Take my breath away.

di Harriet_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo undicesimo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Sapeva di non essere tagliata per le relazioni, lei così strafottente, così stronza, così popolare, così semplicemente Santana. Credeva che durante la sua carriera scolastica si sarebbe limitata a qualche storiella di poco conto con i ragazzi più popolari e attraenti, nulla di più. Ma le andava bene così. Perché dopotutto lei era Santana Lopez, non aveva certo bisogno dell’amore e di tutte quelle fesserie per essere felice. Conduceva una vita fantastica, aveva un ragazzo diverso ogni giorno (anzi, sarebbe meglio dire un ragazzo diverso ogni notte), si divertiva, era popolare. Oh sì, Santana Lopez era l’emblema della popolarità, si trovava in cima alla piramide sociale del McKinley, insieme a Quinn e Brittany. E’ vero, facevano parte del Glee Club come i perdenti, ma erano comunque le sovrane supreme della scuola. Loro erano la Dannata Trinità, e quando passavano nei corridoi, la folla si apriva come Mosè con le acque. Tutti le guardavano sculettare da un’aula all’altra, i ragazzi bramandole, le ragazze invidiandole. Santana era convinta che questo fosse il massimo, che una liceale non potesse aspirare a niente di meglio, ma fu costretta a ricredersi. Eh sì, perché un giorno si accorse che c’era una cosa che amava più di tutto  il resto: più della popolarità, più degli addominali di Noah Puckerman, più della divisa da Cheerio, della coda di cavallo e delle esibizioni sul palco. Ma non era una cosa, era una ragazza, e si chiamava Brittany S. Pierce, la sua migliore amica cheerleader. Lei, così bella, così innocente, così magica. L’unica cosa bella e vera in quella scuola dove regnavano i pregiudizi, la cattiveria e la violenza. Un fiore bellissimo cresciuto nel letame. Santana capì che doveva proteggerla, mettere quel fiore in una campana di vetro e curarlo e coccolarlo, e difenderlo dagli artigli del mondo. Voleva amarla fino a non riuscire più a respirare. Era al terzo anno di liceo, e all’improvviso non le importò più della sua reputazione, voleva solo avere accanto a sé quella fatina dai capelli biondi e gli occhi azzurri, averla accanto a sé per il resto della vita. Questo era il suo nuovo progetto, e l’avrebbe portato a termine, perché Santana Lopez ottiene tutto ciò che vuole.
Ma purtroppo dovette fare i conti con la realtà. Perché il cuore della sua Brittany era già impegnato. Lei amava, o diceva di amare, Artie Abrams, un loro compagno del Glee Club, uno sfigato occhialuto in carrozzella che, non si sa come, era riuscito a conquistare una delle ragazze più popolari della scuola. Sta di fatto che dopo alcuni mesi e un estenuante corteggiamento da parte di Santana, le due si erano messe insieme, e la mora era l’emblema della felicità.
Trascorrevano i mesi, ma l’amore di Santana per Brittany non diminuiva, anzi, aumentava. Chiunque diceva che erano anime gemelle, destinate a stare insieme. E Santana era d’accordo, non poteva immaginare più una vita senza Brittany, senza il suo sorriso, le sue battute ingenue, la sua vitalità. Il suo amore? Questo Santana non lo sapeva. Non riusciva a capire se la bionda ricambiasse appieno i suoi sentimenti, se anche lei avesse il cuore colmo di travolgente amore, se anche lei avrebbe potuto stare fra le sue braccia per sempre. Quando glielo domandava, la sua risposta era sempre “Ma certo che ti amo, San”. E San si accontentava. Le bastava averla vicina e tenerla stretta sul divano davanti alla tv, guardando “Lilly e il Vagabondo” e mangiando orsetti gommosi, e ogni tanto scambiarsi qualche tenero bacio. Dava tutto l’amore del mondo a quella ragazzina bionda, e quello che riceveva le bastava. Se lo faceva bastare perché era giusto così.
Ma un giorno, inaspettatamente, le cose cambiarono. E fu in quel momento, che Santana capì di meritare di più. Capì che aveva bisogno di una persona che fosse travolta dall’amore per lei, che avrebbe dato tutto solo per vederla sorridere.
E capì anche, con terrore, che quella persona non avrebbe potuto essere Brittany S. Pierce.

Nda
E' la mia prima fanfic quindi siate clementi! Mi andava di scrivere, sinceramente non so cosa sia uscito fuori, e un po' ho paura. Questo era un prologo, quindi diciamo che la storia vera e propria comincia dal prossimo capitolo, e anche le ultime frasi, che sono state lasciate in sospeso, verranno chiarite. Semplicemente, ditemi cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere :)

Sapeva di non essere tagliata per le relazioni, lei così strafottente, così stronza, così popolare, così semplicemente Santana.
Credeva che durante la sua carriera scolastica si sarebbe limitata a qualche storiella di poco conto con i ragazzi più popolari e attraenti, nulla di più. Ma le andava bene così. Perché dopotutto lei era Santana Lopez, non aveva certo bisogno dell’amore e di tutte quelle fesserie per essere felice.

Conduceva una vita fantastica, aveva un ragazzo diverso ogni giorno (anzi, sarebbe meglio dire un ragazzo diverso ogni notte), si divertiva, era popolare.
Oh sì, Santana Lopez era l’emblema della popolarità, si trovava in cima alla piramide sociale del McKinley, insieme a Quinn e Brittany.
E’ vero, facevano parte del Glee Club come i perdenti, ma erano comunque le sovrane supreme della scuola. Loro erano la Dannata Trinità, e quando passavano nei corridoi, la folla si apriva come Mosè con le acque.

Tutti le guardavano sculettare da un’aula all’altra, i ragazzi bramandole, le ragazze invidiandole.
Santana era convinta che questo fosse il massimo, che una liceale non potesse aspirare a niente di meglio, ma fu costretta a ricredersi. Eh sì, perché un giorno si accorse che c’era una cosa che amava più di tutto il resto: più della popolarità, più degli addominali di Noah Puckerman, più della divisa da Cheerio, della coda di cavallo e delle esibizioni sul palco.


Ma non era una cosa, era una ragazza, e si chiamava Brittany S. Pierce, la sua migliore amica cheerleader.
Lei, così bella, così innocente, così magica. L’unica cosa bella e vera in quella scuola dove regnavano i pregiudizi, la cattiveria e la violenza.
Un fiore bellissimo cresciuto nel letame.

Santana capì che doveva proteggerla, mettere quel fiore in una campana di vetro e curarlo e coccolarlo, e difenderlo dagli artigli del mondo.
Voleva amarla fino a non riuscire più a respirare.

Era al terzo anno di liceo, e all’improvviso non le importò più della sua reputazione, voleva solo avere accanto a sé quella fatina dai capelli biondi e gli occhi azzurri, averla accanto a sé per il resto della vita.

Questo era il suo nuovo progetto, e l’avrebbe portato a termine, perché Santana Lopez ottiene tutto ciò che vuole.Ma purtroppo dovette fare i conti con la realtà. Perché il cuore della sua Brittany era già impegnato.
Lei amava, o diceva di amare, Artie Abrams, un loro compagno del Glee Club, uno sfigato occhialuto in carrozzella che, non si sa come, era riuscito a conquistare una delle ragazze più popolari della scuola.
Sta di fatto che dopo alcuni mesi e un estenuante corteggiamento da parte di Santana, le due si erano messe insieme, e la mora era l’emblema della felicità. 

Trascorrevano i mesi, ma l’amore di Santana per Brittany non diminuiva, anzi, aumentava.
Chiunque diceva che erano anime gemelle, destinate a stare insieme. E Santana era d’accordo, non poteva immaginare più una vita senza Brittany, senza il suo sorriso, le sue battute ingenue, la sua vitalità.
Il suo amore? Questo Santana non lo sapeva.
Non riusciva a capire se la bionda ricambiasse appieno i suoi sentimenti, se anche lei avesse il cuore colmo di travolgente amore, se anche lei avrebbe potuto stare fra le sue braccia per sempre. Quando glielo domandava, la sua risposta era sempre “Ma certo che ti amo, San”.
E San si accontentava.

Le bastava averla vicina e tenerla stretta sul divano davanti alla tv, guardando “Lilly e il Vagabondo” e mangiando orsetti gommosi, e ogni tanto scambiarsi qualche tenero bacio. Dava tutto l’amore del mondo a quella ragazzina bionda, e quello che riceveva le bastava. Se lo faceva bastare perché era giusto così. 

Ma un giorno, inaspettatamente, le cose cambiarono.
E fu in quel momento, che Santana capì di meritare di più. Capì che aveva bisogno di una persona che fosse travolta dall’amore per lei, che avrebbe dato tutto solo per vederla sorridere.

E capì anche, con terrore, che quella persona non avrebbe potuto essere Brittany S. Pierce.








Nda




E' la mia prima fanfic quindi siate clementi! Mi andava di scrivere, sinceramente non so cosa sia uscito fuori, e un po' ho paura. Questo era un prologo, quindi diciamo che la storia vera e propria comincia dal prossimo capitolo, e anche le ultime frasi, che sono state lasciate in sospeso, verranno chiarite. Semplicemente, ditemi cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere :)

 

(il prologo è stato da poco modificato e revisionato affinché potesse essere letto più scorrevolmente!)

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Successe tutto in pochi secondi.
La mano di Quinn sul suo fianco. I loro respiri vicini. I loro sguardi intrecciati. Una canzone.
Take my breath away.
Era il ballo scolastico, l’ultimo ballo del liceo per le due ragazze, e fu così che Santana capì che non stava cingendo la vita della sua amica, ma della sua anima gemella.
E fu così, che Quinn Fabray le portò via il respiro.


Santana si svegliò di soprassalto, scoprendosi aggrovigliata tra le lenzuola e completamente sudata.
Si mise seduta e controllò la sveglia. “Accidenti, sono solo le quattro di mattina!”.
Con un sospiro scostò le coperte che fino a poco prima la stringevano in una morsa bestiale e si tirò in piedi.
Andò in cucina e bevve un sorso di latte. “E adesso, come faccio?” pensò. “E’ una situazione di merda. Io ho sempre amato Brittany. Che cazzo mi è preso? Come ho potuto cadere nella trappola di Quinn Fabray?!”. Si accasciò disperata su una sedia, prendendosi la testa fra le mani.
“Io lo so cosa mi avrebbe detto il mio papà, se fosse ancora qui. Mi avrebbe detto che al cuore non si comanda, che non dobbiamo soffocare i nostri sentimenti, che le cose cambiano e non possiamo farci niente, che dobbiamo farci trasportare dal nostro cuore. Si papà, ma come faccio? Come faccio a dire a Brittany che non posso più sopportare il fatto che io la ami così tanto e lei mi voglia solo bene, come faccio ad andare da Quinn e dirle –Ehi Quinn, mi sono innamorata di te!-?! Non posso, non posso.”

Risalì le scale e si rimise a letto. “Rimpiango solo di non avere nessuno a cui raccontarlo, qualcuno con cui confidarmi. Rachel è fortunata, lei ha Kurt. Kurt è fortunato, lui ha Rachel e Mercedes. Tutti hanno qualcuno con cui parlare quando hanno dei problemi, ma io, chi ho?”. Santana si rese improvvisamente conto di non avere amici di cui fidarsi. “E se lo dicessi a Quinn? Sì, voglio dire, senza dirle che la diretta interessata è lei. Potrei raccontarle di essermi innamorata di un’altra. Potrebbe funzionare. Oddio, non lo so. Ora voglio solo dormire”. Ma ormai la mora non aveva più sonno. Così agì d’impulso, prese il cellulare e chiamò Quinn, senza sapere neanche lei cosa stava facendo.

Uno, due, tre squilli. Poi finalmente rispose.

“Pronto… Santana?”  la ragazza che aveva risposto al telefono si trovava probabilmente, fino a un secondo prima, nel mondo dei sogni. Aveva la voce impastata di sonno e un tono incredulo.

“Sì, ciao Quinn. Sono io. Santana.”

“Che cazzo vuoi? Ma lo sai che sono le quattro e mezza di mattina, sì?” Non era un modo fantastico per iniziare una conversazione, pensò Santana.

“Sì. Lo so, scusa.  E’ che non riuscivo a prendere sonno, e devo dirti una cosa importante. Non posso tenermelo dentro oltre” disse tutto d’un fiato.

“Una cosa importante? A me? Alle quattro di mattina? Non siamo così amiche, Santana. Non hai mai fatto una cosa del genere. Non mi hai mai confidato i tuoi segretucci da adolescente” disse ridacchiando. “Oddio, che carina” pensò Santana. “Riesco a immaginarla mentre sorride e intreccia le dita al filo del telefono. Ah.” Si riscosse dai suoi pensieri.

“Sei sempre mia amica, Quinn. Mi ascolterai? Farai questo per me?” disse speranzosa. Si aspettava un “vaffanculo” dall’altra parte ma, con sua grande sorpresa, non fu così.

“Sì, ti ascolterò, Santana. Dimmi che hai” disse sospirando. La mora si prese di coraggio e parlò.

“Ecco, allora, lo dirò tutto d’un fiato, tu non interrompermi, ti prego. Non riesco più a stare con Brittany. Ogni volta che l’abbraccio e la bacio penso che non mi amerà mai quanto la amo io, e questo mi distrugge, Quinn. Mi logora fin dall’inizio. Ma avevo imparato a conviverci, a farmi bastare quel poco amore che mi dava. Ma ora non ne posso più. E la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata… Una ragazza. Liza, si chiama. Sì, Liza. E’… Di Lima Heights. Esatto. Proprio così” disse incespicando. Aveva dovuto inventarsi una balla sul momento, e sperava avrebbe funzionato. “Ecco, vedi, io… Credo di essermi innamorata di questa ragazza. Non è stato amore a prima vista, anzi, la conoscevo da tanto tempo ed eravamo già amiche, ma ho capito di provare qualcosa di più della semplice amicizia. Non è come Brittany. Liza è stata ferita e usata. E’ una bambola rotta. Ma io potrei ricucirla, Quinn. Mi metterei lì, con pazienza e dedizione, a riassemblare i pezzi del suo cuore. Ma ho paura. Ho paura perché temo che non me lo permetterà mai.” Si morse il labbro inferiore, in attesa di una risposta. Aveva inventato quel nome, Liza, ma era stata l’unica bugia. Tutte le altre cose erano vere.

“Perché?”

“Cosa perché, Quinn?” disse sconcertata la latina.

“Perché pensi che non ti permetterà mai di lasciarsi amare, e amarti.”

“Oh beh, per tanti motivi” disse amara. “Innanzitutto, a Liza piacciono i ragazzi, non le ragazze…”

Venne interrotta bruscamente dall’amica. “Questo non significa nulla San, lo sai benissimo. Anche a te piacevano i ragazzi. Ma hai cambiato idea, se così si può definire”. L’aveva chiamata San. San. Un vezzeggiativo affettuoso. A Santana si sciolse il cuore.

“E’ diverso, Quinn. Molto diverso. Lei non è come me. Non credo che lei cambierà… Idea. E poi io ho avuto una famiglia che mi ha supportata e aiutata, non facendomi sentire mai sola. Lei ha dei genitori despoti che non accetterebbero mai una cosa simile. La ripudierebbero. Ma, in ogni caso, non diventerebbe mai lesbica per me” disse aspra.

“Genitori despoti… Uhm. Questo mi suona familiare” disse ridacchiando. Santana trattenne un sorriso. Come poteva immaginare, la sua dolce amica, che i genitori di cui parlava erano proprio i suoi?

“Eh. Già” disse nervosa.

“Forse potrei conoscere questa Liza. Darle qualche dritta su come fare quando hai due genitori così. E poi devo conoscerla in ogni caso. Una ragazza che ha rubato il cuore a Santana Lopez. Dev’essere speciale”  -oh, sì Quinn. E’ molto, molto speciale- pensò la latina. “Dimmi, com’è fatta?” oh no. Questa non ci voleva. Non bisognava far incuriosire troppo Quinn.

“Ehm… E’ normale, non saprei… Senti Quinn, mi sta venendo un po’ di sonno” disse con uno sbadiglio forzato. “Non è meglio se ne riparliamo un’altra volta? Magari domani a scuola… O al Lima Bean… Oddio, sempre se vuoi! Cioè, dove vuoi tu insomma… Se ti va, ecco…” in quel momento Santana si stava odiando profondamente. Dov’era andata a finire la Lopez spaccona e sicura di sé?

L’amica esplose in una risata argentina che a Santana fece venire la pelle d’oca. Possibile che fosse così perfetta? “Ma certo, San. Allora a domani. Ah, e sappi che mi dispiace per quello che sta succedendo. Lo so che sei confusa e triste. E anche se non siamo mai state amiche per la pelle, non è tardi per rimediare. Io sono qui, se vuoi confidarti. Anche alle quattro di mattina, ma non prenderci troppo l’abitudine!” disse ridendo.


“Grazie. Davvero. Grazie di tutto.” Mise giù il telefono con un sorriso. Era felice. Ma sapeva che si era andata a ficcare in un tunnel senza via d’uscita, sapeva che si stava facendo del male da sola.
Ma se quel male era Quinn, non era disposta a rinunciarvi.

 

Nda

Alloooora! Ed eccoci qui con il secondo, o meglio primo capitolo, dato che quello precedente era un prologo. Non ha riscosso molto successo, ma non importa. So che questa storia non è un granché, ma mi piace scrivere quindi non smetterò! :) 
Mi farebbe immensamente piacere se lasciaste una recensione scrivendomi cosa ne pensate. E’ molto importante per me la vostra opinione.
Detto ciò, vi lascio! Alla prossima!

Harriet_
 

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


“Santana, sbrigati, la colazione è pronta! Scendi o farai tardi a scuola! E poi ricordati che devi passare a prendere Brittany!” Santana si diresse verso la cucina a passi pesanti e stanchi, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando davanti alla madre che le stava preparando delle fette biscottate.
“No, grazie mamma, non mi va proprio di mangiare stamattina” biascicò la ragazza.
“San, hai due occhiaie da far paura, sembri uno zombie! Se pensi di non andare a scuola hai proprio fatto male i conti, signorina” disse la madre accigliandosi.
“Non ho nulla, mamma” rispose irritata.
“Io ti vedo quando non stai bene, tesoro. Ti conosco meglio di chiunque altro” disse la madre addolcendosi. “Con me puoi parlare, lo sai. E’ successo qualcosa con Brittany, per caso?”
Santana sgranò gli occhi. Come faceva quella donna a capire sempre tutto? Decise che era meglio non risponderle, quindi si mise lo zaino in spalla ed uscì di casa.


Salita in macchina, prese il cellulare e digitò un messaggio.
“Si è fatto tardi, non posso venirti a prendere. Trova qualcuno che ti dia un passaggio. San” riluttante, premette ‘invio’. Pochi secondi dopo lo schermo del suo cellulare si illuminò e l’avvisò di un messaggio ricevuto.
“Va bene. Ci vediamo a scuola. Britt” sospirò, e ingranò la marcia. Forse Brittany non meritava un trattamento del genere. Ma non sapeva come uscirne senza ferirla.


A scuola cercò di evitare Brittany in tutti i modi possibili. Distolse lo sguardo quando i loro occhi si incrociavano, schizzò fuori dall’aula quando la campanella suonò, si nascose nel bagno invece che passeggiare nei corridoi, come suo solito. Ma capì che non poteva continuare così. Doveva affrontare la situazione di petto. Così si ravviò i capelli e le andò incontro. Quando incrociò i suoi occhi, più azzurri e confusi che mai, ebbe un tuffo al cuore. Cercò di indossare una maschera di freddezza e indifferenza per non mostrare tutto il dolore che provava.
“San, non capisco. Perché fai così? Voglio camminare nei corridoi tenendomi a braccetto con te. Lo facevamo, fino a poco tempo fa” disse triste Brittany. A ogni parola, il cuore della mora si faceva in mille pezzi.
“Ora non ho tempo di spiegarti. Stasera vieni a casa mia e ti sarà tutto più chiaro. Ok?” disse in fretta.
“Oh, sì certo, va bene!” rispose mentre il volto le si illuminava e si apriva in un gran sorriso. “Credevo non mi volessi più bene. Ma ora so che non è così. Abbracciami”. Ma Santana rimase di pietra, mentre la ragazza la stringeva e le dava un buffetto sulla guancia. E rimase di pietra anche mentre la guardava andare via sorridente. Nelle sue parole aveva trovato la conferma che ciò che stava facendo era giusto. Meschino, ma giusto.
“Credevo non mi volessi più bene…”
Brittany non aveva mai capito quanto lei l’amasse.

Santana tornò in sé, e solo allora vide dall’altra parte del corridoio, appoggiata ad uno degli armadietti, una Quinn dall’aria dispiaciuta. Aveva assistito alla scena e, a differenza di Brittany, leggeva nel suo cuore. Sapeva cosa nascondeva dietro quella maschera di distacco, perché era la stessa cosa che nascondeva lei. Tanta fragilità. Tutti le credevano cattive, insensibili e manipolatrici. Ma erano solo due libellule con le ali spezzate, che indossavano una corazza per non farsi ancora più male. Santana le corse incontro e scoppiò a piangere mentre le buttava le braccia al collo.



“Ssssh, ora calmati, va tutto bene, andrà tutto bene…” sussurrò dolce Quinn, cullandola. Ma la ragazza continuava a singhiozzare.
“Non piangere, non piangere… Ci sono qui io…” dopo qualche minuto, Santana si calmò. Avrebbe voluto farsi proteggere da quelle braccia per sempre. Si ricompose e si asciugò le lacrime.
“Non so se hai notato, ma è passata mezz’ora dal suono della campanella. Avremmo dovuto già essere a casa” disse Quinn sorridendo dolcemente.
“Oh, è vero. Dovevo riaccompagnare Brittany a casa! Accidenti!” esclamò la mora colpendosi la fronte.
“Ci ha già pensato Rachel, gliel’ho detto io. Santana, prima o poi dovrai lasciarle del tutto la mano, e smetterti di preoccuparti per lei. E fallo presto, se non vuoi soffrire ancora di più.”
“La lascerò stasera. Le ho detto di venire a casa mia, e poi le parlerò” disse decisa.
“Sono contenta. Non ti dico che poi ti sentirai meglio perché sarebbe una bugia. So quanto la ami, e sarà molto difficile per te uscire fuori da questa storia. Ma io sono pronta ad aiutarti. E poi, a parer mio, dovresti provarci con questa Liza” disse Quinn con un mezzo sorrisetto. Santana perse un battito. Cominciò a guardarsi in giro, sfregarsi le mani nervosa, mordersi il labbro inferiore.
“Hey, ma cos’avrò detto mai!” esclamò Quinn ridendo. “E’ la verità, lei ti piace! Lo vedo perché c’è una nuova luce, nei tuoi occhi”.
Santana si fece sempre più nervosa.
“D’accordo, d’accordo. Quando vuoi parlarne, io sono qua” disse la bionda ammiccando. “Ora scusa, ma devo proprio andare. Joe mi ha chiesto di andare a prendere un caffè. Ci sta provando pesantemente in questi giorni” disse scocciata.
“J-Joe? Vi state… Frequentando?” chiese Santana con un filo di voce. Fece uno sforzo disumano per sembrare disinteressata, mentre gli ultimi pezzi rimasti intatti del suo cuore si sgretolavano definitivamente.
“Sì” rispose sbuffando. “Gli piaccio da morire. Non te ne sei accorta? Si vede lontano un chilometro che è pazzo di me. I suoi occhi sognanti quando mi vede parlano chiaro” rispose ridacchiando.
Santana avrebbe voluto rispondere “No scusa, non me ne sono accorta, ma sai com’è, ero troppo intenta a soffrire per gli occhi di Brittany e ad innamorarmi dei tuoi”. Invece le chiese a bruciapelo “Lo ami, Quinn?”
Subito si pentì di quella domanda. Aveva paura che avrebbe risposto di sì, e a quel punto non avrebbe più avuto niente per cui vivere.
“Amarlo? Ma sei matta? Credo che neanche mi piaccia. Esco con lui solo per dargli il brivido di stare con me” rispose facendole un occhiolino. Santana si rianimò e tornò ad avere un respiro relativamente regolare.
“Forse non dovresti ingannarlo così, Quinn” disse severa. “Guarda quanto Brittany ha fatto soffrire me comportandosi in questo modo, anche se inconsciamente. Io so che tu non sei cattiva. Allora non giocare con i sentimenti altrui.” Quinn assunse un’espressione pensierosa, stava soppesando le parole dell’amica.
“Forse dovrei dirgli che non faccio sul serio… Non voglio che stia male per colpa mia…” disse più a se stessa che a Santana, la quale sorrideva sempre di più.
“Ehy, perché sorridi? Sono in difficoltà!” esclamò Quinn dandole una spinta affettuosa. E sei dannatamente carina quando sei in difficoltà, pensò la mora, ricambiando la spinta.
“Dovrei andare a prepararmi psicologicamente per l’incontro con Brittany stasera. Non sono sicura di farcela. Quei suoi occhi da cucciolo mi fottono sempre, e ho paura che mi ritroverò a baciarla e a chiederle scusa, senza neanche rendermene conto” disse, improvvisamente incupita.
“Tu sei pronta. O stasera o mai più. Solo… Cerca di essere il più delicata possibile, sai com’è Britt, una parola sbagliata e comincia a piangere. E a quel punto non ce la farai davvero” disse accarezzandole il braccio. Santana rabbrividì sotto quel tocco così dolce e rassicurante.
“Ci proverò” rispose la mora annuendo. “Ti farò sapere”.
“Devo prepararmi a ricevere una telefonata in piena notte di te che piangi incontrollabilmente? Devo prepararmi un discorso consolatorio che però non servirà a nulla? Devo prepararmi a restare tutta la notte sveglia, rigirandomi nel letto a preoccuparmi per la mia migliore amica? Avvisami prima se è così”. Santana rise di gusto. “Non lo so, voglio dire, è probabile!” rise ancora di più. Poi si fece seria. “Ma se così fosse… Sarai pronta a sopportarmi?”
“Questa notte e tutte le notti della mia vita.” A Santana sembrò che il cuore le schizzasse fuori dal petto. Prima di andarsene, le lasciò un piccolo bacio sulla guancia.


“San! Sto arrivando! Sono quasi a casa tua!” così recitava l’ennesimo messaggio di Brittany. Santana si affrettò a cancellarlo. Non voleva essere il tipo che, finita una relazione, passa le nottate a piangere rileggendo i vecchi messaggi.
Era in preda all’ansia più totale. Aveva passato la serata a ripetersi “Posso farcela, posso farcela, posso farcela” ma nel momento in cui il campanello suonò, sperò con tutto il cuore che la terra si aprisse sotto i suoi piedi e la inghiottisse. Tutto pur di non vedere quegli occhi pieni di lacrime.
“Ciao, Brittany” disse nervosa, aprendo la porta di casa.
“Sannieeeeee!” urlò l’altra, gettandole le braccia al collo. E, proprio come quella mattina, Santana rimase un tronco. Ma la ragazza sembrò non accorgersene, troppo intenta a fiondarsi sulla scatola di orsetti gommosi, che tanto adorava. Santana pensò che avesse accettato l’invito di andare a casa sua solo per mettere le mani su quei cosi. Lasciò che li finisse tutti, guardarono uno dei cartoni animati preferiti di Brittany, e solo allora, la mora si convinse a parlare. Prese un profondo respiro.
“Brittany… Tu lo sai cosa siamo io e te, vero?”
L’altra la guardò confusa. “In che senso cosa siamo?” rispose. Santana prese un altro respiro.
“Voglio dire… Sai che non siamo semplici amiche, giusto?” Brittany aprì la bocca per replicare ma Santana la precedette, sapendo ciò che stava per dire. “E neanche migliori amiche!”
La bionda appariva sempre più spaesata. “Beh, noi siamo una coppia e ci vogliamo molto bene, no?” le disse con ovvietà.
“No, Brittany. E’ qui che hai sempre sbagliato. Tu, mi vuoi bene. Ma io ti amo. E’ diverso. Riesci a capirmi? E non posso andare avanti così. Ho bisogno di qualcuno che mi ami” disse prendendole le mani, ma Brittany si divincolò.
“Cosa stai cercando di dirmi?” chiese accigliata.
“Che non posso più stare con te” rispose Santana tutto d’un fiato. La stanza intorno a lei cominciò a vorticare. Aveva detto la verità a Brittany. Non poteva più tornare indietro. Da quel momento, tutto sarebbe cambiato.
“Non mi ami più, Santana?” chiese con le lacrime agli occhi.
“No! Io ti amerò per sempre, Britt! E’ tutto questo amore che mi sta distruggendo, capisci?”
“No, non capisco! Non capisco niente, niente!” disse prendendosi il viso tra le mani.
“Britt, tu non hai bisogno di me. Non hai bisogno della mia presenza per essere felice, non ne hai mai avuto. Ero io quella che per sopravvivere necessitava del tuo sorriso. Ma è sbagliato, Brittany, è sbagliato” disse Santana in un sussurro. Diede un ultimo bacio sulla fronte di Brittany, che si alzò e corse via. Prima di svoltare l’angolo, si girò e “Santana, resteremo per sempre amiche, vero?” le urlò.
“Per sempre, Britt, per sempre!” le rispose con voce rotta, mentre sentiva le lacrime inondarle il viso.








Nda



Ecco a voi il secondo capitolo! Fatemi sapere che ne pensate, potete anche insultarmi se volete! ;)
Volevo avvisarvi che, siccome tra due giorni comincio la scuola e devo mettermi a studiare, non potrò aggiornare spesso come ho fatto finora. Spero di riuscire a farlo una volta alla settimana, ma non vi garantisco nulla!
Alla prossima,
Harriet_

 
(p.s.: grazie alle fantastiche persone che hanno messo questa storia tra le seguite, addirittura tra i preferiti, e a chi lascia sempre una recensione! Grazie grazie grazie!)

 

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Ho lasciato Brittany.

Santana continuava a ripetersi quelle parole, nella vana speranza che si fissassero nel suo cervello.
Quelle parole così semplici, eppure così difficili da accettare.
L’aveva fatto.
L’aveva fatto davvero.
In pochi minuti aveva ripudiato tutto ciò per il quale aveva lottato fino allo stremo delle forze.
Tutto ciò che di bello aveva. Il suo orgoglio. La sua felicità.
Ma ora quegli occhi turchini non le appartenevano più.
Ora li sentiva così distanti, così sconosciuti.
Come se non avessero mai significato nulla per lei.
Quando invece quei due specchi di cielo erano stati la ragione per cui si alzava al mattino.
Ma non sarebbe mai più stato così, perché li aveva rimpiazzati.
Li aveva rimpiazzati con un paio di iridi verdi che non sarebbero mai stati capaci di ricambiare i suoi sentimenti. Un paio di iridi verdi per il quale era sicura avrebbe sofferto da impazzire.
L’aveva voluto solo ed unicamente lei, masochista artefice del suo amaro destino.
Ma ormai era in pista.
E tanto valeva cominciare a ballare.


*


Chiamata in arrivo: da Quinn
“Pronto?” rispose Santana sorpresa da quella telefonata inaspettata.

“Ehi, perché non sei venuta a scuola?”

“Scusami. Non ce l’ho fatta. Ho bisogno di qualche giorno per riprendermi almeno un po’” sospirò la latina massaggiandosi le tempie.

“Mhhh. Capisco. Beh, ti avviso che oggi la piccola Britt era assolutamente disorientata. Si trascinava per i corridoi come se non avesse più uno scopo per vivere. Devi avergli fatto molto male”.

A Santana si fermò il cuore. Ogni parola di Quinn era una coltellata inflitta in pieno petto.
Aveva immaginato che Brittany avrebbe sofferto, ma solo allora si rese veramente conto della situazione. Aveva davvero fatto la scelta giusta?

“No, Santana – disse Quinn, come leggendole nel pensiero – non devi starci male. Ormai quello che è fatto è fatto. Non puoi tornare indietro, lo sai. Adesso stringi i denti e vai avanti. Spero solo che tutto questo dolore dia i suoi frutti”.

I suoi frutti? Cosa voleva dire?

“In che senso?” chiese confusa Santana.

“Beh, lo sai. Non hai lasciato Brittany senza motivo. Quindi, vedi di darti da fare per conquistare la tua Liza, o avrai spezzato il cuore di una ragazza per nulla. E questo sarebbe ancora più cattivo” replicò.

Cazzo, Liza.
 Proprio non se l’è dimenticata eh?
Mannaggia a me e alla mia boccaccia.


“Anzi, facciamo una cosa! – esclamò Quinn come ispirata da un’idea geniale, e Santana riuscì ad immaginare il suo viso che si illuminava – tu domani mi fai conoscere Liza. Sì sì, chiamala e dille che usciamo. Ci facciamo una chiacchierata tutte e tre al bar. Fremo dalla voglia di conoscerla!” disse Quinn eccitata, mentre Santana moriva a poco a poco.

“Che cosa?! Ma cosa vai farneticando!” disse in preda al panico. “Io non ti faccio conoscere proprio nessuno! Assolutamente no, te lo scordi!”

“Santana Lopez – disse duramente Quinn – se domani non vedo questa benedetta ragazza stai sicura che è l’ultima volta che ti parlo. Non sto scherzando”

Qualcosa nel tono della sua voce fece capire a Santana che no, non scherzava affatto.

Senza sapere cosa stava facendo si ritrovò a sussurrare “Va bene… Te-te la faccio conoscere…”

“Sì! Sì, sì, sì!” squittì Quinn entusiasta. “Non vedo l’ora! Chiamami ed io esco. Ok? Perfetto! Ciao!” Santana aprì la bocca per replicare, ma la bionda aveva già interrotto la chiamata.

E ora come si fa?

 

*
 

Rachel stava giusto per mettersi a dormire – dopo aver svolto accuratamente ogni passaggio del suo rituale, ovvio – ma non fece in tempo a sollevare le coperte ed infilarsi a letto che sentì il campanello suonare.

Chi poteva essere a quell’ora? Non le veniva in mente nessuno. I suoi sarebbero tornati l’indomani mattina e Finn era fuori per una settimana…

“Rachel! Apri questa cazzo di porta!” urlò una voce familiare.

“Santana, ma che modi sono questi!” disse Rachel, facendola entrare. “Spero proprio tu abbia una scusa abbastanza plausibile per presentarti a casa mia a quest’ora, perché non accetto che c-”

“Shh! Fai un po’ di silenzio, nanetta!” la zittì Santana, tappandole la bocca.

“Se sei venuta per insultarmi sappi che ne ho abbastanza delle tu-”

“Oh per Dio, ma vuoi stare zitta un cazzo di momento?!?!” esclamò l’ispanica tirandole un cuscino.

 Rachel, presa alla sprovvista, perse l’equilibrio e cadde rovinosamente a terra, mentre Santana si piegava in due dalle risate.

Troppo intenta a sbellicarsi per l’espressione indignata che assumeva il volto dell’amica, Santana non riuscì ad impedire che una violenta cuscinata la colpisse in pieno viso, facendola cadere a sua volta.

In breve tempo, quello che era cominciato come un battibecco si trasformò in una divertente lotta con i cuscini tra migliori amiche, e si ritrovarono sedute a terra in un mare di piume.
 
“Non mi hai ancora detto cosa sei venuta a fare, San” disse Rachel asciugandosi con il pollice l’ultima lacrima causata dalle troppe risate.

“Sì, ecco, ehm… Avrei bisogno di un favore” biascicò Santana. “E spero proprio che tu abbia una parrucca, un paio di occhiali da sole molto grandi e dei vestiti coprenti, perché potrebbero servirci…” disse con un sorrisetto complice.

“Oh, no no no! Santana Lopez, non mi tirerai di nuovo in mezzo ai tuoi subdoli giochetti!” replicò Rachel scuotendo il capo decisa mentre si alzava in piedi.

“Ti prego, Rach… Sei l’ultima speranza che ho” sussurrò l’ispanica dilatando gli occhi, mentre stringeva il polso dell’amica.

“Oh… E va bene” cedette, sbuffando sonoramente quando vide il sorrisetto compiaciuto sulle labbra dell’altra. Quella ragazza non cambiava mai. 

 

*
 

“Quinn…” sussurrò Joe guardandola intensamente negli occhi mentre le teneva stretta la mano.

“…Voglio che tu capisca che sei importante per me. Non ti considero un passatempo momentaneo, se solo me ne dessi la possibilità ti amerei e ti renderei la donna più felice del mondo” disse mentre soffiava caldo sul palmo della mano di Quinn.

La bionda sembrava a disagio e non del tutto convinta.

“Non lo so, Joe… Sono stata ferita troppe volte, e noi ci conosciamo da così poco tempo. Come posso credere che tu sia davvero innamorato di me?” disse, ritraendo bruscamente la mano da quella stretta dolce.

“Prima di te credevo che la mia vita fosse destinata a Dio. Ma tu mi hai convinto del contrario. Sono un ragazzo serio, non mi innamoro della prima che passa. Quinn Fabray, mi hai rubato il cuore. E se dovrò lottare per averti, vuol dire che lotterò” disse con un tono profondo e caldo che a Quinn fece venire la pelle d’oca.

Era davvero lui, ciò che voleva?
Ciò che si meritava?

Prima di rendersi conto di cosa stesse accadendo, si ritrovò con le labbra di Joe dolcemente appoggiate alle sue. Provò a divincolarsi, ma l’uomo teneva ben saldo il suo mento tra le dita.

In quell’istante si udì uno scampanellio e la porta del locale si aprì, portando con sé una folata di vento primaverile.

“Santana!” esclamò sorpresa Quinn vedendola davanti alla porta in compagnia di una sconosciuta, con un’espressione che la bionda non riuscì a decifrare né spiegare.

Che sentimenti si stavano facendo largo negli occhi corvini della sua amica?

 

*
 

Sorpresa.
Confusione.
Shock.
Amarezza.
Delusione.
Rabbia.


Ecco di cosa era composto quel turbinio di emozioni che si scatenò nello stomaco della latina offuscandole la vista, nel momento in cui vide Quinn, la sua Quinn e quell’idiota di Joe intenti a scambiarsi un bacio sulle labbra.
La figura accanto a lei dovette trattenerla dalla vita, affinché non cadesse.
Era arrivata al bar dieci minuti prima per fare una sorpresa a Quinn e presentarle Liza.
Beh, Rachel vestita da un’improbabile Liza.
Ma in quel momento Santana non riuscì a spiccicare parola, sentiva solo un gran vuoto interiore, mentre veloci lacrime si affrettavano a fare la loro comparsa su quel viso sconvolto dal dolore.
Prima di crollare inesorabilmente davanti a Quinn, aprì la porta del bar e uscì sbattendola con violenza, seguita da Rachel.
 
Era tutto finito.




Nda





 
Hi guys!
Scusatemi per l’immenso ritardo … Lo so, vi avevo promesso che avrei aggiornato ogni settimana, ma se non mi porto avanti con i capitoli temo proprio di non farcela ç_ç
Maledetto liceo classico!
Anyway, che ne dite di questo capitoletto? Vi confesso che non avevo idea che sarebbe andata a finire così, avevo progettato un’altra cosa ma l’ultima parte ha deciso di scriversi da sola e non ho potuto fare niente per impedirglielo, quindi eccoci qui!


Fatemi sapere :D
Alla proooossima




 

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Si sentiva irreparabilmente spezzata.

Tutto ciò che aveva dovuto sopportare negli ultimi anni, in silenzio, tra le lacrime, ora veniva fuori con un impeto incontrollabile.

Tutto ciò che aveva incanalato dentro di sé perché portarlo all’esterno sarebbe stato troppo doloroso.

Tutto il dolore e la sofferenza che si erano riversati violentemente su di lei, colpendola e tramortendola, e che si era limitata ad incassare.

Questo aveva fatto, per anni.
Incassare.

Quando la maggior parte della sua famiglia non aveva accettato la sua omosessualità, condannandola e lasciandola sola nel momento in cui più aveva bisogno del calore familiare, aveva mandato giù ed era andata avanti.


Quando, dopo aver fatto coming out a scuola, riceveva ripetutamente occhiate disgustate da quelli che credeva fossero i suoi amici, subiva e stringendo i denti continuava a vivere quella che dubitava fosse una vita giusta.

A ogni colpo ricevuto, il suo cuore si induriva e i suoi occhi si facevano più opachi, più imperscrutabili.
Nessuno doveva intuire neanche un minimo del suo dolore.


Non l’avrebbero capita, non avrebbero potuto aiutarla, non sarebbe servito a niente, solo a mostrarsi più debole e indifesa.

E quelle qualità non corrispondevano alla reputazione che tanto aveva fatto per crearsi a scuola.

Lei era Santana Lopez, diamine.
Era spavalda, sicura di sé, indifferente, menefreghista, insensibile, stronza.
Non era un piccolo cagnolino spaventato, era una leonessa, una capobranco.
O meglio, gli altri credevano questo, ma la realtà era un’altra.

La realtà era che Santana Lopez soffriva, Santana Lopez piangeva.
Azioni che nessuno avrebbe creduto fosse in grado di compiere.

Ma poi era arrivata Brittany e con lei l’arcobaleno.
Era arrivata Brittany e aveva portato con sé tutto ciò di cui Santana aveva bisogno per essere felice, spazzando via ogni cosa brutta.

Ma ora lei non c’era più.

Per un breve, fugace istante la latina aveva creduto che sarebbe riuscita a conquistare Quinn, la ragazza per la quale aveva inspiegabilmente perso la testa.
Ma è come se avesse perso le speranze. Come se si fosse arresa al destino che tanto si divertiva a torturarla. Rassegnata. Sconfitta.

O forse no? Forse un barlume di luce c’era, ma troppo immersa nel suo dolore non riusciva a notarlo?

Questo Santana non lo sapeva.
Aveva solo una certezza: era stanca.

Stanca di tutto quello che ingiustamente le capitava, stanca di dover sopportare mille problemi, stanca di ostentare sicurezza quando avrebbe voluto piangere. Stanca di fingersi quella che non era.





“Santana, davvero, se vuoi posso restare a dormire da te stanotte, non c’è nessun problema” disse Rachel accarezzando dolcemente i capelli dell’amica, che da svariate ore era scossa da violenti e incontenibili singhiozzi.

“No, non ce n’è bisogno, torna pure a casa tua…” mormorò con voce rotta Santana soffiandosi per l’ennesima volta il naso nel fazzoletto, per poi gettarlo sbadatamente a terra.

“Okay, mi rendo conto che forse non è il momento giusto per parlarne, ma… Perché?”

“Perché cosa, Berry?” chiese Santana con aria interrogativa, per la vaghezza della domanda dell’amica.

Rachel si grattò la testa e poi disse “Non ci sto capendo niente. Non capisco perché hai lasciato Brittany visto che l’amavi da morire, non capisco perché mi hai fatto fare quest’assurda sceneggiata con Quinn e perché sei scappata in quel modo quando hai visto che si stava baciando con Joe. Tutto ciò non ha senso!”
Si girò verso Santana e la vide mordersi il labbro, per niente intenzionata a darle una risposta.

Rachel le prese entrambe le mani e la costrinse a guardarla negli occhi e si sorprese notando quanto dolore si celasse dentro quei due pozzi neri.
Si sentì in colpa perché credeva di conoscere bene Santana, ma solo in quel momento si rese conto di quanto poco sapesse davvero di lei, della persona che era, di cosa provava.

“Allora, San – disse con un sorriso dolce e rassicurante, stringendole ancora di più le mani – lo sai che io ci tengo davvero a te. Sei la mia migliore amica e vederti in questo stato senza saperne la causa mi fa stare tremendamente male, e devo ammettere che mi confonde anche. Vorrei essere più d’aiuto invece che limitarmi a passarti i fazzoletti e porgerti la mia spalla per piangere. Ma per aiutarti devo sapere che succede”.

Santana trasse un profondo respiro mentre sentimenti contrastanti lottavano dentro di lei.
Rachel era la sua migliore amica, sì. E si volevano molto bene.
Ma lei avrebbe potuto capire? Avrebbe potuto accettarla senza giudicarla? Avrebbe saputo cogliere tutte le tacite parole che Santana non si sentiva ancora pronta a pronunciare?
Ma in fondo, cos’aveva da perdere?
Ormai era già tutto perduto, si ricordò con una smorfia amara.

“Oh, cosa darei per decifrare i pensieri che attraversano quella testolina” disse improvvisamente Rachel, dopo alcuni minuti di silenzio.

Minuti che, Santana constatò con una risata, l’amica aveva passato fissandola con aria concentrata, cercando probabilmente di leggerle nella mente.

“Sei riuscita a carpire qualcosa da questa vivisezione virtuale che mi stai facendo, nana?” rise la latina, strappando un sorriso all’altra.
Bastò questa battuta e il clima si fece improvvisamente più disteso e naturale.

“Vorrei avere il superpotere di leggerti nel pensiero, ma probabilmente anche se lo avessi mi perderei nei meandri del tuo contorto cervellino e finirei per impazzire, quindi va bene così” disse, guadagnandosi una spinta affettuosa dall’amica.

“Allora… - disse Santana scrollando le spalle – ti interessa ancora sapere la causa primitiva che spinge tutte le mie nefaste azioni o hai perso interesse nell’argomento, ora che sei riuscita a risollevarmi relativamente il morale?”

Rachel rise.

“Lo sai che mi interessa. Parlamene, Santana” mormorò accarezzandole il dorso della mano.

“Okay ma… Prometti che non mi giudicherai, d’accordo?” disse l’ispanica mordendosi il labbro.

“Santo cielo, Lopez! – esclamò Rachel alzando gli occhi al cielo – sono anni che ti sopporto e ti sono amica nonostante i disastri che combini e tutto ciò che ne deriva, secondo te mi metto a giudicarti proprio adesso, proprio stasera? Andiamo, ho imparato a non stupirmi più di niente quando si tratta di te”.

“Beh, questa cosa… Questa cosa credo che potrebbe stupirti alquanto, invece” balbettò Santana torturandosi le mani che Rachel si preoccupò di fermare prontamente, guardandola fissa con i suoi occhi da cucciolo ai quali Santana non sapeva decisamente dire di no.

“Oh, accidenti a te e alla tua tenerezza, Berry! D’accordo, dunque, non saprei da dove cominciare ma… ok, d’accordo”. Prese un respiro profondo, notando che cominciava a tremare.
“Ehy, tesoro, calmati. Non c’è niente per cui agitarsi così. Sembra quasi che tu mi debba fare una dichiarazione d’amore – rise Rachel, poi riflettè un secondo – aspetta un attimo, non mi devi fare una dichiarazione d’amore, vero?!?!” chiese sobbalzando sul letto con un’espressione allarmata.

Santana rise di gusto, e l’altra si rilassò.

“Hai… Hai presente quando ti dicevo che Brittany era la mia metà, ma io non ero la sua?” cominciò Santana.

“Oh, sì che me lo ricordo. Continuavi a ripetermelo e io continuavo a non capire. Insomma, come si fa ad essere l’anima gemella di qualcuno, ma allo stesso tempo non esserlo? E’ un controsenso”.
“Si dà il caso che io sia un controsenso vivente” sospirò la latina.

“Quindi… Hai lasciato Brittany per questo motivo? Perché lei era la tua metà ma tu non la sua?” chiese confusa.

“Se fosse stato solo quello il motivo, non l’avrei lasciata. La vera ragione per cui ho agito così è un’altra e… Ok, reggiti forte, perché non vorrei essere responsabile della commozione cerebrale che ti verrà quando cadrai dal mio letto per lo shock” avvisò Santana.

“Credo di essere pronta a ogni cosa uscirà dalla tua bocca, essendomi precedentemente assicurata che non devi farmi nessuna dichiarazione, non dev’essere così terribile quello che stai per dirmi” disse decisa Rachel.

“Mi sono innamorata, Rach. Mi sono innamorata della persona della quale non avrei dovuto mai, neppure in un’altra vita innamorarmi, perché è ingiusto e impossibile e… Così dannatamente sbagliato” disse la latina scuotendo addolorata la testa.

“Quinn” sussurrò improvvisamente Rachel sgranando gli occhi, come in preda a una rivelazione divina.

“Ma certo… Avrei dovuto accorgermene subito, che stupida sono stata. Adesso tutto torna. Ecco perché sei scappata via quando l’hai vista che… Oh” disse rabbuiandosi improvvisamente, capendo finalmente il perché del gesto dell’amica. “Santana, mi dispiace così tanto” mormorò con un filo di voce, cercando lo sguardo dell’ispanica che però sfuggiva al suo, per non mostrare la sua tristezza e quanto si sentisse vulnerabile.

In un certo senso, però, l’alleggeriva pensare che non fosse più l’unica a conoscere quella scomoda verità. Era come se adesso fossero in due a portarla sulle spalle, e il peso fosse diventato meno difficile da sostenere.

Perché, per quanto sapesse quanto Rachel potesse essere pettegola e non vedesse l’ora, appena carpito un nuovo gossip, di andarlo a spiattellare ai quattro venti; si fidava di lei e qualcosa nel suo sguardo le assicurava che avrebbe mantenuto il segreto, perché quello non era un gossip. Era qualcosa di importante, e anche Rachel se ne rendeva conto.

“Quindi adesso… Cos’hai intenzione di fare?” domandò l’amica facendola ridestare dallo stato di trance in cui era caduta. “Lo dirai a Quinn?”

Santana sollevò le sopracciglia per poi rendersi conto con orrore che Rachel era seria, e a quel punto rise amaramente, facendo rattristare l’altra.

“Certo Berry, corro subito a dirglielo, anzi aspetta, le scrivo un sms dichiarandole tutto il mio amore. Ma fammi il piacere” disse schioccando la lingua.

L’amica parve offesa. “Vuoi che glielo dica io?” chiese innocentemente, guadagnandosi un calcio nello stinco e una mano stritolata.

“Non ti deve passare neanche per la mente una cosa simile! Vuoi che ti rispedisca poco gentilmente nel mondo dei Puffi, per caso?!”

“No, certo che no” si arrese Rachel.
“Beh, direi proprio che il peggio è passato” decretò con uno sbadiglio.
“Non sarebbe meglio dormire, adesso? Sono davvero stanca, e scommetto che lo sei anche tu, tutte quelle lacrime sfiancherebbero chiunque; persino te che sei la regina delle ‘toste’ di Lima Heights” disse sorridendo.

“Non sono la persona che voglio far credere, Rachel”

“Oh, no. Tu sei molto meglio” disse, prima di depositarle un bacio affettuoso sulla guancia e mettersi a dormire.

Santana rimase sveglia ancora per qualche minuto; poi, come non succedeva da giorni, si assopì anche lei, dormendo un sonno profondo e senza sogni.




Dall’altra parte della città, la mente di Quinn Fabray era attraversata da mille interrogativi che non trovavano risposta.

Il comportamento di Santana le era parso assai strano e sospetto.

Ok, era rimasta sorpresa anche lei di vederla entrare così improvvisamente in quel bar – dieci minuti prima del previsto, ci teneva a precisare – ma non aveva intenzione di nasconderle la compagnia di Joe.

Perché avrebbe dovuto?
Le aveva già accennato che stavano cominciando a frequentarsi, no?
Perché questo avrebbe dovuto sconvolgerla più di tanto?

Sicuramente non si sarebbe mai aspettata una reazione così drastica, da parte sua.

Rimanere immobile e poi scappare via seguita da quella che Quinn aveva identificato essere Liza, la ragazza di cui Santana era innamorata.

A proposito, strano tipo quella, les sembrò un personaggio dei cartoni animati, per il breve tempo che Quinn ebbe potuto studiarla.

Zeppe passate di moda, jeans consumati, giacca di pelle nera… Ma quello che colpì di più la bionda fu quella massa gigantesca di ricci rossi che Liza si ritrovava in testa e che le andavano in ogni direzione.

Non si era neanche premurata di sistemarsi un po’, prima di uscire?

Bah, magari a Santana piacciono le tipe selvagge.
Ma i capelli non erano nulla confrontati con l’assurdo ed enorme paio di occhiali viola a forma di cuore che la ragazza indossava.
Quinn li aveva trovati un insulto al buongusto e, per quanto Santana non fosse elegante quanto lei, sapeva almeno conciarsi decentemente per uscire, e le sembrò irreale che si fosse innamorata della versione femminile dei cugini di campagna.

Però l’amore è cieco, no?

Anche se, riflettendoci bene, quella ragazza assomigliava stranamente a qualcuno che le pareva di conoscere, ma non sapeva dire con precisione chi le ricordasse… Mah, probabilmente si trattava solo di una coincidenza.

Ma non era stata una coincidenza o una casualità a far reagire Santana in quel modo, ad indurla a scappare via.

Lo spettacolo di lei che baciava Joe era davvero così ributtante da far fuggire a gambe levate le persone? Eppure si reputava una gran baciatrice.
No, non era certo quello il motivo.

Era forse arrabbiata che uscisse con Joe, perché aveva capito che non lo amava e pensava che lo stesse prendendo in giro e ferendo i suoi sentimenti e bla bla bla?

Da una parte non era vero, perché Quinn non gli aveva mai detto di amarlo e non gli aveva mai lasciato intendere che avesse un autentico interesse per lui, ma insomma, non era certo colpa sua se era così adorabile e attraente che i ragazzi non potevano fare a meno di saltarle addosso, giusto?

E comunque, non le sembrava una spiegazione plausibile.

Questo potrebbe giustificare il momentaneo disappunto di Santana, ma non il fatto che non le abbia risposto ai messaggi né alle telefonate per giorni.

Era davvero una reazione esagerata che non poteva essere attribuita neanche ad una persona ‘estrema’ come Santana.

“Ci dev’essere qualcos’altro” pensò. “Ed è frustrante non riuscire a capire cosa”.

Si girò su un fianco, e prima di spegnere la luce controllò il telefono, nella speranza di un messaggio da parte dell’amica.

Ma era solo Joe che le mandava la buonanotte, e non si preoccupò di rispondergli, perché quel messaggio non significava nulla.

Joe, non significava nulla.

Spense la luce e si addormentò, ancora piena di dubbi.

 

ANGOLO DELL’AUTRICE
 

Wohooo, eccomi qua, ce l’ho fatta, sono le tre di notte ma finalmente sono riuscita a scrivere un nuovo capitolo di questa storiella! :3

Alle volte mi viene voglia di mandare tutto all’aria e cancellare tutto, perché mi sembra di non avere più idee e ispirazione, ma poi mi rimbocco le maniche e mi metto all’opera u.u
Non avete idea di quanto siano importanti le vostre recensioni per me, o in generale per uno scrittore, mi infondete davvero tanto coraggio e mi spronate ad andare avanti e continuare a scrivere e dare il meglio, e poi siete davvero troppo dolci, sapere che apprezzate quello che scrivo mi rende enormemente felice, aw <3

Mi scuso ancora una volta (lo so, sono un disastro e.e) per il ritardo col quale ho aggiornato, anche se sono solo tre giorni :)
Per farmi perdonare, questo capitolo è decisamente più lungo degli altri, anche se non ci sono eventi particolarmente rilevanti. Diciamo che è prevalentemente Pezberry (vi piace quest’amicizia? Io le trovo adorabili!) con un po’ di riflessioni di Quinn alla fine.
Sì, lo so, la Fabray è un po’ tonta e non capisce la situazione, che volete farci >.<

Bbbene, mi sembra di avervi detto todo!

Ci vediamo presto guys, se tutto va bene la prossima settimana con un capitoluccio fresco fresco! ^^

XOXO

Harriet_

P.S.: accidenti che Angolo dell’Autrice lungo! Grazie se avrete la pazienza di leggerlo tutto, tanto ammmòre per voi xD

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


A: Puck (13:04): Bel Grissino. Ora. Dobbiamo parlare.

Da: Puck: (13:06): Quinn, che sorpresa! A cosa devo questo piacere?

A: Puck: (13:07): Puckerman, ho detto ora.

Da: Puck: (13:08): Ma! …Okay. Arrivo.





 
“Un giorno o l’altro ti manderò a quel paese, Quinn. Sappilo. Non puoi scomodarmi mentre sto giocando alla play station, è tipo un reato!” sbuffò Puck sedendosi al tavolo dove la ragazza lo aspettava. “Neanche quando stavamo insieme eri così assillante”.

“E’ incredibile quanto potere riesca a esercitare su di te con un semplice innocuo messaggino, Noah” ghignò Quinn.

“Sì, un semplice innocuo messaggino che presto si sarebbe trasformato in telefonate ossessive, minacce di sequestrarmi la console neanche se fossi mia madre e prendermi a mazzate l’auto. Come se non ti conoscessi” brontolò contrariato.

“Oh, ma cosa dici, non sono mica così perfida!” sghignazzò sarcastica la ragazza, mentre addentava una patatina fritta.

“Beh, mi sembra di capire di essere stato convocato per un motivo ben preciso, quindi gradirei sapere qual è, visto che mi hai fatto interrompere il mio videogame preferito per catapultarmi qua”.

“Okay. Ho bisogno di un consiglio. Anzi, in realtà è più una spiegazione. Diciamo… Un consiglio/spiegazione” disse Quinn mordendosi il labbro inferiore e abbassando lo sguardo.

“Fermi tutti! Sbaglio o vedo una Quinn Fabray… Agitata?” chiese stralunato Puck, come se avesse appena detto la cosa più irrazionale del mondo.

“Ehi, non osare prendermi in giro, lo sai che mi vendicherei spietatamente” rispose dura Quinn puntando il dito verso l’amico, che però giudicò il suo atteggiamento più comico che minaccioso; infatti sbottò a ridere, facendola infuriare.

Stava quasi per alzarsi e andarsene, ma Puck la trattenne da un braccio.
Quella ragazza sapeva essere fastidiosamente permalosa, se qualcuno osava, pur scherzosamente, prendersi gioco di lei.

“Forza. Torna a sederti. Eviterò un commento su quanto tu sia insopportabile e scassapalle solo perché ci tengo all’integrità dei miei videogiochi e della mia auto” disse Puck con un sorriso sornione.

“E del tuo culo” sibilò velenosa Quinn, divincolandosi dalla presa.

Puck rise.

“Allora! Di cosa volevi parlarmi, dolcezza?” chiese il ragazzo intrecciando le mani sul tavolo e assumendo un’espressione interessata.

La bionda lo squadrò ostilmente.

“Sul serio, Quinn! Non vorrai passare tutta la giornata a lanciarmi occhiatine intimidatorie! Entrambi abbiamo di meglio da fare, quindi perché non ti sbrighi a parlare?” sbottò scocciato Puck.

“Ok, ok!” esclamò la ragazza alzando le mani. “Ma non è facile”

“Oh, posso immaginarlo. Se fosse stato facile non mi avresti chiamato… Cosa c’è, problemi di cuore?” chiese il ragazzo facendole l’occhiolino.

“Cosa?! No! Secondo te ti chiamerei per dei… Problemi di cuore?!” esclamò Quinn disgustata.

“Uhm, in effetti no” convenne pensieroso Puck. “Allora cosa c’è?”

“Ecco… Si-si tratta di Santana” disse tutto d’un fiato, torturandosi le mani e sfuggendo agli occhi dell’amico che pareva fossero capaci di leggerle dentro.

“Santana? Davvero? Spiegati meglio…” disse incuriosito il ragazzo, avvicinandosi di più a lei.

“E’ un po’ che si comporta in modo strano. Prima lascia Brittany – sappiamo tutti che era la sua vita – poi comincia a chiamarmi sempre più frequentemente, mi racconta di essersi innamorata di una ragazza e io le dico di vederci tutte e tre. A quel punto entra nel locale insieme a quell’incrocio fra un barboncino e Anna dai capelli rossi, mi vede mentre bacio Joe e scappa via metà sconvolta e metà… Qualcos’altro che non sono riuscita a decifrare. Ma sembrava davvero atterrita. Da allora non mi risponde più a chiamate e messaggi. Questa situazione mi tormenta e confonde ogni giorno di più, io voglio bene a Santana e ho paura di averle fatto, inconsapevolmente, qualcosa di male. Secondo te perché si comporta così?” fece triste Quinn, rigirandosi una patatina fra le mani per poi infilarla annoiata in bocca.

A Puck non volle molto per fare due più due, la sua ampia esperienza in fatto di ragazze l’aveva portato a saper analizzare e motivare perfettamente ogni loro singolo gesto e comportamento.

“Dio, Quinn!” esclamò con una risata. “Sinceramente? Ti facevo molto più furba, hai perso un bel po’ di credibilità ai miei occhi. Ora non stupirti se non ti rispetterò più come prima” disse il ragazzo puntandole una patatina contro.

“Ma… Perché?” chiese la bionda spalancando gli occhi, spaventata. Non poteva assolutamente permettersi di perdere la supremazia che aveva su Noah Puckerman.

Puck la fissò per qualche secondo, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro o se fosse diventata davvero così cieca.

“Allora, cercherò di spiegartelo il più chiaramente possibile… Santana Lopez è cotta di te! Yaaay!” fece Puck agitando in modo buffo le mani in aria.

Quinn rise forzatamente, nervosa. “Ti prego, Noah. Non dire cavolate” mormorò la bionda, facendosi sempre più visibilmente agitata.

“Sai benissimo anche tu che ho ragione io. E secondo me l’avevi capito ancora prima che te lo dicessi. Eri solo molto restia ad ammetterlo, e anche adesso non ti sarà facile confessarlo a te stessa. Ma è così, e dovrai accettarlo. Le cose non sono sempre semplici e lisce, Quinn. A volte capitano questi ‘inconvenienti’ – mimò delle virgolette con le dita – e non possiamo farci niente. Quello che non dobbiamo fare però, è ignorarli.”

“Da quando sei diventato così saggio? – chiese Quinn con un sorriso – E comunque, se non vuole rispondermi non è colpa mia, non posso mica costringerla” disse scrollando le spalle.

“Credi debba essere stato facile per lei, vedere la persona che ama baciare qualcun altro? Dopo tutto ciò che le è capitato? Andiamo, capiscila”

“Lei non… Lei non mi ama” sussurrò con una smorfia la bionda.

Puck inarcò le sopracciglia. “Ma davvero? E dimmi un po’… Quella ragazza, come avevi detto che si chiama?”

“Liza…”

“Ecco, Liza… Per caso hai notato in lei qualche somiglianza con qualcuno di tua conoscenza?” fece vago Puck.

“In effetti sì – mormorò Quinn, riflettendoci – mi era sembrata abbastanza simile a… Aveva la struttura e lo stesso viso di…” si sforzò di ricordare la ragazza.

“Rachel NasoInconfondibile Berry, per caso?” insinuò.

“Oddio, sì, proprio lei!” si illuminò Quinn, per poi incupirsi nuovamente. “Ma questo significa che…”

“Proprio così. Liza non esiste, è solo frutto della mente di Santana, e Rachel l’ha aiutata a portare avanti questo teatrino. Ma il progetto è tristemente sfumato quando la tua latina ha avuto un infarto nel vederti baciare il nuovo Messia. Fine della storia” decretò, addentando l’ultima patatina rimasta con fare trionfale.

“Oh Dio. E’ tutto così senza senso… Ma allo stesso tempo dannatamente logico”

“Direi di sì. Beh, il mio lavoro sembra essere terminato. Ti lascio sola con le tue elucubrazioni post-shock. Ah, una cosa, Quinn… Fossi in te approfitterei della situazione” le sussurrò all’orecchio.

“Cosa vuoi dire?” chiese confusa.

“Andiamo! Santana è una gran bella ragazza, ed è anche molto dolce quando vuole. Non faccio nessuna fatica ad immaginare voi due insieme. Vi assomigliate ma siete diverse, vi allontanate ma vi completate a vicenda. Sareste perfette” disse con un sorriso Puck.

Quinn arrossì al solo pensiero di lei e Santana... Una coppia.

“Bene, mi hai già messo troppe pulci nell’orecchio, ora smamma mostriciattolo” esclamò Quinn arruffando la cresta dell’amico.

“Ciao, bellezza! E… Facci un pensierino, mi raccomando” disse ammiccante Puck.

La bionda roteò gli occhi.

Eppure, anche se non l’avrebbe mai ammesso, un minuscolo seme di quel pensiero stava cominciando a germogliare nella sua mente.






“Credi che non ci sia arrivato, eh, Lopez? Credi che non abbia capito che vuoi fottermi la ragazza?” urlò furioso Joe avanzando pericolosamente verso Santana.

“Ehi, ehi! Mantieni la calma, pasticcino!” disse la mora portando una mano davanti a sé per bloccarlo. “Qualcuno si è svegliato col piede sbagliato, stamattina?”

“Oh, Lopez, hai proprio fatto male i conti…”  ringhiò furente vicino al suo orecchio.

“Te lo dirò una sola volta: stai lontana da Quinn. O dovrai vedertela con me, lesbica di merda.”

Joe non riuscì ad arrestare in tempo il pugno poderoso che gli arrivò in pieno ventre, facendolo piegare in due dal dolore.

Quando rialzò lo sguardo, Santana sorrideva trionfante.

“Questa ti costerà carissima, bambina…” disse tra un colpo di tosse e l’altro, ma Santana non diede peso a quelle parole.

Invece avrebbe dovuto.

Improvvisamente, senza rendersene conto, si ritrovò stesa a terra, mentre decine di calci violenti le venivano inflitti su tutto il corpo.

Si dimenò e provò a graffiargli la pelle, ma finì solo per guadagnarsi un’altra dose di botte, che questa volta non seppe contrattaccare.

Quando provava a rialzarsi, Joe si avventava feroce su di lei, facendola cadere nuovamente a terra.
Era sicura che di lì a poco avrebbe perso i sensi, quando una voce la salvò.

“Cosa stai facendo, stronzo! Allontanati subito da lei! Non devi toccarla! Non osare toccarla!”

“Quinn…” tossicchiò Santana con voce roca.

“Tranquilla San, ci sono qui io. Ora ti porto via, tranquilla” mormorò Quinn accovacciandosi accanto a lei per accarezzarle i capelli.

“Non farti vedere mai più, verme” ringhiò rabbiosa Quinn, in direzione di Joe.

“Oh, ma guardate, siete proprio carine! Due teneri cuccioli! Siete fatte l’una per l’altra! Quasi quasi mi commuovo…” fece Joe, sprezzante.

“Ti ho detto di scomparire!” urlò Quinn, avanzando minacciosa verso di lui e riducendo gli occhi a due fessure. “Sei un essere disgustoso” sputò.

“Quinn, ti prego, no…” mormorò Santana.

“Oh no, tranquilla moretta, a lei non faccio niente. Mi sono divertito abbastanza per oggi” ghignò Joe.

“Vediamo come ti divertirai quando finirai in gattabuia…” sussurrò Quinn impercettibile, guardandolo andare via. Poi ritornò da Santana, e tutta la durezza presente sul suo viso fino a qualche momento prima scomparve, lasciando spazio a un tenero sorriso.

“Va tutto bene, Sannie?” mormorò, accarezzandole piano il viso.

“Ora sì” sorrise Santana. “Ma mi fa male tutto”

“Vieni, andiamo all’ospedale. Mi distrugge vederti in queste condizioni” disse Quinn prendendola in braccio, stando attenta a non farle male.

Mentre la trasportava, ogni gemito di dolore che proveniva dalla bocca della latina era anche il suo, ogni livido sul suo corpo faceva male anche a lei.

“Quinn… Grazie” farfugliò Santana con un sorriso luminoso e allo stesso tempo imbarazzato, che la bionda trovò di una dolcezza disarmante.

E improvvisamente, in quel sorriso, le sembrò di trovare tutte le risposte.

 


ANGOLO DELL’AUTRICE

 
Ehilà! Contenti che ho aggiornato con due giorni di anticipo? Ve lo meritavate dai ;)
Beh, capitolo intensuccio no? Abbiamo prima di tutto taaanto Quick (che teneri!), poi Joe che ho deciso di dipingere come cattivo (lo sto particolarmente odiando per quello che gli ho fatto fare xD) e poi del sano Quinntana, aww **

Vabbè, lascio a voi ulteriori commenti, fatemi sapere (:

xoxo Harriet_ <3

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


Tic, tac.
Il leggero e costante ticchettio dell’orologio che scandiva quel tempo che sembrava non passare mai era l’unico rumore percepibile nella stanza d’ospedale dove Santana stava trascorrendo la notte. E dove Quinn con gentilezza e dedizione le stava vicino, anche se l’altra non poteva sentirla perché addormentata; le teneva la mano anche se non c’era alcun bisogno, semplicemente perché lei sentiva il bisogno di farlo.

Non poteva fare a meno di contemplare i suoi lineamenti perfetti messi in evidenza dalle prime fioche luci dell’alba che filtravano dolcemente dalla finestra, quasi a non voler svegliare quella creatura dormiente con i loro raggi.

Per quanto ci provasse e per quanto fosse determinata a farlo, non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo viso, e anche se cercava di concentrarsi su altro, non poté impedire che il tenue profumo dei suoi capelli le si intrufolasse nelle narici annebbiandole la mente e confondendole, se possibile, ancora di più i pensieri.

Provò a controllare il cellulare se per caso ci fosse qualche chiamata o messaggio per lei, ma non trovò nulla, quasi il destino volesse proibirle di distrarsi e piuttosto cogliere l’occasione per ammirare quell’essere meraviglioso che si trovava lì, a pochi centimetri da lei, le dita intrecciate alle sue, le labbra incurvate in un sorriso causato da chissà quali sogni felici che stava facendo.

Quinn non riuscì a frenare la mente dal generare il pensiero che le sarebbe piaciuto essere lei, in quei sogni che attraversavano la testolina della mora facendola sorridere in modo così ingiustamente adorabile.

Intanto, il sole saliva sempre più in alto in cielo, lasciando che i suoi raggi impertinenti si infilassero indisturbatamente nelle fessure della persiana colpendo lievemente le palpebre chiuse dell’ispanica.

Si cominciavano a percepire i primi rumori provenienti dalla strada, i primi passanti che si dirigevano a lavoro tra uno sbadiglio e l’altro, un fruscio di giornali, una macchina solitaria che percorreva la via alzando un po’ di polvere.

Questi fattori fecero capire a Quinn che era arrivata la mattina ed era finita quella notte che aveva trascorso a vegliare su Santana, senza neanche preoccuparsi di controllare quel fastidioso orologio per verificare che ore fossero, troppo occupata a imprimere nella mente ogni tratto, ogni linea, ogni curva del volto della latina.

Si chiese quanto fosse normale quel comportamento, per poi rispondersi frettolosamente che non le interessasse quanto fosse normale, se la faceva stare bene.

Ma doveva considerare normale essere felice dopo aver passato all’incirca dieci ore – non sapeva dirlo con precisione – a stringere la mano della sua amica addormentata senza neanche che il pensiero di dormire a sua volta le sfiorasse la mente?

 Era abituata a porsi innumerevoli domande, ma le risposte le trovava raramente, quindi preferì accantonare quell’interrogativo, promettendosi di riflettervi più tardi, quando sarebbe stata più lucida e magari avrebbe riposato un po’.

Persa in quel turbinio di pensieri che come al solito le occupava la mente, non si accorse che Santana stava dischiudendo lentamente le palpebre, sbattendole un po’ per abituarsi alla luce, e quando si girò verso di lei sobbalzò nel vederla con gli occhi aperti, intenti a fissarla.

“Ehi, ti ho spaventato?” rise Santana per poi fare uno sbadiglio appena accennato, e Quinn si morse il labbro per costringersi a non trovarlo terribilmente tenero.

Con Santana sveglia era tutto più difficile. Le costava un’immensa fatica fingere che un tremito non le attraversasse la schiena quando lei sorrideva, che non le venisse la pelle d’oca quando si perdeva in quei pozzi neri che erano i suoi occhi.

Avrebbe voluto che si addormentasse nuovamente – cinque minuti, non tanto tempo – per prepararsi psicologicamente al suo risveglio e pensare a come simulare totale indifferenza alla vista della sua perfezione che prendeva vita.

Eppure, era sicura che anche così non sarebbe riuscita ad ingannarla.
Santana avrebbe capito, come solo lei sapeva fare, con quel suo modo così incredibile di leggerti dentro, analizzarti ed esaminarti come un libro aperto.
Non esistevano al mondo occhi che avessero una barriera così spessa da non poter essere abbattuta con facilità dallo sguardo della mora.

E, allo stesso tempo, non esistevano occhi così esperti e abili da riuscire a farsi spazio nei suoi. Questo era ciò che frustrava maggiormente Quinn, sapere che era totalmente esposta all’analisi analisi attenta e minuziosa di Santana, ma che lei non fosse in grado di fare lo stesso.

Avrebbe pagato oro per poter conoscere la natura dei pensieri che era certa stavano transitando in quel momento nella testa della latina.

“No, ma non mi aspettavo ti svegliassi così in fretta” rispose sussurrando Quinn, per timore di disturbarla con un tono di voce troppo elevato.

“Beh, scusa se non sono stata tutta la notte a contare i tuoi respiri e a controllare che il tuo pancino si gonfiasse e sgonfiasse regolarmente, scusa davvero” ironizzò, sperando con tutto il cuore che Santana non notasse il lieve rossore di cui si erano tinte involontariamente le sue guance, perché le aveva appena detto esattamente ciò che aveva fatto mentre la mora dormiva.

Santana la fissò un secondo ancora, poi sorrise e girò il viso dall’altra parte, ma Quinn non poté fare a meno di percepire nuovamente quella sgradevole sensazione di essere letta dentro, anche se si era trattato solo di un secondo.

“Comunque, te la sei cavata con un paio di contusioni non troppo gravi, oggi ti dimettono” la informò Quinn ricomponendosi, per cercare di spezzare quell’incomprensibile tensione che aleggiava nella stanza.

Santana annuì senza dire nulla e senza voltarsi a guardarla. Tanto meglio per Quinn, non avrebbe dovuto neanche sforzarsi di distogliere lo sguardo dal suo. Ma l’aria stava diventando decisamente troppo pesante, e la bionda si sentiva sempre più frustrata per l’incapacità di capire a cosa diavolo stesse pensando quella testa calda.

La Santana che conosceva non avrebbe perso occasione per fare battute pungenti e dare libero sfogo alla sua parlantina perennemente dal tono sarcastico, ma quella ragazza dai capelli neri che giaceva su un letto d’ospedale sembrava essere fin troppo agio nel silenzio.

Silenzio che Quinn sempre più difficilmente riusciva a tollerare. Decise che doveva fare qualcosa per smuovere la situazione.

“Hai fame? Vado a prenderti qualcosa” chiese retoricamente, alzandosi e tentando di sciogliere la presa dalla mano di Santana, che per tutto quel tempo era rimasta incollata alla sua. Ma la mora non glielo permise, anzi la strinse ancora di più.

“No… Non andare… Stai qui con me… Resta qui con me…” biascicò la latina, costringendola a tornarsi a sedere.

“Okay, io sto qui – acconsentì Quinn – ma devi pur dirmi qualcosa. Come ti senti?”

Santana fece spallucce e tornò nuovamente a sorridere come una bambina.

“Probabilmente sei ancora sotto l’effetto dei farmaci – disse, più che altro cercando di convincere se stessa - Parleremo quando sarai più lucida. Ora è meglio se torni a dormire.”


L’altra annuì e chiuse dolcemente gli occhi senza allentare la presa sulla mano della bionda, alla quale non dispiacque affatto non dover privarsi del suo calore.
 




“Ma quindi cosa è successo a Santana?” domandò Kurt trangugiando una fetta di pizza seduto a gambe incrociate sul letto di Rachel.

“Joe l’ha picchiata, quel bastardo” rispose la ragazza in un sibilo. Quell’idiota aveva osato mettere le mani sulla sua migliore amica, non l’avrebbe di certo passata liscia. Era ricolma di rabbia e ora che Santana era assente, gli unici due con i quali poteva sfogarsi erano Kurt e Mercedes.

“Sinceramente? Non me lo sarei mai aspettata. Aveva l’aria da ragazzo buono e gentile… E’ proprio vero che l’apparenza inganna” intervenne Mercedes scuotendo la testa, mentre si passava lo smalto sulle unghie dei piedi.

“Mercedes, tesoro, sai quanto ti voglio bene, ma quel colore ti sta di merda. Io opterei per un rosa più soft, guarda questo che carino, ad esemp-” si bloccò Kurt proprio mentre stava allungando alla sua amica un tubetto di smalto, infatti Rachel lo stava fissando con sguardo omicida, sguardo che lo costrinse a posare l’oggetto.

“Scu-scusa… Hai ragione, siamo qui per consolarti… Ma Mercedes mi provoca!” si lamentò il ragazzo, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di entrambe.

“Ti assicuro che ci sarà tempo per i problemi di smalto, ricordati che Santana è stata picchiata ed è in ospedale” lo rimproverò Mercedes, e Kurt annuì dispiaciuto.

“Comunque sia – sospirò Rachel – Quinn dice che possiamo andarla a trovare questo pomeriggio, quando si sarà svegliata del tutto”.

“Quinn? Cosa c’entra lei?” chiese incuriosita Mercedes.

“Non lo sai? – disse scioccato Kurt – la notizia sta facendo il giro della scuola. Pare che ci sia una specie di idillio tra le due” spiegò.

Mercedes spalancò la bocca sorpresa, e Rachel si sentì in dovere di chiarire la faccenda. “Kurt, invece di alimentare questi pettegolezzi, dovresti piuttosto metterli a tacere, accidenti!” sbottò irritata.

“Ma Santana… Stava con Brittany e-e…”

“Mercedes, è una storia lunga” tagliò corto Rachel.

“Beh… Speriamo solo si risolva tutto per il meglio” sospirò Kurt. “Vi posso rivelare un segreto, in tutta sincerità? Ho sempre pensato che Quinn e Santana si appartenessero… Se si dovessero mettere insieme entrerò in modalità fangirl e vi sarà ancora più impossibile sopportarmi, siete avvisate!”

Mercedes e Rachel si scambiarono un’occhiata terrorizzata.

“Oh Dio, cos’abbiamo fatto di male?!” esclamarono all’unisono, facendo ridere l’amico.






“Ehi… E’ permesso? C’è nessuno?” domandò gentile, entrando timidamente nella stanza.

“Brittany!” esclamò Santana illuminandosi in un gran sorriso, felice di rivederla nonostante tutto.

“Ciao Sannie, mi hanno detto che eri qui e volevo venire a farti visita” sussurrò sorridendo a sua volta, perché era sempre stato così. Santana sorrideva, e Brittany faceva lo stesso, di rimando.

“Hai fatto benissimo, davvero” annuì rassicurante la mora.

“Mi dispiace tanto per quello che è successo… Ora stai bene?” chiese alzando i suoi occhioni azzurri verso di lei.

“Ehm, scusatemi ragazze… Io vi lascio sole, così avrete tutto il tempo per parlare” irruppe Quinn, che nel frattempo era rimasta a guardare fuori dalla finestra, fingendo di non sentire la conversazione.

Entrambe annuirono, e uscendo fuori dalla stanza, diede una pacca affettuosa sulla spalla di Brittany strizzandole l’occhio.

“Quinn è davvero una brava ragazza” mormorò Brittany a occhi bassi.

“Ehi, anche tu lo sei. Non sentirti inferiore a Quinn, non è così. Tu sei speciale, Britt” disse Santana, cercando di moderare la voce rotta dall’emozione.

Brittany annuì commuovendosi a sua volta.
“Solo tu sembri capirlo, però. Sai, San… Ci sono giorni che mi manchi così tanto che mi sento quasi morire dalla tristezza” confessò, lottando con se stessa per trattenere le lacrime.

“Oh, Britt…” sussurrò, stringendole le mani “Ma lo sai che io ci sono per te, sempre, per qualsiasi cosa. Ci siamo giurate di restare amiche e non intendo rompere la promessa, ok?”

“Ok…” fece in tempo a dire, dopodiché l’infermeria bussò alla porta annunciando che il tempo delle visite era terminato.

“Ora devi andare, ma sappi che rimarrai qui” disse, portando la mano della bionda sul suo cuore. “Per sempre.”

“Anche tu” le sorrise Brittany, alzandosi ed uscendo dalla porta, non prima di averle sorriso nuovamente.

Solo dopo che se ne fu andata, Santana lasciò che tutte le lacrime che aveva messo da parte le scivolassero imperterrite lungo le guance, cullata dall’abbraccio amorevole di Quinn.


ANGOLO DELL’AUTRICE


Sì, sono io. E sì, ho postato con tre giorni di ritardo, chiedo venia.
Allooour, in questo capitoletto abbiamo fatto un piccolo tour nella testa della nostra Quinn, per capire che pensieri passano in quel cervelletto bacato u.u Pare che sia sempre più attratta da San, no? Yay!
Doooopodiché, mi sembrava carino aggiungere anche altri personaggi alla storia, infatti trovate un bel teatrino composto da Rachel, Kurt e Mercedes u.u magari vi sarà sembrata una cosa inutile, può darsi xD
E infine, tatatataaa (?), abbiamo un breve incontro Brittana :)

Anyway, spero che questo cap sia stato di vostro gradimento almeno un pochino (:
Fatemi sapere ciò che thinkate (?), ciaoo! :D






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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


“Quinn, mi sembra che abbiano suonato il campanello…” disse Santana con voce flebile, cercando di sollevarsi dal divano sul quale era stesa.

“No San, che fai! Vado ad aprire io!” esclamò l’altra, facendola sdraiare nuovamente e rimboccandole le coperte. Poi andò ad aprire, domandandosi chi potesse essere.

“Ciao Quinn” la salutò con un sorrisetto Rachel, chiedendole silenziosamente il permesso per entrare. Quinn le sorrise a sua volta e le diede due veloci baci su entrambe le guance, per poi invitarla con un gesto ad accomodarsi e richiudere la porta dietro di loro.

“San…” mormorò, affrettando il passo per raggiungere l’amica. La trovò raggomitolata tra vari strati di coperte sul divano di Quinn, i capelli corvini scompigliati e crespi, sotto gli occhi due solchi profondi e scuri. Ma ciò che più sconvolse Rachel, e ciò che le fece montare dentro una rabbia incontrollabile, furono gli innumerevoli lividi che disseminavano il volto e il corpo della sua migliore amica.

 Si sedette accanto a lei sul divano e cominciò ad accarezzarle i capelli con fare amorevole. “Come stai?” chiese dolcemente.

“Eh… C’è davvero bisogno che ti risponda?”

Rachel scosse la testa con una smorfia, continuando ad accarezzarla. “Quinn sta facendo la brava?” domandò, alzando la testa per rivolgere un sorriso alla bionda, che le rispose con una linguaccia.

“Anche troppo. E’ diventata un misto tra il mio angelo custode e la mia badante, qualcosa di abbastanza inquietante, comunque.” Replicò Santana ridendo.

Il nodo allo stomaco che Rachel sentiva da quando Santana era finita in ospedale si allentò un po’ sentendo la sua risata cristallina, che nonostante tutto non aveva perso la sua caratteristica allegria.

Si ritrovò a pensare che Quinn doveva essere davvero una ragazza speciale e molto importante per Santana, se aveva tutto questo potere rigenerante su di lei. 

La sua amica si fidava di pochi, quasi di nessuno: lei stessa aveva dovuto pazientare molto tempo, prima che Santana acquisisse fiducia in lei e le aprisse un minuscolo spiraglio nel suo cuore, permettendole lentamente, a passi leggeri e silenziosi, di entrarvi.

Non avrebbe permesso che qualcun altro distruggesse ciò che aveva fatto tanto per costruire e riassemblare, in tutti quegli anni. Aveva conosciuto Santana che era una ragazza sola e vulnerabile, circondata da quattro invisibili – ma non per questo meno massicce – mura, per difendersi da quel mondo che non la capiva, non l’apprezzava, non la voleva.
L’aveva raccolta come un cucciolo infreddolito all’angolo della strada, l’aveva riscaldata e fatta sentire a casa. Le aveva ricostruito quell’autostima che aveva completamente perso, le aveva fatto capire che era bella, coraggiosa, leale; e che valeva, valeva moltissimo.
Rachel non voleva prendersi meriti che non le appartenevano, non voleva dire di aver salvato Santana perché sarebbe stata un’esagerazione, ma sicuramente aveva contribuito in modo determinante a darle una nuova, più dignitosa vita.

Non poteva permettere che Quinn Fabray, per quanto le volesse bene, rovinasse tutto ciò. Doveva assolutamente parlarle, e si ripromise di farlo al più presto, quando sarebbero state loro due da sole.

“Hey nana, che si dice a scuola?” Santana interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportandola bruscamente alla realtà.

“Uhm, cosa?” farfugliò, presa in contropiede.

Santana notò la piccola ruga disegnatasi sulla fronte di Rachel, appena sopra le sopracciglia, e che aveva imparato negli anni a riconoscere come sintomo di agitazione o preoccupazione. Evidentemente qualcosa turbava l’amica, e non faticava neppure granché a capire cosa fosse. La conosceva molto bene, anche troppo: alcune volte si spaventava da sola nel rendersi conto di quanto minuziosamente capisse e riconoscesse ogni suo gesto o minima reazione. Non avrebbe mai avuto la pazienza e la dedizione di imparare a conoscere qualcun altro come aveva fatto con Rachel.
Non lo dava mai a vedere, ma teneva infinitamente alla sua Berry. Le era debitrice a vita per tutto quello che aveva fatto per lei, sebbene l’altra si sminuisse continuamente.

“Come cosa? Hobbit, sveglia! Stai pensando al culo flaccido del tuo fidanzato?” fece Santana disgustata, sebbene sapesse per certo che non era quello a cui Rachel stava pensando.

Quinn soffocò una risata, mentre Rachel roteava esasperata gli occhi e dava uno schiaffetto affettuoso sul braccio della latina.

“Scusa San, oggi sono un po’ sovrappensiero…” fece, giocherellando con il pizzo della coperta.

“Eh, ho notato.” Rispose Santana ridacchiando. “Magari potresti degnarmi di una risposta però, mh?” Prese il volto tra le mani dell’amica per attirare la sua attenzione, e puntò gli occhi nei suoi, spalancandoli. “Com’è andata a scuola?” richiese, preoccupandosi di scandire lentamente le sillabe e sottolineare con eccessiva enfasi la frase.

Quinn rise divertita. “Bene” rispose Rachel con lo stesso tono dell’ispanica, concedendole un piccolo sorriso.

“No, ok, la verità è che ci manchi un sacco. Non è lo stesso senza di te, anche se sono passati solo pochi giorni. E si sente anche tanto la tua mancanza, Quinn.” Ammise, girandosi verso la bionda, che nel frattempo stava preparando un tè caldo per Santana.

“Scommetto che state prendendo un gran respiro, ora che Santana e io non ci siamo. Ma presto torneremo e ristabiliremo l’ordine in quel tugurio di merda, vero San?” fece Quinn.

Santana annuì decisa. “Trema, McKinley!” urlò alzando il braccio sopra la testa, e facendo ridere le altre due.

“Ora sarà meglio che ti riposi, Sannie. – consigliò Rachel – Quinn, mi aiuti a sollevarla? La portiamo a letto.”

“Uhm… Okay…” disse Quinn confusa e sorpresa da quella improvvisa richiesta.

“Pinocchio, ma cosa dici? Ora decidi tu per me quando è ora di andare a nanna?” si lamentò Santana, respingendo quelle braccia che stavano cercando in tutti i modi di afferrarla.

Rachel lanciò delle occhiate disperate a Quinn, implorandole silenziosamente di aiutarla, sebbene la bionda non ne intuisse la ragione.

“S-Santana, forse Rach ha ragione… Dovresti proprio andare a dormire, ne hai bisogno…” provò, cercando nello sguardo di Rachel una conferma per capire se stesse procedendo bene. La mora fece segno di sì con la testa, intimandole di continuare per quella strada.

“Ma vi siete alleate voi due, per caso?!” sbottò la latina. “Oddio nana, non credevo arrivassi a tanto… Stai Berryzzando sempre di più la mia Quinn! Aiut-“ si bloccò, rendendosi improvvisamente conto di ciò che aveva appena detto, ed evidentemente se n’erano accorte anche le altre due, a giudicare dalle loro espressioni sorprese.

Aveva detto La mia Quinn.
L’aveva fatto involontariamente, non se n’era accorta, non ci aveva pensato, non ne aveva l’intenzione, eppure l’aveva detto… La mia Quinn

Passarono interminabili secondi in cui le tre si fissarono semplicemente negli occhi, senza proferire parola.

Anzi, più che altro Rachel e Quinn si fissavano stupite, mentre Santana cercava di fuggire il loro sguardo, soprattutto quello della Fabray. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare dentro quelle iridi verdi, se solo avesse alzato gli occhi.
Fu Rachel a spezzare quell’imbarazzante silenzio. “D’accordo… Uhm… Santana, credo sia ora che tu vada a dormire” disse, stavolta più decisa, con un tono che non ammetteva repliche. Non che Santana se la sentisse più di replicare, anzi, non vedeva l’ora di scappare da quella situazione così strana e scomoda.

Così la sollevarono, trasportandola fino alla camera da letto di Quinn, per poi poggiarla dolcemente su quel materasso morbido. Le rimboccarono le coperte, poi spensero la luce ed uscirono velocemente dalla stanza.


L’ultima cosa che Santana avvertì fu l’intenso profumo che proveniva dal cuscino, quel cuscino che sapeva maledettamente di Quinn.



“L’hai-l’hai sentita anche tu…?” mormorò stralunata Quinn, appena furono tornate in salotto.

“Sì, l’ho sentita, e devo ammettere che mi ha scioccata abbastanza.” Rispose la mora. “Sai, Quinn, non va a dire queste cose a chiunque. Proprio no.”

“Beh, magari è ancora sotto l’effetto dei farmaci… Non si rende conto di quello che dice…” farfugliò, più che altro cercando di convincere se stessa che quella fosse la spiegazione.

“Quinn. Smettila. Sai che non è così, sai che l’ha detto coscientemente e sai che ti sente sua. Non mentire a te stessa.”

“Sì ma… È tutto così strano, non so…” mugolò Quinn, prendendosi la testa fra le mani.

“Ehi. Voglio chiederti una cosa” disse Rachel, stavolta con tono più dolce, notando che Quinn era in difficoltà.

La bionda alzò pigramente lo sguardo e annuì, invitandola a proseguire.

“Tu ci tieni a Santana?” chiese a bruciapelo.

Quinn si morse il labbro inferiore e cominciò a schioccarsi ansiosamente le dita. “Io… Sì, sì, tengo molto a lei.”

“Sei sicura?” insistette Rachel.

Quinn annuì, stavolta con decisione. “Sì, sono sicura. Sono sicura.”

“Allora non farla soffrire, ti prego” disse Rachel con tono di supplica.

“Farla soffrire? Perché mai dovrei? Non ne ho la minima intenzione” si difese Quinn.

“Oh lo so, lo so che non ne hai l’intenzione. Ma se dovesse succedere, se la situazione ti sfuggisse di mano? Potresti stancarti di farle da balia, un giorno. E a quel punto te ne andrai, lasciandola sola e spezzata, e toccherà a me ricucirla, come sempre. Non posso permetterlo, lo capisci? Non posso permettere che qualcuno la ferisca di nuovo, non quando ha ricominciato ad avere un pizzico di fiducia nella vita” spiegò, con le lacrime agli occhi.

“Sai – continuò – da quando ci sei, noto una nuova luce nei suoi occhi. Luce che, che tu ci creda o meno, non vedevo neanche quando stava con Brittany. Tu le fai uno strano effetto, Quinn. E se dovessi ferirla, io non te lo perdonerei mai, mai. Ora, non voglio che tu abbia paura di me, ma devi prenderti le tue responsabilità e capire cosa vuoi davvero da questa situazione. Solo questo.”

Dopo alcuni minuti di silenzio, Quinn rispose “Lo capisco, lo capisco benissimo. Sono davvero felice che Santana abbia te, sei un’amica meravigliosa per lei.” Rachel sorrise.
“Sai, l’ho capito quando stavo in ospedale, cosa voglio. Non esiterò neanche un minuto prima di darti una risposta.”

Rachel si sentì tremare appena. Aveva paura di quale potesse essere la risposta, paura di andare a svegliare Santana e dirle che sarebbe stato meglio finirla con quella situazione. “Dai, non farmi stare sulle spine…” scherzò, per smorzare l’ansia. Stranamente però, Quinn sembrava tranquilla.

“Io voglio lei, Rachel. Voglio lei e le sue fossette ai lati della bocca quando sorride, lei e le sue mani morbide che profumano costantemente di arancio, lei e la sua allegria anche quando è stesa su un letto d’ospedale, lei e il suo coraggio che tanto ammiro. Lei. Santana. La mia Santana.”

Rachel sorrise, lasciando che le lacrime che si stava sforzando di trattenere scorressero indisturbate sulle sue guance.

“Non sai che gioia sentire queste parole…” sussurrò.

“E non m’importa se non sarà facile, non m’importa. Combatterò, combatteremo. Ma non posso più lasciarla andare. Non la lascerò sola, mi prenderò cura di lei. È una promessa” continuò, sforzandosi anche lei di trattenere le lacrime.

“Quinn, sei meravigliosa. Sono così felice, non hai idea…”

“Anche io, fidati Rach.” Rise Quinn, e l’altra fece lo stesso.

“Beh, a questo punto avrei un po’ di sonno anch’io… Rachel, ti dispiace se vado a dormire?” domandò con uno sbadiglio.

“Ci andrai, ma tra due minuti. Devo dirti un’altra cosa, se vogliamo anche più importante.” Disse.

“Oh-oh… Devo preoccuparmi?” chiese Quinn, corrugando le sopracciglia.

Rachel ignorò la domanda. “Non dirmi che hai dimenticato di quello che Joe ha fatto a San.”

“No, non l’ho dimenticato, e infatti appena Santana si sarà rimessa ho intenzione di fargliela pagare cara, in qualche mod-“ si bloccò, notando che Rachel scuoteva la testa. “Che c’è, vorresti lasciarlo libero e impunito, per caso?”

“Cosa? Tutto il contrario!” esclamò la mora. “Solo che trovo sbagliato farci giustizia da sole…”

“Cosa vorresti dire?”

“Mia zia Jane. È un poliziotto. Dobbiamo denunciarlo. Ci ho riflettuto molto su, e credo sia la cosa migliore da fare” spiegò.

Quinn sgranò gli occhi. “Vuoi dire che… Oh Dio, non ci avevo nemmeno pensato…”

“Già, ma io sì. La chiamerò domani, le spiegherò la situazione, e lo denunceremo. Sì certo, non dico che sarà un percorso facile ma… Dobbiamo farlo. E se non vorrai aiutarmi, vuol dire che agirò da sola” fece, risoluta.

“No!” esclamò Quinn. “Certo che voglio aiutarti. Sono d’accordo con te. Dio, se penso che quel verme stava anche iniziando a piacermi…” disse con espressione disgustata.

“Bene, vedo che siamo d’accordo. Domani parlerò con mia zia, vieni anche tu?” chiese, sperando in una risposta affermativa.

“Certo… Credo che dovremmo portare anche Santana, dopotutto la vittima è lei.”

Rachel ci rifletté su poi acconsentì. “Sì, credo tu abbia ragione. Ora se non ti dispiace si è fatto tardi, me ne vado… E’ stato un piacere, Quinn.” Disse, abbracciandola forte.

“Anche per me, Rach. E… Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Io non mi muovo da qui.” Disse con un sorriso, per poi alzarsi e accompagnare alla porta la mora.

Una volta andata via Rachel, si incamminò verso la stanza da letto. Restò alcuni minuti a contemplare la figura di Santana, addormentata profondamente. Poi sorrise, alzò le coperte e ci si infilò sotto, stringendo quel corpo caldo al suo, che rispose con un sussulto.

No, non l’avrebbe lasciata andare neanche se gliel'avesse chiesto.
 

ANGOLO DELL’AUTRICE


Uuuhm, devo ammettere che questo capitolo non mi convince molto, forse perché è parecchio di transizione u.u non preoccupatevi, nel prossimo le cose si smuoveranno un pochino e quell’odioso di Joe tornerà in scena, tirate fuori gli artigli!
Bene, approfitto di quest’angolo per ringraziare la mia dolce Betta (su EFP "PrettyFrigginCool") che mi sta dando un’enorme mano con questa storia, much love <3
Lasciatemi una recensione!
Baciiiiiii

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


Aprì piano gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre. Provò a stiracchiare le gambe, ma si accorse di un braccio che le cingeva la vita, impedendole qualsiasi movimento. Sorpresa, girò lentamente la testa e venne inaspettatamente investita da un intenso profumo di lavanda, che si rese conto proveniva dalla chioma bionda a un centimetro dal suo viso.


Quinn. Quinn la stava abbracciando, avvolgendola completamente.
E questo la fece sentire così protetta e al sicuro, come se finché fosse rimasta in quell’abbraccio non le sarebbe successo niente di male.
Era evidentemente un’illusione, eppure la faceva stare così bene che non poteva e non voleva rinunciarvi.

La bionda mormorò qualcosa nel sonno, e Santana sorrise spontaneamente. Tese le orecchie nel tentativo di capire cosa farfugliasse, e ciò che sentì la fece irrigidire di colpo.


“San…”


No, non poteva essere. Non stava pronunciando il suo nome nel sonno, era una cosa assurda, si stava sicuramente sbagliando. Eppure continuava a ripeterlo, agitandosi sempre di più. Man mano che il mormorio si fece più distinto, Santana non poté più negare l’evidenza. “San, San, San…”


Beh, magari Quinn era devota a qualche santo e stava sussurrando “san Francesco aiutami tu”, ma Santana riusciva a percepire solo la prima parola della frase…  Non che fosse a conoscenza di un’eventuale religiosità della Fabray, ma tutto poteva essere nella vita.


Eppure, ci fu un folle secondo in cui si ritrovò a sperare con tutta stessa che quel San fosse riferito a lei, che fosse l’oggetto dei pensieri di Quinn perfino nel sonno, che finalmente avesse trovato qualcuno da abbracciare al mattino quando sentiva freddo, qualcuno a cui non fosse importato nulla delle sue occhiaie, dei suoi capelli arruffati, dei suoi occhi cisposi.
Qualcuno che l’avrebbe amata così com’era.


Scacciò immediatamente via il pensiero, perché la rendeva talmente euforica e felice che ne aveva terribilmente paura. Non voleva essere nuovamente ferita, quindi era meglio non illudersi ed andarci cauti, per evitare di soffrire per l’ennesima volta.



Anche se quella fastidiosa vocina nella sua testa continuava a ripeterle che ormai, sarebbe stato comunque troppo tardi.
 
 
____________________________________________________________ “Ehi, bella addormentata, sveglia…”


Dischiuse pigramente le palpebre, si stropicciò gli occhi e quando li riaprì uno splendido sorriso le riscaldò il cuore.


“Santana, ti sei svegliata…” mormorò, con un piccolo sbadiglio.


“Sì, e io dico che converrebbe anche a te svegliarti.” Ridacchiò Santana.


“Ma si sta tanto bene in questo lettone caldo…” protestò, tirandosi le coperte fin sopra il naso e scatenando una risata in Santana che la fece rabbrividire.


“Sei proprio una bimba.” Affermò Santana scuotendo la testa. “E cosa piace tanto alle bimbe…?”


“Non lo so, cosa piace alle bimbe?” chiese curiosa Quinn, puntellandosi sui gomiti.


Ci furono alcuni secondi di silenzio nei quali Quinn guardò spaesata l’ispanica, poi all’improvviso… “La nutellaaa!” esclamò esultante Santana, facendo dei piccoli saltelli sul letto e tirando fuori da dietro la schiena dei cornetti caldi e dall’aspetto invitante.


“Oddio non ci posso credere, mi hai portato i cornetti alla nutella!” urlò eccitata Quinn, strappandoglieli di mano e addentandone uno con foga, per poi lasciarsi trasportare dalla meravigliosa sensazione che solo la nutella, esplodendo contro il suo palato, era in grado di darle.


“Ma come facevi a sapere che erano i miei preferiti?” domandò Quinn a bocca piena e con le labbra adorabilmente sporche di cioccolato.


“Eh… Intuito femminile.” Rispose Santana facendola ridacchiare. Scelse di non dirle che in realtà aveva minacciato Puck di rasargli la cresta se non gli avesse rivelato quale fosse la colazione preferita di Quinn. Era un dettaglio da nulla dopotutto, no? Okay, forse no, ma scelse di ometterlo ugualmente.



“Comunque… Grazie per, beh…” biascicò Santana sfregandosi nervosamente le mani. “Grazie per avermi fatto compagnia mentre dormivo.” Disse tutto d’un fiato, imbarazzata.


Quinn smise di mangiare e accennò un piccolo sorriso. “Di nulla.” Rispose, non sapendo cos’altro dire per spezzare quel silenzio pesante che si era appena creato nella stanza.


“Santana, c’è una cosa che devo dirti…” cominciò Quinn.


Oddio. Cosa deve dirmi? Oddio. Non sono psicologicamente pronta. No.
La latina deglutì rumorosamente, sentendo improvvisamente la salivazione azzerarsi e la gola diventare secca.


“Dimmi, dimmi tutto…” disse con un filo di voce, agitandosi sempre di più.


Quinn prese un profondo respiro, cercando le parole giuste. Notando la sua indecisione, Santana entrò totalmente in panico e iniziò a sudare, sperando che dicesse presto quello che aveva da dirle oppure sarebbe esplosa.


“Io e Rachel ne abbiamo discusso molto, e abbiamo preso una decisione. Sua zia è un poliziotto, e denunceremo quel bastardo che ha osato picchiarti. Puoi opporti con tutte le tue forze, non ci farai cambiare idea, ok?”


Santana era spaesata, non sapeva cosa rispondere. Aveva formulato mille ipotesi, ma non si sarebbe mai aspettata di udire quelle parole da Quinn. Non seppe che pensare, da una parte era sollevata perché aveva pensato volesse dirle tutt’altro, dall’altra si sentiva quasi delusa per lo stesso motivo. Poi, si rese conto di ciò che Quinn le aveva detto.


“C-cosa?” fece, sgranando gli occhi.


“Hai sentito bene, Santana.” Rimarcò Quinn.


Oh sì, ma quanto avrei voluto sentire altro… No, Santana, ferma i tuoi pensieri.
“Denunciarlo.” Disse.

“Denunciarlo, sì.” Confermò Quinn un po’ spazientita.

“Ma siete impazzite o cosa?” sbraitò all’improvviso. “Ma come vi salta in mente? Sapete a cosa andate incontro? Sarà sicuramente una cosa lunghissima e controversa, ci porterà infiniti problemi e… Per cosa, poi? Per fare un dispetto a quel decerebrato? È inutile, è assolutamente inutile e controproducente.” Sentenziò, risoluta.


Quinn si massaggiò piano le tempie. Era convinta che non sarebbe stata d’accordo, convinta. All’inizio era titubante anche lei, ma poi Rachel le aveva fatto capire che era la cosa giusta da fare. E doveva assolutamente persuadere anche Santana, era necessario.


“Pensaci bene San, non è inutile per niente.” Cominciò pazientemente. “Quell’idiota avrà finalmente la punizione che si merita, e tu non correrai più alcun rischio. Sinceramente non mi sento sicura a saperti in giro per Lima se c’è anche lui, potrebbe aggredirti in qualsiasi momento, o fare anche peggio dell’altra volta. Non sappiamo fin dove può arrivare. È meglio così, fidati.”


Santana era già sul punto di controbattere, ma sembrò tentennare un attimo. Evidentemente stava valutando e soppesando le parole di Quinn, ma restava comunque scettica e abbastanza ferma sulla sua posizione.


“Figurati, deve starmi lontano quello lì. E se non l’ha capito è davvero un imbecille. Se si avvicina un’altra volta, gli farò conoscere il mio simpatico amichetto.” Disse, sollevando fieramente il pugno destro in aria, con un ghigno sul volto.


Quinn fece una smorfia. Non era sicura che Santana avrebbe saputo difendersi. La prima volta lo aveva morso e graffiato, ma era niente confrontato a quello che Joe aveva fatto a lei. Non si fidava, non doveva lasciarla vincere, era per il suo bene e doveva capirlo. Tuttavia, non le disse quello che pensava – ovvero che credeva sarebbe stata incapace di schivare i colpi di Joe un’eventuale prossima volta – per non ferire i suoi sentimenti e il suo orgoglio. Sapeva che ci sarebbe rimasta certamente male. Santana aveva bisogno di certezze, ed evidentemente le aveva riposte nella sua forza e aggressività. Quinn non si sentiva nessuno per mandargliele in frantumi.


“Non ne dubito… Ma ho paura Santana, e dovresti averne anche tu.” La implorò, ma l’altra non sembrava desistere.


“Di chi? Di lui?” rise amaramente. “Non ho paura di nessuno, figuriamoci di un pappamolla come lui. Fa tanto il forte, l’aggressivo, ma è solo un povero cretino. E ti assicuro che non sarò clemente come la volta scorsa, se sarà necessario gliele darò di santa ragione.”


Quinn capì che doveva cambiare strategia se voleva convincerla, perché quella non sembrava funzionare. Poi le venne un’idea.


“No, Santana…” Tentò. “So che non hai paura di lui. Ma io ho paura più che altro per gli altri, i cittadini di Lima. Ma ci pensi? Quel verme ora potrebbe essere ovunque, a violentare qualche donna o vendere la droga  a qualche ragazzino. Certo, non possiamo esserne sicuri, ma non possiamo neanche essere sicuri del contrario. Per quanto ne sappiamo, ne sarebbe capace. E non possiamo lasciare un potenziale criminale a piede libero, abbiamo il dovere di fermarlo, noi che sappiamo.” Affermò decisa. Solo quando ebbe pronunciato quelle parole, inizialmente al solo scopo di persuadere la latina, si rese conto di quanto fossero vere e di quanto quella situazione fosse pericolosa. Doveva finire, e se Santana non avesse accettato, ci avrebbero pensato lei e Rachel.


Santana esitò, mordendosi il labbro inferiore in un modo che Quinn si costrinse a non definire adorabile, data l’importanza e la profondità della conversazione.


“Mh… Questo cambia le carte in tavola.” Mormorò, più a se stessa che alla bionda davanti a sé. “Non ci avevo pensato. È ovvio che a me non farà più niente, ma agli altri? E se attaccasse qualcuno di debole, incapace di proteggersi? Rabbrividisco al solo pensiero.” Disse, con un moto di disgusto. Ora stava seriamente considerando la proposta di Quinn, che a primo impatto aveva cestinato senza neanche soffermarsi a pensare.


“Quindi… Ti sei convinta?” chiese speranzosa Quinn.


Santana annuì. “Non per me, Quinn. Per loro.”


“Certo. Ovvio.” Disse, cercando di nascondere la gioia e la soddisfazione di aver finalmente persuaso Santana Lopez. Trionfo di cui pochissimi potevano vantarsi.


“Quindi… Andiamo da Rachel?” domandò Quinn, alzandosi dal letto e avvicinandosi all’ispanica, che nel frattempo si era appoggiata al davanzale della finestra e guardava fuori.


“Prima pulisciti la nutella dalla bocca, golosona!” esclamò Santana sorridendo e dandole un buffetto sulla guancia.

 
 
Quinn rise e si leccò i contorni delle labbra, assaporando la nutella ormai tiepida.




Camminarono fino a casa di Rachel scambiandosi qualche battuta e sorriso ogni tanto, ma più che altro furono ognuna immersa nei propri differenti pensieri. Quinn pensava alla denuncia, e a Santana. Santana pensava alla denuncia, e a Quinn.
Okay, forse non erano poi così differenti.


Giunte dinnanzi alla porta d’ingresso, bussarono entrambe in sincronia.


“Chi è?” strillò una voce familiare dall’altro lato, e le due riuscirono a intravedere il suo occhio che le scrutava dallo spioncino.


“Rach, siamo noi. Apri?” chiese dolcemente Quinn.
“Frodo, apri ‘sta cazzo di porta!” sbottò Santana dando un calcio alla povera porta.


“Santana, che modi! Un giorno di questi ti lascerò fuori e morirai al freddo e al gelo, implorandomi perdono e clemenza, ma io no, non ti lancerò neanche un boccone di pane raffermo e decederai tra mille atroci sofferenze.” Sentenziò teatralmente Rachel, aprendo finalmente la porta.


Santana la fissò a lungo. “Sai che sei inquietante, Berry?”


Rachel sospirò, spostandosi indietro una ciocca di capelli. “Non capisci l’arte.”


“L’arte delle pippe mentali, sì.” Fece Santana, facendo ridere Quinn.


“Ad ogni modo, accomodatevi.” Le invitò Rachel. “Volete un bicchiere di thè, latte, succo di frutta, latte e menta, Coca-Cola, RedBull, Pepsi, caffè, chinotto…?” Partì in quarta, aprendo la dispensa e mostrando le varie bevande alle due ragazze sempre più divertite (Quinn) e terrorizzate (Santana).


“Nana, la droga fa male, te lo dico sempre. Non hai bisogno di doparti, sei già stressantemente iperattiva di tuo!”


Rachel le fece una linguaccia, scegliendo per Quinn e Santana due lattine di coca e porgendogliele, poi si sedette a sua volta sul divanetto del soggiorno, accanto a loro.


“Allora… Perché siete qui?” domandò Rachel, sorseggiando la sua coca.


Quinn si schiarì la voce. “Io e Santana abbiamo discusso su… Lo sai… E sì, vorremmo conoscere tua zia.” Spiegò.


Rachel sgranò gli occhi. “ Vuoi dire che… Hai convinto anche Santana?” chiese stralunata.


“Perché? Che problema hai?” abbaiò l’ispanica guardandola torva.


“No niente, niente… Mi sembrava solo strano…” Si difese, mentre si scambiava un’occhiata complice e divertita con Quinn e Santana ruotava gli occhi.


“Beh, che dire, siete state fortunate.” Affermò Rachel alzandosi ed aggiustandosi la gonna.


Quinn e Santana si guardarono confuse, senza capire le parole dell’amica.


“Zia Jane, vieni qui! Ho delle amiche da presentarti!” urlò in direzione del piano superiore.


“Ma dovevi avvisarmi prima, Puffo Canterino! Mi sarei vestita meglio!” rispose una voce dalla cima delle scale.


“Puffo Canterino eh..?” sghignazzò Santana. “Mi piace tua zia.” Disse, mentre Rachel sbuffava.


La zia di Rachel scese dalle scale reggendosi dal corrimano, era una donna sulla trentina, alta e abbastanza bella; aveva gli stessi capelli lunghi e castani della nipote, gli stessi occhi espressivi e furbi. Era molto elegante e aggraziata, completamente diversa dal donnone burbero che Santana e Quinn si erano divertite a immaginare.


“Ragazze!” le salutò amichevole, stringendo la mano prima a una poi all’altra.


“Piacere di fare la sua conoscenza, signora Jane.” Disse con un sorriso Quinn.


“Oh no cara, chiamami Jane, mi fai sentire vecchia!” rise, e le ragazze con lei.
“Allora… Rach mi ha detto che dovevate parlarmi di qualcosa, giusto?” fece, diventando improvvisamente seria.


“Ehm, sì…” cominciò Santana, prendendo la parola. “Sono stata picchiata.”


Jane annuì pensierosa. “Devi dirmi di più, però. Cosa è successo di preciso?” chiese gentilmente.


Santana prese un profondo respiro. “Joe e Quinn – disse, indicando la ragazza vicino a lei – si stavano frequentando. Questo carissimo ragazzo, convinto che io volessi soffiargli Quinn, si è sentito in diritto di riempirmi di botte. Questo è quanto.” Disse semplicemente, con tono amaro.


“San, forse Jane vuole più dettagli…” bisbigliò Quinn.


“No no, tranquilla cara. Credo di aver già inquadrato la situazione.” Rivelò. “Per ora i dettagli non servono. Sei andata all’ospedale, tesoro?” chiese a Santana.


“Sì, mi ha lasciato parecchi lividi e contusioni.” Spiegò, mostrandole il braccio disseminato di lividi e graffi profondi.


“Più che altro, il nostro timore…” intervenne Quinn “è che questo ragazzo possa far del male anche ad altre persone se lasciato impunito. Non potevamo permetterlo.”


Jane annuì. “Avete ragione. Avete fatto benissimo a rivolgervi a me. Ci penso io, questo Joe non la passerà liscia, di questo potete starne certe.” Disse, facendo sorridere tutte e tre le ragazze.


Dopo alcuni secondi di silenzio, Rachel propose: “Ehi, volete sentire il mio arrangiamento di Don’t Rain On My Parade?” Non aspettò risposta, fiondandosi su per le scale alla ricerca degli spartiti.


“Oh nooo, Frodo!” si lamentarono all’unisono Jane e Santana.
Si guardarono stupite, sbarrando gli occhi mentre un sorriso sempre più arcuato si disegnava sui loro volti.


“Confermo, tua zia mi piace da morire.”


ANGOLO DELL’AUTRICE

 
Capitolo un po’ di transizione anche questo, spero non mi uccidiate u_u però dai, abbiamo conosciuto la zia Jane, che a quanto pare va molto d’accordo con la nostra San ahaha <3
Meno male che Quinn l’ha convinta a fare la denuncia, ma tanto non avevamo dubbi, quella donna convincerebbe chiunque con il suo fascino ammaliatore xD
Alla prossima, fatemi sapere se il cap vi è piaciuto :3 ah e scusate il ritardo, spero di riuscire ad aggiornare in tempo la prossima settimana! Ciao ciao!

Xoxo Harriet_

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


Capitolo nono


Prese il telecomando e cambiò pigramente canale, senza prestare affatto attenzione alla televisione.
Si distese meglio sul divano rimboccandosi la copertina di pile e sbadigliando annoiata: una mattina davvero poco entusiasmante.
 
Quinn era uscita da un'ora o poco più, diretta verso il centro commerciale, dato che il frigorifero non vedeva qualcosa di decente dalla notte dei tempi. 
 
Santana non se l'era sentita di seguirla, era particolarmente stanca e il medico le aveva consigliato di riposarsi quanto più potesse, almeno nei primi giorni.
 
Non le era dispiaciuto affatto seguire il suo consiglio, considerando che la giornata dei suoi sogni consisteva in un divano soffice, dei popcorn caldi e un film romantico. Eppure, si stava quasi pentendo di quella scelta.
 
Se avesse accettato avrebbe trascorso più tempo con Quinn, avrebbe avuto la possibilità di vederla nella sua quotidianità, condividere piccoli momenti con lei, osservarla mentre si aggirava tra gli scaffali del supermercato, concentrata per trovare esattamente il prodotto che cercava, oppure intenta a leggere minuziosamente i cartellini per scoprire l'offerta più conveniente.
Quasi riusciva a vederla, e il pensiero le fece istintivamente spuntare un sorriso sulle labbra.
 
Era troppo orgogliosa persino per ammetterlo a se stessa, ma la biondina le mancava. Sperava sarebbe tornata presto per rallegrare la sua tremendamente noiosa giornata, magari con qualcosa di buono da mangiare, che non guasta mai.
 
Improvvisamente, subito dopo l'ennesimo sbadiglio, il suo cellulare vibrò illuminandosi, avvertendola di un nuovo messaggio ricevuto. Il mittente le provocò il secondo sorriso della giornata: Quinn.
 
“Vestiti, esci e raggiungimi al Lima Bean. Ci prendiamo un cappuccino, così almeno alzi le chiappe da quel divano. E no, non è una proposta Lopez, è un ordine. Categorico e senza possibilità di repliche. Fai presto.”
 
Mano a mano che leggeva il messaggio, il sorriso sul volto di Santana si andava estendendo sempre di più, fino a sfociare in una risata cristallina. E continuò a sorridere anche mentre si infilava i jeans, anche mentre quasi inciampò nelle sue stesse pantofole, anche quando si ritrovò a vagare per un buon quarto d'ora alla ricerca delle chiavi di casa. 
 
Così uscì a passo svelto, stringendosi un po' nel cappotto per il freddo che cominciava a farsi sentire. Non si ricordava di aver mai avuto tanta voglia di vedere qualcuno.
 

 
“Sei arrivata! Con notevole ritardo, ma sei arrivata.” Constatò Quinn piacevolmente sorpresa, nel vedere la latina fare la sua entrata nella caffetteria.
 
“Dal messaggio che mi hai mandato non sembrava che avessi altre opzioni.” Le fece notare Santana, sedendosi sullo sgabello di fronte al bancone.
 
“Beh, avresti potuto rifiutare comunque, non avrei insistito. So quanto può essere comodo il mio divano, e se poi ci abbini un bel film strappalacrime e una vasca di gelato al triplo cioccolato è la fine.” 
 
“Il tuo divano ha preso la forma del mio culo quindi non è più così tanto comodo, di film strappalacrime non c'erano e poi ...” 
Avevo una voglia matta di vederti.
Era tutto così noioso senza di te.
Avevo bisogno di abbracciarti e sorridere.
“... Si dà il caso che qualcuno qui sia particolarmente goloso di dolci e non mi lasci nemmeno una cucchiaiata di gelato, quindi ho preferito andarmene.” Sorrise nervosa e chiamò il cameriere con un gesto della mano, mentre Quinn ridacchiava.
 
“Santana Lopez, mi stai forse balordamente accusando?” fece, fingendosi indignata.
 
“Sto semplicemente dando voce all'evidente verità che non sai stare dieci minuti lontana da un dolce, qualsiasi esso sia.” Ribatté con un'alzata di spalle, mentre il cameriere si avvicinava svelto per prendere le ordinazioni.
 
“Per me un caffè macchiato, per lei un cappuccino e … Un cornetto alla nutella.” Parlò Santana per entrambe, lasciando Quinn un po' sbigottita. Il cameriere annuì e andò via.
 
“San, cosa fai?” chiese, sollevando un sopracciglio.
 
“Ordino la nostra colazione, perché?” Rispose Santana con ovvietà.
 
“... Perché avevo in mente di cominciare a mangiare sano, ma se insisti con i cornetti alla nutella non ci riuscirò mai.” Spiegò con uno sbuffo, per poi sorridere.
 
“Uhm, ok … Vuoi che ritiro l'ordinazione, allora?” la provocò.
 
“No, no!” Starnazzò Quinn, sgranando gli occhi. “Voglio dire … - fece, ricomponendosi – un po' di nutella in più non ha mai fatto male a nessuno.”
 
“Chissà come mai lo sospettavo.” Rise Santana e Quinn le rispose con una linguaccia, mentre il cameriere si avvicinava nuovamente per porgere alle ragazze ciò che avevano chiesto.
 
“Grazie mille.” Fece Quinn, intingendo il suo cornetto nel cappuccino.
 
Santana bevve qualche piccolo sorso dal suo caffè, per poi riposarlo sul piattino con un tintinnio. “Si sente l'aria natalizia, eh?”
 
“Già. Adoro il Natale, l'ho sempre adorato, fin da bambina. Trovavo semplicemente meraviglioso il modo in cui le strade si illuminavano, piene di decorazioni e vita, come gli alberi nei parchi fossero addobbati con luci e colori, come si sentisse l'odore di castagne e legna già settimane prima del giorno di Natale. Semplicemente stupendo.” Disse con un piccolo sorriso Quinn, mentre il caldo crescente le disegnava due adorabili melette rosse sulle gote.
 
Santana pensò che fosse lei ad essere semplicemente stupenda.
 
“Wow. Ho scoperto l'amore di Quinn Fabray per il Natale. Non me lo sarei mai aspettato.” Mormorò compiaciuta, mentre prendeva la tazzina di caffè di nuovo tra le mani e vi soffiava piano dentro.
 
“Sei piacevolmente stupita?” La punzecchiò dolcemente la bionda.
 
“Molto. La trovo davvero una cosa … Tenera.” Mormorò leggermente imbarazzata, abbassando lo sguardo con un lieve sorriso sulle labbra.
 
“Tenera?” Domandò Quinn ridacchiando e alzando un sopracciglio.
 
“Sì beh … Guardati. Adori i cornetti alla nutella e ti sporchi tutta quando li mangi, inoltre ho appena scoperto che hai un debole per il Natale, proprio come una bambina dolce e … Tenera.” Disse, mentre si sentiva arrossire un po'. Sperava che Quinn pensasse che fosse colpa del caldo, e non della sua timidezza nel dirle certe cose. (Timidezza? Da quando in qua esisteva questa parola nel vocabolario di Santana Lopez?)
 
“Mi dicono tutti che è una cosa infantile ...” Mormorò. “Sono contenta che tu non la pensi così.”
 
“Infantile? No, è bellissima.” La rassicurò con un sorriso caldo e intenso. “E dimmi, cosa fai in genere per Natale?”
 
“Mah, niente di speciale purtroppo. Sono sempre rimasta a Lima o al massimo nel Nord Carolina dalla famiglia di mia madre. Ma il mio sogno è un altro.” Rivelò, mentre Santana poté notare gli occhi della bionda prendere vita e brillare, verdi e sfolgoranti.
 
“Davvero? E qual è il tuo sogno?” Chiese guardandola ammaliata, lasciandosi trasportare dal suo entusiasmo e dolcezza.
 
“New York.” Sussurrò Quinn estasiata, pizzicandosi il labbro inferiore mentre sentiva il suo cuore gonfiarsi a poco a poco. “Dev'essere pazzesco essere lì, camminare lungo quelle strade meravigliose e illuminate, andare a Central Park e ammirare quell'imponente e luminoso albero di Natale che ogni anno allestiscono, prendersi una cioccolata calda mentre si guarda le stelle e una leggera musica risuona nell'aria. Mi vengono i brividi al solo pensiero.”
 
Santana era sempre più meravigliata e pendeva dalle labbra di Quinn ad ogni parola che ne fuoriusciva, con tutta la grazia di cui solo lei era capace. 
 
“E … Con chi ti piacerebbe andare?” Le domandò piano, guardandola intensamente, così intensamente che Quinn rabbrividì. Non si sarebbe mai abituata allo sguardo profondo e penetrante di Santana, che sembrava leggerle direttamente nel cuore.
 
“Beh, con una persona speciale ad esempio.” Rispose Quinn, arricciando le labbra. 
Con te, magari, si ritrovò a pensare.
 
Santana annuì con un sorriso, mentre un'idea si fece improvvisamente largo nella sua mente, e man mano che ci rifletteva, le sembrava sempre più convincente. Avrebbe dato a Quinn il suo desiderio, e anche molto presto.
 
Nel frattempo la bionda affondò i denti nel suo cornetto, che esplose inaspettatamente in una colata di nutella, sporcandole inevitabilmente il contorno della bocca e facendola scoppiare in una risata limpida e cristallina, mentre si ripuliva lentamente con un tovagliolo.
 
La verità era che Santana la trovava semplicemente irresistibile. Le era impossibile fare il contrario. Quinn ora le si presentava completamente sotto un'altra luce. A scuola non l'aveva mai conosciuta davvero, credeva che fosse una stronza menefreghista come lei, ma in quel momento le appariva evidente che in tutti quegli anni si fosse sempre sbagliata di grosso.
 
Quinn era una specie di angelo sceso sul cammino per renderlo un po' più felice e colorato, con qualche fiore e ghirlanda qua e là, scintillanti luci natalizie e cornetti fragranti.
 
Era assolutamente bellissima, in ogni cosa che faceva, in ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo, ogni sorriso. E mentre si perdeva a contemplare amorevole ogni più piccola sfumatura di lei, il cuore di Santana prese a battere forte, sempre più forte, e non poté fare nulla per impedirlo. 
 
Ma si rese conto che non voleva, non voleva in nessun modo ostacolare quei sentimenti che si facevano sempre più presenti dentro di lei espandendosi lungo ogni fibra del suo essere. Perché, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentiva felice. E reprimere quella felicità che le correva sempre più veloce nelle vene le sarebbe costato troppo dolore. E Santana non voleva più soffrire.
 
Voleva essere felice. Voleva amare. Voleva amare Quinn.
 
“San … A che pensi?” La bionda interruppe il flusso dei suoi pensieri che l'avevano inevitabilmente portata a sorridere come un'ebete, facendola bruscamente ricomporre.
 
“Io? Ehm-ehm … N-niente.” Balbettò torturandosi mani e labbro inferiore, maledicendosi mentalmente.
 
“Davvero? A me non sembrava niente, stavi sorridendo ed eri totalmente persa fra le nuvol-”
 
“Ragazze!” Strillò una voce femminile che in un primo momento non riconobbero, facendole sobbalzare sui loro sgabelli.
 
No, non era Rachel, ma assomigliava in qualche strano modo a lei. In ogni caso, Santana la ringraziò tacitamente per averla salvata da un'eventuale situazione imbarazzante. Anche se ciò avrebbe significato passare meno tempo da sola con Quinn.
 
“Jane!” La salutò Quinn, alzandosi e andandola ad abbracciare. 
 
“Hey! Che ci fai qui?” Le chiese Santana, abbracciandola a sua volta e dandole una leggera pacca sulla spalla.
 
“Sono venuta a cercarvi.” Disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo, scrollando le spalle.
 
“Cercarci? Perché? E … Come facevi a sapere che eravamo qui?” Chiese confusa Quinn, aggrottando le sopracciglia e intrecciando le braccia sotto il seno.
 
Il suo atteggiamento ricordò a Santana proprio quello di una bimba che chiedeva spaesata al papà perché Babbo Natale quell'anno non le avesse portato i regali che con tanto desiderio aveva chiesto. E sorrise.
 
“Dove potranno mai andare due adolescenti a fare colazione a Lima?” Rise. “In quanto al perché … La cosa non è così semplice.”
 
“Spiegati meglio.” La invitò Santana un po' impaziente, non potendo evitare di essere leggermente preoccupata.
 
“Ho parlato del tuo caso – disse, rivolgendosi a Santana – ai miei colleghi, e abbiamo deciso di mandare a prendere il tuo amichetto sotto casa. Ci dovrà delle spiegazioni.” 
 
Santana e Quinn si guardarono ad occhi spalancati, per poi tornare a rivolgere l'attenzione a Jane.
 
“S-siete andati a prendere Joe? E ora dov'è?” Chiese Quinn agitandosi.
 
“Non preoccuparti cara, ora è in caserma. Ma necessitiamo anche della tua presenza, Santana. Dovete dare entrambi la vostra versione dei fatti ai carabinieri, e per questo devi venire subito in caserma con me.” Spiegò, invitandola a seguirla.
 
Santana annuì stordita ed avanzò di qualche passo.
 
“Un attimo! Vengo anch'io. Non posso lasciare San da sola con quell'essere schifoso.” Fece Quinn, fermando protettiva la latina, prendendole la mano. Entrambe avvertirono una scossa a quel contatto, seppure accennato.
 
“Quinn, davvero, non ce n'è bisogno ...” Mormorò Santana, tentando di rassicurarla che non sarebbe successo niente.
 
“No. Voglio venire con te.” Ribadì Quinn decisa, serrando le labbra e stringendo la presa sulla mano di Santana.
 
“Okay, uhm, puoi venire Quinn. A patto che non entri nella sala dove interrogheremo la tua amica e Joe. Ma puoi comunque accompagnare Santana, non c'è problema.” Disse Jane annuendo.
 
Quinn si rilassò un po' e lasciò la mano della latina. Entrambe soffrirono per il senso di vuoto che sentirono dopo che le loro mani si furono separate.
 
“Bene. Andiamo.” Decretò Jane, dopo che le ragazze ebbero pagato la colazione. 
 
Si incamminarono tutte e tre fuori dalla caffetteria, rabbrividendo per il notevole sbalzo di temperatura dall'interno all'esterno. Santana e Quinn si strinsero camminando abbracciate, alla ricerca di un po' di calore umano. E forse non solo per quello.
 
“Ah, ragazze … Mi dispiace avervi interrotto, probabilmente rovinandovi la colazione. Ma è stato necessario, mi capite no?” Fece Jane, sinceramente dispiaciuta.
 
“Jay, non c'è problema, davvero. Non hai interrotto nulla di importante.” La rassicurò Santana mordendosi il labbro, per niente convinta di ciò che aveva detto. Niente di importante? Ogni momento passato con Quinn era importante.
 
“No, infatti.” Confermò Quinn. “Stavamo solo … Che stavamo dicendo? Ah sì, mi ricordo! Santana si era persa nei suoi intricati pensieri ed era rimasta imbambolata cinque minuti buoni, SORRIDENDO, oltretutto! Pretendo di sapere cosa passava in quella tua testolina mora, San.” Disse Quinn risoluta.
 
Oh-oh.
 

 
“Siamo arrivate.” Annunciò Jane, indicando una porta a vetri poco distante da loro. “In quella stanza si trova Joe, che aspetta di essere interrogato. Santana, dimmi quando te la senti, ed entriamo.”
 
Le due ragazze cominciarono ad agitarsi. “Ci interrogherai tu, Jane?”
 
“Sì, anche se questo naturalmente non cambia niente.”
 
“Lo so lo so, ma mi fa stare un po' più tranquilla.” Mormorò Santana.
 
Quinn l'abbracciò stretta, più stretta che poté, fino a che a entrambe non mancò il respiro e dovettero necessariamente staccarsi, a malincuore.
 
“Andrà tutto bene. Stai serena.” Le sussurrò la bionda, guardandola intensamente negli occhi, al punto che Santana cominciò a fremere di fronte a quelle iridi verdi puntate nelle sue.
 
L'ispanica annuì impercettibilmente e seguì Jane all'interno della stanza.
 
Il suo cuore fece un salto non appena vide la figura accovacciata su una delle due sedie. Joe.
 
Jane si sistemò oltre la scrivania, lanciandole uno sguardo rasserenante. Santana si sedette piano, cercando di guardare il meno possibile l'uomo alla sua destra, altrimenti le sarebbe risultato molto difficile non rompergli l'osso del collo lì, seduta stante. 
 
“Entrambi conoscete la ragione per cui siete stati convocati qui. Ora, voglio che diciate esattamente come sono andate le cose, senza tralasciare il minimo dettaglio né omettere informazioni. Chiaro?”

Santana annuì prendendo un profondo respiro, e cominciò a parlare.
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
 
Ok, sono una cacchetta bella e buona perché ho aggiornato dopo tre settimane! Ma davvero non è colpa mia, è la scuola T_T perdonatemi T_T durante le festività di Natale mi darò da fare portandomi avanti coi capitoli in modo da poter aggiornare più velocemente, I promise :3
Allors, questo capitolo? Che ne dite? Un commentino mi farebbe molto piacere <3 
Tanto love per voi che leggete le mie schifezzuole, ciau! 

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***


Capitolo decimo
 
 
 
Jane continuava ad annuire, prendendo nota di ciò che Santana narrava a proposito di quella giornata, la giornata che la vide vittima di violenza da parte di Joe l'amico-di-Cristo Hart.
 
Certo, proprio un uomo che perseguiva la fede e la religione amando il prossimo senza riserve e dispensando benevolenza anche a chi non se la meritava, porgendo sempre l'altra guancia e prodigandosi per rendere il mondo un posto migliore.
 
Come no.
 
E' per questa sua attitudine all'altruismo e alla misericordia che aveva procurato ad una ragazza lesioni, lividi ed escoriazioni in tutto il corpo, no? 
 
Una ragazza che dopotutto non gli aveva fatto nessun torto degno di un trattamento del genere, benché nessuno lo meritasse comunque.
 
Jane seguitava ad annuire e scuotere la testa, mentre Santana parlava e parlava, annoiata, senza neanche troppo riflettere su quello che diceva, sperando che quella situazione finisse al più presto per poter tornare a casa vedendo quello stronzo sbattuto in prigione, per poi farsi un bel bicchiere di grappa in suo onore. 
 
Era profondamente stanca, desiderava solo che tutte quelle ansie sparissero, non dover più preoccuparsi di una spiacevole sorpresa da parte di Joe quando Quinn usciva di casa da sola, che non fosse necessario tempestarla di messaggi e telefonate per sapere se andasse tutto bene.
 
Voleva solo un po' di serenità, stare in pace con la ragazza che... Amava. 
Sì, ormai si era resa conto di amare Quinn. E forse, una volta conclusa tutta quella sgradevole vicenda, avrebbero potuto fare chiarezza sulla natura un po' confusa del loro rapporto.
 
Non riusciva ancora a intuire cosa ne pensasse la ragazza di quello che stava accadendo tra loro, di quello che stavano inevitabilmente diventando.
Santana sentiva di star cambiando, che Quinn la stesse cambiando, rendendola una persona migliore. 
E doveva assolutamente sapere se stesse facendo lo stesso effetto alla bionda, se anche lei provasse ciò che Santana provava, se anche il suo cuore battesse quando...
 
I suoi vorticosi pensieri vennero bruscamente troncati dal ragazzo accanto a lei.
 
«Ehi!» Sbottò improvvisamente Joe aggrottando le sopracciglia e sbattendo furiosamente un pugno sulla scrivania di Jane, facendo sobbalzare i fogli disposti sopra di essa. «Lei è di parte! Si vede lontano un miglio che desidera solo vedermi morto! Lei ha già deciso chi vincerà! Non mi prenda per il culo!» Sbraitò sempre più infuriato, alzandosi e avvicinando vertiginosamente il suo viso a quello della poliziotta.
 
«Signore, si calmi, per favore...» Gli intimò Jane, alzandosi a sua volta e posando una mano sulla sua spalla, invitandolo a sedersi nuovamente e a mantenere la calma.
 
«Signore si calmi?! Io chiamo il mio avvocato! Io la faccio licenziare! Lei-»
 
«Dai, amico con le treccine, siediti, fai come dice Jane...» Intervenne Santana, spingendolo verso la sedia. 
 
Il ragazzo emise un verso profondo e gutturale, voltandosi verso Santana, per poi bloccarle il braccio con il quale lo stava allontanando, urlandole contro «Tu non devi toccarmi, troia, non osare toccarmi!»
 
Santana arcuò un sopracciglio aprendo la bocca, fingendosi impressionata, quando in realtà provava solo molta pena per lui.
 
«...Vai a scoparti la tua puttanella bionda e non rompete le palle a me, malate schifose.» Sputò, a un centimetro dal viso di Santana, cominciando a torcerle il braccio.
 
Eh no, questo è troppo.
 
«Che cosa hai detto?» Sibilò, assottigliando gli occhi e stringendo il pugno del braccio che aveva libero, mentre sentiva una rabbia incontrollata montarle in corpo «Ripeti, se hai le palle! Brutto stronzo di merda, non permetterti mai più di-»
 
La sua furia venne interrotta da Jane, che finalmente riuscì ad avventarsi contro Joe, scaraventandolo contro la parete più vicina, per poi aprire la porta e chiamare a gran voce i suoi colleghi, affinché accorressero ad aiutarla.
 
Santana continuava a tenere gli occhi piantati in quelli del ragazzo, massaggiandosi il braccio dolorante, ancora non completamente guarito e già sottoposto di nuovo a quella sofferenza.
 
Tremando ancora dalla rabbia, assistette alla scena di due omaccioni che sollevavano Joe per le spalle, trascinandolo via di peso senza che questo opponesse resistenza; sotto lo sguardo vigile e severo di Jane. 
 
Se ne andarono, e Jane sbatté la porta dietro di sé, tornando a sedersi alla scrivania, senza smettere di scuotere la testa. Intrecciò le mani, posizionandosi più comoda sulla sedia, massaggiandosi le tempie, visibilmente stressata.
 
«Jane... Tutto ok?» Mormorò Santana, notando il silenzio e l'evidente stanchezza della donna.
 
Jane si riscosse, come svegliatasi improvvisamente dopo un brutto sogno. Inforcò gli occhiali e guardò Santana come se la notasse soltanto ora.
 
«Sono io a doverlo chiedere a te, Santana...» Rispose con un debole sorriso.
 
La mora si mordicchiò un labbro, facendole cenno di non dare troppo peso alla situazione. «Non è niente di ché, stavolta non è riuscito a lasciarmi neanche un livido.» Scherzò, abbozzando un sorriso.
 
Jane sospirò. «Se Dio vuole la faccenda è finita qua. Stavolta ha decisamente oltrepassato il limite, non è riuscito neanche a difendersi adeguatamente. Ora le sbarre non gliele toglie proprio nessuno.»
 
Santana ebbe un moto di gioia, e non riuscì a trattenersi dal saltellare sulla sedia, facendo ridere Jane. «E' esattamente ciò che volevo sentirmi dire da settimane.» Rivelò. «Non vedo l'ora di dirlo a Quinn.» Aggiunse, con un piccolo sorriso soddisfatto.
 
«Ci tieni tanto a quella biondina, eh?» Domandò Jane, guardandola con tenerezza.
 
«...E' così evidente?» Ridacchiò Santana, stropicciandosi le mani un po' imbarazzata. Non era ancora pronta ad ammetterlo ad estranei.
 
Jane esitò un attimo, pensandoci su. «Beh... Sì.» Ammise, lasciandosi andare ad una risata. 
 
Santana si prese la testa tra le mani, ridendo anche lei. «Direi ottimo! E io che pensavo di saper nascondere bene i sentimenti...» Si lamentò.
 
«Ma i sentimenti non vanno nascosti.» Esclamò Jane, alzando la testa di scatto e fissando intensamente Santana. «I sentimenti vanno esternati, scaraventati fuori con tutta la forza che si ha in corpo, mostrati al mondo senza paura. Un sentimento represso può rovinarti la vita.»
 
Santana esitò, notando l'improvvisa tristezza della poliziotta, che ora aveva abbassato lo sguardo, impedendo alla mora di stabilire un contatto visivo con lei. «E'... E' quello che è successo a te?» Osò.
 
Jane prese un profondo respiro, per poi annuire impercettibilmente. «Se ami una persona non puoi permetterti di avere paura di dichiararglielo. Lui potrebbe trovare un'altra, più bella e simpatica di te, sposarsi e mettere su famiglia con lei. E tu finiresti per cadere in depressione e sposare un uomo che detesti e che tuo padre ha voluto per te. Per poi divorziare dieci anni dopo.»
 
Santana fissò un punto indefinito nel vuoto, incapace di alzare gli occhi e guardare Jane, che nel frattempo aveva iniziato un pianto silenzioso e soffocato.
La latina non sapeva cosa dire, profondamente dispiaciuta e anche un po' imbarazzata. Le sembrava di essere entrata a contatto con qualcosa che non la riguardava, aver spiato senza permesso nel dolore altrui.
 
Jane, come leggendole nel pensiero, fece per rasserenarla «Oh, ma non preoccuparti, tesoro. Non è niente di ché. Solo un po' di dispiaceri di una donna avanti con l'età. È normale.» Fece, asciugandosi velocemente una lacrime traditrice.
 
Santana si incupì, aggrottando le sopracciglia. «Avanti con l'età? Jane, hai trentacinque anni...»
 
«Trentasei.» La corresse, dopo un altro singhiozzo.
 
Santana ruotò gli occhi. «Ok, trentasei anni, sei comunque troppo giovane per deprimerti in questo modo. Hai tutta la vita davanti.»
 
«Una vita rovinata, sì.»
 
«E allora aggiustala!» Sbottò Santana, alzando la voce. «Non dev'essere un granché arrendersi a trentasei anni. Sei una bellissima donna, troverai chi ti merita.» 
 
«L'avevo trovato, l'ho lasciato scappare per paura che mi rifiutasse. Lo amavo troppo, non ci sarà mai nessun altro...» Sussurrò, con la voce spezzata, lasciando correre indisturbatamente le lacrime.
 
Santana si morse il labbro inferiore, mentre la guardava dolcemente. 
Non provava pietà per lei, sapeva che ricevere pietà da persone esterne al tuo dolore fosse ciò di quanto più umiliante al mondo, l'aveva sperimentato sulla sua pelle, e non voleva infliggere a Jane una doppia sofferenza.
 
«Anch'io credevo di essere destinata a restare sola per sempre.» Dichiarò Santana, dopo qualche minuto di silenzio, rotto solo dai singhiozzi sommessi dell'altra.
«Ma poi ho trovato Brittany. Certo, con Brittany non è andata a finire bene, ma la vita non può concludersi perché hai scoperto che quella che eri sicura fosse la tua anima gemella in realtà non lo era, o perché ti sei lasciata sfuggire quella che credevi fosse la persona giusta. La vita va avanti. Se rimani prigioniera del passato, è la fine.»
 
Jane alzò lentamente la testa verso la mora, con gli occhi lucidi di lacrime, fissandola senza proferire parola.
 
«E credimi, non sono una che predica bene e razzola male, se affermo con tanta decisione qualcosa è perché lo so, ci sono passata.» Continuò Santana.
«Quindi... Non arrenderti. Posso garantirti che poi verrai ripagata... Guarda me. Adesso ho Quinn, e mi sento la persona più felice del mondo.»
 
Jane annuì con gratitudine, asciugandosi definitivamente qualche lacrima rimasta, per poi sorridere debolmente.
«Allora... Tu e Quinn state insieme sì o no? E sappi che non accetterò una risposta negativa.» Sentenziò, risoluta.
 
Santana si lasciò andare a una risata liberatoria. «Beh, ancora no ma... Ho il sentore che presto le cose si smuoveranno un po'. Ora che abbiamo accantonato questa fastidiosa faccenda di Joe, possiamo pensare più, beh, a noi due.» 
 
Jane le sorrise teneramente. «Non fare il mio stesso errore, Santana. Non lasciarla andare via. Dille tutto ciò che merita di sentirsi dire. Prometti che lo farai.» 
 
La mora la fissò a lungo, per poi annuire. «Te lo prometto, Jane.»
 
La poliziotta sospirò. «Bene, e ora vai, che mi aspetta un pranzo con quel grillo parlante di mia nipote Rachel.» Annunciò, roteando gli occhi disperata.
 
Santana rise. «Beh, se vuoi posso alleviare la tua tortura e pranzare anch'io con voi.» Propose, alzandosi in piedi e sistemando la sedia.
 
Jane la guardò con un sopracciglio sollevato. «Non credo, tesoro. Sbaglio o hai una biondina a cui dichiararti?»
 
Santana spalancò la bocca incredula, cercando di farle cambiare idea e temporeggiare, ma davanti alla fermezza della donna non poté che arrendersi. 
Sbuffando, si incamminò verso la porta, e l'ultima cosa che vide prima di chiuderla dietro di sé fu un occhiolino complice.
 

Quinn ruotò con lo sgabello verso Santana, spalancando la bocca scioccata e bloccando a mezz'aria il cucchiaio con il quale stava divorando uno yogurt. «Stai scherzando?!»
 
Santana ridacchiò. «No invece, è andata esattamente così. Dovevi vedere che faccia da indemoniato...» Raccontò mentre si sdraiava sul divano di Quinn, ridendo.
 
Quinn scosse la testa con un sorriso, per poi tornare a dedicarsi con voracità al suo yogurt ai frutti di bosco. «Sono felice che sia andato tutto bene, alla fine.» Mugugnò, con la bocca piena.
 
Santana sorrise, guardandola con tenerezza. «Anche io.» Sussurrò. «Se non fosse per questo maledetto braccio... Dovevi vedere come me lo torceva!» Esclamò massaggiandosi, con una smorfia di dolore.
 
La bionda digrignò i denti, posando sul marmo della cucina il vasetto, ormai vuoto, dello yogurt. «È stato meglio non vederlo.» Decretò, stringendo il pugno con rabbia. «Avrei potuto reagire molto male.»
 
Santana sollevò un sopracciglio, sorpresa. «Addirittura?» La stuzzicò.
 
«Mi sembra ovvio!» Fece Quinn, quasi offesa dalla domanda. «Non me ne sarei certo rimasta con le mani in mano mentre quello stronzo faceva male alla mia Sannie.» Mormorò sottovoce, abbassando lo sguardo.
 
Santana si sciolse.
Letteralmente.
Sentì ogni cellula del suo corpo liquefarsi, e per un momento temé di esser diventata un ammasso informe di gelatina alla fragola. 
Perché era il gusto preferito di Quinn.
 
Tutta colpa della dolcezza disarmante della ragazza di fronte a lei, con lo sguardo imbarazzato, le guance appena colorate e una macchietta di yogurt all'angolo della bocca.
 
Era perfetta.
 
Santana esitò, per poi prendere un profondo respiro.«Quinn... C'è una cosa che dovrei dirti.» 
 
Quinn ebbe un fremito, e sperò che il tremolio del suo labbro inferiore non fosse troppo evidente per la mora, mentre si avvicinava lentamente e si sedeva accanto a lei sul divano, per poi sforzarsi a fare un piccolo sorriso d'incoraggiamento, invitandola a continuare.
 
Santana inspirò ed espirò più e più volte, cercando di regolarizzare il battito del suo cuore, improvvisamente impazzito per quella vicinanza fatale. 
 
Si sentiva come quando, da bambina, saliva sul palcoscenico della scuola, di fronte a centinaia di occhi puntati solo su di lei, e doveva dimostrare di essere all'altezza. Di potercela fare.
 
Ma no, non al pubblico che si dispiegava davanti ai suoi occhi, tutti lì per ascoltare e giudicare la sua voce; non a sua madre perennemente in prima fila con un fazzolettino in mano e gli occhi lucidi; e neanche a sua nonna che, dall'angolo della sala, le sorrideva dandole forza.
Ma solo a se stessa.
 
«Oggi ho parlato con Jane e... Mi ha detto delle cose che mi hanno fatto pensare.» Cominciò, con voce tremante.
 
Quinn deglutì. «Che genere di cose?»
 
Altro respiro. «Cose... Riguardo il non lasciar andare la persona che... Ami.» Spiegò, tutto d'un fiato, per poi distogliere velocemente lo sguardo.
 
Aveva paura dell'espressione che avrebbe potuto vedere sul volto di Quinn. 
Non sapeva che, se si fosse girata, avrebbe trovato solo un sorriso sincero e pieno d'amore, abbinato ad un paio di occhi scintillanti.
 
Quando si voltò, però, la bionda si assicurò di assumere un'espressione confusa.
«Scusa, e perché lo stai dicendo a me?» La provocò, divertendosi un mondo nel vedere la sua espressione a metà tra lo sconvolto e lo scoraggiato.
Incapace di trattenersi, scoppiò a ridere.
 
Santana sgranò gli occhi, puntandole un dito contro. «L'hai fatto apposta, stronza!» Esclamò. «Ti stai divertendo a mettermi in difficoltà!» 
 
Quinn non riusciva a smettere di ridere, guadagnandosi un sonoro pizzicotto sul braccio da parte dell'ispanica. «Ahia! Scusa ma... La tua espressione è stata impagabile!» Continuò. Più ci ripensava, più era incapace di frenare le risate.
 
Santana intrecciò le braccia sotto al petto, distogliendo lo sguardo fintamente offesa. «Perfetto, visto che ti faccio così tanto ridere, non ti dico più quello che volevo dirti. Mi hai fatta arrabbiare.»
 
Quinn ridacchiò, per poi prenderle dolcemente il mento tra due dita e farle voltare la testa verso di lei, annegando in quei pozzi scuri. «Così va meglio.» Decretò, con un piccolo sorriso subito ricambiato.
 
«Pace fatta?» Chiese allora la bionda, solleticandole il collo, per poi bearsi dell'adorabile risolino che fuoriuscì dalle sue labbra. Le mostrò il mignolo, in attesa di una risposta.
 
«Mignolino? Davvero Quinn?» Chiese squadrandola, con un sopracciglio alzato.
 
L'altra annuì, risoluta. «O mignolino o niente.»
 
Santana sospirò, sollevando gli occhi al cielo. «Pace fatta.» Accettò, stringendole il mignolo e facendolo ondeggiare con il suo per qualche secondo, sospesi tra di loro, per poi scoppiare a ridere all'unisono.
 
«Comunque io volevo fare un discorso serio, ma è impossibili restare seri con te!» Obbiettò Santana, sbuffando, tradita però da un sorriso.

Quinn indietreggiò, spalancando la bocca. «Quindi adesso ce l'ho io la maschera da Pulcinella?» Insinuò.
 
«Non hai bisogno di una maschera, sei già una perfetta Pulcinella.» Specificò la mora, scoppiando a ridere nel notare la sua smorfia fintamente indignata.
 
«Questa non me la dovevi proprio dire.» Scherzò scuotendo la testa, facendo per alzarsi dal divano, trattenuta però dal polso da Santana.
 
«Dai ferma, non hai capito!» Rise la latina, tenendole stretto il polso, mentre l'altra cercava invano di divincolarsi.
 
«Ah sì? E cosa non avrei capito?» La provocò, accigliandosi.
 
«Ehm... Io intendevo letteralmente!» Buttò lì Santana, annuendo, come folgorata da un'idea geniale.
 
Quinn la scrutò alzando un sopracciglio. «Lopez, se stai cominciando a sparare cose senza senso solo per farmi restare, sappi che stai fallendo alla grande.» 
 
«Ma no!» Si difese. «Tu hai capito Pulcinella come la maschera, ma io volevo dire Pulcinella come Piccola Pulcina!» 
 
«Che cosa?!» Esclamò Quinn prorompendo in una risata, accasciandosi a terra con la testa fra le mani. «Tu sei matta!» 
 
Anche Santana rideva, complimentandosi con se stessa per la trovata. «Ma certo, in fondo hai i capelli corti e biondi, sei piccola e tenerella, decisamente un pulcino coi controfiocchi!» Continuò.
 
Quinn si risedette sul divano, seguitando a ridere. «E tu sei una maledetta paraventa!» Esclamò, cominciando a farle il solletico in tutto il corpo.
 
Santana sgranò gli occhi, contorcendosi su se stessa in preda alle convulsioni. «Ti prego, basta!» Urlò, prendendo fiato tra una risata e l'altra. «Non ce la faccio più, ti prego!» La supplicò.
 
Quinn si fermò solo dopo la soddisfazione di averla vista piangere per le troppe risate. 
E dopo aver ricevuto un poderoso calcio nei fianchi, che l'aveva decisamente distolta dal suo obbiettivo.
 
«Sei una stronza.» Decretò Santana, asciugandosi le lacrime con il pollice, dopo essersi ripresa.
 
«Non ero un pulcino poco fa?»
 
«Sei ancora un pulcino. Un pulcino stronzo e sadico, ma pur sempre un pulcino.» 
 
«Ciò mi riempie d'onore.» Fece Quinn, portandosi una mano al petto e annuendo con solennità.
 
«Lo sai...» Iniziò Santana dopo un attimo di esitazione. «Si dice che quando un pulcino trova la sua compagna, staranno insieme per sempre.»
 
Quinn scoppiò in una fragorosa risata, e Santana non capì il perché. «Non doveva far ridere...» Mormorò, appena delusa.
 
Quinn le punzecchiò la pancia. «Quelli sono i pinguini, non i pulcini!» Spiegò, con una risata.
 
Santana girò il viso dall'altra parte, con una smorfia. «Cazzo! Pensavo non lo sapesse!» Bisbigliò, facendola prorompere in un'ulteriore risa.
 
«Va beh, possiamo fare che sono i pulcini?» Avanzò la mora, imbarazzata.
 
«E vada per i pulcini.» Acconsentì Quinn, annuendo con un sorriso.
 
«Okay...» Fece, prendendo l'ennesimo respiro. «Come dicevo, quando un pulcino trova la sua compagna staranno insieme per sempre, e stavolta non accetto obbiezioni.» 
 
Quinn soffocò una risatina, invitandola ad andare avanti. «E quindi?»
 
«E quindi... Volevo chiederti... Ehm...» Balbettò, poi chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro. «Mi chiedevo... Ti andrebbe di essere il mio pulcino?» Tirò fuori tutto d'un fiato, per poi aprire un occhio, un po' spaventata, un po' trepidante, un po' speranzosa.
 
Quinn sospirò, per poi aprirsi in un sorriso che le illuminò il volto. «Ce l'hai fatta finalmente, timidona.»
 
«Lo devo prendere come un sì?» Mormorò Santana, mentre sentiva il cuore dilatarsi e battere sempre più forte.
 
E il battito raggiunse l'apice, diventando un frastuono che le esplose nelle orecchie, quando vide Quinn avvicinarsi lentamente ma inesorabilmente, per poi protendersi in avanti e far congiungere le loro labbra in un bacio dolce, leggero e veloce, ma che ebbe il potere di far girare la testa a Santana.
 
Indietreggiò, fissò Quinn negli occhi e vi trovò ogni risposta.
 
«Ok, lo prendo come un sì.»
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
 
Pepepepepeee ce l'abbiamo fattaaaaa! * suona le trombe *
Ragazziii mi dispiace tantissimo per avervi fatto aspettare quasi un mese questo capitolo T_T
Però la buona notizia è che è venuto fuori più lungo del previsto e abbiamo avuto la svolta che aspettavamo da tempoooo <3
Felici? Vi è piaciuto come sono andate le cose? Lemme know!
Un bacione :3 ora vado, che sto annegando nei Quinntana feels ahaha 
See you soon <3

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Capitolo 13
*** Capitolo undicesimo ***


take my breath away

Capitolo Undicesimo 

 

 

Era passato un quarto d’ora da quando si erano seduti su quelle maledette poltrone, e ancora il discorso non accennava a volgere in una direzione.

«Ne avete ancora per molto?» Borbottò Puck ruotando gli occhi e picchiettando nervosamente le dita sul bracciolo della poltrona. «Sapete, a mezzogiorno avrei un appuntamento...» Rivelò, guardando le lancette del suo orologio da polso ticchettare nel silenzio della stanza.

Rachel si voltò, visibilmente sconvolta. «Tu un appuntamento?! A quale ragazza verrebbe mai la malsana idea di impegnarsi con te?» Non riuscì a trattenersi dal dire.

«Ehm... A te per esempio? Due anni fa, ricordi?» Le rammentò Puck alzando un sopracciglio, mentre Quinn e Santana ridacchiavano e Rachel camuffava, invano, il colorito sulle sue guance.

«Oh... Quella volta... Ma non avevo ancora capito di essere innamorata di Finn... E’ come se non contasse...» Cominciò a blaterare, gesticolando imbarazzata. «Comunque!» Pose fine al suo sproloquio. «Puck, non dimentichiamoci che siamo qui per Quinn e Santana, e non per rivangare storie morte e sepolte.» Fece, ammonendolo.

«Vero, vero,» le diede ragione Puck, rivolgendosi finalmente alle due ragazze sedute di fronte a lui, vistosamente in difficoltà, dato che continuavano a scambiarsi intense occhiate, come a infondersi coraggio l’un l’altra. «Ditemi che c’è un motivo serio per cui ci avete chiamato, e che non sto sopportando il gracchiare della Berry per nulla,» si augurò, guadagnandosi un’occhiata sprezzante da parte della castana.

Santana si schiarì la voce con un colpo di tosse, ravviò nervosamente i capelli e si sistemò più comodamente sulla poltrona, raddrizzando la schiena. «Allora... Beh, immagino sia meglio evitare inutili giri di parole e saltare direttamente al punto,» asserì, incoraggiata dallo sguardo rassicurante di Quinn, che non aveva mai smesso di fissarla neanche per un attimo.

«Esattamente,» approvò Puck sbuffando, che in cuor suo aveva già capito tutto. Gli sguardi che le due ragazze si dedicavano, così intensi e profondi, non lasciavano spazio a dubbi. Solo Rachel sembrava non aver capito ancora nulla, data la sua espressione evidentemente confusa eppure oltremodo curiosa. Tipico della nanetta.

«Bene...» proseguì Santana con un sospiro tremulo. «Direi che l’ora della verità è giunta!» Esclamò, ridendo istericamente.

Quinn la guardò aggrottando le sopracciglia, per poi sorridere dolcemente del suo adorabile imbarazzo.

«Dai, ragazze, non fateci stare sulle spine!» trillò Rachel, gli occhi vispi che saettavano qua e là tra le due ragazze, cercando di carpire qualche preziosa informazione.

«Dio santo,» imprecò Puck, alzando gli occhi al soffitto, «Rachel, come puoi essere così cieca?»

«Cieca? Di che parli?» Fece, confusa.

«Okay.» Sentenziò, battendo le mani sulle cosce e alzandosi in piedi, «Quinn, Santana, se non riuscite a dirlo voi, lo dirò io.» Propose, spazientito.

«No, no!» lo bloccò freneticamente Quinn, agitando le mani, per poi attingere una buona dose di coraggio dagli occhi di Santana, «Quello che io e San dobbiamo dirvi è che... Beh, ecco...»

«Stiamo insieme.» Tirò fuori tutto d’un fiato la mora, desiderosa di porre fine a quella tortura. «Stiamo insieme.» Ripeté, come per convincersene lei stessa.

In realtà, a distanza di giorni, se si soffermava a pensarci seriamente, avvertiva ancora un gran giramento di testa, e in quei momenti implorava Quinn di darle dei pizzicotti, affinché si rendesse conto di non star sognando.

Puck tirò fuori un sospiro liberatorio, tentando invano di trattenere un largo sorriso. «Finalmente, credevo non ce l’avreste detto più!»

«Che cosa?!» sbottò Rachel spalancando la bocca, scioccata. «Ma... Ma... Oddio, non posso crederci! Ditemi che non state scherzando!» urlò, eccitata.

«Puffo, secondo te scherzerei su una cosa così seria?» chiese la latina, retorica, per poi rivolgere uno sguardo innamorato a Quinn, che ricambiò con un sorriso.

«Andiamo, Berry, non ti eri accorta di questo?!» fece Puck, indicando le due ragazze dedicarsi quelle occhiate così eloquenti. «Ti facevo più perspicace.»

«Beh, in effetti...» intervenne Santana ridacchiando, «in effetti anch’io avevo sopravvalutato l’intuito di Quinn, invece ci ha messo settimane ad accorgersi che ero cotta di lei.» Rise, dando un buffetto alla bionda.

«Ma cosa dici!» esclamò Quinn indignata, «Io l’ho capito subito, ti stavo soltanto... Ehm, dando il tempo di accettarlo!» si giustificò, annuendo.

«Oh, ma davvero? Ma pensa quanto sei generosa...» la prese in giro Santana, allacciando un braccio intorno alla vita dell’altra e tirandola a sé.

«Lo so, ti stupisco ogni giorno di più.» Si pavoneggiò Quinn facendo ondeggiare i capelli vanitosamente, per poi scoppiare a ridere e depositarle un leggero e fugace bacio sulla guancia.

«Posso dire che penso mi stia venendo una carie?» Si lamentò Puck con una smorfia, facendo scoppiare a ridere le due.

Dopo un po' Santana si affacciò oltre la spalla di Quinn, notando un silenzio insolito. «Rachel? Come mai così taciturna? Dì qualcosa, non farmi illudere che ti sia andata via la voce un’altra volta.»

La Berry era ancora seduta sulla poltrona, china, il viso completamente coperto dai palmi delle mani.

Silenzio.

«Rach?» la scosse Santana, «Che cavolo ti succede?» fece, allarmata.

Un singhiozzo strozzato sfuggì dalle labbra della castana, che si ostinava a coprire il volto.

Finalmente l’ispanica riuscì a staccarle con forza le mani dal viso. Le alzò il mento e... «Ma che diavolo?!»

«Scusa, Santana... Non ce la faccio...» sussurrò Rachel con un altro singhiozzo, mentre ormai non riusciva più a mascherare le lacrime che sgorgavano impetuose dai suoi occhi.

«Perché Cristo stai piangendo?!» domandò stridula la mora, mentre Quinn e Puck si scambiavano occhiate confuse e sbigottite. «Da te mi sarei aspettata balletti e cori euforici, non certo che ti saresti messa ad allagare casa.»

«Scusami, è che... Dio, sono così felice,» disse, alzando il volto con un sorriso intriso di lacrime, «Ho aspettato per così tanto tempo questo momento e... Oh, ne hai passate così tante, San... Io... Ti meriti tutta la felicità di questo mondo, sul serio, sei una persona meravigliosa e vederti così raggiante, insieme alla ragazza che ami, mi riempie il cuore di gioia.» Espresse, guardandola con intensità e dolcezza allo stesso tempo.

E Santana avrebbe voluto restare impassibile, ma quegli occhi nocciola colmi di lacrime e felicità ebbero la meglio su di lei, che cominciò a malincuore a seguire l’esempio di Rachel. «Vaffanculo nana, guarda come mi riduci,» mormorò, assestandole un leggero pugno sul braccio mentre tentava invano di ricacciare indietro le lacrime.

In tutto ciò, Quinn si stava facendo cullare dalle braccia di Puck, sopraffatta anche lei dalle emozioni.

«Ah.» Emise, sdegnoso, il ragazzo. «Ragazze: rompimenti di palle e pianti continui. Mi avete fatto passare la voglia di andare a questo appuntamento e a tutti quelli successivi,» brontolò.

«Ho sempre saputo che eri gay, Puckerman, ma ora ne ho la certezza.» Disse Santana ridacchiando, prendendo una pausa dalle lacrime.

Tutti proruppero in una fragorosa risata, e anche Puck tratteneva a stento un sorriso, che reprimeva per non dare soddisfazione alla latina.

«Taci, Lopez. Mi sembra che anche tu in passato abbia ampiamente apprezzato questo ben di Dio, o sbaglio? Per non parlare di te, Fabray.» Le provocò, indicandosi fieramente gli addominali. «Incredibile, mi sono fatto tutte le ragazze presenti in questa stanza. Sei un mito, Noah!» Si vantò, passandosi una mano nella cresta.

Santana lo squadrò con un sopracciglio alzato. «Vero, di cui due sono diventate lesbiche e una è fidanzata con un individuo più simile ad un sacco di patate che a un essere umano. Fatti una domanda e datti una risposta, come si suol dire.» Replicò con un ghigno.

«Eviterò di commentare il modo in cui hai chiamato Finn, ma... Wow, questa brucia!» Esclamò Rachel, perdendosi in risate con Quinn.

«Zitta Berry,» la freddò il ragazzo, incapace di darsi tregua per essersi fatto fregare così ingenuamente.

«Andiamo Puckerman, non prendertela. Non pretenderai mica di vincere contro di me, lo sai che sono la regina delle stronze!» Fece l’ispanica roteando gli occhi.

«Ho avuto modo di rendermene conto negli ultimi tre anni di liceo, sì...» Bofonchiò contrariato, ma non ebbe il tempo di terminare la frase che il cellulare gli vibrò nella tasca dei jeans, avvertendolo di un nuovo messaggio.

Puck sospirò malinconico, dopo aver sbloccato lo schermo e letto il contenuto dell’sms.

Santana si affacciò curiosa. «Che succede Puckerman, la tua ragazza ti ha bidonato?» Lo prese in giro.

«Forse anche peggio,» sussurrò con un altro sospiro.

«Non dirmi che un’altra si è fatta mettere incinta!» Esclamò sgranando gli occhi Rachel, rimproverata poi da uno sguardo fulminante da parte della Fabray. «Oh, ehm, scusa Quinn,» mormorò imbarazzata.

«No, no...» Continuò, «Mio padre è tornato a Lima. E ha intenzione di restare,» spiegò.

Santana assottigliò gli occhi cercando di capire. «E il problema è...? Non ha un posto dove stare e deve dormire a casa tua?» Chiese.

«Guarda che se è per pochi giorni può stare qui con me e Santana, la casa è abbastanza grande e mia madre tornerà fra un mese...» Suggerì Quinn, subito però smentita.

«No, no, un appartamento l’ha trovato, non è questo... E’ che non sono abituato, io...» Biascicò, grattandosi la testa, «E’ vero che in questi mesi è cambiato molto, sembra aver messo la testa a posto e me lo sta dimostrando in tutti i modi, comportandosi responsabilmente e tutto, ma non sono ancora pronto a fidarmi. Non sono ancora pronto a rivederlo. Devo prima assicurarmi che sia sul serio cambiato, e non sia un’altra cazzata delle sue e... Adesso dice che vuole trovare una donna. Non so, io-»

«Fermati.» Lo bloccò Santana, mentre qualcosa le balenò improvvisamente negli occhi. Poi sorrise. «Una donna, dici?» Domandò, melliflua.

«Sì, ma...»

«Zitto. Non dire altro.» Tagliò corto, mentre quel sorriso andava estendendosi sempre di più fino a trasformarsi in un ghigno cospiratorio.

«Oh-oh, quello sguardo non promette nulla di buono...» Commentò Rachel scuotendo la testa. «Qualsiasi cosa tu abbia in mente, scordati che ti appoggi. Scordatelo.» Chiarì, risoluta.

«Non ho bisogno del tuo aiuto, nanetta,» replicò la latina. «Quinn?»

«Mh?»

«Vieni nell’altra stanza,» ordinò perentoria, sotto lo sguardo confuso di Puck e Rachel.

La bionda si alzò e la seguì nella camera attigua, assicurandosi che la porta fosse ben chiusa e che non ci fosse nessuna Rachel ficcanaso Berry ad origliare dall’altra parte.

«Cos’hai in mente, San?» Le chiese, curiosa.

«Dammi il cellulare,» comandò l’ispanica.

«Okay...» Acconsentì Quinn titubante, sfilando l’apparecchio dalla tasca dei pantaloni e porgendolo all’altra. «Che devi fare?»

«Chiamare Jane, la zia di Rachel.»

«Per dirle...?»

«Per dirle che ha appena vinto un appuntamento al buio al BelGrissino.» Spiegò, sollevando la testa in un ghigno beffardo.

Quinn spalancò la bocca, per poi aprirsi in un sorriso complice.
«Digita quel fottuto numero, Lopez.»
 


«Non sto capendo, Santana.»

«Non c’è molto da capire, Jane,» fece spazientita, sbuffando, «Semplicemente, domani sera ti alzi, prendi il cappotto e vai al BelGrissino. Non è difficile.»

«Ma a fare cosa, esattamente?!»

«A ballare la samba sul tavolo per intrattenere i clienti, Jane! Cosa cazzo vuoi che si faccia in un ristorante?!» sbottò, quasi urlando contro il cellulare in vivavoce, mentre Quinn le intimava silenziosamente di mantenere la calma, altrimenti avrebbe solo ottenuto di irritare Jane.

«Hai detto che c’è una persona che vuole conoscermi?» Chiese la donna, ignorando i modi non troppo garbati della sua interlocutrice.

«Esattamente!» confermò, «C’è questa persona che-che, ecco...» biascicò in difficoltà, cercando aiuto in Quinn.
’Che ha sentito parlar bene di te e ora vuole conoscerti’ mimò la bionda con le labbra, suggerendole.

«Sì, ecco!» bofonchiò. «Che ha sentito parlar bene di te e ora vuole conoscerti.» Spiegò sperando che, dall’altra parte della cornetta, la sua voce non suonasse così incerta come arrivava alle sue orecchie.

«Mh...» Emise.
Lo scetticismo di Jane era palpabile.

«E dove avrebbe sentito parlar bene di me?»

«Ehm-ehm... Da... Q-Quinn!» balbettò in preda al panico, mentre Quinn sgranava gli occhi in un’espressione sconvolta, cacciandosi le mani nei capelli e scuotendo freneticamente la testa.
Santana sollevò leggermente le spalle in segno di scuse.

«Quinn.» Proferì, con un tono che lasciava intendere ’oh, ma davvero Santana? Non hai trovato nulla di meglio?’

«Sì! Vedi, questo è il padre di un nostro caro amico... Era venuto a prenderlo a scuola, e si è trovato a passare affianco a noi proprio nel momento in cui Quinn lodava il tuo coraggio e la tua fermezza d’animo con la questione di Joe,» specificò, augurandosi che quel discorso stesse anche per una minima parte in piedi, «A quel punto si è fermato e ha cominciato a tempestarci di domande su di te, te l’assicuro Jane, era davvero inarrestabile! Allora gli abbiamo detto che sei una bellissima persona, una grande donna e tutte queste cose e-e lui ha affermato di volerti conoscere. Giuro, abbiamo provato a dissuaderlo, ma non c’è stato niente da fare! Era irremovibile! Incredibile no? Un uomo determinato e deciso, proprio come sei tu,» fece, allusiva, «non ti piacerebbe conoscerlo? Scommetto di sì... E’ davvero un’ottima persona, con un po’ di scheletri nell’armadio come te ma...»

«Scheletri nell’armadio?! Santana, attenta a chi mi presenti, ricordati che sono una poliziotta!»

«No vabbè ma io mica intendevo scheletri veri!» Sì premurò di chiarire in fretta, «Volevo dire che anche lui ha il suo passato non troppo felice, ma ha voglia di ricominciare, così come lo vuoi tu. Dagli una possibilità. Datti una possibilità, Jane.»

«Mh, facciamo così,» rispose dopo alcuni secondi di silenzio, «Io fingo di credere che tutto ciò che hai detto abbia il minimo senso, e tu la smetti di prendermi per il culo, okay?»

Santana si morse il labbro inferiore, imprecando tra i denti per esser stata beccata così facilmente.
Quinn sogghignò, consapevole dal primo istante che Jane non avrebbe abboccato.

«Okay...» concordò ruotando gli occhi, rassegnata, «ma ci andrai, vero?» Chiese speranzosa.

Jane esitò. «Tu e mia nipote siete la mia croce...» Sospirò.

«Ciò significa che ci andrai?!»

«Sappiamo benissimo entrambe che se ti dicessi di no arriveresti a farmi il lavaggio del cervello pur di farmi cambiare idea, quindi... Sì. Ci andrò. Contenta?»

«Sììì! Sì, sì, sì!» Esultò, battendo il cinque con Quinn e saltellando vittoriose.

Jane sbuffò. «Ora, se non ti dispiace, avrei una vita,» la liquidò bruscamente.

«Oh sì certo, scusa se ti ho fatto perdere tempo e... Mi raccomando per domani sera, eh!» Cinguettò con un sorrisino.

«Ciao, Santana.» Ringhiò Jane in risposta. «Oh e ciao anche a te Quinn, lo so che sei lì.» Aggiunse poco dopo.

La bionda sbarrò gli occhi mentre Santana ridacchiava sommessamente.
Prima che potesse replicare, la donna interruppe la chiamata.

Le due ragazze si lasciarono andare ad un sospiro liberatorio, sorridendo soddisfatte. «Beh, alla fine non è stata tutta questa impresa titanica che ci aspettavamo, no?» 

Quinn esitò, mordendosi il labbro inferiore. «San, non per fare la guastafeste, però... Ti ricordi che dobbiamo convincere anche il padre di Puck, vero? Uomo con cui non abbiamo mai parlato, di cui a stento sapremmo riconoscere il volto e che non ha la più pallida idea di chi siamo io e te?»

Santana ci rifletté un attimo, poi fece una smorfia, scoraggiata. «Come facciamo?» Borbottò, incrociando le braccia e mettendo su un adorabile broncio da bimba a cui Quinn non seppe resistere.

Si slanciò in avanti, prendendo le labbra di Santana tra le sue e baciandole dolcemente. Santana, sorpresa da quel gesto inaspettato, tremò appena, per poi rilassarsi e allacciare le braccia attorno al collo di Quinn tirandola a sé, ricambiando quel bacio a cui non era abituata e che le faceva ancora girare la testa. Si staccarono, appoggiando le fronti l’una sull’altra e sorridendosi.

«Wow.» Commentò semplicemente Santana, perdendosi in quella distesa di verde perlato che erano gli occhi della Fabray.

«Sì, direi che è l’aggettivo giusto,» concordò l’altra ridacchiando.

«Sai, credo... Credo che questo potrebbe diventare una di quelle cose a cui poi non potrei mai più rinunciare.» Rivelò la mora, dopo un attimo di esitazione.

Quinn sorrise, la fronte ancora attaccata a quella di Santana, gli occhi ancora incatenati ai suoi, neri e profondi.

«Non esiste motivo al mondo per cui tu debba rinunciarvi,» la rassicurò, con un piccolo sorriso.

«Me lo prometti?» Sussurrò sulle labbra dell’altra.

«Te lo prometto.» Disse, prima di annullare nuovamente le distanze tra loro.

 


 

Angolo dell'autrice
 

Ma buongiornooo! Come va, fanciulli? :3
Eccoci qui con l'undicesimo chapter! Volevo informarvi del fatto che mi sono divertita un sacco a scrivere della telefonata fra Santana e Jane xD
Ebbene sì, noto che Jane come personaggio vi piace e alcuni di voi desiderano un happy ending anche per lei, so.. Le nostre Quinntana si sono messe all'opera per far sì che accada!! Nel prossimo scopriremo come faranno per far sì che anche il papà di Puck si presenti all'appuntamento.. Women on a mission lalala xD All'inizio avevo pensato di scriverlo in questo, ma poi sarebbe venuto più lungo del solito quindi ho preferito smezzare :3
Alla prossima cari!
Tanto amore per voi <3










 

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