sorriso dietro all'irritazione; le piaceva
troppo vedere quelle due che si sbranavano ad insulti – Se avete qualcosa da dirmi bene,
se no potete anche sparire!
- E rilassati Karm!
- Cola comparve sull'enorme lampadario della stanza.
- Già, in
fondo stai solo andando a morire! - sghignazzò
Coca, vicino al gemello, iniziando a dondolarsi appeso al lampadario.
- Ehi, voi due!
È un lampadario costoso! - li
rimproverò Ermengarda.
- Già, molto
costoso – Karmilla assunse un'aria
più attenta – e...
e assolutamente sporco!
La ragazza prese dalla tasca della divisa da cameriera uno straccio,
agguantò una sedia, vi salì sopra e
iniziò a spolverare meticolosamente il lampadario
imprecando: - Guarda
te... Sporco, sporco! Sporcizia dappertutto! -
esclamò iniziando a guardarsi intorno – Esseri immondi che pensano sia
tutto un porcile! Appena tornerò li metterò in
riga!
- Se tornerai!
- dissero in coro ridendo Coca e Cola, appollaiati sopra ad un mobile
– Chi lo sa,
potresti anche venire a farci compagnia!
- Ma certo che
tornerà! - esclamò fiduciosa
Ermengarda.
- Io h-ho i miei
d-dubbi... - commentò a bassa voce Anthony
– S-seguirà
il mio c-consiglio e si farà a-ammazzare s-subito...
- e riprese a dondolare.
- Una cosa è
certa – iniziò Priska – Ora non si fermerà fin
quando non avrà pulito ogni traccia di polvere in questa
stanza... Chiamatemi quando avrà terminato
– e si stravaccò sul divano.
Dopo un'ora buona un Pacificatore andò ad avvertire Karmilla
che era arrivato il momento di salire sul treno. Appena
entrò nella stanza sgranò gli occhi nel vedere la
lucentezza degli oggetti presenti: mai erano stati così
puliti.
Riavutosi dalla sorpresa, notò Karmilla seduta sul divano
con una mano alzata, intenta a dare colpetti... al niente??
- Nessuno è
venuto a salutarti – le disse ghignando
– devi essere
veramente sola.
- ...Quindi stai
tranquillo Anthony, e non deprimerti ancora, che non puoi morire una
seconda volta.
- Ehi ragazzina! Parlo
con te!
Karmilla alzò la testa stizzita: - Quanta maleducazione
c'è in questo distretto! - si alzò
in piedi – E
comunque sei un'idiota, mi sono venute a trovare più essenze
di quante credi – e scomparve oltre la porta,
lasciando il Pacificatore interdetto.
L'uomo era nuovo del distretto e non sapeva che Karmilla sosteneva di
vedere spiriti e fantasmi, e di parlarci pure!
- Che dite, ce la
farà? - chiese preoccupata Ermengarda.
- E' Karmilla Loshad –
iniziò Priska, mezza ubriaca – E' un'imprevedibile garanzia.
Benjamin si passò una mano sul braccio sinistro,
accarezzando le innumerevoli cicatrici che si era fatto lavorando nei
campi, e sospirò guardando fuori dalla finestra: oramai era
in gioco, e doveva giocare, facendo vedere a tutti quello che valeva. E
il perché si fosse cacciato da solo in quel
“guaio”, gli trapassò la testa come una
scossa; Benjamin aveva sempre saputo di essere un ragazzo complicato e
spesso privo di buon senso, e l'istinto che alla Mietitura gli aveva
fatto alzare la mano ne era un esempio. Ma probabilmente molti
avrebbero pensato che avesse l'animo da Favorito, perché lui
si era accorto di essersi offerto per una cosa soltanto: la gloria. Nei
Distretti 1, 2 e 4, questa motivazione era apprezzatissima da tutti,
anzi, diciamo che era la normalità; nei distretti inferiori
invece era considerata il biglietto di sola andata per il non-ritorno.
E infatti le domande che i suoi genitori gli rivolsero dopo essere
entrati nella stanza, furono riguardo a questo.
- Benjamin,
perché? Perché?! - gli chiese il
padre, non capacitandosi ancora dell'azione del figlio.
- Voglio mettermi alla
prova – rispose semplicemente il ragazzo. Un
lato del suo carattere ben definito era che diceva sempre la pura e
semplice verità – Voglio scendere nell'arena e
dimostrare il mio valore.
- Ma morirai!
- gli rispose l'uomo.
- No. - la
voce della madre arrivò sicura; era sempre stata una donna
forte, anche se in quell'occasione aveva molta più
difficoltà a mantenere il proprio autocontrollo – Lui potrebbe morire, ma non
succederà, vero?
Benjamin scosse la testa: - Assolutamente
no.
E dal suo sguardo, la madre capì che poteva fidarsi di lui.
Quando i genitori se ne furono andati, entrò la sua migliore
amica, Alicia: - Ti
rendi conto di quello che hai fatto? - gli chiese seria.
La ragazza lo conosceva bene, ed era abituata al suo carattere, ma non
avrebbe mai pensato che potesse arrivare a tanto.
- Mi pare ovvio
– rispose lui.
Alicia scosse la testa: no, non poteva sperare di concludere qualcosa
con quel discorso, anche perché ormai il danno era fatto.
- Tieni –
e gli lanciò qualcosa.
Benjamin, dopo averlo preso al volo, osservò l'oggetto: era
una catenina d'argento con un ciondolo a forma di foglia, che
risplendeva alla luce.
- Ti porterà
fortuna – spiegò Alicia – perché ti rappresenta:
una foglia che sembra debole, ma nello stesso tempo ha la forza di
sopravvivere alle tempeste, saldamente ancorata al suo albero –
gli andò vicino e lo abbracciò – Ricordati sempre da dove vieni, e
il tuo albero ti sosterrà anche da lontano.
Distretto 10: Victoria e
Dennis
Victoria osservava i pascoli che si estendevano nel suo Distretto: per
loro non era cambiato niente da quella mattina, semplicemente stava
passando un'altra giornata. Ma per lei tutto era diverso. Si era
offerta volontaria. Era uno dei tributi degli Hunger Games di
quell'anno. Ma non si era pentita: si era offerta per salvare sua
sorella da una certa orribile fine; consapevole del peso del suo gesto,
se avesse potuto tornare indietro nel tempo, l'avrebbe rifatto,
è sicuro.
La porta si aprì e si richiuse di botto e Frida quasi si
gettò sulla sorellina, stringendola in una salda presa: - Perché cazzo l'hai
fatto?! - disse, la voce rotta dai singhiozzi che
continuavano a salirle alla gola.
Victoria ricambiò l'abbraccio senza far trapelare emozioni
negative: le si stringeva il cuore nel vedere la sua amata sorella il
quello stato, ma aveva deciso di far vedere che era forte, e doveva
iniziare da subito; e poi sperava che il vederla tranquilla avrebbe
giovato anche a Frida.
- Tieni.
Frida si era allontanata quel tanto che bastava per appuntare qualcosa
al vestito di Victoria. La bambina la osservò: era una
spilla a forma di margherita.
- Sei tu
– spiegò Frida, asciugandosi le lacrime con la
mano – semplice,
ma forte e bellissima, la margherita non può che
rappresentarti – e la abbracciò di
nuovo.
- Frida, sai che ce la
posso fare – iniziò Victoria dopo un
attimo di silenzio, controllando le alterazioni nella voce – mi sono allenata, mi sono
preparata, tornerò a casa.
- Tempo
– avvertì un pacificatore.
Prima di vederla sparire oltre la soglia, Victoria strinse forte la
sorella e una singola e luminosa lacrima accompagnò quel
gesto, andando a bagnare la spalla di Frida, che se avesse potuto, non
l'avrebbe mai lasciata andare: - Arrivederci,
sorellina – le sussurrò prima di
uscire.
Dopo Frida, entrarono Edgar e Grace, i loro genitori.
- Oh Victoria!
- disse la madre abbracciandola. Non era mai stata molto presente per
le figlie, e ora che una di loro stava per lasciarle – forse
per sempre – le aveva fatto pentire di non aver passato
più tempo con loro.
Il sindaco si unì all'abbraccio famigliare, commosso.
Entrambi i suoi genitori le fecero piovere addosso una caterva di
domande, ovviamente retoriche, perché le risposte erano
conosciute da tutti, e poi iniziarono ad abbracciarla e baciarla,
augurandole buona fortuna e facendole promettere di tornare. Victoria
li rassicurò sorridendo, dicendo loro che non li avrebbe
delusi e sarebbe tornata viva, ma questa volta fu ben attenta a
controllare le lacrime.
- C'è qualcun
altro per te – disse Edgar alla figlia
– guarda fuori
dalla finestra.
Victoria si avvicinò alla finestra e scrutò oltre.
- Ehi Victoria!
- un suo compagno di scuola, assieme ad altri suoi amici, stava
aspettando fuori dal Palazzo di Giustizia – Saremmo venuti dentro, ma non ci
lasciano entrare con lei!
Da dietro un angolo, un ragazzo suo compagno avanzò tenendo
una corda dietro di sé...
- Shira! -
esclamò Victoria stupefatta.
La sua stupenda cavalla bianca a chiazze nere, come avesse sentito il
richiamo della padrona, alzò la testa e nitrì
nella sua direzione.
- Anche lei ti augura
buona fortuna! - esclamò un suo amico
– E vedi di
tornare, intesi?
Victoria per poco non si commosse.
Frida. I suoi genitori. I suoi amici. Shira. Tutti facevano il tifo per
lei, e lei non li avrebbe delusi.
Dennis si passò la mano fra i biondi capelli, tic che aveva
sempre avuto; iniziava a realizzare quello che voleva dire
“essere un tributo” agli Hunger Games: era un po'
come essere la carne da macello che loro stessi producevano e mandavano
a Capitol. Almeno, gli altri del Distretto lo facevano, lui non aveva
mai dovuto lavorare poiché i suoi genitori erano farmacisti
e avevano accumulato una certa ricchezza che gli aveva permesso di
vivere - per non dire lusso - nell'agiatezza.
E come evocati dai suoi pensieri, Geraldine e Alfred entrarono nella
sala e si tuffarono letteralmente addosso al loro unico figlio.
- Dennis! Ce la farai,
io so che ce la farai! – esclamò
piangendo sua madre abbracciandolo.
Il padre si contenne di più, ma si poteva vedere lontano un
miglio che era sull'orlo delle lacrime: - Siamo sempre stati orgogliosi di
te, Dennis.
- E continuerete ad
esserlo – sorrise rassicurante il ragazzo
– Non
preoccupatevi, tornerò sicuramente.
Il resto del tempo i genitori continuarono ad inondarlo di frasi,
parole, speranze e preoccupazioni che probabilmente quella stanza era
stufa di sentire; ogni anno la stessa cosa.
I due coniugi uscirono, e Dennis rimase da solo, fino a quando non
sentì una voce che ben conosceva: - Ehi stronzo!
Il ragazzo si stampò in faccia un ghigno soddisfatto, avendo
riconosciuto la voce del suo migliore amico, nonché vicecapo
della sua banda, Walter. Insieme a lui, alcuni membri della gang.
- Vedi di tornare intero
eh! - disse andandogli vicino e salutandolo colpendogli il
pugno chiuso con il suo – Se
no per fare la tua bara dovranno abbattere un povero albero, e noi
essendo naturalisti non vogliamo questo, vero?
Dennis rise sarcastico: - No
di certo! Ma vedi di non fare casini adesso che sono via! Quando
tornerò, voglio trovare ancora tutti i membri della banda,
cerca di non ammazzarne nessuno.
- Sarà
difficile, ma farò uno sforzo –
rispose l'altro con lo stesso tono.
- Io invece scommetto
che non riuscirà ad arrivare fra gli ultimi dodici
– disse uno degli altri ragazzi.
- No, io ribatto,
arriverà fra i primi dieci, sicuro –
replicò un altro.
E partì un giro di scommesse macabre sulla posizione in cui
si sarebbe piazzato Dennis.
- Bastardi, perderete
tutti dato che vincerò –
replicò lui – ma
potete scommettere sul numero di ragazze che mi farò
– continuò ghignando.
- Su questo sono sicuro
– iniziò Walter – te le farai tutte e dodici, a
meno che non ci sia proprio qualche cesso inguardabile...
Dennis si lasciò andare in una risata quasi genuina; era con
quei ragazzi, la sua banda, che aveva trascorso le sue giornate: agli
occhi del Distretto, tutti loro erano violenti, criminali, sempre
pronti a buttarsi in risse, ma per lui erano tutto, una seconda
famiglia.
Dennis si convinse ancora di più a tornare e
pregustò il momento in cui tutti avrebbero perso la loro
scommessa e lui sarebbe diventato ancora più ricco.
Distretto 11:
Esmeralda e Marcus
Il Palazzo di Giustizia si trovava dietro al palco adibito alle
Mietiture, per cui il suo amato pesco era visibile anche dalla finestra
della stanza in cui si trovava. Esmeralda continuava a guardarlo, per
imprimerlo bene nella sua mente: aveva paura che appena fosse entrata
nell'arena, avrebbe perso tutto quello che di più caro
aveva, non solo materialmente, ma anche mentalmente; aveva paura che i
ricordi sfumassero fino a scomparire. Perché era risaputo:
l'arena trasformava le persone ed eliminava tutto ciò che di
buono c'era in esse. E se così non succedeva, eri morto. Non
c'erano alternative a quest'ipotesi, perché vincere gli
Hunger Games mantenendo se stessi era qualcosa che nel profondo tutti
ritenevano impossibile.
I primi a farle visita furono ovviamente i suoi genitori e accanto a
loro, il suo amato cuginetto. I quattro si strinsero in un tenero ma
forte abbraccio e sua madre iniziò a piangere dicendole che
era stata un'incosciente, che non lo doveva fare.
- Io ti capisco
– disse suo padre dopo che la madre si fu un momento calmata
– so quanto
tieni a Shila e ti conosco troppo bene per aver dubitato che ti saresti
offerta al posto suo.
- Non odiate Shila, vi
prego – supplicò Esmeralda,
terrorizzata da quell'idea.
Suo padre scosse la testa e fece un breve sorriso, gli occhi lucidi a
causa delle lacrime: - Stai
tranquilla, sarà sempre la benvenuta, e saremo tutti insieme
quando tornerai da questi crudeli giochi.
- Sì,
perché tornerai, vero? - chiese retoricamente
sua madre, prima di lasciarsi sfuggire un altro singhiozzo.
Esmeralda annuì, cercando di sembrare convinta.
Intanto Patrik le si era avvinghiato alle gambe e non la voleva lasciar
andare: era troppo piccolo per capire appieno quello che stava
succedendo, ma aveva già vissuto esperienze tali da intuire
che ciò che stava accadendo alla cugina era qualcosa di brutto.
- Torna –
disse semplicemente.
Esmeralda gli accarezzò la testa; Patrik aveva
già perso i genitori a causa delle frustate mortali dei
Pacificatori: non avrebbe permesso che un altro membro della famiglia
gli fosse portato via.
Quasi subito dopo che i suoi genitori e il cuginetto ebbero lasciato la
stanza, entrò Shila.
Le due si guardarono in silenzio per lunghi secondi, forse minuti, e
poi lentamente Shila si avvicinò all'amica e la
abbracciò, trasmettendole tutto l'affetto che poteva: - Grazie –
le sussurrò all'orecchio.
Sapeva che Esmeralda non voleva sentirsi dire frasi del tipo
“Non avresti dovuto farlo”, “Per colpa
mia morirai!” e altre d'occasione, perché
sicuramente, avesse potuto tornare indietro l'avrebbe rifatto. Per cui
fece quello che era meglio per entrambe, cioè stare in
silenzio e piangere mute lacrime sulla sua spalla.
Esmeralda ricambiò l'abbraccio: - Non serve che tu me lo chieda:
tornerò sicuramente. Ti affido il compito di non far
abbattere il mio pesco – concluse, abbozzando un
sorriso.
Shila si asciugò velocemente le lacrime e annuì
convinta, cercando a sua volta di far comparire un sorriso sul volto: -
Le promesse sei solita
mantenerle.
- E questa volta non
sarò da meno – finì la
frase Esmeralda.
E mai fu più convinta nella sua vita.
Marcus stava pensando al cantiere abbandonato: sì, in quel
momento sfogarsi contro qualcuno in un incontro di pugilato sarebbe
stato veramente l'ideale per scaricare tutta la tensione che aveva
accumulato dentro. Anche combattere contro un novellino sarebbe stato
stimolante in quel frangente.
La porta si aprì e sua madre e suoi dure fratelli minori
fecero il loro ingresso nella stanza; Alicia gli andò in
contro e lo abbracciò: - Marcus...
- non aveva neanche il fiato per concludere la frase, perché
rumorosi singhiozzi le impegnarono i polmoni.
- Mamma devi essere forte
– le disse Marcus con un tono caldo e rassicurante,
prendendola per le spalle e obbligandola a guardarlo in faccia
– non ci
sarò più a difendervi, non potrò
proteggervi – e il suo tono assunse una nota
d'angoscia – per
cui dovrai farcela con le tue forze... Ma non preoccuparti, ci
sarà Ryan.
E Marcus si piegò sulle ginocchia per raggiungere l'altezza
del suo fratellino di dieci anni: - Ehi,
non piangere – gli disse con finta aria di
rimprovero ma sorridendogli – oramai sei un ometto, devi essere
forte per tutta la famiglia e sostenere la mamma e Layla
finché non tornerò, va bene?
Ryan tirò su con il naso per eliminare la sofferenza dal suo
volto e far capire al fratello che era pronto: - Va bene... perché tu
tornerai, vero?
Marcus annuì: -
Mi sembra ovvio – rispose sicuro di
sé –
lo sai che sono forte, ce la farò senz'altro.
Layla, di appena sei anni, si avvinghiò al suo collo: - Non andartene fratellone!
- esclamò con le lacrime agli occhi.
Il ragazzo la strinse assieme a Ryan: - Tornerò presto, ve lo
prometto.
- Tempo scaduto
– comunicò un Pacificatore, invitando poco
gentilmente la famiglia ad uscire.
Marcus osservò i suoi famigliare andare via, e non ebbe
quasi il tempo di pensare ad altro che sulla soglia comparve lui; il
suo viso si indurì di colpo.
Evan era sulla soglia, incerto su cosa fare o dire.
- Sei venuto ad
augurarmi buona fortuna? O forse... buona sfortuna? -
chiese ironico.
Suo padre si mise una mano dietro la nuca e guardò un punto
fisso sul pavimento; Marcus lo odiava: era sempre stato un uomo
violento e manesco, picchiava spesso e volentieri la moglie ed era
stato lui a procurargli quella cicatrice che aveva in fronte.
- Adesso avrai campo
libero – riprese Marcus – ma se oserai fare qualsiasi cosa
a uno di loro... Ti verrò a uccidere anche dalla tomba –
ringhiò.
- Ti domando scusa.
Marcus rimase interdetto a quelle parole: - … Come?
- Sono stato un pessimo
padre... e marito... Me ne accorgo solo ora –
Evan parlava a voce tanto bassa da essere quasi impercettibile
– E so che
è tardi per dirti che sei sempre stato importante per me, e
che sono fiero di te... Non mi perdonerai, lo so, ma spero ci riuscirai
una volta che sarai tornato – e fece una pausa
– Perché
tu tornerai, me lo sento nel sangue. Buona fortuna Marcus.
Ed Evan uscì dalla stanza, senza dare la
possibilità al figlio di dire niente.
Marcus non ebbe il tempo di realizzare appieno quel discorso che il suo
cuore prese a battere ad un ritmo più veloce del normale:
Leonora entrò nella stanza e gli si avvicinò
sorridendo: - Ehi, falli
secchi tutti nell'arena, d'accordo?
- Certo, e quando
avrò finito, non riusciranno neanche a riconoscerli!
Nessuno dei due fece caso alla frase macabra che era uscita fuori
involontaria dalla bocca di Marcus, perché entrambi sapevano
che forse quello sarebbe stato il loro ultimo incontro, ma nessuno dei
due ci credeva veramente: erano sempre stati abituati a sostenersi a
vicenda e l'avrebbero continuato a fare nonostante la lontananza. O per
lo meno, lo avrebbe fatto sicuramente Leonora.
- Tempo! -
chiamò l'odioso Pacificatore.
Leonora sospirò: - Allora
ci vediamo presto?
Marcus annuì convinto e la vide voltare le spalle e fare per
uscire...
… Ma la ragazza si bloccò e si voltò
di scatto, per poi tornare vicino al giovane e premere le proprie
labbra sulle sue. Il cuore di Marcus perse un colpo, per poi iniziare a
battere all'impazzata, mentre i due si scambiavano un primo, passionale
bacio.
- Questo –
disse Leonora, leggermente rossa in viso, dopo essersi staccata
– ti
farà sempre ricordare di me.
E prima di andarsene, gli lasciò un altro breve bacio a
stampo.
Josh e Liam, i due amici di infanzia del ragazzo, si accorsero subito
dello strano atteggiamento che aveva Marcus, quando entrarono per
salutarlo: - Ehi, sei
con noi? - disse Josh, passandogli una mano davanti agli
occhi.
Marcus si riprese: - Eh?
Sì, sì, ci sono!
Liam soffocò una risata: - L'effetto-Leonora è
sempre presente vedo.
Il giovane si arrabbiò imbarazzato e replicò alle
battute maliziose dei suoi due amici.
- Quindi...
- iniziò Josh, dopo un attimo di silenzio – Sei un tributo, eh?
- Parrebbe di
sì.
- Ma questo non ti
permette di tirartela – riprese Liam
– mi
raccomando, ti vogliamo qui di nuovo come ti abbiamo lasciato.
- Su questo potete
esserne sicuri! - esclamò lui sorridendo
rassicurante – E
io invece voglio ancora trovare il Distretto al mio ritorno, vi prego
di non bruciarlo!
Liam e Josh risero e cercarono di nascondere la tristezza che li stava
assalendo dentro. D'altra parte, anche Marcus in tutto quel tempo aveva
cercato di dimostrare la sua forza e la sua certezza riguardo al suo
ritorno da vivo, e aveva finito per auto-convincersi.
Distretto 12:
Talia e Wayne
Talia osservava alcuni piccoli uccellini volare liberi nell'aria: in
fondo era primavera e ognuno di loro stava andando in cerca del
compagno o della compagna con la quale condividere il nido; anche lei
avrebbe voluto essere come quei volatili e scappare via da
lì. Ad un tratto dei grossi corvi neri piombarono sui
graziosi uccellini, gracchiando, con gli artigli affilati pronti a
ghermire le prede: alcuni dei piccoli volatili vennero presi e uccisi
all'istante e gli altri si dispersero velocemente, inseguiti dai loro
aguzzini.
Talia venne scossa da quella visione: non era stato assolutamente un
buon presagio.
La porta si aprì ed entrarono i suoi genitori con la piccola
sorellina di cinque anni, che andò subito ad abbracciarla;
Daisy piangeva molto forte e continuava a pregare la sorella di non
andare: i suoi genitori avevano ritenuto giusto dirle che forse Talia
non sarebbe più tornata, che forse quella era l'ultima volta
in cui si sarebbero viste.
- Sssssh, non piangere
– le disse dolcemente Talia accarezzandole la testa
– vedrai che
tornerò presto.
La madre prese Daisy in braccio e con la mano libera
accarezzò la guancia della figlia, mentre grosse lacrime le
scendevano sulle guance: - Io
ho fiducia in te; tu puoi vincere, perché sei speciale.
E quella non era una parola detta per l'occasione, e Talia ne colse la
sfumatura. Avrebbe utilizzato il suo formidabile intuito e sesto senso,
lo stesso che le aveva permesso di trovare suo padre che si era perso
nella miniera, anni addietro.
Il padre annuì alle parole della moglie, gli occhi lucidi
dalla tristezza: - Sì,
Talia tu tornerai, anch'io ne sono certo. Stai attenta all'arena, non
lasciare che ti cambi.
E la famiglia si strinse in un lungo e commosso abbraccio, prima che il
Pacificatore di turno annunciasse loro che il tempo era scaduto.
Dopo i suoi parenti, nella stanza entrò la sua migliore
amica; Dawn le andò incontro e la abbracciò
forte: - Era questo –
disse fra le lacrime –
era questo che intendevi quando mi hai detto di non preoccuparmi! Oh
Talia! Se l'avessi saputo prima...
- Se l'avessi saputo
prima, ti saresti lasciata andare alla disperazione troppo presto
– le rispose sorridendo Talia, accarezzandole i capelli neri
– ti conosco,
non avresti vissuto normalmente il periodo che ci separava dalla
Mietitura.
Dawn si scostò dall'abbraccio per guardare la sua amica
negli occhi: - Ma tu...
tu tornerai, vero? - le chiese, pregando per una risposta
affermativa che le trasmettesse sicurezza.
Talia però non poteva dirlo con certezza, non dopo che quei
corvi avevano brutalmente interrotto il volo libero degli uccellini: - … Sì,
tornerò, stanne certa.
E guardando fuori dalla finestra, vide poggiati sul davanzale due dei
piccoli piumati animali che si stringevano l'uno all'altro,
trasmettendo un senso di tenerezza a chiunque li guardasse: era quello
il segno che lei aspettava, un segno di speranza, perché
anche dopo una battaglia senza esclusione di colpi, c'era sempre spazio
per nuova vita.
Sarebbe partita, sarebbe sopravvissuta all'aggressione dei grandi corvi
e sarebbe ritornata al nido illesa.
Tiger aveva già percorso l'intera lunghezza della stanza
almeno una decina di volte – non era un tipo paziente, no
– in attesa che quei perditempo dei Pacificatori
permettessero alle visite di incominciare. Il ragazzo
imprecò mentalmente contro quei guardiani così
idioti, per poi ricordarsi che anche suo padre era uno di loro... ma
per il genitore, lui probabilmente non era nessuno. Anzi, togliamo il
probabilmente. Larrie Tiger aveva sempre straveduto per suo fratello
Fred, considerandolo il suo unico erede, o comunque dedicava molte
più attenzioni al membro più piccolo, Valentine.
Sembrava che di Wayne non gli importasse proprio niente e il ragazzo si
era sempre chiesto il perché di questo atteggiamento.
Perso nei suoi pensieri, Tiger non si era accorto della marea di gente
che era entrata tutta insieme nella stanza, e che ora lo attorniava
quasi soffocandolo.
- Ehi, non respiro!
- esclamò, cercando di spostare di forza la sua famiglia da
lui e creare uno spazio vivibile.
- Se è per
questo fra pochi giorni non respirerai proprio più –
commentò Charlotte acida. Lei e Tiger non erano mai andati
d'accordo, anzi, si può dire pure che si detestassero
– Ma ti rendi
conto di cos'hai fatto? Sei idiota in testa allora!
- Avrò preso
da te allora – ghignò lui di rimando
– dato che il
tuo quoziente intellettivo è inferiore alla media.
- Così non
andrai proprio da nessuna parte, lo sai vero? Ci penseranno gli sponsor
a segarti, non mandandoti niente – quasi
sputò lei.
- Charlotte ha quasi
ragione – si intromise Fred cercando di sedare
la lite – dovrai
essere più amichevole e meno volgare quando sarai a
Capitol... Comunque – e alzò una mano
verso di lui sorridendo – complimenti
per il fegato, anche se non so se sia più coraggio o
incoscienza.
Tiger gli batté il cinque e sorrise soddisfatto: con Fred al
contrario era sempre andato molto d'accordo; il loro era un rapporto di
sfida continua, basato poi sul rispetto per il vincitore delle
scommesse più assurde e strane. Ed era proprio una scommessa
con lui ad averlo portato a proporsi come tributo, per cui Fred non
poteva che ammirarlo.
- Fratello, vedi di
darti da fare nell'arena, eh! - riprese Fred – Non vogliamo fare brutte figure.
- Concordo
– si intromise Larrie, che fino a quel momento era rimasto in
silenzio – se
vincerai, almeno renderai la tua esistenza utile a qualcosa.
Tiger incassò l'ennesimo colpo che il padre gli aveva
inferto, ma iniziò a considerare gli Hunger Games anche come
una possibilità di farsi vedere sotto una nuova luce agli
occhi del padre.
- Papà, non
dire così – iniziò
Valentine, il quindicenne – Wayne è sempre stato
utile a tutti noi...
- Tsè! Utile
come un arco senza frecce – commentò
Charlotte aspra.
Valentine fece finta di non sentirla e abbracciò il
fratello: - La mamma non
è riuscita a venire, ma sia io che lei crediamo in te e
sappiamo che ce la puoi fare!
Tiger si lasciò abbracciare: Valentine era l'unico, oltre
alla madre, a volergli veramente bene in famiglia, e nei suoi confronti
il ragazzo aveva sempre dimostrato un atteggiamento molto protettivo;
inoltre, aveva anche riflettuto sul fatto che offrendosi aveva
eliminato una possibilità a Valentine di essere estratto,
perché era sicuro che il fratellino non sarebbe durato
nell'arena.
- Ehi Tigre, hai finito
con le smancerie da femminuccia?!
Tiger sorrise alzando lo sguardo; sulla porta era comparso River, il
suo migliore amico. Ma parlare semplicemente di amico era riduttivo:
River era un compagno, un fratello, un alleato, un rivale; insieme
comandavano una gang di teppisti. Erano il Leone e la Tigre del
distretto, e tutti li rispettavano e li temevano.
- Sto semplicemente
cercando di entrare nello spirito dell'arena, razza di coglione
– gli rispose Tiger per le rime, ma senza togliersi dalla
faccia il suo sfrontato sorriso – Mi dicono che dovrò
rinunciare alle volgarità.
- Balle
– replicò l'altro avvicinandosi – dovrai sempre essere te stesso in
quel posto, gli spettatori lo apprezzeranno fidati... E comunque il
più coglione fra noi due sei tu, razza di idiota, che ti
offri per gli Hunger Games senza dirmi niente!
- Era tutto per
l'effetto sorpresa, volevo vedere la tua faccia da fesso nel momento
topico.
- Sei soddisfatto ora?
- chiese River ghignando.
- Direi di sì
– rispose l'altro con la stessa espressione – Ah, vedi di non farti ammazzare
in mia assenza.
- Lo stesso vale per te.
- Tempo
– chiamò il Pacificatore.
Tiger guardò uno ad uno i volti di coloro che erano venuti a
trovarlo. L'arena non gli faceva paura, ma molte cose gli sarebbero
mancate. La continua sfida con Fred. La dolcezza di Valentine. L'amore
di sua madre Krista, a casa perché troppo sofferente per
salutarlo. La strafottenza di River. Persino quell'oca di sua sorella
Charlotte gli sarebbe mancata, almeno un pochino, giusto
perché si divertiva a cercare sempre nuovi soprannomi
offensivi per lei. Per ultimo si soffermò sul padre: non
poteva dire di odiarlo, ma forse era giunto il momento di guadagnarsi
il suo rispetto, e quale modo migliore se non di vincere i Giochi della
Fame?
NDA di darky e Keily:
NON UCCIDETECI! Ci siamo impegnate, e avete bisogno di scrittrici in salute
per continuare, no?
*schiva pomodori* okay, se qualcosa non andasse bene, avvertiteci senza problemi^^ Speriamo che il capitolo vi
piaccia!
Scusate il ritardo e l’eventuale schifosità della
scrittura.
Ciao! <3
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Capitolo 4 *** Capitolo 3: L'abito non fa il tributo ***
- Leu! - strillò Imke
correndo ad abbracciare la cugina, incurante della gente a cui
passò sopra nel percorso.
Leucònoe
salutò con entusiasmo la ragazzina e insieme corsero verso i
posti che, come discendenti di una famiglia di strateghi, erano loro
riservati.
- Sai la
novità, Imke? Questo è il mio terzo anno come
apprendista stratega, ricordi? -
- Sì,
sì - sospirò la quattordicenne. Quella era la
regola: primo lavoro a quindici anni, poi si fa carriera. Quindi lei
era ancora tagliata fuori.
- E... ho vinto il
premio per la migliore apprendista dell'anno e quindi, conoscendo una
ragazza molto intelligente e portata per il lavoro eccetera eccetera
quale sei tu... potrei aver suggerito di farti fare una prova fin da
quest'anno - la ragazza mora rivolse un sorriso furbo alla cuginetta,
aspettando la reazione.
- Ma Leu, è
fantastico! - la diciottenne dovette bloccare Imke per impedirle di
saltarle al collo.
- Ehy, ehy. Ne parliamo
dopo. Ora concentriamoci sulla sfilata, e se mi fai perdere il
Distretto 1 chiacchierando anche quest'anno giuro che ti picchio! -
- Non è molto
carino continuare a rinfacciarmi quello che ho fatto a dieci anni...-
iniziò a replicare l'altra, ma vedendo arrivare il carro
dell'1 si interruppe.
Il carro d’oro era tirato da cavalli anch’essi
dorati e coperti di gemme preziose che, come quasi sempre per quel
distretto, davano un effetto più pacchiano che elegante e
fiabesco.
Ma la stessa cosa non poteva dirsi dei tributi, specialmente della
ragazza.
Il vestito già avrebbe reso splendida ogni ragazza,
aggiungendo i suoi tratti aggraziati ed esotici Het sembrava una
creatura ultraterrena, una principessa.
Portava un abito di seta color avorio, sul corpetto un intricato gioco
di veli e ciondoli dorati esaltava le sue curve e nascondeva il fatto
che fosse un po’ troppo magra per la media del suo distretto,
mentre la gonna corta e sensuale davanti e lunghissima dietro le
attirava molti sguardi osceni dai suoi potenziali sponsor.
Nulla faceva intendere quanto fosse seccata dal fatto di essere
guardata come una bambola e non come la guerriera che era: la leggera
polvere cremisi e dorata spruzzata sul viso e sui capelli nascondeva
perfettamente il rossore e la ragazza non aveva lasciato che nulla
intaccasse il sorriso splendente che offriva al popolo di Capitol City.
Marvel non era altrettanto gradevole nell’atteggiamento,
sebbene fosse un bellissimo ragazzo e altrettanto ben vestito.
Sfoggiava uno splendido gilet blu notte aperto sul petto scolpito e dei
calzoni a sbuffo, il tutto ricamato con motivi di foglie
d’oro. A differenza della sua compagna il viso era lasciato
al naturale nella sua bellezza angelica, per niente appropriata al suo
carattere.
Ma quello che più si notava del ragazzo era lo sguardo,
indifferente e crudele, come so odiasse tutta quella gente pronta a
giudicarlo per il suo aspetto, per chi erano i suoi genitori o
qualunque altro sciocco motivo, senza neppure averlo visto combattere.
- Come sono romantici quei vestiti- sospirò
Leucònoe - E poi lei è così dolce! -
- E' vero - convenne Imke. - Ma sembra proprio una vincitrice, una
vincitrice nata. Lui è un guerriero, sono due Favoriti
meravigliosi. E sembrano degli sposi così -
sospirò, da inguaribile romantica qual era.
- Oh, secondo me l'hanno notato e non gli è piaciuto molto -
convenne l'altra ridacchiando, notando che l'unica interazione tra i
due ragazzi era una gran quantità di sguardi ostili.
- Sbaglio o lui è parente di Layla Reiden? La ragazzina dei
sessantaduesimi. -
Lo sguardo di entrambe le ragazze si posò sulla ragazza dai
capelli castani seduta qualche fila più in là,
accanto ad un anziano stratega che doveva sicuramente aver pagato per
la sua compagnia. La Vincitrice fissava il fratello minore con le
lacrime agli occhi e sulle sue labbra si leggeva qualcosa di simile a
un “Mi dispiace”, ma il ragazzo la ignorava.
- Oh. - sospirò Imke.- Sì, mi sembra sia il
fratello. Chissà che storia triste che ci sarà
dietro.-
- Dai, la scopriremo all'intervista - aggiunse la cugina, ma nemmeno
lei era felice all'idea di aspettare così tanto.
- Si, è vero. Guarda Leu, il carro del 2! -
Gli stilisti del Distretto 2 quell'anno avevano cambiato tattica con i
loro tributi: se nelle edizioni precedenti si era sempre voluto mettere
in risalto la letalità e la forza dei due ragazzi, nella
69esima edizione i due Capitolini avevano deciso di creare qualcosa di
paradossale.
Due bianchi e lucenti cavalli trainavano il carro seguendo quello del
Distretto 1: i due animali erano stati cosparsi con una polvere che
rifletteva la luce diffusa nel teatro, e apparivano luminosi e
splendidi, infrangendo i fasci che li colpivano e facendoli brillare.
Nirvana stringeva il bordo del carro con le dita, reggendosi il meglio
possibile, mentre i suoi grandi occhi verde-nocciola scrutavano tesi
l'enorme folla che aveva preso posto sugli spalti; i suoi capelli
castani erano stati infine domati, e ora ricadevano sciolti e morbidi
sulle spalle. Il vestito che indossava era completamente bianco ed era
formato da un semplice top con una scollatura a V, che copriva il busto
della ragazza fin poco sotto il seno; sul fianco sinistro, il top era
allacciato alla gonna, anch'essa bianca, che poi scendeva con una curva
nel fare il giro della vita della ragazza; la cucitura sul fianco era
stata sapientemente nascosta da un grande fermaglio a forma di giglio
giallo, simbolo di nobiltà e purezza. La gonna terminava con
degli strappi che partivano sotto il ginocchio e tutto il vestito era
ricoperto della stessa polvere del manto dei cavalli. In parole povere,
Nirvana trasmetteva un senso di regalità ma al tempo stesso
di tranquillità, a chiunque la guardasse. Ed era bella,
molto bella nella sua semplicità.
E il suo compagno non era da meno: Elia indossava una semplice camicia
bianca, completamente aperta sul davanti, che lasciava intravedere
tutta la muscolatura perfetta del suo torace – su questo gli
stilisti erano stati categorici -; i lunghi capelli biondi erano stati
adeguatamente trattati ma lasciati liberi sulla schiena, proprio come
la compagna, e ora danzavano e si arruffavano a causa dell'aria, dando
la possibilità ai Capitolini di paragonare Elia ad uno di
quei testimonial stupendi e sempre perfetti delle loro
pubblicità. Anche i suoi pantaloni erano bianchi e tutto
sommato normali, ricoperti e abbelliti dalla polvere riflettente; il
giglio che Nirvana aveva sul fianco, Elia lo portava all'altezza del
cuore, ben visibile nonostante la camicia aperta e svolazzante. Al
contrario della giovane però, Elia appariva determinato e
fiero, quasi arrogante mentre rivolgeva il suo sorriso di soddisfazione
alle centinaia – migliaia – di ragazzine urlanti
che già si stavano sbranando per lui.
- Degni successori del Distretto 1 – commentò
Leucònoe battendo le mani, gli occhi che brillavano.
- Stupendi veramente – concordò Imke –
non sembrano neanche assassini. -
- Infatti! Tutto quel bianco e quel brillare li rende così
puri e nobili – continuò l'altra beandosi di
quella vista.
E in effetti era stato quello lo scopo degli stilisti di
quell'edizione: il Distretto 2 era sempre stato visto come quello che
sformava più assassini e Vincitori assieme all'1, quindi
perché non puntare su un'apparente purezza d'animo per poi
lasciare che i due ragazzi dimostrassero tutta la loro spietata brama
di sangue?
-Bene, ho già la mia prima coppia – disse
Leucònoe, lasciandosi andare in un gridolino eccitato
– Guarda! Arriva il carro del 3! -
I ragazzi del Distretto 3 non erano mai stati considerati
all’altezza dei primi due Distretti, ma comunque non
sfiguravano. Gli stilisti per loro avevano scelto delle tute attillate
color grigio antracite, con un delicato disegno blu che ricordava le
trame di un microchip e delle stelle iridescenti sparse sul corpo,
dello stesso materiale con cui nelle loro fabbriche producevano i CD.
Bella aveva i capelli tirati in una coda alta così da
lasciare scoperto il viso in modo quasi crudele, considerando che le
guance le erano diventate rosse come il fuoco non appena era salita sul
carro. Lei non era abituata a cose del genere, non le piaceva stare al
centro dell'attenzione.
Nella sua vita non aveva mai avuto tempo per molto che non fosse andare
a scuola o lavorare in fabbrica e tutto quello la faceva sentire a
disagio. Tentò comunque di stamparsi un sorriso sul volto e
non abbassare lo sguardo troppo spesso, ma la cosa che la faceva
arrabbiare (una cosa davvero rara per lei, così paziente e
gentile) era che Ares avrebbe comunque monopolizzato l'attenzione su di
sé. Il ragazzo sembrava essere nato per le telecamere, con
gli occhi neri dall'aria seducente e il fisico perfetto. Sembrava
totalmente rilassato e a suo agio, mentre lanciava sguardi ammiccanti
alle donne senza tuttavia mostrarsi troppo espansivo.
Non si notava nemmeno che tutto quell'atteggiamento era nato da lunghe
riflessioni e strategie: in fondo per Ares non c'erano deviazioni dai
piani che decideva. Tutta la sua vita era una strategia.
- C-che figo. - sospirò Leucònoe con gli occhi
sgranati.
- Leu, è ammirevole come consideri i tributi femminili di
questa sfilata - ridacchiò la più piccola. -
Preferisco i Favoriti, ma anche questi non sono affatto male. Mi
piacciono i CD.-
Poi le due si voltarono verso il carro successivo.
Gli stilisti del Distretto 4 erano rinomati per la loro bravura e anche
quell’anno non si erano smentiti. I tributi arrivarono su un
carro trainato da cavalli bianchi come la spuma marina: Adele era la
personificazione della barriera corallina e le sue curve generose erano
pienamente sfruttate dall’abito. Portava solo un pareo rosso
e aveva il seno nudo: in tutto il corpo aveva intarsi di corallo che
formavano un grazioso disegno di un rosso intenso, in netto contrasto
con la carnagione di porcellana così anomala per il suo
Distretto. I capelli erano arricciati e lasciati sciolti sulle spalle,
fermati solo da una tiara di corallo ornata con grandi conchiglie
bianche. La regina del mare.
Dilan guardava dritto davanti a sé, determinato e potente,
ma la mano posata sul fianco di Adele addolciva
quell’atteggiamento da Favorito che non gli apparteneva.
Indossava un paio di calzoni di alghe verde scuro, decorati con
conchiglie nere. Era a torso nudo, ma il petto scolpito era coperto di
tatuaggi di ancore, sirene e vari soggetti di mare. Aggiungendo i
capelli biondo scuro con qualche ciocca nera, raccolti in una coda
disordinata e cosparsi di salsedine, sembrava un giovane e fiero
pirata, abbracciato alla sua dolce sirena.
La ragazza guardava avanti senza timore, ma a differenza del compagno
il suo sguardo era spento e quasi ostile, ma molti interpretarono la
sua introversione come spietatezza, esplodendo in applausi concitati
che ebbero l'unico risultato di far lievemente alzare al cielo i suoi
occhi cangianti.
- Oh mio Dio, è così bello! I ragazzi del 4 sono
sempre così... così...aaaaaaaah!-
sospirò Leucònoe senza trovare le parole.
- Già - cinguettò la cugina. - Secondo me loro
due stanno insieme, comunque. Guarda come la abbraccia, sono davvero
adorabili! -
-Non dire sciocchezze Imke, perché si sarebbe offerto se no?
Questi sono gli Hunger Games! -
- Ehy - ribatté la ragazzina piccata - Non rovinarmi le
coppie! Lo sai che adoro le love story tormentate! -
Leucònoe avrebbe voluto replicare, ma il carro del Distretto
5 le distrasse subito.
Il Distretto 5 doveva rappresentare l’energia: mai due
tributi furono più appropriati al loro Distretto, tanto
nell’aspetto quanto nel carattere. Sia Rebecca che Jake erano
quasi totalmente nudi, l’unica cosa che li copriva era un
intrico di fili e fasce di rame, scosse da scintille e incandescenze
che davano originalità e movimento ai due ragazzi, oltre a
intonarsi perfettamente con il colore rossiccio dei capelli di Jake.
Beck era radiosa, sorrideva con aria seducente e ammiccava alla folla,
soddisfatta di come l'abito metteva in risalto il fisico slanciato e
invidiabile. I capelli scuri raccolti a torre con fili elettrici che
sembravano sul punto di andare in corto circuito, le davano un aria un
po' pazza che, ammise con se stessa, la rispecchiava e le piaceva. Il
ragazzo era ancora più euforico di lei, saltellava come un
pazzo salutando la gente con un gran sorriso stampato in faccia.
- Tutti i tributi dovrebbero essere così allegri e simpatici
- sospirò Imke lanciando un bacio al tributo maschile che
con grande eccitazione della ragazzina ricambiò il saluto,
ammiccando con aria allegra e scanzonata nella sua direzione.
- Se hai finito di provarci, guarda la ragazza. È anche
troppo sicura di sé per una del 5, tienila a mente. Devi
iniziare a ragionare da stratega. - la ammonì con scarsa
convinzione Leucònoe, sentendosi un po' ipocrita quando
ricordò che la sua reazione al ragazzo del 4 era stata
più o meno la stessa.
Ma Imke non la ascoltava e si voltò, a malincuore, solo
quando apparve il carro di Nina e Blade.
Trainato da due cavalli dal manto corvino, anche il carro del 6 fece la
sua comparsa. I due diciassettenni portavano delle tute aderenti nere
come il manto dei loro cavalli, con un motivo di lucenti ingranaggi
argentei che si muovevano ritmicamente.
Un piccolo ingranaggio, posto in corrispondenza dell’ombelico
di Nina, spiccava perché era di un colore indefinibile ed
iridescente, che cambiava in ogni secondo.
Quando furono all’attenzione dei Capitolini,
l’ingranaggio iniziò a girare vorticosamente e ad
assumere colori sempre più brillanti, finché si
staccò dalla sua posizione per iniziare a scorrere
freneticamente sul corpo della ragazza, per poi trasferirsi a quello di
Blade e fare continuamente la spola tra i due tributi, illuminando i
loro corpi di riflessi colorati.
Imke e Leucònoe si unirono ai gridolini isterici degli altri
capitolini, incapaci di comprendere come potesse essere possibile un
tale miracolo tecnologico. In realtà l’effetto
sarebbe stato migliore se si fossero tenuti per mano, come dettogli dai
loro stilisti, ma Nina non ne aveva la minima intenzione. Trovava il
suo compagno di Distretto tollerabile, ma tra tollerarlo e
avvicinarglisi tanto da tenergli la mano c’era una bella
differenza.
Blade era immobile e freddo, con gli occhi neri che fissavano spenti di
fronte a sé, prestando il minimo indispensabile
dell'attenzione alla folla colorata che gli era intorno.
A Nina andava benissimo che si facesse i cavoli suoi, mentre stava
appoggiata con aria noncurante e braccia incrociate alla sponda del
carro.
Quando qualcuno le lanciò una rosa la afferrò e
iniziò a strappare svogliatamente i petali.
- Blade m'ama, Blade non m'ama - canticchiò con voce da
bambina, lanciando occhiate furtive al compagno per vedere se l'avesse
turbato.
Il ragazzo non sembrò nemmeno averla sentita e lei
buttò via la rosa, frustrata.
Ma un brivido era corso comunque sul braccio muscoloso e abbronzato di
Blade.
- Oh mio Dio, ce l'hanno praticamente scritto in faccia! -
strillò la ragazzina bionda con aria traumatizzata.
- Cosa? - le chiede preoccupata Leucònoe.
- “Siamo due figoni crudeli e siamo innamorati”-
cinguettò. - Sono perfetti insieme! Potrebbero essere i miei
preferiti! -
- Hai detto lo stesso di tutti gli altri carri, cara.- cercò
di farle notare la cugina, ma Imke aveva già smesso di
ascoltarla.
- Guarda, il 7! -
Gli abiti di Hope e Donnie non sembravano abiti. Sembrava
più che fossero appena usciti dal bosco. Erano nudi e i loro
corpi erano cosparsi di foglioline verdi e grandi foglie secche, che si
intrecciavano a collanine di liane ornate da ciondoli di legno.
Donnie sembrava incredibilmente sereno e a suo agio, considerando che
era praticamente un condannato a morte, ma in fondo lui era un ragazzo
ottimista e le foglie che nascondevano appena il petto asciutto e
muscoloso lo facevano sentire a casa, mentre spaccava la legna accanto
a Wendy, lanciandole ogni tanto un occhiata maliziosa. Ma in quel
momento non poteva permettersi di pensare a lei, non considerando che
buona parte delle donne lì presenti erano ipnotizzate dalla
sua bellezza. Il pensiero di tradire Wendy lo distruggeva e lo
ossessionava, così distolse lo sguardo da quelle donne per
sfiorare la mano di Hope.
- Avanti, è solo una sfilata. - sussurrò alla
sedicenne, che nonostante avesse un aspetto bellissimo e dolce in
quell'abito continuava a guardarsi intorno confusa, arrossendo e
abbassando continuamente lo sguardo.
Hope alzò lo sguardo verso il ragazzo, decisamente
più alto di lei, e arrossì ancora, ma
alzò gli occhi grigio-azzurri e raccolse tutto il suo
coraggio per guardarsi intorno e sorridere. In fondo, sorridere era
quel che sapeva fare meglio.
- Sono così dolci - commentò Leucònoe
dispiaciuta. - Moriranno subito se sono dolci. -
- Ehy, non è detto! - la riprese Imke. - E comunque meglio
così, è carino avere dei tributi dolci ogni
tanto. Peccato che quella ragazza sia così timida,
è così carina! E lui... beh...-
-Lui è un po' troppo grande per te, tesorino.-
commentò ridacchiando l'altra, felice per una volta di
essere la maggiore. - E non vorrai tradire il tuo bel ragazzo del 5,
vero? -
Imke arrossì fino alla punta dei capelli e
ammutolì, limitandosi a voltarsi verso il carro dell'8.
Il carro del Distretto 8 fece il suo ingresso nell'arena; purtroppo da
questo momento in avanti, di solito i Distretti venivano sempre accolti
con meno meraviglia e stupore: in fondo gli Stilisti erano meno
competenti e i tributi erano già stati eclissati dalle
stelle splendenti dei loro compagni più avvantaggiati. Ma
quell'anno ci sarebbero state diverse sorprese provenienti dai
“bassifondi” di Panem, a cominciare dal Distretto 8.
I due stalloni che trainavano il carro avevano il manto originariamente
bianco latte, ma erano stati dipinti con lingue di fuoco color turchese
e argento, che partivano dal ventre per espandersi lungo i fianchi e la
schiena; criniere e code erano state abilmente intrecciate con nastri
del medesimo colore delle fiamme.
Lysandre sorrideva alla folla, compiaciuto di aver attirato
l'attenzione nonostante appartenesse ad un Distretto basso, e
consapevole di aver fatto un eccellente lavoro. Eh sì,
perché il ragazzo era stato uno dei tributi più
problematici degli ultimi tempi per il suo staff: aveva preteso infatti
di creare lui stesso i vestiti per entrambi; al contrario, sarebbe
uscito completamente nudo (idea che non gli dispiaceva affatto, ma si
sarebbe messo nei guai prima di cominciare). Per cui stilisti e staff
avevano dovuto assecondarlo, dopo varie lotte per cercare di fargli
cambiare idea.
Il giovane infine aveva deciso per una giacca turchese, che una volta
aperta davanti lasciava intravedere una camicia bianca con decorazioni
e fiammate turchesi e argentate, create con uno speciale tessuto che
colpito dalla luce la assorbiva per poi sprigionarla, rendendo la parte
luminosa; i pantaloni erano stati realizzati con le stesse
caratteristiche della camicia, ma le parti colorati richiamavano
più motivi floreali che vampate vere e proprie; in testa
Lysandre aveva optato per un cappello di feltro soffice –
chiamato borsalino – color turchese, adornato da una striscia
argentata che percorreva tutta la sua circonferenza. La descrizione di
Lysandre però non può dirsi completa senza
l'elemento sul quale il ragazzo aveva creato il tutto: Sciarpi
circondava elegantemente il collo del ragazzo e sembrava il fulcro dal
quale si doveva partire per apprezzare tutto l'abbigliamento.
Per Jennifer, Lysandre aveva inventato qualcosa di simile: i lunghi e
lisci capelli castani erano stati trattati in modo che risultassero
mossi, arrivando poco sotto le spalle, ed erano tenuti a bada da un
cerchietto argentato che rifletteva la luce; Jennifer indossava un
vestito di raso argentato con lo stesso motivo a fiamme turchesi della
camicia del compagno; l'ampia scollatura serviva quasi ad indicare un
disegno di pieghe sul vestito posto poco sotto il seno: più
che un significato particolare, il disegno aveva il compito di far
apprezzare il tessuto in sé e per sé. Lysandre
poi aveva scelto sapientemente l'abbinamento, perché era
stato deciso a risaltare la carnagione pallida di lei facendola
brillare, ma soprattutto voleva mettere in evidenza i suoi occhi
azzurri, quasi dello stesso colore dei motivi a fiamme – e di
Sciarpi ovviamente.
- W-o-w! - scandì Leucònoe all'arrivo del carro
– Si vede che sono proprio il distretto dei tessuti!
- E' vero! - confermò Imke, gli occhi che brillavano al
vedere quell'accuratissima scelta di colori – Non pensavo che
gli stilisti dell'8 potessero fare una cosa del genere -
- E poi loro sono proprio belli! Guarda, lui non sta zitto un attimo
però si concentra anche sulla folla, già mi piace
– si esaltò Leucònoe. In effetti
Lysandre stava dando consigli spassionati – e non richiesti
– alla compagna su come comportarsi con il pubblico.
- Tira il freno Leu – la fermò la cugina
– come future Strateghe, dobbiamo essere il più
possibile imparziali e... Oh, arriva il Distretto 9! - si interruppe
all'improvviso Imke, rivolgendo l'attenzione al nuovo carro e
dimenticandosi di quello che avrebbe voluto dire.
Il Distretto 9 fece la sua comparsa in un'atmosfera diversa dallo
scintillio di quella precedente, in un contrasto molto forte: cavalli
dal manto nero come la pece trainavano il carro, anch'esso
completamente nero, già così caricando l'aria di
una strana e lugubre atmosfera, piena di mistero e aspettativa. Gli
unici due punti di luce venivano dal baricentro dei due tributi.
Karmilla sorrideva soddisfatta di aver vinto la guerra contro il suo
Stilista: il fesso avrebbe voluto farle indossare un abito da contadina
per richiamare il lavoro nei campi, che assurda follia. La ragazza si
era opposta con fermezza – e violenza – a
quell'oscenità, e da quel momento aveva iniziato a bocciare
qualsiasi idea le fosse proposta, minacciando di uscire con il suo
amato vestito da cameriera – su quel punto in effetti
Lysandre e Karmilla potevano considerarsi simili. Alla fine la giovane
aveva avuto la meglio e l'ultimo abito proposto le era piaciuto,
così in tutta fretta perché assolutamente tardi,
gli stilisti erano riusciti – imprecando – ad
accontentarla, evitando così uno scontro probabilmente
mortale.
Karmilla indossava un vestito nero a maniche corte che ricadeva morbido
sul suo corpo; degli sbuffi all'altezza delle spalle e della fine della
gonna avevano il compito di rendere l'idea di qualcosa di delicato e
dolce, ma già il pizzo nero sugli orli conduceva a ben altre
associazioni; alla vita era stata allacciata una cintura con una fibbia
circolare in oro, unica fonte di luce in tutto quel nero. Vista la
cortezza del vestito, le gambe di Karmilla erano state coperte con una
calzamaglia spessa a righe orizzontali nere e rosse, che richiamavano
il colore dei capelli, raccolti in due code ai lati della testa. In
sostanza, Karmilla assomigliava in tutto e per tutto ad una bambolina
tanto era graziosa, nonostante tutto quel nero; ma l'aggiunta di un
altro accessorio faceva sì che la sedicenne somigliasse
più ad un'assassina: Karmilla infatti nella mano destra
reggeva una lunga falce dal manico nero e dalla lama scura che
sì, voleva richiamare il Distretto 9 e la mietitura del
grano, ma soprattutto contribuiva a gettare un'ombra di inquietudine
sulla bella ragazza. Una bambola assassina, ecco cos'era.
Dal canto suo, a fianco a lei, anche Benjamin dava quest'impressione:
la prima parte che saltava subito all'occhio era la cintura, uguale a
quella della compagna e che rappresentava un tunnel di luce nelle
tenebre, perché successivamente lo sguardo si allargava e
coglieva il vero modello sul quale era stato realizzato il vestito. Il
ragazzo indossava un lungo mantello nero aperto sul davanti, con degli
strappi evidenti sulla coda, che svolazzava all'aria creata dalla
velocità del carro; all'altezza delle spalle, c'era un
cappuccio che Benjamin avrebbe tanto voluto tirare sulla testa per
scomparire – o per lo meno per non farsi riconoscere
– ma che gli era categoricamente stato vietato dal suo
Stilista e dal Mentore; in mano il ragazzo reggeva anch'egli una falce,
più alta ed elaborata di quella della compagna,
più imponente e mortale. Il ragazzo suo malgrado doveva
stare al centro dell'attenzione, ma non come si aspettava lui: in quel
momento incuteva timore nei Capitolini, poiché era la
personificazione della Morte stessa, il Cupo Mietitore che si era
incarnato tra i mortali. Altro che mietere il grano.
Leucònoe rabbrividì: - Ok, questi due mi hanno
veramente inquietata... -
- Sul serio – concordò Imke –
però mi piacciono, sono varianti sul classico tema
“contadini del 9” -
- Già, guardiamola da questo punto di vista... -
annuì la cugina – Oh, il carro del 10!
Il Distretto 10 fece la sua entrata trionfale nell'arena su un carro
trainato da due splendidi cavalli pezzati bianchi e marroni, che
sembravano i più irrequieti delle dodici coppie; se i
Capitolini si fossero interessati alla storia della Nazione, avrebbero
sicuramente saputo che nelle vene dei due equini scorreva sangue dei
loro avi ribelli, che correvano liberi nelle praterie dell'America.
Nella criniera infatti erano intrecciate delle penne bianche con la
punta nera, quasi a simulare le cavalcature degli ormai estinti e
semi-sconosciuti pellirossa.
E proprio dai cavalli poteva partire l'analisi dei due costumi scelti
per quell'anno.
Gli stilisti avevano lasciato perdere il look da cowboy e cowgirl per
concentrarsi su qualcosa che rendesse l'idea di libertà e
forza, accennando soltanto la sensazione di ribellione e potenza che
poteva creare problemi a loro e ai due tributi.
Dennis sorrideva maliziosamente mentre il carro proseguiva nella sua
sfilata; si sentiva particolarmente a suo agio in quel vestito:
sfruttando il suo fisico muscoloso e sensuale, il suo Stilista aveva
optato per una tuta di pelle di animali che aderiva perfettamente al
corpo nella parte dalla vita in giù, mentre nella zona sotto
la cintura, assumeva le caratteristiche dei jeans, che
cadevano perfetti e seducenti nei punti giusti; qua è
là inoltre vi erano dei buchi da cui pendevano dei fili di
tessuto sfilacciati, per ottenere l'effetto trasandato che andava tanto
di moda quell'anno. I capelli color del grano erano stati lasciati
ribelli come li portava di solito il ragazzo, ma si vedeva che una mano
esperta li aveva modellati in modo tale che richiamassero alle criniere
dei due cavalli; ultimo ma non ultimo, una penna appartenente allo
stesso volatile di quelle sui due equini, era stata incastrata rivolta
verso il basso nella parte destra della nuca. Dennis sfoggiava un
sorriso mozzafiato, lanciando sguardi maliziosi e finti baci al
pubblico, infrangendo già molti cuori delle più
svariate età; il giovane pensava già ad
accaparrarsi gli sponsor migliori, e il favore che gli avevano fatto
gli stilisti gli aveva già quasi spianato la via della
vittoria.
Victoria al suo fianco sarebbe dovuta scomparire, eclissata dal
successo che il suo compagno stava ottenendo. Invece anche la dodicenne
pretendeva la sua fetta di notorietà.
Per la poco più che bambina, la sua Stilista sapeva bene che
non poteva puntare sulla sensualità come per il compagno,
per cui si era leggermente distaccata dal progetto originale. Victoria
indossava una giacca di pelle marrone, aperta sul davanti, con le
maniche leggermente lunghe a coprire una parte del dorso della mano;
sotto si poteva scorgere una semplice camicia del candido bianco che si
abbinava benissimo all'innocenza e alla grazia della ragazzina; invece
dei pantaloni, Victoria indossava una gonna di jeans, della stessa
fattura dell'indumento del compagno, e a concludere il tutto, ai piedi
portava degli stivaletti con poco tacco, dello stesso colore della
giacca, che richiamavano un po' quel senso di ribellione trapelante dal
carro. I capelli castani erano stati raccolti in una treccia, e al suo
interno, sempre con la punta verso il basso, era stata sistemata la
famosa penna.
La dodicenne sorrideva solare e innocente alla folla: era piccola
sì, e non poteva competere con altre bellezze mature di
quell'anno, ma Victoria era intelligente, e sapeva che sfruttando la
sua grazia e delicatezza da bambina avrebbe allo stesso tempo ingannato
molti sulle sue reali doti da tributa, e si sarebbe anche fatta degli
sponsor che non potevano assolutamente lasciare sola quella povera e
indifesa creature...
- Ok, amo i cavalli – disse Lucònoe con gli occhi
che brillavano.
Imke alzò gli occhi al cielo: a volte la passione della
cugina per gli animali la faceva veramente esasperare: - Leu, guarda i
tributi ora – la ammonì – che
stranamente quest'anno sono veramente ben vestiti. -
- Sì ma quei due animali sono veramente stupendi! -
continuò Leucònoe.
Imke scosse la testa e si rassegnò, prendendo nota intanto
delle caratteristiche dei due ragazzi del Distretto 10: - Lasciamo
perdere... Comunque ecco l'11! -
Il secondo Distretto più povero di Panem fece il suo
ingresso nell'arena trainato da degli strani cavalli originariamente
bianchi. Originariamente, perché il loro candido manto era
deturpato da macchie di colori in parti casuali di tutto il corpo, che
si ripetevano quasi in una girandola di tonalità; si
potevano contare quattro colori: azzurro, verde, rosso chiaro e
marroncino, che facevano sembrare la pelle dei due equini come due tele
su cui dipingere.
Era successo che gli stilisti dell'11 si erano trovati a corto di fondi
all'improvviso, dato che i capi che avevano originariamente preparato
erano stati vittime di un incidente di cavi elettrici, facendo la fine
della carne allo spiedo; per cui i due malcapitati Capitolini avevano
dovuto arrangiarsi con poco a disposizione, fra soldi e materiale,
cercando qualcosa che sostituisse gli abiti da alberi comuni per quel
Distretto. E il risultato era stato sorprendente.
Esmeralda si sistemò una ciocca di capelli neri dietro
l'orecchio, mentre il vento creato dalla velocità le
sferzava il viso: la ragazza avrebbe indossato un semplice abito verde
chiaro se al suo Stilista non fosse venuto un colpo di genio a sentirla
parlare con i suoi preparatori; il periodo poi era anche quello giusto,
quindi perché no? Sopra la stoffa verde erano stati
applicati a centinaia dei fiori rosa, già completamente
sbocciati: erano fiori di pesco, che fortunatamente fiorivano proprio
ad aprile. Esmeralda non avrebbe potuto essere più felice di
quel vestito: indossando quell'abito sentiva la vicinanza del suo amato
pesco dove aveva trascorso ore della sua vita, per cui si trovava
veramente a suo agio, e salutare la folla con disinvoltura e quasi
senza imbarazzo o paura, si erano rivelati compiti meno impegnativi del
solito. Alcuni fiori inoltre, erano stati intrecciati ai capelli
corvini, creando un magnifico contrasto di colori.
Ma se per Esmeralda questa combinazione poteva andare bene, sicuramente
gli stilista avrebbero dovuto pensare ad altro per il ragazzo al suo
fianco, tutt'altro che “grazioso” come la sua
compagna; però senza discostarsi molto dal tema
“quattro stagioni”, il suo Stilista aveva optato
per una cosa analoga – e poco costosa.
Marcus indossava dei vestiti di fondo marrone scuro, però
completamente ricoperti da foglie autunnali provenienti dai
più svariati alberi, e delle tonalità calde del
rosso, del marrone e dell'arancione; le foglie ovviamente erano finte,
trovate nei magazzini e risalenti a chissà che anni, ma con
la giusta sistemata avevano quasi ripreso vigore, e nessuno avrebbe
messo in dubbio la loro autenticità. Il ragazzo d'altro
canto non aveva messo in discussione quella scelta – anche
perché non sarebbe servito a niente – e tutto
sommato non gli dispiaceva impersonare l'autunno. Manteneva comunque lo
sguardo fisso davanti a sé, non lasciando trapelare alcuna
emozione e facendosi passare per un tributo misterioso e concentrato
sul proprio obiettivo; ciononostante, ad un tratto sovrappensiero,
iniziò ad accarezzare la collana che ricadeva sul torace e
da cui non aveva assolutamente voluto separarsi: era un regalo di
Leonora, e il suo pensiero correva a lei in quel momento e al fatto che
dal Distretto 11 stava facendo il tifo per lui.
- Belli! - applaudì Leucònoe – Le
stagioni mi sembrano il tema ideale per il Distretto 11. -
- Concordo, poi lei sembra veramente un albero in fiore –
disse Imke, riflettendo nei propri occhi il rosa dei petali di pesco.
- Quest'anno ci hanno sorpresi veramente tutti –
considerò la cugina – Quasi quasi mi viene il
sospetto che anche il 12 avrà due tributi-capolavoro... -
- Ci toglieremo subito il dubbio, sta arrivando il carro del 12. -
L'ultimo carro a chiudere la Sfilata inaugurale era quello del
poverissimo Distretto 12: nessuno degli spettatori si aspettava mai
granché dall'ultimo fra gli ultimi di Panem; anche se
quell'anno c'erano state innumerevoli sorprese fra i distretti
periferici in quanto a vestiti, non si poteva trovare un Capitolino che
fosse uno che avrebbe scommesso un soldo sui due tributi delle miniere.
Sicuramente sarebbero usciti o vestiti da minatori con un piccone in
mano, o dentro sacchi per il carbone, in egual modo obbrobriosi.
E invece anche il Distretto 12 fece la sua figura quell'anno, rimanendo
per molto tempo nella mente degli abitanti della capitale –
se positivamente o negativamente non ci è dato saperlo.
Il carro uscì trainato da animali grigio scuro e gli occhi
degli spettatori si posarono senza troppe aspettative sui due tributi.
Ma sempre più sguardi si strinsero per realizzare meglio
quale strano costume potevano indossare i giovani. O non indossare.
Imke e Lucònoe si sporsero dalle loro posizioni per
accertarsi di quello che tutti iniziavano a presupporre.
- Ma sono...! - iniziò Leucònoe allibita.
- … nudi! - concluse la cugina.
Non tutti se ne erano ancora accorti, perché il nero pece
che ricopriva i corpi dei due giovani era così scuro e denso
da sembrare un vestito effettivo; ma in conclusione, si poteva dire che
entrambi non indossavano un vestito che fosse uno, eccezion fatta per
l'elmetto arancione da minatore sulla testa.
La folla esplose a quest'audacia degli stilisti: neanche il Distretto 4
era mai arrivato a tanto, coprendo sempre come minimo le parti intime
dei suoi tributi; invece Tiger e Talia erano lì, al
naturale, e stavano ricevendo le urla e le grida di ragazzi e ragazze
che già si scannavano per loro.
Tiger sorrise sfacciato, esibendo meglio che poteva quello che aveva da
offrire; l'idea degli stilisti all'inizio l'aveva lasciato interdetto
– come chiunque del resto – ma poi aveva ritenuto
di dover sfruttare l'occasione per iniziare a farsi amare. E le
sorprese della loro sfilata non erano ancora finite lì...
A metà percorso infatti le luci dei due caschetti si
accesero all'improvviso, e il colore prese a sciogliersi in punti
calcolati dei due corpi, ma in modo irregolare; quando la
tonalità nera fu colata del tutto, creando delle piccole
pozze sul carro, si scoprì il vero intento degli stilisti:
sotto allo strato di pece, erano ora ben visibili dei filoni dalle
sfumature rossastre, dal rosso intenso all'arancione chiaro, che
riuscivano a far sembrare i ragazzi due veri tizzoni ardenti.
Talia era più o meno pietrificata sul carro; i suoi lunghi
capelli biondi per necessità erano stati tinti di nero,
uniformando il senso del “costume”, ma la ragazza
al contrario del compagno non riusciva a trovare la forza di sorridere
e atteggiarsi. Non senza vestiti addosso. In quel momento si sentiva
vulnerabile e inerme agli occhi della Capitale che la voleva
sicuramente morta, nonostante in quel momento la acclamasse
così tanto; Talia era decisa a tornare però,
quindi si sforzò di sorridere alla folla in maniera timida,
riscontrando comunque il favore di giovani allupati fra gli spettatori.
- … Ehi! Chiudi la bocca! - disse Imke alla cugina,
trovandola ancora con la bocca spalancata.
Leucònoe si riprese: - E tu asciugati il rigoletto di bava,
eh!
Imke tossicchiò mentre l'ultimo carro andava a posizionarsi
al suo posto, alla fine del percorso: - Certo che ci hanno sorprese in
tutti i modi quest'anno. -
- Già, si vede che hanno tutti voglia di vivere -
Le due ragazze non fecero in tempo a scambiarsi ulteriori commenti
perversi riguardo a Wayne perché il presidente Snow
iniziò il suo solenne discorso. Era un momento importante,
ma le due che erano troppo giovani per apprezzare la politica si
limitarono a sbuffare.
– Benvenuti, tributi, benvenuti.- scandì con voce
impostata, come tutti gli anni. – Noi rendiamo onore al
vostro coraggio e al vostro sacrificio. Speriamo siate onorati dello
spettacolo che avrete la possibilità di offrire a tutta
Panem e vi auguriamo che la fortuna sia sempre, sempre a vostro favore.
- le labbra del presidente si incresparono in un lieve ghigno
– E un consiglio sempre valido: ricordate che qualunque cosa
sia successa questa sera, l’abito non fa il tributo. - si
interruppe per una pausa teatrale.
– Dovrebbe essere una battuta?- sillabò Imke a
Leuconoe, che soffocò le risate a stento.
– Perché voi, voi e non i vostri stilisti, siete
le future stelle di Panem. Voi siete gli artefici del vostro destino.-
La voce del presidente fu come sempre sommersa dagli applausi. Le due
ragazzine si limitarono a uscire dall’anfiteatro scuotendo la
testa con disapprovazione. Odiavano i discorsi del presidente. Ma mai
quanto li odiavano i ventiquattro sfortunati e, più lontano,
le loro famiglie e tutto il resto dei loro distretti che mai avrebbero
saputo che significasse essere artefici del proprio destino.
NDA
di darky e Keily
No, non siamo morte,
ma se dovete incolpare qualcuno, prendetevela con la Keily che
è una tartaruga <3 (e che ha di nuovo litigato con
l'HTML ma questi sono dettagli u.u)
E anche la Sfilata
è andata :3 Ora a questi poveri tributi spetta
l'Addestramento sotto lo sguardo attento degli Strateghi.
Per lamentele,
domande, precisazioni, pescispada da lanciare (?) sapete a chi
rivolgervi.
Ah, IMPORTANTE: per le
allenaze, se non l'avete ancora fatto, avvisateci tramite messaggio
privato qui, messaggio su fb, piccioni viaggiatori o telegrafo, in modo
che ci mettiamo all'opera più o meno subito! L'arena si
avvicina sempre più, meglio non rimanere soli, no?
A presto <3
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4: Everybody stands up and keeps score ***
Pervertiti,
coppiette e
Fiocchi di Fuoco
-Leu, Imke! Che bello vedervi!-
Il giovane Stratega dai capelli neri corse verso le
due ragazze e abbracciò calorosamente Leucònoe,
facendole il
baciamano, e accennò un saluto distratto verso Imke, la
quale
immediatamente mormorò qualcosa come "e io chi sono, la
vicina
della porta accanto?"
- Oh, Seneca, non ci vediamo da
secoli! - la maggiore delle due sorrise allegramente all'amico,
tormentandosi la treccia castana screziata di rosso fuoco.
- Okay, voi flirtate pure mentre affogo
la depressione nel succo di mela.- sospirò la quattordicenne
sedendosi rumorosamente al tavolo degli Strateghi.
Ma quando Ozai Heru-Zhao, Primo Stratega
e rinomato pervertito, tubò un - Ciao, carina- nella sua
direzione,
la bionda punk si rassegnò a sedersi accanto alla cugina e a
quel
ragazzo dalle basette inquietanti che ci provava in un modo
così
palese che solo a Leu poteva sfuggire.
- Non c'è
abbastanza succo di mela per tutta la tua depressione? -
domandò
sarcastico Seneca, scatenando una risata travolgente nella
diciottenne seduta accanto a lui.
-Macchè. Ho solo beccato Pedo-Ozai.- si lamentò
con
una smorfia.
- Oddio, quel pervertito? - chiese Leucònoe,
pensando con un brivido a tutte le occhiate approfondite che le
lanciava alle cene del gruppo degli Strateghi -Pensavo si fosse dato
una calmata, visto che c'è una delle sue ventimila o
giù di lì
figlie illegittime nell'arena. Ma no, probabilmente sarebbe capace di
provarci anche con lei.-
Imke ridacchiò: - Ma no,
non ci proverebbe mai con sua figlia. Non ha diciotto anni, quella?
E' troppo grande, non lo eccita...- si interruppe all'occhiata di
Seneca, un'occhiata che diceva indubbiamente "sgombera,
ragazzina rompiballe, che forse entro la fine dell'addestramento
riesco a farmi tua cugina".
- D'accordo - bofonchiò in risposta a
quella richiesta non pronunciata (facendo inarcare le sopracciglia
arcobaleno alla povera ignara Leu).
Sbuffò in modo particolarmente sonoro e si lasciò
cadere sul tavolo, ben lontana da Pedo-Ozai. -
Ti chiedo scusa per mio padre.- mormorò una voce maschile
alle sue
spalle.
La ragazza si voltò svogliatamente. Vide un ragazzo sui
sedici
anni, con i capelli neri spettinati e tatuaggi di fiammelle blu e
rosse che gli coprivano tutta la parte destra del viso. E,
particolare da non sottovalutare, un enorme busta di qualcosa simile
a patatine in mano.
- Scuse accettate.-
Il ragazzo sorride. - Bene, ne vuoi un po'? - le chiese indicando
la busta non identificata - Sono Fiocchi di Fuoco.-
- Per i comuni
mortali? -
Il moro ridacchiò. - Nachos piccanti.-
- D'accordo. Oh, io sono Imke.-
-Zuko.-
Imbarazzo, coltelli e ancora
imbarazzo
Bella correva nella pista intorno al Centro d’Addestramento,
senza nemmeno sentire la stanchezza. Le era stato subito evidente che,
pur avendo avuto un discreto risultato con la cerbottana, non poteva
raggiungere la preparazione dei Favoriti e che la fuga e
l’astuzia erano le sue migliori armi.
- Wow, ti servirà moltissimo scappare, quando sarai
lì - sogghignò la ragazza del 6, guardandola di
sottecchi, ma Bella la ignorò e continuò a
correre.
Intanto, iniziò a pensare a un'eventuale alleanza. Non era
brava a rapportarsi con le persone, ma era ovvio che due teste fossero
meglio di una.
Scorse velocemente la propria lista mentale di possibili alleati e si
soffermò sul ragazzo del 9, che al momento si stava
esercitando nell’uso dei pugnali.
- Ciao - disse, cercando di sembrare decisa - Tu sei Benjamin del 9,
no? -
Il ragazzo spostò lo sguardo sulla giovane,
trasalì e arrossì, mettendosi una mano nei
capelli. Non sapeva se essere più sorpreso o deluso dal
fatto che quella ragazzina ricordasse il suo nome, considerando che la
sua strategia era passare inosservato.
- Io, ehm , sì. E tu dovresti essere… Beth,
Distretto 5, no? -
La ragazza ridacchiò, socchiudendo gli occhioni azzurri -
Oh, no. Sono Bella, vengo dal 3. -
Lui si grattò imbarazzato un braccio: - Oh- scusa, mi
dispiace.-
- Non fa niente. Volevo chiederti di essere alleati.-
- Oh.-
Il ragazzo abbassò lo sguardo, continuando a lanciare i
coltelli. Non era esattamente nei suoi programmi. A parte la sua
fondamentale incapacità nel parlare con qualcuno che non
fosse un amico stretto, la sua non tanta sicurezza di arrivare
abbastanza avanti per allearsi e l'essere una totale frana nel lavoro
di squadra, non era sicuro di volersi affezionare a qualcuno che
avrebbe dovuto uccidere.
O beh, che avrebbe ucciso lui. Eppure, completamente d'impulso, disse:
-Va bene.-
Poi, ancora più di impulso, aggiunse: -Vuoi che ti insegni a
lanciare coltelli? -
Bella a dire il vero aveva già tentato, per poi tornare alla
cerbottana leggermente terrorizzata dalle sue pessime
abilità nel campo. Ma comunque annuì, con il suo
sorriso più dolce e bello.
Ragazze di zucchero e ragazzi di
roccia
Non l'aveva fatto apposta a mettersi a
tirar pugni ad un manichino vicino alla postazione di lancio dei
coltelli (che, dall'epoca dei primi Hunger Games, attirava
più
tributi femminili di qualunque altra).
Di sicuro non era in vena di
provarci con qualcuno, a un passo dalla morte e con il bacio di
Leonora che vibrava ancora sulle labbra.
Eppure
il ragazzo del Distretto 11 trattenne una risatina quando le due
quindicenni, la bruna dell'8 e la bionda del 12, si appostarono
chiacchierando accanto a lui e iniziarono a lanciare lame, la prima
abbastanza bene e la seconda in modo decisamente disastroso.
- Eppure dovrebbe riuscirmi, no? Se ho mira con la cerbottana
dovrei averla anche con tutto il resto...- sospirò a un
tratto la
ragazza del carbone in tono rassegnato. -
- Su, su.- la confortò l'alleata - Probabilmente
è solo perché è un movimento diverso e
non ci sei abituata.
Scommetto che alla fine di questa giornata sapremmo usare
più o meno
tutto.-
Jennifer esclamò questa frase
con un ottimismo che non era sicura di avere e un tono troppo
forzatamente allegro per essere rassicurante, ma Talia ebbe la
delicatezza di ricambiare comunque con un sorriso di
ringraziamento.
Marcus scosse la testa divertito, quelle
due ragazzine sembravano così gentili e fragili. Non
riusciva proprio a trovarci la
minima somiglianza con le sue amiche del ring clandestino, con le
loro risate sguaiate, da ragazzo, e le date delle loro vittorie
tatuate artigianalmente sulle braccia muscolose.
- E comunque.- riprese la
bionda - Per te è tutto così facile, ti ameranno
tutti, dopo quel
che hai fatto. Come vorrei essere coraggiosa come te...-
- Macchè.-
ribatté l'altra - Sono sicura che avresti fatto lo stesso,
per
quella tua amica, Dawn, no? -
Il ragazzo ebbe una
stretta al cuore, pensando a come sarebbe stato bello avere qualcuno
su cui contare per tutta la durata dei giochi, come quelle due
ragazzine facevano l'una con l'altra.
- Siete fortunate,
bamboline. Avete appena trovato un alleato estremamente figo.-
esordì sorridendo.
Amore incondizionato tra
compagni di Distretto
Irritato dalla mancanza di spirito
d’iniziativa dei suoi compagni, Marvel gettò
bruscamente la lancia
a terra e si avvicinò a lei, afferrandola per una spalla e
costringendola a girarsi.
- Ehy- sbottò - sono l'unico ad
avere un cervello per prendere decisioni in questo posto? Io dico
che...-
- Aspetta un attimo.- ribatté
Het, piccata - quand'è successo che sei stato nominato capo?
Perché
temo di essermelo perso, sai.-
- Ma come...? Io sono il più forte, è ovvio!
-
- E questo chi l'ha deciso? - replicò la
mora.
- ...io!- quasi
urlò il ragazzo, irritato dal fatto che la sua alleata
mettesse in
discussione la sua abilità.
- Credi di potermi battere? Vuoi una
dimostrazione? - aggiunse, beffardo, passandosi un dito sulla gola
con aria minacciosa.
- Razza di idiota, pensa un po' quel che ti pare, di
certo io non ho bisogno di una qualifica per sentirmi migliore.
Volevo solo farti notare che scegliere un capo non servirà a
molto,
se non esiste nemmeno un gruppo! - sibilò a bassa voce, per
non far
capire agli altri tributi e agli Strateghi che i Favoriti erano in
crisi ancora prima dell'inizio dell'arena.
- Ma come, quelli del 2 e del 4... - iniziò a dire
Marvel, ma Het lo interruppe. - Quelli del 2 e del 4 non mi sembrano
molto
intenzionati a fare gruppo con noi, se non l'avessi notato.-
Marvel
voleva ribattere qualcosa, ma a malincuore dovette ammettere che la
sua compagna aveva ragione . - Okay, okay. Quindi ? -
La
ragazza lo guardò come se dubitasse della sua
sanità mentale, il
che tra l'altro era abbastanza vero: - Mi sembra evidente, scegliamo
qualcuno dei Distretti periferici che non faccia totalmente pena e lo
aggiungiamo al gruppo. Poi decidiamo se liberarcene alla prima
occasione o tenercelo.-
- Aspetta... dei Distretti periferici? Ma
non possiamo! Voglio dire, noi siamo i Favoriti, gli assassini per
eccellenza, non possiamo allearci con il primo sfigato che passa!-
Het valutò la possibilità di prendere il
più vicino oggetto
contundente e calarlo con tutta la sua forza sulla testa del suo
cosiddetto alleato, poi fece un respiro profondo, sorrise e beneficio
degli Strateghi che iniziavano a guardarli insistentemente e disse a
voce bassa: - Senti, a me non importa cosa diamine tu pensi di
quest'alleanza e purtroppo non posso minacciarti di morte per
convincerti ad ascoltarmi, perché non ho voglia di passare
per
malata mentale davanti agli Strateghi. Sappi solo che tre o quattro
ragazzi sembrano un gruppo di assassini. Un ragazzo e una ragazza
(specialmente un ragazzo e una ragazza che sono appena sfilati su un
carro vestiti da principe e principessa delle fiabe) sembrano una
coppietta in luna di miele. È questo che vuoi? -
Il ragazzo spalancò gli occhi, per
niente attirato dalla prospettiva: - Okay, mi hai convinto.-
- Bene. Hai qualche idea? -
Marvel prese tempo, deciso a
non ammettere che era stato talmente impegnato a trafiggere manichini
e duellare con gli addestratori che non aveva osservato molto gli
altri tributi. - Uhm... mi sembra che sia bravo... il ragazzo
del... ehm...-
- Va bene, ho capito, ci penso io. - disse la
diciottenne alzando gli occhi al cielo - Vado dalla tipa del 5, tu
cerca qualcuno che sia bravo con le piante, visto che noi facciamo
pena. Prova con quelli dell'11, di solito sono bravi, se no anche la
bambina del 10. Ci risentiamo a pranzo -
Tanti tipi di corpo a corpo
La ragazza cinese scagliò
rabbiosamente due o tre shuriken contro il manichino, giusto per
evitare di sfogarsi in modo più distruttivo, poi si diresse
verso la
ragazza del 5, che aveva etichettato fin dall'estrazione come un
alleata utile. - Ciao! - la salutò sorridendo, cercando di
nascondere il suo
assurdo cattivo umore per il contrasto con quel depravato mentale del
suo compagno - Tu devi essere Rebecca, no? Io sono Het, vengo dal
Distretto 1. -
La diciassettenne appoggiò l'arco a terra e si
voltò verso l'altra: - Oh, ciao Het.-
Si stava voltando per ricominciare a scagliare frecce quando
l'altra ragazza le chiese: - Ehi, ti andrebbe di fare parte dei
Favoriti? Ci serve un po' di gente competente visto che quella che ho
ora in gruppo è un po'... uh...- si trattenne dal lanciare
un'ennesima occhiata assassina al suo compagno.
Rebecca scoppiò a
ridere: - E fu così che tutti i consigli del mio mentore sul
"lavorare da soli e non fidarsi di nessuno" se ne andarono
bellamente a puttane. Comunque sì, perché no?
Direi che è un bel
modo per non farsi uccidere. Ci sono anche quelli del 2 e del 4, no?
-
Het fece una
smorfia: - Veramente, quelli del 2 e del 4 quest'anno ci hanno dato
buca.-
La
diciassettenne inarcò il sopracciglio. - Oh, capisco. Beh,
scusa se
te lo dico, ma come numero mi sembra che il vostro gruppo faccia,
ehm, un tantino schifo.-
- Lo so. è per questo che stiamo
cercando qualcun altro. Ehi, ti va di parlare con il ragazzo del 10?
Mi sembra che sia forte.-
La ragazza del 5 lanciò un'occhiata al
biondo e la vista le piacque parecchio: - D'accordo. Batti il cinque,
futura compagna di uccisioni! -
Het la guardò male e Beck abbassò la mano,
controvoglia: -
Okay, okay. Dicevo giusto per fare spirito di gruppo. Ciao!-
E si allontanò verso Dennis, il bellissimo diciassettenne
del
10.
-
Ehilà, cowboy, ti sei convertito alla pesca? - lo
apostrofò con un
sorriso sarcastico, appena arrivò davanti al ragazzo, che
stava
cercando di creare un amo da un pezzo di conchiglia.
Il ragazzo sollevò gli occhi azzurri, scostandosi il
ciuffo: - Ciao, Rebecca. Sono onorato dal fatto che mi consideri
più
interessante di quella bella gnocca dell'1. Credevo fosse questo il
tuo genere.-
La ragazza avvampò, sbalordita da tutta quella
sfacciataggine (in effetti, non era cosa da poco che superasse la
sua): - Molto divertente, cowboy, o pescatore, o cosa cavolo sei.
Tienilo a mente, è Beck. Chiamami Beck e potrei pensare di
lasciar
perdere la tua stupidità. Chiamami Rebecca e gli ami te li
trovi
in... -
- Okay, lo intuisco.- la interruppe
Dennis - Come mai sei venuta a cercarmi ? Non che non sia abituato
alle ragazze che mi cercano... - continuò sorridendo
malizioso.
- Piantala,
devo chiederti di entrare nei Favoriti.-
- Favoriti? Ma
io non voglio una banda di fissati con le armi a darci fastidio
quando ci divertiamo, Becky. - protestò il ragazzo, mettendo
il
broncio come un bambino. Beck alzò gli
occhi al cielo e si stava allontanando arrabbiata quando
sentì uno
strappo e un freddo improvviso dietro le cosce.
- Ma che cazzo... - si girò e diventò
nera di rabbia quando vide Dennis che sghignazzava, facendo dondolare
una lenza a cui era appeso un pezzo dei suoi leggins e, beh, anche
gran parte delle sue mutande. - Ma come ti viene? - strillò
afferrando il ragazzo per il colletto della t-shirt - Capisco che sei
un morto di figa che non ha mai visto un culo in vita sua, ma devi
cominciare proprio da me? -
Il biondo rise: - Come mai sei così arrabbiata, Becky? Devo
dire che ne è valsa la pena, veramente uno dei migliori culi
della
mia luminosa carriera.-
- Piantala! Magari
un po' di corpo a corpo, senza trucchetti da bimbi dell'asilo, ti fa
cambiare idea.- urlò la ragazza.
- Oh oh! - Dennis saltò in
piedi improvvisamente elettrizzato - Pensavo volessi aspettare di
essere in camera, ma sei vuoi divertiti proprio qui io non ho
scrupoli! - esclamò, iniziando a sbottonarsi la camicia.
- Io
intendo l'altro corpo a corpo, idiota.- E
senza aspettare che le rispondesse lo trascinò alla
postazione della
lotta: - Ehy, tu, con i capelli da donna! - chiamò, mentre
l'allenatore dai riccioli color confetto si girava offeso, - Devo
fare a botte con questo tizio, non c' problema, vero? -
- Ma
veramente... - tentò di ribattere l'"uomo", ma poi,
curiosamente, ebbe un'improvvisa voglia di dare il cambio al suo
collega della postazione di arrampicata.
Dieci minuti dopo un trionfante
Dennis e una furibonda Beck con un occhio nero uscirono dallo spazio
recintato per i combattimenti.
La ragazza lanciò un'occhiata al suo più o meno
alleato e, del
tutto calma, sollevò una lancia e la calò con
decisione tra le
gambe del diciassettenne, scoppiando poi a ridere mentre lui crollava
in ginocchio urlando parolacce di cui lei ignorava persino
l'esistenza.
- Io lo sapevo, Moore - sentenziò con aria di
superiorità - che tu e le armi lunghe non andate proprio
d'accordo.-
Assassini e (quasi) innocenti
Marvel si fermò a qualche passo dalla
ragazzina del 10, che canticchiava trafficando con delle erbe che
agli occhi del ragazzo erano solo roba non meglio
identificata.
-
Ehy, scricciolo. -
Victoria alzò i grandi occhi chiari e
sorrise al Favorito: - Ciao! - disse, semplicemente.
Il ragazzo dell’1 alzò il
sopracciglio, leggermente interdetto dal fatto che non sembrasse
spaventata da lui, poi riprese a parlare come se ogni parola gli
fosse estorta sotto tortura: - La ragazza del mio Distretto, Het, ha
detto che devi stare con noi nei Favoriti. -
- Questo è molto carino
da parte sua. Sono felice di essere vostra alleata. Grazie di
avermelo detto, Marvel.- disse Victoria con un sorriso candido,
pronunciando il nome del ragazzo come se fossero amici da una
vita.
- Beh, se
lo dici tu.- rispose Marvel con una smorfia. Non poteva negare di
aver sperato di non doversi alleare con l’ennesimo peso morto
- Ci
vediamo a pranzo per parlare di strategie. Sicura che non ti
traumatizzi stare con gli assassini, piccoletta? - non
riuscì a
trattenersi dall’aggiungere, in tono sarcastico.
-
Ho meno paura di uccidere di quel che la gente pensa. Non mi sono
offerta per morire, Marvel.- La sua voce era così
dolce e tranquilla che nessuno le avrebbe mai potuto credere, e
infatti Marvel si limitò ad alzare gli occhi al cielo e
tornarsene
quasi di corsa dalle sue lance.
Gli occhi di Victoria scintillarono e si lasciò sfuggire
un'esultanza a bassa voce. I Favoriti! Nemmeno nei suoi più
rosei
sogni ad occhi aperti aveva pensato di arrivare tanto in alto.
Vincere non le era mai sembrato più possibile. Si diresse
con un
sorriso in volto verso il bastone e iniziò a rotearlo; era
la sua
arma preferita, le ricordava i giorni trascorsi al pascolo cantando
all’ombra degli alberi e giocando con le pecore.
Iniziò a
canticchiare senza nemmeno accorgersene, era una canzoncina che
parlava della primavera e della nascita dei piccoli di tutti gli
animali, uno dei momenti più gioiosi per il suo Distretto.
Se
qualcuno si fosse fermato a pensare, forse avrebbe trovato
inquietante la canzone della vita come colonna sonora di una
ragazzina che imparava a portare la morte. Ma aveva il potere di
renderla serena persino all’inferno, e tanto bastava.
Amore incondizionato tra
compagni di Distretto parte 2: La Vendetta del Distretto 6
- Sei sicura di voler rimanere lì a
guardarmi per tutto l'allenamento? -
Blade
alzò un sopracciglio scuro, lanciando uno sguardo eloquente
alla sua
compagna che, da prima che Atala finisse il suo discorso, si era
appesa a testa in giù alla sbarra della postazione di
arrampicata e
sembrava averci fatto il nido come una rondinella nella stagione
degli amori, con un'agilità consolidata in dieci anni e
più di
fughe dall'orfanotrofio.
- Ti sembra che abbia intenzione di
scendere? - protestò la ragazza in tono vagamente annoiato,
dondolandosi avanti e indietro .
- Voglio dire, non potresti
pensare ad allenarti, anziché rompere le scatole agli altri?
-
-
Veramente sei tu che stai dando fastidio a me, Stoner. -
Il ragazzo sbuffò rumorosamente e alzò gli
occhi verso Nina: - Io, veramente, sto cercando di imparare a non
farmi ammazzare. Tu sai già come fare? -
La diciassettenne si sollevò e si mise a sedere
sulla sbarra: - Mi sottovaluti, Stoner? Grosso errore.-
ridacchiò -
E effettivamente fai molto meglio a parlare con me che a lanciare
coltelli, sai? Fai veramente pena.-
Blade sentì il viso andargli
a fuoco e scagliò il pugnale che aveva in mano verso di lei,
quasi
alla cieca: - Sai fare meglio di così? -
sbottò.
Nina alzò appena una mano, prendendo al volo la lama tra
due dita come avrebbe fatto con una penna o una matita: - Come
dicevo, non hai uno straccio di mira.-
E
lo rilanciò facendolo conficcare alla perfezione tra gli
occhi del
bersaglio accanto a Blade, a pochi centimetri dalla sua testa.
- Non avevo veramente intenzione di prenderti. Non
vali nemmeno la pena di prendersi una sgridata da Atala per
ucciderti.- sbuffò Blade, soffocando la sua frustrazione per
non
essere riuscito nemmeno a sfiorarle i riccioli con la lama.
- Qualcuno qui non sa perdere.- fischiettò la
ragazza con un'aria innocente che a Blade fece venire i brividi.
Aveva lo stesso tono dolce e falso di Beatriz da bambina, quando
rubava dal portafoglio della mamma e poi incolpava lui. Una cosa
veramente da puttana, ma fottutamente efficace.
Leggermente inquietato da quella strana tizia, il
diciassettenne buttò i coltelli in un angolo e si diresse a
passo
veloce verso la postazione dell'arco. Qualcosa che, per lo meno,
sapeva fare. Stava tendendo
l'arco quando sentì due mani sottili sulle spalle, dei
lunghi
capelli mossi che gli solleticavano il viso e la voce fintamente
soave di Nina che gli sussurrava nelle orecchie: - E comunque, per
l'alleanza, credo che ti sopporterò.-
Blade avrebbe voluto ricordarle che non
le aveva chiesto nessuna alleanza, ma la voce gli si fermò
in gola e
decise che andava bene così.
Se
c'era qualcosa che aveva imparato dagli Hunger Games era che sono i
bastardi ad andare avanti nel gioco, e Nina lo era.
Piccoli animali si alleano
Wayne Tiger non aveva nessunissima voglia di addestrarsi. O meglio,
sapeva che avrebbe dovuto provare qualcosa, ma si fidava ciecamente
della sua abilità nell'utilizzo dei picconi e quindi non era
motivato a provare altro. Gironzolava per il Centro Addestramento,
guardando gli altri tributi allenarsi e prendendo nota di chi poteva
essere realmente pericoloso: se alcuni ragazzi cadevano come pere dopo
neanche un metro di arrampicata, altri centravano un bersaglio
minuscolo a decine di metri di distanza con un coltello o un arco. Ed
ecco un punto fondamentale delle sue riflessioni pre-Arena: come
già detto, grazie al fatto che straordinariamente aveva
avuto la previdente idea di andare a lavorare in miniera, aveva avuto
tempo di imparare a destreggiarsi al meglio con il piccone, che ormai
maneggiava – modestamente - molto bene; inoltre aveva visto
come i minatori preparavano l'esplosivo, senza contare poi che grazie
alla madre aveva buone conoscenze mediche. Il problema principale di
ciò era che nella Cornucopia erano ben poche le volte in cui
un piccone era stato fra le armi disponibili; Tiger avrebbe quindi
dovuto far vedere che era capace di usarlo bene, che con quello in mano
gli altri tributi avrebbero dovuto temerlo, ed era deciso a farlo
durante la sessione privata. Nel frattempo passava l'Addestramento fra
una postazione e l'altra, senza risparmiarsi occhiate eloquenti e
occhiolini a una delle assistenti del Capo Addestratore, che arrossiva
e distoglieva lo sguardo ogni volta con aria seccata.
Tiger però pensò che non avrebbe potuto passare
tutto quel tempo a fare niente, e che qualcosa avrebbe pur dovuto
ficcarsi in testa – non si è mai troppo previdenti
– tanto più che non aveva ancora idea se cercare
alleati o meno. Decise quindi di dirigersi verso la postazione di
sopravvivenza, così da imparare ad accendere un fuoco come
si deve; oltretutto in quella postazione, c'era uno spettacolo
veramente curioso ed esilarante.
Jake Beetles era alle prese con il suo primo intoppo nella strada verso
la salvezza: l'istruttore gli aveva spiegato almeno una trentina di
volte che per accendere un fuoco l'importante era avere pazienza nello
sfregare le pietre giuste, almeno la prima volta; e Jake ci aveva messo
del suo per ascoltarlo, per fare tutto con calma... Ma la parola
“calma” associata a lui era pura utopia, e il
ragazzo aveva finito con lo sbattere fra loro alcuni sassi con foga,
facendo partire scintille dappertutto tranne che sui legnetti secchi
che aveva di fronte; la cosa comica era guardare il suo viso: i
lineamenti tondeggianti apparivano più spigolosi a causa
della concentrazione e gli occhi ridotti a due fessure fissavano
intensamente il lavoro che le mani stavano facendo con troppo
entusiasmo. Tuttavia Jake non demordeva: doveva imparare ad accendere
un dannato fuoco da solo.
- Accenditi... accenditi... Andiamo, accenditi... – mormorava
sottovoce.
- Stai cercando di sbriciolare due poveri massi innocenti? No
perché ci stai riuscendo benissimo -
Tiger gli andò vicino squadrandolo dall'alto, un sorriso
canzonatorio sul volto.
- Se sai fare di meglio accomodati pure – gli rispose Jake
senza staccare gli occhi dal mucchietto di legno che non ne voleva
proprio sapere di accendersi.
- Meglio di così? Anche se cercassi di accendere un fuoco
sotto acqua farei meglio di così –
sbuffò Tiger, e visto che le parole che diceva non cadevano
mai nel vuoto, si fece dare due pietre buone dall'istruttore e, senza
ascoltare nessuna spiegazione, si mise accanto a Jake convinto di saper
fare di meglio.
Inutile dire che passato un quarto d'ora non era scoccata neanche una
scintilla.
- Vedo come ti riesce bene accendere un fuoco, eh, signore delle
fiamme? - lo derise Jake.
- I sassi sono difettosi! - si difese Tiger.
- Oh certo, non avevo il minimo dubbio – rise l'altro.
Tiger, furioso per la figuraccia, diede una violenta sfregata, e
finalmente una scintilla parecchio grande scoccò. Il guaio
è che scoccò nella direzione sbagliata. Destino
volle che un cavo scoperto uscisse dal tronco di un albero finto
lì vicino – cosa ci facesse un cavo dentro un
albero non ci è dato saperlo – e che la scintilla
finisse proprio sopra quel cavo. Il disastro si può
prevedere: una parte dell'albero prese fuoco, e un ramo incandescente
cadde molto vicino a Jake; il ragazzo balzò in piedi
spaventato urlando, per poi accorgersi che un lembo della sua divisa
era andato a fuoco. Iniziò a correre come un matto cercando
di spegnerla, mentre Tiger lo inseguiva per bloccarlo e gli addetti
all'addestramento spegnevano con degli estintori l'attrezzatura in
fiamme.
- Vado a fuoco aiuto! - urlava Jake saltellando in giro e cercando di
spegnersi la divisa.
Ovviamente non guardando davanti a sé, era inevitabile che
finisse contro qualcun altro.
Jake e un tributo particolarmente alto e intento ad esercitarsi con una
spada, caddero a terra; l'urto spense finalmente le poche fiamme sugli
abiti del povero Beetles.
- Ma che diavolo ti prende?!? -
Donald Penguin si stava concentrando per imparare ad utilizzare qualche
altra arma oltre all'ascia, e quell'interruzione violenta lo aveva in
un primo momento spaventato e successivamente irritato da morire.
- Scusa tanto se stavo per diventare un tributo arrosto, eh! - rispose
a tono Jake, un po' più rilassato avendo smesso di bruciare.
- Potevi farlo da un'altra parte – commentò Donnie
– e comunque... che aspetti ad alzarti? -
- No vi prego, restate così – interruppe Tiger
trattenendosi dal ridere sguaiatamente – abbiamo la nuova
coppia dell'Arena di quest'anno – disse sghignazzando.
In effetti Jake era finito completamente addosso a Donnie, in una
posizione abbastanza ambigua; accortisi della situazione, i due si
scansarono velocemente, allontanandosi come fossero stati punti da
degli Aghi Inseguitori, inveendo l'uno contro l'altro.
- Gli sponsor vi ameranno! - esclamò Tiger quasi con le
lacrime agli occhi.
Donnie si alzò in piedi in tutto il suo metro e ottantotto,
che avrebbe dovuto incutere almeno un po' di timore; Tiger invece resse
bene il suo sguardo: - Problemi? - chiese sfrontato.
- Potresti averli tu i problemi – sibilò Donnie a
bassa voce.
Di norma era un ragazzo tranquillo, ma la tensione derivata
dall'imminente ingresso nell'Arena, gli faceva avere i nervi a fior di
pelle; si trattenne dall'uccidere Tiger solo perché gli
addetti alla sicurezza erano particolarmente vicini, intenti a spegnere
le fiamme e a riprendere Jake come probabile incendiario.
- Avresti dovuto sentirtele tu! - esclamò Jake a Tiger,
quando il Capo Addestratore finalmente lo lasciò andare
– Sei stato tu a fare 'sto casino! -
Tiger alzò le spalle e sospirò: - Che vuoi che ti
dica, hanno beccato te , ci sarà una ragione, no? -
Jake si scambiò con Donnie un'occhiata che avrebbe decretato
la possibile fine di Tiger; al ragazzo quel gesto non
sfuggì: - Vi conviene avermi come alleato, non come nemico
– commentò ghignando.
Quello scambio di battute non era passato inosservato; fra i tributi
che avevano assistito al piccolo incendio e poi erano tornati a farsi i
fatti loro, ce n'era una che continuava a fissare i tre: Karmilla
Loshad aveva già focalizzato il trio durante le repliche
delle Mietiture che aveva già visto sul treno, e ora quel
piccolo incendio era stato la scintilla che l'aveva convinta.
Chiamiamolo pure destino.
La ragazza abbandonò la postazione delle lance e si diresse
a grandi falcate verso i tre; si fermò di fronte a loro e
parlò senza curarsi degli sguardi perplessi che le vennero
rivolti: - Noi quattro saremo alleati -
Tre paia di occhi strabuzzarono.
- Scusa? - fece Donnie allibito.
- E perché mai dovremmo? - chiese Jake, riprendendosi almeno
un po'.
- Oh andiamo, possibile che non ci siate ancora arrivati? -
sbuffò Karmilla, per poi riprendere a parlare come si stesse
rivolgendo ad un branco di ritardati – Pinguino, Scarafaggio,
Tigre. Direi che non ci sono dubbi sul motivo -
- Cioè perché siamo tre animali dovremmo
allearci? - cercò di capire Tiger.
- Mi pare ovvio – rispose Karmilla – E
secondariamente ho pure visto che le nostre abilità si
completano a vicenda -
La giovane aveva infatti osservato che tanto Donnie era forte ma poco
agile, tanto Jake era veloce , con poca forza ma con molto
ingegno. Quanto a Tiger, lo vedeva piuttosto sicuro di sé
tanto da credere che sapesse realmente fare qualcosa.
Wayne rise: - E' talmente assurdo che ci sto – poi si rivolse
agli altri due – Cosa dicono Pinguino e Scarafaggio? - chiese
divertito. In confronto alla sua Tigre, gli altri due animali erano
niente.
Jake e Donnie fecero lo stesso ragionamento: non avevano ancora
alleati, avevano bisogno di qualcuno che coprisse loro le spalle, la
strana ragazza aveva probabilmente già deciso per loro ed
entrambi avrebbero potuto tenere d'occhio Tiger. Perciò
annuirono più o meno convinti.
- Anche se non era una domanda – iniziò Karmilla,
togliendo dei residui di cenere dalla divisa di Jake – Mi fa
piacere che vi siate convinti -
- Scusa un attimo – iniziò Donnie – ma
tu cosa c'entreresti con... gli animalisti? -
Karmilla sorrise in una maniera inquietante: - Io sono il Cavallo.
Attenti, perché scalcio -
Sognare casa vivendo un incubo
Esmeralda Dickens aveva dovuto abbandonare la postazione di
sopravvivenza per cause di forza maggiore dovute all'improvvisa
piromania di alcuni soggetti, e si era trasferita nella sezione dei
coltelli; la ragazza dell'11 non aveva mai veramente padroneggiato
alcuna arma, visto che il suo Distretto non era esattamente uno fra i
più violenti di Panem. Esmeralda sapeva riconoscere erbe di
tutti i tipi – ne aveva imparati molti altri durante quei
giorni di Addestramento -, sapeva realizzare piccole trappole per
animali, sapeva accendere un fuoco. Ma non avrebbe saputo come uccidere
un altro essere umano e, sinceramente, non sapeva se ci sarebbe mai
riuscita.
L'istinto di sopravvivenza però trasforma le persone, e
visto che prevenire è meglio che curare, Esmeralda aveva
deciso di imparare a maneggiare più o meno decentemente
almeno un'arma; escluse spade e lance – troppo difficili da
usare in pochi giorni – si era buttata su coltelli e
cerbottane, scoprendo di avere una mira discreta. Soprattutto queste
ultime potevano rivelarsi una buona soluzione: era più
probabile trovarle in uno zainetto lontano dalla Cornucopia, o comunque
avrebbe potuto fabbricarsene una, e realizzare dardi avvelenati con
piante trovate in giro sembrava fattibile come idea. Comunque sia,
anche i coltelli non erano male, e provare non costava nulla.
Esmeralda colpì con uno di essi un manichino sulla gamba,
posto a poca distanza da lei; non era il suo massimo, ma si era
distratta guardandosi intorno: osservando la vasta gamma di tributi,
sperava di farsi venire un'illuminazione su cosa avrebbe fatto
nell'Arena, o meglio, chi avrebbe potuto avere come alleati. Vide i due
ragazzi del 6 deridere gli altri tributi, quattro di vari Distretti
intenti a confabulare; vide lo strano ragazzo dell'8 inseguire la tizia
del 7 saltellando e parlando continuamente, e vide quelli del 4
chiacchierare animatamente.
No, non avrebbe avuto alleati. Non perché non ne volesse, ma
perché aveva capito che affezionarsi troppo a qualcuno le
avrebbe impedito di ucciderlo, e quindi le avrebbe garantito il ritorno
a casa. In una bara.
Esmeralda tornò a concentrarsi sul lancio del coltelli:
sapeva che sarebbe stata durissima sopravvivere da sola nell'Arena, ma
contava sul fatto di potersi nascondere e di sfruttare ogni situazione
a suo vantaggio; si sa che da soli ci si muove meglio. Doveva dare il
massimo, o non avrebbe mai più rivisto il proprio Distretto.
Esasperanti stilisti mancati
Hope Dianna Anderson avrebbe tanto voluto allenarsi indisturbata e in
tranquillità da sola, magari cercando anche di non dare
troppo nell'occhio – anche se non era una cosa
così impossibile; ma qualcuno aveva già deciso
che così non avrebbe potuto andare.
- Smettila di seguirmi! - esclamò per l'ennesima Hope
esasperata, girandosi di scatto verso un ragazzo che si
bloccò di colpo per non venirle addosso.
- Non posso! La mia mente e il mio corpo si rifiutano di concepire e
assistere ancora ad uno scempio del genere! -
Lysandre Laxfer assunse toni esageratamente melodrammatici, mentre
scrutava Hope intensamente.
- Non capisco ancora quale sia il problema! - continuò lei.
- Questi sono un problema – Lysandre le toccò i
capelli castani spettinati – Queste sono il problema
– le sfiorò poco sotto gli occhi dove erano bene
in vista due profonde occhiaie – Questo è il
problema! - e indicò tutta la figura della giovane -
- Che cos'ho che non va? -
- Ma niente, proprio niente! Anzi, la materia prima è
pregiata – si lisciò il mento lui – Il
problema è come la tratti! Durante la sfilata eri un
gioiello, come dovrebbe essere, e ora... Ora ti trovo così
poco curata... Per niente valorizzata insomma! -
Hope era allibita: come pretendeva quel tizio di venire a farle la
predica sull'aspetto quando erano lì per imparare qualcosa
di utile al massacro che sarebbe avvenuto di lì a poco? Era
suonato, senza dubbio. Oltretutto era troppo esuberante, troppo
entusiasta e troppo diretto
- L'aspetto non è una delle mie priorità in
questo momento... -
Lei doveva allenarsi, era troppo imbranata con le armi, doveva
migliorare nel poco tempo che le rimaneva... E invece si trovava
incastrata con quello stilista mancato.
Lysandre si spiaccicò una mano sulla faccia: - Ah! Sei tale
e quale ad una mia amica al Distretto! Siete entrambe belle ma non vi
valorizzate, e in questo modo mi obbligate ad intervenire –
riprese serio, fin troppo; la prese per le spalle e la
guardò dritta negli occhi – Ascoltami bene: dovrai
far colpo sul pubblico per sperare di cavartela, e per farlo dovrai
risplendere, non chiuderti a riccio! -
- Da quando sei diventato il mio mentore? - chiese ironica lei.
- Da adesso, ma chiamami pure Maestro, mia piccola Allieva –
trillò Lysandre battendole affettuosamente la mano sulla
testa – Da questo momento seguirai alla lettera i miei
fantastici consigli -
- Ma chi ti ha chiesto niente! -
- In alcuni casi non serve chiedere – sorrise il ragazzo
– Se diventerai abbastanza brava, potrei anche decidere di
farti toccare Sciarpi – sentenziò, accarezzando la
fedele sciarpa intorno al collo.
- Non vedo l'ora... - sospirò Hope. Aveva purtroppo capito
che non ci sarebbe stato niente da fare con quel Lysandre.
Fare alleanze è un
po' come fare affari, ci vuole astuzia
Adele MacMair finalmente era riuscita ad occupare la postazione di tiro
con l'arco, e in quel momento aveva centrato dritto nel cuore il suo
nono manichino; sospirò guardando la freccia a qualche
decina di metri di distanza: l'arco era la sua arma preferita, lo
padroneggiava alla grande e sarebbe stata letale con lui... Ma di archi
ce n'era solo uno, dentro la Cornucopia che sarebbe stata presa
d'assalto dai Favoriti; lei aveva rifiutato di unirsi a loro, un po'
perché non glielo avevano chiesto – ritenendola
una palla al piede probabilmente –, un po' perché
avrebbe preferito dormire con qualcuno che le guardasse veramente le
spalle, e che non l'avrebbe pugnalata nel sonno. In fondo non c'era
solo la sua vita in gioco. Ma si fidava ciecamente del suo compagno,
anche se a intermittenza la assaliva il pensiero che non potevano
tornare entrambi a casa, almeno, non vivi.
Dilan Hedlund non si era separato da lei nemmeno per un secondo; in
quel momento le stava passando le frecce facendo qualche commento sui
suoi ottimi tiri, ma con la testa era altrove: pensava al Distretto, al
suo incontro con Vidal che finalmente gli aveva chiesto scusa
– beh, più o meno -, pensava al bacio con Alessa,
arrivato troppo tardi, pensava a Manuel che aveva salvato e a Seth che
probabilmente stava salvando adesso. Sì perché
proteggendo Adele avrebbe evitato al suo compagno un dolore peggiore
della morte; anche se in quel momento le persone che stava aiutando
erano due: la ragazza, e il bambino che portava in grembo.
Dilan sospirò: Adele gli aveva confessato di non aver detto
ancora niente a Seth, e arrivati a quel punto dubitava che potesse
farglielo sapere per vie che non fossero traverse... O la Capitale
l'avrebbe scoperto da sé a causa dei cambiamenti nel corpo
della ragazza, oppure avrebbe dovuto essere lei stessa a rivelarlo.
- Sto bene – rispose la giovane ad un'occhiata eloquente di
Dilan, scagliando l'ennesima freccia; in realtà dei dolori
che ormai conosceva bene, avevano ricominciato a darle delle noie, ma
ormai era abituata a sopportare; in più non poteva farsi
vedere debole, - Quando sarò stanca riposerò -
Dilan non era sicuro che la compagna avrebbe sul serio ascoltato il suo
stesso consiglio, ma sospirò, sapendo che era praticamente
impossibile farle ammettere di avere qualcosa che non andava.
Quanto a lui, aveva deciso di non pensare a quello che avrebbe potuto
accadergli una volta entrato nell'arena: in circostanze simili, quando
il proprio futuro e la propria vita dipendono da altri, meglio vivere
secondo per secondo, senza programmare un ipotetico futuro remoto. E
poi doveva ammetterlo: nonostante si fosse assunto spontaneamente il
ruolo di "difensore di fanciulle incinte", aveva paura di morire. Ma
sarebbe andato avanti lo stesso, anche perché era la sola
scelta possibile che gli si presentava dinnanzi. Meglio pensare una
cosa per volta quindi, a cominciare dall'intervista in cui farsi
benvolere, ma soprattutto dalla Cornucopia e dal Bagno di Sangue
iniziale: sarebbe riuscito a portare lui, Adele e il bambino in salvo
con le loro sole forze?
Poco lontano dai due tributi del Distretto 4, qualcun altro stava
facendo le stesse considerazioni.
Ares aveva osservato a lungo i vari tributi presenti in quell'edizione,
e durante il viaggio in treno e in camera ne aveva studiato le
Mietiture, cercando dei possibili alleati da utilizzare. Scartati i
Favoriti – che comunque quell'anno provenivano dai Distretti
più vari e assurdi – si era concentrato sugli
altri, rimanendo assolutamente affascinato da Karmilla Loshad, la
ragazza del Distretto 9; ma lei purtroppo aveva già trovato
"compagnia", e lui non ci teneva proprio a fare parte di quel branco di
animali. Esclusi anche i due del 6 – troppo strani e
imprevedibili -, i due del 2 – anormali è dir poco
-, e comunque quasi tutti i Distretti bassi, Ares aveva adocchiato
infine i tributi del 4.
Con la sola osservazione e deduzione, Ares aveva potuto cogliere
diversi aspetti dei due ragazzi: lei era incinta, questo era poco ma
sicuro, probabilmente di quattro mesi o meno dato che la pancia non era
ancora cresciuta troppo; il giovane calcolatore aveva potuto intuirlo
dai fianchi della ragazza, dai gesti durante la Mietitura e dai suoi
movimenti molto cauti in allenamento. Ciononostante, si vedeva
benissimo che era stata addestrata per essere una macchina da guerra,
lo si notava da come impugnava l'arco e dal suo atteggiamento
determinato, per cui poteva rivelarsi una valida alleata – o
meglio, un valido scudo.
Per quanto riguardava il ragazzo, Dilan non aveva dubbi sulla sua
preparazione: era nipote di una Vincitrice, aveva il fisico forgiato
dall'addestramento; in più aveva notato il modo in cui si
era destreggiato poco prima nel lancio dei coltelli: non aveva mancato
un punto vitale del manichino, ma il suo sguardo era assente, quasi
stesse pensando ad altro... Se tirava così quando non era
concentrato, figuriamoci quando lo era.
Ares ghignò: aveva trovato i suoi alleati. Si
avvicinò, assumendo l'aria più disponibile e
innocente che poteva: - Distretto 4 – salutò
educatamente, lasciando però trapelare una nota di
superiorità.
Adele interruppe il suo allenamento e guardò il nuovo
arrivato alzando un sopracciglio; Dilan invece si fece cupo e subito
sulla difensiva, e questo non sfuggì ad Ares: - Cosa vuoi
Distretto 3? - gli rispose a tono Adele.
- Proporvi un affare – andò subito al sodo
l'altro; in fondo allearsi era un po' come occuparsi di trattative
– un'alleanza nello specifico -
Adele guardò basita Dilan: - Perché dovremmo
accettare? -
- Perché vi farebbe comodo avere un'alleato in
più che vi guardi le spalle nell'arena -
- E scommetto che la stessa cosa vale per te – disse Dilan,
parlando per la prima volta; non si fidava di Ares, proprio no.
- Naturalmente – annuì l'altro –
Pertanto sarebbe controproducente se vi tradissi uccidendovi subito, se
è quello che state pensando; andrebbe contro il mio
tornaconto, non trovate? -
Adele rifletté: in fondo non aveva tutti i torti, una
persona in più non poteva che far comodo, e per Ares,
essendo solo, sarebbe stato controproducente ammazzare subito i suoi
alleati e proseguire l'arena da solo.
- Tu sai quello che sappiamo fare noi – iniziò
Dilan all'improvviso – ma tu... cosa ci offri? -
Ares sorrise serafico, e si indicò la testa con l'indice
della mano sinistra: - Vi offro la mia intelligenza, e prima che me lo
chiediate, ve ne darò una dimostrazione: solo osservando,
sono sicuro che tu sia incinta di circa quattro mesi, e che lui si sia
offerto volontario sia per salvare il suo amico, probabilmente legato
alla ragazza che lui stesso ama, sia per proteggere la ragazza e il
figlio di un altro suo compagno -
Adele sbatté più volte le palpebre, assumendo
un'aria molto sorpresa: - ... D'accordo, sei intelligente, ma
cos'altro? -
In tutta risposta Ares le prese l'arco dalle mani, incoccò
una freccia e colpì la testa di un manichino abbastanza
lontano; se la cavava meglio con la balestra, ma gli era andata bene lo
stesso.
- Vi conviene avermi come alleato – sorrise ancora lui.
Adele guardò il compagno: - ... Va bene, alleati –
disse lui, stringendo la mano di Ares.
Dilan aveva calcolato che anche se l'altro avesse giocato sporco, si
sarebbe ritrovato in una lotta due contro uno, e data la sua apparente
genialità, avrebbe dovuto capire di essere in pericolosa
inferiorità numerica.
Ares ricambiò la stretta: - Non ve ne pentirete –
disse, sul volto l'ombra di un malvagio sorriso. Il piano aveva
funzionato.
Consigli, alleanze e doppie punte
Elia Klein gironzolava ormai da molto per il Centro Addestramento senza
aver ancora fatto niente di concreto, limitandosi ad osservare gli
altri tributi e a commentare il loro operato, abbastanza forte da
essere sentito; come quando passando vicino a Marvel che aveva appena
mancato per la prima e unica volta il bersaglio, aveva commentato con
un “E adesso quel tributo ti avrebbe staccato la testa.
Complimenti Favorito”, sottolineando l'ultima parola e
beccandosi ingiurie e insulti da parte del ragazzo dell'1.
Non aveva molte intenzioni di allenarsi: contava sulle sue
abilità apprese all'Accademia, e voleva crearsi un vantaggio
con gli altri tributi, anche se era difficile credere che qualcuno
proveniente dal secondo distretto fosse privo di allenamento... In
realtà quell'anno, quest'affermazione era più che
credibile se si osservava solamente il tributo femmina del Distretto 2.
Elia osservò Nirvana Kross dall'altra parte della sala
prendere una cerbottana e iniziare a colpire un manichino in faccia con
dei semplici sassi; si deve dire che non sbagliava un colpo, ma
quell'arma era veramente ridicola rispetto alle letali balestre e archi.
Senza sapere il perché, il ragazzo iniziò ad
attraversare la stanza, puntando Nirvana, se non che ad un tratto si
fermò: aveva notato che gli Strateghi che osservavano
l'allenamento, l'avevano indicato sghignazzando, o scuotendo la testa;
evidentemente erano sia sorpresi che delusi da lui, perché
probabilmente, vedendo Nirvana, avevano praticamente decretato che
anche lui non sapesse fare niente.
Elia inarcò un sopracciglio e, cambiando direzione, si
avviò verso la postazione dove si trovavano lance e spade;
prese una di queste ultime e la lanciò un paio di volte in
aria, come fosse leggerissima, soppesandola e annotandosi mentalmente
le caratteristiche. Si voltò quindi verso un manichino poco
distante e iniziò ad avvicinarglisi roteando la spada e
fendendo l'aria; infine a poca distanza dal povero manichino, con uno
scatto felino tranciò in un solo colpo la testa, che
rotolò a terra inerte. Con la coda dell'occhio
notò quei beoni degli Strateghi alcuni con la bocca
spalancata, altri che annuivano soddisfatti, e ghignò, per
poi dirigersi verso Nirvana.
La ragazza intanto aveva cambiato arma e si stava dedicando alla
cerbottana, riscontrando lo stesso successo che con la fionda; aveva
una buonissima mira e intendeva sfruttarla.
- Almeno quello... - sussurrò fra sé e
sé Nirvana.
Sapeva di non avere le potenzialità necessarie per farcela:
non voleva uccidere altri esseri umani, e già questo le
procurava un biglietto di sola andata per la tomba; ma non era
intenzionata ad arrendersi senza lottare, pertanto era decisa a
sfruttare ogni appiglio che le si presentava. Si era già
allenata nell'arrampicata, confermando di essere molto agile, e in quel
momento aveva segnato anche la mira nella lista dei suoi punti di forza.
Per quanto riguardava gli alleati, Nirvana non sarebbe riuscita a
farsene a causa del suo carattere timidissimo, ed era sicura che
nessuno l'avrebbe avvicinata...
- Con quelle non ucciderai proprio nessuno -
Nirvana praticamente sobbalzò trattenendo il respiro per poi
girarsi: Elia, il suo compagno di Distretto con cui aveva scambiato
sì e no qualche parola, era di fronte a lei e la squadrava
con sguardo calcolatore e freddo; avvampò, come tutte le
volte che qualcuno le rivolgeva la parola.
- Cosa vuole da me? - sussurrò Nirvana per poi tapparsi
subito la bocca, accortasi di aver espresso quello che avrebbe dovuto
solo pensare.
Elia la guardò perplesso: - Ti ho solo dato un consiglio
– disse – Con quelle e basta non ucciderai nessuno.
A meno che non utilizzi dei dardi avvelenati, il che potrebbe essere
un'idea -
Nirvana abbassò lo sguardo imbarazzata: - Non voglio
uccidere... - mormorò.
- Dovrai farlo – rispose semplicemente Elia; non le aveva
neanche domandato perché si fosse offerta, se non era capace
di porre fine ad una vita.
- Perché mi parli? - chiese lei sempre a bassa voce.
- Perché penso che tu sia migliore di quegli altri
laggiù – disse Elia indicando alle sue spalle
Favoriti e Favoriti abusivi che si allenavano e deridevano i tributi
più imbranati.
Nirvana sorrise imbarazzata: - Beh... Ma gli Hunger Games non si
vincono in qualità di “tributo più
simpatico”... -
- Allora, per iniziare, sarà meglio che ti trovi dei validi
alleati, giusto? - commentò Elia indifferente, girando
attorno a Nirvana e prendendo una delle cerbottane –
Sì, i dardi velenosi dovrebbero andare bene -
Non sapeva il motivo per il quale aveva praticamente chiesto a Nirvana
un'alleanza; certo era che non si sarebbe mai messo con i Favoriti, ma
perché proprio con lei? Forse perché sentiva il
bisogno e desiderio di proteggerla, vedendola così indifesa,
altrimenti non riusciva a spiegarsi come...
- OmioDioun'altraoscenità! -
I pensieri di Elia vennero interrotti da un'esclamazione improvvisa; il
ragazzo si girò per ritrovarsi faccia a faccia con il
tributo del Distretto 8 e la sua espressione semi sconvolta.
- Sul serio ragazze, volete uccidermi prima dell'arena per caso? -
chiese retoricamente Lysandre, avvicinandosi a Nirvana che
arretrò d'istinto – No perché ci state
riuscendo benissimo! Ma guarda questi poveri capelli! -
continuò, prendendo fra le dita i capelli scompigliati di
Nirvana, ottenendo l'effetto di allontanare ancora di più la
ragazza.
Dietro a Lysandre, Hope sospirò alzando gli occhi al cielo:
il ragazzo aveva trovato un'altra vittima da torturare.
Elia intanto lo guardò tagliente: - Hai qualche problema? -
chiese freddo.
- Il mio problema sono questi! - disse Lysandre indicando sia
i capelli di Hope che quelli di Nirvana – Non sono per niente
curati, e io soffro nel vedere una cosa del genere – poi si
avvicinò sorridendo a Elia – I tuoi invece sono
perfetti! Ragazze, prendete esempio dal carino qui - e fece
per toccare i capelli dorati raccolti in una coda di Elia.
Il ragazzo si schivò in fretta: - Ehi ehi, chi ti ha dato il
permesso di toccarli? - chiese alterato; i suoi capelli erano sacri
– E poi chi sarebbe il “carino”? -
Lysandre sorrise serafico: - Finalmente qualcuno che tiene al suo
aspetto ed è curato quasi quanto me. Quasi –
Il tributo del Distretto 8 iniziò a girargli attorno
scrutandolo con aria da intenditore: - Il “carino”
saresti tu, carino, anche se cambierei un paio di cosette... Per
esempio il portamento... Inoltre devi eliminare quelle brutte doppie
punte... -
- Non osare, a meno che tu non voglia trovarti con una mano in meno. E
poi io non ho le doppie punte! - se c'era una cosa a cui Elia era
particolarmente attento, quelli erano i suoi capelli.
- Tanto ne ho due – rispose Lysandre, senza far sparire il
sorriso dal viso – E sì che le hai, guarda che
roba! Mi dispiace dirtelo, raggio di sole, ma qui ci vuole una bella
spuntatina... Te la faccio io gratuitamente - e non era una domanda.
Hope si avvicinò a Nirvana: - Non dargli retta, è
fissato con l'aspetto e la “valorizzazione” -
La ragazza annuì e non parlò, ma non si
allontanò da lei; forse perché non le faceva
così paura, o forse perché sentiva che pure Hope
era timida quanto lei... Fatto sta che le due giovani osservarono per
dieci minuti buoni Elia e Lysandre battibeccare sul
“perché Elia avrebbe dovuto fidarsi e farsi
tagliare i capelli da Lysandre”.
- Ehi – gli disse Elia ad un certo punto e sottovoce
– Guarda che ci sono quelli che ti guardano e ti
sfottono – continuò, alludendo a Dennis e Marvel
dietro alle spalle di Lys, che lo guardavano e ridevano.
Lysandre sorrise, si girò e guardando i due,
mandò un bacio volante verso di loro; i due tributi
sbiancarono e si allontanarono con la faccia schifata.
Il ragazzo dell'8 si girò verso i compagni – che
lo guardavano allibiti – e si rivolse a loro tranquillamente:
- Favoriti: 0, Lysandre e Sciarpi: 1 -
Nirvana sorrise rilassata: in fondo le cose potevano andare meglio di
quanto si era aspettata.
NDA di darky e Keily
Zumpappà
zumpappà zumpappappà, questo è il
valzer del moooooscerinooooo! *la Keily che sclera dopo aver perso le
solite ore a impostare il capitolo e a causa della verifica di fisica
di domani*
LOL No, ok, siamo
serie uWu Ci scusiamo per il ritardo abnorme nella pubblicazione
dell'Addestramento, ma come si suol dire, "meglio tardi che mai", no?
*schiva una cassetta intera di pomodori*
Ah-ehm, dunque!
Speriamo di aver scritto al meglio tutto, e non preoccupatevi se alcune
alleanze non si sono completamente formate: c'è stato un
problema organizzativo, ma nell'arena si metterà tutto a
posto (sì certo, più o meno XD)
Il prossimo capitolo
dovrebbe essere quello delle interviste, nel quale verranno incorporati
commenti sulle sezioni private; abbiate fede che entro il prossimo
secolo lo vedrete <3
La prima
metà del capitolo è gentilmente offerta da darky,
mentre la seconda da Keily.
A presto (si spera
XD) <3
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Capitolo 6 *** Capitolo 5: I'll prove you that I'm strong ***
Lo Staff
finì di dare gli ultimi ritocchi al pesantissimo trucco di
Caesar Flickermann; quell'anno il conduttore sfoggiava –
ovviamente – il colore che andava più di moda:
l'arancione fluo, visibile anche a chilometri di distanza, rendeva i
suoi capelli stracolmi di gel e le sopracciglia come delle lampade al
neon. Tutto sommato metteva allegria, ma era completamente all'opposto
del reale stato d'animo del conduttore.
Caesar era stanco. Stanco di apparire sorridente ad ogni edizione,
stanco di conoscere 24 ragazzi ogni anno, stanco di dover dire addio a
23 di loro, il tutto simulando l'emozione più appropriata.
Ma la verità era che lui si portava ben impresso nella
memoria ognuno dei tributi che intervistava: quei tre minuti erano
più che sufficienti a fargli capire cosa quei ragazzi
provavano, quali erano le loro speranze e i loro sogni, la maggior
parte dei quali sarebbero stati repressi nel sangue. Eppure continuava
a fare quel lavoro; ma era per loro: si ripeteva che se non ci fosse
stato lui, il suo posto sarebbe stato preso magari da un Capitolino ad
hoc, che di cosa sognavano i fanciulli non se ne importava neanche un
po'. Questo era quello che mandava avanti Caesar, la convinzione di
riuscire a mettere in luce tutti quei ragazzi, così da poter
dare ad ognuno una possibilità.
Caesar si stampò in faccia il suo sorriso d'occasione dopo
essersi seduto alla sua postazione, un secondo prima che le telecamere
si accendessero: la prima parte erano i punteggi, e lui sperava ogni
anno che nessuno prendesse l'insufficienza. Fu con questa - sempre
presente quanto vana - speranza che il conduttore iniziò ad
elencare i vari ragazzi e i rispettivi punteggi.
Dal Distretto 1...
Marvel Reiden, con un punteggio di... 11!
Gli occhi
verdi del ragazzo si illuminarono e il primo sorriso sincero
dall'inizio dei giochi gli si formò sulle labbra. Come Het,
aveva scelto di non focalizzarsi su una sola arma e mostrare tutte le
sue abilità, e aveva fatto bene. Undici.
Sia
Layla che il suo patrigno avevano avuto un dieci. Lui si era dimostrato
migliore di entrambi, poteva dire di avere già vinto. Non i
giochi in sè per sè, ma la sua battaglia
personale contro la sua famiglia, che forse era persino più
importante. E quando Caesar Flickerman annunciò:
Het Heru- Zhao, con un punteggio
di...
10!
La sua gioia
fu totale, al pensiero di aver battuto quella sgualdrinella frivola e
falsa. Het, al contrario, arrossì di gioia ed
esultò moderatamente alzando il pugno in aria, fiera del suo
risultato. Non era il punteggio di Marvel, ma le importava poco di
questo.
- Gloss,
ricorda al ragazzino qui che esistono altre cose nell'Arena oltre alla
forza bruta, prima che salti in aria per la troppa
felicità.- commentò con aria innocente, alludendo
all'espressione trionfante del sedicenne.
-Esistono
altre cose oltre alla forza bruta?- ripetè Gloss con un aria
così stupidamente sprezzante che Het scoppiò in
una risata di scherno, che trasformò all'istante in una
risatina esultante. Nata
per vincere.
Dal Distretto 2...
Elia
Klein, con un punteggio di... 10!
Elia
ghignò, seduto a braccia incrociate sul divano del piano
assegnato al Distretto 2, mentre Mentore, Staff, Stilisti e
Accompagnatrice applaudivano facendogli i complimenti; aveva fatto bene
a non mettersi in mostra nei giorni di Addestramento: ora gli altri
tributi non avrebbero potuto sapere in cosa fosse così
forte. E in effetti sarebbe stato difficile indovinare l'arma che aveva
usato, dato che aveva semplicemente smembrato un manichino a mani nude.
Il ragazzo era soddisfatto: anche se avrebbe voluto avere il massimo,
era un punto di partenza niente male; ora doveva solo stare attento che
quel branco di Favoriti non lo mettesse con le spalle al muro fin da
subito. Ma il problema non era quello.
Il suo sorriso
si spense all'arrivo del voto di Nirvana.
Nirvana
Kross, con un punteggio di... 4!
Nella stanza
calò il silenzio. Nirvana sprofondò nel divano,
stringendo un cuscino e arrossendo per l'imbarazzo; no, evidentemente
agli Strateghi non era piaciuto il suo numero di mimetizzazione, ma in
fondo se l'aspettava: probabilmente era la prima volta che un tributo
proveniente dal Distretto 2 otteneva un così scarso
risultato. Era anche altrettanto probabile che gli Strateghi fossero
rimasti delusi da lei e l'avessero voluta penalizzare;
chissà cos'avevano pensato quando l'avevano vista camuffata
da albero, lei, tributo volontario femminile del Distretto 2.
Elia, dopo
aver esitato un attimo, le diede una pacca sulla spalla: - Non
preoccuparti – le disse semplicemente, lasciando che i suoi
occhi azzurri parlassero per lui e magari esprimessero più
di quello che riusciva a dire.
Dal Distretto 3...
Ares, con un punteggio di...
8!
Il diciottenne
soffocò la lieve delusione nella sua consueta espressione
neutra.
Si aspettava
di più per aver quasi carbonizzato un manichino
stritolandolo in una trappola elettrica, una cosa decisamente originale
a suo parere, ma non poteva permettersi di mostrare che gli dispiaceva.
Certo, se una
prova avesse potuto rivelare l'astuzia e la strategia allo stato puro
che lo caratterizzavano, il dodici non sarebbe stato sufficente a
rappresentarlo, ma in fondo tutto questo era una banale faccenda che
non meritava la sua preoccupazione. Fu questo quello che decise.
Bella Sanford, con un punteggio
di... 5!
Bella emise un
sospiro rassegnato. Sapeva che sarebbe andata così. Aveva
osservato Ares e sapeva che avrebbe scelto una trappola elettrica, che
era anche la sua specialità, obbligandola a cambiare genere
di sessione per non restare nella sua ombra. Aveva osservato gli altri
tributi e aveva capito di essere superiore a pochissimi di loro.
A nessuno Stratega importava di una semplice ragazzina che tirava con
la cerbottana, eppure quella ragazzina aveva una ragione per cui
tornare, quanto e più degli altri.
Sperava che
almeno a Benjamin andasse
meglio.
Dal Distretto 4...
Dilan Hedlund, con un punteggio
di... 9!
- Ottimo!-
Zibilla abbracciò il nipote, che sorrideva incredulo. - Arco
o
frusta?-
- Io... arco.-
rispose il ragazzo, pienamente soddisfatto - Bendato.-
Non
gli sfuggì lo sguardo nervoso di Adele, che sembrava in
preda all'ansia e ogni tanto sussultava, ma non era il momento di
parlarle, sarebbe stato sospetto e non l'avrebbe aiutata.
Così
sospirò ed esclamò, rivolto al mentore
- Ehi, Finn! Zolletta della vittoria? -
Zibilla
alzò gli occhi al cielo e scoppiò a ridere alla
vista dei due diciottenni che brindavano con il succo di frutta e si
strafogavano di quadratini di zucchero, pensando a quanto ai suoi
tempi, a dodici anni, gli Hunger Games erano stati più duri
e
difficili.
Adele MacMair, con un punteggio
di... 8!
Adele
piegò appena in un sorriso l'angolo della bocca,
nervosa.
Otto diceva
tutto e non diceva niente, era il classico punteggio che si dava a una
Favorita quando non la si sapeva definire brava o pessima, quello per
cui suo padre l'avrebbe schernita senza pietà, non diceva
niente sulle opinioni di Strateghi e sponsor e soprattutto non diceva
niente sulle sue possibilità di tornare a casa.
Abbassò gli occhi di un nero più cupo che mai e
aprì le labbra per formulare un qualsiasi commento, ma
invece si strinse il grembo tra le braccia e corse in bagno.
- Che ha quella?- domandò Sonnie con voce più
stupida che mai, ma il resto del team, che aveva capito tutto, la
ignorò e presto fu dimenticato, per fortuna di Adele..
Dal Distretto 5...
Jake Beetles, con un punteggio
di... 6!
- Oh, beh,
direi che è il meglio che potessi fare con i miei fuochi
d'artificio, no? Funziona come a scuola, 6 è la sufficenza,
vero? - domandò ridacchiando il ragazzo, per poi ammutolire
imbarazzato. Certo, non era all'altezza della sua compagna,
probabilmente non sarebbe stato nemmeno all'altezza dei suoi alleati e
mai come in quel momento era stato consapevole di essere giunto al
capolinea della sua breve vita.
Ma
proprio per quello non aveva intenzione di passare gli ultimi giorni
deprimendosi, doveva tenere duro, pensando che aveva salvato la vita a
suo fratello.
- Beh, vediamo te, Becky!- esclamò tanto per spezzare il
silenzio, iniziando a tamburellare furiosamente con le dita senza
nemmeno accorgersene.
Rebecca Runner, con un punteggio
di... 9!
- Yu-uh!-
esultò la ragazza, scambiandosi un cinque con Jake che non
sembrava affatto nervoso per la prova eccellente della compagna.
Era allegra e
soddisfatta, ma in fondo se l'aspettava: erano i frutti della sua
adolescenza rubata, passata a inseguire e sparare ai delinquenti di
giorno e scoparsi i colleghi la sera, ci sarebbe anche mancato che
avesse preso un votaccio.
Era per questo
che aveva scelto di stare con i Favoriti e non con Jake, come avevano
proposto i mentori, ma probabilmente avrebbe fatto come se quel ragazzo
non esistesse, nell'arena: il pensiero di uccidere qualcuno del suo
Distretto le faceva comunque schifo.
Dal Distretto 6...
Blade Stoner, con un punteggio
di... 8!
Il ragazzo
ghignò, soddisfatto per aver messo subito in chiaro davanti
a tutti gli sponsor chi era il tributo su cui puntare, nell'alleanza
del 6.
Forse ora
anche i Favoriti l'avrebbero voluto, ma a lui non piaceva il lavoro in
branco.
Avrebbe
voluto abbandonarsi alla soddisfazione, ma due figure nella sua mente
gli distrussero la gioia. Sua madre che, con un sorriso dolce e la voce
falsa come il seno di Radennia sibilava "Ma che bravo il mio
bambino!" e suo padre dallo sguardo vitreo e una bottiglia in
mano, che sussurrava "Beatriz aveva dieci... Beatriz aveva dieci..."
Nina Devine, con un punteggio
di... 7!
- Mi aspettavo
8.- commentò la ragazza con voce indifferente. - Forse
è perchè ho mancato quel coltello che
è andato da tutt'altra parte -
-
Dov'è andato il coltello?- le domandò Radennia,
appena preoccupata dal modo in cui aveva evidenziato le ultime parole.
La ragazza sgranò gli occhi celesti come se non aspettasse
altra domanda. - Direttamente nel pancione del Primo Stratega! -
La
diciassettenne scoppiò in una risata maniacale mentre la
capitolina
inorridiva.
- E' una
balla. E' una disperata che vuole attirare l'attenzione.-
spiegò Blade,
duro.
Nina
alzò gli occhi al cielo e andò in camera sua,
sbattendosi la porta dietro, ma non prima di avergli tirato un ceffone.
Dal Distretto 7...
Donald Penguin, con un punteggio
di... 7!
Il ragazzo
tirò un sospiro di sollievo, dato che con il suo lancio di
asce più che mai banale dato il Distretto da cui veniva
pensava di aver meritato molto meno.
- Sei stato
bravissimo, davvero! Oh, non ci credo, un 7!- strillò
Laxelyy, chinandosi per baciarlo sulla guancia, e il ragazzo era
così contento che non fece neppure caso al sospiro voglioso
di quelle labbra di caramello.
Lei e i
mentori cominciarono a blaterare di sponsor e statistiche, ma per
quanto si impegnasse non riusciva ad afferrare tutti quei calcoli.
Riusciva solo
a pensare che era sempre più vicino a casa, al nonno e al
cuore di Wendy.
Hope Dianna Anderson, con un
punteggio di... 5!
La sedicenne
abbozzò un sorriso che non le arrivò agli occhi e
poi affondò il viso tra le mani, asciugandosi velocemente
una lacrima.
Cosa
pretendeva? Era nata per aiutare gli altri, per sorridere e
chiacchierare con i suoi pochi amici, per aiutare la mamma in negozio e
suonare il pianoforte: non per combattere e non per uccidere.
Aveva pensato,
sperato che la poca abilità raggiunta con la fionda e
qualche arrampicata le avrebbero portato la sufficenza, ma a quanto
pare era stata ingenua.
- Beh, a te
è andata bene.- sussurrò a mezza voce al suo
compagno, con un sorriso sincero: sperava che i mentori e la capitolina
si concentrassero su di lui, distogliendo l'attenzione dalla sua
pessima figura.
Dal Distretto 8...
Lysandre
Laxfer, con un punteggio di... 7!
Lysandre
sbuffò leggermente: era vero, 7 non era un voto malvagio, e
tutto sommato non poteva aspettarsi granché da quello che
aveva mostrato; sicuramente i Favoriti e altri avevano avuto
più inventiva. Aveva mostrato la sua mira colpendo un
manichino al petto con due coltelli – il terzo purtroppo era
andato a vuoto – e poi agilmente gli era arrivato alle
spalle, aveva estratto una delle armi e aveva squartato il povero
manichino; purtroppo con oggetti così statici non si poteva
dimostrare nessuna agilità o mossa particolare. Ma non era
quello il punto: a Lysandre era stato vietato di indossare la sua
fedele Sciarpi durante la sessione privata; con lei avrebbe sicuramente
centrato con tutti i colpi il bersaglio, non c'erano dubbi.
Jennifer
Grey, con un punteggio di... 6!
Jennifer
sospirò un po' più tranquilla e si
rilassò sul divano; il voto era mediocre, ma la ragazza
cercò il lato positivo: non sarebbe stata bersaglio dei
Favoriti all'inizio... Anche se in effetti avrebbero potuto proprio
iniziare ad eliminare i più deboli...
Scacciò
quel pensiero dalla testa e cercò di rallegrarsi del fatto
che, pur avendo imparato ad usare l'arco solo nell'Addestramento, era
riuscita ad ottenere 6 lo stesso nella sessione privata; aveva poi
completato velocemente un percorso ad ostacoli, forse quello le aveva
tirato su il punteggio. Comunque fosse andata, il voto era quello
ormai, perché lamentarsene? Jennifer poi dubitava che un
numero potesse essere il vero specchio del carattere di ciascun
tributo: bisognava aspettare l'arena.
Dal Distretto 9...
Benjamin
McLein, con un punteggio di... 7!
Benjamin
storse il naso a quel voto mediocre: sì, forse il 10 che si
aspettava avrebbe un tantino messo a rischio la sua strategia di
passare inosservato, però sentiva che se lo sarebbe
meritato; durante la sessione privata infatti si era lasciato prendere
un po' la mano, e aveva dato sfogo a tutta la sua energia, massacrando
dei poveri manichini a suon di coltellate. O almeno, a lui sembrava
fosse andata così. Agli Strateghi forse non era piaciuto
quel che aveva fatto, o lo ritenevano una prova inferiore a quella di
altri tributi.
Benjamin si
passò una mano fra i capelli sospirando: pazienza, almeno
sarebbe rimasto un tributo anonimo; si sarebbe mosso nell'ombra e
avrebbe fatto vedere a tutti di cosa era capace.
Karmilla
Loshad, con un punteggio di... 8!
Karmilla diede
un colpo con il piede alla colonna alla quale era appoggiata: solo un
8? Andiamo, gli Strateghi avevano il braccino corto? Come potevano
darle solo un misero 8?!
- Mancavi di
classe -
Gerome apparve
al suo fianco, nella sua scintillante armatura tirata a lucido,
parlando come sempre con una voce metallica a causa dell'elmo che non
toglieva mai; Karmilla non l'aveva ancora mai visto in faccia: - Ti
avevo detto come dovevi muoverti – continuò.
- Se ti
togliessi da quella scatoletta per una volta e parlassi chiaramente,
forse riuscirei a capire i tuoi consigli – replicò
stizzita Karmilla; ma dov'era la sua fiaschetta di vodka quando serviva?
In effetti
però, non era stata il massimo dell'eleganza quando aveva
massacrato il manichino con una mazza chiodata; forse gli Strateghi si
aspettavano un po' più di charme da una ragazza vestita da
cameriera.
- Almeno hai
una buona indole omicida – disse Gerome, come se non l'avesse
già vista in azione – vedi di non deludermi -
-
Sarà impossibile – rispose semplicemente la
ragazza. La cosa che più le importava in quel momento era
solo una: Tiger non doveva prendere più di lei.
Dal Distretto 10...
Dennis
Nicholas Moore, con un punteggio di... 8!
Dennis
digrignò i denti pensando a Rebecca: la ragazza
probabilmente se la stava ridendo di gusto confrontando il suo gran 9
con il misero 8 di Dennis; come aveva fatto lei a prendere un voto in
più? Che cosa aveva mostrato agli Strateghi? Probabilmente
quella parte di lei che gli aveva rifiutato, brutta...
Il ragazzo si
riscosse all'improvviso: alla Sessione Privata aveva mostrato le sue
doti di corpo a corpo mandando al tappeto uno degli istruttori; ma come
aveva già anticipato alla cara Becky durante
l'Addestramento, a lei avrebbe riservato un corpo a corpo diverso e
molto più piacevole – almeno per lui. Dennis si
alzò dal divano: era arrivato il momento di agire.
Victoria Burton, con un
punteggio di... 8!
Victoria
regalò un candido sorriso al suo Staff, mentre tutte le loro
attenzioni erano rivolte a lei: Dennis se n'era andato
chissà dove appena aveva visto il suo voto, e ora la
ragazzina era al centro dell'attenzione. E a ragione in effetti:
insomma, chi si sarebbe mai aspettato che a una poco più che
bambina come lei, gli Strateghi riservassero non solo un voto superiore
al 6, ma addirittura un 8!
Ma Victoria
non era una come le altre: lei, dodicenne proveniente dal Distretto 10,
era stata chiamata nei Favoriti; lei, che non aveva solo una grande
conoscenza delle piante, ma nel lancio dei coltelli e con il suo fidato
bastone aveva anche grandi doti – che aveva dimostrato
egregiamente agli Strateghi; lei, che sarebbe tornata a casa, la
più giovane Vincitrice del suo Distretto; lei, germoglio di
margherita destinato a sbocciare nel caos.
Dal Distretto 11...
Marcus Ayani, con un punteggio
di... 9!
Marcus per
poco non balzò in piedi dal divano urlando; mentre riceveva
i complimenti dall'intero Staff era ancora incredulo: non aveva quasi
dubitato di aver ricevuto un buon voto, poiché il manichino
che aveva preso brutalmente a pugni era uscito dalla lotta
irriconoscibile; ma non si sarebbe mai aspettato che gli Strateghi gli
dessero un voto simile anche se proveniva dal secondo distretto
più povero. Forse quell'anno erano particolarmente generosi
– teoria quasi impossibile -, forse erano rimasti seriamente
impressionati dalla sua forza. O forse, molto più
probabilmente, volevano solo divertirsi con lui, disegnandogli una
bella X rossa addosso e mandandolo in pasto ai Favoriti.
Esmeralda Dickens, con
un punteggio di... 6!
Dopo
l'inaspettato 9 di Marcus, il 6 di Esmeralda sfigurava, facendo
ritornare il Distretto nella sua solita media. Tuttavia la ragazza non
si scoraggiò; avrebbe potuto andare molto peggio,
perché in fondo non aveva combinato niente di eccezionale:
aveva preso e compresso insieme determinate erbe velenose, in modo da
creare un cocktail mortale, e aveva cosparso i dardi di una cerbottana
con un sottile strato di poltiglia ottenuta; infine aveva centrato un
manichino tre volte, perché secondo i suoi calcoli, in quel
modo il potenziale tributo avrebbe dovuto morire nel giro di poche
decine di secondi. Ma ovviamente con un manichino era tutta un'altra
storia. In effetti ripensandoci, Esmeralda ritenne anche troppo
generoso il voto che gli Strateghi le avevano dato... Che fossero ben
predisposti? Ma non valeva la pena scervellarsi per ciò che
era già stato.
Dal Distretto 12...
Wayne
Tiger, con un punteggio di... 8!
Tiger sorrise
soddisfatto. Non tanto per il voto – avrebbe voluto avere di
più ovviamente – quanto per il fatto che aveva
preso il punteggio più alto fra gli
“animalisti”: contro il 6 di Jake e il 7 di Donnie,
il suo voto brillava luminoso; in fondo Tiger non credeva proprio che
gli Strateghi avessero mai visto un tributo del 12 utilizzare i
picconi, poiché i ragazzi scendevano in miniera ai 18 anni
già compiuti. Quell'8 faceva di lui il leader del suo
gruppo.
…
Tiger storse il naso mettendo da parte la sua arroganza, sgonfiata dal
fatto che anche Karmilla aveva preso lo stesso punteggio; la ragazza
era stramba, sì, ma non per questo debole, inutile o
sprovveduta. O forse sprovveduta lo era anche troppo.
Talia
Coulter, con un punteggio di... 5!
La ragazza se
lo aspettava: tanto per cominciare non aveva deciso cosa fare fino a
quando gli Strateghi non avevano chiamato il suo nome; in fondo quello
in cui era portata – agire d'istinto seguendo l'intuito
– si poteva dimostrare solo in situazioni reali, non contro
un manichino inanimato. Pertanto si era limitata a lanciare
mediocremente qualche coltello, mandando alcuni tiri a vuoto, come
aveva cercato di imparare con Jennifer; in più si era anche
mimetizzata discretamente, e questo forse le aveva evitato un voto
peggiore. Comunque nessuno si aspettava mai niente dal Distretto 12,
anche se il suo compagno aveva dimostrato il contrario; ma questo
poteva rivelarsi un bene.
NDA
di darky e Keily
E
siamo tornate a tempo record *miracolo di Natale* Sì,
c'è da dire che il capitolo è più
corto degli altri, ma perché non ritenevamo di dover
ampliare questa parte, quindi per non rendere le interviste ancora
più lunghe, abbiamo spezzato le due cose. Non preoccupatevi,
le abilità dei tributi verranno fuori al completo nell'Arena
<3
A
proposito di questa, si sta avvicinando pericolosamente B] Iniziate a
tremare: i 24 carini (?) qua sopra ne vedranno delle belle mwahahahahah
*risata malvagia* ... Non convinco nessuno di essere malvagia, vero?
ç^ç
Anyway,
al prossimo capitolo <3
|
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