Just, let yourself go?

di Vampiresroads
(/viewuser.php?uid=170791)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The pearl is broken. ***
Capitolo 2: *** Your voice... You are Alex Gaskarth. ***
Capitolo 3: *** I swear, we'll meet again. ***
Capitolo 4: *** Welcome home, Alex. ***
Capitolo 5: *** No man can eat 50 eggs. -part. 1 ***
Capitolo 6: *** No man can eat 50 eggs. -part. 2 ***



Capitolo 1
*** The pearl is broken. ***


N.d.A. è la mia prima ff sugli All Time Low, e anche se in realtà è un po' un contesto instabile è  tutto ciò che avevo in mente ora.
Grazie di essere qui, buona lettura c:

Just, let yourself go?

 
Jack iniziava a perdere la pazienza, quando gli All Time Low si riunivano non c’erano mai atmosfere negative, ma stavolta tra lui e il cantante non era tutto così positivo.
Nessuno voleva rinunciare alla propria idea, convinto che fosse quella giusta e insostituibile.
-Non è tanto facile? Semplicemente lasciati andare e vivi ogni singolo giorno come se il futuro non esistesse, come se il passato non parlasse di te, come se il tempo semplicemente fosse una piuma allegra che svolazza tra le scartoffie di tutti i giorni, come se tu potessi decidere quando prenderla e annientarla, quando rilasciarla e quando cambiarle direzione.
Non potrai mai sapere se avrai un futuro, come sarà o cosa lo determinerà. Devi solo lasciarti andare, amico. È così semplice.-
-Non lo so, non è facile come dici. Non per me.
Il futuro non è a caso, se decidi di studiare greco, matematica e latino,  se decidi di ucciderti la vita per avere una media che non riuscirai mai ad ottenere, se sei sicuro di voler sacrificare la tua vita sociale per avere un lavoro assicurato; puoi farlo. A quel punto il tuo destino è segnato.
Oppure ti accorgi di non essere abbastanza voglioso per passare nemmeno un’ora sui libri, che hai bisogno di parlare e farti ascoltare, che quella classica non è la vita che fa per te e… beh… allora fai come noi: prendi un bel po’ di strumenti e inizi a suonare, a scrivere, a cantare. E in ogni caso il tuo futuro è segnato, non così tanto come sull’esempio precedente, ma comunque segnato.
Ormai ci tocca fare i cazzoni a vita, ma è quello che abbiamo scelto, o sbaglio?
Ognuno può fare quello che vuole sulla sua vita, lasciare andare tutto a caso sarebbe più una perdita di libertà che altro. Non mi fido del caso.-
-Andiamo Alex, da dove siamo partiti davvero credevi di arrivare qui?
Sei sicuro che programmare ogni cosa sia la scelta giusta?-
-No, mi hai frainteso Barakat, non dico che bisogna programmare tutto, dico solo che c’è un tempo per ogni cosa! Non possiamo sempre pensare che tanto del domani ce ne sbattiamo la minchia perché domani è domani e oggi è oggi; soprattutto se domani stiamo una merda e rimpiangiamo l’oggi a vita.-
-Ma che ti prende? Amico, da quando ragioni così?-
-Stiamo crescendo anche noi, è difficile da accettare, ma godersi il momento non è sempre così positivo.-
-Che tu lo voglia o no, qualsiasi cosa tu faccia per impedirlo, ci sono sempre giorni, mesi, anni negativi.
Per fortuna hanno deciso di darci anche dei momenti positivi, ed è quello il momento più giusto per vivere! Son quelli i momenti in cui puoi rischiare, perché sei felice, perché un errore non guasterebbe l’allegria, ma una mossa azzeccata la triplicherebbe.
E…indovina un po’? siamo esattamente in mezzo a questi momenti! È ora di lasciarti andare, l’hai fatto così tante volte!-
-Questa volta non sto parlando solo del gruppo, parlo in generale.
So che è buono rischiare, so che è buono provare ad affrontare cose nuove, è sempre positivo avere il coraggio di guardare in faccia qualsiasi cosa, ma un rapporto non è qualcosa che puoi “lasciare andare”.
Il rapporto è qualcosa che devi custodire, è qualcosa che non puoi mai mettere nel fuoco per vedere se brucia o no: perché se è davvero un rapporto a cui tieni non lo metteresti mai a rischio.-
-Alex, a cuccia, ho perso il filo: cosa c’entrano i rapporti?-
-I rapporti c’entrano sempre. So che non hai mai avuto voglia di affrontare questo argomento, ma arriva quel punto in cui la gente si stanca di vedere il rapporto che tanto cerca di mantenere buono buttato come capita. Fa male.
Sai cosa mi sta iniziando a sembrare la nostra relazione? Una preziosa perla che da una parte viene lucidata con la massima cura, mentre dall’altra un piede violento ci gioca a pallone, tanto in quella perla non ci sarà mai altro che un pallone da calcio che si può tranquillamente distruggere.
Ma che te lo dico a fare?-
-Mi stai iniziando a diventare uno di quei ragazzi complessati che piangono su loro stessi ogni pomeriggio senza concludere niente?
Abbiamo da fare, Alex, ho altre persone di cui occuparmi, non significa che smetta di amarti.-
-Hai ragione, per gli altri hai sempre tempo. Dovrei solo ringraziarti se ora stai perdendo un po’ del tuo tempo per parlare di cazzate con me, vero?
Perdonami, non so far altro che sbagliare.-
Il discorso stava scivolando in una prospettiva ironica, ma senza aspetti divertenti.
-Non fare l’adolescente complessato. Domani si parte per il tour e non possiamo partire con una situazione del genere. Calmati, non è il caso di agitarsi.-
-Credo che la perla sia frantumata del tutto in questo momento.
La sigaretta che stai fumando è molto più preziosa di tutto questo, non è vero?
Sto ragionando da ragazzino? Beh forse perché non ho abbastanza forza da maturare, ma nessuno mi sta aiutando.-
Così dicendo Alex strappò la sigaretta dalla mano di Jack e iniziò a fumare con rabbia e agitazione, nessuno dei due aveva il coraggio di partire il giorno dopo, ma dovevano farlo.
Dovevano lasciare da parte i sentimenti, di nuovo, e ripartire con la stessa energia con cui Alex fumò la sigaretta sgraffignata.

Il mattino dopo, al momento di iniziare il tour, Alex non era nel suo letto.
Non era in nessuna parte della casa, in nessun quartiere della città.
-Zack, Zack dov’è finito Alex?- Sbraitò il manager –Dobbiamo partire, partire subito!-
Jack arrossì in modo imbarazzante e restò muto, mentre il suo sguardo si perdeva col vento.
-Jack, ne sai qualcosa?-
-So che non è tanto lontano.-
-Cosa vuol dire?  Chiamalo!- Intonò ancora l’uomo.
-Ha il cellulare spento, vedrete che tornerà!- Tranquillizzò Rian, non così tranquillo.
-Non possiamo aspettare, abbiamo bisogno di lui. Ho bisogno di lui.- concluse Barakat, avviandosi lentamente fuori dal cancello.
I sensi di colpa e la paura pervasero del tutto l’anima del ragazzo, che continuò ad impallidire fino a rimanere senza un minimo di colore in viso.
–E lo troveremo, ragazzi. Lo troverò.-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Your voice... You are Alex Gaskarth. ***


I know there’s a life under your eyes,
And I know there’s a soul under your skin.
I do know that there are feelings into your soul.
And yes, there’s a story behind these eyes, under this soul, hidden in these feelings. Your story.
And I’m listening, won’t  you tell me something ‘bout your fears?
No, it’s not easy to control ourself,
So it’s not easy to found yourself.
Cause nobody knows how to win.
Boy, you’re maybe winning this battle,
But  losing your war.                 

 
Questo intonava un ragazzo talentuoso e spensierato. Il vento spettinava il giovane musicista di strada  e  rendeva sempre più difficoltoso suonare, ma la sua passione era sicuramente più forte e più decisa di qualsiasi tramontana.
La sua voce ti trascinava via e le sue note originali e perfettamente architettate rallegravano l’atmosfera della fredda Vienna in qualsiasi suo aspetto.
Aveva dei capelli lunghi e neri, folti e luminosi, uno sguardo sereno e spensierato, il fisico magro e povero. Era un tipo strano, ma aveva il suo fascino.
La piazza era piena di artisti di strada, nonostante le nuvole non simboleggiassero un gran bel tempo, e quella poca gente si fermava per lui, solo per lui.
“Hey ragazzo, come ti chiami?” Recitò un signore alto e robusto, in uno strano accento, forse tedesco.
“Mi chiamo Myles, sogno ancora un futuro migliore di questo, mi permetta di scusarmi delle mie improvvisazioni, la musica è la mia sola compagna.”
“Non preoccuparti, non ti devi scusare, sei davvero bravo!” si congratulò lui, concedendogli un sorriso prima di tornare alla sua pipa e al suo lavoro.
“Myles, giusto? Lasciami un autografo! Un giorno varrà tantissimo!” lo implorò un’altra bambina biondina, mentre gentilmente il ragazzo firmava e l’abbracciava.
Chissà perché non ha ancora fatto strada.
Alex si avvicinò, continuava ad aver paura di ritrovarsi uno dei ragazzi del gruppo dietro, paura che da un momento all’altro un aereo guidato da Jack o da Marc sarebbe venuto a prenderlo, paura di ritornare a casa.
In tutta quella paura, però, Alex nascondeva un desiderio costante. Voleva che apperissero, voleva davvero tornare con loro. Scuse o non scuse, sbagli o non sbagli, Alex voleva tornare a casa.
“Ti posso fare i miei complimenti?” Esordì finalmente Gaskarth, mentre la poca Vienna che lo conosceva stringeva gli occhi domandandosi se si trattasse davvero del cantante degli All Time Low o no.
In realtà il suo cambio d’aspetto, i capelli ricci, l’abbigliamento serio, la perdita della sua espressione lo cambiò notevolmente. 
Il resto del gruppo, dopo tre giorni dalla scomparsa dell’amico non avevano ancora fatto alcuna denuncia alla scomparsa del ragazzo, nessuno aveva ancora trovato il coraggio, quindi nessuno pensava si trovasse lì.
Per ora avevano solo annullato i primi giorni del tour, mentre i fans protestavano e loro cercavano la forza d’ammettere che se l’erano lasciato scappare davvero.
“I tuoi complimenti? Alex Gaskarth mi sta facendo dei complimenti?” rispose allibito, riconoscendo il ragazzo.
“Bella battuta amico, molti notano la somiglianza, ma ora Alex è in America, a casa, ad aspettare il tour.” Cercò di imitare un accento austriaco, ma con scarsissimi risultati.
Myles posò la chitarra acustica e si allontanò verso il ragazzo, trascinandolo da parte.
“Di solito la gente quando somiglia così tanto ad una star tenta di atteggiarsi come quella per rendersi identici, per sentirsi fighi, tu sembri nasconderlo in ogni modo possibile.
…La tua voce, tu sei Gaskarth.”
“Suppongo che negare all’infinito non servirebbe, giusto?”
“Suppongo di no.”
Alex si spinse ancora più indietro per non far sentire nessun altro, sentiva di fidarsi di quel cantore così sbandato e talentuoso, così gli concesse l’onore di sapere la sua identità.
“Che onore! Ho ricevuto dei complimenti da Gaskarth, cavolo!”
“Cazzo.”
“Uh?”
“Cavolo? Come parli? Usa un fottuto cazzo. Fa più effetto.”
“Posso dire quello che cazzo voglio?”
“Così va meglio!” Intonò, scoppiando in una goduta risata accompagnata da quella del nuovo amico.
“Com’è che faceva quel pezzo?”
“Che pezzo?”
“Dell’ultima canzone, il pezzo intermedio.”
And yes, there’s a story behind these eyes, under this soul, hidden in these feelings. Your story.
And I’m listening, won’t  you tell me something ‘bout your fears?” canticchiò lui, consapevole dall’inizio di cosa Alex intendesse.

“Quel pezzo, bravo.  Ho sognato una frase simile ieri notte.”
“Davvero?  Mi fa piacere.”
“Anche a me.”
“Allora, won’t you tell me something about your fears?”
“Vuoi che ti parli di me?”
“Voglio riuscire a conoscerti.”
“Dovresti sapere qualcosa di me prima di conoscermi.”
“Esattamente.”
“Quindi dovrei parlarti di me, giusto?”
“Forse. Ti sto ascoltando.”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** I swear, we'll meet again. ***


Manage me, I’m a mess.
Turn a page, I’m a book half unread.

“Non saprei da dove iniziare a dire la verità. Mi ricordo a malapena quanti anni ho. Non sono presente nella mia vita, non più. O, almeno, non come un tempo.
Ho perso la testa troppe volte, l’ho ritrovata, è vero, ma la colla diventa sempre meno resistente e credo che finirò per perderla del tutto, se non l’ho già fatto.”
“Intanto piacere, sono Myles Away.” Intonò il ragazzo sorridendo.
“Ma che cazz- ” Alex rise fragorosamente, quel nome non aveva senso. “Myles Away?”
“No amico, sto scherzando. Sono Myles Kenn, ma molti usano quel nomignolo perché Il mio nome è troppo noioso per un tipo come me. O almeno, così dicono.”
“Capisco! Piacere.” Strinse la sua mano ricambiando un sorriso a cento denti e cercando di apparire molto più tranquillo di quanto fosse in realtà, ma non gli venne difficile, era contento della sua nuova conoscenza.
“Perché sei qui in incognito?” domandò Myles, curioso.
“E’ più complicato di quello che sembra. Sono scappato.”
“Scappato? E sei riuscito a mantenerti in incognito?”
“Sì, quelli dell’aeroporto sono stati bravi e Vienna era una delle città meno sospettabili… Poi, io amo Vienna.”
“Da quanto sei qui? Scusa se ti ricopro di domande,è che mi piace ascoltare la gente e le sue storie.”
“Sì, ho notato. Comunque è quasi una settimana, a quanto pare gli altri hanno fatto a malapena caso alla mia scomparsa.”
“Veramente i tuoi fans iniziano a chiedersi perché stiate rimandando tutte le date, e sono anche un tantino incazzati!” Myles cercò di ironizzare, ma la situazione era tremenda per Alex.
“Sì, lo so, ma non sono riuscito a farne a meno. Cioè, è stato tremendamente impulsivo ma erano settimane che avevo la testa troppo occupata per ragionare.”
“Presto ti troveranno, e a quel punto dovrai dare parecchie spiegazioni.”
“Già, lo so, mi inventerò qualcosa. A proposito, strano che tu non mi abbia chiesto perché sono scappato.”
“Ti saresti inventato qualcosa. So che non racconteresti mai a nessuno cosa ti abbia costretto a fuggire, figurati ad un estraneo. Alla fine non riesci a dirlo nemmeno a te stesso.”
Gaskarth giocherellava con la lattina di birra in mano, facendo delle sue dita dei trampolini per la lattina che viaggiava da una mano all’altra senza sfiorare terra, mentre l’aria si faceva sempre più fredda e il rumore della fontana sempre più stressante.
“Ho ragione?” Esortò Myles.
Quella domanda fece sobbalzare Alex che si era dimenticato completamente dell’esistenza di un mondo esterno, lasciando schiantare la lattina vuota sul terreno e scatenando un vortice che diede ad Alex l’impressione di lasciarsi cadere il mondo sotto ai piedi.

I wanna be laughed at, laughed with, just because,
I wanna feel weightless, ‘cause that should be enough.


“Eccome se hai ragione. Era più una cazzata fatta perché volevo che per una volta fosse qualcun altro a cercarmi, correre appresso alla gente alla fine diventa davvero orribile, anche se magari è solo una tua impressione, è comunque troppo inquietante.
Non so se mi spiego, non ti senti altro che un peso, un qualcosa nato per far in modo che l’altro si rompa i coglioni di te.
E’ una sensazione stupida, perché se con una persona ti ci trovi bene, ci stai bene e basta,giusto?
Alla fine è tutta una enorme paranoia di cui ci riempiamo le menti senza nemmeno farlo apposta.
All’inizio sono solo cazzate, ma poi iniziano i pomeriggi in cui ripensi a come sarebbe stato se questo non fosse successo, se quello fosse andato diversamente, se avessi agito in modo migliore e sembra tutto apparire terribilmente migliore di cosa sarebbe stato in realtà, allora rimpiangi ogni tua scelta, perché nei sogni non ci sono imprevisti.
Come quando devi scegliere, chessò, la stampa di una maglia: scegli quella che ti convince di più, ma dopo, tornandola a guardare, le altre sembrano relativamente migliori. O forse è una questione d’occhio?
Se ti stai chiedendo cosa tutto questo c’entri col fatto di essere scappato … E’  lo stesso che mi chiedo anche io.

And I’m stuckin’ this fuckin’ rut,
waiting on a second hand pick me up.
I’m over, getting older.

Probabilmente non riuscivo più a sostenere il peso totale accumulato in un unico periodo e avevo bisogno di una svolta, qualcosa che avrebbe cambiato tutto.
Così eccomi qui, solo, a far star male migliaia di fans e in dubbio sul fatto se tornare o no.
Il problema è che mi manca casa.
Mi mancano i ragazzi.
Mi manca Jack.
Mi manca la mia vita.
Non è passata nemmeno una settimana e già non riesco a fare a meno di tutti loro.
Sono un caso disperato.”
“Torna!” Lo interruppe il moro. “Ragazzo, torna, corri! Che stai aspettando? Che si faccia notte? Che loro vengano a cercarti e siano ancora più incazzati? Sono sicuro che sono già sulle tue tracce e a tutto questo manca molto meno di quanto di aspetti. Sbrigati a tornare finché sei in tempo!”
“Ma io non devo tornare.”
“Alex…”
“Myles, non avrebbe senso. Non posso abbandonare ora, devo portare a termine il gioco, devo portare a termine il motivo per cui sono venuto qui. Devo completare il lavoro.
“Quale?”
“Uh?”
“Quale lavoro? Che hai intenzione di fare?” disse, innervosendosi e spettinando la chioma riccia.
Alex esitò.
Che cosa ci stava facendo lì? Cosa pensava di realizzare comportandosi così?
“Devo dimostrargli che posso farcela senza di lu-” si interruppe. “Senza di loro.”
“Ma tu non ce la fai senza di loro, non puoi dimostrare qualcosa che non esiste.” Intonò dolcemente Myles, sorridendo all’amico.
Voleva farsi sentire un po’ più vicino, voleva fargli capire che anche se tutti se ne sarebbero andati, Alex avrebbe sempre avuto una guida al suo fianco, qualcuno su cui contare.
“Io sono più forte di quello che provo per quei ragazzi, ce la farò un’altra volta a stare senza loro. E un’altra volta ancora. E ancora. Fino alla fine dei miei giorni.”
“E quando torneranno a prenderti ti precipiterai nelle loro braccia felice e tornerai alla solita vita,tornerai a vivere la vita che hai davanti, scandirai il tuo rito quotidiano a colpi di Time Bomb e il tuo umore continuerà a dipendere da quello degli altri ragazzi;
E dopo tutto questo cos’avrai concluso? Migliaia di fans in meno.
Alex, guardami negli occhi, cosa sta portando tutto questo di positivo?”
“Nulla, ma forse dovrei solo aspettare.”
“Aspettare cosa?”
“Se lo sapessi non lo starei ancora aspettando.”
“Alex, cos’hai in mente? So che le parole di un barbone non contano nulla per te, ma so che sei minimamente più forte di questo, so bene che non vedi l’ora di tornare a casa: puoi farlo.
Domani sarai al calduccio a raccontare di quest’assurda serata passata con uno stupido barbone che ti ha detto di tornare e ti sentirai soddisfatto. Tu hai bisogno di loro, come loro di te.”
“Che ne sai che ho bisogno di loro?”
“Se non dipendessi da quei ragazzi non saresti qui, in questo momento.”
“Non so più come controbattere.”
“Forse perché non c’è nulla da controbattere?”
“Forse hai ragione.” Il vento portò via il loro ultimo discorso e l’orgoglio dalla mente di Alex.
“Myles, grazie. Non sono più solo.”
“E’ il mio lavoro.”
Sistemò I pantaloni e riprese la chitarra in mano, di nuovo sorridente e pronto a trasmettere la sua allegria a tutta la piazza.
Alex gli passò vicino per osservarlo un’ultima volta.
“Alex, ci rivedremo. Ti accompagnerò per tutta la vita. Alla prossima cazzata!” Rise e continuò la canzone. Finalmente riuscì a trasmettere felicità all’intera piazza. Gaskarth compreso.

If I could just find the time, then I would never let another day go by.
I'm over, getting old.

Il ragazzo prese in mano la chitarra dell’amico e lo aiutò ad animare la festicciola che si stava creando.
“Posso un secondo?” Domandò gentilmente, pulendo la voce.

I guess I’ll go home now, I guess I’ll  go home now, I guess I’ll go home.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Welcome home, Alex. ***


L’aeroporto era affollatissimo, Vienna era piena di turisti che tornavano  o partivano per le loro vacanze.
Inglesi, Tedeschi, Danesi, gite italiane che,come al solito, si facevano notare, indiani, asiatici e anche qualche americano.
Alex era sicuro che quella città gli sarebbe mancata da morire, ma mai quanto gli mancava la sua casa, la sua famiglia.
Riuscì a scoprire grazie all’unico fan che l’aveva riconosciuto che il gruppo si trovava a Los Angeles, ormai non aveva più senso mantenere il segreto.
Prenotò il volo e partì la mattina dopo, l’aria era ghiacciata, ma la felicità gli scaldava il cuore ed il corpo.
Alla fine non era stata una brutta scelta quel viaggio, era stato sicuramente un modo per ritrovarsi, per rendersi conto di cosa aveva bisogno, per ricordarsi che c’è ancora qualcuno disposto a darti una mano senza chiedere nulla in cambio, anche quando chi lo faceva da sempre aveva smesso di farlo.
Le ore non passano mai: leggere, ascoltare musica, scrivere, Alex aveva ormai finito le idee.
Iniziò a pensare a cosa avrebbe detto agli amici:
‘scusate, avevo bisogno di uno stacco’ non sarebbe stato minimamente credibile, se aveva bisogno di uno stacco perché scappare senza dire nulla?
‘Avevo voglia di andare a Vienna, ma ero troppo incazzato per dirvelo’ che senso avrebbe avuto? Probabilmente non ci sarebbero stati altro che rimproveri, soprattutto da parte di Jack, e non avrebbe concluso niente.
‘Era un appuntamento di lavoro’ sembrava più un tradimento nei confronti dei ragazzi che altro, ‘preferisci un incontro al nostro tour?’
Forse avrebbe solo dovuto dire la verità. Probabilmente l’avrebbe fatto, ma lui non la sapeva la verità.

Meno un’ora all’arrivo. Alex non aveva nemmeno il telefono con sé, avrebbe dovuto comprarne uno,  chiamarli e riuscire a rintracciarli.
Aveva così paura di riaffrontarli, così paura di come sarebbe andata.
Un ‘Io sono più forte’ rimbombava nella sua testa, insieme a tantissimi ‘Trova un motivo per non piangere’, ‘I ragazzi saranno felici di vederti’, ‘Cerca di non deluderli’ o ‘Non perdere tempo, il tour sta per iniziare e vi serve la massima forza.’
Cercava di auto convincersi di qualcosa in cui credeva a malapena, ma era l’unico spirito in cui poteva confidarsi, l’unico pezzo che lo facesse stare meglio, che gli dasse quel tocco di speranza per farcela.

Una voce meccanica avvertiva che l’aereo era in atterraggio e un vuoto di stomaco orribile trafisse il ragazzo. Era felice e spaesato, fiducioso, ma anche terrorizzato.
Confusione.
Ritirò i bagagli e incontrò un negozio di elettronica nell’aeroporto, acquistò una SIM ed un cellulare, prese un panino caldo e le gustò mentre sistemava il cellulare e tentava di ricordarsi il numero di Jack.
Per fortuna, lo sapeva ancora a memoria.

Segreteria telefonica. È  uno scherzo? Alex iniziava a perdere la pazienza,dopo una settimana decide di tornare e tutto quello che riceve è una stupida vocina meccanica registrata che dice che l’utente contattato non è disponibile? La pazienza stava per essere svuotata insieme alla fiducia.
 ­Girò un po’ per il centro di Los Angeles, quando una stupida musichetta proveniente dalla sua valigia lo riportò nella realtà.
“Pronto?”
Una voce si sollevò dall’altra parte: “Pronto? Ho ricevuto una chiamata da questo numero poco fa, posso aiutarla?”
“E’ per caso il numero di Jack Barakat?”
“No, mi dispiace, nessun Barakat qui.”
Riattaccò il telefono senza battere ciglio, non aveva più nemmeno la forza per star male.
La fredda pioggia di quel pomeriggio a Los Angeles lo aveva reso davvero irriconoscibile, e non ci provava nemmeno più a farsi notare. Era davvero tutto reale?
‘Eppure… avrei giurato fosse la sua voce, fosse la voce di Jack…’
“Coglione! Ce l’hai fatta a tornare!”
La squillante voce giovanile dell’ amico lo sovrastò da dietro le spalle.
Incontrarlo lì, ora, solo… era l’ultima cosa che si aspettava.
“Dimmi che non sto sognando.” Alex strapazzò gli occhi e li sgranò, cercò di realizzare se quello che stava vedendo era davvero Jack. Come l’aveva trovato?
“C-come hai fatto?”
“Ho rintracciato la chiamata. Quel numero era mio. Ti volevo fare una sorpresa!” Sorrise e si incamminò verso est, costringendo Alex a seguirlo senza fare domande.
“Mi ero ripromesso che nemmeno se e quando sarei tornato ti avrei rivolto parola” sospirò Alex, “avevo giurato a me stesso che non saresti esistito per me, allora perché ti sto seguendo?”
Gaskarth aspettò la risposta del moro, ma si accorse che le domande le aveva solo pensate, e probabilmente era meglio così.
Il passo di Jack era lento e calmo, non camminava con la solita aria frizzante che lo aveva sempre caratterizzato
Non spiccicarono parola per tutto il viaggio di ritorno, finalmente arrivarono all’hotel dove il gruppo alloggiava, l’atmosfera sembrava finalmente rallegrarsi.
“Alex!” Urlò Rian, accompagnato da Zachary.
“Ommioddio allora ti ha trovato davvero! Non ci posso credere!” Sibilò il secondo, abbracciandolo come fossero due ragazzine.
“Scusate, siamo in ritardo per il tour. Vi ho fatto perdere tantissimo tempo!”
Jack continuava a non aprire bocca, che gli piacesse mantenere la suspanse? Che semplicemente non avesse avuto voglia di parlare? Chissà cosa c’era ora nella sua testa… Probabilmente non riusciva a pensare ad altro che a Stella, sì, probabile.
I ragazzi entrarono nella stanza più grande si misero in cerchio, intorno al tappeto.
Alex un po’ più avanti degli altri, Jack in disparte, Zachary e Rian seduti accanto a Jason e Kem, amici che li avevano accompagnati a Los Angeles.
“Allora, Alex, cos’hai combinato questa settimana?” Introdusse con disinvoltura Rian, come se fosse stato in vacanza.
“Ho girato per l’Europa.”
“L’Europa? Bella! Sarà la prima tappa del nostro tour.”
“Davvero!?”
“Sì, davvero! Iniziamo con la Danimarca, poi scendiamo in Germania, due tappe in Francia, Italia, passiamo in Spagna… Poi dovremmo arrivare in Russia, in Bulgaria, una data in Turchia e poi saltiamo direttamente in Asia.”
“Ma è cambiato tutto dal tour originale! Non dovevamo partire proprio dall’Asia?”
“Sì, è vero, ma avevamo due festival in europa quel periodo e per spostarla abbiamo dovuto rimandare tutto, non ti va?” Intervenne Zack, passandogli la lista delle date.
Alex lesse rapidamente ed alzò gli occhi: “Non c’è l’Austria.”
“No, l’Austria non era mai stata inclusa.” Rispondendo Rian si morse un labbro e diede una pacca sulla spalla di Alex, come se sapesse tutto ciò che aveva fatto e passato durante gli ultimi giorni.
Jack continuava a tacere.
“Sì… Hai ragione. Potremmo farci un salto prima della data in Francia? C’è abbastanza tempo per passare un paio di giorni a Vienna!”
“Sei stato a Vienna, non è vero?” Esordì finalmente Jack. Oh, evidentemente non aveva perso la voce del tutto.
“Sì, è bella.”
“Non lo metto in dubbio. Sei scappato per il litigio?” Continuò il moro.
“No, ti pare che me vado in Europa per un litigio con te?”
“Da come hai reagito, si direbbe proprio di sì.”
“Jack, per favore.”
“Alex, per favore.
…Ti chiedo scusa. Ricominciamo da capo, non ho voglia di discutere. Tantomeno con te.”
“Ma certo, mi sembra scontato!”
Sorrisero stringendosi la mano, che fossero riusciti a stare tranquilli, per una volta?
“Allora settimana prossima si parte! Sicuro che vuoi passare a Vienna, Alex?”
“Sicurissimo!” Sorrise lui, annuendo a Zack.
Jack prese il protagonista in disparte: “Ascoltami, non dobbiamo andare in Austria, non ti farebbe bene ripensare a questi momenti.”
“E’ indispensabile. Jack, tu non sai cosa ho passato.”
“Mi dispiace sia stato male.”
“Sono stato tutto l’opposto che male.”
“Le austriache scopano bene, eh?”
“Jack…” Rimproverò, con tono sconsolato. “Avevamo detto di ricominciare da capo.”
“Sì, ma dovrai ricominciare senza di me. Ti voglio bene, è per questo che lo sto facendo, lo sai. Non è più come una volta. Non ho né tempo, né voglia, né occasione. Ho altro da fare, è ora di finirla.”
“Capisco cosa vuoi dire. Immagino sia un addio.”
Vuoto totale. No, Alex, mantieni il distacco.
"Come farai con la band?”
“Andrete avanti senza di me.”
“Non ti riconosco, ci stai abbandonando.”
“Fa molto film del cazzo, per favore. Alex, non siamo ragazzini innamorati che si devono lasciare perché si sono stufati l’uno dell’altra. E tu stai parlando come una ragazzina complessata, sono mesi che lo fai.
Mi sono un po’ rotto il cazzo. Non ho più tempo, occuparmi di te non è più una mia occupazione.
Il gruppo si arrangerà, hanno già trovato un sostituto, parlane con loro.”
Dicendo questo, Jack uscì dalla stanza sbattendo al porta e provocando le lamentele delle stanze vicine.

Nessuno ebbe il coraggio di parlare quella notte, erano tutti sconvolti, confusi.
Alex non trovava più lacrime, sapeva da tempo che sarebbe andata a finire così.
Jack era troppo per lui, troppo per loro, e le cose belle non durano.
Non durano mai.

E così come l’ultima nuvola trascinava via quello scorcio di raggio di sole, così una figura mora abbandonava il suo mazzo  di certezze.
Si allontanava veloce, come una pecora che scappa dal suo gregge, come un pettirosso che fugge dal suo nido, come quell’ultimo briciolo di speranza che abbandonava l’anima di Alex.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** No man can eat 50 eggs. -part. 1 ***


Quando Alex uscì dalla piccola stanza dove lui e Jack avevano avuto la loro ultima conversazione, i ragazzi erano già rintanati – o forse scappati – nelle loro stanze, così che il silenzio si impadronisse di ogni mobile del piano riservato al loro soggiorno.
Quell’hotel era già un posto silenzioso di per sé, ma l’ atmosfera tetra lo rendeva il doppio asfissiante, era quasi temibile.
Jack era uscito, li aveva abbandonati, un senso di vuoto, un turbine senza consistenza, uno squallore acido riempiva quel piccolo spazio e ormai loro non erano altro che un maglione, un maglione sudicio ed ingiallito, un ammasso di lana di cui gli insetti hanno rosicato la manica.
Triste, non è vero?

Alex tornò nella sua camera, anch’essa dall’aria malinconica, fredda.
I muri erano bianchi, bianchissimi, lucidati con una cura impressionante, le tende celesti ed eleganti, distaccate, il letto era basso e bianco, dal materasso durissimo, freddo, bianco, nemmeno a sdraiarsi su una roccia. Il pavimento era costruito a rombi regolari, bianchi e neri, come una scacchiera fatta di rombi, dove faceva eccezione il lampadario, che dava un tocco di particolare eleganza al piccolo quadrato di mura: era quasi completamente bianco, con disegni che richiamavano il motivo delle tende.
Alex era lì, seduto su un letto troppo duro per dormire, in una città troppo fredda per la norma, immerso nella più fetta nebbia, nebbia che rendeva l’aria irrespirabile, circondato da mura che non gli appartenevano, oggetti che gli provocavano i brividi e pensieri di vendetta che non facevano parte di lui.
Solo il foglietto degli appunti per l’ultima canzone gli apparteneva.
23:49, quella dura domenica era sull’orlo di finire e da una parte pensare che la giornata stava terminando riuscì a rincuorarlo, mancava poco.
‘Chissà se domani non sarà un giorno migliore’ chiedeva a sé stesso.
‘Se fosse un giorno migliore, sarei già morto.’, si rispondeva.
Non era più abituato a star male, dura la bella vita.
Continuava a guardarsi in torno e a scaldarsi con l’autoconvinzione che tutto sarebbe andato bene, un giorno, ma non realizzava altro che fosse solo.
Sì, era solo, Alex era spento: il giorno dopo avrebbe parlato col gruppo, lo avrebbero aiutato, lo avrebbero fatto sorridere, ma lui, sarebbe stato comunque solo.

L’indomani il sole avrebbe vinto la nebbia ancora una volta, sconfitto il freddo ancora una volta, permesso al ciclo vitale di andare avanti ancora una volta, ma nemmeno la più bella giornata di sole avrebbe riempito quei due semplici accordi di chitarra che davano la base ad ogni singola nota di una canzone di Alex.
Nessun’ altra chitarra sarebbe stata in grado di riprodurre ciò che illuminava lui, nessuna canzone avrebbe più avuto l’irrefrenabile allegria che…
 In quel momento Alex si sollevò di scatto, come se gli fosse venuta la chiamata da Dio:
“Smettila di piagnucolare amico, potrebbe venire ancora meglio!”
Rilesse gli appunti: “Non so esattamente cosa ci sia di sbagliato in me, non saprei dire che problema ho con questo, so solo che non vado bene, e non è questo il mio posto.”
Gettò il foglietto nel cestino del bagno.
La giornata era stata troppo impegnativa, non fece in tempo a raggomitolarsi sotto le coperte che già Morfeo se n’era impossessato, il sonno era pesantissimo e la posizione imbarazzante dell’agitato ragazzo contrastava con l’elegante serietà della camera, che sembrava fissarlo altezzosamente e con aria distinta e superiore, come una matrigna che si prende cura del figliastro per poi darlo in pasto al fuoco.

L’atmosfera cambiò la mattina dopo: sveglia alle 8:00 con una buona colazione al tavolo coi ragazzi e un’oretta abbondante per fare una chiacchierata pre-ritorno a casa.
-Allora…- introdusse Rian, prolungando la O, per incitare gli altri ad andare avanti, senza ricevere consensi, -come ti senti?-
Alex prese fiato ed iniziò a parlare a raffica, come una ragazzina che racconta all’amica la sua ultima avventura: -In realtà non così male, alla fine possiamo ricominciare senza di lui e tutto potrebbe andare ancora meglio, voglio dire, sappiamo com’è stato il passato, ma non come sarà il futuro, quindi, chissà che non sia solo un vantaggio? In realtà sono anche un po’ confuso, voglio dire, non capisco il perché della sua scelta, e in realtà sto parlando e ragionando come una teenager mestruata, anche se in realtà non mi sorprende da parte mia, mi sorprende più il suo abbandono.-
Zack interruppe la sua foga: -Okay, in realtà hai rotto il cazzo di dire in realtà,- qui scoppiò un’allegra risata da parte della combriccola. –ma siamo davvero contenti tu stia bene, te lo meriti. Comunque abbiamo parlato con Jack e. vedi, dice che aveva smetto di sentirsi parte di noi, sai com’è  fatto…
-Sì, credevo di saperlo, ma non lo so più.- sospirò con aria sconsolata, -E non m’importa nemmeno! Che si fotta quel figlio di puttana, quando potremmo passare in Austria? Ho una faccenda da sbrigare. –concluse.
-Possiamo passarci il Ventisei!- disse uno dei due ragazzi di cui Alex aveva scordato il nome.
-Ventisei? Maggio?- chiese lui.
-Sì, e rimanerci fino al Ventinove, se ti fa piacere.-
Alex era entusiasta, ma cercava di mantenere la serietà e cercar conferma, giunta subito, dagli altri membri.
-Ricorda però che non abbiamo date lì, è solo un soggiorno.- Interruppe Zack.
-Qui ti sbagli, faremo il concerto più bello a cui tu abbia mai partecipato.-
I ragazzi sorrisero chiedendosi cos’avesse in mente, Alex stava davvero combattendo per risistemare le cose, non considerava nemmeno l’opzione di fallire, ce l’avrebbe fatta.

“No man can eat 50 eggs.” Oh, beh, Alex sarebbe stato in grado di smentire qualsiasi cosa.
“Forse non cinquanta, forse non quaranta, ma gli farò fatto il culo, è una promessa.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** No man can eat 50 eggs. -part. 2 ***


Il tour iniziò e finalmente il fatidico Ventisei Maggio arriverò anche per Alex.

Vienna era bellissima quel giorno: c’era un sole picchiante e abbastanza raro per quel posto lontano dal tempo, lontano dalle sue abitudini, era un gomitolo di luci e colori, dove il freddo sembrava essersi dimezzato dall’ultima volta che Alex camminò quel terreno.
Ma non solo il freddo come sensazione, il freddo come ambiente, come persone.
La piazza dove Alex aveva incontrato per la prima volta Myles, Piazza di Freyung ,era parecchio spaziosa, la gente non era tantissima e c’era parecchio spazio libero. I ragazzi portarono il minimo indispensabile e, senza avvertire nessuno, prepararono il piccolo spettacolo.
Partirono con Too Much, piuttosto sconosciuta, e catturarono la interessatissima attenzione di chi già li conosceva, ma poco più, per poi continuare con due classici: Weightless e Therapy, piccola pausa e autografi. La flotta di gente iniziava ad avviciniarsi: senza escludere le facce sorprese e i sussurri di “come mai tutto questo?”.
Era così bello tornare a fare le cose in piccolo, cantare per una piazza, cantare alla ricerca di Myles.
Continuarono con Somewhere in Neverland: la speranza di Alex era proprio quella di ritrovarlo in mezzo alla folla,
dov’era?
Più cantava più scrutava la folla per intravedere il viso speranzoso di quel ragazzo così confortante, trasmettendo la sua curiosità al pubblico, che a sua volta si voltava cercando di capire a cosa alludesse il ragazzo.
Nulla, sia tra gli spettatori che nella mente di Alex: Myles era un viaggiatore, come ha potuto pensare anche per un minimo secondo che sarebbe venuto? Che si sarebbe trovato lì, in quel momento?
E’ vero, la notizia era sparsa per tutta la città, ma che senso aveva? Ovviamente non era a Vienna, poco ma sicuro.    
Oh, quella chitarra sarebbe stata così bella in mano sua, non vedeva altri a cui poterla affidare, se non lui.
Jack se n’era andato, il ragazzino di cui Alex ostinava a dimenticarsi il nome era bravo, ma Myles era ciò di cui aveva bisogno il gruppo.
Finirono il piccolo concerto, adolescenti ovunque a cercare autografi e a complimentarsi, i ragazzi erano abbastanza felici, era bello far qualcosa per aiutare Alex, ma la sua espressione palesemente delusa  non li soddisfò affatto.
Si scambiarono una rapida occhiata, per poi caricare tutti gli strumenti e ripartire verso l’hotel.
“E’ andato bene, non credi?” Introdusse Rian, “come mai ne eri così fissato?”
“In confidenza, avevo bisogno di rivedere un amico.”
“Mi spiace non ti abbia trovato.”
“Anche a me dispiace, mi ha aiutato da morire, e credo di non essermi ancora sdebitato.”
“Sono sicuro che lo rivedrai.”
“Vedremo, sto perdendo la speranza.”
 Rian non è mai stato un tipo di molte parole, in quel momento la sua capacità esplicativa era sottozero.
“ehm, Alex, intanto ho una proposta da farti.”
“Se si tratta di partire prima non se ne parla, lo devo trovare, andrò a chiedere casa per…”
“Alex, non parlavo di questo, ne sarai felice.”
“Sentiamo…”
“Dopodomani un locale in centro ha perso il gruppo che si sarebbe dovuto esibire perché la cantante si è sentita male, ci hanno chiesto di sostituirli.
So che non è per niente da noi suonare in piccoli locali improvvisati, ma vedo che questo periodo non ti dispiace!”
Silenzio.
“Rian.”
“Alex?”
“E questa è una proposta?”
“A quanto pare…”
“Ma ovvio che si fa! È un’occasione perfetta! Voi pensate di farcela?”
“Ovvio che sì! Poi ci danno 200 dollari a persona!”
“Addirittura? Ottimo. È fissato allora.”
“Ne sono felice, spero tu possa ritrovare il tuo amico.”
“Lo spero anche io.”
Alex aiutava ad allestire lo spettacolo, mentre Rian e Zack organizzavano e decidevano quali canzoni suonare.
“A’, vieni un secondo, ci serve un consiglio!”
Alex mollò la tenda e corse, emozionato: “Rian, dimmi!”
“Credi sia meglio iniziare con Lost in Stereo o Stella?”
“Lost in Stereo, piace sempre come apertura.”
“Son d’accordo, grazie.”
Rian e Zack ripresero a ciancicare parole sottili e incomprensibili, ma Alex si accorse che la stanza era molto più vuota del solito.
“Ragazzi, ma… Il ragazzo… Vabbè, il tizio che suona la chitarra al posto di Jack, dov’è?”
“Questo fa parte della sorpresa.” Rispose Zack sorridendo, e facendo un cenno con la testa, indicando la porta, che stava per spalancarsi.
Un tonfo fece girare di scatto Alex, un sorrisone nascosto dalla folta barba sopra ad un giovane viso si accingeva ad abbracciarlo.
Il tremolio e scricchiolio di ossa si confondeva con l’accellerato battito del cuore di Alex: Myles sorrideva sull’uscio della porta.
Alex balbettò più volte il suo nome, scomponendolo e mischiandolo nelle variabili più assurde: “Eccolo il ragazzo che sostituisce Jack.” Sorrise Rian, indicando che tra pochissimo avrebbero dovuto iniziare.
Finalmente Alex spiccicò qualcosa simile a: “Come hai fatto?”
Seguì un lungo e caldo abbraccio: “Alex..” sorrise ancora, “Ho organizzato io, ho sentito i tuoi amici, nulla è caso.”
“Seriamente?”
“Ti sembra uno scherzo?” La risata calma alleggerì l’atmosfera.
“Mio dio. Dopo lo spettacolo, vi chiedo solo una frittata da cinquanta uova, però!”
 
Salirono sul palco.
Alex sorrideva,
Alex cantava, ma non cantava parole. Cantava i suoi giorni, cantava la sua vita, cantava il suo sangue, la sua pelle, le sue ossa, i suoi sorrisi, i suoi mesi, i suoi anni, i suoi ricordi, cantava la sua felicità, cantava il palco, cantava l’aria, cantava l’innovazione, cantava il progresso,
cantava.
Cantava Remembering Sunday, tenne stretti gli occhi finché le lacrime non lo affogarono del tutto.

“I guess I’ll go home now, I guess I’ll go home now, I guess I’ll go home.”
All’ultimo ‘home’ spalancò gli occhi.
Intravide un ragazzo pallido ed alto, dal sorriso consumato e dal cappello originale farsi spazio fra la folla, Non era difficile notarlo, vista l’altezza.
Le lacrime di quel povero sventurato Alex si ritirarono e risprofondarono nell’oceano ch’era dentro l’anima del ragazzo, lì lo riconobbe: un Jack commosso recitava quell’ultima frase come fosse la sua ultima preghiera.
Alex smise di cantare, pietrificandosi nei suoi pensieri, e trasmettendone la potenza al pubblico, agli amici, a Myles.

 
Jack c’era.
Jack ci sarebbe sempre stato, forse non come un tempo, forse non guardava più il mondo con Alex, forse non era al suo fianco a stringergli la mano, ma c’era.
Lo guardava, lo seguiva, lo ricordava. Jack riusciva a vedere il mondo di Alex, e Alex il mondo di Jack: due universi scivolosi, differenti, particolari, ma tremendamente vicini, spaventosamente dipendenti.


Alex riprese a cantare, come sottofondo la rassicurante voce di Jack, fino alla fine dello spettacolo.








 
 
“Ommerda!”
“Alex… Cos’hai?”
“…Cosa ci fa qui questa?”
“Ehm, cinquanta uova di frittata, no?”
“Vi odio.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1292498