Il Ritorno dell'A-Team

di LiquidScience
(/viewuser.php?uid=218631)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La soffitta polverosa (L'intervista-parte 1) ***
Capitolo 2: *** Il negozio di antiquariato (L'intervista- parte 2) ***
Capitolo 3: *** Problemi a 5 stelle ***
Capitolo 4: *** Una "bella" giornata ***
Capitolo 5: *** I Cavalieri Del Cielo ***
Capitolo 6: *** Zio Hun! ***
Capitolo 7: *** Dolcetto o scherzetto? ***
Capitolo 8: *** Questo è l'A-Team! ***



Capitolo 1
*** La soffitta polverosa (L'intervista-parte 1) ***


“La soffitta era buia e polverosa, l’unico fascio di luce strozzata veniva da una piccola finestra quasi completamente coperta da dei scatoloni. La stanza ne era quasi piena.
Una sera, un po’ per ingannare il tempo e un po’ per curiosità, io e mia sorella Maddie ci misero a rovistare tra i vecchi rimasugli di vita passata.
Io presi subito una piccola scatola, ne soffiai via la polvere e, tra un colpo ti tosse e l’altro, iniziai a guardare il contenuto. Ero molto eccitato.
-Ehi sorella! Guarda questa!- dissi, facendo vedere a mia sorella impegnata con un vecchio baule una vecchia foto.


In quello scatto erano raffigurati quattro uomini:  Da sinistra a destra c’erano uno biondo e vestito elegantemente, uno con i capelli bianchi, l’impermeabile e un sigaro, un altro con un giubbotto da aviazione marrone e un cappello blu e l’ultimo aveva la pelle scura, i capelli alla mohicana, strani orecchini e moltissime catene d’oro al collo.
-Hahaha guarda! Quello con il berretto è papà da giovane!- osservò Maddie.
-E’ vero! E quello con “l’armatura d’oro” assomiglia a Spike!- dissi.
-Spike?-
-Sì, è uno che veniva a scuola con me-
-Ah!- disse mia sorella.
-Ma gli altri due?- chiesi.
Già, e gli altri due? Nessuno dei due li conosceva.
Continuammo a rovistare. Oltre a molte foto dei nostri genitori e di noi due da piccoli, trovammo anche una cassetta con diversi giornali ingialliti. Incuriosita, Maddie ne aprì uno e lesse ad alta voce l’articolo in prima pagina.
-Senti questa! “L’A-Team fugge per l’ennesima volta dalla giustizia, i tre reduci del Viet Nam continuano la loro vita da clandestini a Los Angeles.”-
-Leggi ancora!- risposi incuriosito.
-“Il Colonnello Decker della Polizia Militare: L’intervento di un esterno potrebbe giustificare in parte la malriuscita della loro cattura nonostante le precauzioni adottate. C’è qualche probabilità che il loro pilota del Viet Nam, tuttora internato nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Los Angeles, H.M. Murdock…” H.M. Murdock!-
-Papà!?- dissi sorpreso. Nostro padre non ci aveva mai raccontato nulla a riguardo, almeno era quello che credevamo.
-Penso che abbia un sacco di cosa da raccontarci- concluse Maddie.
-Lo credo anch’io. Beh, io vado a dormire ora… domani ho una visita alla clinica- dissi io alzandomi in piedi.  La visita… già, un po’ di tempo fa mi hanno trovato qualche ‘problemino’…
Mia sorella mi seguì a ruota, sbadigliando. Ci augurammo la buona notte e uscimmo dalla soffitta, andando ognuno nella propria camera.

***

La mattina dopo scendemmo  a fare colazione. Papà era già seduto a tavola che leggeva il giornale mentre mamma  stava cucinando la colazione. Un dolce profumino aleggiava nella cucina e ci mise l’acquolina in bocca.
-Buongiorno! Dormito bene?- chiese papà aggiustandosi gli occhiali.
Noi due annuimmo, sorridendo.
-Ah Mike guarda che hai la visita oggi. Dovresti tenere a mente i tuoi impegni da solo, hai 21 anni ormai, non sei più un ragazzino- mi disse mamma mentre preparava le cialde.
-Sì, me lo ricordavo, mamma- risposi, dopodiché lei servì in tavola la colazione.
Iniziarono a mangiare, tutti tranne me che invece tenevo tesi i palmi delle mani verso il piatto… eh eh!
-Papà, ieri abbiamo visto alcune tue foto insieme ad altre tre persone- disse Maddie e mentre parlava papà sorrise.
-E poi abbiamo letto alcuni articoli che parlavano di un gruppo di reduci che scappavano dai militari… com’è che si chiamava?-
- A-Team- risposi prontamente.
Questa volta sia papà che mamma stavano sorridendo.
-Chi sono? Non ce ne hai mai parlato- disse Maddie.
-Invece ve ne ho parlato molte volte, da piccoli- disse papà mettendo in bocca un pezzo della cialda. La ragazza rimase con un aria stupita, cercando di ricordare le storielle che papà ci raccontava prima di dormire, quando avevamo sì o no 5 anni. Io avevo gli occhi chiusi e le braccia tese, concentrato, sembrava che non ponessi alcuna attenzione al discorso ma invece seguivo ogni singola parola.
-Non ti ricordi- disse mamma –dei quattro eroi che aiutavano le persone in difficoltà? Il geniale Colonnello Che Tutte Le Situazioni Sapeva Risolvere, il Matto Urlante che ogni giorno aveva una fissazione diversa, il Bestione che diceva sempre…-
-“Zitto Scemo!”- intervenne papà imitando la voce roca e il tono rabbioso del personaggio, facendo ridere tutti i presenti.
-Ecco, sì… e anche l’elegantone che con la sua faccia da sberle poteva ingannare chiunque- continuò mamma.
-Colazione sei costretta, trasformati in uova e pancetta- dissi io improvvisamente. Aprii gli occhi e constatai a malincuore che le cialde erano… cialde. Maledizione.
-Se volevi uova e pancetta bastava dirlo- mi disse mamma, un po’ seccata.
-Ma così non avrei avuto l’occasione di allenare i miei poteri- risposi io.
-Zitto e mangia- concluse mamma, addentando un altro boccone.
Obbediente, abbandonai i miei esperimenti e addentai un boccone della cialda
Mentre mangiavamo, sia mamma che papà raccontavano del passato.
-Ti ricordi quando mi sono intrufolato nel tuo furgone per scappare da quei cacciatori di taglie?- disse papà.
-Come dimenticarlo! È lì che ci siamo conosciuti- rispose mamma.
I miei genitori stavano parlando animatamente di tutto quello che è successo in passato, quando Billy, il nostro cane, mi si avvicinò e appoggiò le zampe sopra la mia gamba. Lo accarezza in testa e il cane alzò il muso, contento. Billy era un cane di taglia media, il pelo marrone chiaro. Assomigliava a un piccolo setter irlandese, ma è quasi sicuramente un meticcio. Mamma lo aveva trovato qualche giorno fa a vagabondare vicino alla sua clinica veterinaria in cerca di cibo e così lo abbiamo adottato. Non sopporto quei maledetti che abbandonano gli animali per una vacanza. Non li sopporto. Non li sopporto proprio.
Billy ritrasse le zampe, camminò verso mio papà e ci si sedette affianco. Accorgendosi dell’animale, papà si girò e cominciò a coccolarlo con entrambe le mani.
-Assomiglia tantissimo al cane che avevo da giovane- disse.
-Ecco perché hai insistito tanto per chiamarlo Billy!- esclamai.
-Papà, ma tu non avevi un cane!- disse Maddie scettica.
-Certo che no, è tutto nella sua testa- rispose mamma mimando con l’indice una serie di cerchi attorno alla tempia. Papà la fulminò con lo sguardo.
Papà finì per primo la sua colazione e riprese a leggere il suo giornale.
Dopo alcuni minuti Papà ruppe il silenzio.
-“Banda di criminali organizzati devastano l’autofficina Baracus”… Povero vecchio Bestione!- disse.
-Un bel rischio prendere di mira P.E., strano che non li abbia fatti neri- aggiunse mamma.
-Il tempo passa per tutti, Kelly- concluse papà.
Finito di mangiare, mi preparai per andare dal… medico… per fare la visita e accompagnare mia sorella a scuola. Frequentava l’ultimo anno delle superiori.
-Papà posso prendere il tuo giubbotto?- chiesi.
-Ehm ehm- rispose papà simulando un paio di colpi di tosse.
-Per favore- dissi.
-Va bene figliolo, è nell’armadio- concluse infine papà, con un tono lievemente seccato.
Entrai in camera dei miei genitori. Era una stanza non molto grande, al centro c’era un letto matrimoniale in legno di colore chiaro e le coperte, anch’esse bianche con una trama a fiori grigi, erano appena state rimesse a posto. Nella stanza c’erano anche due comodini, un comò e un grande armadio.
Mi avvicinai a quest’ultimo, aprii un’anta e presi il famigerato giubbotto. Sembrava un comune giubbotto da aviazione, marrone chiaro e una stampa sulla schiena raffigurante una tigre con la scritta “Da Nang 1970” sopra, ma era la storia che portava addosso che lo rendeva speciale. Non era nuovo né molto recente (e questo lo si poteva notare benissimo), ma faceva ancora la sua figura.  Lo indossai ed uscii.
 
***

Un giorno Hun Smith si trasferì nel nostro stesso quartiere. Aveva un bel po’ di anni in più di me e di mia sorella, ma era brillante e molto simpatico. Nel giro di poco tempo siamo diventati buoni amici.
Nello stesso periodo ripresi i contatti con Spike Baracus, quell’elemento che veniva a scuola con me eh eh sembra rude e scontroso ma in fondo è una brava persona. Lo dicono anche Hun e mia sorella.
A volte ci ritrovavamo tutti e quattro e andavamo a mangiare fuori alla sera. Eravamo una strana compagnia, ma ci divertivamo un mondo.
Anche se Spike (che fatalità del caso era il figlio di P.E. Baracus, dell’A-Team) ogni tanto se la prende con me per qualcosa che dico e mia sorella o Hun (che poi abbiamo scoperto essere il figlio del colonnell John Hannibal Smith) sono costretti ad intervenire…
Il caso ha voluto che un giorno al bar mia sorella incontrasse un giovane, James Peck. Vestito sempre in modo elegante, è un inguaribile dongiovanni…  ci ha provato persino con mia sorella, ma con lei non attacca, ha la zucca dura! Hi hi hi!”
 
La giornalista riempì il terzo foglio di appunti, non voleva perdersi nemmeno un particolare di questa storia.
Staccò la penna dal blocco note e fu turbata dal fatto che la mano le doleva. Non prendeva appunti in quel modo da molto tempo… ammesso che lo abbia già fatto.
“E come è nato ufficialmente il nuovo A-Team?” chiese Ann Stuart, la giornalista.
“Non lo so” rispose il suo intervistato, Mike Murdock, legato con una camicia di forza e accovacciato su una panchina del parco ospedaliero.
“Ah. Perfetto. Dovevo immaginarlo” disse Ann, più a sé stessa che a qualcuno.
“Beh, grazie comunque della sua storia” disse la giornalista, sospirando. Si era fissata l’obiettivo di scrivere un articolo sulla storia di questo Team, ma i componenti sono piuttosto riservati e non si fanno vedere in pubblico se non per un incarico. Figuriamoci per un intervista. Ann era stata fortunata a trovare Mike e ancor di più nel riuscire a strappare una storia seria dalla bocca di un matto, anche se incompleta.
Lo ringraziò ancora e fece per andarsene, un po’ abbattuta, quando Mike saltò giù dalla panchina e la raggiunse.
“Io non posso aiutarti, sono solo un matto, ma se vuoi veramente sentire il resto della storia vai al 1352 South Grande Vista Avenue ed entra nel negozio di antiquariato. Suona il campanello che c’è sul balcone quattro volte di fila. Arriverà un signore coi baffoni, digli che ti manda il “Matto della Porta Accanto”. Il resto va da sé” disse velocemente Mike, lasciando ad Ann a malapena il tempo di prendere gli ennesimi appunti. Una nuova luce ora illuminava gli occhi della giornalista.
Ringraziò di cuore Mike, che iniziò a farneticare cose senza apparente senso logico al vento. Lasciando il matto ai suoi deliri, uscì dall’area visite dell’ospedale psichiatrico con un’aria trionfante.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il negozio di antiquariato (L'intervista- parte 2) ***


Una campanella squillò non appena Ann aprì la porta del negozio di antiquariato. Era un locale piccolo, al centro c’era solo un piccolo tavolino (dell’800) con una miriade di oggettini sopra, interi scaffali pieni di vecchi libri alle pareti e un bancone in legno intarsiato dalla parte opposta della porta. Un uomo vestito da cowboy (con tanto di cappello!) stava spolverando dei tomi con un piumino, alzando una nuvoletta di polvere. La giornalista lo ignorò e si avvicinò al bancone. Sopra c’erano soltanto un registratore di cassa meccanico grande come un piccolo mobile e un piccolo campanello in stile reception dell’hotel.
“Questo negozio è d’antiquariato in tutti i sensi”  disse tra sé e sé. Allungò la mano e suonò il campanello quattro volte di fila, velocemente, come le aveva detto il matto. Il cowboy interruppe il suo lavoro, posò il piumino sul tavolo e andò dietro il bancone.
“Deve avere una gran fretta per suonare il campanello in questo modo” disse l’uomo in tono scherzoso. Indossava una camicia a scacchi rosso bordeaux, un gilet in pelle marrone scuro e pantaloni in stile western, aveva il viso tondo e un paio di baffi brizzolati. Sembrava sorridere, ma questi ne confondevano un po’ l’espressione. Insieme al cappello dello stesso colore del gilet, gli donavano un aspetto molto… retrò, ecco.
Il cowboy appoggiò le mani sul tavolo e si avvicinò leggermente.
“Chi la manda?” chiese infine, improvvisamente serio.
“Il Matto della Porta Accanto” rispose Ann con un lieve tono di sfida.
Il suo interlocutore arricciò i baffi e sospirò.
“Ok, mi segua” disse, tirando una tendina alle sue spalle. Ann aggirò il bancone e lo seguì. Entrarono in una stanza simile a un bar anni ’50 e l’uomo si unì ad altre tre persone, in piedi di fronte alla giornalista.
Di fianco a lui c’era un uomo biondo vestito con giacca, camicia e pantaloni eleganti, una ragazza dai capelli castani lunghi fino alle spalle, vestita con una T-shirt e un paio di pantaloni color crema e un uomo con la pelle scura, una strana bassa cresta dentellata, un paio di catene argentate al collo e al polso dei bracciali spinati, indossava un paio di jeans e una maglietta rosso fuoco.
“Io sono Hun Smith” disse il cowboy togliendosi il cappello e i baffi finti –James Peck, Maddie Murdock e Spike Baracus” continuò, indicando le persone affianco man mano che ne diceva i nomi.
“Siamo il nuovo A-Team. Come possiamo esserle d’aiuto?” concluse infine Smith.
La giornalista si presentò, spiegò del suo obiettivo, ovvero di scrivere un articolo sul ritorno del famoso A-Team, e raccontò del suo.. diciamo… ‘colloquio’ con Mike Murdock.
Il racconto di Ann lasciò i quattro pensierosi e un po’ scettici.
“Ci scusi un attimo” disse Hun prendendo Maddie in disparte.
“Il tuo fratellone ha la lingua lunga” disse Smith alla ragazza, serio.
“Hun , lo so cosa stai pensando… ma se ha scelto di parlare di noi con lei c’è un motivo. E’ matto, non posso negarlo, ma ha sempre avuto quella capacità di capire subito se una persona è affidabile o no al primo sguardo” giustificò Maddie.
Hun arricciò le labbra e scosse lievemente la testa.
“Va bene. Mi fido di tuo fratello” concluse.
Con un accenno di Smith, tutti si sederono al primo tavolo.
“Che cosa le ha raccontato Mike?” chiese Maddie alla giornalista.
Ann fece un breve resoconto dell’incontro, ogni tanto dando un’occhiata ai suoi appunti. Quando ebbe finito, mise via il suo blocco note.
“Non mi ha detto una cosa fondamentale, però” disse infine  “Come è nato ufficialmente l’A-Team?”
“Tutti noi avevamo qualcosa in comune, oltre ad essere figli dei membri originari. Mia sorella Hannah, per esempio, ha quasi rischiato la vita a causa di una banda di criminali. Ha perso sensibilità in parte del braccio e della mano sinistra, per non parlare del mese passato in ospedale” disse Hun.
“L’autofficina di mio padre è stata messa completamente a soqquadro da dei criminali organizzati, si è ripreso a fatica da quel colpo” raccontò Spike.
“La casa di fronte alla mia era stata affittata da dei spacciatori. Una volta si sono accorti che io li avevo scoperti e, per assicurarsi il mio silenzio, ogni mercoledì rompono la finestra del salone” disse James.
“Mio fratello fu travolto da dei pirati della strada, la sua macchina distrutta e lui ricoverato in ospedale, fortunatamente riportò solo un trauma cranico, ma rimase in coma per tre settimane. Io, mamma e papà ci siamo fatti in quattro per pagare il conto dell’ospedale” raccontò Maddie.
Un aria cupa cadde tra tutti i presenti. Evidentemente ricordare quei brutti momenti non era affatto piacevole per loro. Ann si sentiva un po’ in colpa per aver fatto quella domanda.
“Ma la scintilla che ha acceso tutto è scattata esattamente dieci anni fa” continuò Hun, riprendendo la parola.
“Stavamo aiutando un anziano signore con il suo negozio, quando quattro o cinque brutti ceffi fecero irruzione. Uno di loro minacciò pesantemente il proprietario, mentre altri tre con delle mazze da baseball distrussero uno scaffale.
-Non mi pare delle dimensioni adatte per essere scambiato per una pallina da Baseball… Farete meglio a prenotare una visita dall’oculista- dissi, avvicinandomi.
-Perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia?- continuai. L’altro non rispose, preferì far parlare i pugni. Un paio di mosse ed era a terra. Uh, dilettante.
Degli altri se ne occuparono Maddie, James e Spike.
Fu la nostra prima ‘missione’. Ci mettemmo d’accordo, insieme per aiutare le persone in difficoltà come i nostri padri fecero prima di noi, e così nacque il nuovo A-Team”
Una volta finito il suo racconto, Hun si girò verso James.
“Ehi Face, ti ricordi che armadio che era quello che hai affrontato quella volta? Eh eh eh”
“Ahn… non me lo ricordare” rispose Peck, aggiustandosi il colletto e guardando attorno.
“Come mai lo chiamate Face?” chiese la giornalista.
“Perché ha una gran faccia da sberle” intervenne Spike “Potrebbe manipolare la testa di chiunque”
Faccia. Face, in inglese, per l’appunto.
“Eh andiamo… non esagerare” disse Face, un po’ seccato.
Hun prese un sigaro da dietro di sé e lo accese. Spike fece una smorfia, glielo rubò e lo lanciò verso il cestino. Un centro perfetto.
Smith infilò noncurante la mano nel gilet e ne estrasse un altro, spuntò con i denti un’estremità e la sputò verso il cestino. Un altro centro perfetto. Hun fece un sorriso beffardo e Spike si dirò dall’altra parte.
“Come vi siete distribuiti il comando? Insomma, ci sarà qualcuno che fa l capo eccetera” chiese Ann.
“Io, dato che sono il più vecchio, sono il capo. Mi seguono i due fratelli, che hanno unito il gruppo.” Rispose Hun.
“James e Spike, invece?”
“Pari o dispari” disse Hun.
“Ah. Chi ha vinto?” chiese Ann.
Spike rispose con un ‘io’ secco e pacato.
Dall’imprecazione di Face Ann poté intuire che questi non aveva ancora accettato la sconfitta. Con orrore la giornalista si ricordò di non aver preso appunti. Tirò fuori il blocco note e scrisse tutto.
“Ancora una cosa. Come mai non vi fate vedere , se non per una missione o cose simili? Rispetto all’A-Team originale, voi non siete ricercati” disse Ann
“Semplicemente, non vogliamo rompiscatole. Solo persone con problemi seri, ecco tutto” rispose Maddie.
La giornalista finì di prendere appunti e mise via il blocco note.
“Con questo ho finito. Vi ringrazio per la vostra disponibilità”
“Signorina Stuart, ci prometta che nel suo articolo ometterà tutti i particolari relativi a come ci ha trovato e dove riceviamo” disse Hun, serio, e Ann rispose che avrebbe scritto soltanto la storia.
Ringraziando tutto il Team, uscì dal negozio. Le campanelle suonarono e, quando la porta si richiuse, la giornalista gioì: Aveva tra le mani un’intervista al nuovo A-Team, un articolo di prima pagina, era riuscita laddove altri hanno fallito.
Sua madre Amy Amanda Allen ne sarebbe stata fiera.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Problemi a 5 stelle ***


Dieci anni fa i figli di un commando specializzato operante in Vietnam rifondarono un leggendario gruppo sciolto da tempo. Usando un vecchio negozio come quartier generale, vivono a Los Angeles, lavorando in incognito. Sono tuttora in azione, se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il nuovo A-Team!


Hun Smith e Spike Baracus stavano aspettando il ritorno di James Peck nei pressi della pista di decollo di un aeroporto. Maddie non c’era, studiava alla facoltà universitaria di medicina veterinaria ed era con loro solo nei week-end.
L’A-Team aveva appena ricevuto un nuovo incarico, il primo fuori città. Fino ad allora avevano risolto solo piccoli incarichi nella loro zona, a volte un po’ più lontano ma sempre a Los Angeles.
Il titolare di un piccolo hotel di Chicago ultimamente riceve delle visite poco gradite dagli scagnozzi di un riccone che minacciavano costantemente il proprietario di mettere al lastrico l’edificio se non avesse venduto.
Arrivò Face, con un’aria da agnello innamorato.
“Buone notizie: cercavamo un volo che non costasse tanto? Beh ho trovato un modo per volare gratis. Salvo spese di carburante, intendo” disse James e Hun sorrise compiaciuto. Spike invece non sembrava molto convinto.
“Purtroppo siamo senza pilota. Da qualche parte dovevo pur risparmiare, no?” continuò.
“E come pensi che lo faremo decollare, scusa?” chiese Smith, serio.
Uno starnuto alle loro spalle interruppe la conversazione.
“Scusate ma sono allergico alla polvere” disse una voce familiare alle loro spalle. Tutti si girarono e videro Mike che si strofinava il naso con il dorso della mano.
“Ah! Sei riuscito a farti prestare di nuovo il giubbotto di tuo padre?” disse Face indicando la giacca in pelle.
“Non se l’è fatto prestare, glie l’ha sequestrato!” intervenne Spike e il matto lo fulminò con lo sguardo.
Hun lo prese sottobraccio.
“Ecco il nostro pilota!” disse. Mike lo guardò con un misto tra uno sguardo interrogativo e terrorizzato.
“Pilota di cosa?” chiese, con gli occhi spalancati.
“Del nostro jet diretto a Chicago, non è vero, Face?”
Face annuì e Mike guardò tutti in preda al panico.
“Senti Hun io vi raggiungo in macchina, è la prima volta che volo e non vorrei che fosse l’ultima” disse Spike.
“Ehi Ehi Ehi è vero che ho il brevetto ma solo per gli aerei leggeri… non ho la più pallida idea di come si piloti un jet!” disse Mike, gesticolando freneticamente e divincolandosi da Hun.
“Su, andiamo, non era tuo padre quello che diceva ‘se ha le ali, può volare’?” disse James.
“Ma…” Tentò di giustificarsi Mike.
“Forza, cammina…” lo interruppe Face, a denti stretti, spintonandolo verso l’aereo.
“ e tu vieni con noi” disse Hun trascinando una valigia trolley e prendendo Spike per la manica. Questi gemette, ma non oppose resistenza.
 
***
 
Mike si sedette ai comandi dell’aereo e Face affianco, nel posto del copilota (anche se non avrebbe sicuramente ricoperto quel ruolo).
“Spero che tutte quelle ore passate davanti a Flight Simulator X siano servite a qualcosa…” sussurrò tra sé e sé Mike.
“Coooooooosa?!” chiese James, sbarrando gli occhi.
“Ah no, niente” rispose il matto, apparentemente tranquillo.
“Ma avevi detto che ce l’avevi, il brevetto” disse Face con un tono da rimprovero.
“Sì, sì… ma…”
“E allora perché ti guardi attorno come se fosse la prima volta che Sali su un aereo?”
“Perché io ho il brevetto solo per gli aerei leggeri, non per i reattori” rispose Mike giungendo le mani e appoggiandoci il viso.
“Ah…Ah…” rispose James, un po’ preoccupato.
“Insomma Mike! Ricordi cosa diceva tuo padre? ‘se ha le ali, può volare!’” continuò James.
Mike fece una smorfia. Guardò i vari comandi, cercando di trovare quelli che gli erano più familiari. Erano piuttosto simili a quelli degli aerei leggeri, mentre erano quasi uguali a quelli del simulatore. Mischiando entrambe le conoscenze, forse avrebbe fatto partire quella carretta.
Chiese il permesso di decollo alla torre di controllo. Bene o male era uguale a quello sul computer.
Mike ebbe un nodo alla gola. Ora veniva la parte che più lo angosciava.
Accese il motore, che cominciò a ronzare. Il matto ingoiò della saliva e mise la mano sulle manette del gas.
Le spinse lentamente verso l’alto. Man mano che le tirava su, il rumore aumentava, aumentava… E ancora, finché non divenne molto forte.
Mike non resistette, mollò le manette del gas e si rannicchiò in un angolo, urlando come un pazzo.
James imprecò, roteando gli occhi.
“Senti, intanto che ti decidi mi procuro qualche paracadute. Non si sa mai” disse infine.
Hun fece capolino dalla porta.
“Che succede? Perché non siamo in volo?” chiese Smith, guardando James e cercando con lo sguardo Mike.
Il matto se ne stava rannicchiato nell’angolo dietro la sedia, tremando e con la testa infilata dentro il giubbotto.
“Cos’ è successo?” chiede Hun, in tono di conforto, ed entrò.
“Beh lascio a voi… io vado” disse James, sbuffando e alzandosi. Prima che potesse uscire, Mike lo prese fulmineo per un lembo della giacca, trattenendolo.
“Sei… senza cuore, Face” mormorò il matto, facendo capolino dalla giacca. Dopodiché, l’altro uscì.
Aspettò che la porta si chiuse, poi Hun si inginocchiò e posò la mano sulla spalla di Mike.
“Cos’è successo?” chiese ancora, con lo stesso tono.
“I… I rumori forti… Mi fanno… paura” balbettò il matto tirando fuori la testa dal giubbotto.
“E’ cominciato tutto da quella volta… L’incidente… tutti quei tonfi… Da allora, i rumori forti mi terrorizzano. E’ per questo che non sono mai salito su un reattore” spiegò Mike.
Il matto aveva paura del rombo dei reattori. Questo spiegava l’esitazione di poco tempo prima.
Anche il giubbotto. Lo aveva chiesto in prestito a suo padre apposta. Sperava che fungesse da ‘talismano anti-paura’, dato che suo papà non volava mai senza.
“Sai, sono quasi affogato una volta, ai tempi del liceo. Non riuscivo più immergere un solo piede in acqua, fare la doccia era già tanto” disse Smith, dolcemente.
“E come hai fatto a superarla?” chiese Mike.
“Ho affrontato le mie paure e le ho sconfitte. Semplicemente. Poi è passato” concluse Hun ed entrambi si alzarono in piedi.
“Avere qualche specie di talismano a volte aiuta” disse Smith. Mike sventolò i lembi del giubbotto, sorridendo.
“Bene. Credi di farcela?”
Il matto annuì e riprese i comandi. Prima di alzare le manette, frugò nelle tasche della giacca. Trovò tre o quattro pacchetti di gomme americane (tra cui uno a metà) nella tasca sinistra. Era la scorta segreta del padre. Nessuno, ad eccezione della famiglia, sapeva che H.M. Murdock era un chewing-gum dipendente.
Ogni volta che doveva pilotare un aereo, guidare una macchina, o semplicemente quando era nervoso, se ne masticava almeno due o tre.
Aprì il pacchetto a metà e ne mise in bocca una. Sperava che avrebbero allentato la tensione durante il volo.
Appoggiò la mano sulle manette e le alzò dolcemente, masticando nervosamente la gomma man mano che il rumore aumentava. Si fece coraggio e compì tutte le manovre necessarie: in poco tempo il jet si alzò in volo.
Nel frattempo, nella zona passeggeri, Spike aveva radunato tutti i sacchetti per il vomito che trovava. Non aveva mai preso un aereo, ma da come descriveva suo padre aveva l’impressione che i sacchetti sarebbero serviti. Dietro di lui, James era pensieroso. Si sentiva in colpa, forse era stato troppo duro con Mike. Le parole del matto gli riecheggiavano in testa continuamente.
Si alzò in piedi, diretto verso la cabina di pilotaggio. Aprì la porta.
“Come va?” chiese.
Hun si alzò e gli andò vicino.
“Bene. Aveva solo bisogno di un amico che gli stesse vicino” disse. Ora Face si sentiva un mostro.
“Facciamo cambio, vado a bere qualcosa. Vuoi una birra fredda, Mike?” disse Hun.
“No grazie, devo guidare” rispose il matto sorridendo, dopodiché Smith e James si cambiarono di posto.
Face osservò Mike mentre pilotava. Nonostante avesse inserito il pilota automatico, teneva le mani salde sopra la cloche, con gli occhi sbarrati e masticando nervosamente un chewing-gum.
“Tutto bene?” chiese a Mike, che si limitò ad annuire. Era visibilmente molto, molto teso. Forse chiacchierando lo avrebbe aiutato a sciogliere la tensione.
Iniziò James, raccontando di quando, da piccolo, aveva raccontato una piccola bugia per far colpo su una sua compagna di scuola, ma lei lo aveva sgamato subito.
“Cosa le hai detto?” chiese Mike, ridacchiando.
“Ehm… le avevo detto che le avrei fatto vedere la Batcaverna…” rispose Face, un po’ imbarazzato. Ok, allora aveva solo 10 anni.
“La Batcaverna?! Bella! La voglio vedere anche io!” disse Mike, estasiato.
“Era una balla, Mike!”
“Ah. Peccato.”
Rimasero a chiacchierare animatamente fino all’arrivo. Con grande sorpresa di Face, una volta sciolto Mike era anche più chiacchierone di lui. Parlava senza freni, anche se era piuttosto difficile seguire i suoi discorsi perché cambiava argomento in continuazione e senza preavviso.
Il matto parcheggiò il jet come se fosse una macchina, spense i motori e, insieme a James, raggiunse gli altri.
“Benvenuti a Chicago! Grazie per aver viaggiato con noi” disse Mike stiracchiandosi.
“Grazie, Mike. Si va in missione!” esclamò Hun.
Mike fu il primo ad uscire e a metà scala starnutì. Gli altri lo guardarono con aria interrogativa.
“Sono allergico alla polvere” si giustificò, poi scese.
“No, non lo è” commentò James, fermandosi.
“Come fai ad esserne sicuro?” chiese Hun dietro di lui.
“Perché io lo sono. Sto forse starnutendo?” rispose, riprendendo a scendere le scale.
“Chissà cosa si è messo in testa quel pazzo” commentò Spike.
 
***
 
Poco tempo dopo l’A-Team  si trovava al piccolo hotel di Sam Raynolds, il loro cliente. Avevano quasi finito di rimettere a posto la reception, messa a soqquadro di recente. Insieme a loro c’era anche la cugina del proprietario, Jenny, che aiutava Sam con la gestione.
Mike starnutì. Affianco, Spike si infastidì. Stava pulendo un mobile con uno straccio e il matto ci aveva appena starnutito sopra.
“Eh no, qui è ancora sporco” disse Mike indicando il punto sul mobile. L’altro si arrabbiò.
“Basta! Sono stufo di pulire continuamente dove tu sporchi, pazzo! Arrangiati!” rispose, consegnando lo straccio al matto, che starnutì non appena lo ebbe in mano. Spike si riprese i panno per le pulizie e riprese a fare quello che stava facendo prima.
Quando tutti ebbero finito, si sedettero sui divanetti per discutere.
“Quindi questo Christopher Fulton manda i suoi tirapiedi per convincerti, con le buone o con le cattive, a vendergli il tuo hotel?” chiese Hun Smith.
“Christopher Fulton? Quel Christopher? Mi chiedo cosa se ne fa il proprietario di una catena di lussuosi alberghi di un hotel a tre stelle” esclamò Face, stupito.
“È quello che cercheremo di scoprire” rispose Hun.
“Abbiamo chiesto aiuto alla polizia, ma hanno voluto ‘dare la precedenza ai casi di maggiore importanza’” disse Jenny.
“Ma figurati… non cercano rogne contro i pezzi grossi” commentò James.
“Per caso” continuò Smith “quest’edificio si trova in una zona particolarmente importante?”
“Beh, non è in pieno centro e nemmeno tanto vicino alle arterie principali. Il numero di clienti settimanali è sempre costante e siamo sicuri che non ci sono beni minerari o simili sotto terra. Nemmeno i guadagno sono esorbitanti, giusto per pagare le bollette e mandare avanti l’attività” spiegò Jenny.
“Il caso si fa interessante. Face, andrai tu da Mr. Riccone. Cerca di scoprire tutto quello che puoi” ordinò Hun “Mentre noi ci prepareremo per accogliere i tirapiedi come si deve, eh eh!”
“Ah, perché proprio io?” protestò James.
“Fidati. Conosco le tue potenzialità” rispose Hun.
“O preferisci che mandi Mike?” continuò, indicando il matto rannicchiato sul divano che blaterava chissà cosa con il giubbotto chiuso fino al collo.
“Vado io. Vado io” disse James, facendo in modo di non lasciare a Hun il tempo di continuare.
Mentre usciva, passò davanti a Mike.
“Ma che diavolo stai facendo?” gli chiese.
“Fa freddo a Chicago, eh?” rispose il matto. Ma di cosa stava parlando? Non era affatto freddo, Spike era addirittura senza maniche!
Face tirò fuori il suo smartphone.
“Guarda. Che c’è scritto?” chiese.
“Due chiamate senza risposta?” rispose Mike.
James guardò. Mentre lo girava per farlo vedere al matto aveva distrattamente attivato il blocco schermo. Lo disattivò e lo fece vedere di nuovo.
“Ah! Ci sono 80°F (circa 27°C). E allora?” rispose Mike. Face lo lasciò perdere ed uscì dall’hotel.
 
***
 
Nel frattempo, a Los Angeles, H.M. Murdock stava guardando la Tv. Si annoiava, non trasmettevano niente di interessante.
Da quando il vecchio A-Team si era sciolto, non molto dopo la morte di Hannibal, si era visto con i suoi commilitoni sempre più raramente.
Presa una decisione, si alzò dal divano e prese le chiavi appese al muro.
“Io esco. Torno fra un po’” disse alla moglie.
“Dove vai?” chiese Kelly.
“Vado a trovare un vecchio amico” rispose.
“Non fare tardi, eh!” disse la moglie.
“Ok” rispose il marito aprendo la porta. Salì in macchina e partì.
Una volta giunto a destinazione, scese e suonò il campanello. Una figura familiare aprì la porta.
“Ciao Bestione!” esclamò Murdock.
“Ehi, vecchio pazzo! Da quant’è che non ci si vede?” rispose P.E.
“Molto, molto tempo”
“Su, entra” disse Baracus. Quando tutti e due furono in casa, P.E. offrì al suo ospite un bicchiere di latte.
Si sedettero attorno a un tavolo rotondo, in cucina.
Quando i loro figli Spike e Mike frequentavano le elementari si incrociavano spesso al parcheggio o alle riunioni dei genitori. P.E. non era cambiato una virgola (fatta per eccezione per barba e capelli grigi), nemmeno dopo tutti quegli anni.
Murdock sorseggiò un po’ di latte.
“Ho visto Spike l’altro giorno. Accidenti, il tempo passa! Mi sembra ieri che andavano a scuola insieme!” disse.
“Ha ha è vero! A proposito, è da un po’ che non vedo Mike in giro. Cosa gli è successo?” chiese P.E.
“È in ospedale” rispose Murdock, un po’ serio. Anche Baracus si incupì.
“Oh, mi dispiace… cosa gli è successo?” chiese. H.M. non poté non sorridere.
“No, non in quel senso! È in reparto psichiatria” disse.
“Ah, quell’ ospedale! Dovevo immaginarlo, quel ragazzo ti somiglia troppo!” concluse P.E. e tutti e due ridacchiarono.
“Tale padre tale figlio, no? è sempre stata” disse Murdock.
“Tua figlia Maddie invece? Spero non sia matta anche lei, altrimenti dovrò dire che siete una famiglia di pazzi!” chiese Baracus.
“Oh, no, no, lei è a posto. Studia medicina veterinaria all’università” disse H.M. .
La conversazione continuò, saltando tra un argomento all’altro. Sembrava che gli anni non fossero passati affatto: Erano ancora “Pessimo Elemento” il Bestione brontolone e il Matto Urlante che non stava mai zitto.
 
***
 
“Capo, c’è un tizio all’entrata che chiede di vederla. Dice di essere un ispettore della sicurezza” disse un tirapiedi a Christopher Fulton.
“Fallo entrare e vediamo che cos’ha” rispose il ricco proprietario da dietro la sua scrivania.
L’altro uomo fece entrare l’ispettore.
“Grazie mille. Piacere, sig. Fulton, io sono Frederick Mill del dipartimento di sicurezza, sezione alberghi ed edifici pubblici. Sulla lettera che vi avevamo mandato c’era scritto il perché della mia visita ” disse questi. Gli altri presenti lo osservarono con un’aria interrogativa.
“Oh, no! Non mi dite che non v’è arrivata!” esclamò l’ispettore “Maledette segretarie. –oh sì, ci pensiamo noi-  dicono -non si preoccupi- ! e poi invece mi fanno fare queste figuracce!” continuò.
Christopher sorrise sotto i suoi baffoni biondi.
“Non si preoccupi, la colpa è della segretaria. Mi dica pure” rispose.
Perfetto. Ci aveva abboccato in pieno. In realtà l’ispettore era James Peck che metteva in pratica un vecchio trucchetto che gli aveva insegnato suo padre Templeton.
“Allora, ci sono giunte delle segnalazioni da parte di alcuni clienti di questo albergo riguardo ad alcune aree che non rispettano le norme di sicurezza” disse James.
“Impossibile!” ribatté Fulton.
“Incredibile ma vero. Le segnalazioni non mentono. Adesso dovrei controllare i progetti di quest’albergo, per verificare le zone che ci sono state segnalate, sa… se non le dispiace” concluse il finto ispettore.
L’altro annuì e si avvicinò a una cassaforte a muro, nascosta dietro un quadro. Era elettronica, ma dal movimento della mano Face poté ricavarne facilmente la combinazione. Fulton tirò fuori i progetti e li porse al finto ispettore.
James prese un foglietto dalla sua cartella e cominciò a guardare le carte una ad una.
“Una è questa” disse scegliendo una zona a caso, quella che gli sembrava più ‘a rischio’, facendo a finta di confrontarla con il foglio in mano, che in realtà era la lista della spesa. Ne scelse altre due o tre, in piani diversi.
“Incredibile” esclamò il proprietario.
“Già, già, ma non si preoccupi, appena finito manderemo un squadra per mettere tutto a norma. Sarebbe utile verificare le cose di persona, per sapere poi il punto giusto dove agire” disse Face.
“Oh, sì, certamente. Da questa parte” disse Fulton, indicando allo scagnozzo di aprire ala porta. Uscirono tutti e altri due gorilla (così James chiamava le guardie del corpo) si unirono a loro. Lo scagnozzo di prima si avvicinò a Christopher.
“Capo, quel tizio non mi piace per niente. Soprattutto il modo in cui la osservava mentre prendeva le carte” disse.
“Nemmeno a me convince molto. Deve averlo mandato Raynolds. Tienilo d’occhio” ordinò Fulton e l’altro annuì.
Arrivati alla prima zona designata, James si mise a controllare in giro, facendo continui riferimenti al codice di sicurezza.
“Eh no, questo non è conforme con l’art. 4 comma 7 del Codice di Sicurezza. No, no, no…”
Quando ebbe finito, Face si sistemò il paio di occhialetti sospirando e tirò fuori del nastro isolante rosso.
“È necessario fare delle ‘x’ su ogni singolo punto che ho indicato, così la squadra saprà dove agire” disse “Prima però ho un’urgenza… dov’è il bagno?”
“Attraversi il corridoio e giri a destra. È la terza porta sulla sinistra, non può sbagliare” rispose Fulton.
“Mi lasci pure il nastro, ho seguito con attenzione ogni sua parola” disse un gorilla. Dopo un po’ di esitazione consegnò il rotolino alla guardia.
“Mi raccomando, eh! Dopo passo a controllare” lo avvisò James, poi se ne andò.
Guardandosi attorno, il finto ispettore si avvicinò alla porta dell’ufficio. Aprì la porta e raccolse un piccolo pezzo di compensato fine che cadde a terra. Lo aveva posizionato prima di uscire, in modo da consentirgli l’accesso una volta fuori.
Entrò e si diresse verso la cassaforte. Digitò il codice che aveva memorizzato e l’aprì. Facile. Fin troppo.
Estrasse le scartoffie che conteneva e le esaminò una ad una. Riguardavano tutti l’albergo, tutti tranne una.
Sembrava una vecchia mappa del tesoro. La fotografò con il suo smartphone e poi rimise tutto a posto, come se niente fosse.
Missione compiuta.
Uscì dalla stanza soddisfatto, ma non fece a tempo di percorrere metà corridoio quando si ritrovò i due gorilla davanti e Fulton dietro.
“Il bagno è dall’altra parte” disse una delle due guardie.
“Ah, Ecco! Accidenti questi corridoi sono tutti uguali… ero certo di essermi perso…” si giustificò Face.
Uno dei gorilla lo prese per il bavero della giacca, sollevandolo un po’. James emise un lamento, spaventato. Non sapeva più che pesci pigliare. Nota per la prossima volta: mai usare il vecchio trucco del bagno.
Fulton si avvicinò alle guardie.
“Ti ha mandato Raynolds, vero? Adesso ti faremo vedere cosa succede a chi cerca di fregarci, damerino” disse questi.
“Oh, insomma, dai, possiamo parlarne? Insomma…” chiese Face cercando di arrampicarsi sugli specchi.
Vedendo che le guardie non mollavano, dovette ricorrere a un piccolo trucco.
“Oh mio Dio! Che diavolo è quello?” disse, mimando una faccia terrorizzata. Non sembrava dare gli effetti sperati, ma almeno distrasse la guardia per un tempo sufficiente per consentire a Face di sganciargli un destro in faccia.
Il finto ispettore scappò per i corridoi massaggiandosi la mano dolorante, inseguito da Fulton e i suoi scagnozzi.
Approfittando del vantaggio, si infilò di nascosto dentro uno sgabuzzino.
I suoi inseguitori passarono dritti e, quando la via fu libera, Face aprì la porta e verificò la situazione.
L’aveva scampata. Per un pelo.
 
***
 
All’hotel di Sam l’A-Team stava preparando un piano, ma a nessuno dei tre componenti presenti ebbe un’idea valida.
“Vado ad osservare la situazione da fuori. L’aria fresca a volte aiuta” disse ad un certo punto Hun.
“Va a fumarsi un sigaro” spiegò Spike a Sam, vedendo la sua aria vagamente interrogativa.
Una volta fuori, Smith tirò fuori un sigaro e lo accese. Mentre fumava, osservò la locazione dell’hotel.
L’entrata era un po’ rientrata rispetto alla strada e ad un lato della costruzione alla sua sinistra. A destra, invece, c’era un piccolo parcheggio, ancora più arretrato dell’ingresso. La zona sembrava una specie di conca e quella particolare forma fece venire un’idea a Hun.
Da un lato sbucò James, guidando la macchina che avevano noleggiato da poco.
“Hey, Face! È andata bene?” chiese Smith.
“Dipende dai punti di vista” rispose l’altro.
Detto ciò, entrambi entrarono e Face raccontò di cosa aveva trovato. Tirò fuori il suo smartphone e fece vedere agli altri le foto che aveva scattato. Ritraevano un lembo di carta (o pergamena) ingiallita, su cui erano stampati una cartina di Chicago, una ‘x’ rossa su un preciso punto e sopra, rese quasi illeggibili dallo strappo, le parole ‘ova… l… Tesoro’.
“Sembra una mappa del tesoro! Come quelle dei pirati!” esclamò Mike.
“Non ci sono pirati a Chicago, idiota!” ribatté Spike.
“Una cosa è certa, è una mappa. Sembrerebbe che indichi un tesoro, per giunta” commentò Hun, zoomando la foto, in modo da inquadrare bene la croce.
“E questa croce indica proprio l’hotel tesoro… ehi!” disse Hun.
“Aspetta! Adesso ricordo!” esclamò Sam improvvisamente, allontanandosi dal gruppo per un istante.
Ritornò con un volantino pubblicitario assomigliante alla mappa.
“Avevamo stampato alcuni campioni dei volantini pubblicitari da distribuire all’apertura dell’hotel. Io e Jenny eravamo indecisi se distribuire questo o un altro. Alla fine abbiamo optato per il secondo. Mi chiedo dove Fulton abbia preso una copia di quello scartato” spiegò il proprietario.
“Nuova apertura,Hotel Tesoro:  inaugurazione il 12/3/2010” lesse Mike ad alta voce.
“E il nostro caro amico ha confuso ‘ova’ di ‘nuova’ con ‘trova’, ‘l’ di ‘hotel’ con ‘il’ e ‘Tesoro’ per uno scrigno prezioso. Ah ah!” disse Hun.
“Quindi… tutta questa storia è solo un enorme malinteso?” chiese Face.
“Precisamente. Eh eh! Incredibile quanto facilmente i ricconi si possono ingannare!”  commentò Smith.
“Ecco il piano…” cominciò Hun, spiegando ciò a cui aveva pensato.
 
***
 
Tre uomini, senza dubbio i tirapiedi di Fulton, entrarono nell’hotel spavaldi. Si avvicinarono alla reception.
“E tu chi sei?” chiese uno di loro a Hun, che occupava il posto dietro il bancone.
“Io sono Smith, il nuovo socio di Sam Raynolds” disse Hun.
“Porta qui Raynolds, io non parlo con i tirapiedi!” disse acidamente un altro scagnozzo.
“Il mio socio non c’è” puntualizzò Smith.
“Allora senti: Hai fatto un brutto affare con questo postaccio. Vi conviene accettare la proposta di Christopher Fulton. Vendete tutto per 500.000$ e niente più problemi. Raynolds non ha mai voluto accettare la nostra proposta, ma tu sembri ragionevole. Che dici?” spiegò uno dei tre, il primo che aveva parlato.
“La risposta è allettante” disse Hun “Ma dovete portarmi il vostro capo, io non parlo con i tirapiedi!”
Detto questo, Smith tirò dal sigaro e soffiò in faccia il fumo allo scagnozzo, sfidandolo.
“D’accordo” rispose l’altro, infastidito.
Dopodiché, fece un cenno agli altri due e se ne andarono.
Tutti gli altri fecero capolino dall’altra stanza, curiosi.
“Ha abboccato?” chiese Jenny.
“Come tre pesci lessi!” rispose Hun, ridacchiando mentre si spostava verso un lato della sala. Prese la sua valigia trolley e la trascinò fino al gruppo. L’aprì, rivelando il contenuto di quattro armi automatiche, due pistole e varie munizioni, con lo stupore di tutti i presenti. Passò una mitraglietta a Mike, James e Spike, mentre lui prese una pistola.
“Ah-ha!” esclamò Mike, mettendosi poi a simulare il rumore del mitra e fingendo di sparare.
“Calmati, pazzo! Non stai giocando con la playstation!” lo rimproverò Spike.
“Mio Dio, non saranno mica vere!” disse Face, un po’ inquietato.
“Certo che sì, altrimenti non le avrei portate!” rispose Hun.
Tutti gli altri lo fissarono con gli occhi sbarrati.
“Hun, sei matto! Noi non abbiamo mai imbracciato un’arma prima d’ora!” puntualizzò James.
“Eh, che lagna! Le saprebbe usare anche mio nipote di dieci anni!”
Hannah, la sorella di Hun, aveva un figlio di dieci anni. Essendo felicemente sposata e residente a Miami, non aveva molto interesse a seguire le scampagnate di suo fratello.
“Sono caricate a salve” disse Smith e tutti gli altri tirarono un sospiro di sollievo.
 
***
 
Poco dopo entrarono Fulton e i suoi. Si diressero subito da Hun, davanti al bancone. Questa volta era insieme a Sam e Jenny.
“Mi pareva che fossi da solo” disse Christopher.
“M’ero sbagliato, erano in bagno” rispose Hun.
“Abbiamo riflettuto sulla vostra proposta” continuò “E abbiamo deciso di rifiutare”
“Ok. Non vuoi 500.000$? Facciamo 550.000$” propose Fulton.
“Noi non vendiamo” rispose Jenny.
“Ah no? Basta, mi avete stufato. Vediamo se questa vi farà cambiare idea” disse Christopher tirando fuori una pistola.
Hun, tranquillamente, ne tirò fuori una a sua volta e la puntò contro il riccone.
“Non sei l’unico ad essere armato”
“E nemmeno l’unico ad avere compagnia!” Esclamò Mike alle loro spalle, sbucando quasi dal nulla.
Approfittando del momenti di distrazione, Hun disarmò velocemente Fulton e consegnò l’arma a Sam.
I tre scagnozzi cercarono di tirar fuori le loro armi, ma Spike e James uscirono dai loro nascondigli a lato puntandogli le armi automatiche addosso.
Mike starnutì e per poco l’arma non gli cadde dalle mani.
“Vedo che sei in difficoltà, eh Chris?” esclamò Hun.
“Hai fatto un grosso errore a minacciare i proprietari di quest’hotel, soprattutto per cercare un tesoro che nemmeno esiste” continuò Smith.
Quando Jenny mostrò la copia del volantino Fulton e i suoi cambiarono colore.
Face e Mike si unirono a Hun, mentre Spike legò Christopher e i suoi.
“Adoro quando le cose vanno come pianificato!” esclamò Hun.
“Aspetta, aspetta!” esclamò Mike.
“Vado matto per i piani ben riusciti” disse il matto, imitando Hannibal Smith così come glielo raccontava suo padre: sorrise mentre con la mano teneva fermo il (finto) sigaro in bocca.
Hun non poté far a meno di sorridere.
“Face, mi presti il tuo telefono? Il mio l’ho dimenticato” chiese Mike. James non fece una piega e glie lo diede, con l’unica raccomandazione di non romperlo.
Non era assolutamente vero che il matto aveva dimenticato in camera il suo cellulare, ma gli smartphone touchscreen lo facevano impazzire.
Compose il numero di sua sorella.
“Ciao Face!” disse lei.
“Maddie, sono tuo fratello” rispose lui.
“Perché chiami con il suo numero? Ok non rispondere, lo so già”
Dopodiché il fratello le fece un resoconto dettagliato della missione.
“Ah, sono felice che tu abbia superato la paura dei rumori forti, fratellone! Sembra che vi siate divertiti a Chicago, mi dispiace di non essere venuta. La prossima volta farò di tutto per esserci!” disse Maddie, poi i due fratelli si salutarono e Mike riagganciò. Riconsegnò il telefono al suo proprietario.
Poco dopo, l’A-Team fu pronto per ripartire per Los Angeles.
“Sono davvero contento di aver superato la mia terribile paura. Pronti a volare di nuovo?” disse il matto.
Tutti gli altri annuirono.
“E bravo il nostro capitano!” Disse Hun, spettinandogli i capelli scherzosamente.
Smith ebbe un dubbio. Appoggiò la mano sinistra sulla fronte del matto.
“Ehi, ma tu stai scottando!”



(Il capitolo è lunghetto, c'ho lavorato molto per scriverlo, spero non sia "un mattone". I prossimi li pubblicherò settimanalmente, un po' prima o un po' dopo a seconda del tempo a mia disposizione. L'illustrazione qui sopra l'ho fatta io, rappresentano i membri del nuovo A-Team, spero vi piaccia! n.d.a)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una "bella" giornata ***


Maddie Murdock stava dando da mangiare agli animali nella clinica, aiutata da Patricia, l’assistente.
Era una mattina piuttosto tranquilla, non era né troppo caldo né troppo freddo e gli animali erano piuttosto tranquilli.
“Bella giornata!” commentò l’assistente.
“Non lo direi così presto, Pat, non è ancora finita” fece notare Maddie.
“Beh, io la penso così” rispose l’altra.
Un  rumore dall’esterno mise in allerta le due ragazze, che abbandonarono momentaneamente il loro lavoro. Uscirono dalla stanza ed entrarono nella sala d’aspetto. Forse erano clienti, dato ce non aspettavano visite. La sala era di medie dimensioni, l’arredamento consisteva in qualche mobile, un banco per annotare le visite e delle sedie imbottite. L’atmosfera era abbastanza accogliente, sembrava quasi un salottino di casa.
Pat si avvicinò alla finestra e guardò fuori.
“No, dannazione! Di nuovo!” esclamò.
“Oh no, non mi dire che sono quelli…” L’altra non fece a tempo di finire la frase che un gruppo di quattro uomini irruppe nella clinica. Maddie tastò in una mensoletta sotto il banco, fino a trovare una strana scatola. Era un congegno che aveva costruito suo fratello Mike con resti di vecchi apparecchi, dopo che, gli stessi brutti ceffi che avevano fatto irruzione, qualche giorno prima avevano quasi distrutto il portico e due finestre.
 Premette un tasto e prese un oggetto somigliante al tappo di una penna da sopra della scatola.
Si avvicinò al capo della banda, un tizio massiccio con due baffi da motociclista e una bandana nera in testa. Indossava un gilet in pelle nera completamente chiuso e un paio di pantaloni del medesimo materiale.
“Ancora voi? Non vi pare di aver fatto già abbastanza guai, qui? chiese Maddie incollerita.
“Cosa volete?” disse Patricia.
“Ehi ehi… Calmatevi, dolcezze! Avete delle birre fredde?” disse quello con i baffi.
“Non le daremo certamente a voi” rispose l’altra ragazza.
“Che ne dici di divertirci un po’, eh?” disse un altro, con lo sguardo che non prometteva nulla di buono.
Maddie si scagliò contro i membri della banda, in collera. Il loro capo prontamente bloccò il pugno della ragazza e lo piegò dietro la schiena, poi con la mano sinistra prese il mento della ragazza e le alzò la testa, in modo da guardarla in faccia.
“Calmati, bella! Non vorresti mica che succedesse qualcosa alla tua preziosa clinica, eh?” disse questi.
Maddie non rispose subito. Non era quella la sua intenzione, la collera era tutta una messa in scena. Nel pugno teneva stretto l’oggetto simile al tappo di una penna. Lo fece scivolare tra l’indice e il pollice, dopodiché lo attaccò al giubbotto del capo.
“Perché continuate a tormentarci, brutti pezzi d’i…” chiese rabbiosamente la ragazza, ma fu interrotta da uno strattone di quello con i baffi, che mollò la presa spingendola in avanti.
L’uomo alla sinistra ruppe la finestra accanto con una mazza di legno.
“Ops” disse l’uomo con la mazza, ridendo. Maddie imprecò, più che furiosa.
“Ehi” prese la parola il capo “Calmati, bellezza! Ce ne andremo, visto che non siamo graditi. Vero?”
“Oh, sì, certo!” risposero gli altri con un tono da finti santerelli.
Uscirono tutti, comprese Maddie e Pat. Volevano assicurarsi che andassero via veramente e non limitarsi a fare il giro dell’edificio.
Uno degli uomini, quello che poco prima aveva rotto la finestra, frugò dentro la jeep e tirò fuori una bottiglia verde con uno straccio infilato dentro per metà. Prese un accendino dalla tasca e diede fuoco al pezzo di stoffa.
“Cosa…?” borbottò Maddie. Quando si rese conto delle intenzioni dell’uomo, sia lei che l’assistente si lanciarono verso di lui, cercando di fermarlo. Questi, lottando per tenere il braccio libero, passò la bottiglia a quello con i baffoni, che la lanciò sul soffitto della clinica.
“NO!!” gridò Maddie.
“Così imparate a mettervi contro di noi!!” ringhiò il capo, dopodiché tutta la banda scoppiò in una risata. Salirono sulle loro jeep e si allontanarono all’orizzonte.
Patricia chiamò immediatamente i vigili del fuoco, mentre l’altra ragazza portava in salvo gli animali.
Si ritrovarono poco dopo, in cortile. Entrambe guardavano il tetto andare a fuoco, le calde lingue infuocate schioccavano sotto il sole del mattino.
“Allora” disse Maddie “Sei ancora convinta che sia una bella giornata?”
 
***
 
“Accidenti” esclamò Hun osservando il tetto, carbonizzato per più della metà. Spike entrò dalla porta per guardare meglio dall’interno.
C’erano pezzi di legno carbonizzato ovunque, sparsi per terra. Alcuni oggetti erano completamente seppelliti dalle macerie e, come se non bastasse, questi erano fradici d’acqua a causa dell’intervento dei pompieri.
“Qui servirebbe un miracolo” commentò Spike, guardando attorno.
Maddie era piuttosto preoccupata. Non sapeva che fare, quei delinquenti non avevano mai causato danni così gravi. Per questo aveva chiamato Hun, Spike e James.
Face, per qualche motivo a loro sconosciuto, non aveva risposto a una sola chiamata.
“Non c’è proprio modo di ripararlo?” chiese Kelly. Anche lei, appena saputo dell’accaduto, era accorsa immediatamente. D’altronde, si trattava della sua clinica vetrinaria.
“Signora Murdock, qui si può solo ricostruirlo” rispose Hun.
La veterinaria chinò leggermente la testa e sospirò.
“Se serve aiuto, io sono disponibile” disse Spike, avvicinandosi.
“Esatto. Signore, avete appena ingaggiato in nuovo A-Team” aggiunse Hun sorridendo.
Una luce illuminò i volti di madre e figlia.
“Grazie, ragazzi. Manca solo…” disse Maddie.
“James” la interruppe Smith prendendo in mano il telefono.
 
***
Face stava facendo una romantica passeggiata nel parco con la sua amichetta quando sentì il telefono vibrare. Si scusò un attimo e guardò lo smartphone.
“Adesso ci si mette anche Hun? Uffa!” borbottò sottovoce.
Ignorò la chiamata e continuò a camminare mano nella mano con la sua ragazza.
 
***
 
“Pare che non ne voglia proprio sapere, gli lascio comunque un messaggio.” commentò Hun, armeggiando con la tastiera del cellulare. Quando ebbe finito, lo rimise in tasca.
“Intanto che il bello indaffarato si decide io vado a ritirare mio fratello” disse Maddie, avviandosi verso la macchina.
Sua madre fece per protestare, ma abbandonò le sue intenzioni scuotendo il capo e sorridendo.
 
***
 
Mike stava giocando con la Playstation 3, sdraiato di schiena sul suo letto e con i piedi appoggiati sul paracolpi dietro il cuscino. Guardava insistentemente il piccolo tv a schermo piatto sopra un mobile, vicino al fondo del letto, indaffarato a colpire i nemici virtuali cliccando freneticamente i piccoli tasti del controller.
Squillò il telefono e Mike mise in pausa.
“USS Enterprise NCC 1701” disse il matto tutto ad un fiato.
“Mike?” chiese la voce dall’altro capo.
“Ciao Maddie! Tutto bene?” rispose.
“Sì, tutto bene, grazie. Febbre?”
“Non più da due giorni! Eh eh!”
“Bene, dai! Mike abbiamo bisogno di te. Ti ho lasciato aperta la prima finestra del corridoio in Radiologia. Ti aspetto nel parcheggio lì fuori”
“Ok. Ah Maddie…”
“Sì?”
“Ho finito il gel per capelli”
“Va bene, dopo facciamo un salto al supermercato. Ci vediamo al parcheggio”
Mike salutò, riattaccò e si alzò dal letto. Si stiracchiò per bene, dopodiché spense la Play 3.
La sua stanza nel reparto psichiatrico era piuttosto piccola, l’arredamento consisteva solamente in un letto singolo, un mobile e un comodino. Delle sbarre in ferro alle finestre contribuivano a dare alla camera un aspetto più simile ad una cella di un carcere che a una stanza di un ospedale.
Nonostante questo, Mike aveva saputo darle un po’ di vivacità: sopra il mobile aveva messo un mini televisore al plasma e la sua preziosissima Playstation 3, affianco c’erano due colonnine fatte interamente dalle custodie dei suoi videogiochi.
Appesi alle pareti c’erano tutti i souvenir comprati durante i suoi viaggi o durante le missioni.
Il comodino era vuoto, fatta eccezione del manuale dell’ultimo gioco che aveva preso, aperto con le pagine rivolte verso il basso per tenere il segno. Mike stesso sosteneva di essere l’ultima persona al mondo in grado di aprire, leggere e comprendere le istruzioni dei videogiochi e diceva anche che per questo lo avevano rinchiuso in psichiatria.
Il matto posò due dita in bocca e fischiò. Dopodiché rapido si nascose sotto il letto.
“Cosa è successo?” chiese una voce per il corridoio. Si sentirono rumori di passi, poi il ticchettio delle chiavi e lo scatto della serratura.
“Ah, maledizione!” esclamò la stessa voce, questa volta era dentro la stanza.
“E’ scappato un’altra volta! Dai l’allarme!” ordinò un’altra persona nel medesimo posto.
Entrambe le persone uscirono, lasciando la porta aperta.
Aspettò che si allontanarono, quindi Mike uscì.
Prese le scale antincendio per non incappare in qualche medico, rientrò nell’edificio esattamente in reparto radiologia e attraversò il corridoio. Saltò dalla finestra aperta e atterrò su un’aiuola.
Un gioco da ragazzi.
***
 
Maddie stava aspettando suo fratello in macchina, parcheggiata vicino al reparto radiologia.
Localizzarlo non fu difficile: Soltanto Mike poteva tuffarsi dalla finestra, rotolare sull’aiuola e poi agitarsi per scuotere via la terra dai vestiti ululando come un pazzo.
Il matto si diresse verso l’automobile e ci salì dentro.
“Ciao Mike!” Lo salutò la sorella.
“Hey Maddie! Guarda, sono il signor Spock” disse il matto, con la mano destra in alto e le dita separate due a due. Senza gel il fratello aveva quasi la stessa pettinatura di Spock.
La ragazza sorrise, mise in moto la macchina e partì.
 
***
 
Hun guardò l’orologio da polso per l’ennesima volta, un po’ annoiato. Sia lui che Maddie, Mike e Spike stavano aspettando James, che se l’era presa comoda.
“Mentre Face si da una mossa io e Mike facciamo un salto al supermercato” disse Maddie, prendendo il fratello per il polso e dirigendosi verso l’auto.
“In partenza per esplorare strani, nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prim…” cominciò a recitare Mike a gran voce.
“Sta zitto!” lo interruppe la sorella.
 
***
 
Face arrivò esattamente qualche minuto dopo il ritorno dei due fratelli.
“Era ora!” commentò Spike.
“Scusa se vi ho fatto aspettare, avevo degli impegni” si giustificò James, uscendo da un’auto d’epoca, una Corvette C4 del 1984.
Anche lui, come Mike, provava un gusto particolare nel ‘prendere in prestito’ qualcosa dal proprio padre.
“La prossima volta che hai intenzione di farci aspettare avvisaci!” lo ammonì Hun.
Ora che erano tutti e che Mike aveva comprato un nuovo gel ripristinando momentaneamente la sua normale personalità, potevano cominciare.
Smith, come prima cosa, distribuì i primi incarichi.
“Face, tu andrai a prendere materiali e attrezzatura. Tutto quello che serve è scritto nella lista che ho compilato mentre ti aspettavamo” disse, sottolineando particolarmente ‘mentre ti aspettavamo’.
L’altro fece per protestare, ma fu zittito immediatamente da Hun.
“Mike e Maddie ripuliranno l’interno dell’edificio dalle macerie, Spike e io ci occuperemo di quelle più pesanti. Chiaro?”
“Signorsì signore!” esclamò Mike tutto ad un fiato, facendo pure il saluto militare. Gli altri si limitarono ad annuire.
“Bene. Al lavoro, squadra!” concluse infine Hun, accendendosi un sigaro.
Mentre Face andava a procurarsi tutto il necessario, gli altri entrarono nell’edificio armati di pale e carriole.
“Secondo te lo troveremo mai l’oro?” chiese Mike alla sorella, appoggiandosi sulla zappa, una volta riempita la prima carriola.
“No, ma ti ritroverai dell’argento in faccia se non la smetti di fare questi discorsi scemi” tagliò corto Spike, non lasciando a Maddie il tempo di rispondere.
Esattamente mezz’ora dopo James tornò con tutto il materiale. Prima di unirsi ai lavori, si cambiò per non sporcare il suo vestito nuovo.
Lavorarono sodo per ore e ore, spalando frammenti di legno bruciato e cenere.
Quando ebbero finito, ammucchiarono tutto un una montagnetta non molto distante.
La clinica, per facilitare le operazioni, era completamente vuota: Patricia si era offerta volontaria di prendersi cura degli animali fino a che l’edificio non fosse tornato agibile.
Spike e Maddie stavano salendo le scale per andare su quello che rimaneva del tetto, quando arrivò Kelly con un vassoio.
“Che ne dite di fare una pausa?  Vi ho preparato latte e biscotti” disse.
“Latte e biscotti?!” esclamò Mike, con l’acquolina in bocca: come sua madre faceva i biscotti non li faceva nessuno.
“Latte e biscotti!” replicò Spike, scendendo di corsa.
Si radunarono tutti attorno a un tavolo improvvisato. Al centro c’era un bicchiere per ognuno, la caraffa di latte e un piatto di biscottini.
Mike bevve un bicchiere di latte con un unico sorso e quando ebbe finito lo appoggiò sul tavolo con un tonfo. Spike, seduto di fronte, scoppiò improvvisamente a ridere, seguito poco dopo dagli altri.
“Ti sono venuti i baffi di latte!” esclamò infine, tra una risata e l’altra.
Anche il matto rise, poi si asciugò la bocca.
“Sono proprio buoni questi biscotti” disse Face, facendo il bis.
“Hai ragione. I miei complimenti alla cuoca!” disse Hun e Kelly sorrise, ringraziando.
Nei minuti seguenti nessuno parlò, l’unico rumore era quello dei bicchieri.
“Maddie” ruppe il silenzio Hun “Hai detto che a dar fuoco al tetto sono stati quattro uomini”
“Esatto. Il loro capo sembrava un motociclista con i baffoni” rispose la ragazza.
“Avevano qualche motivo particolare? Normalmente non si da fuoco a qualcosa senza un perché valido”
“No, è questo il punto! Quei tizi sono venuto qui, hanno tirato fuori qualche scusa banale, fatto danni e poi se ne sono andati via” rispose Maddie, con un tono preoccupato.
Hun non rispose, rimanendo pensieroso. Un motivo ci doveva pur essere stato, anche se non saltava subito all’occhio.
“Ehi! La Scatola Nera!” Esclamò Mike illuminandosi improvvisamente.
“È vero!! La Scatola Nera!” rispose Maddie a sua volta illuminata.
“La Scatola Nera?” Chiese Hun.
“In che senso Scatola Nera?” replicò James.
“Ma che diavolo è questa Scatola Nera?” esclamò Spike, confuso.
“Un registratore collegato a un piccolo microfono che ho costruito per origliare quegli scalmanati e scoprire i loro fini” spiegò Mike con un tono poco serio e la mano destra affianco alla testa muovendo il dito indice in un moto circolare, puntato contro Spike.
“Hmm, interessante. Ottima trovata, Mike!” disse Hun sorridendo.
Quando tutti ebbero finito di mangiare, Maddie andò a prendere la Scatola Nera. L’appoggiarono al tavolo.
Mike aprì un piccolo coperchio e ne estrasse due fili. Li collegò e un ronzio si diffuse nell’aria.
La scatola stava riproducendo tutto quello che aveva registrato, a partire dal dialogo di Maddie con il capo.
Quando arrivò il punto in cui i quattro uomini se ne andarono.
 
“Ben fatto, uomini!” disse il loro capo.
“Gli abbiamo inflitto un duro colpo, eh, capo? Ha ha ha!” rispose un altro.
 
“Chissà se sanno cos’è un dizionario di grammatica” commentò Face dopo aver sentito l’errore dell’uomo.
“Con il tetto ridotto in quel modo saremo sicuri che non ficchino il naso nelle nostre operazioni per un po’” disse il capo.
 
“Le cose si fanno interessanti” esclamò Hun.
Per alcuni minuti nessuno della banda parlò, si sentirono solo i rumori delle ruote delle Jeep sullo sterrato.
Ad un certo punto, le auto si fermarono e gli uomini scesero.
 
“Ecco, abbiamo la roba” disse il capo.
“Bene. Siete sicuri che nessuno vi abbia seguito?” chiese una voce estranea, non appartenente alla banda.
“Certo, questo posto è quasi desertico tranne per la clinica poco lontano, ma li abbiamo sistemati per bene prima di venire. Saranno occupati anche durante il prossimo scambio” rispose l’altro.
“Bene bene. Portatemi la roba” ordinò lo sconosciuto.
 
Si sentirono dei rumori, come se qualcuno stesse scaricando dei pesanti scacchi.
Il capo contrattò il prezzo con lo sconosciuto, le cifre erano da capogiro.
 
“Bene, bene. Quando mi porterete altra roba?” chiese lo sconosciuto.
“Fra due giorni. Un carico di sola er…”
 
Si sentì un forte rumore, come uno scroscio, poi più nulla.
“Deve essere caduto il microfono…” ipotizzò Mike.
“Ecco. Gli aggeggi che costruisce il pazzo non funzionano mai bene!” disse Spike.
“Beh, almeno funzionano. Adesso sappiamo quando ci faranno visita” lo corresse James.
“Ma non cosa trasportano, per avere così tanto bisogno di segretezza” aggiunse Hun.
Tutti tornarono al lavoro. Mike, Maddie e Spike si sedettero a cavalcioni sul tetto, mentre Hun e James passavano loro delle travi nuove. Successivamente, anche loro salirono. Hun stringeva sottobraccio una cartina e la distese sotto gli occhi di tutti. Erano i progetti dell’edificio, servivano per sapere dove posizionare le travi di legno.
Mike aveva portato con sé un megafono, che momentaneamente teneva dietro la schiena. Chissà a cosa sarebbe servito, tutti se lo chiedevano tra sé e sé.
A fine pomeriggio avevano piazzato le travi principali di metà buco. Avevano fatto un buon lavoro, ma erano tutti esausti.
“MUOVERSI! SIAMO IN RITARDO DI 7 ORE CON I LAVORI E LA FAMIGLIA PUPPY TORNERA’ PRESTO!” urlò Mike al megafono e tutti si tapparono le orecchie.
“Ah dannazione, Mike!” disse sua sorella con le orecchie tappate e facendo una smorfia.
“EH?” chiese il matto puntando il megafono verso la sorella e facendole quasi perdere l’equilibrio.
“Niente…”
“OK. FORZA SQUADRA!” urlò Mike agli altri.
Spike corse immediatamente da lui e gli rubò il megafono, riponendolo lontano dalla portata del matto.
Mike prese un po’ di chiodi e riprese il suo lavoro.
“Some nights I stay up cashing in my bad luck, some nights I call it up a draw. Some night I wish that my lips could build a castle, some nights I wish they’d just fall off…”canticchiò Mike sconsolato per la sua perdita, con alle spalle il sole al tramonto.
 
***
 
Il giorno dopo i cinque continuarono il lavoro. Hun e Spike sedevano a cavalcioni sulle travi già posizionate, Mike e James  da terra passavano loro le altre e Maddie controllava che tutto fosse a posto, dando una mano a Smith a fissare gli assi, dopo che Baracus l’ebbe posizionata.
“TUTTO A POSTO LASSU’?” urlò Mike con il suo megafono. Tutti e tre diedero una risposta affermativa.
Spike si avvicinò al bordo.
“Passatecene un'altra!” ordinò.
Gli altri due annuirono e corsero subito verso la catasta. Mike camminava in un modo strano.
“Che fai? Balli?” chiese James.
“I don’t feel like dancin’, no sir, no dancin’ today!”cantò il matto.
“Ah. Come no. Certo” rispose Face scuotendo la testa.
Il matto continuò a cantare anche mentre lui e James stavano portando a Baracus un altro po’ di travi.
“Oh no, cacchio!” imprecò Spike, infastidito.
“Di cosa ti lamenti? Sta andando benissimo, abbiamo pure la radio!” disse Hun sorridendo.
Maddie rise mentre stava picchiettando con il martello e Spike scosse la testa, sussurrando tra sé parole che gli altri due non udirono.
A fine giornata, mancavano solo tre assi da posizionare. Stavano andando con calma, Hun diceva sempre ‘Meglio fatto con calma ma duraturo piuttosto che fatto di fretta ma difettoso’.
 
***
 
Il giorno dopo Hun redistribuì gli incarichi. Quello era il giorno in cui la banda si sarebbe fatta viva di nuovo e non dovevano coglierli impreparati. Aprì il bagagliaio della sua Ford.
“Accidenti!” esclamò Face.
Dentro al baule c’erano quattro fucili mitragliatori Ruger Mini 14, due pistole Smith & Wesson 639 e un grande M60.
Ma dove le prendeva tutte quelle armi?
Consegnò i mitragliatori a Spike, James e Mike.
“Sai maneggiare un mitra?” chiese a Maddie prima di darle l’ultimo.
“Certo” rispose la ragazza, noncurante.
“Sono caricati a salve, comunque” disse Smith consegnando l’arma.
“Ho fatto alcune partite multiplayer con un gioco sparatutto contro mio fratello” aggiunse Maddie mirando agli alberi poco lontani.
“Sì, ma perdevi sempre!” Ci tenne a precisare Mike.
Hun prese una pistola e se l’assicurò nei pantaloni, in modo che venisse coperta dal giubbotto. Non si sa mai.
Mentre prendeva l’M60 arrivò Kelly, rimanendo sorpresa.
“Ha! Incredibile! Non credevo che le avessi ancora!” disse e Hun sorrise.
Kelly si avvicinò al figlio e passò un dito su un graffio nel corpo del fucile.
“Questo graffio! Lo fece tuo padre quando sbatté il mitra contro l’asfalto, cadendo” disse.
“Non mi dirai che…” cercò di dire Face, fissando Hun.
“Esatto. Le ho trovate rimettendo a posto la soffitta, poco tempo fa, piene di polvere. Era un peccato che si rovinassero in quel modo” spiegò Smith.
Dopodiché, illustrò alla squadra il piano che aveva in mente.
 
***
 
Qualche ora dopo, arrivarono le Jeep della banda, ma solo due (il capo e il suo secondo) scesero.
Nel soffitto c’era solo Hun che fingeva di picchiare dei chiodi, mentre a terra Mike, Maddie e Kelly che parlavano.
“Vedo che hai compagnia, bellezza!”  esclamò quello con i baffoni.
“Non sono affari tuoi, bellimbusto!” rispose Mike, irritato.
“Oh, ma quanto siamo arrabbiati, eh?” lo canzonò il vice capo.
“Senti, Custer, perché non te ne vai a Little Bighorn e ci lasci in pace una buona volta?” disse Hun da sopra il tetto.
L’altro sembrò molto irritato, tanto da tirare fuori una pistola e sparare un colpo.
Mancò di molto il polpaccio di Hun e questi capì all’istante che voleva ferirlo in modo non grave, così da tenere gli altri occupati. Prevedibile.
Il capo sparò un altro colpo e Hun si accasciò sul tetto con un lamento di dolore.
Quello con i baffoni rise. Sia lui che il suo vice tornarono alle Jeep e si allontanarono.
Dietro alla clinica, gli altri due membri del Team erano pronti con un pick-up. Spike Guidava, mentre James da dietro teneva d’occhio i fuoristrada della banda con un binocolo.
“Tutto ok, Hun? Ci hai fatto preoccupare!” Disse Maddie mentre l’altro scendeva dal tetto.
“Ci sono cascati in pieno, eh? Sono un attore nato! He he!” esclamò Hun.
Successivamente, i due fratelli e Smith salirono sul loro fuoristrada e pedinarono la banda.
 
***
 
I quattro uomini stavano contrattando con un altro, un tipo vestito con uno smoking nero, quando L’A-Team sbucò da dietro gli alberi, circondandoli con le armi puntate.
“Ma che… io ti…” disse quello con i baffoni, incredulo di vedere Hun ancora in piedi.
“Mia nonna ha una mira migliore” lo canzonò Smith, imbracciando l’M60.
L’altro fu piuttosto turbato.
“Non possiamo metterci d’accordo? Vi offro 500.000$ per dimenticare di averci visto” azzardò l’uomo con lo smoking.
“Questo è un tentativo di corruzione” precisò Hun, avvicinandosi.
Andò verso dei sacchi ai piedi di uno della banda. Lo aprì rivelando dei sacchettini con dentro una polvere bianca. Infilò un dito su uno e poi assaggiò.
“Questa non sembra affatto farina. Questa è cocaina!” esclamò.
“E c’è anche rima!” aggiunse Mike.
“Contrabbando e vendita di sostanze stupefacenti, tentativo di corruzione… beh Hun credo che avranno molto tempo per riflettere sui loro errori, in cella” disse James.
“Spike!” chiamò Hun. L’altro avanzò con una corda a tracolla e in men che non si dica tutti i malviventi erano belli e legati come salami.
“Maddie?” disse Smith.
“Fatto. La polizia sarà qui fra poco” rispose la ragazza, mettendo via il cellulare.
Hun ripose per un attimo l’M60 a terra, tirò fuori un blocchetto di post-it e scrisse qualcosa. Una volta finito, lo staccò e lo appiccicò su una delle Jeep.
Il biglietto, di un giallo sgargiante, recitava:
‘Arrestateci: siamo dei contrabbandieri di cocaina. Vi farà piacere sapere che abbiamo cercato inutilmente di corrompere l’A-Team’
“Un piano ben riuscito, eh?” disse Mike, guardando Hun.
“Già! Ma la cosa che mi piace di più dei piani ben riusciti è quando li eseguiamo tutti insieme” precisò Hun, sorridendo.
 
***
 
Il nuovo A-Team stava uscendo da un ristorante, felici. A lavoro finito, Maddie aveva promesso di offrire la cena a tutti in un ristorante consigliato da James.
“Accidenti, qui si che si mangia bene!” commentò Spike.
“Eh, io me ne intendo di ristoranti” disse James.
Camminarono un po’ per il marciapiede, discutendo e facendosi i complimenti a vicenda della buona riuscita della missione.
“E così voi siete quelli che si fanno chiamare il nuovo A-Team” disse un vecchietto alzandosi da una panchina.
I cinque si fermarono e tacquero immediatamente.
“Sì. Dove vorresti arrivare, Roderick?” chiese Hun, serio. Sembrava che i due si conoscessero già.
“Eseguirete missioni, aiuterete le persone, certo, ma rimarrete sempre una copia. Non sarete mai all’altezza del vecchio A-Team a cui davo la caccia ai miei tempi!” disse il vecchietto con un tono minaccioso.
“Ma almeno noi siano qui” precisò Hun e il vecchietto se ne andò scuotendo la testa.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I Cavalieri Del Cielo ***


Dieci anni fa i figli di un commando specializzato operante in Vietnam rifondarono un leggendario gruppo sciolto da tempo. Usando un vecchio negozio come quartier generale, vivono a Los Angeles, lavorando in incognito. Sono tuttora in azione, se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il nuovo A-Team!

Hun stava mettendo a posto alcuni “nuovi” arrivi al negozio di antiquariato da un grosso scatolone posato al centro della sala, mentre Maddie, nel retrobottega, stava ripassando tutti gli argomenti studiati all’università durante l’anno. Le serviva un po’ di pace e tranquillità e quel posto era perfetto.
C’era un silenzio tombale, rotto ogni tanto dal rumore di un oggetto posato da qualche parte, una pagina sfogliata o un libro chiuso.
Smith stava mettendo il prezzo al penultimo oggetto quando il telefono squillò.
Entrambi si girarono verso questo.
Hun si avvicinò e alzò la cornetta.
“Negozio d’antiquariato ‘Vecchi Ricordi’. Come posso esserle utile?” disse, recitando la classica frase formulare. A giudicare dall’espressione che fece poco dopo, non doveva essere sicuramente un cliente.
Maddie smise di leggere il libro che aveva in mano. Sentire Hun rispondere a monosillabi o semplicemente con un ‘hmmm-hmmm’ la faceva preoccupare: non era da lui.
Smith appoggiò la cornetta lentamente e inspirò.
“E’ successo qualcosa?” chiese la ragazza.
L’altro si girò, visibilmente molto preoccupato.
“Hanno rapito James” rispose Hun. Tre semplici parole, ma con un grande effetto.
Maddie non perse tempo e fece il numero del fratello.
“Matto di Casa 24 ore su 24, direttamente a casa tua, addio lavori domestici!Come posso esserle utile?” disse il matto.
“Mike, prepara il protocollo di fuga numero 34. Codice 5” disse velocemente la sorella.
“Arrivo subito” rispose Mike, con un tono pacato ma che lasciava trasparire della preoccupazione.
Hun la fissò con uno sguardo interrogativo.
“Protocollo numero 34? Codice 5? Cosa sono?” chiese.
“Ti ricordi quella volta che abbiamo dovuto fare una missione senza Mike perché i medici avevano intercettato la sua fuga e rinchiuso in una cella di isolamento?” disse la ragazza.
“Oh, sì, me lo ricordo”
“Ecco, da allora abbiamo fissato una specie di codice in modo che, se qualcuno avesse origliato, non avrebbe capito i piani. Le fughe sono ordinate in ordine di sicurezza: la 34 è una di quelle che ha una probabilità di essere scoperti in anticipo molto bassa. I codici invece sono numerati da 1 (priorità bassa) a 5 (priorità massima)” spiegò Maddie, lasciando a Hun un’espressione stupita.
“Bravi! Meglio di un pronto soccorso”
“Mi stupisco di come Mike sia riuscito a imparare a memoria tutti i 40 piani” aggiunse Maddie, facendo il numero di Spike.
 
***
 
Una volta ‘ritirato’ Mike dall’ospedale, Maddie raggiunse Spike e Hun al negozio. Si sedettero tutti nel retrobottega per discutere della situazione.
“È arrivata una telefonata prima.  Hanno rapito James” disse Hun, serio.
“Cosa?! Si è fatto rapire? Che femminuccia!” commentò Spike, stupito. Maddie, seduta di fianco a lui, gli lanciò un’occhiata fulminante.
“Scommetto 10$ che lo hanno catturato con una bella ragazza. Tipico” disse la ragazza, scuotendo la testa.
“Io scommetto altri 10$ che sono stati due gorilla grossi come un armadio a rapirlo” ribatté Mike, seduto di fronte alla sorella, con un tono di sfida.
“Ci sto!” rispose l’altra, fissandolo negli occhi.
“Tornando a noi” disse Hun, interrompendo i due fratelli “il rapitore ha detto di aspettare successive istruzioni, che ci fornirà tramite un telefono pubblico davanti al supermarket, alle tre in punto di questo pomeriggio. Beh, sapete già come fare”
Gli altri tre annuirono.
 
***
 
Hun aspettava nervosamente davanti alla cabina telefonica. Nel frattempo, Maddie era andata a prendere uno spuntino al supermarket e Spike, aiutato dal matto,  stava posizionando un sacco di fili e apparecchi elettronici, presi poco prima a casa sua.
“Accidenti, Spike! Questa è roba da dinosauri!” esclamò Mike prendendo una matassa di cavi dal bagagliaio dell’auto di Hun.
“Questa è roba mia!” precisò l’altro. Vedendo che Mike si era aggrovigliato nel tentativo di sciogliere la matassa, lo aiutò a liberarsi.
“Per fortuna dovevi aiutarmi” borbottò Spike.
“Non è mica colpa mia se lavori con degli spaghetti assassini”  si giustificò il matto. Spike lo ignorò e, armato di cavi e pinze, salì sul palo del telefono.
Armeggiò un po’ con i suoi attrezzi , dopodiché scese e collegò l’altro capo dei fili a un aggeggio nero e pieno zeppo di levette, tasti e lucette. Al centro, c’era un display LCD.
Sentendo Spike imprecare furiosamente, Mike smise di rincorrere una farfalla e lo raggiunse.
“Non funziona, accidenti! Avrei dovuto controllarlo prima di prenderlo” spiegò l’altro. Il matto, senza dire nulla, aprì la scatola e scambiò alcuni fili colorati. Subito dopo la richiuse e si girò verso Spike, facendo un largo sorriso. Baracus fece scattare l’interruttore e una spia verde si accese. Spike guardò il matto, incredulo.
“Quello con la stanza di fronte alla mia è un T-Rex. Te l’avevo detto che era roba da dinosauri!” disse il matto e Spike gli diede una pacca sulle spalle, ridacchiando.
 
***
 
James si svegliò in un grande capanno. Nonostante le numerose finestre, l’interno era quasi buio a causa dello strato di sporco sui vetri che impediva il passaggio di buona parte della luce. La testa gli girava e vedeva leggermente sfocato. Aveva mani e piedi legati a una sedia con una grossa corda. Face fece una smorfia: la fune, stretta in quel modo, gli avrebbe sicuramente stropicciato il vestito.
Un uomo si avvicinò, James non poté vederlo in faccia perché aveva il volto coperto dall’ombra.
Face si sentiva piuttosto confuso, l’ultima cosa che ricordava era quando aveva offerto un drink a una ragazza carina, poi fu tutto nero.
L’uomo si avvicinò a un tavolino, poco lontano dal prigioniero, e prese un oggetto.
“Spero non ti dispiaccia se prendo in prestito il tuo smartphone un’altra volta” disse questi, con un voce roca e un po’ inquietante.
“Certo che mi dispiace! L’ho pagato 800$, che diamine! Ehi… che fai? Mettilo giù!” protestò disperatamente James.
“Non sei nella condizione di dare ordini” rispose l’altro.
“Ah, maledizione!” imprecò Face, sotto voce.
 
***
 
Maddie uscì dal supermarket con un sacchetto di carta tra le braccia.
“Tutto pronto?” chiese mentre camminava.  Hun annuì, poi guardò il sacchetto della spesa.
“Cosa ci hai portato di buono?” chiese.
“Ho preso un po’ di frutta e…” rispose, ma fu interrotta da Smith, che infilò la mano nel sacchetto, prese una mela e l’addentò.
“Sì, Spike, ti ho preso anche il latte” disse Maddie notando l’espressione scettica di Baracus.
“E Hot Dog?”
“No”
“Cheeseburger?”
“No”
“…Un panino con il burro d’arachidi?”
“Frutta, che fa bene” Concluse Maddie, un po’ irritata, raggiungendo suo fratello.
“Ha ragione” disse Hun passando di fianco a Baracus e mordendo la sua mela. Spike fece un gesto con la mano e mandò giù un sorso di latte.
“Mike! Ti ho portato …” disse Maddie tirando fuori un sacchettino.
“Le noccioline!” esclamò il fratello rubandole dalla mano della sorella, con gli occhi luccicanti.
Mike adorava le noccioline, ne andava pazzo.
Poco dopo il telefono pubblico squillò, perfettamente in orario. Spike si mise subito al lavoro con i suoi aggeggi mentre Hun rispondeva.
“Hun Smith” disse con un tono secco.
“Salve, Hun! È una giornata meravigliosa, non le pare?” rispose una voce dall’altro capo del telefono.
“Dov’è James Peck?” tagliò corto l’altro, arrivando al sodo.
“Ascolti attentamente” cominciò la voce, improvvisamente seria “Portatemi 300.000$ in contanti e riavrete il vostro amico”
“Credo che abbia sbagliato persone da ricattare: noi non siamo miliardari o indovini e nemmeno indovini miliardari. Cosa le fa pensare che riusciremo a trovare…  ma soprattutto, che le daremo…. Tutti quei soldi, senza nemmeno sapere dove consegnarli?”
“Avanti, voi siete l’A-Team! Ve la caverete, in un modo o nell’altro. Alle undici di mattina in punto, da solo. Avete due giorni di tempo.” concluse la voce, riattaccando il telefono.
“Spike!” disse Hun voltandosi verso Baracus.
“2471 Hunter Street, Los Angeles, CA. Il numero di telefono è quello di James” rispose velocemente l’altro.
“Qui per ora è tutto, linea allo studio” aggiunse Mike.
Hun prese una monetina e la inserì nel telefono. Fece rapidamente il numero, poi appoggiò l’avambraccio su una piccola sporgenza tra un vetro e l’altro della cabina.
“Ciao Fred, sono Hun. È un po’ che non ci sentiamo, eh? Ho bisogno di un favore, hai ancora i Verdoni Hollywoodiani? Riesci a prestarmene 30 matasse da 10.000? …Ok, ok… sì, è una missione. Mandameli pure in negozio… Va bene… Grazie infinite, Fred! Buona giornata!”
“Perdona la curiosità, ma chi hai chiamato?” chiese Maddie.
“Un vecchio amico di Hollywood che mi deve un favore” rispose Hun, riagganciando la cornetta.
 
***
 
Quella sera si trovavano tutti nell’appartamento di Hun. Secondo lui, visto la situazione era meglio restare uniti in caso il rapitore avesse voluto raddoppiare il riscatto. L’unione fa la forza.
Mike e Spike erano in salotto e Maddie guardava la strada fuori dalla finestra di una camera. Hun si era allontanato un attimo, con la scusa di dover chiudere il negozio di antiquariato.
“Cosa stai facendo?” chiese Spike, notando che il matto stava guardando con crescente interesse la tv.
“Guardo la Tv” rispose Mike.
“Ma è spenta!” osservò Baracus.
“Stanno trasmettendo un reality show”
“Guardi i reality show?!”
“Di solito no, ma guarda! C’è uno seduto sul divano che mi assomiglia tantissimo!”
“È il tuo riflesso, scemo!”
“Spike! Mike! Piantatela!” li rimproverò Maddie dall’altra stanza.
Ci furono due o tre minuti di completo silenzio.
“Ehi, un momento” disse Mike “Se nella tv ci siamo noi, vuol dire che noi siamo nel reality show! Sono una star della televisione!”
“No! Tu sei un matto a piede libero!”
“Spike! Smettila, o lo farai andare in crisi!” lo rimproverò di nuovo Maddie.
“In crisi ci andrò io se questo pazzo scemo non la smette!” ribatté Spike.
“Non sono pazzo!” commentò Mike “Sono matto e la differenza è abissale!”
Finito di parlare, incrociò le braccia e si girò dall’altra parte.
Spike lo prese per un bavero del giubbotto in pelle e lo alzò di peso, in modo da guardarlo in faccia.
“Matto o pazzo sono la stessa, identica, cosa! Entrambi vogliono dire malato mentale!” abbaiò nervosamente Spike.
Qualcosa nel cervello di Mike scattò. Un ricordo, un’idea, un pensiero, richiuso nei più remoti angoli della sua mente, si riversò nella sua testa.
Spike vide subito che qualcosa non andava, il matto impallidii e i suoi occhi erano fissi su un punto lontano.
Maddie, come se avesse fiutato la situazione, si precipitò immediatamente in salotto.
“Complimenti, Spike! Sei riuscito a farlo andare in crisi. Fra qualche secondo comincerà a delirare… tre… due… uno…”  disse Maddie con un tono di rimprovero.
Puntualmente, Mike si liberò dalla stretta di Spike con uno strattone e indietreggiò fino ad avere i polpacci contro il divano. Cominciò a balbettare cose senza un senso logico, forse buttate lì a caso come tentativo di esprimere qualcosa.
“Mike…?” disse sua sorella, avvicinandosi.
“Spike… Spike ha… ha ragione…. Sì… io… io…. Io sono pazzo…. S-sono…” balbettò il fratello, ma non riuscì a finire la frase che Maddie lo strinse in un abbraccio. Mike provò a protestare, ma la sorella lo zittì.
“Shhh… Mike, tu non sei pazzo…”
“Eh! Come no!” commentò Spike e Maddie gli lanciò un’occhiata fulminante.
“Sei solo… un po’ squilibrato, ecco” continuò la ragazza rivolgendosi a Mike.
Spike fece un verso di disappunto e fu di nuovo fulminato dallo sguardo di Maddie.
“Stavi pensando ancora a quel film?” chiese la sorella.
Il fratello non parlò, annuì soltanto. La ragazza sospirò.
Mike era facilmente impressionabile, come la madre. Pochi anni prima lui e sua sorella avevano guardato un film horror in cui a un matto venivano delle specie di black-out, durante le quali scappava e commetteva degli omicidi. Sparito il black-out,  il killer dimenticava tutto e riprendeva la vita normale.
Il personaggio era matto. Il personaggio era pericoloso.
Lui era matto. Allora, anche lui era pericoloso?
Pensandoci, Mike entrava in crisi delirando.
Proprio come in quel momento. Toccava a Maddie, poi, trovare un modo per calmarlo.
I due rimasero stretti in un abbraccio fraterno e Mike cominciò a calmarsi.
Secondo Spike, erano un po’ ridicoli. Hun avrebbe sicuramente detto il contrario.
Forse nessuno avrebbe capito il profondo legame che c’è tra fratello e sorella meglio di Maddie e Mike.
“Sentite, mentre ve ne state così io vado a bere qualcosa” disse Spike, andando in cucina.
Mike tirò un profondo sospiro e sciolse l’abbraccio.
“Meglio?” chiese Maddie.
Mike rispose di sì ed entrambi si sedettero sul divano. Poco dopo, arrivò Spike con in mano un bicchierone di latte e cacao e sorseggiandolo di tanto in tanto. Si sedette affianco a Maddie, che accese la televisione.
 
***
 
Hun arrivò qualche ora dopo, con in mano una scatola. In salotto era buio, fatta eccezione per la luce intermittente della Tv. Tutti e tre, accasciati sul divano, sembravano dormire anziché essere svegli.
“Ciao Hun” disse Maddie sbadigliando.
“Scusate se ci ho messo molto”  si giustificò Hun. Diede un’occhiata all’orologio appeso alla parete: segnava le undici e un quarto di sera. Ci aveva messo più del previsto.
“Spero ne sia valsa la pena, io sto morendo di sonno!” protestò Spike.
Hun accese le luci e quelli seduti sul divano chiusero gli occhi, infastiditi nel vedere la luce dopo tanto buio.
Si alzarono tutti in piedi per vedere cosa c’era nella scatola che Smith aveva appena appoggiato sopra la tavola. Hun ne estrasse cautamente una valigetta e l’aprì, con lo stupore dei presenti.
“Accidenti!” esclamò Maddie.
“Hun, a chi li hai fregati?”  chiese acidamente Spike.
All’interno di quella valigetta c’erano innumerevoli matasse di dollari verdi, non avevano una piega, sembravano nuovi. Smith prese un foglietto piegato in due e riposto sopra i soldi e lo lesse.
 
‘Carissimo Hun,
Ecco qui, direttamente da un set di spionaggio di Hollywood, 300.000$. Tutto materiale di scena nuovo di zecca, trattali bene. Ora siamo pari, in bocca al lupo per la tua missione!
Con affetto,
Frederick Santana’
 
“A nessuno, Spike.Non sono nemmeno soldi veri” rispose Hun, sorridendo.
“Contraffatti?” chiese Mike, sgranando gli occhi.
“Materiale di scena. Roba da film” rispose Smith, finendo lì il discorso. Richiuse la valigetta e la serrò dentro una piccola cassaforte. Sebbene siano stati attrezzi di un set, ci teneva particolarmente a non perderli.
“Bene. Come Ho già detto, per evitare altri inconvenienti rimarrete qui questa notte” spiegò Hun.
“C’è una camera degli ospiti con due letti: Mike e Spike dormiranno lì, Maddie invece prenderà il mio letto” disse, indicando gli altri tre a turno, quando li nominava.
“Quanto a me… dormirò sul divano”
“Dormirò io sul divano” protestò la ragazza.
“Ottimo spirito di iniziativa ed altruismo, Maddie, ma conservalo per domani. A letto!” rispose Hun e gli altri obbedirono.
 
***
 
Un profumino invitante svegliò Hun la mattina successiva. Una luce tenue penetrava tra le tende e un leggero sfrigolio condiva l’atmosfera mattutina. Il rumore proveniva dalla cucina, come se qualcuno stesse cucinando.
Hun, anche se a malavoglia, si alzò per controllare. In cucina c’era Mike, intento ad armeggiare con due padelle. Con una faceva saltare la frittata e poi la prendeva al volo con l’altra. La tavola era preparata meticolosamente, c’erano piatti, posate, bicchieri… tutto, non mancava niente. Ma che bravo.
“Buon giorno Hun! Dormito bene?” chiese, facendo saltare in aria la frittata e riprendendola al volo subito dopo.
“Mike, ma cos…?” tentò di dire Smith, ma fu interrotto dal matto.
“Ho visto che non ti svegliavi più, così mi sono dato da fare. Spero non ti dispiaccia” spiegò, con un largo sorriso stampato in faccia. Hun fece cenno di no e guardò l’orologio appeso alla parete del salotto: segnava le otto e un quarto.
“Da quant’è che sei sveglio?” chiese.
“Da quando Spike mi ha buttato fuori dalla camera a calci, circa… tre ore fa” spiegò. Rigirò la frittata nella padella più volte, finché, quando fu pronta, la posò su un piatto.
“L’omelette la vuoi con o senza formaggio?” chiese il matto.
“Con, grazie” rispose l’altro, sedendosi su una sedia.
Poco dopo uscì anche Spike, stropicciandosi gli occhi.
“Ben svegliato! Dormito bene?” chiese Hun.
“Mike non ha fatto altro che delirare, saltellare sul letto e camminare in giro per quasi tutta la notte. Le ultime tre ore sono state le migliori!” si lamentò Baracus.
“Scusa, ma non a caso in ospedale mi mettono a dormire con la camicia di forza o anche sedato, a volte” rispose Mike, seccato.
Passarono alcuni minuti, tempo necessario a Mike per finire un’altra frittata.
“La vuoi con o senza formaggio, Spike?” chiese il matto.
“Cosa?” rispose Baracus, confuso.
“L’omelette!”
“Te lo scordi! Io non mi farò avvelenare da te!”
Spike sembrava piuttosto irritato.
“E tu, Hun, lo lasci fare! Ci avvelenerà tutti! Finiremo all’ospedale”
“Attento, amico,  se non ti calmi in ospedale ci finirai tu. Corromperò i medici perché ti diano la stanza accanto alla mia” disse Mike, sventolando una forchetta gocciolante di uova sbattute.
“Con formaggio” esclamò Spike, cambiando repentinamente idea.
“Buongiorno!” esclamò Maddie, facendo capolino dalla porta delle camere stiracchiandosi mentre Mike metteva nella padella una nuova frittata. Gli altri la salutarono in coro.
“Per me niente formaggio” disse, anticipando la domanda di Mike.
 
***
 
Un lieve schiocco secco e la corda si allentò. James si sgranchì i polsi, quasi non gli sembrava vero di essere libero dopo quasi tutta la notte passata a sfregare un grimaldello acuminato contro la fune,  tagliando un filo alla volta. Teneva sempre uno o due utensili per scassinare all’interno del polsino della giacca. Non si sa mai.
Lasciò che le corde tagliate scivolassero e cadessero a terra con un debole tonfo, poi passò a rompere anche quelle che gli legavano i piedi. Una volta che fu libero, si lisciò il vestito e si guardò intorno. Si trovava in una stanza vuota, le pareti erano grigie e cupe. Sembrava quasi una cella. L’uomo misterioso lo aveva portato lì dopo aver fatto una telefonata con lo smartphone ‘preso in prestito’ a Face.
Davanti a lui c’era una porta in legno. Si avvicinò e provò ad aprirla ma era chiusa a chiave. Aveva ancora stretto in mano il grimaldello e lo usò per scassinare la serratura. Facile, un gioco da bambini.
Uscì e si richiuse cautamente la porta dietro di sé, facendo attenzione a non fare rumore. Ora si ritrovava nello stanzone centrale del magazzino abbandonato. Camminò tra gli scaffali in legno poco distanti, il suo sequestratore era certamente lì da qualche parte e non voleva essere scoperto. Urtò accidentalmente un secchio e James prese al volo un pennello che a momenti cadeva a terra. Rimase per qualche secondo con il fiato sospeso e le orecchie tese nel percepire anche il minimo segnale di pericolo. Non udendo nessun rumore, Face mise il pennello al suo posto e continuò a camminare.
Stava quasi per giungere alla porta che conduceva all’esterno quando un rumore sospetto catturò la sua attenzione. Sembrava un pezzo di scotch schiacciato dal piede di qualcuno.
Si girò, ma qualcosa di duro lo colse nel movimento e lo fece cadere sul duro e freddo pavimento del magazzino, privo di sensi.
 
***
 
Verso tardo pomeriggio i quattro membri dell’A-Team rimasti si riunirono in una stradina persa tra gli edifici di Los Angeles.
“Bene. Spike e Maddie andranno a perlustrare l’edificio da cui ci hanno chiamato” ordinò Hun “Mentre Mike verrà con me”
“Cosa dobbiamo cercare?” chiese Spike.
“Qualsiasi cosa possa sembrare un punto debole che possiamo sfruttare a nostro vantaggio” rispose Smith.
“Grande. Specifico al 100%” commentò Maddie, dopodiché i due andarono via con i mitragliatori in spalla.
“Bene” disse Hun, guardando il matto “Noi due, invece, facciamo un salto all’eliporto. Che ne dici?”
Vedendo gli occhi luccicanti di Mike, Hun sorrise.
 
***
 
Hun camminava disinvolto lungo un piazzale rialzato in cemento, seguito dal matto. Ad un certo punto si fermò bruscamente, guardandosi intorno.
“Ecco!” esclamò, indicando un punto con il dito.
Si avvicinarono all’oggetto indicato da Hun, un Bell 206.
“Sai come pilotare un elicottero?” chiese Hun.
“Posso sempre provare” rispose il matto, salendo sul velivolo. Hun lo imitò sedendosi affianco.
Mike esplorò tutti i comandi a sua disposizione, mordendosi un labbro. L’unica volta che era salito su un elicottero era con suo papà, quando aveva undici anni. Chiuse gli occhi e focalizzò l’attenzione su quel momento, cercando di ricordare quali operazioni faceva suo padre per farlo decollare.
Non che ricordasse molto di quando era piccolo.
Riaprì gli occhi lentamente.
“Tutto ok?” chiese Hun, vedendo l’esitazione di Mike.
Il matto scosse lievemente la testa.
“Se non ce la fai, possiamo farne a meno. Non è indispensabile” propose Hun, ma Mike rifiutò con un gesto della mano.
Una specie di levetta rotonda catturò la sua attenzione. Era simile a un chiodo, Mike la premette fino in fondo per vedere cosa sarebbe successo. Con grande sorpresa, le pale cominciarono a girare.
Una specie di leva, posta tra un piede e l’altro e abbastanza lunga da permettergli di prenderla facilmente con la mano, sembrava avere la stessa funzione di una cloche. Provò a tirarla verso di sé, spingendo altri pulsantini ,tirando levette che gli ispiravano fiducia e armeggiando con la pedaliera. L’elicottero si mosse un poco, si alzò di qualche centimetro da terra girando lievemente su sé stesso. Quando sembrava aver trovato il modo di farlo decollare, il motore improvvisamente rallentò. Il Bell 206 ricadde a terra con un tonfo e le pale smisero di girare.
Mike si girò verso Hun, che sembrava un po’ spaventato.
“Credo di aver fuso il motore!” esclamò il matto, con un’espressione che Spike avrebbe definito ‘idiota’ stampata in faccia.
 
***
 
La sera si ritrovarono di nuovo all’appartamento di Hun. Tutti e quattro si sedettero attorno alla tavola, per confrontare gli esiti dei loro incarichi. Spike prese un foglio bianco e con una penna tracciò un rettangolo non molto preciso, poi evidenziò un’area davanti a uno dei lati più lunghi.
“L’edificio è di forma rettangolare e questo è un piazzale per il carico e scarico merci” disse, con un tomo pacato e secco.
“Nel lato a sud-est c’è una porta chiusa” disse Maddie rubando la penna dalle mani di Baracus “che ovviamente noi non abbiamo varcato per salvaguardare la nostra copertura”
“Dall’altra parte a sud-ovest non sappiamo nulla… c’è una recinzione con una siepe invalicabile”
“ i lati est e ovest non hanno niente di particolare”
“Ottimo lavoro!” esclamò Hun, accendendosi un sigaro.
“Voi invece?” chiese Spike, quasi li stesse stuzzicando.
“Beh…” disse Smith guardando Mike con la cosa dell’occhio “Credo che dovrò rielaborare la seconda parte del piano”
“Niente arma segreta, quindi” chiese Maddie.
“No”
“Ma che cavolo era quell’’arma segreta’?” chiese Spike facendo una smorfia.
“Non importa” tagliò secco Hun. Non voleva far sapere cosa aveva intenzione di fare prima che un piccolo inconveniente stravolse tutto.
Finito di scambiarsi i risultati, ognuno andò a dormire. Questa volta, Mike e Maddie andarono nella camera degli ospiti, Hun nel suo letto e Spike preferì dormire sul divano piuttosto di passare un’altra notte insonne.
 
***
 
L’aria della mattina accarezzava la pelle del viso di Hun e portava via le ceneri del suo sigaro acceso. Era visibilmente teso, se qualcosa fosse andato storto qualcuno poteva lasciarci le penne.
Con un cenno del capo, salutò gli altri tre per avviarsi verso il piazzale per il carico e scarico merci, reggendo la valigetta in pelle nera con la mano sinistra.
Appena girò l’angolo sparendo dalla visuale, gli altri membri si diressero verso la porta sul lato sud.
Secondo Hun, con molta probabilità il rapitore avrebbe ucciso James una volta intascato i soldi. Loro dovevano liberarlo prima che accadesse e poi dare una mano a Hun.
Tutti e tre avevano un fucile a testa, ad eccezione di Spike che ne aveva un altro in spalla, per James.
“Io… devo andare via un attimo” disse Mike, lasciando gli altri perplessi. Il matto fece dietro-front e cominciò a camminare.
“Dove vai?” chiese Maddie, incredula dell’improvvisa codardia del fratello.
“Un Cavaliere non si lancia mai in battaglia senza il suo cavallo” esclamò il matto alzando il braccio come per indicare in punto nel cielo, mentre camminava con lo sguardo fisso in un punto lontano nell’orizzonte.
“Ok. Ok. Adesso lo abbiamo proprio perso” esclamò Maddie.
“E quando mai quello è stato tra noi?” rispose Spike.
“Forza, andiamo” tagliò corto Maddie, varcando la porta a sud-est dell’edificio.
All’interno era piuttosto buio, alla loro sinistra c’erano degli scaffali in legno, mentre alla loro destra dei muri e delle porte, come se ci fossero altre stanze.
“Io rimango qui, a fare la guardia alla porta” disse Maddie e Spike la squadrò. Anche se Baracus, avendo fatto pugilato per parecchio tempo, era largamente più forte di Maddie, ma se venissero colti alle spalle di sorpresa i muscoli sarebbero serviti a ben poco.
Spike si addentrò nel buio del magazzino, mentre Maddie se ne stava alla porta reggendo con due mani il mitra e canticchiando sotto voce un motivetto.
Si sentiva uno strano rumore in lontananza. Incuriosita, alzò lo sguardo al cielo e vide uno strano oggetto che si avvicinava, ondeggiando pericolosamente tra i condomini. Quando lo strano oggetto si avvicinò di più, la ragazza poté distinguerne i lineamenti. Era certamente un piccolo elicottero, la coda dietro era un mosaico di tubi di ferro che le ricordava tanto la Tour Eiffel. Quando, dopo una serie di manovre spericolate, l’elicottero atterrò lì davanti, Maddie riconobbe la figura familiare che ne scese, mettendosi a posto il vecchio giubbotto in pelle marrone.
Nel frattempo, Baracus provò a forzare la serratura di una porta. Vedendo che non andava a buon fine, la sfondò di peso.
Un  buco nell’acqua. La stanza era vuota.
Spike imprecò, poi si voltò.
Un omone, altro almeno una spanna in più di lui, lo stava fissando con le braccia incrociate. L’oscurità che lo copriva rese quasi impossibile vederlo in faccia.
Spike fece per imbracciare il fucile, ma l’omone con un colpo lo fece scivolare a terra. Disarmato, a Baracus non restò che sfoderare i suoi pugni. I due uomini si fiondarono in una serie di pugni e calci, facendo cadere non pochi oggetti, talvolta interi scaffali facendoci cozzare contro l’avversario.
Maddie, sentendo il trambusto, cercò di intervenire. Mike la prese per una spalla, bloccandola prima che fosse troppo tardi. La ragazza lo guardò con uno sguardo interrogativo. Mike chiuse gli occhi e scosse la testa. I due fratelli rimasero a guardare impotenti L’omone che faceva rialzare Spike semicosciente e gli legava le mani.
“Guarda” disse Mike “Lo sta legando. Probabilmente lo porterà da Hun per alzare il prezzo”
Maddie si girò e guardò suo fratello. In quell’attimo sembrava che tutta la sua pazzia fosse sparita dai suoi occhi.
 
***
 
Il ricattatore uscì da un portone che dava al piazzale dedito al carico-scarico merci e raggiunse Hun. Al contrario di quanto Smith si aspettasse, era di media statura, magretto e indossava vestiti logori e consumati.
Hun inarcò un sopracciglio. James si era fatto rapire da uno come quello? Sembrava fin impossibile…
“Finalmente ci incontriamo, eh?” chiese l’uomo.
“Dov’è James?” tagliò corto Hun.
Uno strano rumore invase l’aria ed entrambi cercarono con lo sguardo la fonte. Abbandonarono presto le ricerche e ritornarono ai fatti.
“Dammi i soldi” tagliò corto il ricattatore, tirando fuori una pistola di colore nero pece.
Hun lo disarmò con un calcio ed estrasse la sua Smith & Wesson 639 e la puntò contro l’altro uomo.
“Ah-ah” disse, tenendo il sigaro stretto tra i denti.
“Non muoverti o ti faccio un buco in testa” disse una voce femminile alle sue spalle.
Una signora, più o meno con la stessa età dell’uomo, lo aggirò fino a raggiungere il rapitore, sempre tenendo una pistola puntata contro Hun.
“Posala. Adesso” ordinò.
Smith obbedì e, seppur a malincuore, posò l’arma. L’uomo si fece avanti e la prese.
“Giusto in tempo, cara” disse.
Quasi come se fossero sincronizzati, un altro uomo aprì la porta ed uscì. Era grande e grosso e teneva stretta in mano i due capi della corde che stringevano i polsi di Spike e James.
Le cose si facevano più complicate del previsto. Ma era questo che piaceva a Hun.
“Oh bene! Facciamo i furbetti, eh?” lo canzonò il rapitore. L’omone ridacchiò.
“I soldi” puntualizzò la donna. Hun fu costretto a consegnarli. Anche se le cose fossero andate male e non fosse più riuscito a recuperarli, non sarebbe stata una grave perdita. Era tutto materiale di scena…
La signora l’aprì e fece vedere il contenuto anche al rapitore.
“Con questi non saremo più costretti a fare l’elemosina, non è fantastico, cara?” disse.
Hun corrugò la fronte. Quei tre erano poveracci pronti a tutto pur di guadagnarsi da vivere, anche a costo di macchiarsi la fedina penale.
Lo strano rumore, che per un momento sembrava essersi attenuato, divenne sempre più forte finché un elicottero sbucò dal retro dell’edificio. Ondeggiando pericolosamente in tutte le direzioni, si avvicinò a loro e compì una virata, girando su se stesso e fermandosi a due o tre iarde da terra.
“Arriva la cavalleria volante, I Cavalieri del Cielo!” esclamò Mike urlando come un indiano. In piedi sull’altro lato c’era Maddie, che sparava in aria con il fucile.
Approfittando del momento di distrazione, Hun disarmò il ricattatore e la donna, mentre Spike e James misero a terra l’omone con un colpo ben assestato a mani legate.
I due raggiunsero Hun e, una volta che furono liberi e che ebbero recuperato la valigetta, salirono sull’elicottero e volarono via.
 
***
 
I cinque membri dell’A-Team più tardi si ritrovarono al bar.
“James, come ti hanno rapito?” chiese Maddie.
“Con… una bella ragazza” rispose Face.
“HA!!! Mike, PAGA!” esclamò eccitata allungando la mano verso suo fratello, che dovette sganciare 20$ a malincuore. Si sedettero al bancone e Mike cominciò a stordire Spike con le sue chiacchiere.
“Sai, una volta ho letto un libro molto grosso, circa 1.000 pagine. C’erano tantissimi personaggi e non sono riuscito a memorizzarne tutti i nomi… come si chiamava…”
“Non avrai mica letto l’elenco telefonico?!” disse Spike facendo una smorfia di disappunto.
“Sì! Ecco come si chiamava!” esclamò, euforico.
Quasi cadde dalla sedia cercando di mimare quanto fosse grande il set di enciclopedie che c’era in ospedale. Face lo squadrò in modo strano.
“Ma cos’ha?” disse sottovoce.
“Lui? Niente. L’enciclopedia è dell’ospedale, non sua” rispose ironicamente Hun, come se quella domanda fosse realmente rivolta a lui e non al vento.
Face lo lasciò perdere e sorseggiò un po’ del suo drink.
“James, cosa ti ha insegnato questa disavventura?” gli chiese Smith, questa volta serio.
“Che le donne sono pericolose” rispose Face, ricevendo un’occhiata adirata da Maddie.
“Come scusa?” disse la ragazza, incollerita.
“Che le apparenze ingannano e non devo farmi incantare dal fascino di una donna” si corresse James.
“Ah” disse Maddie, seppur guardandolo ancora con uno sguardo truce.
Poco dopo, una giovane entrò e si sedette al bancone.
“Ciao” la salutò Face, con lo sguardo da agnello innamorato. L’altra contraccambiò.
“Sei veramente carina, sai? Che ne dici se ti offro qualcosa?” chiese James.
Hun alzò gli occhi al cielo. James non cambierà mai…
 

(Ci ho messo un’eternità a fare questo capitolo, tra problemi di salute e imprevisti vari… Fra poco inizia la scuola, per cui credo che aggiornerò più raramente. Anche quest'illustrazione l'ho disegnata io, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Zio Hun! ***


Dieci anni fa i figli di un commando specializzato operante in Vietnam rifondarono un leggendario gruppo sciolto da tempo. Usando un vecchio negozio come quartier generale, vivono a Los Angeles, lavorando in incognito. Sono tuttora in azione, se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il nuovo A-Team!
 
Nel retrobottega del negozio di antiquariato, Hun si accese un sigaro, compiendo i gesti come se fossero un antico rituale. Dall’altra parte, attorno un tavolo, sedevano Face in modo molto composto e Spike letteralmente stravaccato sulla poltrona da café.
“Oggi” disse Hun con un sorriso stampato nella faccia “Arriverà mia sorella Hannah da Miami”
“Wow. Sono contento per te” rispose Face, poco interessato alla faccenda, come se fosse una perdita di tempo.
“Arriva al dunque” puntualizzò Spike, un po’ irritato. Odiava la suspance.
“Siccome lei è qui per lavoro…” continuò, tirando volontariamente per le lunghe.
“si...?” lo incalzò Face, stufo di perdere altro tempo.
“Ci ha chiesto gentilmente di fare da Baby-sitter a Tommy”
James raggelò, rimanendo con la bocca aperta in una smorfia di terrore. Al contrario, Spike era ritto sulla schiena, con un sorriso entusiasta dipinto sulla faccia.
“Oh Santo Cielo! Quanti anni avrà? Quattro? Cinque? O peggio, è un… bebé?” Chiese Face, terrorizzato.
“Undici” rispose Hun, facendo una nuvoletta di fumo.
Beh, almeno aveva catturato l’attenzione di Face.
“E dato che Maddie questa mattina ha un esame, andrai te, James, a prendere Mike”
Anche se prima Face si era un po’ tranquillizzato, era tornato come prima, esterrefatto e con una smorfia appiccicata nel viso.
Hun abbozzò un sorrisetto. Adorava stuzzicarli, seppur in piccole parti.
“Oh, andiamo, Hun! Perché proprio io?” rispose James, seccato.
“Perché tu, con le tue abilità da truffatore, tireresti fuori il matto in un battibaleno e senza destare sospetti” spiegò Smith, agitando il sigaro in mano e facendo piovere qualche granello di cenere.
“Perché non ci vai tu, invece?”
“Perché? Perché, caro ragazzo, io sono il capo e io do gli ordini. Intesi?” ordinò Hun, improvvisamente serio e seccato. Face si lasciò scappare un lamento.
“Cosa ci fai ancora qui?”
“Vado”
James uscì, mentre Spike sghignazzava allegramente, divertito.
 
***
 
“Il signor Murdock è nella stanza A19, da questa parte” disse una dottoressa del reparto psichiatria. James, travestito come un medico, la seguì  a ruota, mordendosi un labbro per resistere alla tentazione di invitarla fuori a cena.  Camminarono per un po’ nei lunghi corridoi di colore bianco spento, nell’aria aleggiava il classico odore di aria viziata condita con odori di medicinali degli ospedali. Si fermarono davanti a una pesante porta in ferro con un’unica grata all’altezza degli occhi.
“Il signor Murdock oggi è insolitamente tranquillo. Non ha toccato la sua consolle nemmeno una volta”
Spiegò la dottoressa. James guardò attraverso la griglia. Mike se ne stava sopra il letto, buonino buonino, con la camicia di forza, intento a risolvere un puzzle afferrando le tessere con le dita dei piedi.
“E’ mai fuggito?” chiese Face.
“Veramente, dottor Mallard, Mike è un paziente molto difficile da trattenere. Scappa con una certa frequenza”
“E questa incrementa le possibilità che sia stato nella zona di test batteriologici. L’improvvisa tranquillità è uno dei sintomi del batterio XK-348. In men che non si dica lo ritroverete a terra stecchito”
La dottoressa sgranò gli occhi, preoccupata.
“Cosa dovremo fare?”
“Dovrò portarlo in isolamento in un reparto speciale, in Nevada. Hanno già curato altri infetti, per esempio scienziati che lavoravano a un esperimento andato male. Attenzione, però: non deve accorgersi di nulla, altrimenti potrebbe peggiorare e recare danni irreversibili al sistema nervoso”
Il medico non se lo fece ripetere due volte.
“Signor Murdock, ci sono visite per lei!” disse il medico, ancora più spaventata e preoccupata.
Nessuna risposta.
James si avvicinò alla grata per vedere dov’era il matto e perché non aveva risposto.
La stanza era vuota, cosa che fece insospettire Face. Cosa stava tramando Mike?
“Sono occupato!” Esclamò il matto comparendo di botto dall’altra parte della porta. James trasalì e indietreggiò di un passo. Mike ritornò al suo posto, camminando in circolo sul materasso per poi sedersi.
“Signor Murdock, deve fare un visita esterna”
“No!” rispose seccato Mike.
“Se fa il bravo le togliamo la camicia di forza!”
In quel momento Mike saltò giù dal letto e si avvicinò alla porta.
“A quando la visita?”
 
***
 
I quattro stavano aspettando l’arrivo di Hannah in aeroporto. Mike e Spike non avevano mai conosciuto la sorella di Hun e scrutavano tutti quelli che uscivano dalla porta, cercando qualcuno che le assomigliasse.
“Mi devi ancora spiegare quel fatto di prima” disse James, rompendo la concentrazione di Mike e catturando l’attenzione degli altri.
“Il puzzle? Ah! Beh, vedi… non conosco i videogiochi che usate qui, nel futuro, quindi ho fatto un passatempo che esisteva anche nella mia epoca, per sicurezza” spiegò il matto, arricchendo il suo discorsetto gesticolando nervosamente. Forse era agitato, oppure voleva solo sgranchirsi le braccia.
“Ah… Ah…” rispose l’altro, guardandolo di traverso. Spike e Hun ritornarono a osservare la porta.
“Sai, assomigli tantissimo a un amico che avevo nel passato! Si chiamava James Peck, lo conosci?”
Face lo squadrò, incredulo. Stava parlando sul serio?
“Oh, che domande faccio?” disse ad un certo punto Mike, appoggiando una mano sulla fronte.
Forse si era finalmente reso conto di delirare.
“Sarai suo figlio, no?”
James raggelò. Mike era più ‘andato’ del solito.
“Zitto, scemo! Smettila di dire scemenze!” abbaiò Spike, irritato.
“A quanto pare lo Spike del futuro ha lo stesso caratteraccio di quello del passato”
Se non fosse stato per il rapido intervento di Hun, Baracus avrebbe certamente fatto un occhio nero al matto, come minimo.
“Calma, Spike, calmati. Che esempio darai a mio nipote di undici anni che sta uscendo in questo momento insieme a sua madre?”
Hannah e Tommy stavano uscendo in quel momento, trascinando un paio di valigie trolley, la donna quella più grande e il bambino quella più piccola.
Spike si calmò e lasciò perdere il matto. Spike aveva un debole per i bambini e Hun lo sapeva benissimo.
Tommy chiese qualcosa alla madre, dopodiché le diede la sua valigia e si mise a correre verso i quattro.
“Zio Hun!” gridò gioioso, saltando tra le braccia dello zio.
“Ehi, campione! Accidenti, come sei diventato grande!”  disse Hun.
“Ciao, fratellino!” disse Hannah “Loro dovrebbero essere la squadra di cui mi parli sempre”
“Esatto, Ti presento Spike Baracus, Mike Murdock e James Peck. Nella squadra ci sarebbe anche Maddie Murdock, ma aveva degli impegni e non è venuta”
“Oh, peccato… avrei voluto conoscerla”
I sei conversarono animatamente per un po’, poi Hannah dovette salutarli altrimenti avrebbe fatto tardi alla riunione.
“È mezzogiorno ormai” disse Spike “Perché non venite tutti a casa mia? Cucinerò degli ottimi Hamburger!”
Tommy esultò e gli altri tre accettarono volentieri la proposta di Baracus.
Subito dopo, si allontanarono dall’aereoporto.
 
***
 
 
 
 
Hun e il nipotino sedevano tranquilli sul tavolo da picnic posto in mezzo al giardino, mentre Spike era intento a trafficare su un BBQ e Mike camminava in giro freneticamente osservando tutto in modo insolito e borbottando tra sé e sé.
“Oh, che meraviglia!” esclamò ad un certo punto, chinandosi a raccogliere qualcosa. Si avvicinò a Spike con le mani a coppetta, osservato da Hun e Tom con sguardi interrogativi.
“Guarda, Spike! Una mantide verde! Non pensavo esistessero anche qui, nel futuro!” disse schiudendo le mani. Baracus guardò storto il piccolo insetto, indietreggiando circospetto.
“Tirami via quell’insetto di torno, prima che ti morda!”
“Oh, la piccolina non oserebbe mai  azzannare uno molto più grande di lei, figuriamoci un ragazzone come te!”
“Mike, fa come dice. Le serve il suo habitat” intervenne Hun, evitando che la situazione peggiorasse.
“Hai ragione, Hun” rispose il matto liberando la mantide tra le fronde di un vecchio melo.
“Cos’ ha?” chiese Tommy, riferito all’inusuale comportamento di Mike.
“È matto” rispose lo zio.
“Oh, poveretto”
 
***
 
James stava facendo dondolare un piede nella nervosa attesa alla biglietteria dello zoo. Hun aveva pensato a tutto per quel giorno.
Non era la coda che lo faceva innervosire (anche perché c’erano solamente due persone prima di lui), ma il fatto che per quei biglietti doveva pagare. Ebbene sì, pagare.
Pagare. Quella parola gli risuonava nella mente come uno spillo.
Dopo un periodo di attesa che sembrava interminabile, finalmente arrivò il suo turno. Si aggiustò la cravatta, un po’ a disagio.
“James Alvin Peck!” esclamò una voce alle sue spalle e Face tasalì.
C’era soltanto una persona nei paraggi che conosceva il suo nome per intero.
“Templeton… Papà…” disse, mordendosi le labbra, poi si girò.
“Cosa ci fai qui?” chiese , guardando il padre dritto negli occhi.
“Potrei farti la stessa domanda”
Sia Templeton che James erano vestiti in modo elegante e si assomigliavano notevolmente, anche un miope avrebbe visto che i due erano parenti.
“Senti, sono qui per conto di Hun, sto eseguendo un suo ordine per cui sei pregato di non immischiarti”
“Hun? Hun Smith?”
Al cenno affermativo del figlio, a Sberla riaffiorarono tutti i ricordi dei bei momenti passati con la squadra. Hannibal, Murdock, P.E., gli inseguimenti e le fughe… bei momenti, quelli.
Templeton sorrise, sfoderando il suo micidiale sorriso a 32 denti. Faceva ancora un certo effetto, nonostante Sberla non fosse più così giovane.
“Eh, già. Già. A prop…” 
Non fece in tempo a finire la frase che fu interrotto dal figlio.
“Te la riporto domani la Corvette, lucida come nuova”
“Ah, beh, sono due giorni che dici la stessa cosa”
Face stava per rifilargli una scusa, ma nemmeno quella meglio congegnata avrebbe mai funzionato contro di lui e la frase gli morì in gola. Non poté far altro che rinnovare la sua promessa e sperare che lo lasciasse in pace, almeno per quel giorno.
 
***
Tommy uscì dal garage di Spike con in mano una vecchia scatola di scacchi. Guardò prima Spike e poi suo zio, ma sembravano tutti e due indaffarati, uno al BBQ e l’altro intento a scrivere e scarabocchiare su un blocco note. Poi lo sguardo ricadde su Mike, che non stava facendo nulla. Avrebbe messo alla prova il matto, l’idea gli piaceva.
“Mike!” disse, avvicinandosi.
“Si?”
“Vuoi giocare con me?” chiese mostrando la scatola che aveva in mano. Il matto accettò volentieri e, una volta che tutti i pezzi furono disposti, iniziarono la partita.
Mike rimase a bocca aperta: nel giro di poche mosse Tommy aveva già fatto scacco matto.
“Non vale! Voglio la rivincita” esclamò il matto, un po’ seccato.
Fecero altre tre partite, tutte andata a favore di Tom.
“Hun, tuo nipote è un genio!”
 
***
 
Verso pomeriggio andarono tutti allo zoo dove James aveva comprato i biglietti. Si fermarono davanti al recinto dell’elefante e Spike propose a Tommy di lanciare all’animale qualche nocciolina, prese da un dispenser dedicato. Anche Mike, trovando la cosa interessante, si unì ai due “lanciatori” mentre James stava a distanza di sicurezza e Hun guardava la scena sorridendo.
Il matto prese la prima nocciolina, spaccò il guscio e prese in mano le due metà. La prima la lanciò all’elefante mentre la seconda se la mangiò.
“Non si mangia quella roba, scemo!” lo rimproverò Spike.
“Oh, andiamo, Spike! Sono ricchi di elementi nutrienti, fanno bene”
“Talmente bene che li hanno messi come cibo per elefanti”
I due continuarono a bisticciare animatamente per un po’, mentre Tommy assisteva divertito alla scena.
Anche Hun stava guardando Mike e Spike con sorriso lievemente accennato, quando qualcos’altro catturò la sua attenzione.
“James…” disse, facendo cenno a Face di raggiungerlo. Gli indicò il capanno del custode, dove c’era il proprietario dello zoo che discuteva con altre due persone ma, a differenza di Mike e Spike, non stavano sicuramente litigando per delle noccioline.
“Hun, non credo che dovremmo immischiarci nei loro affari… “ disse.
“Ah, come non detto” si corresse quando vide l’espressione di Smith. Quando faceva quella faccia, voleva dire che aveva fiutato una missione e non si sarebbe tirato indietro facilmente.
“Hey Tommy!” disse girandosi verso il nipote “Ti va di venire in missione con noi?”
Gli occhi del bambino luccicavano. Sembrava che non stesse aspettando altro.
 
***
 
Il proprietario dello zoo si sedette su una delle panchine, disperato. Era già la seconda volta che venivano per ricordargli del ritardo sulle tasse o sulle rate dei debiti. Gli affari andavano benissimo finché non ci furono dei piccoli incidenti, uno ogni giorno: Una gabbia incomprensibilmente lasciata aperta, i cestini rovesciati e tutta l’immondizia sparsa a terra, attrezzi rotti o mancanti, gabbie ridotte male… E così si ritrovò senza dipendenti, ricoperto di debiti e con una clientele via a via sempre meno numerosa. Non sapeva più che cosa fare.
“A quanto pare siamo nel posto giusto al momento giusto” disse una voce maschile davanti a lui. Il proprietario alzò la testa e vide quattro uomini con un bambino in piedi davanti a lui.
“Cos…?” chiese, corrugando la fronte.
“Io sono Hun Smith, e questo è l’A-Team”disse in tono solenne l’uomo con una maglia color panna e i pantaloni scuri, lo stesso che aveva parlato prima.
Il Jeremy Donald, il proprietario dello zoo, fu sollevato da quella novità. Illustrò in breve i problemi che aveva, dando particolare peso ai piccoli incidenti giornalieri.
“Interessante. Un lavoro per noi, giusto ragazzi?” disse Hun, guardando gli altri che annuirono in risposta “Bene, signor Donald, ha appena ingaggiato l’A-Team”
 
***
 
Appena confermato il nuovo incarico, i membri del nuovo A-Team si misero immediatamente al lavoro.
Spike si occupava di riparare i recinti, James della biglietteria, il proprietario degli animali, Mike della raccolta rifiuti mentre Hun e Tommy facevano un giro di controllo, per verificare cosa aveva bisogno di essere sistemato o migliorato.
Così il bambino aveva l’occasione di fare un giretto.
“Ahm” si lamentò Mike, raccogliendo una lattina con un bastone “Perché devo farlo proprio io, Face?”
“Qualcuno lo deve pur fare” rispose l’altro mettendosi a posto i capelli con un piccolo pettine e specchiandosi sul vetro della biglietteria.
“Non potrebbe farlo il ragazzone?” disse indicando con la bacchetta Spike, che stava saldando un pezzo della recinzione dei suricati.
“Tu sai saldare?”
“Uhm…”
“Allora finisci quello che devi fare”
“Voi del futuro siete gente strana!” disse Mike raccogliendo altre cartacce “siete troppo seri, bambini sono dei geni, siete altamente irritabili e affidate incarichi umilianti ai viaggiatori del pass…”
“Mike” lo interruppe James.
“Sì?”
“Sta’ zitto”
Mike non rispose e continuò il suo lavoretto. Prese con la stecca un sacchetto delle patatine, lo alzò all’altezza degli occhi e lo osservò come se fosse la prima volta che ne vedeva uno.
 
***
 
Quella notte, Spike stava facendo il turno di guardia quando sentì un rumore nel magazzino. Prese immediatamente il walkie-talkie e avvisò gli altri, mentre si avviava dentro l’edificio.
L’interno era quasi completamente buio. Spike stava per accendere la luce, ma si fermò. Avrebbe allertato il fuggitivo, facendolo scappare. A luci spente poteva coglierlo di sorpresa, anche se la visibilità era ridotta.
Dall’altra parte dell’edificio la porta aperta fu oscurata parzialmente da una figura nera, che fece un segnale con la torcia. Era Mike, in posizione.
Spike avanzò cautamente, scrutando tra tutti gli oggetti, in particolare nei punti più bui.
Un lieve movimento sulla destra catturò la sua attenzione. Cercò di vedere cosa fosse, ma il buio nascondeva ogni cosa. Fece qualche passo in quella direzione e qualcosa si mosse, facendo cadere una pila di oggetti. Una piccola figura nera si mosse di scatto dalla parte buia, correndo verso la porta aperta rovesciando tutto quello che incontrava.
“Bloccalo, Mike!” gridò Spike. Una delle poche volte che chiamava Mike per nome.
Subito l’altro entrò e cercò di prendere il fuggitivo, ma questi era molto agile e sfuggì alla presa. I due cercarono di prenderlo più volte, ma il fuggiasco era molto agile e si divincolava violentemente.
Spike sarebbe riuscito tranquillamente a prenderlo, se non fosse per il suo svantaggio. Mike ci aveva provato diverse volte, ma o lo afferrava nel momento sbagliato o questi girava l’angolo repentinamente. Sembrava conoscesse bene il luogo.
“Spike” disse il matto, fermandosi.
“Che c’è?”
“Capolinea”
Il loro inseguimento era terminato di fronte al muro della recinzione esterna dello zoo.
 
***
 
Il giorno dopo Hun stava organizzando tutti per la giornata, in particolare per catturare l’intruso misterioso.
“Come fai a essere sicuro che ritornerà?” chiese Maddie, unitasi al gruppo quella mattina.
“Perché nella fuga ha dimenticato i suoi… attrezzi” rispose Hun.
Tutti gli altri quattro erano riuniti in fila uno di fianco all’altro, mentre Hun camminava avanti e indietro davanti a loro.
“Allora” disse “Tutti eseguiranno gli incarichi ordinari a loro assegnati fino all’ora di chiusura, poi prepareremo le trappole e i turni di guardia”
Diede particolare tono alla parola ‘trappole’, come se fosse una cosa che gli piaceva particolarmente.
“E mi raccomando, che non succeda come ieri sera. Mai più. Intesi?”
L’ultima frase la disse con un tono molto serio, quasi di rimprovero. Tutti annuirono, tranne Mike che rispose con un ‘Signorsì signore!’, e occuparono le rispettive posizioni, come il giorno prima. Maddie dava una mano a tutti, a seconda se ce ne fosse stato bisogno. In particolare suo fratello a pulire i pavimenti.
La giornata trascorse tranquilla, tutti erano completamente assorti nel loro incarico. Fu quando scese la sera che cominciò il vero lavoro.
Come dal piano, solo una persona doveva essere nei paraggi del magazzino per non scoraggiare l’intruso. Gli altri rimanevano nascosti lì vicino, in contatto radio. Verso le undici di sera James vide un’ombra entrare dal portellone del magazzino, avvisò gli altri ed entrò. Ci fu un piccolo rumore in lontananza, ma dopo il ticchettio delle sue scarpe era l’unico, regolare, come un pendolo carico di tensione e snervante attesa. Lo faceva apposta, per far cadere l’intruso nella trappola. Così fu: quando James gli passò vicino una figura nera fece cadere qualcosa nel tentativo di nascondersi. James cercò di prenderlo, ma questi fuggì verso la porta aperta, dalla parte opposta, apparentemente libera. Apparentemente.
Non appena varcò l’ingresso una rete si chiuse attorno di lui, sollevandolo a tre piedi da terra. La luce esterna del magazzino si accese, illuminando tutto quasi a giorno. cinque figure si fecero avanti: Mike, Maddie, Hun, Spike e Jeremy Donald. James aveva voluto rimaner a casa di Smith per dare un’occhiata a Tommy.
“Vediamo chi è il nostro teppistello” disse Hun, sorridendo da dietro una nuvoletta di fumo di sigaro.
“Cos… Danny?” esclamò il proprietario dello zoo.
“Papà… perdonami” rispose il ragazzetto ingabbiato dentro la rete.
“Perché lo hai fatto?” chiese il padre.
“Eri sempre via, speravo che senza lo zoo avresti avuto più tempo da passare con me… “ si giustificò il figlio, rassegnato e un po’ pentito di quello che aveva fatto.
“Ah beh…” commentò Maddie a bassa voce.
Spike mollò la corda, librando il ragazzetto, che abbracciò in lacrime il padre.
“Ti prometto che d’ora in poi staremo sempre insieme”
“A scuola no, però, eh!” disse Danny scherzosamente ed entrambi risero.
Anche l’A-Team non poté far a meno di sorridere davanti a quella tenera scenetta, Spike compreso.
 
***
 
“Grazie, arrivederci!” disse James sorridendo a due clienti in uscita. Era la loro ultima giornata al servizio di Jeremy Donald. I clienti erano aumentati esponenzialmente negli ultimi giorni, lo zoo sembrava tornato ai regimi di prima. Anzi, ancora più di prima.
Una volta giunto l’orario di chiusura si riunirono tutti all’ufficio dello staff per brindare insieme. C’erano l’A-Team, i nuovi dipendenti, il proprietario e suo figlio. Jeremy stappò una bottiglia di vino e la distribuì a tutti, tranne al figlio e a Mike che chiesero del succo di frutta e a Spike e a Tommy che invece bevvero un bicchierone di latte fresco.
“Brindiamo insieme al nuovo futuro dello zoo!” annunciò il proprietario.
“Sì! Al futuro del futuro del presente!” aggiunse Mike, facendo ridere tutti i presenti.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Dolcetto o scherzetto? ***


Dieci anni fa i figli di un commando specializzato operante in Vietnam rifondarono un leggendario gruppo sciolto da tempo. Usando un vecchio negozio come quartier generale, vivono a Los Angeles, lavorando in incognito. Sono tuttora in azione, se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il nuovo A-Team!


James uscì dal negozio d’antiquariato con aria serena e si avvicinò alla Corvette parcheggiata lì davanti. Appoggiandosi alla portiera, prese il suo smartphone e fece il numero di Maddie.
“Ciao, James. Dimmi tutto” disse la ragazza, tranquilla.
“Maddie, abbiamo una nuova missione”
“Ottimo! Vado subito a prendere mio fratello”
“Non serve”
“In che senso? Mike non viene?!” esclamò Maddie stupefatta.
“No no, rilassati. Vado a prenderlo io, oggi”
“Grazie, James, ma… come mai?”
“Oh, non ti preoccupare. Ci vediamo dopo”
Attaccato il telefono, salì sulla macchina. La accese e con mani ferme e precise la condusse in strada, diretto verso l’ospedale dove Mike era ricoverato.
 
***
 
“Signor Murdock, ci sono visite!” annunciò la dottoressa di turno al reparto psichiatrico.
“In che senso?” chiese il matto facendo capolino di scatto da dietro la grata della porta.
“Nel senso che c’è qualcuno che la deve vedere”
Mike scrutò il mondo al di fuori dalla sua stanza, cercando con lo sguardo chi fosse il malintenzionato che osava portarlo via proprio quando era arrivato all’ultimo livello del videogioco.
Oltre al medico, c’era un personaggio un po’ strano, familiare, con la divisa della Marina Militare. I gradi indicavano che era un tenente e la targhetta sul petto recava la scritta “Barrow”. Se non fosse per i baffi e i capelli scuri, avrebbe detto che si trattava di James.
“Coincide con la descrizione fornita dal nostro testimone. Lo dovrò portare alla centrale della divisione di Los Angeles  del Naval Criminal Investigation Service, al fine di stabilire per certo se quest’uomo era o no nella scena del delitto all’ora cruciale” disse James tutto ad un fiato.
La dottoressa borbottò solo un ‘ah’ forzato, dopodiché si girò verso uno che sembrava più un armadio che un essere umano.
“Stephan, prendi la camicia di forza”
L’omone scomparve dietro una porta e ne ritornò con in mano una camicia di forza.
“Camicia di forza?!” blaterò il matto “Ti sembro forse un salsicciotto?!”
Nessuno gli prestò attenzione.
“Ehi ehi! Non sono un insaccato e nemmeno un maialino! Io sono un galletto chicchirichì!!”
Detto questo, Mike prese a correre per la stanza sbattendo le braccia come se fossero le alette di un pollo e agendo come tale. Saltò in piedi sul letto e vi rimase con aria solenne.
“Porterò una rivoluzione nel mondo pollesco: Mi farò eleggere Presidente del Movimento per la tutela dei diritti dei polli! Coccodè! Grazie a me la nostra razza a lungo sottomessa sarà in grado di volare!”
“Ma di cosa sta parlando?” chiese James.
“Blatera in continuazione, non ci faccia caso”
“Nella vecchia fattoria ia-ia-oh! Quante bestie al zio Tobia ia-ia-oh!” cominciò a cantare Mike, sbattendo le braccia piegate a mo’ di aluccie e girando su sé stesso.
La dottoressa aprì la porta e i due medici entrarono. Stephan immobilizzò Mike, che continuava a delirare e a dimenarsi, poi lo costrinse a forza ad entrare nella camicia aiutato anche dall’altro medico.
James preferì rimanere fuori, era una scena a cui non gli piaceva assistere.
“C’era il gatto-miao! C’era il cane-bau! Nella vecchia fattoria ia-ia-oh…” continuava a cantare il matto mentre lo legavano. I due medici lo fecero sedere su una sedia a rotelle e lo consegnarono a James, che cominciò a spingerlo lungo il corridoio.
“Cos’è? Oh, un treno! Pronti, signori! Si parte, si parte!! Ciuf ciuf!” esclamò Mike, mettendosi poi a imitare il suono del treno in moto, ciondolando la testa a ritmo.
Usciti dall’ospedale, si avviarono verso il punto strategico dove aveva parcheggiato la Corvette.
“E c’era l’asino-ih oh! C’era il gallo-chicchirichì! Gallo-gallo-gallo nella vecchia fattoria ia-ia-oh…”
“Per favore, Mike, piantala!”
“D’accordo. Come mai sei venuto tu, oggi?”
Mike era passato da uno status di pura follia a uno di completa lucidità in una frazione di secondo. Pazzesco.
“Mi diverto un mondo a portarti fuori. Perché, ti dispiace?”
“No no. Era solo così, per curiosità”
James si chiedeva a volte se Mike fosse veramente pazzo o stesse solo fingendo.
 
***
 
“Fra un po’ abbiamo un colloquio con un nostro potenziale cliente” disse Hun agli altri, tutti nel retrobottega del negozio di antiquariato.
“Potenziale?” chiese Maddie, convinta che la missione fosse già stata confermata.
“Esatto. Ho applicato qualche piccolo stratagemma, in modo da offrire aiuto a chi ne ha veramente bisogno” spiegò sputando fumo dal sigaro ad intervalli regolari.
Nessuno replicò e tutti si prepararono secondo i piani di Hun.
 
***
 
Un vecchietto e una giovane donna stavano passeggiando  per il parco, con un passo deciso come se sapessero già dove andare. La donna reggeva stretta in mano una ventiquattrore come se ci fosse all’interno un inestimabile tesoro.
“Papà, ma sei sicuro che dobbiamo fare tutto questo? La valigetta, intendo” disse la giovane donna.
“Certo, se li conosci come li conosco io!”
“Ma tu conoscevi il vecchio A-Team!”
L’altro non rispose e ciondolò la testa.
I due si fermarono in un punto, all’incrocio fra due sentieri ciottolati. C’erano due panchine, di cui una occupata da un signore che stava leggendo un libro voluminoso.
“Beh, allora? Come mai non sono qui?” disse impaziente la giovane donna al padre.
“Eh eh aspetta, aspetta. Potrebbero essere ovunque, anche sotto il tuo naso!”
La giovane donna si sedette ai piedi di una quercia vicina, sbuffando.
“Signorina” disse l’uomo seduto, mentre un altro vestito elegantemente passava per il sentiero vicino portando a spasso un cane “È brutto vedere una donna della sua età abbattuta in quel modo. È tutto a posto?”
“Non sono affari suoi” rispose seccamente la giovane donna. L’uomo seduto richiuse il libro, tenendo comunque il segno con il dito indice e lisciandosi la barba riccia. Sembrava volesse dire qualcosa, ma sospirò e riprese la lettura.
La donna osservò tutte le persone presenti nel parco: oltre all’uomo che leggeva e a quello con il cane, ce n’era uno muscoloso che pescava beatamente al lago e una ragazza che faceva jogging.
“Ah, accidenti! Forse ci siamo sbagliati e non è qui che li dobbiamo incontrare”disse la ragazza, che aveva ormai perso la pazienza.
“Proviamo da un’altra parte, altrimenti niente” propose il padre, anche se conosceva la tenacia della figlia.
“È fuori discussione. Mio fratello è probabilmente in pericolo, abbiamo bisogno di loro!”
“A volte le cose non sono come appaiono” disse l’uomo alzandosi dalla panchina e chiudendo  definitivamente il libro. Si avvicinò a loro con un sorriso.
“Io sono Hun Smith, dell’A-Team” si presentò, togliendosi barba finta e parrucca.
“Io sono Spike Baracus” disse il pescatore affiancandosi a Hun.
“Maddie Murdock” e questa volta fu la ragazza che faceva jogging a parlare.
“James Peck, piacere” si presentò quello con il cane.
La donna rimase stupita: li aveva avuti sempre sotto il naso, e non se n’era accorta!
Un dubbio le percorse la mente: ma non erano in cinque?
In quel momento, sentì un fruscio alle sue spalle. Tutti si girarono verso la quercia appena in tempo per vedere un’altra persona con una mimetica scendere agilmente.
“Mike Murdock. Che la Forza sia con te!” disse questi tendendo la mano dopo essersi scrollato tutte le foglie di dosso. I due possibili clienti lo guardarono di traverso: sembrava un tipo fuori dal comune.
 
***
 
Nel retrobottega del negozio di antiquariato Jack Morrand, il vecchietto, e sua figlia Eliza sedevano dietro lo stesso lato del tavolo, mentre di fronte a ai lati c’erano i membri dell’A-Team, liberi dal loro travestimento: Hun al posto di un paio di pantaloni marroni e un pullover indossava Jeans e una polo bianca, Spike anziché la tuta, stivaloni e berretto aveva invece una maglia e una casacca senza maniche dai colori sgargianti, con tanto di pantaloni coordinati, Mike anziché la strana mimetica verde-marrone indossava i soliti pantaloni e una maglietta di cui da dietro la camicia con una trama a scacchiera si vedeva solo l’immagine cambiata a seconda dell’umore del matto, Maddie anziché l’abbigliamento tecnico da jogging aveva un paio di jeans grigio scuro e una felpa bianca e grigia. James era l’unico che non si era travestito, per cui indossava lo stesso vestito elegante di prima, ad eccezione della cravatta che da verde bottiglia ora era blu oltremare.
E il cane che Face stava portando a passeggio era ritornato a casa di Maddie, dai suoi rispettivi proprietari.
“Allora” disse Hun in tono solenne, come se stesse pronunciando la prima parola di un libro “Avete detto che suo figlio William è partito per Red Hill ed è scomparso, senza nessun avviso”
“Esatto” confermò Jack.
“Mio fratello faceva il giornalista. Era lì perché voleva raccogliere dati per un suo articolo” aggiunse Eliza, anticipando la domanda di Hun.
“E se invece si è innamorato di qualcuno, tanto da rompere tutti i legami che aveva col pass…” chiese James, ma fu interrotto da una gomitata di Maddie.
“Mio fratello non avrebbe mai fatto questo!” obiettò Eliza, un po’ irritata.
“Dubito una cosa del genere. William era molto dedito al suo lavoro e molto legato a noi”
“Potrebbe essergli successo qualcosa” dissero Mike e Spike in coro, fulminandosi poi a vicenda con il tipico sguardo di uno che pensa ‘L’ho detto prima io!’.
I due possibili clienti si guardarono, con angoscia negli occhi: non ci avevano mai pensato, ma era dannatamente possibile.
La donna ingoiò un boccone amaro e posò sul tavolo la ventiquattrore.
“Spero che questi bastino… è tutto quello che abbiamo”
Detto questo, Eliza aprì la valigetta rivelandone il contenuto. Hun e gli altri guardarono stupiti il contenuto: saranno stati sì o no 25.000 verdoni.
“Faremo tutto il possibile per riportare sano e salvo suo figlio William, sig. Morrand” disse Hun, con un sorriso “Avete appena ingaggiato l’A-Team!”
Eliza avrebbe voluto seguirli nella missione, vivere magari qualche avventura, ma dovette desistere perché doveva dare una mano al suo vecchio padre a gestire il suo negozio.
 
***
 
“Hun, hai mai considerato l’idea del mezzo unico?” disse Spike bloccando Hun prima che salisse in macchina. Tutti gli altri si guardarono, illuminati, perché non ci avevano mai pensato.
“Potremo prendere la mia macchina, ha cinque posti” propose Mike.
“Intanto, Mike, lì dietro in tre stiamo stretti. E poi, la macchina non è tua né mia: è di papà”
E se anche fosse affiorata una soluzione, era svanita come era apparsa, riportando tutti al punto di partenza.
“E poi ci serve anche dello spazio per mettere tutta la roba” disse Spike, che con ‘la roba’ intendeva armi, munizioni e altro materiale.
“Il vecchio furgone!” disse Maddie, e tutti la guardarono immaginando ognuno una cosa diversa.
“Alla clinica ne abbiamo preso uno nuovo, per cui quello vecchio è fermo. Ha solo quattro posti, ma potrebbe arrivare fino a cinque o sei e in più ha il posto per… la roba
“Ottima idea, Maddie! Tutti alla clinica!” disse Hun, sorriendo.
 
***
 
Il furgone, una volta riverniciato tutto di bianco e fatto qualche modifica agli interni, era pronto per portarli tutti fino in Nevada. Il motore era ancora in buone condizioni e la carrozzeria pure.
Una cosa soltanto faceva da punto negativo: mancava carattere. Era un semplice furgone, di quelli che si vedono normalmente per le strade, guidati da persone normali durante il loro normalissimo lavoro.
E loro erano tutt’altro che un gruppo normale, m a questo avrebbero pensato un’altra volta.
“Guido io!” disse Maddie strappando le chiavi dalle mani di Spike.
“Eh! È suo il furgone” aggiunse Hun e Spike fece una smorfia.
Così Maddie si sedette al posto di guida, Hun di fianco, dietro di loro Spike e James. Mike aveva insistito per sedersi dietro a Baracus, per motivi ignoti agli altri membri.
Il viaggio verso il Nevada trascorse tranquillo, interrotto ogni tanto da Spike che si arrabbiava con Mike per uno scherzetto subìto. Al calar della sere, i cinque si fermarono in un motel per la notte. Mancavano ancora molte miglia a Red Hill ed erano tutti stanchi.
Quella notte, Mike non riusciva a dormire, tormentato da mille pensieri, fantasmi e ombre. Si alzò, prese la giacca a vento e si avviò verso la porta. Prima di lasciare la stanza, si voltò verso sua sorella che dormiva beatamente sul letto accanto, come qualcuno che ha lavorato sodo e ottiene finalmente un meritato riposo. Sorrise e chiuse la porta.
Fuori, in piedi vicino a un piccolo laghetto artificiale, c’era James. Forse anche lui non riusciva a dormire perché tormentato da mille pensieri.
“Ciao James” disse e l’altro lo salutò con un saluto tirato.
“C’è qualcosa che non va?” chiese Mike.
“No… niente”
“Allora perché sei così pensieroso?”
“Niente. Sono solo un po’ stanco, ecco il tutto”
“Perché allora non sei andato a dormire?”
“Non ci riuscivo”
Seguirono alcuni attimi di silenzio, durante i quali Mike prese un sasso e lo lanciò nel laghetto, facendolo rimbalzare più volte. Esultò come se avesse vinto chissà quale campionato.
“Tu sei proprio strano!” disse James, che non sapeva se ridere o rimanere perplesso.
“Prova anche tu, dai!”
“Ma sei matto?!”
“Ma dai?!” lo canzonò l’altro, guardandolo con uno sguardo da ‘e l’hai scoperto solo adesso?’.
James continuò a rifiutare, finché Mike si arrese e fece qualche tiro in solitario.
“Sai una cosa?” disse ad un certo punto Face.
“Cosa?”
“Per essere un matto, sei fin simpatico”
Mike stava per lanciare l’ennesimo sasso, ma si bloccò a metà tiro.
“Davvero pensi questo?”
“Sì. A volte con le tue strane visioni e deliri mi spaventi un po’, ma a parte questo hai il coraggio di essere te stesso, in qualsiasi circostanza ti trovi”
Mike rispose con un sorriso e lanciò il sasso che aveva in mano.
“Sei la prima persona che mi dice che sono simpatico”
“Davvero?”
“Davvero. Normalmente mi guardano storto, diffidano da me o mi stanno alla larga, solo perché sono matto. Come se la pazzia fosse contagiosa…”
“Anche tua sorella?”
“Lascia perdere mia sorella una buona volta! Considera tutti, tranne lei e la mia famiglia”
James scosse la testa, sorridendo. Mike tirò un altro sasso, facendolo rimbalzare sette volte.
“Tu ce l’hai ancora?” chiese ad un certo punto il matto.
“Cosa?”
“Una famiglia. Una mamma e un papà”
“Mia madre morì di cancro quando avevo dodici anni” disse James tutto ad un fiato, come se si fosse liberato da un grosso peso.
“Oh…”
“E mio padre… beh, lo vedevo raramente. Era come se fossi da solo e ho dovuto arrangiarmi”
“Divorziati?”
“Tecnicamente, non sono mai stati sposati”
Mike lanciò un altro sasso e soltanto i rumori dei balzi fendevano il silenzio della sera.
“Posso farti una domanda?” chiese James, rompendo il ghiaccio.
“Sono qui, no? Fai pure”
“Ma tu sei matto o fingi?”
Mike si morse il labbro, sorpreso, e bloccò il lancio a mezz’aria.
“Nessuno lo sa”
Detto questo, completò il lancio, ma il sasso compì un balzo solo.
“Tu, invece?”
“Io? Io so solo che ho passato gli ultimi dieci anni della mia vita dentro un reparto psichiatrico. So solo che ho sempre cercato di non essere uno zombie infettato dalla massa. So solo che vedo cose che nessun’altro vede. So solo che mio padre ha avuto questo problema prima di me. So solo che è ereditario. So solo che a volte vado su di giri e deliro. So solo che le reazioni dei medici sono divertenti”
Tutti quei “so solo che” davano un tono ritmico al discorso di Mike, come se fosse una specie di poesia.
James non rispose, ma chinò leggermente il capo, scuotendo la ghiaia con un piede. Mike guardò un punto, oltre l’orizzonte, con le mani sui fianchi.
“Oh, no! Oh, no!” cominciò a dire il matto , agitandosi.
“Che c’è?”
“Gli… Lo sapevo!!! Gli uomini-uccello!!!” disse, quasi urlando in preda al terrore e indicando un punto.
James volse lo sguardo dove Mike indicava, ma non vide nulla.
“È la fine!!! È iniziata l’invasione degli uomini-uccello!! I Maya lo avevano predetto!!”
Detto questo, cominciò a correre avanti e indietro.
“Guarda che se continui così svegli tutto il motel!” tentò di dirgli Face, ma il matto era già sparito dietro la porta. James rise, prese uno dei pochi sassi piatti rimasti a terra e lo lanciò nel laghetto.
 
***
 
“Sveglia, Maddie!!” urlò Mike di prima mattina, svegliando di colpo la sorella.
“Ah, Mike! Cosa c’è?” rispose Maddie, infilando la testa sotto il cuscino.
“È Halloween!!”
La sorella gemette qualcosa da sotto il guanciale che Mike non capì.
Il matto alla fine decise di lasciarla sonnecchiare in pace e prese la piletta che lei teneva sempre sul comodino, diretto verso la camera di James, con un sorrisetto maligno in volto.
Aprì la porta. La camera era completamente buia e la vittima stava tranquillamente dormendo sul letto.
Mike si avvicinò di soppiatto e gli toccò lievemente la spalla. James gemette, ma non fece nient’altro.
Gli toccò nuovamente la spalla, questa volta più forte.
“Ah, che c’è?” disse, girando la testa verso il punto da cui veniva la mano.
Appena ebbe aperto gli occhi, Mike accese la pila, illuminandosi il viso dal basso e ululando come un matto.
James, come previsto, urlò dal grosso spavento.
Quando gli altri, sentendo le grida, sono accorsi e hanno acceso le luci, videro Face che stringeva fortemente le coperte, terrorizzato, mentre dall’altra parte Mike che quasi non si reggeva in piedi dalle risate.
“Cosa è successo?” chiese Maddie, che aveva i capelli spettinati in modo strano dal cuscino.
“Oh santo cielo! Mike, mi hai fatto venire un infarto!” ringhiò Face al matto.
“Avresti dovuto vedere la tua faccia! Era troppo divertente!” Detto questo, Mike cadde a terra e cominciò a rotolarsi ridendo follemente.
Gli altri due, Hun e Spike, non dissero nulla, un po’ perché ancora inebetiti dal sonno e un po’ perché non c’era niente da aggiungere.
 
***
 
“Benvenuti a Red Hill, ridente cittadina” annunciò Maddie alla guida del furgone, quando arrivarono.  
“Direi ‘giacente cittadina’, più che altro. Non c’è anima viva!” commentò Spike.
“Oh! Siamo in un videogioco di zombie?! Dov’è l’M60?” chiese Mike, illuminandosi.
“Piantala, scemo!” lo ammonì Spike.
La squadra si fermò davanti l’indirizzo che Eliza aveva indicato loro. Scesero tutti e si avviarono verso la porta. Hun suonò il campanello, ma non ottenne nessuna risposta.
“Signor Morrand, siamo l’A-Team. Ci manda sua sorella Eliza”.
Nessuno rispose.
“Non sarà in casa” ipotizzò James.
Hun girò la maniglia e la porta si aprì, con lo stupore di tutti. Entrarono uno alla volta, procedendo a passo lento e calcolato. L’intera casa era a soqquadro: c’erano sedie capovolte a terra e alcuni mobili avevano le ante spalancate e l’intero contenuto riversato sul pavimento.
“Che bello, facciamo gli investigatori!” disse Mike. In effetti, non aveva tutti i torti.
Hun si chinò e rovistò tra delle carte a terra. Sollevò un busta strappata, completamente vuota.
“Cercavano qualcosa e l’hanno trovato” annunciò, leggendo un lato dell’oggetto, che recava scritto a mano ‘Indagini si trf crz’
Hun si chiese che cosa volessero dire ‘trf’ e ‘crz’. Forse c’era qualcosa di più che qualche piccolo scoop…
 
***
 
“I bar sono un’ottima fonte di informazioni” disse James, entrando in un locale insieme a Hun. Gli altri sarebbero rimasti alle uscite, con le armi in mano e pronti ad intervenire non appena ce ne fosse stato il bisogno.
“Sto cercando William Morrand, lo conosce?” chiese Hun al barista. Questi lo guardò in cagnesco, strofinando nervosamente un boccale di birra già asciutto con uno straccio.
“Sei un suo parente?”
“Siamo vecchi amici”
Il barista si guardò intorno, circospetto, poi si avvicinò ai due dietro al bancone.
“Vi conviene girare al largo o finirete nei pasticci come lui” sussurrò, come per paura che lo sentissero le persone sbagliate.
“Che genere di pasticci?” chiese James, ansioso di parlare anche lui nonostante Hun gli abbia raccomandato di non farlo.
Il barista si guardò ancora intorno, come se stesse parlando di cose di cui non dovrebbe parlare.
“Sentite, non voglio che finiate come lui. Gli avevo detto di lasciar perdere, ma non mi ha ascoltato. Vi dico solo una cosa: Andatevene prima che sia troppo tardi e girate al largo dagli Scorpioni Neri”
“Gli scorpioni Neri?” Chiese Hun, che voleva saperne di più. James emise un lamento angoscioso.
Il barista fece solo un gesto agitato con la mano e posò il boccale sul bancone.
“Ascolti” Hun non voleva arrendersi “Dove possiamo trovare questi Scorpioni Neri?”
“Gli faremo un bella visitina, vero Hun?” disse James e Hun lo ricambiò con un sorriso e accese un sigaro.
Non dissero quelle parole a voce tanto alta, ma lo fu abbastanza per catturare l’attenzione di un signore vestito con uno smoking nero seduto a un tavolo vicino. Questo si alzò e li raggiunse. L’uomo dietro il bancone appena lo vide scappò da un’altra parte, fingendo di aver sentito un ordine di un cliente.
“E così voi damerini pensate di potervi mettere contro gli Scorpioni Neri per il vostro amichetto, eh?” disse l’uomo con lo smoking, estraendo una revolver.
“Oh, no, si sbaglia! Siamo solo venuti a trovare un nostro amico e, sa, non siamo pratici della zona. Abbiamo sentito che avete una cartina della cont…” Cominciò a giustificarsi James, ma fu interrotto da una gomitata di Hun. Erano lì in missione, non per fuggire a gambe levate come dei conigli.
Si sentì uno scatto metallico, ma quasi nessuno ci fece caso. Quasi.
“Hai sentito questo rumorino? È una calibro nove, carica e pronta a farti un buco nei gioielli di famiglia” disse Smith e ma l’uomo in nero non fece una piega.
Altri tre uomini vestiti alla stessa maniera si alzarono e misero in vista le loro pistole, puntate contro di loro.
“Ma io non sono il solo armato”
In quel momento Spike, Mike e Maddie entrarono nella stanza e puntarono le loro Ruger Mini 14 contro quello con lo smoking.
“Oh santo cielo!” disse il barista nascondendosi sotto il bancone.
“Nemmeno io, sai? Eh eh” disse Hun a quello che gli puntava contro la pistola.
“Non cercate di spaventarci con quei giocattoli, sappiamo benissimo che sono caricati a salve”
Hun puntò in alto e sparò un colpo, lasciando un buco sul soffitto, dopodiché la puntò contro l’uomo di fronte a sé. Questo fece un cenno anche agli altri compagni e tutti depositarono le armi a terra. James le raccolse tutte e le mise fuori dalla loro portata.
L’A-Team si avviò verso la porta per condurre gli Scorpioni Neri fuori, in una specie di piazzetta.
“Voi due rimante qui, in caso qualcosa vada storto” disse Hun a Maddie e suo fratello e Mike diede il suo mitra a James
“Dov’è William Morrand?” chiese Smith una volta fuori, serio, tirando una boccata dal sigaro.
Quello con lo smoking non rispose, ma fece un sorriso beffardo. Hun ripeté la domanda ma, non ricevendo alcuna risposta per la seconda volta, si irritò.
“Portaci dal tuo capo” disse.
In quel momento uno degli uomini in nero, fulmineo, estrasse una piccola pistola dalla giacca e sparò un colpo a Spike, che cadde a terra con lo sgomento di tutti i membri del Team. James, rapido, lo disarmò e gli tirò pure un pugno in pieno viso, un po’ incollerito per quello che aveva fatto e un po’ per debellare la sua resistenza. Sempre tenendo il mitragliatore puntato verso gli Scorpioni, si avvicinò al ferito per controllare. Spike era stato ferito di striscio al fianco, non in modo grave.
Un rumore di pneumatici catturò la loro attenzione. Hun si girò e sorrise: era un’auto della polizia.
Dalla vettura scesero quattro poliziotti, tra cui lo sceriffo e il suo vice.
“Arriva giusto in tempo per arrestarle questi delinquenti” disse Hun.
“Gli Scorpioni Neri, famosi trafficanti di armi e sostanze illegali” aggiunse James, trascinando Spike verso un muretto che costeggiava la piazza.
“Lo so” disse lo sceriffo “io ne sono il capo”
Mike e Maddie osservarono impotenti la polizia arrestare i loro amici e lasciare lì il ferito come se fosse un peso morto.
 
***
 
“Ma hai portato tutto l’ospedale?” esclamò Mike vedendo Maddie prendere un’enorme valigetta del pronto soccorso.
“Speravo non ce ne fosse stato bisogno”
I due fratelli adagiarono Spike sul furgone, dove mancava il sesto posto, facendolo sdraiare con la schiena lievemente appoggiata sui portelloni posteriori. Quando lo posarono a terra, il ferito emise un lamento stozzato, ma niente di più. Non bastava una brutta ferita, ma aveva pure battuto la testa.
Mike si tolse la giacca a vento rossa e la piegò a mo’ di cuscino, per poi metterla sotto la testa di Spike.
“Ce la farai a curarlo?” chiese il fratello, parlando piano.
“Mike, sono una veterinaria!”
“Hai mai curato un gorilla? Più o meno è la stessa cosa”
Spike, semicosciente, bofonchiò qualcosa. Avrebbe voluto fargliela pagare, ma era troppo debole.
“Posso medicargli la ferita, ma non aspettarti miracoli”
Mike osservò la sorella armeggiare con svariati ‘attrezzi da medico ’ mangiucchiandosi nervosamente le unghie, mentre al di fuori il cielo si tingeva di arancione.
 
***
 
Mike si stava contorcendo in modo strano, le ginocchia sul sedile e cercando di passare per lo spazio troppo stretto che c’era con lamiera del furgone, agitando disperatamente il braccio per prendere uno zainetto lì dietro. Quando finalmente riuscì nel suo intento, gioì e tirò fuori il contenuto.
“Ma cosa stai facendo?” chiese Maddie dal sedile del guidatore, staccando per un attimo gli occhi dal libro che stava leggendo. Vide Mike vestito in modo molto strano: oltre ai pantaloni color panna, aveva una mantellina mimetica dello stesso colore più il bianco e il grigio, con tanto di cappuccio e maschera della medesima trama. Il tutto era coronato da un grembiule da cuoco con tanto di scritta “Home sweet home”.
“Vado in ricognizione” rispose l’altro, con un tono di uno che stava giocando al militare.
“E ci vai vestito in quel modo? Passerai sicuramenteinosservato” disse ironicamente Maddie.
“Il mimetismo è tutto, non a caso mi chiamano ‘il fantasma della casa’”
Spike aprì un occhio e ridacchiò silenziosamente. Lo scemo era proprio matto.
“È Halloween, Maddie” disse Mike, prima di chiudere la porta del furgone.
La ragazza scosse la testa e sorrise. Dopodiché, ritornò al suo libro mentre Spike riprese a sonnecchiare.
Mike si allontanò rapidamente dal furgone, parcheggiato in un posto sicuro dopo quello che era successo in piazza. Raggiunse un gruppetto di case e provvide a seguire la linea del muro, come un ninja in azione. L’intero quartiere subiva visibilmente l’influenza di Halloween: non c’era posto senza una zucca-lanterna, scheletri finti appesi, streghe di stoffa, ragnatele sintetiche con ragni di plastica.
Inciampò in qualcosa di morbido e cadde lungo disteso a terra. Imprecò e si girò a guardare quale oscura minaccia ha osato ostacolare il suo cammino. Prese in mano qualcosa di lungo e flessibile. Lo avvicinò agli occhi per vedere cosa fosse, ma quando lo scoprì la gettò a terra inorridito.
“Maledette serpi in gomma” disse fra sé e sé “Sono persino più pericolose di quelle vive”
Detto questo, continuò il suo cammino verso l’ufficio dello sceriffo, un po’ seccato per il suo spiacevole incontro ma non del tutto privato della magia del personaggio che impersonava.
Una coppia di poliziotti attraversò lo stesso vicolo che Mike stava percorrendo. Il matto si appiattì sul muro, sperando che il suo travestimento funzioni.
“… E poi c’era quello con il giubbotto rosso e i capelli sparati per aria, giusto?” disse il primo poliziotto.
Mike trasalì. Stavano parlando di uno uguale a lui. Aveva forse un gemello cattivo? Un alter-ego venuto da chissà quale continuum spazio-temporale? O forse era una terribile coincidenza?
“Sì, quel mezzo matto e la ragazza. Per quell’altro, quello ferito, non c’è pericolo. Pensa, ci hanno detto di setacciare anche tutta la contea se necessario!”
Poi i due poliziotti girarono l’angolo e Mike continuò per la sua strada, col cuore in gola.
 
***
 
James andava avanti e indietro freneticamente lungo tutta la cella. Hun lo osservava da sdraiato sul letto, contando i giri che Face faceva per addormentarsi. Ma non ci riusciva. Nessuno dei due ci riusciva. Nemmeno l’altro carcerato, anch’egli steso su una brandina, non riusciva a dormire a causa del rumore frenetico dei passi.
I due membri del Team avevano ancora l’immagine di Spike che cadeva a terra, ferito. Hun, in  un certo senso, si sentiva in colpa: avrebbe dovuto farli perquisire e non limitarsi solamente a prendere le armi che già avevano tirato fuori.
“Psst!” sussurrò una voce dall’unica finestra della stanza, posta un po’ in alto e attraversata dalle sbarre.
Hun e James si voltarono e guardarono la strana maschera da Hockey che affiorava da dietro le corte sbarre della finestra.
“Cos’è, uno scherzo?” disse James, che di sorprese ne aveva già abbastanza.
Mike si tirò su la maschera, sorridendo compiaciuto.
“Mike!! Come sta Spike?”
“È un po’ sbattuto come un uovo, ma se la caverà, il ragazzone!”
“La polizia vi sta cercando ovunque” lo avvisò Hun.
“Lo sappiamo, Maddie ha spostato il furgone poco fuori città. Eh? Non mi avete presentato il vostro amichetto!”
“Mike, ti presento William Morrand” disse Hun, presentando il terzo uomo nella cella.
“Piacere” rispose questi “Quindi, voi siete quelli che mi dovrebbero salvare?”
“Il Nuovo A-Team al vostro servizio!” disse Mike “Ora perdonatemi, devo fare rapporto al Campo Base”
Detto questo, scomparve.
“Ma cosa si è bevuto?” chiese scettico William, appoggiandosi a un gomito.
“Nulla. È solamente… matto” rispose James.
“Ah… perfetto!” disse William, lasciandosi cadere sulla brandina.
 
***
 
Mike si nascondeva per bene dietro a una finestra, badando a non farsi vedere. Voleva scattare qualche foto-ricordo dell’ufficio prima di tornare indietro. Arrivarono lo sceriffo e uno vestito con uno smoking nero e cominciarono a parlare di contrabbandi, merce illegale e le somme da dividere.
Mike tirò fuori il registratore che sua sorella gli aveva dato e lo appoggiò vicino alla finestra, dopodiché tirò fuori una macchinetta fotografica digitale e cominciò a scattare qualche foto ai due, ovviamente senza flash. Quando i due nell’ufficio ebbero finito di parlare, Mike fermò la registrazione e riprese tutto il suo materiale.
“Missione compiuta!” esclamò sottovoce avviandosi verso il furgone.
 
***
 
Maddie stava leggendo tranquillamente il suo libro quando sentì un rumore di passi vicino al furgone. Insospettita, cercò la fonte del rumore, rimanendo col fiato sospeso, aspettandosi di tutto.
Il portellone del furgone si aprì e Mike fece capolino col suo buffo travestimento.
“Dolcetto o scherzetto?” Chiese, senza però aspettarsi una risposta.
“Mike! Hai fatto?”
L’altro tirò fuori il registratore e la macchinetta fotografica, sorridendo.
“Hun, James e il nostro caro amico William sono nella prima cella e con quello che ho raccolto quei malviventi saranno più inchiodati di una scultura di chiodi”
“Non esistono sculture di chiodi, scemo!” esclamò Spike dal suo angolo.
“Ah, Spike! Vedo che stai meglio”
“No, è che mi ero stufato di dormire”
“Sì, sta meglio” disse Maddie, abbozzando un sorriso e mettendo un segnalibro sul volumetto, per poi chiuderlo.
“Allora” cominciò la ragazza “Ci serve un piano di emergenza. Qualche idea?”
“È compito di Hun inventare piani, non mio!” obiettò Mike.
“Il matto ha ragione. Non abbiamo mai fatto un piano prima d’ora e siamo n solo in tre contro un intero corpo di polizia”
“Due, Spike. Due. Tu rimani qui”
“No! Spike Baracus non si tira mai indietro nel momento del bisogno!”
Mike guardava a turno l’uno e l’altra, indeciso su chi dare ragione o semplicemente senza sapere cosa dire o pensare. Ad un ceto punto si illuminò.
“Ehi, mi è venuta un’idea geniale”
 
***
 
Il vicesceriffo se ne stava appoggiato davanti alla porta dell’ufficio, come se stesse facendo la guardia.
Ma più che stare vigile e attento sembrava si stesse addormentando in piedi.
“Ehi!” fece una voce poco lontano. Il poliziotto alzò lo sguardo e vide uno tipo vestito con una strana mimetica, completo di mantellina. Sbatté più volte gli occhi, credendo che la stanchezza gli stesse giocando brutti scherzi.
“Sto dicendo a te! Sono il fantasma della casa, pronto a darti qualche legnata!”
L’altro corrugò la fronte, ancora più convinto di avere bisogno di farsi un caffè.
“Vieni qui, se hai coraggio! O sei un… polloccio?”
Detto questo, lo strano damerino con la mimetica cominciò a girare intorno imitando un pollo.
Il vicesceriffo si arrabbiò, prese la sua pistola e cominciò a sparare a caso, in direzione del mezzo matto vestito di bianco, ma a causa della stanchezza e dei movimenti rapidi dell’altro nemmeno un colpo andò a segno.
“alé!” disse Mike, che ora aveva la maschera sopra la testa e la mantellina in mano, come un matador.
Scaricata la pistola, il poliziotto si avventò contro l’altro, ma fu atterrato e legato come un salame nel giro di poco tempo.
“Gracias, muchas gracias señores!” esclamò il matto, inchinandosi verso un pubblico invisibile.
Maddie approfittò della confusione per entrare nell’ufficio. Vicino alle celle c’era lo sceriffo che russava pacificamente. La ragazza tirò fuori una boccetta e bagnò un fazzoletto con del liquido. Si avvicinò di soppiatto dietro al bello addormentato e cercò di rubare il mazzetto di chiavi dalla tasca. Come previsto, lo sceriffo si svegliò di colpo tentando di capire cosa stesse succedendo, ma Maddie gli mise il fazzoletto inumidito in modo da coprirgli il naso e lo sceriffo ricadde sulla sua sedia, ricominciando a russare.
Maddie mise via il fazzoletto e prese tranquillamente le chiavi.
“Cloroformio?” chiese sorpreso James, che aveva assistito silenziosamente alla scena, insieme a Hun e William.
“Sì” rispose lei, aprendo la porta della cella.
“Ma ti porti sempre via tutte queste cose strane? Insomma, quanta altra roba inutile hai portato?”
“Beh, in questo caso è stato utilissimo, James!” fece notare Hun.
“Sono molto previdente”
Con queste tre parole Maddie chiuse il discorso e fece cenno agli altri di raggiungere la stanza che dava all’uscita.
“Ho interrotto una riunione di famiglia?” chiese Mike, che stava entrando dalla porta.
“Non sono colori a tempera, questi?” chiese James prendendo in mano un lembo della mantellina di Mike, che però se lo riprese come fosse d’oro.
“Vi stanno cercando dappertutto, come faremo a sapere se la via è libera?” notò giustamente William.
Mike tirò fuori un walkie-talkie.
“Fantasma del furgone, ci sei?”
“Ti ho detto di non chiamarmi in quel modo, brutto scemo!” ringhiò Spike dall’altra parte del ricevitore.
“Vedo che Spike si è ripreso bene!” disse James.
“Veramente no” rispose Maddie “Perde ancora sangue e se ha ancora la forza di fare battute è solo grazie al suo fisico. Se non lo portiamo subito in ospedale, potrebbe finire… male”
Questa ultima notizia gettò una nota d’ombra su tutti i presenti.
 
***
 
“E poi arriva questa qui con il cloroformio e stende di botto lo sceriffo” raccontò William da dentro la stanza dell’ospedale dove era ricoverato Spike. Oltre a loro due c’erano tutto il nuovo A-Team, Jack Morrand e la figlia Eliza. L’infermiera del reparto aveva protestato più volte, dicendo che c’era troppa gente lì dentro, ma fu sempre messa a tacere dalla chiacchiere di James.
“Poi siamo partiti e, una volta attraversato il confine della contea, Mike e Hun hanno portato Spike in ospedale mentre William e James hanno consegnato una copia dei file a uno sceriffo non-corrotto” continuò Maddie.
“Lo scemo era veramente ridicolo con costume mimetico!” aggiunse Spike, ridendo.
“Ehi!” protestò Mike.
James si avvicinò a Eliza e Jack, mentre gli altri continuavano a parlare.
“Tenete” disse porgendo loro una mazzetta di dollari.
“Cosa…?” disse Eliza, non capendo il perché.
“Tra viaggio, motel, affitto dei membri, spese mediche e materiale vario abbiamo speso meno della metà. Per cui, ecco il resto”
I due clienti non sapevano cosa dire, si limitarono solo a ringraziare per l’aiuto.
“Ehilà!” disse una voce alla porta e P.E. Baracus entrò con un bicchiere di latte per ciascuno, su un vassoio.
“Chi vuole del latte?” chiese, con la sua voce un po’ roca, resa un po’ più cupa dall’età.
Tutti si avventarono sul vassoio, prendendo ognuno il suo bicchiere.
“Ha! Grande Papi!” disse Spike, con i baffi bianchi lasciati dal latte dopo un lungo sorso.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Questo è l'A-Team! ***


(Ringrazio parveth89 per il personaggio di Alyson Smith)
 
 
Dieci anni fa i figli di un commando specializzato operante in Vietnam rifondarono un leggendario gruppo sciolto da tempo. Usando un vecchio negozio come quartier generale, vivono a Los Angeles, lavorando in incognito. Sono tuttora in azione, se avete un problema che nessuno può risolvere, e se riuscite a trovarli, forse potrete ingaggiare il nuovo A-Team!
 
 
Murdock uscì dal supermercato con la busta della spesa. Dato che la moglie aveva non pochi impegni, ci aveva pensato lui. Non che avesse avuto tante cose da comprare…
Si avviò verso l’auto nel parcheggio, fischiettando allegramente e guardando qua e là.
“Murdock! Chi si rivede!” esclamò una voce familiare alle sue spalle. Murdock si girò e sorrise quando riconobbe l’amico Sberla. Appoggiò la spesa nel bagagliaio e lo chiuse.
“Sberla! Da quant’è che non ci vediamo? Anni, come minimo” disse dando una pacca sulla spalla a Sberla.
“Andiamo al café, ti offro qualcosa” propose Sberla e l’altro rispose affermativamente.
Si fermarono al café lì vicino e si sedettero a un tavolo. L’ambiente era caldo e accogliente, gli interni erano prevalentemente di varie sfumature color cioccolato e le sedie erano tutte foderate in velluto.
“Come va? Tutto a posto in famiglia?” chiese Sberla con un lieve sorriso.
“Oh, sì, anche se sono un po’ preoccupato per Mike, in ospedale” rispose Murdock con un tono lievemente turbato e abbassando lo sguardo.
“Ah, se ti assomiglia così tanto quanto sembra, i migliori psichiatri si strapperanno le lauree e si metteranno a vendere banane… quanti ne hai fatti fuori, te? Uno l’hai fatto persino impazzire…”
Murdock accennò un sorriso per la battuta, ma ritornò subito serio.
“James non te l’ha detto” disse con un tono più basso, quasi fosse una nota dolente.
“Detto cosa?” chiese Sberla preoccupandosi.
In quel momento arrivò la cameriera con i due caffè ma Templeton non aveva intenzione di toccarlo prima di aver ricevuto una risposta. Murdock prese una bustina di zucchero e la versò nella tazza.
“Mike è ricoverato in ospedale da almeno una settimana… ma non l’ospedale psichiatrico, quello… normale, in brutte condizioni. Davvero James non ti ha detto niente? Eppure c’era anche lui quando è successo…” disse lentamente Murdock, mescolando il caffè con un lento movimento circolare con il cucchiaino.
Sberla era visibilmente attonito, anche se cercava di nasconderlo forse per forza della vecchia abitudine di fuggitivo.
“No, non… non mi ha detto niente. Cos’è successo?”
“C’è stato un incendio nel reparto psichiatrico la settimana scorsa e una trave rompendosi ha colpito Mike. Maddie, James, Spike e Hun per fortuna erano lì e lo hanno aiutato immediatamente, altrimenti ci avrebbe lasciato la pelle. Mike a parte, tutti se la sono cavata con qualche ustione e James con un braccio rotto” Disse Murdock tutto ad un fiato, come se avesse detto qualcosa che gli premeva.
“Sapevo dell’incendio, ma non questo!”
“Ah, Faccia da Sberle! Stai perdendo colpi”
Continuarono a chiacchierare animatamente fino a quando non finirono il caffè, dopodiché uscirono.
Murdock probabilmente  non ci aveva fatto caso, o forse non ha voluto dire nulla, ma è stata una delle uniche volte in cui Sberla ha pagato veramente qualcosa.
Una volta chiusa la porta dietro di loro, i due si salutarono e andarono in due direzioni diverse.
“Murdock!” gridò Sberla ad un certo punto. L’ex matto si girò di scatto facendo perno su un piede e lo raggiunse. Templeton staccò un foglio attaccato a una bacheca con dello scotch e lo mostrò all’altro.
Murdock non rispose, non sapeva cosa dire.
Quel foglio era un avviso della polizia e c’erano le foto di cinque ricercati, con annessa taglia.
Ma quelle erano le foto di Hun, Maddie, Mike, James e Spike.
 
***
 
“E poi arriva il prof” disse Maddie imitando la camminata dl suo professore scrollando un po’ le spalle “con gli occhiali sopra la testa, si siede, mette tutto a posto, cerca di leggere quello che c’era scritto sul registro” Maddie avvicinò e allontanò le mani come se stesse cercando di mettere a fuoco una scritta, suscitando le risate di Mike disteso sul lettino dell’ospedale
“Poi cerca nella sua cartella, in giro, sulla cattedra ecc, alla fine alza la testa e dice –Qualcuno ha visto i miei occhiali?-“
Mike scoppiò a ridere, facendo sballare tutti i valori del monitor. Arricciò un po’ il naso, perché il tubicino dell’ossigeno gli dava un po’ fastidio.
“Questa è proprio forte, Maddie! Almeno a te passa il tempo… qui in ospedale è noioso!”
“Beh, cerca di guarire in fretta allora, che ti stiamo tutti aspettando”
Mike sorrise, con lo sguardo perso verso il soffitto come se avesse un turbinio di pensieri per la testa. Anche la sorella lo imitò per un breve periodo di tempo, finché non aprì la bocca per dire qualcosa ma un’infermiera la interruppe entrando nella stanza.
“Orario visite finito, smammare!” disse questa, un’afroamericana robusta ma non molto alta.
“Va bene… ciao, Mike! Verrò a trovarti il prima possibile!”
“Ciao Maddie! In bocca al lupo per l’esame!” rispose Mike facendo un lieve cenno con la mano, salutando la sorella quasi a malincuore.
 
Maddie era appena uscita dalla porta dell’ospedale, quando le squillò il telefono.
“Ciao papà!” disse.
In quel momento passarono due agenti della polizia e uno di loro si girò e squadrò la ragazza, ma proseguirono dritto senza che Maddie ci fece caso.
“Eh? No aspetta, stai dicendo sul serio?” esclamò la ragazza and un certo punto,  cambiando completamente colore.
“Sì, ci sono volantini dappertutto. Cosa avete combinato?”
“Nulla di così grave! Andiamo, papà, cosa mai potranno fare di così tanto male una veterinaria, uno schizofrenico, un meccanico, un negoziante e un dongiovanni?”
Dalla pausa che ne seguì, Maddie poté dedurre che il padre stesse sorridendo.
“Papà non ti preoccupare, si risolverà tutto. Ce la siamo sempre cavata nelle brutte situazioni, no?”
Murdock non rispose subito.
“Beh, ci sono passato anche io e sono ancora quasi tutto intero. Mi raccomando, fate attenzione. Se avete bisogno di una mano… beh, io e tua madre siamo qui”
“Va bene, grazie papà” concluse Maddie riagganciando.
 
***
 
“La Cadillac è a posto” disse Spike uscendo da sotto una macchina e asciugandosi le mani sporche d’olio su uno straccio appoggiato lì vicino.
“Ben fatto, quella era l’ultima per adesso, chiudo e andiamo a mangiare” disse P.E. avviandosi vero il portone della sua officina. Spike uscì dalla porta lì accanto, diretto verso casa, esattamente di fronte.
Si fermò davanti alla porta, spettando che il padre lo raggiungesse. Notò con la coda dell’occhio un gruppo di persone che leggevano qualcosa affisso davanti a un negozio. Spinto dalla curiosità si avvicinò.
Tutte le persone appena lo videro si scansarono, guardandolo con diffidenza.
Spike li ignorò e guardò direttamente l’annuncio appeso sul vetro.
“Ehi, ma che cacchio…”  disse adirato prendendo in mano in foglio “Spero per voi scemi che sia tutto un brutto scherzo!”
Si girò, tra gli sguardi spaventati dalla folla. Uno di loro, poi, stava facendo una telefonata.
Arrivò P.E., chiedendo spiegazioni. Il figlio gli fece vedere quello che aveva in mano.
 
***
 
Hun voltò l’angolo della strada fischiettando. Si sentiva particolarmente sereno quel giorno, ma normalmente quando è così vuol dire che ci sono guai in vista.
Stava percorrendo il marciapiede lungo la strada che lo avrebbe portato al negozio di antiquariato, quando vide in lontananza due agenti di polizia che attendevano davanti la porta della bottega.
Una persona normale sarebbe andata lì a chiedere spiegazioni, ma una specie di ‘campanello d’allarme’ gli suggerì che non era la cosa giusta da fare.
 
“Eppure il capo ci aveva detto che lavorava in questo negozio” disse uno dei due agenti, un giovane, molto probabilmente entrato nel corpo di polizia da poco.
“Arriverà a momenti. La pausa pranzo non dura in eterno” rispose l’altro, più anziano.
Un vecchietto con uno strano basco e gli occhiali si avvicinò alla porta, da dentro il negozio, e l’aprì.
“Oh, cosa devo onole di vostla visita?” chiese il vecchietto, all’apparenza asiatico.
“Cerchiamo Hun Smith, sa dove possiamo trovarlo?” rispose il poliziotto più anziano, mostrando il distintivo.
“Oh, Hun fuori città, lasciato me negozio fino suo litorno. Dovlete aspettale. Dice il saggio, paziente è colui…”
“Si, si, risparmiaci Confucio e compagnia bella” tagliò corto il poliziotto di prima.
“Allora non vi dispiacerà se diamo un’occhiata” disse quello più giovane.
Il vecchio cinese fece un cenno affermativo e li fece entrare. I due tutori della legge mostrarono un mandato di perquisizione  guardarono ovunque, senza trovare quello che cercavano. Alla fine, si congedarono con il vecchietto e se ne andarono.
Hun Smith si tolse gli occhiali e li guardò allontanarsi. Prese il volantino che teneva in tasca, trovato affisso su un palo della luce mentre aggirava gli edifici per entrare dal retro, e lo guardò preoccupato.
“A quanto pare le cose si fanno più complicate del previsto” sussurrò tra sé e sé, prendendo la cornetta del telefono.
 
***
 
“Oh, certo tesoro” disse James al telefono con la sua ragazza ”che ne dici per stasera? Alle nove va bene?”
“Ah, James, a proposito di stasera…”
La ragazza aveva un tono che allarmò un po’ Face, il quale rimase in attesa.
“È meglio aspettare, magari rinviamo a un’altra volta” disse la ragazza con un tono che lasciava trasparire un po’ di turbamento.
“Oh, su, Catherine,  vedrai sarà una bellissima serata romantica!”
“Non ho dubbi su questo, ma ho visto i volantini in giro ed… è meglio andarci piano”
“I volantini? Oh, ma dai! È solo uno scherzo che mi hanno fatto gli amici”
In realtà James non sapeva nulla di quei ‘volantini’.
“Non mi pare, ci sono anche le loro foto”
“Ah, ah! Oh sì, quei volantini! Avevo capito degli altri. Oh no, è una trovata pubblicitaria: i nostri predecessori erano ricercati dal governo, quindi…”
“Se lo dici tu… Una buona trovata, anche se mi pare poco efficace. Allora…. Ci vediamo, James!”
“Va bene, Catie, ci sentiamo”
Face riattaccò il telefono. Tenne la mano destra, del braccio sano, attaccata alla cornetta per qualche secondo. Sospirò amaramente.
Quella storia dei volantini non gli piaceva affatto e, come se non bastasse, la sua ragazza gli aveva dato buca.
James uscì dalla sua suite richiudendo la porta dietro di sé.
 
***
 
“Oh, avanti! Hun, non puoi avere chiuso proprio adesso!” disse James ad alta voce spingendo nervosamente la maniglia della porta del negozio, ignorando la scritta “chiuso” come se fosse uno scherzo.
Un barbone gli si avvicinò un poco, sedendosi a qualche piede di distanza dalla porta.
“Ti ha fatto qualcosa di male, quella porta?”
“Eh? No, no... lascia perdere”
“Ah, sii paziente, ragazzo”
Quella frase era pronunciata in un modo che parve stranamente familiare a James. Il barbone si coprì di più con un sacchetto della spazzatura, cercando di proteggersi dal freddo pungente.
“Se hai pazienza, tutto andrà bene” continuò l’uomo seduto a terra.
“Oh, certo, come no! Risparmiami la ramanzina, per favore!” disse James seccato.
“Se vuoi capirci di più, torna qui alle quattro del pomeriggio”
James tentò di fargli altre domande, ma il barbone si era sdraiato e non dava cenni di voler aggiungere altro. Face si rassegnò e riprese il cammino verso il suo appartamento, a piedi, dato che non era nelle condizioni di guidare con un braccio rotto.
Evitò le strade più importanti e quelle più trafficate, meno gente lo vedeva meglio era. Aveva un turbinio di pensieri e domande irrisolte nella testa.
Cos’era tutta questa storia dei volantini? Dov’era finito Hun e cosa ne sapeva quel barbone?
Chinò la testa e osservò il marciapiede scorrere sotto i suoi occhi. Forse alle quattro del pomeriggio avrebbe avuto almeno qualche indizio in più.
 
***
 
James aprì la porta posta sul retro del negozio di antiquariato tenendo gli occhi fissi su un bigliettino trovato nell’ingresso principale e con scritto di passare sul retro. Quando alzò gli occhi sulla stanza trasalì: non solo perché c’era qualcuno, ma perché quel ‘qualcuno’ erano Hun, Murdock, Spike, P.E. e persino Sberla.
“Benvenuto al covo segreto degli A-Team, c’è qualcosa che possiamo fare per Lei?” chiese Murdock con un tono un po’ ironico.
“Sì, spiegarmi cos’è questa storia e soprattutto cosa diamine ci fa mio padre qui”
“Ah, grazie del complimento!” rispose Sberla sarcastico e piuttosto irritato.
Hun fece sedere James e, assieme agli altri presenti, gli spiegò tutto quello che sapevano sulla faccenda, dando più peso alle (false) accuse mosse contro di loro per sbatterli in cella piuttosto che della faccenda stessa.
“Questo è tutto quello che sapete?” chiese Face, scettico.
Tutti gli altri annuirono.
“Poco, per non dire quasi nulla” aggiunse Sberla.
“Secondo me qui c’è lo zampino di qualcuno” commentò Spike.
“E chi potrebbe volerci male a tal punto da fare tutto questo casino?”
“Qualcuno con un grosso budget, sicuramente” rispose una voce femminile alle loro spalle.
“Scusate il ritardo” disse Maddie richiudendosi la porta dietro sé “ma ho avuto qualche problema con degli sbirri all’incrocio”
Gli altri rimasero congelati da quell’ultima affermazione.
“Ti ha seguito qualcuno?” chiese Hun.
“Non ti preoccupare, li ho sistemati per benino” rispose l’altra con un tono vago ma nessun altro ebbe il coraggio di chiederle cosa avesse fatto.
“Un’altra cosa…” continuò Face, voltandosi di nuovo verso Hun “Chi era quel barbone e come faceva a sapere…”
“Non ti preoccupare, se hai pazienza, tutto andrà bene” lo interrupe Hun.
James passò una mano in fronte, come uno che era stato preso in giro senza rendersene conto.
“Dovremo darci da fare per scovare quello scemo che ha fatto questo e fargliela pagare cara!” propose P.E.
“Dovremo?” disse Maddie.
“Esatto. Che lo vogliate o no, noi verremo con voi!” esclamò P.E. . Murdock e Sberla fecero cenni di assenso.
Una strana e allegra musichetta si diffuse per tutta la stanza. Tutti i presenti cercarono con lo sguardo la fonte di quella melodia, fino a quando Maddie non rispose al cellulare.
“Dimmi Mike… I Na’vi? In che senso?  Ehi, ehi, calmati! Non ci sono indigeni blu in ospedale, hai le allucinazioni!”
Murdock si avvicinò di più alla figlia per sentire cosa Mike stesse dicendo al telefono, mentre gli altri guardavano la ragazza con aria interrogativa.
“Mike, Mike! Calmati, mi stai spaccando il timpano! Considera il lato positivo, se ti sono tornate le allucinazioni vuol dire che stai migliorando”
Beh, non proprio. Ma almeno così il fratello si calmò un po’.
“Mike, guarisci presto che ti stiamo tutti aspettando!” intervenne Murdock, dopodiché Maddie salutò Mike e riattaccò.
“Tornando a noi” disse Sberla “cosa facciamo?”
“Nulla. Ci nascondiamo” propose Hun. Tra i presenti si diffusero mormorii di disapprovazione.
“Cosa stai dicendo, Hun? Ti è dato di volta il cervello? Io non vedo l’ora di prendere quegli idioti e fargliela pagare!” esclamò Spike.
“Anche io muoio dalla voglia di dare loro una lezione, ma non senza Mike. O tutti, o nessuno: anche lui ne ha il diritto”
Nessuno osò più protestare.
 
***
 
Maddie stava guardando fuori dalla finestra della casa dei suoi genitori la rada neve che scendeva dal cielo buio. Era rattristata dal fatto di non poter frequentare l’università fino a che la questione si fosse risolta, ma era anche preoccupata per suo fratello. Fra pochi giorni veniva dimesso, certo, ma ci sarebbero sicuramente stati dei poliziotti pronti a portarlo via.
I suoi pensieri vennero interrotti da una figura scura che camminava verso la porta, guardandosi attorno.
Maddie si ritirò dalla finestra, temendo il peggio.
“Mamma! Arriva qualcuno!” sussurrò, dopodiché si nascose dietro una porta, temendo il peggio.
Suonò il campanello e Kelly andò ad aprire.
“Ciao James!” disse.
“Perdonate l’orario, ma è urgente. Ho bisogno di un favore, un grosso favore” disse l’altro entrando immediatamente.
“Dimmi, di cosa si tratta?” chiese Kelly, mentre Maddie usciva dal suo nascondiglio.
“Qualcuno mi sta pedinando. Non so chi sia, temo qualcuno della polizia o cose simili… Oh, ciao Maddie!”
James indossava una tuta da ginnastica, cosa che sembrava fin aliena agli occhi di Maddie, abituata a vederlo sempre elegante e impeccabile. Con tutti gli altri avevano  stabilito degli accorgimenti sul vestiario per confondersi meglio: Spike doveva indossare abiti meno vistosi e possibilmente coprirsi il capo con un berretto (dato che tagliarsi la cresta era fuori discussione), Maddie vestire in modo meno ‘country’ e portare la coda di cavallo, Mike essere un po’ elegante, Hun avrebbe utilizzato i suoi travestimenti mentre James sarebbe stato un po’ meno elegante.
Certo, ma nessuno si sarebbe aspettato fino a questo punto.
Kelly guardò fuori dalla finestra.
“Sta arrivando qualcuno! È un poliziotto, nascondetevi!” disse ad un certo punto, agitandosi un po’.
“Dove?” chiese James, turbato.
“Nell’armadio!” affermò Maddie prendendolo per la manica.
Entrarono e la ragazza chiuse le ante, dopodiché entrambi aspettarono con il nodo in gola, un po’ stretti all’interno del mobile.
Ci fu qualche attimo di silenzio, un silenzio carico di tensione.
Maddie involontariamente strinse la mano a James e questi le rivolse uno sguardo interrogativo. La ragazza, resasi conto di questo particolare, ritrasse di scatto la mano, scusandosi e arrossendo, anche se con il buio non si vide.
“Cosa ne sarà di noi, se ci catturano?” chiese James.
“Non lo so. So solo che qui in tre si sta stretti” disse una voce maschile alle loro spalle. Gli altri due sussultarono, cercando di uscire, solo che Maddie inciampò e caddero rovinosamente a terra tutti e tre, Maddie, James e Mike, sotto gli sguardi divertiti di Murdock, Kelly e Hun travestito da poliziotto.
Face si tirò immediatamente in piedi, lamentandosi di aver sbattuto il braccio ingessato. Anche la ragazza si alzò, mentre il fratello rimase disteso a terra guardando un punto nel soffitto.
“Mike?” chiese Kelly, chiedendosi come mai il figlio fosse fuori dall’ospedale.
“Accidenti. Prima scappo dai medici che mi voglio portare in gattabuia, poi da un poliziotto che mi pedinava, poi mi sono perso… per fortuna ho seguito James e sono riuscito ad entrare dal retro altrimenti…” spiegò Mike.
“Ma se tu seguivi me, chi…?” chiese James, ma fu interrotto da Hun.
“Io”
“Aspetta, aspetta” disse Maddie “Tu, Hun, stavi inseguendo Mike che inseguiva James che vagava di notte?”
La ragazza diede particolare rilievo alle ultime tre parole.
“Stavo facendo una camminata, così, per prendere una boccata d’aria” spiegò James.
“E tu, Hun, che ci fai con la divisa da poliziotto?”
“Volevo solo farvi prendere un bello spavento, eh eh!” spiegò Hun sorridendo.
I tre ragazzi brontolarono per brutto scherzo.
Ma in fondo, era una specie di prova: così sapevano cosa fare e cosa non fare in caso di emergenza.
“Bel modo di passare il Natale” osservò James, guardando malinconico un punto fuori dalla finestra.
Gli altri tacquero in segno di assenso.
“Oggi è la vigilia” disse ad un certo punto H.M. Murdock, rompendo il ghiaccio “Che ne dite domani di cenare tutti assieme?”
Kelly sorrise, il marito aveva avuto un ottima idea.
Gli altri acconsentirono di buona voglia.
“Ottimo. Avviso anche P.E.” disse Kelly prendendo in mano il telefono.
 
***
 
Il giorno seguente Maddie diede una mano a sua madre a preparare da mangiare, mentre Mike e H.M. Murdock allestirono il salotto come un’improvvisata sala da pranzo, dato che quella vera e propria era troppo piccola per tutti. Verso le sette di sera cominciarono ad arrivare gli ospiti. Per primo arrivò Hun, poi James e Sberla e infine P.E. e Spike. Si accomodarono tutti a tavola, scambiandosi gli auguri.
Mangiarono allegramente tutti assieme, riuscendo per un po’ a mettere in secondo piano tutte le preoccupazioni, ma man mano ritornarono tutte a galla.
“Sapete, mi è venuta in mente una cosa” disse a un certo punto Hun, con un largo sorriso in faccia.
“Avanti, Hun, sentiamo” disse James.
“in qualche modo, dobbiamo scoprire chi è stato. E se cerchiamo nel database della polizia?”
“Ah, Sberla! Ti ricordi quello del boyscout?” disse Murdock, illuminato.
“Sì! È vero!” confermò l’altro ed entrambi si misero a ridere.
“Io non ho capito niente” disse Spike.
“Anni fa” cominciò Murdock “Quando ancora il governo ci dava la caccia…”
“A noi ci dava la caccia! Tu te ne stavi a fare lo scemo in manicomio!” intervenne P.E., alzandosi in piedi interrompendo bruscamente Murdock.
“È vero, sarò stato pure matto ma vi ho salvato la pelle molte volte!” ribatté l’altro alzandosi in piedi a sua volta.
“Ehi ehi ehi basta, calmi, adesso vorrei sentire il resto della storia” disse Maddie calmando le acque.
Spike squadrò storto Mike e gli fece un cenno di minaccia, come per dire ‘Dopo tocca a te’.
“Stavo dicendo… dovevamo recuperare dei dati per la missione che stavamo svolgendo, così ho legato Sberla come un salame, mi sono travestito da boyscout e ci siamo precipitati all’ufficio della polizia militare” raccontò Murdock.
“Quello che c’era al bancone… un sergente mi pare… ci è cascato in pieno! Così mentre andava ad avvisare i superiori per fare le carte ho potuto dare una sbirciatina al loro computer” continuò Sberla.
“È un piano geniale! Di chi è il merito?” disse Hun, entusiasta.
“Hannibal” dissero in coro i tre del vecchio Team.
Il ricordo del membro scomparso gettò un po’ di amarezza fra i presenti, fino a quando non è arrivata Kelly con il tacchino, facendo ritornare a tutti il buonumore.
 
***
 
Hun gironzolava per il retrobottega, pensando a un piano per intrufolarsi nella centrale della polizia.
Poteva riciclare il piano di suo padre, ma con chi? Non poteva mettere due membri del nuovo A-Team, ma nemmeno uno e uno… sarebbe stato ovvio che fosse una trappola.
“Ma chi voglio prendere in giro…” disse sottovoce sbattendo un pugno sul muro. Oltre a lui c’erano anche tutti gli altri, chi in piedi appoggiato al muro e chi seduto sulle poltrone.
“Cosa, Hun?” chiese Maddie.
“Sono in un vicolo cieco”
Hun espose il suo problema anche agli altri, forse avevano modo di aiutarli.
“Se né il quadrato né il triangolo passano nella buca a forma di cerchio, ci devi mettere un oggetto tondeggiante” intervenne Murdock.
Hun aspirò dal sigaro guardando l’ex-matto con un’espressione interrogativa.
“Chiediamo aiuto a qualcun altro, no?”  
Hun ebbe un’illuminazione. Come aveva potuto non pensarci prima?
Sollevò la cornetta con un preciso numero stampato nella mente.
“Ciao Alyson! Sono tuo cugino Hun, è un bel po’ che non ci vediamo, eh?”
I tre membri del vecchio Team, una volta sentito il nome, rizzarono le orecchie. Murdock, poi, aveva un largo sorriso stampato in faccia.
Gli altri quattro, invece, erano desiderosi di conoscere la cugina del loro amato ‘capo’.
 
***
 
Alyson era una donna piuttosto magra, non molto alta e sicuramente non poco più grande di suo cugino. Portava i capelli, di un colore scuro, sciolti fino alle spalle.
“Accidenti, Hun, l’ultima volta che ti ho visto eri piccolo così!” disse Aly mimando con la mano quella che poteva essere l’altezza di un bambino di dieci anni, poi lo abbracciò forte.
“Quanto sei diventato grande!”
“Eh già, ma tu sei sempre uguale cugina!” rispose Hun con un largo sorriso.
“Ti presento l’A-Team. Loro tre li conosci già…” disse Hun indicando Murdock, Sberla e P.E.
“Mentre loro sono Mike e Maddie Murdock, James Peck e Spike Baracus”
I membri del nuovo A-Team salutarono a turno appena venivano nominati. Alyson fu felice di rivedere dei vecchi compagni e di conoscerne di nuovi.
 
***
 
“Pronti? In azione!” disse Hun al walkie talkie, osservando tutto dalla finestra di un edificio vicino.
“Ok, vado!” disse Aly dando a P.E. la sua trasmittente. Fece un cenno a Mike, che la raggiunse.
“Ma devo proprio farlo io? È James quello con la faccia da sberle!” si lamentò il matto, legato come un salame.
“Ma sei tu il genio del computer, Madflyer88” rispose James.
Mike lo guardò spalancando la bocca, atterrito. Come faceva James, profano in materia di videogiochi, a conoscere il nickname che usava nel multiplayer?
Alyson lo scostò con un movimento del braccio, dirigendosi verso la centrale della polizia.
“Sai una cosa, Mike? Hai lo stesso modo di fare di tuo padre Howlin’ Mad Murdock” disse Aly nell’orecchio di Mike e questi accennò un sorriso.
 
***
 
“Ehi scusi” disse Aly a un poliziotto all’interno della centrale. Questo stava masticando una ciambella e fissò Mike in modo strano, come se fosse un alieno.
“Perché l’ha legato?” chiese il poliziotto, con ancora il boccone in bocca.
“È uno dell’A-Team!”
Il poliziotto mandò giù il boccone e inarcò un sopracciglio. Squadrò di nuovo il matto e andò a prendere un foglio da una bacheca poco lontano. Fissò a turno il pezzo di carta e il volto di Mike una dozzina di volte.
“Eh sì, è proprio lui” disse infine riponendo il foglio dove l’aveva preso.
Mike sbuffò in alto, soffiando via una ciocca di capelli che gli era caduta sugli occhi, seccato.
“E la mia ricompensa? C’era una taglia” chiese Alyson, fingendosi impaziente.
“Eh non lo so, diamine, sono robe governative quelle!” rispose il poliziotto “deve aspettare l’arresto e tutte le cose burocratiche che seguono”
“Eh, no! Ho faticato per prenderlo, ora vorrei la ricompensa che mi spetta!”
Il poliziotto suggerì di andare a parlarne con il suo superiore, in ufficio. Lasciarono da solo Mike nell’atrio, che si liberò dalle corde con facilità. Aprì un poco la porta di un ufficio vuoto ed entrò richiudendola dietro di sé.
“Mai lasciare un matto con un computer, soprattutto se quel matto è Madflyer88 eh eh!” disse accendendo l’apparecchio sopra la scrivania. Aspettò la schermata di avvio, chiedendosi in quale sofisticato sistema operativo si sarebbe dovuto introdurre e quale complicato sistema anti-hacker avrebbe dovuto bypassare.
Rimase deluso nel vedere che era uno dei più comuni sistemi operativi in commercio, pure datato.
Sbuffò, fece un giro per la stanza mettendosi le mani nei capelli e poi estrasse un auricolare dalla giacca.
“Hun, dimmi solo che è tutto un brutto scherzo!” disse sottovoce nella trasmittente.
“Cosa c’è, Mike? Qualcosa è andato storto?” rispose il compagno di squadra.
“Devo infiltrarmi su un XP! Assurdo!”
“È troppo per te?”
“No!”
“Sbrigati, non c’è tempo da perdere!”
Non se lo fece ripetere due volte, tirò una cerniera nascosta nel polsino della sua giacca e ne estrasse una Jet Flash da 128 GB. La inserì nella porta USB, poi prese una sedia e si sedette. Odiava lavorare in piedi. Lavorava seduto su una sedia, su un mobile, dentro un mobile, sul tappeto, sul muretto, nella vasca da bagno e sul letto, ma mai in piedi.
Aprì il database della polizia, poi lanciò uno dei programmi nella chiavetta per inibire il sistema anti-hacker, poi un altro per bypassare il codice di accesso. Cercò tutte le informazioni necessarie, dalle fedine penali dei suoi amici riempite con false accuse alle varie denunce a loro carico.
“Sì!” esultò quando riuscì ad ottenere l’accesso ai dati di chi aveva posto le denunce.
Copiò tutto su un file di testo, lanciò una stampa e avvio un programma per pulire il computer di qualsiasi traccia del suo passaggio. Spense la macchina, ripose la sua fidata Jetty nel taschino della giacca e, curandosi di lasciare qualsiasi oggetto nello stesso posto dove lo aveva trovato, si avvicinò alla finestra e fece un cenno a Spike.
Questi si avvicinò, tenendo in mano due corde legate ad un rampino.
“Sbrigati!!” esclamò Mike agitando le mani furiosamente, dopo aver sentito un rumore di passi che si avvicinavano. Spike con un rapido movimento di braccia lanciò il rampino, collegato in due punti diversi alle corde. Mike prese la fune e cominciò a scendere in verticale, dal primo piano al piano terra.
Una volta arrivato, Spike tirò la seconda corda facendo cadere il rampino.
I due, sorridendo per la buona riuscita, si diedero il cinque.
 
Alyson Smith e il poliziotto uscirono dal corridoio che conduceva agli uffici, rendendosi conto che il prigioniero era fuggito.
“È scappato! Dannazione!” disse il poliziotto, cercando da tutte le parti e allertando i suoi colleghi.
Aly fece a finta di essere terribilmente arrabbiata per la fuga di Mike, ma sfruttò la confusione per andarsene di soppiatto. Raggiunse gli altri nel punto di raccolta prefissato, il furgone bianco parcheggiato in un vicolo nascosto. C’era Mike che stava sbraitando come un pazzo, Spike non poco irritato, Maddie che cercava di calmare Mike, Face provava a rimanerne fuori mentre Hun che fumava tranquillamente il sigaro, ignorando completamente il caos.
“Cosa sta succedendo?” Chiese Alyson, notando il trambusto. Eppure, le sembrava che fosse andato tutto liscio…
“…accidenti, il pc di mia nonna fra poco!” urlò Mike a Hun, completamente fuori di sé.
“Calmati, Mike!” disse Hun, soffiando una nuvoletta di fumo.
“No, invece! È una presa in giro bella e buona, chi credi di prendere in giro, scusa? Per te è tutto uguale, da fuori, eh?”
Quest’ultima affermazione fece arrabbiare non poco Hun, che spense il sigaro e lo squadrò male. Stava per dire qualcosa, interrompendo i deliri del matto, quando Spike lo precedette: prese Mike per il collo del giubbotto e lo sbatté fortemente contro il furgone, mettendolo a tacere e lasciando il matto come se avesse subito un forte trauma.
“Basta, scemo! Hai rotto con le tue scemenze!”
Alyson si chiese dove fossero i membri del vecchio Team, forse Murdock avrebbe saputo come calmarlo, ma non ebbe il coraggio di chiederlo in quel momento delicato.
Hun fece cenno a Spike di lasciargli il matto e questi esitò ma poi obbedì, facendo qualche passo indietro.
Mike si lasciò cadere al suolo, senza dire una parola. Maddie si avvicinò ma Hun con un cenno le ordinò di farsi da parte.
Hun si accucciò e gli alzò il viso con un leggero gesto della mano.
“Cosa ti prende, ragazzo? Sei fuori di te” chiese con un tono deciso e pacato, ma allo stesso tempo gentile.
Mike si divincolò e infossò la testa tra le braccia.
“Mike…!” disse Maddie, cercando di avvicinarsi ma Hun le intimò nuovamente a farsi da parte. La ragazza indietreggiò
“Sei arrabbiato perché ti abbiamo fatto craccare un XP? Ma così hai fatto presto, se fosse stato un Mac ci avresti messo di più, no? e sarebbe andato in fumo tutto il piano”
Mike fece un cenno negativo con la testa.
“Non… no. Non prendo psicofarmaci da tre settimane, sono… sono passato da cinque a zero e ho… ho una crisi di astinenza”
Crisi di astinenza non era il termine più appropriato, ma era l’unico che venne in mente a Mike e poteva descriverne l’idea.
Hun non sapeva cosa fare, come comportarsi in casi del genere. Forse poteva fare qualcosa e tranquillizzarlo un po’.
“Mike, calmati. Non agitarti o farai peggio”
“Non ce la faccio… non ce la faccio da solo”
“Ma tu non sei da solo. Siamo tutti qui”
Mike abbracciò Hun, che rimase stupefatto da quell’azione improvvisa.
Alyson assistette alla scena con un abbozzo di sorriso, le sembrava di vedere Murdock e Hannibal e non si sarebbe stupita se avesse sentito un ‘grazie, Colonnello’.
I due si staccarono e si rimisero in piedi, poi Mike andò con sua sorella mentre Hun si girò verso Spike.
“Vedi, Spike, non tutte le cose si risolvono con la violenza” gli disse con un sorriso sornione.
Si sentì un rumore di un motore, sicuramente non uno di quelli normali se non anche elaborato. Aly si voltò per vedere da dove arrivava quel suono familiare e vide un furgone nero e grigio scuro, divisi da una riga rossa che percorreva tutta la fiancata fino a un alettone. Aveva molti più fanali del normale e un set di tre antenne (obsolete al giorno d’oggi) sul tettuccio. Il colore della carrozzeria era un po’ spento, un po’ di ruggine copriva piccole parti del muso, sebbene sembrava fosse stato fatto di tutto per toglierla.
Uscirono Sberla, P.E. e Murdock, con la tipica espressione di un team di archeologi che sono appena tornati da una fruttuosa spedizione.
“Guardate cosa abbiamo trovato!! La vecchia carretta di P.E. ancora tutta intera!!!”  de Murdock accarezzando la carrozzeria del furgone.
“Di certo non grazie a te, leva quelle manacce dal mio furgone!” disse P.E. dando un pugno sulla mano incriminata. Murdock la ritirò immediatamente e l’agitò per un po’ in aria.
“Bene, ora abbiamo un mezzo di trasporto. Ma dove andiamo?” chiese Sberla.
Mike tirò fuori i fogli da stampante da una tasca del suo giubbotto, cominciando a leggere tutti i dati che aveva trovato, a cominciare dalle loro fedine penali.
Le lesse una ad una, ma quando arrivò alla sua scoppiò a ridere senza apparente motivo. Maddie gli prese le carte per vedere cosa c’era di così buffo. Hun si avvicinò, spinto dalla curiosità.
“Non ci vedo nulla di divertente” disse Smith.
Mike continuava a ridere, gironzolando intorno sotto gli occhi perplessi degli altri. Arrivò vicino a Spike, appoggiò un braccio sulla sua spalla e si calmò.
“Perché sto ridendo?” chiese asciugandosi una lacrima.
“Perché se non levi quel braccio ti faccio sputare i denti, uno ad uno!” disse Spike mostrandogli un pugno.
Mike si ritrasse immediatamente e Maddie riprese a leggere.
“Credo abbia avuto un crisi…” disse Murdock a Hun.
“Già, anche prima ne ha avuta una” rispose l’altro, senza voltarsi.
“Ah, so che vuol dire, anche io ne ho avute un paio”
Hun si voltò verso l’ex-matto con un’espressione indecifrabile, quasi come se avesse solo ora confermato la veridicità del proverbio ‘tale padre, tale figlio’.
James si avvicinò a Maddie e lesse per la seconda volta i nomi riportati sul foglio.
“Ehi, un momento…” la interruppe. Tutti si girarono verso di lui, attendendo notizie.
“Quei nomi… sono tutti dei dipendenti, diretti o indiretti, del Connor Transports “ disse.
“Non è quella ditta di camionisti gestita da Jay Connor?” chiese Sberla. Il figlio annuì.
“Chi è?” disse Maddie.
“Un ricco imprenditore, ma un poco di buono” rispose Alyson.
“Bene, squadra, si va a Barstow!”
 
***
 
I due furgoni procedevano in fila per le strade di Los Angeles, quello bianco del nuovo A-Team in testa.  P.E. li seguiva a ruota, senza mai perderli di vista.
Tutto era così silenzioso, come quel po’ di malinconia che affigge i tre ex-militari e Alyson. Nessuno aveva osato prendere il posto di Hannibal, nessuno. In quel sedile era rimasto il vuoto, come quello che il Colonnello aveva lasciato con la sua scomparsa.
Murdock si girò verso il finestrino assente del furgone e per un attimo gli sembrò che gli anni non fossero affatto passati, che Hannibal fosse ancora lì nel suo posto pronto a dare indicazioni per una nuova missione.
Sospirò e si voltò verso il sedile vuoto. Chiuse gli occhi e poi li riaprì, sperando che dopo quell’istante di buio il Colonnello fosse tornato nel suo posto, ma così non fu.
Guardò i suoi compagni di viaggio e notò che anche loro avevano un’espressione non tanto diversa dalla sua.
 
***
 
Arrivati a Barstow, si fermarono in un fastfood per prendere qualcosa da mangiare.
Scesero dai furgoni per sgranchirsi un po’ le gambe: Spike fece un po’ di stretching seguito a ruota da Maddie, Mike gironzolò a vuoto, gli altri si limitarono solo a fare qualche passo.
Non ci volle molto perché si accorgessero che mancava qualcuno.
“Dov’è James?” chiese Sberla, rompendo il ghiaccio che c’era fra la squadra, ma tutti lo zittirono con un sonoro sibilo. Hun gli fece cenno di avvicinarsi e di guardare in uno dei sedili del furgone bianco: James stava riposando beatamente, con la testa appoggiata sulla spalla.
“Sembra un angioletto, vero?” disse Mike dietro di lui ma tutti lo zittirono, compreso Sberla. Il matto allora riprese quel suo strano vagare senza meta.
Quando James si svegliò, si avviarono tutti verso l’edificio per mangiare qualcosa. Passarono attraverso il parcheggio dei camion, dove ce n’erano due, uno bianco e blu e uno rosso e tra questi due colossi un gruppo di tre persone che stavano discutendo animatamente con altre due.
“Ehi Hun!” disse Mike ad un certo punto, raggiungendo Smith e indicando le cinque persone.
“Cosa c’è, Mike?”
“Quello lì, quel brutto ceffo con il giubbotto in jeans, è uno dei tirapiedi della Connor Transports!”
“Come fai ad esserne sicuro?” chiese Hun, mentre anche gli altri si avvicinavano.
“Ahm… è una storia lunga” tagliò corto il matto, mettendosi le mani in tasca e scrollando le spalle.
“Face!”
James corse subito al richiamo di Hun, che gli indicò le cinque persone e chiese se le riconosceva.
L’altro confermò quello che aveva detto Mike, non solo quello con il giubbotto in jeans faceva parte della ditta ma anche altri due.
Spike si avvicinò a Hun, con un’espressione dubbiosa sul volto.
“Non credo che siano venuti lì per dare il benvenuto agli altri due”
 
***
 
“Vi conviene accettare l’offerta del signor Connor, prima che sua troppo tardi” disse quello con la giacca in jeans ad altre due persone, un uomo sulla cinquantina e una ragazza giovane, pressappoco come Maddie.
“Barry, te lo abbiamo già detto! La nostra risposta è no, col cavolo!” rispose la ragazza, alterata.
“Non molleremo, e non sarete né voi né nessun altro su questo pianeta a convincerci!” gli fece eco l’altro.
“Chissà se questo vi farà cambiare idea!” disse il tirapiedi alla sinistra di quello con la giacca in jeans, tirando fuori una revolver. La caricò lentamente, per alimentare la tensione che c’era fra i due rivali.
Hun e Spike sbucarono dal lato del camion e atterrarono due dei tre della Connor, Mike e Maddie cercarono di mettere al tappeto il terzo ma quello con la giacca in jeans si rialzò e fece cadere Maddie.
Quello con la pistola fu bloccato ancora una volta da Hun, mentre Maddie era impegnata con quello che l’aveva atterrata e Spike con l’altro, che si era rialzato. Arrivò anche Mike a dare una mano a Hun, ma il malvivente riuscì a sparare un colpo, che andò a conficcarsi nella gamba del signore sulla cinquantina.
“Papà!” gridò la ragazza accucciandosi verso il padre, seguita poi da Alyson che controllò la gravità della situazione. Gli altri misero una volta per tutte al tappeto i tre malviventi, mentre Murdock, P.E., Sberla e James controllavano che non ci fossero sorprese indesiderate, come poliziotti o altri scagnozzi.
“Gli hanno sparato alla gamba!” disse Aly, informando Hun.
“Lasciatemi vedere” disse Smith, avvicinandosi e agendo con una mano inaspettatamente esperta.
“Lei è un medico?” chiese la ragazza.
“No. Mia madre lo era” rispose l’altro.
Quando ebbe finito di fare un bendaggio improvvisato, in modo da fermare un po’ il sangue, si alzò.
“P.E., Mike! Portate quest’uomo all’ospedale!” disse e gli altri obbedirono, prendendo il ferito e caricandolo sul furgone.
“Ce la farà, non si preoccupi” disse Aly alla ragazza, guardando assieme a tutti gli altri il furgone allontanarsi.
“Ma voi chi siete?” chiese la figlia del ferito.
“Noi, mia cara” disse Hun, accendendosi un sigaro “Siamo l’A-Team!”
 
***
 
Il salotto della casa della ragazza incontrata al parcheggio era di medie dimensioni, al centro c’erano due divani, uno da due piazze e uno da tre e un tavolino basso. Hun, Murdock, Sberla e Alyson erano seduti sui divani assieme a Miriam, la ragazza incontrata al parcheggio, Maddie era in piedi appoggiata accanto alla stufa tiepida, insieme a Spike e a James, P.E. era appoggiato allo schienale del divano con i gomiti, proprio dietro il posto di Murdock, mentre Mike gironzolava avanti e indietro.
“Avevo provato più volte a chiamarvi, ma nessuno ha mai risposto” disse Miriam “Mi pareva strano che fosse una prova, così sono andata di persona a Los Angeles, ma il negozio di antiquariato dove mi hanno detto che potevo trovarvi era chiuso, data da destinarsi”
“Lo so, ho dovuto chiudere da quando siamo la polizia ci sta alle calcagna. Ma dica, che numero ha chiamato?” chiese Hun, con un tono molto gentile.
“Ecco, questo” disse la ragazza estraendo un foglietto dalla tasca dei jeans e porgendolo a Hun. Murdock, seduto lì di fianco, alzò la testa per sbirciare.
Hun sorrise, riconoscendo il numero.
“Mike! Tu lo conosci questo numero?”
Il matto si avvicinò e prese il bigliettino dalle mani di Smith, esaminandolo accuratamente.
“Ehi ma questo è il mio numero di telefono… cioè del telefono che c’era nella mia stanza!” disse, quasi come se quel biglietto recasse scritta una minaccia.
“Uh, Mike! Ti dai da fare, eh?” scherzò James, battuta che irritò un po’ Murdock e Maddie, ma che Mike non capì.
“Ma come mai non funzionava?” chiese Miriam.
“Settimane fa c’è stato un incendio che ha ridotto in cenere metà del reparto psichiatrico” rispose Spike, serio.
“Stanno tutti bene” aggiunse Hun, vedendo l’aria un po’ preoccupata della ragazza.
“Ah, per fortuna nessuno si è fatto male” aggiunse Miriam.
“No, non proprio. Mike era conciato piuttosto male e io mi sono rotto un braccio” puntualizzò James.
“Oh, ma che carino!” disse Mike ad un certo punto, prendendo in braccio un gattino tigrato.
“Vedo che hai trovato Lex” disse Miriam, sorridendo, e il gattino rispose con un miagolio.
Maddie accorse subito e coccolò il gatto sussurrando cose apparentemente senza senso.
“Vedo che vi piacciono molto gli animali” commentò Miriam.
“È una cosa di famiglia” aggiunse Murdock facendo un largo sorriso.
“Tornando a noi” disse Hun “Quel tiranno di Slade Connor vuole tutto il terreno di gioco per sé, anche a costo di giocare sporco, e a voi serve qualcuno che vi aiuti a sistemare questa faccenda”
“Proprio così, signor Smith” confermò Miriam.
“Ebbene, hai appena ingaggiato l’A-Team!”
 
***
 
Hun si guardò attorno, cercando nel piazzale dei camion qualsiasi cosa sarebbe stata utile.
“Come agiscono i tirapiedi di Connor?”  chiese, soffiando una nuvoletta di fumo dal sigaro.
“Normalmente arrivano con delle moto o una macchina quando c’è un camion in viaggio, ci saltano sopra e dopo aver riempito di pugni Ryan o Jeff rubano e sparpagliano tutto quello che c’è, talvolta danneggiando il camion” spiegò Miriam. Ryan e Jeff erano due dei camionisti che lavoravano per loro.
“Bene”
“Hai già un piano, Hun?” chiese Spike.
“Certo! Signor Murdock, si ricorda ancora come far volare un elicottero?”
Murdock lo guardò come se gli avesse fatto la domanda più stupida di questo mondo.
“Certo che sì!” rispose.
“Bene! Lei e Sberla andrete a prenderne uno” disse Hun, sorridendo.
“Come ai vecchi tempi, eh?” disse Murdock tirando una gomitata amichevole a Sberla.
“Già, come ai vecchi tempi” rispose l’altro.
“Eh, no! Hun, non puoi fare questo! Lo scemo farà un disastro! Lo farà cadere sopra di noi!” protestò P.E..
“L’ho mai fatto?” Chiese Murdock, seccamente.
Vedendo che il Bestione stava per elencare un caso, lo interruppe immediatamente.
“Oh, no, non rispondere”
“L’alternativa è Mike” disse Hun.
“Hun, ci va il signor Murdock!” intervenne Spike, atterrito solo dall’idea.
P.E. alla fine acconsentì. Tutto sommato, se proprio un matto deve pilotare quell’elicottero, che sia almeno esperto…
“Posso andare con loro?” chiese Face.
“Oh, certo che no James! Avrai un bel faccino da sberle ma con un braccio rotto…”
“Ok, ok, non serve che vai avanti” tagliò corto l’altro, guardando altrove un po’ a disagio.
“Miriam” disse Hun, voltandosi verso la ragazza “Avete altre consegne in programma?”
“Fammi pensare… sì, una per domani”
“Bene!”
Detto questo, Hun chiamò anche gli altri ed espose il suo piano.
“È un ottimo piano” intervenne Alyson “Ma se invece di aspettare una loro mossa li stuzzicassimo?”
Tutti gli altri si girarono verso di lei, con un’espressione indecifrabile sul viso.
Hun fece un sorriso, ma non quello solito: era il tipico sorriso di chi sta per cacciarsi nei guai intenzionalmente, per puro divertimento. Era il sorriso del Jazz.
 
***
 
Murdock si avvicinò all’elicottero che Sberla era riuscito a farsi dare, ovviamente con una falsa scusa e senza pagare un centesimo.
Il velivolo, un Bell 407, era un po’ vecchio ma perfettamente funzionante. Salì insieme a Sberla e cominciò ad osservare i comandi, sgranchirsi il polso e accendere il motore.
“Accidenti è da molto che non lo facevo” esclamò Murdock.
“Già, a chi lo dici… forse sono un po’ arrugginito”
“Nah, l’unica cosa arrugginita qui è la coda dell’elicottero!”
Detto questo, con un gesto rapido ed esperto fece decollare il velivolo.
 
***
 
Slade Connor era seduto dietro la scrivania del suo ufficio, armeggiando nervosamente con una pallina antistress. I tre scagnozzi erano in piedi davanti a lui, quello di destra teneva un sacchetto del ghiaccio appoggiato alla testa, quello al centro si massaggiava la nuca mentre l’ultimo asciugava il sangue di naso con un fazzoletto. Tutti e tre erano angosciati per quello che il loro capo avrebbe fatto loro.
“Siete degli idioti!” ringhiò Slade lanciando la pallina contro l’uomo davanti a sé.
“Ahi!” protestò l’altro, massaggiandosi l’occhio rimasto vittima della furia del capo.
“Erano in troppi e... e… erano forti” si giustificò quello di destra.
“Chi c’era con loro?” chiese Slade, incuriosito.
Un grosso tonfo alle loro spalle li sorprese, il capo si alzò in piedi e gli altri tre si girarono, constatando con orrore che la parete alle loro spalle era stata quasi completamente fracassata da una vecchia macchina corazzata artigianalmente con delle lamiere saldate assieme, come un ariete.
Le porte di quell’arnese si aprirono e uscirono quattro persone: uno con un giubbotto color panna, i pantaloni marrone scuro, capelli un po’ brizzolati e un sigaro acceso in bocca, uno con un giubbotto rosso vivo, pantaloni neri, Nike rosse e capelli rizzati in stile ‘ho messo un dito nella presa della corrente’, una donna con un maglioncino di colore scuro, un paio di jeans neri, stivaletti dello stesso colore del maglioncino e i capelli sciolti sulle spalle e infine uno dalla pelle scura, con una tuta verde militare con una trama mimetica, un gilet in pelle nera e scarponi pesanti dello stesso colore; portava una dozzina di collane in argento al collo e uno strano taglio di capelli con una cresta dentellata. Tutti armati.
“Che c’è, Slade? Hai forse visto dei fantasmi?” disse Hun canzonando l’aria esterrefatta di Connor.
Lo scagnozzo in mezzo, quello con la giacca in jeans, fissava Mike con uno sguardo ancora più spaventato.
“Noi ci siamo già visti, vero?” disse Mike, puntandogli il Ruger mini.
“Tu… tu… non puoi essere ancora vivo!”
“Invece sì, brutto pezzo di…”
Mike non fece a tempo di finire la frase che fu interrotto dallo sguardo di rimprovero di Hun.
“Com’erano le fiamme, Mike? Calde, eh?” chiese Slade, ridacchiando.
“Mai quanto i termosifoni della sala rianimazione!” rispose l’altro, cominciando ad alterarsi.
“Calmati, Mike, non è il momento” lo rimproverò Hun.
“Cosa volete?” chiese Slade acidamente.
“Cosa vogliamo?” replicò Hun, avvicinandosi “Vogliamo che tu risarcisca la ditta di camionisti autonomi gestita da Adam Rigley e da sua figlia Miriam per tutti i danni che avete provocato. Vogliamo porre fine alle vostre continue minacce. Vogliamo indietro la nostra dignità. Vogliamo indietro il nostro onore”
Slade scoppiò a ridere, seguito dagli scagnozzi.
“Avete preso le persone sbagliate! Ok, forse i miei ragazzi ci saranno andati giù pesante qualche volta, ma non c’entriamo nulla con voi!”
“Ma davvero? Alyson!” disse Hun, facendo un cenno col capo alla donna. Aly lesse dal foglio tutte le denunce fatte dai suoi scagnozzi contro i membri del nuovo A-Team.
L’espressione sul volto dei quattro malviventi cambiò radicalmente.
“Bene. Vi lasciamo un po’ di tempo per decidere. Con questo abbiamo finito. Forza, abbiamo un carico da preparare” disse Hun una volta che Alyson ebbe finito di leggere. Spense il sigaro sulla scrivania di Slade e tutti i membri del Team salirono in macchina. Spike mise in moto e si allontanarono, lasciando i quattro malviventi in una nuvola di polvere.
 
***
 
“È incredibile come siamo riusciti a fare un gioiellino del genere partendo da un catorcio usato, qualche pezzo di ricambio e degli avanzi di lamiere!” esclamò Mike dal sedile dietro il guidatore.
“Tutto merito del padre di Spike” aggiunse Hun, seduto sul sedile del passeggero.
“Mio papà è un genio quando si tratta di macchine!” esclamò Spike, tenendo gli occhi incollati all’asfalto e le mani salde sul volante.
“Dammi una chiave inglese e una fiamma ossidrica e ti aggiusterò il mondo” Disse Alyson, citando Archimede. Mike rise e le batté un cinque.
Uno strano ticchettio sul parabrezza catturò la loro attenzione.
“Piove?” disse Hun.
“Piove!” gli fece eco Mike.
“Questo complicherà le cose”
Come se non bastasse, quando si fermarono all’incrocio arrivò un’auto della polizia che cominciò a inseguirli per tutta Barstow.
“Cavolo, Hun, quei poliziotti sono degli ossi duri” affermò Aly guardando fuori dal lunotto posteriore.
“Ne arrivano altri?” chiese Spike, facendo delle curve degne di un’auto da corsa.
“Sì, ora sono in tre”
“Maledizione. Spike, riesci a seminarli?” chiese Hun, appoggiando il gomito al finestrino. Avrebbe fumato un sigaro, ma sapeva che gli altri non avrebbero gradito.
“Ci provo, Hun, ma non conosco la zona”
Spike ebbe un’idea e girò di colpo verso un cantiere aperto, cercando di seminare i poliziotti. Qualche virata da rally, un paio di salti e riuscirono increduli a seminare le auto una volta per tutte.
“Ossi duri?” commentò Mike “Direi ossi buchi, ha ha!” esclamò Mike facendo le boccacce dal lunotto della macchina.
 
***
 
“Accidenti, non pensavo foste riusciti a portarlo dentro!” esclamò Hun, riferendosi all’elicottero dentro al garage di un camion.
“Sembrava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta. Il Bestione ha muscoli da vendere!” rispose Murdock facendo strani gesti da body builder.
“Con cosa lo dobbiamo armare, Hun? Lanciarazzi? Mitragliatrici?” Chiese Sberla.
“Oh, no, pensavo a qualcosa di meno pericoloso e più divertente” rispose l’altro.
“Come se quelle due parole per te volessero veramente dire due cose diverse” commentò Spike, ricevendo un’occhiata di rimprovero da parte di Hun.
“Che ne dici di un serbatoio d’acqua?” propose Alyson.
“L’acqua non riuscirebbe nemmeno a lavare la loro auto. Serve qualcosa di più pesante” disse James.
“Ghiaia?” aggiunse P.E.
“Ciottoli?” propose Maddie.
“Una colata di lava bollente?” aggiunse Mike, attirando gli sguardi interrogativi degli altri.
“Oh, no, Mike, ci metterebbe troppo ad arrivare. Serve qualcosa a portata di mano. I sassi vanno bene”
L’A-Team, aiutati anche da Ryan, Jeff e Miriam, iniziarono a costruire quattro serbatoi da attaccare sotto l’elicottero.  James si avvicinò a Mike, il quale sembrava aver preso una pausa. Era vicino alla porta, aperta, e stava guardando un punto nel cielo con dei piccoli binocoli.
“Cosa stai facendo?” chiese Face.
“Sto cercando i cavallini volanti” rispose il matto.
“I… cavallini volanti?”
“Sì, hai presente Pegaso e compagnia bella?”
“Sì, ma…”
“Ecco, cavallini volanti”
“Ah, ma non esistono i cavallini volanti!” ribatté Face, seccato.
“Come no! Io li ho visti dalla finestra della mia camera, uno bianco e uno nero”
“Li hai visti?” chiese James, scettico.
“Sì, con questi occhi” rispose l’altro portando un dito vicino agli organi in questione.
“Ah… ah”
“Hey, scemo! Smettila di girarti i pollici e vieni a darmi una mano!” ringhiò Spike.
“Ehi, ma non è giusto! James non ha fatto niente di più che passare qualche chiave!” protestò il matto.
“Lui ha un braccio rotto, tu no anche se sei senza cervello!” rispose l’altro.
“Eh, Mike, ho un braccio rotto!” aggiunse James, assumendo la tipica espressione da finto angioletto.
Con un abile lavoro di squadra riuscirono a portare a termine il lavoro brillantemente. Come innesco il massimo che poterono fare fu una pulsantiera per ogni cisterna, ma l’importante era che funzionino.
“Cosa stai facendo, Mike?” chiese Alyson, vedendo il matto dipingere delle sagome sulla fiancata dell’elicottero.
“Dipingo dei cavallini. Anche le Ferrari e le Ford Mustang ne hanno uno, no?” rispose Mike.
“Beh, complimenti, ti sono venuti bene!” disse Alyson dandogli una pacca sulle spalle, poi lo lasciò al suo lavoro.
“Guarda che dopo lo dobbiamo riconsegnare intatto” disse James da dietro di lui, con un tono da guastafeste.
“Oh, non ti preoccupare! Verranno via subito con un po’ di amm…” Mike non fece in tempo a finire la frase che Maddie gli tappò repentinamente la bocca con una mano.
“Mike! Lo sai che non devi dire quella parola quando c’è papà!” gli sussurrò all’orecchio. Il fratello sgranò gli occhi rendendosi conto che se n’era completamente dimenticato.
La sorella lasciò la presa, lasciando Mike congelato davanti l’elicottero davanti allo sguardo interrogativo di James.
“Cosa succede?” chiese infine Face, cercando di rompere il ghiaccio.
“Mio papà odia quel detergente. Impazzisce solo a sentirne il nome”
“Perché?”
“Boh. Nessuno lo sa, nemmeno lui” rispose Mike scrollando le spalle e ricominciando a dipingere.
“Ah…”
 
***
 
Passarono la notte in un hotel lì vicino, prenotato da Sberla. Smise di piovere durante la notte, così il giorno dopo tutti si prepararono per attuare il piano di Hun: portarono fuori l’elicottero, caricarono tutte le merci sul camion e fecero il pieno a tutti i mezzi, auto corazzata compresa. Miriam uscì dall’ufficio reggendo in mano un foglio con stampati tutti gli orari e le soste programmate.
“Il programma di solito è più o meno così, con due soste, una da venti minuti e una di due ore”
“Va benissimo, grazie” rispose Hun, prendendo il foglio.
“Siamo noi che vi dovremo ringraziare. Fate attenzione, mi raccomando” disse il padre della ragazza, uscito la sera prima dall’ospedale, reggndosi su un paio di stampelle in alluminio.
“Entro sera Slade Connor vedrà il mondo a scacchi” rispose Smith sorridendo.
Mike stava scrutando il cielo dai suoi binocoli quando Spike gli si avvicinò, guardandolo in modo strano.
“Perché mi guardi così? Non sono mica un Covenat!” rispose il matto, andandosene da un’altra parte.
Spike lo guardò andare via, dopo si girò verso James che stava trafficando con il suo smatphone.
“Questo nuovo giochino che ho scaricato è davvero forte!” esclamò James, tenendo il telefono tra le dita del braccio rotto mentre con le dita dell’altra mano tracciava delle righe sullo schermo.
“Fa’ attenzione con quelle cose, o rischi di bruciarti il cervello come è successo a Mike!” disse Spike, dopodiché andò verso il camion. James guardò per un attimo Mike vagabondare in giro per il piazzale e fare gesti strani, dopodiché mise il telefono nella tasca della giacca.
Quando anche l’ultimo scatolone fu caricato nel camion Hun chiamò uno ad uno i vari componenti per affidare loro gli incarichi.
“Signor Murdock, lei guiderà l’elicottero. Mike farà da copilota e azionerà i due serbatoi anteriori, mentre Alyson azionerà gli altri due dal sedile posteriore”
I tre risposero con un cenno affermativo e si diressero verso l’elicottero. Erano tutti vestiti come il giorno prima, Murdock con il suo affezionatissimo giubbotto in pelle marrone, ad eccezione di Sberla e James.
“Il Signor Baracus guiderà il camion, io mi siederò di fianco mentre James e Maddie staranno nascosti nel rimorchio. Ci sono delle porte laterali e una sul tetto se ci sarà bisogno di dare il benvenuto agli scagnozzi di Connor”
Anche P.E, James e Maddie fecero un cenno affermativo e andarono ognuno alla sua postazione. In quel momento l’elicottero si alzò in volo, compiendo qualche giro sopra di loro.
“Bene, Spike e il signor Peck seguiranno il camion con l’auto corazzata”
Gli ultimo due annuirono e raggiunsero tutti le loro posizioni.
Il camion partì, seguito dall’auto corazzata e a distanza dall’elicottero.
 
***
 
“Ce l’hai un tre?” chiese James, che stava giocando a carte con Maddie da dentro il camion. La ragazza fece un cenno negativo.
“Arriva la pizza a domicilio, senza la pizza e senza domicilio!” esclamò Mike alla radio, sincronizzata con i walkie talkie di tutti i membri dell’A-Team. Maddie e James si rivolsero sguardi interrogativi.
“Spiegati meglio, Mike!” disse Hun al walkie talkie.
“Stanno arrivando i tirapiedi di Slade” spiegò Murdock.
“Ok. Tenetevi pronti!” disse Hun. Maddie prese il mitragliatore, caricato con proiettili di gomma dura, mentre Face qualche granata fumogena e due esplosive.
I tirapiedi di Slade arrivarono con tre macchine e subito andarono pericolosamente vicino al camion. L’auto corazzata andò contro una di quelle dei malviventi, cercando di mandarla fuori strada. L’altra auto rispose con un’altra spinta, ma senza successo. Sbandò e finì fuori strada.
Barry, il tirapiedi con la giacca in jeans, aprì il finestrino e sparò all’auto corazzata. Tutti i colpi rimbalzarono sulle lamiere.
Sberla rispose sparando anch’egli contro l’altra auto, ma questa li evitò rallentando.
Barry sparò un altro colpo, centrando la gomma e costringendo Spike ad accostare.
“Accidenti!” ringhiò Spike.
Nel frattempo Hun cercava di colpire l’altra delle due auto rimaste con uno dei Ruger Mini, ma tra le sbandate del camion e quelle della macchina non tutti i colpi andavano a segno nel modo giusto. Lui e Sberla avevano armi caricate con dei veri proiettili, mentre aveva preferito caricare quelli della sua squadra con pallottole di gomma dura o simili, per evitare che facessero –o si facessero- del male in modo serio.
“Via con l’operazione stradina!” disse Hun al walkie talkie.
“Ricevuto!” rispose Murdock, ululando come un matto mentre faceva avvicinare l’elicottero.
“Aly, prima tu!” disse il pilota.
Quando l’elicottero fu nella corretta posizione, Alyson premette il pulsante per azionare il serbatoio che, aprendosi, riversò la ghiaia sopra il parabrezza dell’auto. Questa finì immediatamente fuori strada.
James, dal tetto del rimorchio, lanciò una granata fumogena contro l’ultima auto rimasta, mancando miseramente il bersaglio.
“No, James, non ce la farai mai così! Non puoi colpirla da dietro” disse Maddie, ricevendo in cambio un’occhiata scocciata. La ragazza prese il posto dell’altro e sparò un po’ di colpi contro la macchina, facendola sbandare pericolosamente.
“Visto?” disse, con un’espressione entusiasta.
“Ma tu hai il mitra, diamine!” rispose l’altro, mandandola a quel paese.
Murdock si avvicinò all’altra auto, ma un colpo partì rompendo il vetro e mancando di poco la tempia del pilota.
L’elicottero sbandò in aria, facendo aprire il serbatoio nell’erba.
“Mike, Mike! Dammi il cambio! Mi si sono rotti gli occhiali!” disse Murdock, scrollandosi dal viso i frammenti del vetro rotto dalla pallottola. Senza occhiali, vedeva leggermente sfocato.
Padre e figlio si diedero il cambio, cercando di passare da un posto all’altro senza far cadere l’elicottero.
Era un’impresa ardua, ma alla fine ce la fecero.
“Murdock, tutto a posto?” chiese Alyson, preoccupata.
“Si, grazie Aly. Ci è mancato poco” rispose l’altro, strofinandosi un occhio.
“Mike sa pilotare l’elicottero?” chiese.
“No” rispose Mike.
“Ah, ma tu sei tutto tuo padre, non avrai problemi!” esclamò Alyson.
L’elicottero si avvicinò alla macchina e Murdock azionò l’altro serbatoio, facendo andare fuori strada la macchina, che già sbandava a causa di una granata fumogena che James aveva tirato poco prima.
“Ha Ha! James, te l’avevo detto che i cavallini volanti esistono!” Disse Mike al walkie talkie, guardando James. L’altro vide i cavallini dipinti sulla fiancata dell’elicottero e si fece scappare un sorriso.
 
***
 
Hun, Mike, Alyson, Murdock e Maddie varcarono le porte del Veterans Administration Psichiatric Hospital.
“Finché il reparto psichiatrico dell’ospedale civile non sarà rimesso a nuovo, hanno trasferito tutti qui” informò Mike “ma sarà dura ricominciare tutto daccapo”
“Quel che è conta è che ora non abbiamo più la polizia alle calcagna. Gli scagnozzi di Slade hanno testimoniato contro il loro capo, così tutte le accuse contro di noi sono state revocate, le spese sanitarie di Mike sono state risarcite e Miriam e suo padre possono gestire la loro ditta di trasporti senza problemi. Tutto è bene ciò che finisce bene, no?”
“Già, ma quello che devo ancora capire è perché siamo in quattro per accompagnare Mike” intervenne Maddie.
“Io volevo vedere il mio vecchio ospedale” rispose Murdock.
“Io volevo vedere bene la zona, tanto per avere un’idea” disse Hun, già pianificando qualche modo per portare fuori il matto in caso ce ne fosse stato bisogno.
“Io volevo vedere dove sei. Così, perché no, posso venire a trovarvi quando passo per Los Angeles” rispose Alyson.
Mike si diresse verso il bancone delle accettazioni, con l’aria da chi voleva tagliare corto.
“Si, mi dica?” ripose l’infermiera, con voce neutra.
“Mi hanno trasferito qui dall’ospedale civile. Cerchi Murdock…” disse, ma non finì la frase che fu interrotto.
“Murdock… Murdock… aspetti che cerco”
Premette una serie di tasti sul computer, cercando la cartella clinica di Mike.
“Mi dispiace ma non c’è nessun Murdock nel database dell’ospedale. Beh, veramente uno c’è, ma non credo che lei sia nato nel 1947…” rispose seccamente l’infermiera.
Murdock si avvicinò al bancone, incuriosito.
“Eh ma… Aspetta, questo paziente è H.M. Murdock?” chiese.
“Uhm, sì, lo conosce?” rispose l’infermiera, scettica.
“Certo che lo conosco, sono io!”
“Ed è mio padre!” puntualizzò Mike.
L’infermiera li squadrò, prima uno e poi l’altro, con uno sguardo quasi incredulo. Erano veramente tutti matti in quella famiglia?
Ciondolò lievemente la testa, prendendo in mano la cornetta di un telefono.
“Katie, vieni giù un attimo per favore” disse al telefono.
Dopo qualche minuto di attesa, dal corridoio comparve una donna vestita con un camice bianco dall’aria un po’ stufa.
“Questo qui dice di essere stato trasferito qui dall’ospedale civile, quello che è andato in fiamme. Ma ho trovato solo la cartella clinica del padre”
“Ah, ah” rispose l’altra, squadrando a sua volta l’accoppiata padre-figlio “Prova a guardare sull’altro archivio”
“L’altro archivio?” chiese l’infermiera della reception.
“Sì, quello che è arrivato al trasferimento!” disse Katie, trafficando con il computer premendo i tasti veloce quasi come Mike, fino ad aprire una finestra.
“Come si chiama?” chiese rivolta a Mike.
“Murdock, M…” cercò di dire l’altro, ma fu interrotto per la seconda volta.
“Mike Murdock” disse Katie, leggendo poi l’intera cartella clinica del paziente: Data di nascita, data del ricovero, motivi, diagnosi, sedute con il psichiatra e altre cose poco carine da dire ad alta voce in pubblico.
“Aspetta, aspetta… credo di conoscerlo” disse Mike, pensandoci sopra.
“Sì, è lui. Io sono sua sorella” intervenne Maddie.
“Bene, stanza 78” disse Katie e prese Mike per accompagnarlo al piano di sopra.
“Beh, ci sentiamo!” disse Mike, girandosi verso gli altri che lo salutarono a loro volta.
Entrato nella camera, la porta di ferro si richiuse dietro di lui con un tonfo. Mike si guardò intorno: la stanza era quasi completamente spoglia, ad eccezione di un letto, un mobiletto, uno scaffale con due libri e un calendario appeso alla parete. Il matto si avvicinò al muro e notò che il calendario era riferito all’anno vecchio, passato ormai da alcuni giorni. Rovistò in giro fino a trovare un pennarello e scarabocchiò l’anno stampato sul foglio, mandandolo avanti di una cifra. Tanto, gli anni visti da lì dentro erano tutti uguali.
Cercò con lo sguardo la sua Playstation 3, ma tirò un sospiro malinconico quando realizzò che né essa né la televisione c’erano. Guardò in alto, verso la libreria, e prese uno dei due volumi appoggiati lì sopra. Una volta tanto, un libro non faceva male.
Si sedette sul letto e cominciò a leggerlo, ma fu costretto a interrompere la lettura a causa di un matto che strillava dalla stanza accanto.
“Ehi, la vuoi piantare? Sto cercando di leggere!” Urlò sbattendo il pugno sul muro, dopo aver appoggiato il libro sul letto in modo da non perdere il segno.
L’altro matto non dava cenni di voler smettere, così iniziò un’accesa discussione tra i due.
“Cosa stanno dicendo quei due?” chiese una tirocinante dal corridoio, non molto lontano dalla stanza di Mike.
“Sono matti, blaterano cose insensate in continuazione. Non farci caso” rispose il medico affianco.
 
***
Spike si fece strada tra le lapidi del cimitero, cercandone una in particolare. Quando la trovò, si chinò per posare il mazzetto di fuori che aveva in mano.
“Guarda, mamma, ti ho portato dei fiori rossi. Era il tuo colore preferito”
Spike rimase lì in piedi, in silenzio, sforzandosi di non piangere, per qualche minuto.
“Ci manchi molto, sai? Non ti preoccupare, ci sono io ad aiutare papà. È guarito dalla sua malattia, ma ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino” disse, lentamente, come se gli costasse un gran sforzo.
“Le volevi molto bene, vero?” chiese una voce femminile alle sue spalle.
“Sì, Maddie”
“Dev’essere stata dura per te” disse Maddie con un tono calmo e vagamente rattristato.
“È colpa mia… mi sono distratto e lei è morta nell’incidente”
“Lo sai che non è vero, Spike! Si è sacrificata per salvarti da quel pirata della strada”
Spike chinò la testa. Era la prima volta che Maddie lo vedeva così: sembrava che tutta la sua armatura impenetrabile fosse stata grattata via, lasciandolo scoperto e vulnerabile.
“Ormai quello che è successo è successo, è inutile piangere sul latte versato. Possiamo solo andare avanti e sperare. La vita è speranza, non rimorso” disse Maddie, posando la mano destra sulla spalla sinistra di Spike.
 
 
(Accidenti… questo capitolo sembrava non voler finire! Ormai è anche un po’ fuori tema… va bene dai, è venuto un po’ più lungo del previsto ma spero vi sia piaciuto!
P.S. Ho un disegno ancora in lavorazione… quando l’avrò finito cercherò di  metterlo dentro al capitolo! N.d.a.)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1196308