Amira

di Frappa_1D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Amanda ***
Capitolo 3: *** Il nuovo arrivato. ***
Capitolo 4: *** Carter Garret. ***
Capitolo 5: *** La festa di compleanno. ***
Capitolo 6: *** Sogni e Realtà. ***
Capitolo 7: *** Amira ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L'unica presenza nella stanza era una figura immobile, interamente vestita di nero. I suoi occhi erano brillanti come smeraldi e inquietanti come livide nubi all'orizzonte.La carnagione chiara, risplendeva al chiarore lunare della finestra lasciata aperta. Ad un tratto la figura nella penombra si mosse, e con movimenti rapidi si avvicinò al letto nel centro della stanza. Sporgendosi, scorse un fanciullo dall'aria tenera e dolce; la pelle rosea e piccole ciocche di capelli castani ribelli, circondavano il suo viso perfetto.

Poteva avere all'incirca dieci o undici anni, così piccolo e indifeso.

La figura nera stava per toccarlo, quando improvvisamente le porte della stanza si spalancarono, lasciando intravedere due sagome: una, possente e sicura, l'altra timorosa e in disparte.-Fermo! Non avvicinarti!-

La voce di un uomo echeggiò nella sala. Subito la figura si voltò di scatto mostrandosi esterrefatta, colta in flagrante. E improvissimente si tolse il mantello che l'avvolgeva, lasciando che il suo volto fosse completamente illuminato dal chiarore lunare. Riccioli biondi cadevano sulle spalle, incorniciando il viso dapprima preoccupato,poi soddisfatto, quasi fiero. Occhi ,simili a diamanti osservavano con cura le due figure immobili. Con uno scatto estrasse due pugnali affilati dagli stivali di pelle. La luce dell'argento risplendava con bagliori in quella notte tersa di giugno.

-Troppo tardi..- L'infiltrato si diresse verso l'uomo all'entrata. -Astrid scappa! Ora!-.

Urla laceranti si levarano dalla stanza. -Papà! Mamma!- La piccola creatura che un attimo prima giaceva nel suo letto in una posa aggraziata, adesso era scivolta giù , le mani sugli occhi per coprire tanto orrore. L'uomo si voltò di scatto come se qualcosa di più importante avesse attirato la sua attenzione, gli si vedeva chiaramente in volto un sorriso malizioso quasi terrificante e mentre si asciugava le mani,intrinsiche di una sostanza scura e viscosa,si avviava a passo fermo verso il bambino, lo sguardo fisso su i suoi grandi occhi celesti come il ghiaccio.

Sembrava un angelo, in tutta la sua perfezione e maestosità. Era difficile scorgere in lui difetti; le spalle diritte, le braccia lungo i fianchi e il capo teso. Guardava il fanciullo dall'alto e più gli si avvicinava, più la sua ombra lo rivestiva. Giunto dinanzi la sua prossima vittima, smascherò un ghigno sarcastico ,mentre con tono squillante affermava:

-Il gioco è appena iniziato..- .

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Capitolo 2
*** Amanda ***


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Il cielo era limpido invaso da piccole e soffici nuvole dal colore rosa confetto che man mano si andavano schiarendosi diventando un tiepido bianco simile al colore perla. Quel giorno di Primavera era uno dei più belli da me vissuti: il tramonto era a dir poco spettacolare, con i suoi sgargianti colori che lasciano ai ricordi più occulti nella mente la possibilità di evadere e trasmettere emozioni stupefacenti e incancellabili. Stavo rientrando verso casa dopo un pomeriggio trascorso a scuola per il progetto di Chimica. Ebby, la mia migliore amica, non faceva altro che parlare del nuovo arrivato.
-Sarà biondo, e romantico? O castano e intrigante?- Mi chiedeva lei assorta nei suoi pensieri.
-Io credo che sia un tipo normale- dissi, prestando poca attenzione alle sue conversazioni. - Ho saputo dalle classi superiori che è stato bocciato e che aveva deciso di ritirarsi per alcuni mesi. Ma perchè adesso ha deciso di ritornare?-. Ebby mi guardava attendendo risposte alle sue domande troppo curiose.
-Bhè avrà ritrovato la voglia di studiare... quella che ti manca Ebby!- dissi io mostrandole un grande sorriso; lei mi osservò per alcuni istanti ed entrambe scoppiammo a ridere.
Salutai Ebby,ormai giunta a casa. - Mamma,sono tornata!- dissi con tono stanco e corsi di sopra in camera mia. Presi il libro di Storia e iniziai a leggere l'argomento da studiare per il giorno seguente.
Quando si è stanchi le parole che cerchi di assimilare, una volta giunte nella mente svaniscono nel nulla, mentre lunghi sbadigli cominciano a preannunciare il sonno.
-Amy!- Dennis il mio fratellino mi fece aprire gli occhi di scatto, e non appena mi girai verso la porta lui era lì con un sorriso divertito. -Stavi dormendo in piedi!- e scoppiò in una di quelle risatine così fastidiose da farti venire il mal di testa. -Dennis non stavo dormendo..- uno sbadiglio e poi -io stavo...solo studiando!-. -Siii certo. Comunque ha chiamato papà e ha detto che mi devi fare da babysitter fino a quando la mamma non torna!- Il suo viso mostrava un sorriso tipico da birbantelli,- E.. dove è andata la mamma?- chiesi io con le palpebre semichiuse – E' andata a fare la spesa. Domani è il tuo compleanno!! Te lo sei dimenticato?-.
Il mio compleanno,giusto! Domani compivo sedici anni e finalmente avrei potuto avere uno scooter tutto mio! Ma soprattutto domani avrei organizzato una festa e avrei potuto invitare tutti quelli del quinto e quarto anno. Non vedevo l'ora!
-Certo che no! Non sono mica tanto sbadata e ora vai in camera tua,pulce!- Dennis mi fece una smorfia e poi scomparve nel corridoio.
Mi rimisi sui libri e inevitabilmente il sonno prese il sopravvento.
Dopo qualche ora mi svegliai,era buio e io avevo lasciato Dennis da solo per tutto questo tempo. Mamma mi avrebbe,come minimo, ucciso ... o peggio avrebbe annullato la festa.
Corsi di sotto, e cercai il mio fratellino -Dennis! Dove sei?- Le mie urla rendevano la casa ancora più spettrale di quanto già non lo fosse. Cercai dappertutto: nel bagno, nell'armadio, in cucina, nello studio.. ma non c'era! Ero davvero nei guai adesso.
L'unico posto che non avevo ancora controllato era il giardino; uscii di corsa fuori lasciando la porta aperta, noncurante. Dovevo trovarlo. Ma per mia sfortuna non era neanche in giardino. Mi misi a cercarlo dai vicini, i Fellowes, e arrivai sino al campo scuola,ma niente, di lui non c'era traccia! Incominciavo ad ipotizzare che fosse stato rapito e a quel punto mi passarono per la testa migliaia di pensieri riguardanti la sua morte. Ero stanca e terrorizzata, quando notai vicino al campo scuola un ombra passare dietro alcuni alberi vicino gli spalti. Mi precipitai immediatamente lì, ma non c'era nessuno.-Sarà stata la mia immaginazione..- dissi. Ma ecco di nuovo l'ombra passarmi davanti. Iniziavo ad avere paura. Di chi era quell'ombra? O meglio.. Cos'era?
Qualcosa di caldo mi si appoggiò sulla spalla, mi voltai di scatto urlando.
Ma per mia fortuna era solo un ragazzo. - Sei impazzito! Cosa ti passa per la testa! Mi hai spaventato!- le parole uscirono fuori senza neanche che me ne accorgessi. 
-Scusami tanto! Non volevo spaventarti.. avevo visto che cercavi qualcuno.. e io ho trovato lui- Il ragazzo si scostò lasciando intravedere il mio fratellino, gli occhi ancora rossi dalle lacrime e il nasino rosso per il freddo. -Dennis! Ma dove cav..- non feci a tempo a rimproverarlo che già era corso ad abbracciarmi. Mi stringeva così forte da impedire ogni minimo movimento. -Amy, ho avuto tanta paura!- Dennis mi sorrideva sringendomi ancora più forte.
-Ehi campione, hai visto che ce l'abbiamo fatta a ritrovarla- il ragazzo che un attimo prima era immobile e imbarazzato, sembrava sentirsi totalmente a suo agio con Dennis.
-Scusami, tu saresti?- gli chiesi. -Richard Roberts, per te Rick- e mi fece un occhiolino. Io gli sorrisi dicendo -Amanda, piacere- e poi guardando l'ora dissi -Scusa ma ora dobbiamo scappare- e presi Dennis per mano pronti a correre verso casa. -Certo,ci si vede in giro.- .Dennis continuava a salutarlo mentre io girai i tacchi ed iniziai ad accellerare il passo. Giunsi a casa in dieci munti, ma notai subito le luci accese e la macchina nel garage: mamma era a casa.  Bussai e lei ci venne ad aprire mostrandosi meravigliata dai nostri aspetti :- Amy, cosa avete fatto? siete tutti sudati.E tu Dennis, quante volte ti ho detto di non uscire senza indossare il giubbino?- la mamma ci guardava con braccia conserte e l'aria di chi esige una risposta al più presto. -Mamma, non sai cos'è successo Amy mi..-, -Io e Dennis ci siamo divertiti un mondo al campo scuola.- continuai il discorso mostrando un sorriso forzato. Lei ci scrutava attentamente: ogni singolo movimento o gesto “fuori luogo” era per lei prova schiacciante che quanto detto non fosse realtà.
-Bene, entrate. Amy vai a farti una doccia e tu Dennis prendi i quaderni, correggiamo insieme i tuoi compiti.- la mamma sembrava un sergente militare. 
Ho sempre ammirato il suo atteggiamento, il suo comportamento diligente e propenso all'aiuto degli altri. In famiglia lei è l'unica che riesce a nascondere i suoi sentimenti da quando papà ha iniziato a lavorare lontano da casa. La mamma sembra non dare conto alle mille difficoltà che il lavoro di papà comporta, lui non è mai presente se non nelle occasioni importanti come le festività o i nostri compleanni. Noi tre cerchiamo di cavarcela ogni mese con il poco stipendio della mamma e la paga effimera che guadagno lavorando in pizzeria.
Dopo aver fatto la doccia decisi di andare direttamente a letto, i compiti potevano anche aspettare ma i miei sbadigli no. 

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Capitolo 3
*** Il nuovo arrivato. ***


Quella notte mi svegliai più volte, il sonno era più agitato del solito, così verso le prime ore del mattino mi alzai seppure stanca. Mi diedi una sistemata e indossai l'uniforme scolastica, gonna a quadri rossa e maglioncino verde, Scesi di sotto per fare colazione quando, sentii dei singhiozzi provenire dalla cucina. Mi affacciai alla porta e vidi mia madre accasciata sulla sedia affranta e triste. Non l'avevo mai vista piangere prima d'ora, e per me fu come una coltellata al cuore. 
Lei la donna più forte che io abbia mai visto, ora sedeva, il viso stanco e pieno di rughe, gli occhi rossi dal pianto e le guance rigate da lacrime. Mi feci coraggio ed entrai fingendomi sorpresa di vederla per la prima volta. -Mamma- dissi avvicinandomi lentamente, -No Amy, sta tranquilla non è niente...- la osservavo mentre cercava di asciugare al più presto le lacrime per evitare di mostrarsi debole ai miei occhi. -Mi è andato un pò di sale negli occhi, non è niente!- continuava. - Non preoccuparti ci penso io, se qualcosa non va- più la osservavo piangere, più i miei occhi iniziavano a commuoversi.
-Ciao mammina, ciao Amy- Dennis sbucò dal nulla in cucina saltellando.
La mamma nel frattempo aveva asciugato tutte le lacrime in eccesso e sorrideva come se non fosse successo nulla. -Ehi tesoro, dormito bene?- si alzò di scatto e mise in tavola un piatto di bacon e uovo appena cucinati. -Si mamma! Che buono!- Dennis corse a sedersi. -Amy che fai lì impiedi? Vieni a sederti anche tu!-. Era davvero stupefacente il modo in cui avesse cambiato umore da un minuto all'altro. 
-Amy!- Mii voltai di scatto e fuori dalla finestra c'era Ebby che mi attendeva per andare a scuola. -Mi dispiace mamma ma ora devo andare, ci vediamo oggi- dissi lanciandole un sorriso che ricambiò. Com'era solita fare, Ebby non indossava l'uniforme scolastica, oggi portava dei jeans attillati e un toppino abbastanza scollato da lasciare intravedere il colore della sua canottiera azzurra; i capelli biondo oro le ricadevano sulle spalle vaporosamente.
-Finalmente ti sei mossa! E' circa mezz'ora che ti aspetto!- Ebby mi scrutava dall'alto verso il basso. -Scusa me ne ero accorta solo ora! Ma che fine ha fatto la tua uniforme?- , Ebby fece una risatina -Lo sai che odio gli stereotipi! Le gonne a quadretti e le cravattine in tinta non fanno per me! - ; - Già, ma lo sai che oggi ci farà visita il direttore?- Ebby mi guardò con aria sconcertata -Come? E perchè??- ; -Semplice, viene a presentarci il nuovo arrivato.- e sorridendo ci avviammo verso la scuola. Il vento mattutino ci sferzava il viso mentre l'odore dei fiori di campo si mischiava a quello tipico della Primavera.
Arrivammo a scuola con cinque minuti di ritardo e ci posizionammo ai nostri banchi.-Bene ragazzi oggi avremmo un nuovo alunno che seguirà i nostri corsi- disse la professoressa di Storia indicando la porta all'ingresso dell'aula. Poco dopo comparve un ragazzo alto e snello sulla soglia. I capelli castani che gli ricadevano ondulati sul viso. - Poichè sei nuovo scegli il tuo compagno di banco, ma fa in fretta perchè devo interrogare- La professoressa indicò ciascuno di noi. Il ragazzo scrutò attentamente l'aula e posò il suo sguardo su di me. 'Me?' pensai.
-Diavolo! Con venticinque ragazzi proprio te Amy? E io dove mi siederò!- Ebby era totalmente infuriata. -Ottimo, Signorina Holt può farmi il piacere di accomodarsi qui al primo banco?-Ebby era ufficialmente offesa, si alzò di scatto sbattendo i libri sul suo  nuovo banco.
Il nuovo arrivato ci mise un attimo per giungere al banco vicino al mio. - Bene iniziamo con le interrogazioni- La professoressa scorreva velocemente il dito sul registro lungo la fila dei nomi presenti. -Holt.. tu non sei interrogata da un bel pò!- Ebby fece un salto e si portò le mani al petto.Credo avesse appena subito un attacco di panico. -Ma professoressa... ieri mia madre è dovuta andare in ospedale.. perchè si è tagliata un dito in cucina- La classe venne sommessa da risate, -Silenzio! -.
 -Signorina Holt se oggi non viene all'interrogazione sarà peggio per lei, i voti scenderanno più di quanto non lo siano già!- Ebby era davvero nei guai. Dovevo aiutarla, ma come?
-Professoressa, potrei essere interrogato io?- tutta la classe si volò verso il mio nuovo compagno di banco esterrefatta. Anch'io mi voltai di scatto e per la prima volta, in quella mattinata, notai il suo volto.. ma era Richard!
-No mi dispiace Richard ma come legge dell'accoglienza, tu sei esonerato dalle interrogazioni per i primi tre giorni-. 
-Scusami,ma tu sei Richard?- Che coincidenza, lo stesso ragazzo che avevo incontrato la scorsa sera. - Si.- il suo volto mi scrutò attentamente come se mi avesse visto per la prima volta in tutta la sua vita. -Ti ricordi di me? La ragazza del parco.. ieri sera, Dennis!- .  -Si mi ricordo di te.- ma nonostante ciò rimase con una espressione indecifrabile, anzi direi, quasi infastidita. Così lasciai perdere, un pò imbarazzata e delusa. Che strano,ieri sera sembrava così solare e amichevole.. adesso era tutto il contrario, freddo e distaccato. Le ore della giornata volarono in men che non si dica e mi ritrovai ad abbandonare i miei pensieri con il suono stridulo della campana che segna la fine dell'ora. Mi alzai di scatto, raccolsi i miei libri e a passo fermo mi diressi verso l'entrata dell'aula. 
-Signorina Barlow.. dove crede di andare?- Mi voltaì di scatto e spalancai gli occhi. La classe era ancora seduta, sui volti di ciascuno di loro notavo lo sguardo divertito, alcune risatine sommesse si levarono dagli ultimi banchi. -Ma.. l-la campanella è suonata!- dissi acquistando sempre più sicurezza ad ogni sillaba pronunciata. Miss Tyson inarcò le sue sopracciglia bianche, spostandosi leggermente in avanti gli occhiali che poggiavano come tappi di bottiglia sulle sue gote scarne. Grandi risate miste a schiamazzi rivestirono l'aula, e bastò un “Ehm ehm” da parte di Miss Tyson affinchè si ricomponesse. -Credo che lei, signorina Barlow meriterebbe una bell'oretta in detenzione-  e con il suo indice, simile ad un ramo ossuto di un albero indicò la porta. -Ma Miss... io- ,-Ho detto ciò che ho detto!-.
Qualche commento sottovoce giunse sino alle orecchie della Miss che alzandosi bruscamente dalla sedia della cattedra disse:- Chi ha altro da dire,segui pure la signorina Barlow!- poi lanciandomi una occhiataccia mi ricordò di andare in detenzione.“Ottimo”, pensai e con ciò la giornata era letteralmente da gettare nel cestino.
La detenzione era un posto squallido, pieno di banchi vuoti e ormai talmente sporchi che potevi ritrovarci un'intero pacchetto di chewingum attaccato nella parte posteriore. Una grande finestra dava sull'esteso prato verde della Berrytown High School, dove puntualmente c'era chi,come Garret Kaight che non facevo altro che giocare a football con I suoi amici, o chi come Angie Barnett, trascorreva l'intera mattinata seduta sulla  “Panchina IN “con le sue inseparabili amiche a confabulare per party strepitosi o a scegliere nuovi capi firmati. Insomma la finestra dell'aula detenzione era come un grande pozzo dove non c'è uscita se non dalla somma estremità alla quale ce ne vorrà di tempo prima di raggiungerla.
E così mentre gli altri si godono quella bella giornata primaverile tu sei costretta a rimanere in aula seduta e senza fiatare con la rabbia che ti divora dentro. Oggi come sorvegliante c'era il Signor Sanders, professore di chimica del quarto anno, che tutti affermavano di avere qualche rotella fuori posto. La larga camicia a quadri verdi e bianchi intonata ai jeans chiari, lo rendevano molto più di giovane di quanto non lo fosse. Capelli arruffati e un sottile strato di barba gli affidavano quell'aria da cattivo ragazzo, non curante dell'aspetto fisico e quasi sempre disordinato.
-Si accomodi pure, Amy Barlow – il tono la diceva lunga, su chi ormai annoiato,era costretto a svolgere ore di lavoro oltre quelle previste. Scelsi uno degli ultimi banchi sul lato destro vicino un'enorme statua fatta di ossa finte. Con tono di rassegnazione emisi un lungo sospiro e tirai fuori i libri di matematica, pronta a poggiarli sul banco, quando qualcosa mi si appoggiò sulla spalla. Mi voltai di scatto e vicino a me, con un grande sorriso,sedeva Ebby. -Che ci fai qui? Non dovresti essere in classe?- , le mi guardò portando indietro la testa e I suoi biondi capelli vaporosi -Sveglia Amy! Sono o non sono la tua migliore amica? Non potevo mica abbandonarti in questa squallida aula!- E si guardò intorno come per sottolineare il suo disgusto. - Già me ne ero dimenticata- Risposi cercando di sorridere, -Si è da te!.. Comunque hai già organizzato qualcosa per stasera?? Chi inviterai?? e.. ci sarà anche  Carter?? - I suoi occhi brillavano dalla curiosità.
La festa! Come potevo essermene dimenticata? 
-Bhè..- non ero affatto brava a mentire, ero come un libro aperto tutti potevano leggere il contenuto e capire se ciò che dicevo fosse vero. Ebby iniziò ad insospettirsi e quando ormai ero sul punto di confessare,la campanella suonò cogliendoci di sorpresa. Ebby ricacciò il fiato pronta per sgridarmi come non mai e io sorridendo le feci spallucce.
Mi diressi in corridoio invaso da mille ragazzi, ognuno con un traguardo preciso da raggiungere, ognuno con problemi da superare e tutti persi nei loro pensieri adolescenziali. Raggiunsi a stento il mio armadietto tra la calca soffocante e sempre più intensa, lo aprii di scatto e ci gettai dentro I libri, lo richiusi e vidi Ebby appoggiata di schiena all'armadietto vicino con un sorriso da detective che ha risolto il caso. Poi dandosi una leggera spinta si posizionò davanti a me, alzò lo sguardo e – Non hai organizzato nessuna festa per stasera,vero?-. Cavolo ero nei guai, avevo promesso e ripromesso ma stavolta me ne ero COMPLETAMENTE dimenticata.. che razza di smemorata sono? Una di quelle croniche di certo! -Esattamente..- e lanciai un lungo respiro appoggiandomi all'anta di ferro. -Ne ero certa! Non sbaglio mai! Comunque.. c'è tempo.. fino a stasera puoi anche cambiare casa!- E mi fece l'occhiolino prima di sparire tra la folla. Già, Ebby aveva ragione avevo ancora tempo. Ripresi coraggio e incominciai a rincorrere per I grandi corridoi della scuola tutti coloro che avrei deciso di invitare, prima fra tutti Ebby. La raggiunsi in sala pranzo pronta a divorarsi un humburger con tanto di salse e altre sostanze che preferirei non menzionare. Poi fu la volta di Amber la mia ex vicina di casa delle elementari, poi Nelly, Lucy, Danielle e Sam. Naturalmente era tutte in posti diversi della scuola, distanti gli uni agli altri almeno da farmi perdere due ore di giornata. Ero sfinita. Mi fermai nel parco della scuola con il fiato ancora accelerato dalla corsa. Angie,mia nemica dall'asilo, mi si avvicinò ancheggiando con la sua minigonna. -Amy Barlow.. è da un pò che non ci si vede- e iniziò a scrutarmi dalla testa ai piedi, osservando con ribrezzo la mia divisa (identica alla sua solo leggermente più lunga). -Ciao Angie – ero sfinita il respiro ancora irregolare. -Hai corso per caso? Bhè ti ci vuole un pò di palestra per quelle gambe molli!- . Abbassai lo sguardo per vedere se davvero fossero così molli come diceva.. e in effetti erano più magre delle sue, muscolose e toniche. - Bhè almeno io non sembro una lottatrice di Sumo con quelle gambe che ti ritrovi- lei arricciò il naso, infastidita ma subito si ricompose – Ma non farmi ridere, pidocchio.. le mie sono gambe da cheerleader, da caposquadra.Ho sentito in giro che hai organizzato una festa a casa tua.. stasera- mi parlava come se sapesse già tutto... di tutti! - Bhè in effetti.. si! Ho organizzato una festa e a quanto ne sappia.. tu non sei tra gli invitati- ci avevo preso gusto.. d'altronde non la biasimavo, essere arrogante ed offensiva è un qualcosa che si acquisisce col tempo.
-bhè io non ci tengo proprio a venire ad una festa fatta da te, pidocchio che non sei altro!-  Angie incomiNciava sempre più ad avvicinarsi – E poi scommetto che ci sarà il tuo paparino che da quanto ricordo non è mai a casa.. semplicemente perchè non sopporta pidocchi come te, Amy- mi sorrise maliziosamente e poi sbattè le sue folte ciglia. Come osava? Non sapeva nulla su di me e tanto meno sulla mia famiglia. Di scatto le sferzai un pugno sulla sua guancia nivea abbastanza vicino da farle slogare la mascella. Angie ricadde a terra come un semplice pezzo di carta, nonostante I suoi muscoli ben pronunciati. - Ne vuoi ancora eh?- non era da me picchiare.. soprattutto ragazze. Angie si rialzò barcollando tenendosi la mano sulla mascella come per volerla sostenere. Intanto intorno a noi si era radunata una folla di ragazzi che urlava, come per incitare,i nostri nomi. 
Sembrava di stare su un ring, la folla accalcata ai concorrenti pronti ad urlare il nome del vincitore, pronti a vedere violenza; difronte a me  il concorrente, attento e agile ai singoli movimenti spostava il peso da un piede all'altro. Il torace ben scolpito i muscoli delle braccia tesi a tal punto da far emergere due grosse vene verde chiaro. Il viso totalmente oscurato riesco a vedere solo un paradenti bianco nella sua bocca. Poi un 'Dong' e scatta nella mia direzione pronto a sferrare il colpo decisivo. Rapidamente avanza e con un fugace movimento colpisce il mio stomaco. Sento il guantone penetrare sempre più intensamente e poi un “Crack”. Lo sguardo fisso sul guantone rosso ancora nel mio stomaco, spalanco la bocca come a voler pronunciare una semplice parola ma la voce muore prima ancora di raggiungere le corde vocali. E poi come in un attimo le gambe mi si piegano tremanti e incapaci di sostenere il mio peso e mi accascio al suolo con un atroce dolore che mi invade tutto il corpo. Poco dopo realizzo l'idea dell'essere stato tutto reale, non ero sul ring ma nel parco della mia scuola, la folla desiderosa del combattimento erano I miei compagni e il mio concorrente era Angie. 
Cercai di rialzarmi ma la testa mi pulsava e la vista era totalmente annebbiata stesi un braccio per cercare un appiglio su cui appoggiarmi ma ero circondata soltanto da erba, erba fine e sottile. 
-Gliel'ho fatta vedere, a questo pidocchio, qui quella che comanda sono io!- la voce di Angie cominciava a farsi più nitida, ero derisa da quasi mezza scuola e Angie non curante del mio stato continuava ad esaltarsi alla vista degli altri raccontando l'intera vicenda e modificandone i fatti, naturalmente.
Poi la mia mano toccò finalmente qualcosa di solido lo afferrai senza pensarci due volte e mi sedetti sulle ginocchia. Davanti a me c'era una figura. Non riuscivo a capire chi fosse era troppo sfuocata. -Ehi stai bene?- poi la mia vista si abituò. Era Richard che con aria preoccupata aspettava una mia risposta. -Ehm.. si credo di.. - feci per rialzarmi quando una fitta allucinante mi penetrò lo sterno, avevo qualche costola rotta. Richard fu pronto a sorreggermi. Ormai sopraffatta dal dolore mi aggrappai a lui, il viso rigato dalle lacrime e la pelle terrea.
-No che non stai bene- E sentii i muscoli del suo collo tirarsi in un grande sorriso.
Ora mi sentivo al sicuro.

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Capitolo 4
*** Carter Garret. ***


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Flebili raggi di luce scivolarono giù dalla finestra sino al letto bianco nella sala.   
-Ehi.. mi senti? Provi ancora dolore? -. Aprii lentamente le palpebre,la testa frastornata da mille voci. -Amy.. guardami negli occhi- Voltai leggermente il capo verso la fonte di suono, cercando di scorgere la figura china su di me. Una folgorante luce bianca mi venne puntata direttamente nelle pupille, ancora dilatate. Poi richiusi gli occhi come infastidita.
Adesso vedevo in modo più chiaro e nitido, con un balzo mi tarai su. Fui colta da una fitta di dolore all'addome, abbassai lo sguardo e una fasciatura bianca mi avvolgeva interamente sino ai fianchi. -Cosa.. dove mi ..trovo?- Mi voltai in cerca di risposte e finalmente la vidi: l'infermiera Jonson mi scrutava attentamente, cercando di capire cosa non andava ancora in me; notai i suoi capelli sistemati alla rinfusa nel cerchietto bianco, e la sua divisa da infermiera troppo corta per le sue gambe lunghe e magre. -Senti ancora dolore?- mi chiese lei -No credo solo.. ma che cosa è successo? Dov'è..?-
-Sono qui.- con uno scatto si precipitò dall'angolo più buio della stanza, Richiard, la camicia un pò sbottonata e le maniche tirate in sù. L'infermiera mi guardava come se non avesse capito ciò che avessi appena detto. -Signora Jonson può andare,penso io a lei.- Richiard le indicò l'uscita con un semplice movimento del capo.
-Va bene,ma non appena avverti un minimo sintomo di dolore alle costole torna qui.. era una bella frattura.- Disse l'infermiera con un accento di superiorità. Non appena uscì dalla stanza mi divincolai in quel labirinto di tubi bianchi. Mi stacchai con violenza le due flebo e agitai le braccia come per testare che fossero ancora attaccate al resto del corpo.
-Non dovresti muoverti troppo.- Lo sguardo fisso sulla mia fasciatura. -Bhè, fino a prova contraria tu non sei mia madre.. giusto?- Misi tutta la forza che avevo nelle braccia   e con una spinta portai i piedi sulla soffice moquette bianca della sala. -Quindi..- appoggiai i piedi e mi tirai su, seppure i forti giramenti di testa; portando le mani ai fianchi come per mostrare la mia forza fisica in senso di vittoria. Richard mi sorrise dicendo – Certo che hai un bel coraggio a scendere dal letto con quella ferita- . Lo guardai mantenendo la mia forma di superiorità nei suoi confronti -Amy Barlow è come un leone, non si abbatte facilmente- gli sorrisi come non avevo mai fatto prima con i miei compagni. -Sapevo che eri tu... sin dal principio.- qualcosa nello sguardo di Richard si illuminò, lasciando che notassi i suoi splendidi occhi azzurri intensi come l'oceano. - Cosa?- chiesi io ritornando alla frase appena pronunciata, -Nulla di cui preoccuparsi... piuttosto ti andrebbe una passeggiata, più tardi?-
Notai nell'intonazione della sua frase il desiderio del mio “si”. Questo era un appuntamento...con un ragazzo...
Cercai di ricordare l'ultima volta che uscii insieme ad un ragazzo. Sarà passato almeno un secolo! Sforzai la mente in cerca di un nome con cui ricordo di aver trascorso alcuni momenti felici, ma fu come cercare un ago in un pagliaio, più ci riflettevo più l'unica persona che avevo in mente era Carter Garret. Ricordo i suoi capelli baciati dal sole e il suo sorriso intenso e perfetto. Avevamo circa dodici anni, eravamo soliti fare lunghe camminate nel vecchio parco della città; i lunghi tappeti di foglie e il profumo inebriante dell'autunno ci avvolgeva come coperte; per me erano stati momenti stupendi, il mio primo amore...
Adesso Carter ed io avevamo perso totalmente i contatti e da quanto ne sapevo in giro, frequentava il terzo sezione B. Scossi la testa per tornare al presente, e mi ricordai della proposta di Richard -Ecco io..- Ero davvero pronta per una nuova relazione? Non parlavo con un ragazzo da più di tre anni, eppure la conversazione con Richard sembrava così spontanea.
-Amy, capisco voglia prenderti del tempo.. quindi appena avrai deciso.. sai che puoi sempre contare su di me.- e mi sorrise, seppure era uno di quei sorrisi che celavano la delusione e la tristezza. Lentamente si voltò ed uscì dalla stanza.
Era stato così gentile a portarmi in infermeria ... nessun altro, apparte Ebby, lo avrebbe mai fatto..
Di tratto mi misi a correre uscendo nell'ampio corridoio illuminato da grandi vetrate. -Aspetta, Richard! - Mi fermai a circa due metri da lui; le gambe instabili dalla corsa. - Amy, ma come ti viene in mente.. non puoi sforzarti troppo!- si voltò e mi venne incontro,io alzai lo sguardo sorridendo esausta – Vuoi venire alla mia festa?-.
Sapevo che così facendo non avrei altro che incrementato le sue speranze su un possibile “fidanzamento futuro”, ma mi sembrava la cosa più adatta da fare... sono fatta così, prima di reagire non riflletto mai, impulsività? No.. credo sia un qualcosa di mentale: il cervello invia ordini, che vengono immediatamente eseguiti prima ancora che questi raggiungano i muscoli.
-A che ora? - Il suo sguardo riprese vitalità – Alle.. sette e mezzo?-.
Non avevo ancora preparato nulla, ma credevo avrei potuto organizzare qualche piccolo stuzzichino prima dell'ora predefinita. -Ottimo, ci sarò- mi fece l'occhiolino e sparì nei lunghi corridoi sempre più spenti col passare delle ore. Guardai il cielo da una delle finestre a me vicine, era tardi! La luce crepuscolare invadeva parte della scuola mentre lunghe ombre scure si dipingevano sui muri più nascosti. Dovevo scappare!
Passai per l'atrio principale e mi diressi verso l'entrata. La scuola era ormai deserta, nessun suono la circondava se non quello di alcuni stormi di uccelli passanti. Aspettai circa mezz'ora alla fermata dell'autobus mentre il cielo incominciava a farsi sempre più scuro.
L'autobus arrivò con circa un'ora di ritardo, mi ci infilai dentro e mi trascinai fino ad uno degli ultimi sedili sulla destra. Poggiai la mano sulla fasciatura, sentivo il respiro regolare e la frattura ad una delle ultime costole.. Angie...
La prossima volta le avrei rotto la mascella, me l'ero ripromessa. -Amy?.. Amy Barlow?- un ragazzo dall'aria familiare si alzò da uno dei posti vicino il conducente avvicinandosi lentamente. Barcollava incerto, aggrappandosi alle maniglie oscillanti dell'autobus. - E' da un pò che ti osservavo, sei tu vero?- e mi sorrise convinto. Io lo osservai più attentamente; ora che ci pensavo aveva la divisa della mia scuola e inoltre quel viso mi era familiare. -Si sono io..- , -Ehi, sono Carter! Carter Garret.. ricordi?-
Carter? Naaah, Carter Garret era più paffuttello e i capelli di un biondo più intenso.. non poteva essere lui, ne ero certa! -Carter?-;
-Si esattamente.. sei cambiata, dall'ultima volta che ti ho visto, se non fosse per i tuoi occhi smeraldo non ti avrei mai riconosciuta! - e scoppiò in una risata, a dir poco esagerata. -Bhè se tu sei realmente Carter.. quel Carter, sei totalmente diverso dalle scuole medie.- dissi io convinta che fosse uno scherzo.. ma così non era, quello che avevo davanti era proprio Carter Garret. Si sedette senza indugiare, al posto accanto al mio, il sorriso stampato sul viso. In effetti osservandolo meglio ricordava in alcuni atteggiamenti il Carter di una volta, il sorriso incorniciato da perfette labbra carnose e i denti fini e bianchi gli uni vicino agli altri; era soltanto diventato più alto e magro. -Cosa ti è successo lì?- chiese indicando con lo sguardo la mia fasciatura, -Ah.. niente, una piccola rissa – e gli sorrisi sperando che l'argomento “costola rotta” finisse là. -Ah capisco...- , -Anche io ne ho dovuta affrontare una poco fa, contro Jack di quinto, ricordi? Quello violento e sempre pronto a spaccarti i denti.-
Era tipico di Carter raccontare alcuni fatti effimeri e tipiche del quotidiano che lui però rendeva straordinari quasi come fossero ogni volta delle geste eroiche. Mentre lo vedevo atteggiarsi ed impersonarsi nel racconto un sorriso mi si dipinse sul volto. Adesso ne avevo la piena certezza: era Carter. Il mio Carter.
Mi lasciai improvvisamente avvolgere da un velo di tristezza e malinconia, riguardante il mio passato con lui, mi consideravo la ragazza più felice del mondo, anzi no, dell'Universo. Carter mi faceva sognare ad occhi aperti, lasciavo che mi cullasse in sogni meravigliosi e incantati attratta dai suoi racconti.. attratta da lui. Era tutto così perfetto ed intatto che sembrava appartenesse ad un'altra dimensione lontana miglie dalla realtà, dal presente.
-Mi ascolti? … Amy?- Improvvisamente Carter si voltò interrompendo il racconto e cercando il mio sguardo. -Si?- mi voltai di scatto cercando di capire cosa fosse successo per aver terminato il racconto. Per la prima volta dopo tanti anni, i nostri sguardi s'incontrarono; rimanemmo a fissarci per un tempo che sembrò interminabile: I suoi di un blu mai visto prima scrutavano i miei verdi tendenti al marrone, con un misto di stupore e meraviglia. Era come scoprirci per la prima volta nella nostra vita, incontrarci improvvisamente con un susseguirsi di eventi totalmente casuali, eppure così perfetti da sembrare predetti.
Poi notai Carter avvicinarsi sempre più, ormai il sottile strato d'aria che ci divideva era stato eliminato al contatto con i respiri sempre più agitati. Il cellulare iniziò a vibrarmi nello zaino, e distolsi subito lo sguardo imbarazzata. Carter si riprese e con cautela si riposizionò sul suo sedile, lo sguardo perso sul soffitto dell'autobus.
Era mamma. -Amy, dove cavolo sei finita? Mi sono presa un'accidente, sai? La scuola è finita da un pezzo, cos'hai fatto tutto questo tempo? Hai per caso fumato? Angie quella tua amica mi ha detto che stava con te poco fa e che stavate fumando!.. Amy ci sei rispondi!-
Angie? Non le bastava avermi fratturato un costola? Aveva persino raccontato menzogne a mia madre! -Mamma, è tutto ok.. Mi sono trattenuta soltanto un'oretta in più nella biblioteca scolastica per finire alcune ricerche- ormai il respiro era ritornato regolare. -Ah si? E .. cos'hai fatto nel resto del tempo?- mi disse la mamma con il suo tipico accento da detective “So già la tua risposta”. Controllai l'ora sull'insegna luminosa dell'autobus e.. cavolo erano le sette! Sussultai colta da un'improvvisa ansia di panico. Senza accorgermene riattaccai il telefono con la voce della mamma ancora squillante e adirata per la mia assenza. Mi alzai di scatto raccolsi lo zaino e mi diressi velocemente vicino la cabina del conducente. Carter mi seguì -Amy è la tua prossima fermata?- alzai lo sguardo sulla scritta in neon rosso:Boulevard Street.
Ero distante da casa almeno una ventina di chilometri, mi morsi il labbro dall'ansia. -Io abito a Waine Street oltre la vecchia sede dei vigili del fuoco-, -Bhè è abbastanza, per una fanciulla esile come voi, Barlow- e fece un inchino ridendo alla sua interpretazione. Mi lasciai scappare una leggera risata – Grazie Garret ma posso farcela anche da sola- cercavo di mantenere l'atmosfera da aristocratica.
-Eddai Barlow.. so che ti serve un braccio.. ricordi? Io ero il braccio e tu la mente!- Carter mi girava intorno quasi a volermi avvolgere dalla sua proposta. -Certo.. come potrei mai dimenticarlo?-.
Amy Barlow e Carter Garret la coppia più ”temibile” della scuola. Sempre pronti a lasciare il sorriso sui volti stanchi dei nostri compagni. Ne combinavamo di tutti i colori, secchi di vernice colorata, lotta del cibo, castelli di libri o corse spericolate nei corridoi. Abbiamo segnato la storia della scuola media, eravamo i più gettonati.. Eh sì proprio una bella coppia.
L'autobus accostò alla prossima fermata e Carter mi prese per un braccio tirandomi giù con uno strattone. Prima che potessi dire qualcosa l'autobus ripartì sgommando lasciandomi immersa in una nuvola di gas nero. -Allora.. dopo Waine Street.. giusto?- Mi chiese cercando di ricordarsi le strade della periferia. - Ma cosa ti è venuto in mente? La prossima fermata era a pochi metri da casa mia!- ecco che riemergeva la vecchia me, quella solitaria e scontrosa.
Carter non ne fece un problema, anzi si sbellicava dal ridere ad ogni singolo mio insulto! Dopo un pò mi accorsi che lo stavo seguendo e avevamo percorso già un bel tratto di strada, non me ne ero neanche accorta. -Carter!- impuntai i piedi al suolo e incrociai le braccia come una bambina; il viso crucciato e gli angoli della bocca rivolti verso il basso. Carter si voltò e mi scrutò attentamente, poi scoppiò in una risata realmente fastidiosa. Non sopporto le persone che mi ridono in faccia.. è da arroganti e presuntuosi!
-Ora basta! Piantala!- ma lui non smetteva di sbellicarsi dal ridere e mentre si divertiva da matto mise il piede in una fossa e inciampò all'indietro. Il movimento fu così ameno che improvvisamente la rabbia nei suoi confronti sparì e incominciai anch'io a ridere senza sosta. Devo proprio ammetterlo, Carter sa sempre come tirarmi su di morale, in questo non lo batte nessuno!
La serata volò via tra risate e ricordi contemplati e ci trovammo direttamente sul vialetto di casa. Le luci erano accese e dal movimento delle figure al suo interno, potevo dedurre che gli invitati erano arrivati. - Eccoti qui, credo sia questa.. giusto?- Carter aveva smesso di sorridere, le mani nelle tasche dei pantaloni segno di imbarazzo. -Si.. bhè benvenuto nella mia umile casa!- dissi mostrando con la mano l'entrata. -E' stato bello rivederti, Amy.. mi mancavano quei momenti...insieme- Carter adesso era più serio che mai; -Già anche a me -. Seguirono lunghi momenti di silenzio e poi mi ricordai della festa. -Senti.. Carter ti andrebbe di..- , -Ma certo che si,Madame- lo guardai sorpresa: di lui nulla è prevedibile. E ci avviammo ridendo all'entrata.
Aveva ragione, con lui non mi sarei mai sentita sola.

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Capitolo 5
*** La festa di compleanno. ***


La musica assordante rimbombava nella casa penetrando da una parete all'altra. Una calca di gente si spingeva nel salone. L'intera casa sembrava una discoteca in proprio. Rimasi allibita dal disordine incredibile nella cucina: piatti pieni di cibo, bottiglie di birra vuote e altre sostanze rivestivano l'intera stanza. Siamo sicuri che questa fosse casa mia? Da quanto la mamma conservava bottiglie di birra in frigo?

Mi voltai cercando risposte, ma non ottenni altro che frasi e insiemi di parole senza alcun nesso logico: metà degli invitati (oltre il numero da me previsti) era ubriaco.

Di sicuro Carter non avrebbe mai osato mettere più piede in casa di Amy Barlow; sarò bandita dalla sua vita come “ragazza della malavita”. Mi voltai verso di lui, cercando di formulare al più presto nella mia mente una scusa plausibile a tuto ciò ma per mia fortuna Carter non sembrava disgustato o meravigliato tutt'altro, era divertito!

-Accidenti che festa da urlo. Barlow non sei proprio cambiata!- e mi sorrise lasciandomi sulla soglia stralunata mentre s'addentrava, a ritmo di musica tra la calca. Almeno non avevo deluso Carter.

Poi vidi una chioma di capelli biondi agitarsi tra la folla. Mi sollevai sulle punte e vidi Angie Barret agitare il suo fondoschiena, coperto soltanto da una fascia azzura aderente. Cosa ci faceva qui? Questa volta non avrebbe distrutto tutto di nuovo. Mi feci spazio tra la folla, di corsa a dirgliene quattro in faccia. Giunta ormai a pochi passi da lei, riconobbi mia madre. Cercava di imitare le mosse di Angie ma le uscivano totalmente diverse; Angie sembrava una di quelle ballerine snodate, mentre mia madre una specie di robot mal funzionante che si muoveva a scatti. -Mamma! Che cosa ci fai qui!- l'afferrai per la manica della camicia e la feci scendere dal tavolo con forza. Mia madre smise di “ballare” e mi guardò con un sorriso mai visto prima. -Amy, finalmente! Ti stavamo aspettando! Vieni a ballare.. Angie mi sta insegnando alcune mosse da adolescenti - sembrava così attratta da Angie che quasi mi venne il vomito. -Mamma ma che ci fa lei qui? Io non l'ho invitata!- Urlavo così forte che avrei scommesso di rimanere senza voce il giorno seguente. Mia madre mi fece segno di non riuscire a sentirmi e si diresse nuovamente sul tavolo vicino ad Angie. Ero sconfortata ma soprattutto provavo vergogna nei suoi confronti. Dovevo fare qualcosa, o qui sarebbe finita male.

Senza esitare mi spostai vicino lo stereo nello studio, e con decisione premei il tasto di arresto. Lo stereo smise di vibrare e tutti si voltarono verso di me con un profondo Noooo.

Poi come se si trattasse di Mosè e le acque, Angie comparve tra la folla divisa e fiancheggiante il corridoio. Da come si muoveva, sembrava agitata e scossa. Non appena vide che ero stata io a spegnere lo stereo e ad aver fermato la folla si fermò esitante. Poi mi lanciò un sorriso malizioso –Amy il Pidoccio... sapevo che era opera tua, guastafeste- la folla di gente cominciò a deridermi e ad appoggiare Angie.-Questa è casa mia, e vi ordino di uscire tutti da qui!- la mia voce risuonò per tutte le stanze dell'abitazione e per un istante ho temuto di averli pietrificati tutti. Poco dopo la massa di gente che invadeva casa mia si era dileguata nel nulla.-Uff... meno male- pensai tra me,ma poco dopo un suono simile ad una sirena sostituì il baccano precedente.

-La famiglia Barlow? Ho qui un mandato per il casino fatto finora.. c'è un tutore in casa?- l'agente di polizia mi osservava annoiato dall'alto. Mia madre era in casa ma con tutti i problemi che adesso stava affrontando, non era il caso di accollarle anche questo.

-No mi dispiace, i miei sono f-fuori per cena- la voce mi tremava dalla paura, non ero brava a mentire! -Si certo... senti ragazzina, non ho tempo da sprecare con stupidi adolescenti come te che si mettono a fare casino per i quartieri-.

-Mi dispiace agente,n-non succederà più, lo prometto- e smascherai un sorriso da brava ragazza mal riuscito. -Intanto ti lascio una multa da centocinquanta dollari per aver disturbato la quiete cittadina.- e mi sorrise soddisfatto prima di sparire a bordo della sua vettura ambulante. E come potevo pagarla? Mi ci sarebbero volute ben tre settimane di pieno lavoro in pizzeria per riuscire a saldare un debito come quello! Sarei voluta sprofondare nell'oblio totale.

-Ciao Barlow, la tua festa ha fatto veramente schifo.- Angie mi passò davanti ancheggiando accompagnata da due giocatori di football del quinto anno. -Amy pensavo non saresti più arrivata.- mi voltai di scatto, Richard mi teneva gli occhi addosso. -Richard ho avuto una serie di contrattempi, scusa-; -Tranquilla, mi sono divertito con alcuni ragazzi che conoscevo comunque prima che vada volevo lasciarti questo.- Richard mi pose un astuccio di camoscio blu dalla forma allungata. Lo presi titubante. Ennesima delusione da affliggergli. Alzai lentamente lo sguardo su di lui: Ciocche ribelli di capelli castani ricadevano morbide sulle sue sue guance ben risaltate e i suoi occhi mi scrutavano attentamente nell'oscurità, come due bagliori nella notte.

-Ehm, grazie ma non posso accettare. - alzai lo sguardo dalla scatola e vidi Richard ansioso di oservarmi aprirla. Mi rassegnai al suo sorriso e con cautela sollevai la parte posteriore dell'astuccio. Una lunga serie di perle bianche risplendava nella notte, risaltando quel luccichio che le contraddistingue dalle imitazioni. Ma ciò che più di ogni altra cosa catturò il mio sguardo era un ciondolo di diamanti intersecati gli uni agli altri con tanta perfezione e bellezza che lo rendevano una delle poche cose da me considerate pù belle al mondo. Il luccichio mi penetrava negli occhi e un grande desiderio di indossarla mi invase il corpo. La tolsi dall'astuccio e feci segno a Richard di attaccare la giuntura dietro al collo. Lui si mosse rapidamente e prestando attenzione me la lasciò ricadere dolcemente. Le sue mani fredde toccarono il mio corpo caldo, e un brivido mi percosse il corpo, portai una mano dietro, sulla collana di perle, e Rick mi sfiorò, ma stavolta me la strinse con affetto. Mi voltai,e instintivamente tesi l'altra mano. Rick senza esitare me la strinse.

Ed eccoci lì, immobili e fissi come punti nello spazio, l'uno cerca l'altro e viceversa, come due traguardi da raggiungere.

Per la prima volta mi accorsi di quanto fosse affascinante ed attraente, la mia mente era incentrata soltanto sul suo volto. Ero come attratta dal suo sguardo.. dalla sua bocca.. da lui.

-Amy sei incantevole...- Mi disse posando il suo sguardo sulla collana.

-G-grazie Richard- e gli sorrisi per nascondere il mio imbarazzo. Abbassai lo sguardo sulle nostre mani, sempre più strette, e un fascio di nervosismo mi attraversò lo sguardo, un attimo dopo Richard le ritrasse. Poi gettando indietro la testa mi disse -Non avevo dubbi: sei tu quella che cercavo.-e un sorriso sarcastico gli si dipinse in volto.

Un lampo gli attraversò gli occhi, ed improvvisamente quell'atmosfera confortevole svanì e mi sentii circondata da strane ombre.

Avevo paura.

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Capitolo 6
*** Sogni e Realtà. ***


Indietreggiai lentamente, lo sguardo teso e preoccupato. -Che cosa intendi dire?- Richard si ricompose e fece scivolare entrambe le mani sui fianchi, chiuse le palpebre e poi le riaprì di scatto. Le pupille erano più dilatate e di un colore simile al grigio, un grigio intenso. - I tuoi.. occhi.. sono..- Non riuscivo a parlare e le mie gambe non davano segno di muoversi. Intanto assistevo terrorizzata alla sua “trasformazione”, vedevo Richard chinarsi finchè i muscoli delle sue spalle non diventavano talmente grandi da ridurre la camicia scolastica in brandelli, la colonna vertebrale sembrò uscire fuori dalla carne. Urla di dolore invasero il quartiere.

Mi portai la mano alla bocca come per soffocare le mia urla, di terrore, mentre il respiro irregolare mi invadeva il petto. Cos'era diventato? 

Poco dopo Richard smise di urlare e mettendosi in posizione eretta, lasciò che ciascuna delle sue vertebre producesse uno scricchiolamento. Adesso potevo vedere attentamente il suo volto: estese vene circondavano gli occhi ormai diventati quasi bianchi, la pelle vitrea aveva assorbito il rossore umano delle sue gote e denti affilati simili a canini risplendevano nella sua bocca carnosa. Prima che avessi tempo di reagire mi assalì, facendomi piombare al suolo con un tonfo.
Il cuore iniziò a battere sempre più rapidamente, pareva esplodere, mentre fiotti di lacrime mi rendevano il viso completamente bagnato. - Richard lasciami, lasciami - cercavo di divincolarmi,ma ad ogni mio tentativo sentivo conficcarmi qualcosa nelle braccia. Urlai dal dolore.
Avrei voluto che tutto finisse, avrei desiderato qualsiasi cosa pur di non essere lì in quel preciso istante. L'intero quartiere sembrava disabitato, le luci delle ville erano spente e soltanto un lampione illuminava il viale principale. Cominciai a muvere le gambe, sferzavo calci eppure quella cosa sembrava non staccarsi di dosso.
Sentivo il suo calore sulla mia pelle, il suo respiro affannoso e il dolore sempre più penetrante nelle braccia. Spostai lo sguardo nel punto di massimo bruciore e spalancai gli occhi allibita. Le sue dita erano affondate nei muscoli delle mie spalle, e sentivo continuare a spingere, finchè d'un tratto si fermò. Il sangue iniziò a sgorgare dalle ferite, sempre più rosso e denso.

-E' l'ora della vendetta- e aprì la bocca cacciando una lingua molto più lunga di quella umana, piena di scaglie e di un grigio scuro. Si leccò le labbra e si gettò rapido sul mio collo. La testa iniziò a girarmi, il dolore più intenso, sentivo ogni singola cellula del mio sangue,ogni singolo tessuto dilaniato. Era la fine.

Mi svegliai con il solito suono assordante della mia sveglia. Mi sentivo totalmente inebetita. Poi di colpo aprii gli occhi ricordando quella scena ancora impressa nella mia mente. Mi alzai di scatto e portai la mano al collo: era tutto intatto, non c'erano fori o tessuti dilaniati, poi osservai le mie braccia: niente. “Com'è possibile?” continuavo a ripetermi, sempre più allarmata. Osservai la sveglia: otto e mezza. Mi girai attentamente nella stanza, era la mia camera da letto e mi trovavo a casa.

Mi ricontrollai nuovamente davanti lo specchio prima di dirigermi in corridoio. Scesi di sotto ancora sconvolta. La casa era vuota. In cucina trovai un foglio attacato al frigo, era della mamma.

-Finisci i Cornflakes, e dopo ricordati di comprare l'insalata, stasera cena con papà.- Sorrisi all'idea di rivedere mio padre. E poi scorrendo gli ultimi righi lessi una nota: “P.s. Scusami per ieri, prometto di non rovinarti più la vita.”

Il sorriso sulle labbra era scomparso; ieri la mamma si era completamente resa ridicola davanti a metà dei ragazzi della mia scuola.
“Scuola?” La parola scuola mi fece appogiare i piedi al suolo, erano le otto e mezza dovevo scappare.

Mi voltai pronta ad uscire ma davanti a me comparve Richard. Urlai, prima dallo spavento improvviso, e poi dal ricordo del “sogno” fatto.

Lui rimase immobile, la mano destra appoggiata al bancone con un posa di assoluta rilassatezza e l'altra sul fianco. Appena urlai, vidi in lui comparire un sorriso.

-Buongiorno anche a te Amy-. I suoi occhi erano fissi sul mio “abbigliamento” da notte. Smisi di urlare e mi accorsi che ancora non ero vestita, indossavo soltanto una canottiera e un paio di pantaloncini troppo corti. Mi portai le mani sul corpo, in modo da coprirmi –Cosa? Dov'è il mio pigiama?.. Dov'è il mio pigiama!- sembravo un'isterica, ma subito dopo non aver ricevuto nessuna risposta, mi ricomposi imbarazzata. -E tu cosa ci f-fai qui?- . La mia domanda sembrò apparirgli una questione inspiegabile. -Davvero non ricordi nulla di ieri?- mi guardò incredulo.

Ricordare niente? Ma era uno scherzo vero? Richiard si era soltanto trasformato in un che di inspiegabile, e poi mi aveva solamente aggredita procurandomi ferite che neanche il chirurgo estetico più bravo e conosciuto del mondo avrebbe potuto rinsanare in una sola notte, ecco tutto.

-N-no, cos'è successo ieri?- feci finta di mostrarmi il più sbalordita possibile.

-Bhè d'altronde è normale...- e rimase pensieroso per alcuni istanti. -Amy dovresti andare a scuola, è abbastanza tardi, non credi?- Lo guardai con un'espressione interrogativa e lasciai che lui continuasse – Sono le otto e mezza passate, e tu sei.. bhè.. sei ancora in pigiama- disse lui osservandomi. Provai un certo imbarazzo a posare davanti ad un ragazzo quasi nuda. Corsi di sopra e misi la divisa il più in fretta che potevo e mi precipitai giù; Richard mi aspettava alla fine delle scale con una posa elegante e degna di un aristocratico. Mi fermai ad osservarlo. -Cosa stai aspettando?- il suo sguardo indecifrabile scrutò il mio rapido e sfuggente. Scesi i gradini lentamente uno ad uno, cercando di non mostrarmi troppo impacciata di quanto già non lo fossi. Non avrei voluto incontrare più il suo sguardo, il terribile ricordo della sera precedente, per quanto potesse essere stato soltanto un sogno, mi era parso così vivido da confonderlo con la realtà...

Terminati I gradini gli passai avanti senza neanche voltarmi, con lo sguardo fisso al suolo. Presi lo zaino e uscii. -Amy, hai intenzione di andare a piedi con quello?- Richard mi raggiunse in un attimo e mi indicò il braccio. Un enorme chiazza verdastra che partiva dal collo circondava tutto il braccio. Possibile che non me ne ero accorta?

Lasciai cadere lo zaino troppo concentrata sul quell'estesa macchia. Provai a toccarla e un dolore allucinante mi invase dalla testa ai piedi. Eppure avevo controllato quella mattina. Non c'era nulla, neanche un signolo punto o graffio.. niente!

-C-cosa?- dissi io sempre più allarmata. -Sali in macchina ti spiego tutto strada facendo.- e si diresse verso una macchina sportiva di un bianco lucido parcheggiata più in là, oltre la strada principale. Raccolsi lo zaino, e senza pensarci due volte lo seguii. Non mi importava nulla, di quanto fosse pericoloso, volevo assolutamente sapere qualcosa in più su quello che era accaduto realmente la scorsa notte. Salii a bordo, e chiusi di scatto la portiera. Poi mi girai furiosa verso di lui. Richard mise le chiavi nel quadrante della macchina e si voltò. -Esigo delle risposte!- e scostai i capelli per lasciare intravedere il livido sul collo.

Lui mi scrutava attentamente non soffermandosi soltanto sul collo ma continuando a scendere sino alle scarpe da tennis. -Allora? Mi hai sentito?- lui riportò lo sguardo stanco su di me -Senti Amy, perchè non la pianti e non ti allacci la cintura?- . Piantarla? Con chi credeva di avere a che fare. Non ero la sua bambola o sua sorella che potevo essere sgridata per cose neanche fatte.

-Com..- la macchina partì sgommando e io mi ritrovai ad un pelo di distanza dal vetro del parabrezza. La mano di Richard mi cingeva la vita. Mi girai verso di lui con un misto di spavento e sorpresa. -Te l'avevo detto di allacciare la cintura.- e sorrise non distogliendo lo guardo dalla strada. Mi rimise a sedere e io mi allacciai. Che cosa gli era preso? Era diverso.

Per tutto il tragitto rimasi in silenzio, imbarazzata per tutte le figure pubbliche fatte dall'inizio della mattinata. Lo sguardo fisso sul finestrino. Notai i sedili rivestiti in pelle chiara che affidavano alla macchina un senso di calore e sicurezza. L'auto era troppo costosa per un ragazzo... e poi aveva già la patente?

Mi voltai verso Richard -Hai la patente?-, -Perchè?- lo sguardo attento alla strada.

-Hai la mia età, giusto?-.

Richard si voltò verso di me sorridendo – E chi ti ha mai detto che ho la tua età?- una fitta di paura mi invase. Se non aveva la mia età perchè frequentava la mia stessa classe? Era stato bocciato... o magari non era umano...

-E q-quanti anni hai?- mi accorsi della mia voce tremante. -Ne ho quanti bastano per poter guidare.- e mi sorrise, parcheggiando nel cortile della scuola. Scesi e lo seguii. -E cioè... sedici?- chiesi standogli intorno.

Richard percorse l'intero tragitto fermandosi poco prima della grande scalinata all'entrata dell'edificio. -Muoviti sei in ritardo- mi disse indicandomi l'entrata. -Vorresti dire.. Siamo in ritardo.. non entri?- lo corressi e gli sorrisi nascondendo la mia agitazione. -Non oggi.. tu vai.- Lo guardai sbalordita.

-Ma i tuoi genitori non se ne accorgeranno?-, -Amy, entra e basta, se non vuoi che ti trasporti io.- e mi mostrò un sorriso poco onesto, da cattivo ragazzo. Raccolsi lo zaino ed entrai titubante, voltandomi a guardarlo ogni due passi. Lui era sempre lì, le mani nelle tasche dei suoi jeans Levi's, i capelli spettinati dal vento e lo sguardo sorridente e fiero.

Richard stava diventando sempre più sospetto, e ogni minuto che passava il mio cervello elaborava la teoria che tutto quello che era accaduto la sera precedente non fosse soltanto un sogno.. ma la pura e vera realtà.

Entrai in aula alle dieci passate eppure Miss Tayson non mi mandò in presidenza nè tanto meno fece una delle sue prediche lunghe un'ora, si limitò a dire: 'Entra Amy'. Inizialmente la guardavo con fare sospettoso ma poi subito dopo la ricreazione capii che non aveva nulla da dirmi. Persino Ebby mi parse più silenziosa del solito: oggi non aveva fatto altro che stare in disparte; ogni mio tentativo di iniziare una conversazione veniva stroncata da monosillabi. Che stava succedendo? Avrei voluto urlare al mondo di notarmi, avrei preferito un'ora in detenzione ed essere derisa da metà scuola invece di passare il resto della mia esistenza nell'ombra. La campanella segnò la fine della giornata. Mi alzai e mi diressi fuori. Cos'è che non andava oggi? Ero io o si trattava dei miei compagni?

Fuori vidi Richard aspettarmi vicino la sua auto. Era appoggiato con la schiena alla porta anteriore e mi sorrideva. Che cosa voleva ancora da me? Mi voltai in cerca della persona a cui stesse sorridendo, ma non c'era nessun'altro che ricambiava, stava guardando me. Non avevo la minima intenzione di avvicinarmi a lui e così cercai di evitarlo dirigendomi verso Carter e il suo gruppo. Non mi voltai neanche a vedere se lui si fosse mosso per seguirmi, ma mi limitai a camminare nella direzione opposta. -Amy! - Alzai lo sguardo contenta che finalmente qualcuno volesse parlarmi, ma notai lo sguardo sconvolto di Carter posato sul mio collo.

-Ho preso una bella botta, eh?- cercavo di sdrammatizzare avvicinandomi sempre più, ma la frase sembrò non avere effetto, i suoi amici mi guardavano con espressioni accigliate. -Credo che tu abbia sottovalutato la cosa.- Carter mi parlava così seriamente da incutermi paura. -Perchè? È un semplice livido- e risi nervosamente. -Amy.. - Carter indicava il mio collo indietreggiando sempre più. -Si che succede?- Cercavo di capire se era il caso di scappare o urlare. -Il tuo collo sta.. sta sanguinando!- Carter mi guardava preoccupato mentre notavo la folla di studenti avvicinarsi sempre più in cerchio. Mi portai la mano al collo presa dall'ansia, una sostanza liquida e calda bagnava il collo, la portai tremante dinanzi agli occhi e vidi il sangue macchiarla di un rosso così forte. Un'odore di ferro mi circondò, la camicia un attimo prima bianca era totalmente rossa. Urli si levarono da alcune ragazze vicine. Sentii il dolore crescere sempre più e il sangue pulsare dalla vena del collo. Le gambe mi lasciarono improvvisamente ma delle mani calde corsero a tenermi; Richard era dietro di me, lo sguardo fisso sulla mia ferita. Mi prese in braccio e mi portò sino alla sua auto.
La vista era annebbiata ma la coscienza no. Avrei lottato sino alla morte per restare lucida. Sentii la macchina sgommare via sulla strada. L'ultimo ricordo che ho è l'auto parcheggiata davanti un edificio. Era notte.

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Capitolo 7
*** Amira ***


Eccomi sdraiata su un materasso coperta solo da un lenzuolo girgio.
Il collo era ancora indolenzito mentre la vista totalmente nitida. Mi alzai e mi accorsi di trovarmi in una stanza nuova. Le pareti erano rivestite da una carta da parati, in alcuni punti rotta. L'intera stanza era piena di polvere e l'odore nauseante. Aprii la finestra e l'aria fresca mattutina entrò nella stanza. Inspirai profondamente.
I miei vestiti erano poggiati con cura su una sedia sgangherata nel bagno. La camicia era ancora intrinseca di sangue. Allora non era stato un sogno! Mi guardai attentamente il collo e un cerotto rettangolare e molto largo copriva la parte che aveva sanguinato. Mi affacciai alla finestra e vidi l'auto bianca di Richard parcheggiata di sotto. Doveva essere qui.. questa volta non l'avrebbe passata liscia. Poi d'un tratto la porta della stanza si aprì e Ricard entrò di spalle portando un vassoio. Pensai di batterlo sul tempo per una volta e mi posizionai al centro della stanza, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso su di lui.
Quando si voltò rimase sorpreso, poi restò ad osservarmi attentamente. Che cosa avevo di tanto “strano”? Poi abbassai lo sguardo e mi accorsi di essere solo in biancheria intima. Afferrai il lenzuolo e me lo avvolsi intorno. -Pensavi di sorprendermi? Bhè l'hai fatto- e rise. Io gli lanciai un'occhiataccia -Bhè ti sbagli, volevo solo... - il mio sguardo si posò sul vassoio che aveva tra le mani: due grosse ciambelle fumeggianti e un tazza di latte facevano il quadro perfetto per una colazione ideale.
-Sono per te Amy- disse porgendomele. -Per me?- chiesi incredula. -Si prendine quanti ne vuoi ma fai presto.- scattai e ne diedi un bel morso. Ero super- affamata, non toccavo cibo da quasi due giorni.

In due secondi avevo divorato tutto. -Affamata da quanto vedo.- e rise, di nuovo mi osservava con attenzione. -Che cos'hai da guardare?- chiesi io schietta. -Ehm... niente, solo che sei una bella ragazza- abbassò lo sguardo imbarazzato. -Non posso rimettere i miei vestiti sono sporchi di... sangue.- dissi io coprendomi bene con il lenzuolo. -Mi sono preoccupato io per questo, tieni.- e mi porse una maglia blu da uomo larga almeno il mio triplo. -Stai scherzando vero?- non avevo alcuna intenzione di indossare una cosa del genere.

-Bhè fai come vuoi, a te la scelta, la camicia o la maglia?- detestavo quando l'aveva vinta lui. Presi con forza la maglia e mi chiusi in bagno. La indossai. Mi copriva fin poco sopra le ginocchia. Afferrai la gonna scolastica. Quando uscii vidi Richard sorridermi per l'abbigliamento.
-Che c'è di così divertente!-, -Tieni- e mi lanciò il suo giubbino di Jeans. -Mettilo da sopra, non avrai freddo.- Lo indossai senza pensarci due volte. Misi le converse ed ero pronta. -Bene andiamo- Richard si alzò e mi aprì la porta. -Andiamo dove?- chiesi accigliata. -Devo portarti in un posto-.

Questo non mi piaceva affatto.. che voleva farmi? Era il caso di chiamare mia madre.. ma il cellulare era nello zaino.. che avevo dimenticato nella sua macchina.

-Puoi sognartelo, Stronzo.- Amanda si sta surriscaldando, attento. Richard si voltò verso di me, -Cos'è che hai detto? Non ho sentito bene.- mi guardava infastidito. -Stronzo.-
2-0 per Amanda.
Tutto questo non era da me,io non ho il coraggio neanche di rispondere quando vengo offesa, figuriamoci di offendere. Rimasi lì ferma a guardarlo con aria di sfida. Lui si voltò per uscire, mostrando un leggero ghigno soddisfatto e improvvisamente 
mi si avventò contro, spingendomi verso la parete destra della stanza. In un attimo mi aveva immobilizzato i polsi, portandomi le braccia in alto. Erano immobilizzate anche le gambe.

-Ripetilo se hai il coraggio.- Richard respirava affannosamente cercando di controllare l'ira. Urlai dal dolore, i polsi erano come sul punto di spezzarsi. Mi lasci, allentando la presa. Richard si scostò lasciandomi passare avanti. Io lo guardai di sbieco lanciandogli uno sguardo carico di disgusto. Lui uscì e insieme scendemmo le scale.
-Amy vai in macchina. - ubbidii subito, richiusi lo sportello e scoppiai a piangere. Mi rannicchiai il più possibile cercando di creare uno scudo intorno a me. Poi mi ricordai del telefono, mi voltai verso i sedili posteriori e lo zaino era ancora lì immerso nella chiazza di sangue. Lo afferrai e cercai il telefono. Digitai i tasti il più velocemente possibile.

-Pronto è il distretto del New Hampshire qui che parla, chi è lei e mi dica come posso essergli da aiuto - New Hampshire? Ma ero dall'altra parte dello stato. Fui presa da un attimo di panico.. dove voleva portarmi?

-Pronto.. sono Amy Barlow, sono stata...- Richard stava uscendo dal motel.
-Si mi dica che succede- Riattaccai di scatto e nascosi il telefono nella sacca dello zaino. Richard salì a bordo e vide il mio volto preoccupato. Io cercavo di nascondermi il più possibile ma era evidente che avevo pianto. -Amy,guardami- la sua voce era più dolce del solito. Alzai lentamente lo sguardo, il rossore mi invadeva le guance. -Mi dispiace per prima, volevo solo..- non finì la frase che abbasò lo sguardo sullo zaino. Con uno scatto lo tirò su e lo interpose tra me e lui. -Che cosa ci fa questo qui?- il suo tono era diventato nuovamente grave. -L'avevo preso per i fazzoletti- era l'unica scusa plausibile. -Non ti credo- aprì la tasca avanti e cacciò il telefonino. -E questo allora? E una coincidenza che questo sia qui?- lo prese ed incomiciò a digitare dei tasti. -Hai chiamato la polizia?! Ma sei pazza!- I suoi occhi stavano nuovamente mutando... erano quasi grigi.. di nuovo... allora non era un sogno. Portai le ginocchia al petto e mi richuisi scoppiando  nuovamente a piangere. Se dovevo morire, non volevo vedere il mio assalitore negli occhi.
Ma Richard accese la macchina e partì. Io rimasi così per tutto il viaggio.
Dopo un pò le gambe incominciarono a farmi male, le abbassai lentamente sedendomi composta. Richard si voltò a guardarmi -Allaccia la cintura- lo feci senza troppe storie e mi voltai dall'altra parte. -Quindi è questo ciò che sei...- dissi io lo sguardo altrove. Nessuna risposta.
-Credi che nessuno lo saprà? Io ne uscirò viva da questa storia e lo racconterò in giro.- ero più sicura che mai. -E' giunto il momento.- Richard accostò in mezzo al nulla. Spense il motore e si voltò sorridendomi. -Abbiamo scherzato troppo ma adesso è giunta l'ora di affrontare la verità.- e mi sorrise sarcasticamente.

-Aspetta.. vuoi uccidermi?- iniziai a preoccuparmi. Lui scese dalla macchina e aprì la mia portiera, -Scendi- la voce dura. -Aspetta, parliamone!- lui mi prese per un braccio e mi tirò giù. - Cammina, e piantala!-
 -Smettila,mi fai male, lasciami!- urlavo più forte che potevo ma il posto era disabitato. -Va bene se è così che vuoi che faccia..- mi prese per le gambe e mi tirò su posizionandomi sulle sue spalle possenti.Sembravo un enorme sacco di patate.

Mi trascinò al centro della radura nonostante le mie grida e la mia resistenza. Mi fece scendere dopo aver camminato per almeno sei chilometri. Mi appogiò al suolo con cautela. Poi scrollò le spalle -Alzati-. Ma io mi rannicchiai sperando che tutto passasse. -Non funzionerà un'altra volta, Amy!- mi tirò su dalle spalle. -Lasciami andare! Assassino!- lui mollò la presa e iniziò a ridere. - Assassino? Coraggio sollevati- Mi trascinò vicino a lui, il fiato sempre più pesante . -Ti prego lasciami andare.- chiudevo gli occhi e stringevo i pugni.

Sentii le sue mani accarezzarmi il collo, e poi un Tac aprii gli occhi e vidi tra le sue mani la collana che mi avava regalato. -Puoi tenerla se ti va.. ma lasciami andare.- lo suppliccai. Lui mi guardò sorridendo,mentre stringendomi forte a se disse

-Bentornata Amira-.

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


Bagliori di luce incadescente ci avvolsero come un manto trasparente. Sembrava di trovarsi al centro di urugano, dove tutt'intorno ruotano confusionariamente oggetti e abitazioni. Sentivo l'aria scatenarsi su di me, i vestiti gonfiarsi fino a quando la pressione fu tale che l'ossigeno venne compresso. Non riuscivo a respirare, venni inghiottita in un vortice di lampi e colori sempre più stretti. Mi tenevo a Richard solo attraverso una stretta di mano, improvvisamente l'aria ci sollevò. Lui se ne stava lì immobile con un sorriso di soddisfazione sul volto e le palpebre chiuse come se aspettasse di essere trascinato via dal vortice. Ormai ero sul punto di mollare, non avrei resistito un altro secondo, lasciai la sua mano mentre un urlo di terrore mi bruciò il petto. -Amira, svegliati.. Amira!- la mia mente era ancora in uno stato di assoluta confusione. Aprii gli occhi, felice di essere ancora viva, dopo essere stata trascinata in un vortice senza fondo. Mi alzai e mi guardai intorno: Richard sedeva accovacciato sulle ginoccha vicino a me, lo sguardo dolce e sorridente. Ero ancora nella radura, soltanto che il cielo era invaso da nuvole promettenti pioggia. Guardai le mie mani, ero viva!

-Richard.. ma cos'è successo?- , Lui mi venne incontro lasciando che mi abbandonassi fra le sue braccia. -Amira... finalmente...- Richard mi guardava con tanta dolcezza, mai vista prima.  Ed improvvisamente non temevo più le sue azioni, tra le sue braccia era come essere chiusa in casa durante un'acquazzone torrenziale, con lui accanto non temevo nulla. Una lacrima di ghiaccio gli scivolò giù sino alla bocca. -Non temere mia Principessa, adesso ci sono io- .
E mi baciò dolcemente la guancia sporca di fango. Mi trasportò sino ad una struttura, non ricordo bene come e quando, ma l'unica cosa di cui sono certa è che sembrò stesse volando. Sentivo l'aria fredda abbattersi sul mio viso terreo, mentre il corpo di Richard era stabile quasi fermo, ma rapido nello stesso istante: percorreva un tragitto, che sembrava conoscesse bene, nella fitta foresta, addentradosi sempre più attraverso torrenti e abeti. L'intenso odore dei pini mi penetrava nelle narici sino ai polmoni, mentre i battiti del mio cuore iniziavano a rallentare,muovendosi in simbiosi con la natura cirscostante. Il mio udito si ampliò, potevo udire ogni singolo movimento o sussurro e per la prima volta mi accorsi di quanto la natura non fosse affatto silenziosa: sentivo le foglie degli alberi cadere trasportate dal vento, o alcuni animali muoversi furtivamente tra i rami. Tutto aveva un posto in quella piccola parte di mondo. Ripresi la piena coscienza dopo essermi risvegliata su un morbido divano bianco. Scesi barcollante e mi raddrizzai osservandomi intorno. Era un salone. Di quelli antichi. Le pareti erano di un giallo opaco con decorazioni bianche, e grandi vetrate con i bordi in legno che lasciavano cadere lo sguardo sulla radura. Era un paessagio spettacolare, sembrava un quadro, per quanto fosse perfetto e privo di errori. Abbassai lo sguardo sul pavimento, lucido e di marmo, la mia immagine era riflessa sul suolo: vidi una me, totalmente differente dalla Amy Barlow di due giorni fa; Due grosse occhiaia rendevano il mio volto stanco e sofferente, mentre i miei capelli avevano perso quella lucentezza di alcuni giorni precedenti; persino il mio sorriso non era più lo stesso...
Indietreggiai per allontanarmi da quella immagine riflessa e andai a sbattere contro qualcosa di duro. Mi voltai imperterrita -Amira ben svegliata..- Richard mi osservava sorridendo. -R-richard... cosa vuoi ancora da me? Dove mi hai portata? - ero sempre più stufa di non poter conoscere i suoi intenti. -Dimmi la verità! … Cosa sei tu - per un secondo vidi il suo sguardo luccicare, ma poi riprese la sua espresione fredda e distaccata. -Amy...- pronunciò il mio nome con tanto rancore e delusione che credei di aver commesso qualcosa di molto grave, di impensabile. 
-Cosa?- chiesi io abbasando lo sguardo per raccogliere le mie idee e -Cosa c'è che non va... in me? Non sono abbastanza per sapere cosa sta succedendo? O temi che io possa rimanere sconvolta dal tuo.. essere?- non mi accorsi neanche di piangere finchè lui scrutandomi attentamente posò la sua mano calda sul mio viso e con un gesto affettoso asciugò una lacrima. -Amy... io credevo... non puoi sapere!- e tirò indietro il braccio come a voler impedire di ferirmi, ma io lo trattenni serrando i denti. - No, dimmi -.

Lo sentii sussultare e poi come colpito, lasciò che il suo subconscio accettasse la sua rivelazione a me... un'estranea.

-Io non sono un umano...-, abbassò lo sguardo e poi di colpo lo rialzò osservando la mia reazione -Sono un essere dell'inferno, uno spregievole mostro al servizio dell'inferno..- Il suo sguardò lasciò intravedere il disprezzo per sè e per la sua reale natura. -Inizialmente ero una creatura benevola, ero un angelo.. ma successivamente, venni tirato in inganno dal diavolo... e io fui risucchiato nell'inferno costringendomi ad essere ciò di cui io temo..-. Le sue parole mi risuonavano nella testa. “Non umano” “Mostro spregievole” Cos'era realmente Richard?

-C-cosa sei esattamente?- ero incerta sul conoscere la verità, ma sapevo che era la cosa più giusta da fare in quel preciso istante. -Sono un mostro..- lo sentivo singhiozzare mentre lentamente si accasciava al suolo affranto. - Quindi la scorsa sera.. non si era trattato di un semplice sogno.. ma allora il livido? È comparso dopo che io avevo controllato di non avere nulla!- Lui alzò il volto -Si.. è successo, e non posso perdonarmelo.. Quando perdo il controllo dell'ira mi trasformo.. in ciò a cui tu hai assitito.. perdo i sensi, e prima che io me ne accorga, ho bisogno di ore, se non giorni per prendere la mia forma umana..- si rialzò asciugandosi il viso.- Ma adesso sono il tuo custode.. Amira- e si inclinò mostrandosi determinato e deciso.

-Amira?- chiesi io perplessa... -Si, Principessa Amira-
Troppe cose erano accadute nell'arco di due giorni, la mia mente aveva bisogno di un pò di tempo prima di riflettere. -Il tuo vero nome è Amira. Sei la prescelta, la ragazza in cui è scritto il nostro destino.- mi osservava introducedo tutte quelle informazioni nella mia mente pronta ad esplodere – Sei figlia dei due imperatori di Luxia, una terra lontana dal posto in cui tu sei cresciuta.-. -Frena, frena amico!- dissi portando le mani avanti. -Cosa diavolo stai dicendo? Portami a casa ne parleremo più tardi!- E lo presi per una manica, ma lui non si muoveva di un millimetro. Provai e riprovai ma sembrava essere incollato al pavimento dunque mi rassegnai e caddi a terra. -Amy senti.. so che non ci crederai ma..-, -Crederci?- feci una risata carica di tensione -Non sono più una bambina ormai, nessuno crede a questo genere di cose...infantili..smettila Rick!- ma lui restò impassibile anzi infastidito .-Amy non sto scherzando.- il suo sguardo rimase serio e fisso su di me, che incominciavo a credere fosse solo un brutto incubo. -Rick smettila..mi fai paura.-e indietreggiai sempre più. -Il mio compito era quello di trovarti e riportarti qui, a Luxia per ordine di tuo padre.- Lui mi seguiva con passo fermo.
Mio padre? Era a casa in questo istante e molto in pensiero per me...
Incomiciai ad urlare aiuto ma Richiard avanzava sempre più, fin quando io non mi fermai accostata alla prete e lui ad un passo da me. -Alzati- .

Mi guardai intorno in cerca di un'uscita più vicina ma c'era solo un'entrata e questa era da tutt'altra parte della stanza. Mi alzai cercando di non mostrare il mio desiderio di evadere al più presto. -Bene.. se incominci ad ascolatrmi da adesso, avrai eliminato già una serie di difficoltà.-Il suo sguardo non lasciava trapelare nulla...era di ghiaccio. -Ora seguimi, ti porto a conoscere la tua patria- e si avviò. Io lo seguii. Mi guardai attorno e c'erano due rampe di scale una a destra e l'altra a sinistra. Entrambe portavano al piano terra. Richiard si fermò ad osservarmi sulla scala alla mia destra. Era il mio momento: se riuscivo ad evadere da lì, sarei stata libera di tornare a casa. Guardai furtiva la rampa di scale opposta a quella dove sostava Richard e presa dal panico iniziai a correre.
Appena intuite le mie intenzioni, si precipitò ad inseguirmi. Il fiato sempre più irregolare, lasciava scandire i battiti del mio cuore. Temevo il peggio. Non mi voltai neanche una volta a guardare se lui era ancora lì a seguirmi, continuai a correre a perdifiato. Scese le rampe, presi un lungo corridoio addobbato con una serie di quadri illuminati dalla fioca luce di poche candele; terminato il corridoio presi l'uscita sulla destra, altre scale e... finalmente la luce.

Un grandissimo cortile verde prese spazio nella mia vista. Mi fermai d'impatto, e rimasi ad osservare tanta meraviglia: rose bianche e rosse circondavano il viale principale, mentre grandi quercie secolari creavano vaste zone d'ombra. Chiusi gli occhi incantata da quella bellezza e mi lasciai trasportare in un flusso di ricordi. Ero io. Immersa in quel prato verde a correre e a ridere, dietro di me c'era un altro bambino, poco più alto di me. Giocavamo a rincorrerci tra i campi di tulipani e margherite, nella fresca mattina d'estate. I miei capelli era sciolti e sulla testa portavo un grosso cappello bianco, gli abiti erano pressochè antichi; un corpetto e una gonna larga che ricadeva morbida alle caviglie. Non ricordavo di aver mai indossato un vestito del genere.

Il bambino aveva degli splendidi occhioni blu notte, che traspiravano di felicità, il suo sorriso e il suono della risata erano così soavi da essere in perfetta armonia con quella giornata estiva. -Aspettami!- il bambino continuava ad inseguirmi con il dolce suono della sua risata, -Amira!- Al richiamo di quel nome io mi voltai. Gli sorridevo felice ed esausta. “Non ero io... io sono Amy” continuavo a ripetermi.

Poi il bambino cambiò espressione ed ogni secondo, minuto che passava il suo vuolto e il suo corpo mutarono.. persino la sua voce divenne più grave. -Amira..Amira..Amy- Il suo volto divenne simile a quello di un adulto. La sua espressione più accigliata e gli occhi avevano perso quella gioia e spensieratezza infantile. -Amy- aprii gli occhi portandomi la mano al petto. Era lui... era Richard!
-Devi smetterla di scappare, non puoi sfuggire a ciò che è il tuo destino- lentamente mi voltai e Richard era lì le mani sulle mie spalle e l'espressione crucciata. -Tu..tu sei sempre esistito.- barcollai sconvolta. -Si Amy.. siamo sempre esistiti.. tu ed io.. eravamo come due fratelli.- notai un cenno di tristezza nella sua frase. Improvvisamente tutti i miei ricordi accumulati finora, tutti gli anni della mia vita trascorsi sulla Terra vennero accostati a quelli in un altro mondo, un'altra dimensione.. io e Richard... due Universi distanti e totalmente diversi gli uni dagli altri eppure così vicini da sembrare uniti. Nella mia mente venne creato un baule con una targa “Amira” accostato vicino a quello con su inciso “Amy”. L'unica differenza tra i due contenitori era che quello di “Amira” si fermava sino ad un certo punto della mia vita, mentre il baule di “Amy” continuava a racimolare ricordi fino ad ora. Mi sentivo così vuota.. così tristemente delusa..
Per tutti quegli anni ho sempre sostenuto che la famiglia era l'unica cosa su cui poter contare eppure proprio adesso, il valore più grande, mi pugnalava alle spalle, facendomi credere che tutti gli insegnamenti fatti finora fossero una grande menzogna. Cercai di scavare più in profondità, nella miriade di ricordi in cerca di qualcosa che testasse la verità su tutta questa storia...ed eccola! Un'immagine, sfuocata, eppure segno che di quanto detto esistesse una piccola parte di verità. L'immagine era di un ragazzino, alto, dai capelli castani e da un sorriso perfetto. Occhi scuri eppure chiari allo stesso istante e dalla risata dolce... era lui Richard. Per tutto questo tempo credevo che la figura di questo ragazzo fosse solo un'illusione, un personaggio dei miei sogni, quando in realtà era stato presente in ogni singolo momento della mia vita... lui era sempre stato lì, vicino a me.

Ritornai sulla terra, più sconvolta di prima ,mentre vedevo Richard scuotermi per farmi riprendere dallo shock. Mi trascinai indietro -Tu...- , -Perchè hai voluto che ciò accadesse solo ora..perchè?!- e scappai via piangendo lasciandomi alle spalle la mia vita da ragazza “normale”. Corsi fino a quando le gambe non si accasciarono al suolo, ormai esausta. Gli occhi erano ancora rossi dal pianto e sentivo brividi di freddo percuotermi il corpo. Ero in aperta campagna, immersa in chissà quale stato da sola e stanca. Mi portai le mani alla testa mentre con forza cercavo di redimere ciò che avevo scoperto. Avrei fatto volentieri ritorno nel passato per cancellare quella parte della mia infanzia che sapevo non appartenermi per non ritrovarmi catapultata qui nel presente,immersa in ciò che a stento riconoscevo come realtà.

Crollai dal sonno. Sapevo perfettamente che dormire all'aperto, nel bel mezzo di una radura, non fosse il posto più sicuro dove sostare ma ormai ero fermamente convinta che la mia esistenza non aveva più alcun senso. Ero pronta alla morte.

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