Se non ti avessi incontrato...la mia vita sarebbe stata molto più semplice.

di Nerea_V
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Era ormai due giorni che gli stavo dietro, ma di lui nessuna traccia. Aveva lasciato una scia di persone scomparse e di cadaveri da un mese ormai e c’era di sicuro qualcosa sotto. La polizia non ci saltava fuori con le indagini e non c’erano veri indizi che portassero a un serial killer. In più ero andata personalmente nelle case delle vittime dove avevo reperito l’inconfondibile indizio che si trattava di qualcosa di soprannaturale. Zolfo.
Le case ne erano cosparse. Per i poliziotti non significava niente, sembrava più una specie di firma di un pazzo. Ma io sapevo cosa significava. Tutte le ragazze e i ragazzi scomparsi erano stati presi da uno spettro.
Dopo questa scoperta feci ricerche approfondite sulla città di Elmore in Ohio, dove adesso mi trovavo. Ma niente di significativo. Solo strani eventi atmosferici ed interferenze elettromagnetiche in tutto il villaggio.
Nonostante la scarsità di informazioni ero comunque riuscita a ricostruire una specie di pista. Le sparizioni erano cominciate in periferia, nelle case isolate dal centro del villaggio e da poco tempo avevano cominciato ad avvicinarsi sempre di più al villaggio, muovendosi come una spirale lo spettro stava razziando ogni famiglia di Elmore.
Seguendo quelle tracce arrivai alla possibile futura vittima. Si trattava di una giovane famiglia della periferia, con tanto di fienile e recinto per cavalli. A quanto ne sapevo negli altri rapimenti non era successo niente a nessuno oltre il prescelto dalla creatura. In questa famiglia c’erano diverse possibili prede purtroppo. In quella casa infatti viveva il nonno, un uomo e una donna sposati, due bambini e una donna che secondo le mie informazioni era la zia dei marmocchi.
Non sapevo da che parte cominciare per l’identificazione di chi dovevo salvare, così mi appostai dietro un albero ad osservare i loro movimenti e intercettare qualsiasi cosa di anomalo ci fosse in quella casa. Tutto era però molto tranquillo. Il nonno era seduto sul divano con il padre dei bambini a guardare la televisione. La madre riordinava la cucina e la zia metteva a letto le bambine. A quanto vedevo la più piccola doveva avere sì e no quattro anni e quella più grande almeno il doppio. La zia si mise in fondo al loro letto per raccontargli la favola della buona notte e il mio petto ebbe una stretta di amarezza. Non ricordavo quasi più il volto di mia madre. Certo avevo una sua vecchia foto sempre con me, ma ogni volta che la tiravo fuori mi ritrovavo a chiedermi chi fosse quella straniera. Poi pochi particolari un neo, i capelli con quei magnifici ricci mi riportavano alla mente alcuni ricordi ormai sepolti nella mia mente. Ma ormai era sempre più difficile ricordare.
Tutto quello che avrei sempre voluto era non sapere quanto potesse essere orribile il mondo e poter avere una vita normale, ma ormai non potevo più separarmi da quella che era diventata la mia professione e la mia vita.
Prima di ricadere nel vortice di tristezza, che troppo spesso mi circondava, notai un movimento sospetto nella camera delle bambine. Mi concentrai e capii che era la donna che era appena uscita dalla stanza lasciando la camera in semioscurità. Mentre controllavo che non fosse successo altro vidi un ombra muoversi e uscire fuori dal cespuglio di fianco alla finestra proprio di quella camera. Notai che stava forzando l’apertura ed entrai subito in azione. Mi fiondai con la mia sbarra di ferro in mano e sale pronto all’uso nell’altra. Gli ero quasi addosso quando un'altra ombra uscì sempre dal cespuglio e mi buttò a terra bloccandomi le mani a terra, ma io mi liberai in fretta da quella presa passando una gamba sul suo fianco e ribaltandolo. Poi mi feci forza sulle gambe e tornai in piedi per buttarmi su l’altra ombra. Il mio colpo fu bloccato a pochi centimetri dal suo petto. Mi girai cercando di liberarmi mentre tiravo fuori il sale e glielo sbattevo in faccia. Ma non successe niente.
A quel punto, nonostante mi fossi riuscita a liberare, mi bloccai. Che cosa stava succedendo? Non potevo aver sbagliato con l’interpretazione dei segni che aveva lasciato in giro la creatura. Era di sicuro uno spettro, ma come poteva essere immune al sale?
L’ombra a terra nel frattempo si era alzata e si stava per avventare su di me con quella che sembrava una sbarra di ferro.
- Fermo Sammy!- Gridò l’ombra accanto a me.
Mentre quella si fermava io mi girai e corsi via. Non sapevo cosa potevano essere, dovevo ritirarmi e scoprirlo per poterli sconfiggere. O era la fine sia per me che per l’intero villaggio.
Ma senza che me ne accorgessi, e non c’è bisogno che me lo diciate lo so anch’io che è stata una grossa mancanza, mi furono addosso. – No, Sam! - Sentii uno schianto metallico e un forte dolore alla testa. Poi persi l’equilibrio e tutto fu nero.






**______Angolo dell'autrice______**

Salve!
Questa è la mia prima FanFic e non so sinceramente come sia venuta, per questo ho deciso di provarla a pubblicare qui, in modo da poter sapere cosa ne pensate :)
leggetela e possibilmente (se vi va) lasciate un commento. 

Grazie infinite.

P.S. so che è corta come partenza, ma presto metterò il seguito :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***





-Elena!- Sentivo le grida di una donna come in un sogno. Sentivo e percepivo ogni cosa attorno a me in modo offuscato. Non ricordavo dove mi trovavo ne cosa stavo facendo poco prima di perdere i sensi. – Elena! Dove sei?!- Un altro grido mi riscosse. Cercai di aprire gli occhi ma tutto era appannato. Dopo averli sbattuti diverse volte capii che era colpa ti tutta quella polvere che cadeva e volava dal soffitto.
Tirandomi su capii che era crollato gran parte del soffitto sopra di me. Poi cercai di rimettermi in piedi, ma la testa girava troppo e la mia gamba destra faceva troppo male perché mi potesse reggere. E ad un tratto capii. Non era crollato il soffitto del piano di sopra, ma il pavimento e io con lui!
-ELLY!- Un altro grido. – Ti prego rispondimi! AAAH!- Poi un tonfo e più niente.
 
 
Pian piano tornai presente a me stessa.  Prima di provare ad aprire gli occhi cercai di ricordare cos’era successo. Intanto avevo di sicuro preso una botta in testa, dato il bruciore che avevo al lato destro del cranio. Mi trovavo su qualcosa di morbido, forse un letto o un divano, e non ero legata. Strano. Doveva essere qualcosa di davvero potente se poteva rischiare di lasciarmi libera e viva.
Poi ricordai le due ombre, la lotta fuori dalla casa, le grida di una delle due e il forte schianto della sbarra di ferro sulla mia testa.
Dovevo agire in fretta e approfittare dell’opportunità di coglierli impreparati. Non sapevano che ero tornata cosciente, la cosa migliore da fare era alzarmi di scatto e correre fuori e trovare un luogo pubblico in cui rifugiarmi per un po’.
Presi più aria che potevo e sospirai silenziosamente. Poi aprii gli occhi di scatto e corsi verso quella che avevo intercettato come la porta. Mi accorsi subito che ero in una stanza di motel e le due ombre erano sedute accanto alla finestra a un letto di distanza dal mio. Non appena mi sentirono alzare distolsero lo sguardo dalle loro faccende e si alzarono di scatto.
Inaspettatamente non corsero a bloccarmi. Ma capii presto perché, una forte fitta al lato destro della testa mi percorse tutto il corpo e mi bloccai nella corsa. Non avevo calcolato i danni della ferita! Quando capii che non mi sarei retta in piedi era troppo tardi e caddi a terra. Qualcosa mi afferrò prima che mi schiantassi contro la moquette logora.
- Ehi ehi ehi! Piano piccola.- La voce era la stessa che gridava la sera prima. Mi prese in braccio e mi mise a sedere sul letto con la schiena appoggiata alla testiera del letto.
Riaprii gli occhi e ne incontrai due di un meraviglioso verde davanti a me. Cercai di respirare normalmente mentre diverse fitte mi trapassavano il cervello. Gemetti mio malgrado per il dolore.
- Tutto bene?- Mi chiese di nuovo quella voce. Sembrava davvero preoccupata e aveva una sfumatura quasi dolce in quel tono.
Lo guardai meglio e mi trovai di fronte a un volto leggermente squadrato con dei capelli biondicci sparati un po’ da tutte le parti. Dietro di lui vidi un altro ragazzo appoggiato al muro con le braccia incrociate. Anche lui aveva i capelli scarmigliati, ma più scuri e lunghi e i suoi occhi azzurri mi scrutavano attenti. Riconobbi subito la stazza di quello che mi aveva colpito e cercai il pugnale d’argento di mio padre che tenevo sempre attaccato alla cintura, ma non trovai niente. Guardai la sommità dei miei jeans. Era sparito. Fui presa dal panico e la mia respirazione accelerò.
- Sta tranquilla. La tua roba l’ho messa di là al sicuro. Non volevo che ti girassi nel sonno e ti facessi male con degli oggetti tanto appuntiti addosso.- Disse il biondo con un sorriso di scherno.
Io lo fulminai con lo sguardo. – Cosa siete?- Chiesi.
- Non siamo niente di ciò che ti aspetti, siamo umani come te. Cacciatori.- Disse lui tirandosi su in piedi.
Sbuffai divertita, quante volte avevo sentito questa frase da esseri strani che cercavano di salvarsi la pelle. – Dimostratelo allora.-
Il biondo sorrise di puro divertimento. – Mi aspettavo questa frase.- Poi si diresse in cucina, Quando tornò aveva in mano il fodero con il mio pugnale. – Questo è tuo giusto? D’argento, così vedrai che non siamo mutaforma.- Sfilò una lama leggermente ricurva da un lato con rilievi per tutta la lunghezza che raffiguravano un antica simbologia pagana contro i demoni. Un decoro fatto da mio padre nei suoi primi anni di caccia, come esercitazione per ricordarsi ciò che gli sarebbe potuto servire. Il ragazzo biondo si fece un lungo taglio sul braccio e non successe niente. Ma io non mi feci stupire, poteva esserlo l’altro, o semplicemente non essere un mutaforma. Poi si avvicinò all’altro che lo guardò sbuffando controvoglia.
- Andiamo Sammy è solo un taglietto.- Disse il biondo ridendo. Così anche il moro si fece un taglio sul braccio e non successe niente. Loro si girarono verso di me con uno sguardo come a dire ‘visto? Niente.’
- Potreste essere demoni.- Dissi ancora sospetta.
Il biondo mi guardò perplesso. – Andiamo ci hai buttato del sale addosso. Hai visto che non siamo né demoni, né spettri.-
Giusto. Non ci avevo pensato. Un punto per loro. Stavo facendo troppi errori da quando erano arrivati. Non c’ero abituata.
- Quindi cacciatori… -  Dissi cauta cercando di far quadrare tutto. Poi d’un tratto ricordai quel che non avrei mai dovuto scordare. Cercai di tirarmi di nuovo su, ma un capogiro mi fece capire che non sarei andata molto lontano. – Le ragazzine!- Dissi agitata. – Dove sono?! È andato tutto bene?-
Il biondo abbassò lo sguardo come a cercare di dirmi qualcosa di difficile da spiegare, mi girai verso il moro che invece mi guardava con occhi pieni di pietà e dolore, poi anche lui abbassò lo sguardo. D’un tratto il pavimento era diventato l’oggetto più interessante in quella stanza. Ma capivo benissimo la situazione, non ce l’avevano fatta. Lo spettro aveva attaccato. Sbattei la testa contro il muro dietro di me. – Maledizione!-
- Calma.- Disse il biondo. – Non è colpa tua. Pensavamo entrambi che l’altro fosse il cattivo e ci siamo distratti. Quando siamo tornati indietro noi due.- Disse indicando il moro. - una delle due ragazzine era scomparsa e l’altra…- Prese fiato e poi mi guardò dritto negli occhi. – L’altra l’abbiamo trovata morta. Aperta in due sull’addome. Occhi e bocca ancora spalancati dal terrore.-
Non era possibile. Non aveva mai fatto vittime quella cosa. Rapiva solo la sua vittima prescelta e poi se ne andava indisturbato. – No, c’è qualcosa che non quadra. – Dissi sovrappensiero.
-Già lo abbiamo pensato anche noi.- Disse il moro. – Pensiamo che fino ad ora nessuno si sia messo in mezzo per impedirgli di compiere il suo scopo. Mentre probabilmente quella ragazzina ha cercato di salvare la sorella.-
Non potevo crederci. Avevo fallito. Non ero stata in grado di difenderle e di capire che questi due erano solo degli stupidi umani e non la mia preda. E riuscivo ancora a definirmi una cacciatrice?
Mi presi il volto tra le mani e tirai forte le ciocche di capelli che mi ritrovai tra le dita. Cercando di sfogare almeno un po’ della mia frustrazione. Appena mi sentii meglio alzai lo sguardo e vidi il biondo ancora seduto di fronte a me che mi osservava.
- Tutto okay?- Mi chiese.
- Senti va tutto bene. Smettila di chiedermi ogni due secondi se sto bene! Anche se stessi per esplodere non sarebbe un tuo problema. Okay?- Lo guardai storto mentre gli spuntava un sorriso sghembo sulle labbra e un lampo divertito nasceva nei suoi occhi.
-Okay.- Poi si tirò su e andò verso il moro.- Ha un bel caratterino la ragazza.- Disse piano.
- Guarda che non sono neanche sorda.- Risposi secca io. Quando si girò verso di me il suo sorriso si era allargato e solo guardandolo in quel momento riconobbi qualcosa in lui. Qualcosa di familiare. – Tu mi sembri familiare…- Dissi sovrappensiero.
Lui si avvicinò ridacchiando. – Le tue tecniche di seduzione però sono piuttosto banali.- Disse divertito.
Lo fulminai con lo sguardo. Ma cosa mi prendeva? Non facevo che esprimere ad alta voce i miei pensieri e inoltre non era minimamente possibile che li conoscessi. Mi sarei ricordata di sicuro di due tipi del genere.
- Comunque visto che qui la gentilezza e l’ospitalità non sono di casa. Farò da me.- Mi alzai e mi diressi verso di loro allungando una mano. – Elena.-
I due guardarono sospetti la mia mano e il moro fu il primo a stringermela. – Sam.- Disse e mi tornarono alla mente le urla della sera prima.
- Già Sammy…- Dissi con un ghigno mentre lui mi guardava storto, poi mi girai verso il biondo. –e…-
Lui mi prese la mano stringendola forte e accarezzandomi il dorso con uno sguardo malizioso. – Dean.- In quel momento strinsi di più la presa nella sua mano e lo strattonai riuscendo con l’altra mano a bloccargli entrambi i polsi. Lo feci girare sotto il mio braccio in modo da essergli dietro e tirando leggermente ripresi possesso del mio pugnale. –Grazie.- Dissi sorridendo mentre Sam, che nel frattempo si era preparato a contrattaccare, scoppiava a ridere.
Dean si girò verso di me con occhi scuri e un mezzo sorriso sulle labbra. Si massaggiò un po’ i polsi e disse. – Intrigante.-
Io mi girai soddisfatta e mi diressi al minifrigo che c’era vicino alla finestra. Lo aprii e presi una birra. Poi mentre loro mi guardavano sorpresi la stappai con le dita come mi aveva insegnato mio padre e ne bevvi un lungo sorso.
- Non so quanto ti faccia bene bere con una botta in testa.- Disse Sam raggiungendomi insieme al fratello.
- Sta tranquillo. Non ha fatto mai male a nessuno. Anzi è il miglior tonificante in queste situazioni.- Dissi sicura di me. Io e mio padre ci facevamo sempre una birra per riprenderci da una caccia. Per riprenderci da stanchezza e dolore fisico.
Dopo essermi scolata la mia bottiglia ne presi un'altra e mi sedetti sulla poltrona alla finestra guardando fuori. – Allora. Sapete con cosa abbiamo a che fare?- Chiesi disinvolta.
- Certo.- Disse Dean arrogante.
Sam sbuffò per l’atteggiamento del fratello e iniziò a raccontarmi. – Si tratta di un fantasma. Rapisce le sue vittime ma non sappiamo cosa faccia con loro. Come di certo hai scoperto anche tu si basa su uno schema a spirale verso il centro della città. Oltre a i soliti segnali della presenza di questo spirito abbiamo notato anche presagi demoniaci. Come interferenze elettromagnetiche e strani fenomeni atmosferici.-
Annuii. – Sì, niente di più e niente di meno. Sono qui da pochi giorni ma di demoni non ce n’è traccia, se ci sono, stanno al di fuori della città. Sembra che aspettino qualcosa..- Dissi.
-Già. Pensiamo che il fantasma rapisca le sue vittime per conto di qualcuno. Del demone. Ma non sappiamo cosa voglia farci.- Disse il moro.
- Beh in realtà penso che vogliano fare quello che fanno tutti i demoni con le proprie vittime. – Disse Dean. – Divertirsi un po’ prima di ucciderle. Ma c’è qualcosa che lo tiene lontano da qui. Per questo si fa aiutare.-
Pensai per una attimo a quelle parole e infine dissi. – Bene, allora dovremmo andare a cercare negli archivi della cronaca locale. Potrebbe essere qualcuno legato al luogo.-
-Cosa te lo fa pensare?- Chiese Dean.
- Beh, i demoni di solito sono esseri umani poi divenuti spiriti maligni per via del loro soggiorno prolungato all’inferno. Quindi potrebbe trattarsi di qualcuno che molto tempo fa vi sia finito ed adesso è tornato per una vendetta o per chi sa cosa possa passare per la mente perversa di quelle creature. – Feci una pausa ragionando. – Insomma potrebbe aver fatto qualcosa di davvero terribile in questa città ed aver deciso di continuare l’opera.-
Mi guardarono come se avessi appena rivelato chissà quale segreto.
- Ma te fino ad adesso dove sei stata?!- Chiese Dean ridendo.
Per sfortuna qualcuno bussò alla porta mentre mi preparavo a rispondergli per le rime. Scattai subito in piedi estraendo il mio pugnale. Sam si avviò alla porta, mentre Dean gli andò dietro per sicurezza.  Il ragazzone guardò dallo spioncino e senza pensarci sganciò il catenaccio e aprì la porta. Appena il legno me lo permise vidi chi si trovava al di là dell’uscio della camera. Era un uomo anziano che indossava un sudicio berretto stropicciato e logoro che faceva pandan con i vestiti anch’essi sporchi e spiegazzati. Quando lo vidi per un attimo il respiro mi si mozzò.
- Quanto ci metti ad aprire una porta ragazzo?! – Disse quest’ultimo con il suo solito tono burbero.
Prima che qualcuno potesse dire niente io gli ero già saltata al collo. – Bobby!- Gridai.
- El?- Chiese sorpreso.- Bambina che ci fai qui? E soprattutto in compagnia di questi scalmanati.- Disse li restituendo l’abbraccio.
Io mi allontanai felice di vedere una faccia conosciuta che mi desse un po’ di sicurezza in tutta quella faccenda. – Incontro fortuito e poco fruttuoso.-
I due ragazzi intanto ci stavano guardando sorpresi. – Aspetta.- Disse Sam. – Tu conosci Bobby?-
- E chi non mi conosce in questo mestiere ragazzo? E dire che dovresti essere quello sveglio della cucciolata.- Sbuffò il vecchio. Oddio i due erano quindi fratelli?
I due fecero una faccia del tipo ‘su questo non hai torto’. Poi presero anche loro da bere e lo servirono a Bobby. – Beh voi come vi conoscete?- Chiese Dean.
-Mio padre lavorava spesso con Bob e tra una caccia e l’atra mi sono ritrovata spesso a casa con lui.- Dissi guardandolo e sorridendo.
-Questa storia non mi è nuova.- Disse Sam.
-Già.- confermò Dean. – Bobby si può sapere a quanta gente fai da baby sitter?-
-Non posso rivelare informazioni sul mio lavoro.- Disse scherzando lui. – Comunque Elly devo dire che te la sei cavata alla grande questo ultimo anno. Sono orgoglioso di te.-
Io gli sorrisi e alcune lacrime offuscarono per un momento la mia vista, ma le ricacciai subito indietro, non volevo sembrare debole davanti a dei cacciatori sconosciuti. – Grazie Bob.-
I due ragazzi non commentarono quell’affermazione, capendo che sotto ci doveva essere qualcosa di grosso e molto doloroso per entrambi gli interessati, quindi cambiarono discorso. – Allora, cos’hai trovato sul caso?- Chiesero.
- Per adesso nulla di rilevante, ma dalle informazioni che mi avete mandato potrebbe trattarsi di un vecchio spirito vendicativo che ha creato un assurdo e intricato piano di battaglia.- Rispose lui.
- Che vi avevo detto? Spirito arrabbiato, divenuto demone, che si vuol vendicare in modo molto complicato data la sua impossibilità di oltrepassare il confine.-
Dean fece la faccia divertita. – Ecco da chi ha preso il suo caratterino….. –
Nello stesso momento in cui Bobby diceva. – Visto lei sì che faceva i compiti a casa da ragazzina, mica come voi ragazzi scapestrati.-
- Bene allora io vado alla biblioteca, dove tengono gli archivi di cronaca. Ci vediamo.- Dissi mentre prendevo la mia borsa e mi avviavo all’uscita.
- Aspetta.- Disse Sam. – non sappiamo se lo spirito ci abbia visto sarebbe meglio non andassi da sola.-
Io mi girai e mi misi una mano al fianco. – Senti me la so cavare benissimo da sola. Non sono una ragazzina indifesa che dovete tenere d’occhio.-
- Ah questo lo sappiamo, ma preferisco essere sicuro e quindi ti accompagnerò. Così faremo anche più in fretta. Non credi?- Disse Dean guardandomi.
- Fa come ti pare. – Dissi uscendo scocciata. Chi cavolo si credevano di essere? Avevo vissuto e cacciato per più di un anno da sola. Non avevo bisogno della balia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***





Punto di vista di Dean

Dean non sapeva perché, ma trovava quella ragazza affascinante. Come lei non aveva conosciuto nessuno. O almeno non troppe ragazze con quel caratterino, l’unica eccezione era Jo, ma in Elena c’era qualcosa di particolare. Nei suoi occhi leggeva un dolore condiviso che in nessun altro poteva comprendere. A parte lui forse. E nonostante questo manteneva il carattere freddo, distaccato e professionale da cacciatore.
Quella ragazza lo aveva colpito. E lui non sapeva neanche come.
Appena uscì da quella stanza presi alcune armi e le infilai in una borsa da portarmi dietro.
- State attenti con lei.- Disse Bobby. – Non lo ammetterà mai, ma ha bisogno di aiuto. Non può sempre pensare di cavarsela da sola. Almeno in questa caccia cerchiamo di farla collaborare con noi.-
- Beh con te non sembra avere problemi. È con noi che non si trova a suo agio.- Disse Sam.
- Certo, perché non ha mai lavorato con voi e non ha ancora capito che genere di persone siete. Nel nostro mondo ci sono cacciatori senza un minimo di moralità purtroppo e voi ne sapete qualcosa.- continuò lui.
Annuii guardandolo e seguii la ragazza oltre la porta, ma non la trovai da nessuna parte. Poi uno strano rombo mi distrasse.
Guardando nella direzione del rumore vidi avvicinarsi una moto a tutta velocità. Arrivando passò a un nonnulla dall’impala e freno sgommando davanti a me.
-Attento alla mia macchina!- Gridai, poi l’uomo sulla moto si tirò via il casco nero e una chioma di capelli castani ricci venne liberata.
- Rilassati ragazzino, ho dei riflessi ottimi, come lo è pure la mia vista. La tua cara macchina non è mai stata in pericolo.- Disse Elena rimanendo sulla moto.
La guardai stupito, ma poi tornai serio. – Se ha anche solo un graffio da qui in futuro, ti riterrò responsabile.- Poi mi avvicinai all’impala e la accarezzai. – Non ti ha fatto niente vero piccola?-
- Beh, una cosa te la concedo. È una gran bella macchina.- Disse scendendo dalla moto. – Chevrolet Impala, giusto? Che anno?-
Oddio, si intendeva anche di macchine, ma chi era quella? – ’67.- Risposi, poi mi avvicinai alla sua moto. – Bella anche quella. è una…. Ducati! Non ci credo, te scherzi?!-
-No, originale direttamente dall’Italia la Ducati Diavel. Sai mio padre ha, cioè aveva parenti in Italia e così se ne è fatta mandare una.- Disse facendo spallucce.
La guardai incantato, la moto ovviamente. – Non c’è alcun dubbio che tu me la faccia guidare giusto?- Chiesi speranzoso.
- Tu mi farai guidare la tua ‘piccola’?- Chiese lei scimmiottando il mio vezzeggiativo.
-No, la guido solo io.- Dissi sospirando.
Lei mi guardò e si rimise il casco. – Ti sei risposto da solo.


Punto di vista di Elena

Ci vollero pochi minuti per arrivare destinazione, nei quali non riuscii a fermare i miei pensieri riguardo agli ultimi avvenimenti. Quei due ragazzi erano cacciatori, e soprattutto conoscevano Bobby. Certo chi non lo conosceva se era come noi? Ma la cosa che un po’ mi faceva stare male era che non ero l’unica per cui Bobby era come un padre. Avevo pensato, forse ingenuamente, che lui si comportasse così solo con me, che fossi l’unica a cui era così legato.  Invece avevo appena scoperto che non era così, e chissà quante altre cose non sapevo di lui. In fondo quale cacciatore non ha segreti? Non c’era motivo per cui lui avesse dovuto dirmelo. Non c’era neanche motivo del mio malumore per tali scoperte. Queste cose non cambiavano il mio affetto per lui e non cambiavano il suo per me.
Scesi dalla moto che avevo parcheggiato perfettamente davanti all’edificio. Quando mi tirai via il casco, vidi l’impala passare oltre e Dean che cercava esasperato un parcheggio. I nostri occhi si incrociarono e io non potei fare a meno di fare un sorriso beffardo e amicare nella sua direzione. Lui in risposta mi lanciò un’occhiata che era una via di mezzo tra il divertito e un ‘ti uccido’.
Mi guardai attorno e vidi che di posto ce n’era ben poco per parcheggiare e io di certo non sarei stata lì imbambolata ad aspettare.
Entrai nell’edificio percorrendo la scalinata d’ingresso e oltrepassata la vetrata mi diressi al banco delle informazioni. Fortunatamente non c’era nulla davanti a me, così la ragazza seduta al bancone mi servì subito.
- In cosa la posso aiutare?- Disse.
Le sorrisi tirando fuori dallo zaino un libretto universitario. – Salve sono Elena Maranzano. Sto facendo una ricerca per la mia testi di laurea e avrei bisogno di fare ricerche negli archivi di cronaca di questa biblioteca se è possibile.-
La ragazza guardò un attimo sul suo computer, poi mi guardò e disse. – Ma certo. La stanza di consulto è libera questo pomeriggio quindi ci può stare per tutto il tempo di cui ha bisogno.-
- Grazie.- Risposi.
Poi la seguii lungo gli intricati scaffali fino al fondo della sala dove una porta a vetri si apriva su una stanza piuttosto grande in qui più della metà delle pareti erano coperte di scaffali stracolmi di scatole probabilmente piene di vecchi giornali.
Attaccata alla parete, su cui si apriva la porta, c’erano anche tre postazioni con computer e stampanti.
- Allora i computer si collegano agli hard disk che contengono gli stesi articoli di giornale contenuti anche in quelle scatole. Cercando qui sopra dopo può risalire agli originali in caso le servisse. La carta per la stampante la può trovare nella cassettiera di fianco alla scrivania.- Disse la bibliotecaria.
- Grazie mille. –
Dopodiché rimasi sola nella stanza. Scelsi il computer vicino agli scaffali, vicini in caso avessi bisogno di consultare gli originali.
Passarono parecchi minuti, e mentre ero immersa nella ricerca sua articoli decisamente antichi venni distratta dal rumore della porta. Non alzai neanche lo sguardo, sapevo benissimo chi era. Così continuai a guardare il computer mentre la ragazza spiegava anche la lui come funzionava tutto il materiale che c’era lì dentro. Alzai solo sguardo incuriosita dal tono della bibliotecaria, era agitato e impacciato e capii perché. Dean le lanciavo dei sorrisi decisamente sexy e disarmanti. – Grazie, mi sei stata di grande aiuto.- Disse mettendole una ciocca di capelli dietro le orecchie. La ragazza diventò ancora più rossa di quanto era in quel momento, balbettò un ‘di niente’ e fuggì via.
- Sei proprio subdolo.- Dissi tornando a guardare il mio computer, ma senza prestargli molta attenzione.
Lui si sedette nella postazione computer di fianco alla mia e si voltò per guardarmi. – Ah io sarei subdolo? E perché di grazia?- Chiese sorridendo.
- Beh, quella povera ragazza sarà chiusa in bagno a riprendersi adesso e poverina ci rimarrà per parecchio.- Risposi guardandolo solo per una frazione di secondo.
Lui si chinò verso di me e io lo osservai mentre con un mezzo sorriso sulle labbra diceva. – Non avrei sconvolto quella ragazza con il mio fascino se qualcuno mi avesse aspettato ad entrare. Non sapevo che copertura avessi usato e ho dovuto improvvisare.-
Io alzai gli occhi al cielo. – Certo, perché nel tuo lavoro non devi mai improvvisare senza usare il tuo ENORME fascino, vero?- Dissi sarcasticamente.
- Avrei un ‘enorme’ fascino, eh?- Chiese con un sorriso malizioso.
Lo guardai di traverso, ma me lo trovai così vicino che il mio sguardo diventò stupito. I miei occhi e quel meraviglioso verde smeraldo, che purtroppo coloravano quelli di un ragazzo così borioso e dongiovanni. I suoi occhi si posarono sulle mie labbra per pochi secondi poi mi tornò a fissare negli occhi continuando con il suo sorriso malizioso.
Non volendo dargli la soddisfazione che mi facesse un qualche effetto, lo guardai scettica. – Se tu non avessi un mezzo di trasporto così ingombrante, saresti entrato con me.- dissi distogliendo lo sguardo.
Lui si tirò su facendo il finto offeso. – Non offendere la mia piccola in mia presenza, potrei fare pazzie per difendere il suo onore.-
Io sorrisi. – Posso immaginarlo, siete fatti l’uno per l’altra scommetto. Comunque bastava che dicessi alla ragazza che dovevi aiutarmi nelle mie ricerche.-
Lui mi guarda storto. –Già, ma non sapevo che nome avessi utilizzato.-
Tornai a guardarlo male.- Il mio idiota. Non c’è bisogno di sprecare ‘identità segrete’ per una cosa del genere. Non credi?- Sbuffai. – E dite di essere stati tirati su da Bobby…-
- Ignorando il fatto che mi ha cresciuto esattamente come te.- Fece una pausa a effetto in cui lo fulminai con lo sguardo. – Non mi hai mai detto il tuo cognome, quindi non potevo fare quello che mi hai detto.-
Sbuffai divertita. – Di cognome faccio Maranzano.-
- Elena Maranzano. Suona bene.- Disse.
- Oddio… Non dirmi che le ragazze abboccano con queste frasi… Comunque è Maranzano. Apri le tua vocali da americano.-
- Maranzano- Disse spalancando la bocca.
-Inutile. Non ce la potrai mai fare. Non vorrei mai sentirti fare un esorcismo. Se parli così l’italiano, chissà il Latino.- Scossi la testa fingendomi esasperata.
Lui rise. – La pronuncia italiana è difficile. E comunque sì, le ragazze crollano ai miei piedi con frasi del genere.-
- Beh se non ti spiace chiudi quella tua bocca logorroica e mettiti a lavorare.- Dissi.
Si sedette scomposto accendendo il coputer mentre sogghignava.
Qualche ora più tardi i miei occhi iniziavano a protestare per lo sforzo eccessivo. Chiusi la finestra del computer e aprii un documento del 1932. In prima pagina svettava il titolo ‘Tragedia a Elmore. Ragazza uccisa nella propria casa”.
Continuando a leggere l’articolo scoprii una cosa molto interessante. La ragazza era stata uccisa nel proprio letto. L’assassino era entrato dalla finestra della stanza e l’aveva sgozzata risparmiando il fratello nel letto accanto. Fu il pianto di quest’ultimo ad attirare l’attenzione dei genitori che entrarono in stanza appena in tempo per scorgerlo uscire e scappare. Andando avanti con gli articoli trovati in altri quotidiani scoprii tutta la storia e la cosa incominciava a puzzare un po’ tanto di coincidenza. Tra le testimonianze del ragazzino e dei genitori riuscirono ad identificarlo quale George Rookvelt. Costui era ricercato in diversi altri paesi. Si scoprì infatti che lui sceglieva un piccolo villaggio in uno stato e uccideva un famigliare i ogni famiglia. Mai lo stesso membro, a volte un genitore, a volte un figlio o un nonno. Uno qualunque della famiglia o della casa. Dopo varie indagini trovarono il pazzo nella casa del fratello maggiore, dove si era rifugiato. Furono arrestati entrambi e giustiziati. Cosa insolita per quegli anni fu che fecero scegliere la pena al giudice del villaggio. Egli sentenziò le condanne per impiccagione, ma non contemporanee. Il villaggio era risentito per quello che era successo e il giudice era un amico della famiglia della ragazza uccisa. Decise di giustiziare prima il fratello maggiore, i due erano piuttosto uniti si erano coperti a vicenda svariati crimini e pensarono bene di far soffrire Rookvelt, nello stesso modo in cui lui aveva fatto soffrire il ragazzino, facendolo assistere all’uccisione del fratello. Durante l’impiccagione e mentre lo portavano al suo cappio lui non smise per un singolo istante di urlare, maledicendoli e gridando ‘Pagherete per questo! Il mio lavoro qui non è finito! Tornerò per finire la mia opera, e allora pagherete!’
- Ehi, guarda qua! Un certo George Rookvelt ha ucciso qualcuno qui molti anni fa…. Potrebbe essere quello che cerchiamo.- Disse Dean cercando approvazione.
 Io mi alzai guardandolo dall’alto in basso e sorridendo soddisfatta. – Arrivi tardi ciccio.- Gli porsi il mio blocco degli appunti dove avevo scritto tutto. – Ho già trovato tutto riguardo quell’evento e sì. È proprio quello che cerchiamo.-
Lui mi guardò male. –Ma tu mi togli tutto il divertimento. Avrei voluto rimanere qui altre ore a cercare tutta questa roba da solo.- Disse con tono sarcastico. – Se non l’avessi notato non cambio pagina da almeno tre quarti d’ora. Semplicemente mi sono stancato di fare ricerche, infatti di solito se ne occupa Sammy. Comunque appena ho visto che ci eri arrivata anche tu ho tirato un sospiro di sollievo.-
Non riuscii a non fissarlo a bocca aperta. Aveva già trovato le risposte e non aveva detto niente facendomi sprecare un mucchio di tempo. Quel ragazzo diventava sempre più insopportabile,ma nonostante questo mi attraeva in modo stranoma nonostante questo mi attraeva in modo strano. Lui si alzò, dirigendosi verso l’uscita. – Su andiamo a informare gli altri due e poi niente e nessuno mi impedirà di farmi qualche drink.- Disse.
Io sorrisi mentre lo guardavo allontanarsi, era proprio impossibile, ma incredibilmente mi ricordava me stessa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***





Tornati al motel trovammo ad aspettarci solo Bobby intento a leggere uno di quei suoi tomi polverosi. Sembra che se ne porti dietro sempre qualcuno per ogni evenienza. Si sa però, faceva quel lavoro da tutta la vita e aveva imparato a prendere delle precauzioni, a volte eccessive, ma che lo facevano stare tranquillo. Una cosa era certa, se lui non ci fosse stato non so quanti casi sarebbero andati nel verso sbagliato per me.
Appena entrata mi diressi al frigo e presi una birra. – Ne vuoi una?- Chiesi a Dean.
- Sì, perché no.-
Gliela lanciai e lui la prese al volo. Mi diressi verso Bobby che senza alzare lo sguardo disse. – Scoperto qualcosa?-
Io mi sdraiai sul letto tenendo la bottiglia in mano sulla mia pancia. – Certo, e saremmo tornati prima se questo qui non volesse fare sempre lo sbruffone.- Dissi con un tono scherzosamente scocciato.
- Beh, vedo che stai imparando a conoscerlo.- Disse Bobby.
Dean era appoggiato al muro con la spalla, bevve un lungo sorso di birra e disse. – Va bene, sono un tipo particolare. Dov’è Sammy?- Chiese guardandosi intorno.
- è andato a prendere da mangiare al fast food in fondo alla strada.-
In quel momento la porta della stanza si aprì ed entro proprio Sam. Urca, non me lo ricordavo così alto! Ci salutò venendo verso di noi con due sporte in mano. Le poggiò sul tavolo e incominciò a estrarre i vari contenitori.
- Spero tu mi abbia preso qualcosa che non sia dietetico.- Dissi vedendo che in un contenitore c’era dell’insalata.
Si girò verso di me sorridendomi e porgendomi un contenitore. – Tranquilla ho chiesto a Bobby.-
Aprii il contenitore e vi trovai uno splendido hamburger col bacon. – Grazie a dio hai una memoria fantastica Bob. Muoio di fame!- Dissi gettandomi sul letto a gustarmi il mio panino e la mia birra.
Nella stanza non volava una mosca, mentre tutti mangiavamo. Ogni tanto lanciavo delle occhiate a Dean intento a mangiare il suo doppio hamburger, ma dopo un paio di volte che lo trovai sua volta a osservarmi mi girai verso la vetrata e cercai di ignorarlo. Aveva una strana luce negli occhi, riuscivo a distinguere chiaramente che in fondo a tutta quella spavalderia nascondeva un mucchio di cose. Dolore, perdite, rimpianti. Proprio come me. Ormai io non riuscivo quasi più a fissarmi allo specchio per quel motivo. Se incrociavo i miei stessi occhi riflessi, questi non facevano che scatenarmi orrendi ricordi a cui non avrei voluto mai più pensare.
Tornai a guardare verso di lui e lui mi stava ancora fissando. I nostri occhi s’incrociarono, ma stavolta non distolsi lo sguardo. Volevo leggerci dentro. Volevo scoprire se quello che avevo visto era vero e se provavo e sopprimeva i miei stessi problemi. Continuando a scrutare in lui e lui in me, capii che era proprio così. Man mano che il tempo passava il suo sguardo si faceva più serio e capii presto perché. Osservandolo mi tornarono in mente brutti ricordi e molto probabilmente per lui era lo stesso.
 
Ero legata e imbavagliata. Non potevo ne muovermi, ne gridare. Era una delle mie prime caccia con mio padre e avevo fallito il semplice incarico che mi aveva affidato. “tieni d’occhio quel lato del corridoio, qualunque cosa vedi entrare spara.” Ecco cosa avrei dovuto fare. Invece avevo esitato. Il mostro aveva preso l’aspetto di una bambina e io non ero riuscita a premere il grilletto. Mio padre non si era accorto di niente, semplicemente lei mi aveva afferrato e mi aveva portato via prima che lui potesse girarsi. E adesso il fantasma, o almeno credevo che lo fosse, mi aveva torturato. Mi aveva picchiata, tagliata e fatto dio solo sa cosa. Anche se avessi potuto in partenza, adesso non avevo le forze sufficienti a liberarmi. Pian piano sentivo le forze scorrere via da me come il sangue che colava giù dagli squarci che mi coprivano tutto il corpo. Volevo rivedere mio padre e sapere che stava bene. Poi poteva succedermi qualsiasi cosa. Percepii appena il tonfo che fece la porta quando fu buttata giù e così anche lo sparò che seguì. Poi improvvisamente non avevo più nulla che mi tenesse su e crollai, ma non mi sentii cadere. L’ultima cosa che ricordo è che mi stavo spostando, anche se non ero io a muovermi. Poi la voce tremante di mio padre – Andrà tutto bene piccola…Andrà tutto bene…-
 
Dopo quell’episodio ci volle un bel po’ per convincere di nuovo mio padre a portarmi a caccia, nonostante mi fossi ripresa completamente, i dottori lo definirono un miracolo, ma non lo era stato. Io sapevo cosa era successo veramente.
- Allora ci volete dire cosa avete scoperto?- Chiese impaziente Sam guardando verso di me.
Io distolsi gli occhi da Dean, nonostante procurasse tanto dolore non sarei riuscita a spostare lo sguardo senza un pretesto e nonostante quello i miei occhi tornarono spesso nella sua direzione. Così come i suoi.
- Io sto mangiando e non parlo con la bocca piena di questa delizia.- Dissi nonostante avessi un bel boccone di cibo in bocca che contestava la mia precedente affermazione. – Chiedi a lui.- Dissi indicando il fratello.
- Mi spiace, ma vale anche per me.- Ribattè con la bocca piena anche lui. – Potrebbe bloccarmi la digestione, e non voglio che questo fantastico panino lasci il mio stomaco troppo presto.
Lo guardai e risi del suo modo di fare, aveva un’espressione buffissima in faccia. Sentendomi ridere mi guardò sorpreso e infine scoppiò anche lui. Gli altri due ci guardarono strano.
- Vabbe lasciamo questi due alle loro isterie. Tu cosa hai scoperto Bobby?- Continuò Sam sbuffando divertito un po’ anche lui.
- Nulla di nuovo purtroppo.- Disse prendendo il libro in mano. – I libri sono sempre gli stessi e se questi due non mi danno nuove informazioni posso leggerli quanto voglio, ma non ho nulla di specifico da cercare.-
I due si voltarono a guardarci, ma noi gli ignorammo continuando a mangiare. Io scossi la testa prima di dare un altro enorme morso al mio hamburger.
Dopo averlo finito mi mangiai metà delle patatine di Bobby, non si lamenta mai quando lo faccio, e poi finii la mia birra. Poi mi buttai stesa sul letto, cercando di rilassarmi un attimo.
Sentii rovistare nelle borse di plastica rimaste su tavolo, sembravano movimenti frenetici, quindi mi tirai su per capire cosa stava succedendo. Vidi Dean che aveva praticamente rivoltato le sporte in cui noi avevamo rimesso le cartacce dopo aver finito d mangiare. – Beh? Dov’è?- Disse mentre spostava i rifiuti tentando disperatamente di trovare qualcosa, che a quanto pare non c’era. – Dov’è Sammy?!- Continuò alzando lo sguardo allarmato su Sam. Vedendolo così mi agitai e cercai di capire cosa poteva aver perso Sam di così importante.
Anche Sam sembrava non capire, ma conoscendo il fratello era meno agitato, sapeva che si sarebbe risolto tutto nella solita cavolata che secondo lui ‘prendeva troppo alla leggera. - Di che stai parlando?-
- La mia TORTA! – A quel punto lo guardai in tralice e mi ributtai sul letto. Non era possibile, non potevo crederci. – Lo sai che devi prenderla! È così tutte le volte, perché te ne dimentichi?!-
- Dean andiamo… perché tutte le volte devi prendertela così. È solo una torta.- Disse Sam. Non potei fare a meno di sorridere a quel battibecco.
- E allora perché te ne dimentichi se sai che me la prendo.- Continuò Dean.
A quel punto non ce la feci più e scoppiai di nuovo a ridere, senza più riuscire a fermarmi. Loro mi guardarono di traverso e Bobby sbuffò anche lui una risata. Non so a quanto non mi divertivo così, forse per questo mi era bastato così poco per farmi venire due attacchi di ridarella in un solo giorno. Mi mancava ridere. Mi ero dimenticata cosa voleva dire stare con altre persone, che non mi volessero uccidere ben inteso. La mia risata presto coinvolse anche gli altri. Non sapevo bene per cosa stessero ridendo, probabilmente per come mi stavo contorcendo sul letto, ma presto mi accorsi che la mia risata si stava spegnendo e presto o tardi sarebbe diventata un pianto ininterrotto. Così cercai di calmarmi prima che potesse succedere. Non volevo sembrare una ragazzina fragile a due cacciatori sconosciuti e nemmeno a Bobby. Dovevo far vedere che me la sapevo cavare da sola.
Appena mi fui calmata, mi girai verso di loro e dissi. – Scusate, non volevo. Non so che mi prende.- Dissi sorridendo.
- Forse non sei mai stata in compagni di gente affascinante e divertente come noi.- Disse Dean provocandomi. Quando incrociai il suo sguardo, capii che aveva intuito molto di più su quell’episodio di quanto avessi voluto.
Lo guardai accigliata, ma scherzosa. – Veramente non ho mai conosciuto gente simpatica come Bobby, probabilmente anche Sam, ma tu, tu non sei assolutamente nessuno di quei due aggettivi. È un po’ come le sindromi psicotiche, non trovate? – Mi guardarono strano. – Dicono tutti che quando te le riconosci, vuol dire che non ce le hai.- Dissi sorridendo compiaciuta.
A quel punto furono Sam e Bobby a scoppiare a ridere e Dean, dopo avermi guardato sorridendo per un po’, abbozzò una risata anche lui.
- Adesso torniamo al lavoro.- Dissi tornando seria. Quei ragazzi mi stavano facendo un strano effetto. Non ero mai stata così spensierata. Ero dovuta crescere in fretta e avevo passato tutta la mia vita con Bobby e mio padre, pochissimo tempo con ragazzi della mia età. Non potevo permettermi distrazioni, soprattutto durante una caccia e loro sembravano propensi a crearne. Non intenzionalmente certo, ma di sicuro non mi piaceva quella sensazione che mi stava nascendo dentro ogni volta che stavo con loro. Ero abituata a stare da sola e dopo questa caccia lo sarei tornata ad essere. Loro non dovevano entrare a far parte della mia vita. Erano colleghi che mi stavano dando una mano, nulla più.
- Giusto, torniamo a noi.- Disse Dean schiarendosi la gola, come un oratore professionista. – Allora abbiamo trovato, anzi ho trovato, visto che l’ho fatto per primo…-
Non lo lasciai finire. – Questo non è vero, sarai stato il primo a trovare l’articolo, però non hai detto niente. E soprattutto hai lasciato trascrivere tutte le informazioni a me. Tu non hai fatto niente a parte prendermi in giro.- Dissi, mi incominciava a piacere battibeccare con lui, forse un po’ troppo. Avevo conosciuto poca gente capace di tenermi testa, forse solo mio padre, che comunque dopo un po’ dava forfeit.
- Beh, devo dire che è stato divertente vederti concentrata su quel documento, eri così attenta a trascrivere tutti i più piccoli dettagli.- Disse lui ridendo. – In più il merito va comunque allo scopritore, anche se il lavoro lo hai fatto tu. Colombo ha scoperto l’America, mica ha guidato la nave fin lì.-
- Beh, però lui non voleva scoprirla. Il tuo ragionamento non fila. Lui voleva arrivare all’India, quindi….- Ma non riuscii a finire.
- Bene bambini. Non litigate per favore. Smettetela e diteci quello che avete scoperto.- Disse Sam.
- Ho scoperto, prego.- Disse Dean.
- Ti ho detto che…- ma anche adesso non mi lasciarono finire.
- Bambina, lascia perdere e andiamo avanti.- Disse Bobby.
Sbuffai e guardai in tralice Dean che mi stava sorridendo soddisfatto. – Lasciami le mie convinzioni da psicopatico.- Disse facendomi l’occhiolino.
Io, da donna matura quale ero, gli feci una linguaccia e mi sedetti con le braccia incrociate al petto. Cercando di non dare a vedere l’effetto che quel piccolo gesto aveva avuto su di me. Lui sghignazzò, poi incominciò a raccontare loro quello che avevamo scoperto. Quando ebbe bisogno degli appunti si girò verso di me e me li chiese.
- Beh se ti servivano dovevi trascriverteli da solo, non ti pare.- Gli dissi imbronciata.
Lui sbuffò. – Dai divido l’onore della scoperta con te, facciamo pace e continuiamo a risolvere questo caso?-
Mi tirai su scocciata. – Okay.- Mi diressi verso la borsa  dicendo nella mia lingua madre –Pazzo.-  Bobby, l’unico che conosceva un po’ di Italiano rise sotto i baffi, mentre Dean non capiva cosa avessi detto e si innervosì. Penso proprio che lo farò più spesso.
- A questo punto penso sia un semplice fantasma vendicatore. Probabilmente manovrato da qualcuno, dati presagi che abbiamo trovato. Ma a rapire e uccidere quelle persone deve essere stato per forza lui. Stesso modus operandi delle precedenti vittime, ha semplicemente dato un po’ più sfogo alla sua rabbia. - Tirai fuori il blocco degli appunti e glieli porsi. Dai fogli cadde una fotografia in cui eravamo raffigurati io mio padre e mia madre. Mi affrettai a raccoglierla e a buttarla nella borsa. Poi senza guardare la loro reazione e sperando non l’avessero notata, andai ad appoggiarmi al muro cercando di non ricadere nei ricordi. Quella giornata stava diventando parecchio pesante e con troppi sbalzi d’umore.
- Grazie.- Mi disse Dean.
Dopodiché iniziammo a cercare informazioni sul corpo di George Rookvelt. Tutte le fonti che trovammo dicevano che era sepolto all’Union Cemetery, che si trovava lì ad Elmore.
- Beh almeno è qui vicino.- Disse Sam.
Io sbirciai da dietro la sua ricerca in internet. – Hai trovato anche dove abitava o se aveva altre proprietà? Dovremmo controllare se ci sono dei sopravvissuti, non si può mai sapere.- Dissi.
- Sì, ecco qua.- Disse lui. – Abitava fuori città e quella era l’unica proprietà che aveva. Una casa familiare lasciatagli in eredità dalla madre.-
- Bene ma pensiamoci domani. Tra un po’ farà buio e almeno per una volta vorrei cuocere un fantasma alla luce del sole.- Disse Dean.
- Che carino, non dirmi che hai ancora paura del buio alla tua età?- Dissi.
Lui sembrò offeso. – No, è che quando ci vai di notte succede sempre qualcosa che non dovrebbe succedere.-
Lo guardai sorridendo sotto i baffi.
- Beh ragazzi, rimarrei volentieri ancora per un po’. Ma visto che qui sembra tutto risolto andrei da Rufus, mi ha chiamato perché ha bisogno di una mano a Davenport. -
- No, te ne vai di già?- Chiesi triste, chissà quando lo avrei rivisto.
- Vieni qui dolcezza.- Disse stringendomi forte. – Su, non far così. Basta che mi vieni a trovare, sai dove vivo, non mi muovo da lì.- Mi sorrise e in quel sorriso lessi che anche lui era dispiaciuto di doversene andare. – Anche voi ragazzi. Non chiamatemi solo se avete bisogno per una caccia.-
- Certo Bobby.- Disse Sam dandogli una pacca sulla spalla.
Lo stesso fece Dean. – Contaci. Ti chiamiamo appena abbiamo finito qui. Salutaci Rufus.-
- Certo ragazzi.- Disse.
- Salutalo anche da parte mia. Digli che mi è stato molto utile il suo regalo di compleanno.- Dissi. – Senza quella pistola non so come avrei sconfitto quel mutaforma.-
- Certo El. Ci vediamo.- Poi uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Quando mi girai vidi i due ragazzi che mi guardavano sorpresi. – Che c’è?- Chiesi, incrociando le braccia.
- Niente. È che sembri conoscere tutti quelli che conosciamo noi, anche meglio di noi, ma non ti abbiamo mai incontrata ne sentita nominare.- Disse Sam
Lo guardai. – Sì, in effetti è strano. Ma alla fine ci siamo incontrati.-
- Bene che dite di andare fuori città per cena? Penso di aver mangiato in tutti i posti possibili qui ad Elmore.- Dissi.
- Andiamo a trovare una pizzeria decente.- Assentì Sam.
-Fantastico.- Dissi prendendo le mie cose e riordinando un po’ gli appunti sparsi sul tavolo.
Mi girai e vidi i due ragazzi un po’ confusi. Vedendo Dean con la faccia di chi non sa se ha sentito bene o se ha problemi di udito risi allegra. – Sarà divertente.- Continuai a dire in Italiano.
- Potresti parlare in modo comprensibile?!- Disse Dean che aveva capito che lo stava prendendo in giro. La seguì fuori dalla porta della stanza, seguito da Sam.
- Perché? È divertente vedere qualcuno che ti tiene testa ogni tanto.- Disse quest’ultimo ridendo.
Dean lo guardò male. – E tu che vuoi. Non lo sai l’italiano o qualunque altra lingua strana parli. Potrebbe benissimo aver detto qualcosa di brutto su di te.-
- Oh, sono sicuro che non stesse prendendo in giro me.- Disse Sam avviandosi verso la macchina.
Arrivati alla macchina mi girai ricordandomi immediatamente di una cosa. – Sentite mettete la mia borsa in macchina io vado un attimo nella hall.-
- Perché? Qualche problema?- Chiese Sam.
- No, a parte il fatto che stanotte dovrei dormire nella vostra stanza.- Risposi.
Dean sorrise malizioso. – Beh sono sicuro che se ci stringiamo ci stiamo in due sul mio letto.-
Lo guardai tralice. – Beh ne dubito visto la stazza di Sam, scommetto che da piccoli dividevate il letto, ma siete un po’ cresciuti per starci adesso.- Dissi con un sorriso maligno mentre mi allontanavo. Quanto adoravo punzecchiarlo.






**______Angolo dell'autrice______**

Eccomi con un nuovo capitolo!
volevo aproffittarne per ringraziare chi segue la mia fanfiction,
soprattutto Lavandarose e Concy_93_  che seguono e recensiscono sempre la mia storia, grazie mille!  :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***





Andammo al ‘Marco’s Pizza’ nella città vicina. Ci facemmo dare un tavolo e mangiammo la pizza migliore che avessi mai assaggiato da lì ad almeno un anno.
La serata trascorse tranquilla, parlammo delle nostre cacce migliori o più strambe. Mi divertivo in loro compagnia, ma presto incominciammo a parlare di cosa avremmo fatto il giorno dopo, quando tutto sarebbe finito in quella città, e mi resi conto che non avevo voglia di tornare a stare da sola. Non potevo dirglielo però. Certo ci stavamo divertendo molto, e mi piacevano, ma li avevo comunque appena conosciuti, non potevo autoinvitarmi nei loro affari. Sarebbe semplicemente tornato tutto come prima e io me ne sarei fatta una ragione, del resto ci ero abituata. Non avrei neanche dovuto fare quei pensieri. Io non dovevo legarmi a nessuno. Eppure sentivo qualcosa di diverso dentro.
Finita la cena rimanemmo ancora un po’ a parlare e poi ripartimmo per Elmore. Arrivati al motel Dean spense la macchina, scendemmo, ma non mi avviai verso la mi stanza.
- A domani ragazzi.- Dissi dirigendomi a piedi verso il centro della città.
- Dove vai?- Chiese Sam.
Mi girai. – Non ho sonno. Vado a farmi un paio di drink.-
- Ti accompagno.- Disse Dean.
Lo guardai storto. – Non ho bisogno della baby-sitter.- Dissi.
Lui mi si avvicinò, ignorando il mio commento. – Tu vieni Sammy?-
- No, grazie. Vado in camera, ubriaconi.- Disse lui.
In risposta gli feci una linguaccia. E lui rise. Poi mi girai e mi avviai per la strada. Dean mi raggiunse. – Andiamo a piedi?- Chiese.
- Mi piace camminare di notte, sotto le stelle. Perché ti dispiace?- Risposi.
Lui mi guardò. – No, piace anche a me. Speravo solo che ricambiassi il favore di averti fatto salire sull’Impala e mi facessi fare un giro sulla tua moto.-
Sorrisi. – Stai cercando di fregarmi? Non è la stessa cosa! Dovevi mettere in chiaro prima di partire che salire sulla tua ‘bambina’ comportava che io dovessi farti salire sulla mia.- Lo guardai sorridendo e scuotendo la testa. – No, no caro mio. Non vale. Tu sulla mia moto non sali.-
Fece la faccia imbronciata. – Ok, ma ti convincerò. Prima o poi.- Disse sorridendo. Quella frase mi fece capire che non voleva tagliare del tutto i ponti con me e ricominciai a sperare. Volevo che mi chiedesse di andare con loro e allo stesso tempo non lo volevo. Era come se due parti del mio essere stessero lottando dentro di me, quella sopita ormai da un anno che aveva bisogno di un contatto umano di tanto in tanto e quella orgogliosa e testarda che voleva far vedere che poteva cavarsela da sola.
Oddio. Sì, ho proprio bisogno di un drink. Io non voglio stare con nessuno e non voglio che nessuno mi chieda di andare con lui chissà dove. Io sto meglio da sola, non voglio avere legami di alcun tipo. Per questo da più di un anno non andavo a trovare Bobby o Rufus.
Lui notò il mio cambiamento di umore, ma non disse niente. Continuò a camminare in silenzio al mio fianco fino al ‘Red white and brew’. Ci sedemmo al bancone e ordinai due vodke lisce, la mia doppia.
- Ci vuoi dare dentro, eh?- Disse Dean.
Incrociai il suo sguardo mentre buttavo giù il drink. – Qualche problema?-
Lui bevve il suo e ne ordinò altri due. – No, solo che non si trova di frequente una ragazza come te.-
- Lo prendo come un complimento.- Dissi.
- Beh, lo è.- Disse e io sorrisi. – Ho notato, però, che ti dai spesso all’alcool.-
Bevvi un sorso. – è un ottimo scacciapensieri.-
- Già, hai proprio ragione.- Disse bevendo un sorso anche lui, poi mi fisso negli occhi e proprio come era successo quel pomeriggio, mi persi nel suo sguardo. Prima che i ricordi dolorosi tornassero a galla distolsi lo sguardo e finii il mio secondo drink.
- Anche tu però non scherzi. Bevi come una spugna pure tu.-
Lui fece un mezzo sorriso triste. – Il nostro lavoro non è dei più semplici.-
Annuii e poi rimanemmo in silenzio per qualche minuto, ognuno perso nei suoi pensieri. Non ero abituata a parlare del mio passato, ma c’era qualcosa in lui che mi spingeva a parlarne, come se sapessi che mi avrebbe capito e che anche lui aveva passato le mia stesse pene.
Lo guardai mentre fissava intensamente il bancone davanti a se, le piccole rughe intorno agli occhi, i capelli biondi spettinati. Era davvero bello, ma la parte più bella erano gli occhi, perché racchiudevano tutta la sua vita, sia le parti belle sia quelle brutte. Senza eccezioni. Lì risiedeva il vero Dean e mi accorsi di volerlo conoscere.
- Qual è la tua storia?- Chiesi. Lui si girò verso di me senza capire. – Come sei arrivato a cacciare?- Precisai.
Tornò a fissare il bancone, facendo girare distrattamente il suo bicchiere. – Quando avevo quattro anni un demone è entrato in casa ed è andato nella cameretta di mio fratello. Mia mamma lo sentì piangere e andò a vedere. Quando anche mio padre entrò nella stanza vide mia madre sul soffitto con la pancia squarciata e tutto prese fuoco. Mi diede in braccio Sammy per portarlo fuori e cercò di salvare mia madre, ma non ci riuscì. Ha iniziato a cacciare per vendetta. Penso che tutti inizino così.- Si girò di nuovo verso di me. – Sai, prima non pensi neanche che esistano certe cose e l’attimo dopo un mostro ti strappa ciò che di più caro hai. In quel momento o decidi di lasciarti andare e impazzisci pian piano, o reagisci e cerchi un modo perché queste cose non capitino più.-
Annuii distrattamente. – E tuo padre, dov’è adesso?-
- è morto. Ucciso dallo stesso demone che uccise mia madre, si è venduto a lui in cambio della mia vita.-  Lo guardai stupefatta, eravamo più simili di quanto credessi. Lui si girò e indicò il bicchiere vuoto al barista in modo da fargli capire di volerne un altro. – Sai, non sono solito a raccontare queste cose agli estranei. A dire il vero non ne parlo neanche con Sammy.-
Io lo guardai, capendo appieno cosa intendesse. – Anch’io faccio fatica a parlare di certe cose. Penso che se trovi la persona giusta, che ti capisca le cose vengano fuori da sole. E comunque ormai non sono più un estranea.- Dissi cercando di alleggerire l’atmosfera.
- E te? Qual è la tua storia?- Chiese lui.
Sospirai. – Non penso possa essere molto diversa dalla tua. Come hai detto tu, s’inizia per vendetta. Mia madre è morta dopo l’attacco di un mutaforma che aveva preso di mira me. Ero in casa da sola, avevo sei/sette anni e mia madre era uscita per una consegna. Ero abituata a stare da sola, non avevo altri parenti o una baby-sitter. Comunque prese l’aspetto di mia madre, ma dopo pochi minuti capii che non era lei, aveva qualcosa di diverso. Mi rincorse per la casa e quando fui al piano di sopra fece crollare il pavimento sotto di me, non so probabilmente si divertiva. Mia mamma che stava tornando sentì il rumore del crollo e corse dentro. A quel punto il mutaforma prese di mira lei, penso fosse una preda più divertente. Mio padre fece in tempo a tornare a casa per vedere uscire quell’essere, che scappò via. Rientrando trovò il cadavere di mia madre, che pensava di aver appena visto uscire e me svenuta. Quando mi ripresi non credette alla mia assurda storia sul ‘clone malvagio’ della mamma. Fu così finché Bobby non vene da noi per interrogarci sull’accaduto fingendosi un agente dell’FBI.- Bevvi un sorso del mio terzo drink, ricordare faceva male.
- Come mai adesso sei da sola?- Chiese intuendo che c’era qualcosa di più nella mia storia.
Lo guardai. – Beh, sai è buffo. – Dissi fingendo di ridere, perché in realtà di buffo non c’era proprio niente. – Anche mio padre è morto per un patto. Sempre per salvarmi la vita. Poco più di un anno fa, ero stata ridotta in fin di vita da un fantasma durante una delle mie prime cacce. – I miei occhi si inumidirono, ma trattenni le lacrime.
- Mi dispiace, so quanto sia dura all’inizio. Soprattutto sapendo che ha dato la sua vita per la tua.- Disse lui sincero.
Feci un bel respiro per calmarmi. – e migliora?-
Lui mi guardò come per dire che la risposta era ovvia, la conoscevo anch’io, ma volevo sentirmelo dire. – No, ma provi a farci l’abitudine e non ci pensi. Cerchi di andare avanti sapendo che qualcuno ha dato tutto per far sì che la tua vita vada avanti.-
- Ho bisogno di un altro drink.- Dissi.
- Agli ordini.-  Disse sorridendo e facendo gesto al barista.
Il resto della serata lo passammo a parlare di cose più leggere, decisamente più leggere. Ci raccontammo aneddoti divertenti su Bobby, parlammo di musica, film e tanto altro. Scoprendo di avere un sacco di cose in comune.
- Non mi hai ancora detto come hai conosciuto Rufus?- Disse a un certo punto Dean. – Sai noi lo abbiamo incontrato in una specie di caccia, potremmo definirla così. - Continuò con un sorriso divertito. – è stato un po’ di tempo fa, ce l’ha presentato Bobby.-
- Già erano molto più amici una volta, poi dopo Omaha è tutto cambiato, ma non sta a me parlarti di questa storia. – Bevvi un sorso dal mio ennesimo bicchiere. - Per rispondere alla tua domanda, e sappi che lo faccio solo perché ho bevuto parecchi drink,- Dissi ridendo. - conosco Rufus da prima di incontrare Bobby e prima che succedesse tutto quel casino con mia madre e i mostri.- Feci una pausa, lo guardai dritto nel suo sguardo incuriosito. – è mio zio. Fratello adottivo di mia madre. Lui e mio padre non si sopportavano molto, ma quando ci fu l’incidente era fuori per una caccia e cercò di arrivare il prima possibile quando scoprì l’accaduto. Così incontrò chi non si sarebbe mai aspettato di vedere, cioè Bobby, e insieme ci aiutarono a superare l’accaduto e insegnarono a mio padre come diventare un cacciatore. Bobby fu l’unico ad opporsi, per il mio bene, ma alla fine capì che se mio padre non si fosse sfogato in quel lavoro si sarebbe sfogato con altro. Così Bobby e Rufus si prendevano cura di me a turno quando mio padre era impegnato.-
- Wow, sei la nipote di Rufus?- Chiese sorpreso. – E io che lo consideravo un burbero zoticone da quattro soldi.- Disse sorridendo.
- Perdono questa tua affermazione solo perché so che sei ubriaco. Comunque hai ragione, è una persona un po’ difficile, ma sa anche essere gentile e io gli voglio bene.- Dissi mentre lui annuiva con lo sguardo perso nel vuoto, probabilmente cercava di immaginarsi Rufus alle prese con una bambina.
A fine serata avevo bevuto così tanto da reggermi a stento in piedi e avevo la mente annebbiata. Per fortuna eravamo a piedi.
Ci avviammo verso il motel e quando fummo arrivati, mi accompagnò alla porta.
- Buona notte dolcezza. – Mi disse a pochi centimetri di distanza dal mio viso, così vicino da sentire l’odore di tutti i drink che c’eravamo scolati assieme.
Mentre era così vicino ebbi un impulso irrefrenabile, probabilmente colpa della mia recente perdita delle inibizioni dovuta all’alcol. Sentii aumentare quell’attrazione che era rimasta latente per tutta la serata, la sentii crescere fino a scoppiare. Mi alzai andandogli in contro e lo baciai. Lui per un attimo restò spiazzato. Poi ricambiò, facendo diventare il bacio sempre più passionale. Ormai non riuscivo a fermarmi, il suo sapore, il suo odore erano irresistibili e di certo non avrei provato a resistergli. Affondai le dita nei suoi capelli attirandolo sempre di più a me, assaporandolo. Dio quanto mi faceva impazzire.
Quando ci staccammo per riprendere fiato lo guardai negli occhi e vidi che anche lui provava le stesse cose, le sue iridi verdi erano come infuocate e questo non fece che aumentare in me il desiderio. Lo volevo, come ormai non volevo più nessuno da tanto tempo.
- Vuoi entrare?- Chiesi in un sussurro a pochi millimetri dalla sua bocca.
Mugugnò un assenso mentre riprendeva possesso delle mie labbra ed entrammo in camera mia.

 
La mattina mi svegliai con un terribile mal di testa. Mi tirai su e notai che ero vestita con solo le mutande, cercai di far mente locale e mi infilai la canottiera che era sbattuta in malo modo sul comodino. Guardai attorno, non c’era nessuno. Poi mi ricordai cos’era successo.
Andai in bagno e mi infilai sotto la doccia. Era stata un bella nottata, piena di eventi inaspettati. Come fare sesso con quel presuntuoso di Dean, che tra l’altro era sgattaiolato via quella mattina presto. Di sicuro non era in programma, ma era stata davvero una bella serata.
Sarebbe stato imbarazzante ritrovarci da sobri, ma avrei cercato comunque di non darlo a vedere.
Mi vestii, mentre ripensavo a quello che era successo. Mentre mi soffermavo sull’ultima parte della serata qualcosa in me si accese. Era proprio vero quello che gli avevo letto negli occhi, eravamo uguali in tutto e per tutto. La cosa mi spaventava, ma faceva nascere anche la speranza dentro di me. Speravo che anche lui avesse provato le stesse cose, che potesse capirmi come capiva se stesso. Potevamo aiutarci a vicenda col nostro passato. Per la prima volta sarei stata davvero felice di farmi aiutare da qualcuno e la cosa era a dir poco spaventosa. Ormai non mi riconoscevo più, erano bastate quelle poche ore con i fratelli Winchester a far riemergere quella parte di me che avevo sepolto con la morte di mio padre. Non volevo che la mia felicità dipendesse da qualcuno, ma mi rendevo conto che era tardi per rimediare e che avrei dovuto fare i conti con quella novità. Nonostante la paura mi gridasse di scappare da quelle sensazioni io ci sarei andata incontro.
Uscii dalla stanza e mi diressi verso quella dei due fratelli. – Oh, El. Entra.- Disse Sam. – Siediti pure, Dean è andato a prendere la colazione.-
-Spero per lui che prenda le ciambelle.- Dissi accasciandomi sulla poltrona.
Lui si appoggiò al muro. – Vedo che anche tu non ti sei trattenuta ieri sera. Hai esattamente la stessa faccia di Dean stamattina.- Disse ridendo e io mi unii a lui poco convinta. No, non mi son per niente trattenuta, non solo per l’alcool, anche se penso c’entri molto con quello che è successo dopo.
Strinsi gli occhi portandomi una mano alla fronte, il mal di testa stava aumentando, avevo bisogno di un caffè. – Mmh, già. Te invece hai fatto una bella nottata di sonno.- Dissi guardandolo.
- Beh, diciamo di sì. A parte quando Dean è rientrato, era così rintronato che ha sbattuto contro non so quante cose, compreso il mio letto.- Sembrò pensare un attimo su una cosa. – Saranno state le quattro del mattino, siete stati al bar fino a quell’ora?- Chiese confuso.
- Sì, ci siamo messi a parlare e non abbiamo notato l’ora che si era fatta. – Dissi cercando di non guardarlo negli occhi.
In quel momento Dean rientrò. – Sammy, sono passato da El ma….- Quando mi vide si fermò. –Oh ecco perché non eri in stanza. Pensavo fossi ancora rintronata dopo la nottata di ieri. – Disse ridendo e facendomi l’occhiolino. Ovviamente non si riferiva solo ai drink. Sbuffai divertita.
- Non sono così delicata.- Dissi guardandolo dritto negli occhi. Mi alzai andandogli incontro e gli presi la sportina dalle mani. – Spero tu abbia preso le ciambelle.-
Trovai una scatola la aprii e sospirai di felicità. La mattina iniziava bene. Mangiammo le ciambelle e bevemmo il caffè, poi arrivò il momento di metterci in marcia.
Andai a recuperare nel piccolo baule della mia moto alcune armi che sarebbero state utili e mi diressi verso l’impala.
Prima di salire Dean mi fermò con un gesto della mano. – Aspetta.- Disse.
-Che c’è?- Chiesi confusa.
- Dati i discorsi di ieri… non salirai su questa macchina se non mi prometti di farmi fare un giro sulla tua Ducati.- Disse.
Lo guardai tralice, voleva fare il furbo. – Non c’è problema.- Vidi il suo volto diventare speranzoso. A quel punto mi girai, dirigendomi verso la moto. – Ci vediamo là ragazzi!-
Mi girai giusto per vedere Dean imprecare e Sam ridere.




**______Angolo dell'autrice______**

Ne aprofitto per scusarmi di non aver ringraziato anche mijagi89 per aver aggiunto la mia storia alle preferite
e stefy77 per averla aggiunta alle seguite, oltre a Lavandarose e Concy_93_ per averla aggiunta alle seguite e per le recensioni che lasciano :)
Grazie ancora e spero che vi piaccia anche questo capitolo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***





Punto di vista di Elena

In pochissimo tempo eravamo al cimitero. Girammo tra le lapidi per così tanto tempo che credetti non fosse stato seppellito lì. Poi notammo una piccola lapide in un angolo, attorno non c’era nient’altro e sopra c’era scritto ‘George Rookvelt  13/2/1899 - 26/11/1932’
Incominciammo a scavare facendo a turno a turno, finché Sam non sentì il legno sotto la pala. Tirammo via la terra rimasta e aprimmo la cassa. Lo scheletro giaceva al centro e sembrava quasi che la sua bocca si stringesse in un ghigno. Sapevo però che era solo la suggestione, i teschi mi avevano sempre fatto quest’effetto.
Dean sparse il sale e io e Sam la benzina, poi accendemmo tre fiammiferi e li buttammo contemporaneamente nella fossa. Il corpo prese fuoco in un secondo e io sentii un lungo brivido di freddo percorrermi la schiena. Mi guardai attorno, ma non c’era niente pronto ad attaccarci. Così mi rigirai e aspettai con gli altri che il fuoco consumasse i resti di quel pazzo e poi ci dirigemmo al parcheggio.
- Non vi è sembrato troppo facile?- Chiesi.
Dean si girò. – Beh per una volta che le cose vanno lisce non me ne lamento.-
Annuii pensierosa, non mi sembrava possibile che fosse finito così in fretta. Eppure quel fantasma era uno squilibrato e doveva aver sentito qualcosa la sera in cui cercai di fermarlo. Possibile che non avesse intuito niente e non avesse cercato di fermarci?
Cercai di non pensarci, come aveva detto Dean per una volta che tutto andava bene era inutile crearsi dei problemi che non esistevano. A quel punto ci dirigemmo alla vecchia casa di Rookvelt, nella periferia remota di Elmore. Sicuri ormai che non ci fossero problemi entrammo nell’edificio e lo ispezionammo da cima a fondo, trovando infine il suo ‘mattatoio’. Aveva allestito nella sua cantina una specie di laboratorio, dove torturare le sue prede. Su un tavolo operatorio trovammo ancora la carcassa di un povero signore mutilato e squartato brutalmente. Sembrava essere stato il suo passatempo per almeno un paio di giorni dato lo stato in cui era. Cercammo al meglio di identificarlo dalle poche foto che avevamo e dal poco che ne era rimasto. Riconoscemmo dai capelli sparsi lì intorno e dai vestiti, che la moglie aveva detto che indossava quando era scomparso, che si trattava della quinta vittima. Non potevo credere a quello che vedevo. Lì intorno dovevano esserci ancora altre due persone, molto probabilmente ancora vive. La bambina di quattro anni e un ragazzo di diciannove, preso qualche sera prima del mio incontro con i fratelli.
Cercammo e chiamammo i due ragazzi, fino a sentire dei deboli colpi provenire dal fondo della cantina. C’era un vecchio ripostiglio sbarrato. Lo aprimmo con cautela e vi trovammo dentro quello che cercavamo. La bambina era priva di sensi e aveva un bruttissimo colorito, le provai subito il polso e capii che era solo disidratata. Il ragazzo, quello che aveva colpito il legno per farsi sentire, sembrava essere messo peggio. Era lì da molto più tempo. Il fantasma gli aveva provocato diversi tagli su tutto il corpo e tagliato un paio di dita nella mano destra. Non sembrava molto cosciente di quello che stava succedendo, ma lo rassicurai lo stesso. – è tutto finito ragazzi. Adesso vi portiamo all’ospedale.- Presi in braccio la bambina. – è tutto ok.- Continuai a dire mentre i due fratelli aiutavano o più che altro sollevavano di peso il ragazzo da terra e lo portavano nell’impala. Li adagiammo nei sedili posteriori e partimmo a tutta velocità verso l’ospedale.
– Avremmo dovuto controllare prima.- Dissi tra i denti quando eravamo al pronto soccorso che aspettavamo il verdetto dei medici che nel frattempo avevano chiamato i genitori. Sapevamo che saremmo dovuti scappare prima del loro arrivo, ma volevo sapere come stavano i due ragazzi. Di certo avremmo potuto trovarli prima e avrebbero avuto più possibilità di sopravvivenza se non avessimo gozzovigliato il giorno prima. Avremmo dovuto lavorare, invece con l’arrivo di quei due avevo messo in secondo piano tutto quello che non centrasse con l’essere felice. Loro mi guardarono Preoccupati dalla mia reazione.
- Sì, avremmo dovuto agire prima, ma non stare a roderti per questo.. Disse Sam poggiandomi una mano sulla spalla. – Credevamo che fossero morte tutte le vittime.-
Io sospirai cercando di calmarmi. – Questo non giustifica il mio comportamento.-
- Ehi. C’eravamo anche noi con te, anche noi abbiamo sbagliato.- Disse Dean.
 Lo guardai. – Lo so, mi dispiace.- Dissi cercando di non pensare a quello che sarebbe potuto succedere a quei ragazzi se avessimo aspettato qualche altra ora a far fuori quel bastardo. – Non sono abituata a lavorare con altri. Questo mi ha distratta dal mio dovere. Per questo ce l’ho con me stessa.-
Sam mi strinse a se con un braccio. – Sta tranquilla, vedrai che andrà tutto bene.-
Pochi minuti dopo infatti ci dissero che erano entrambi fuori pericolo. Tirai un sospiro di sollievo, ma questo non bastò a cancellare il senso di colpa.
 
Tornammo in pochi minuti al motel e ci avviammo alle nostre stanze. Prima di entrare nella mia però mi avvicinai a Dean. – Posso parlarti.- Lui si girò verso Sam e gli fece cenno di precederlo, mentre quest’ultimo lo guardava confuso.
Dopodiché mi seguì nella mia stanza. Gli fece cenno di accomodarsi, ma non lo fece e anch’io rimasi in piedi. Era giunto il momento imbarazzante e le mie mani erano arrossate ormai per il troppo sfregarle.
- Allora..- Incominciai, ma mi interruppe subito.
- Se è per ieri sera non ti preoccupare. Eravamo sbronzi.- Disse.
Lo guardai sollevata perché aveva capito la questione. – Sì, già è per ieri sera. Volevo sapere se era tutto a posto. Sai prima che ci separiamo..- Lo guardai quasi implorante. Nonostante tutto quello che la parte orgogliosa e testarda di me, mi diceva, volevo che mi dicesse che non c’era bisogno di separarci.
- Beh sì. Tutto a posto, è stato bello.- Disse fin troppo tranquillo, ma io vedevo che in lui c’era un tumulto di emozioni.
Rimanemmo in silenzio per parecchi minuti, molto imbarazzanti. Nessuno sembrava sapere cosa dire. A un certo punto lui si girò e disse. – Ci vediamo domani El, quando io e Sam ripartiremo.-
Ebbi un sussulto. Capii che non me lo avrebbe chiesto, sarei tornata da sola, senza di lui. Era quella la cosa più straziante. Non il fatto di stare da sola, a quello c’ero abituata, ma era stare senza lui e adesso mi rendevo pienamente conto di quanto lui in così poco tempo fosse diventato parte della mia vita. Com’era possibile che uno ti cambiasse in modo tanto radicale in così poco tempo? Un solo giorno, una sola notte, e tutto era cambiato. Senza neanche accorgermene.
- Per te non è contato niente ieri notte?- Chiesi in un sussurro mente si accingeva a uscire.
Con la mano sulla maniglia si girò verso di me e mi guardò negli occhi. – No. Non più del solito. Ho passato una bella serata ma nulla di più. Cosa ti aspettavi?- Rispose piatto. Rimasi spiazzata da quelle parole. Aveva ragione, cosa mi aspettavo? Ci conoscevamo da poco e sapevo che tipo era lui. Non cercava un legame, voleva solo spassarsela. Appena lo avevo conosciuto una parte di me mi aveva detto di starci attenta, ma non avevo voluto ascoltarla.
- Giusto… Scusa.- Dissi tornando a fissarlo negli occhi. Fu lì che mi accorsi di una cosa. Il suo sguardo e il suo mezzo sorriso erano freddi e distaccati, ma io sapevo fin dal primo giorno dove cercare la verità. I suoi occhi non mentivano mai e guardandoci dentro capii che non stava dicendo la verità, o almeno non tutta. Vidi che non erano quelle le parole che mi voleva dire, vidi il conflitto che stava accadendo dentro di lui. Forse non era così assurdo se anche lui sembrava confuso da quel che provava.
Recuperando un po’ della mia spavalderia mi avvicinai a lui e continuando a guardarlo dritto negli occhi alzai una mano per accarezzargli una guancia. Cercò di rimanere impassibile, ma qualcosa si scatenò in lui. Desiderio, rabbia, amore…
Possibile che in così poco tempo due persone potessero legarsi tanto? Doveva essere così, se no, non sarei riuscita a spiegare la sensazione che mi nasceva dentro ogni volta che mi guardava o lo guardavo, quando lo prendevo in giro… Era strano, forse impulsivo, ma sentivo che quel sentimento era vero. Ci capivamo meglio di chiunque altro, lo capivo meglio di Sam, e lui capiva me. Sapevamo di cosa aveva bisogno l’altro e sapevamo darglielo. Ci completavamo.
Mi avvicinai di più, a pochi centimetri dalla sua bocca. I nostri sguardi incominciarono a saettare sulle labbra dell’altro. – Dimmi che non senti quello che sento io in questo momento. Dimmi che non provi anche tu questa sensazione di… completezza. Dimmelo e io ti lascerò andare per la tua strada.- A quel punto poggiai le mie labbra sulle sue. Lui sembrò resistere per un po’, ma poi dischiuse le labbra e ricambiò il bacio. Le sue mani mi afferrarono la nuca e mi attirarono di più a sé. Io feci scorrere le mani sulla sua schiena fino ad afferrargli le spalle mentre il bacio si faceva più appassionato. Ci girammo e mi fece appoggiare al muro mentre continuavamo a baciarci. Quando ci staccammo per riprendere fiato ci guardammo negli occhi. Provavamo le stesse sensazioni.
Dopo un attimo di spaesamento lui sembrò riscuotersi e vidi tornare in lui gli stessi dubbi di prima. Si allontanò da me scuotendo la testa. – No, no. Non provo quello che provi tu.-
Mi avvicinai di nuovo a lui. – Non è vero. Perché menti a te stesso? Lo vedo quel che provi. Tu potrai anche mentire ed essere abituato a farlo costantemente, ma io leggo la verità nei tuoi occhi.-
Lui mi guardò duro e la rabbia che c’era in lui esplose. – Tu non sai niente di me! Siamo stati insieme una notte, ti ho raccontato delle cose sulla mia vita, ma per questo non credere di sapere cosa provo o come sono!-
- Invece lo so Dean! Noi due siamo uguali, tendiamo ad allontanare le cose belle perché abbiamo paura di perderle, o che finiscano. Non esponiamo mai i nostri veri sentimenti per non soffrire più di quel che già soffriamo e sopportiamo.- Passai una mano nei suoi capelli. – Dean io sono stanca di scappare e di essere sola. Tu no?- Chiesi guardandolo speranzosa.
Lui mi guardò e restò in silenzio per un tempo interminabile. Poi si allontanò di nuovo. – No.- Disse semplicemente e uscì dalla stanza sbattendo la porta dietro di se. Mi avvicinai e sfiorai la porta appena chiusa. Mi ci appoggiai con la schiena, scivolai giù fino a trovarmi con le ginocchi al petto, strette tra le mie braccia. Ero di nuovo sola. Una lacrima mi scorse sulla guancia. Dean non mi voleva. Aveva ragione, non lo conoscevo, non sapevo com’era. Gli avevo detto quello che provavo e lui mi aveva rifiutata. Scoppiai in lacrime. Ero sola.


Punto di vista di Dean
 
Mi aveva preso in contropiede, mi aveva spaventato. Come faceva a sapere come ragionavo? Quello che sentivo davvero?
Come poteva in così poco tempo avermi conosciuto così a fondo?
Uscito dalla stanza mi fermai. Aveva ragione, eravamo uguali, ma io non ero fatto per quel tipo di legami. Poggiai la schiena e la testa contro la porta dietro di me.
Non volevo che lei si legasse a me, tutti quelli che lo facevano prima o poi morivano, o si facevano molto male. No, non sarei stato con lei. Ero sempre stato da solo e avrei continuato così. Elena sarebbe stata meglio senza di me tra i piedi.
Sentii dei singhiozzi provenire dall’altra parte della porta. Trattenni il mio primo impulso di aprirla, consolarla e dirle che non l’avrebbe mai lasciata. Avrei voluto asciugare le lacrime che scendevano dai quei meravigliosi occhi color zaffiro, accarezzare il suo bellissimo viso. A fatica vi resistetti, mi girai e mi avviai verso la mia stanza, sbattendo la porta dietro di me, non potevo permettermi certe debolezze. Dovevo lasciarla andare.
Anche se non sarebbe stato meglio per me, lo sarebbe stato per lei.
Il mattino dopo io e Sam preparammo le nostre borse e le caricammo in macchina. Elena non si fece vedere.
Sam non capiva cosa fosse successo. La sera prima mi aveva visto rientrare furioso nella stanza e adesso El, con la quale ero poco prima di tornare in camera, non si faceva vedere. Avrebbe voluto salutarla prima di partire, c’eravamo dati appuntamento per le dieci per andare alla tavola calda, ma lei non si fece vedere.
Quando andò a bussare nessuno aprì la porta, la chiamò anche al cellulare, ma non rispose.
- Sam fidati, è meglio così.- Dissi.
Lui mi guardò in modo strano, come se avesse intuito cosa stava succedendo, ma non disse nulla ed entrò in macchina.
Nuova caccia e zero pensieri.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***





Punto di vista di Elena

Quella notte non riuscii a dormire. Non pensavo ad altro che a quello che era successo dal maledetto giorno in cui li avevo incontrati.
Erano stati i due giorni più belli che avessi trascorso da chissà quanto.
Guardai la luna sorgere e tramontare, senza accorgermi di quanto tempo stesse realmente trascorrendo. Quando la stanchezza mi coglieva non era mai per molto. Mi addormentavo giusto per rivedere quei momenti che avrei voluto cancellare. La strafottenza con cui mi parlava, le sue labbra sulle mie, il suo rifiuto. Tutto mescolato insieme. Questo faceva risvegliare in me sensazioni talmente forti da risvegliarmi, mi faceva contorcere sulla poltrona su cui ero seduta, tanto da farmi sentire quel senso di vuoto che precede una caduta e che in questi casi ti fa solo svegliare con il fiatone e più ansia di prima.
Quando il sole sorse non ne sopportai la luce. Era troppo intensa e inaspettata dopo una notte di luna calante. Mi avvicinai alla finestra e chiusi le tende. Poi tornai al mio posto ad aspettare. Aspettare che se ne andassero senza disturbarmi, ma Dean probabilmente non aveva spiegato la situazione a Sam.
Infatti passarono le dieci, l’ora dell’appuntamento e sentii bussare. Una speranza si accese in me. Se fosse stato Dean? Se si fosse ricreduto sulla sera prima? Quanto avrei voluto che fosse così.
Mi avvicinai trepidante alla porta, mano sulla maniglia pronta ad aprirla.
- Elena, ci sei?- La voce di Sam mi colpì come una coltellata. – Volevamo salutarti prima di partire.- Parla per te capellone.
Mi dispiaceva per lui, eravamo diventati amici. Avrei voluto salutarlo, ma se avessi aperto la porta ci avrei trovato anche Dean all’altro lato e non ce l’avrei fatta a incontrarlo di nuovo in quel momento.
Il telefono squillò e non risposi. Mi rannicchiai sul letto cercando di non scoppiare di nuovo a piangere. Cosa cavolo mi aveva fatto quel ragazzo? Io non ero mai stata una debole, o almeno non avevo mai potuto e dovuto esserlo da quando mamma era morta e più che mai ora. Era cresciuta in fretta, addestrata alla vita dura che ti lascia sempre con le gambe per aria. Adesso invece mi ritrovavo a piangere quasi due volte in sole ventiquattrore, anche meno, dopo diciotto anni dalla morte di mia madre senza una sola lacrima, solo qualcuna alla morte di mio padre, ma niente più. Le avevo sempre trattenute, perché simbolo di debolezza in un settore che non lo permetteva.
Quando sentii l’auto mettersi in moto e uscire dal parcheggio, aprii la porta e li osservai allontanarsi.
Reagisci cavolo. Dissi a me stessa. Renditi presentabile, vai a far colazione e parti subito per una qualsiasi città e cerca un qualsiasi caso.
Dopotutto non avevo torto, dovevo reagire. Così feci quel che mi ero detta da sola.
Tornata dalla tavola calda, però, percepii qualcosa di strano. Quando entrai nella mia stanza sentii freddo, un freddo strano. Sapevo cosa volesse dire. Presi subito una sbarra di ferro dalla mia borsa e mi preparai.
Entrai nella stanza, controllai il bagno, ma non c’era niente. Fu quando mi voltai per tornare nella stanza che lo vidi. Vestiti surclassati da chissà quanto tempo, barba incolta, capelli scarmigliati, pelle pallida. Osservava il pavimento. Poi con movimenti a scatti, da perfetto stile ‘fantasma inquietante’, tirò su la testa e mi osservò con un ghigno sadico stampato in faccia. Osservandolo meglio notai una linea rossa attorno al collo che contrastava con la sua pelle candida. Era Rookvelt. Sapevo che era stato troppo facile.
- Porca puttana.- Dissi notando che accanto a lui c’era la mia borsa dove tenevo il mio fucile caricato a sale.
Lui fece qualche passo verso di me e io indietreggiai brandendo la spranga che avevo in mano. – Sai ti ho vista al cimitero.- Disse. Da quando in qua i fantasmi avevano voglia di parlare? – Hai disseppellito mio fratello e hai fatto un bel falò.-
Capii al volo che non era George Rookvelt. – Sai mi stavo divertendo tanto con mio fratello. Con il nostro bel lavoretto ci stavamo assicurando un posto tra le file dei demoni. Dove avremmo potuto squartare chi ci pare, tutte le anime che erano all’inferno avrebbero potuto essere nostre.- Ecco da dove arrivavano i presagi demoniaci, stavano supervisionando il suo, anzi a quanto pare il ‘loro’ lavoro. Fece un altro passo verso di me. – Ma tu e i tuoi amici avete rovinato i nostri piani.-
Come potevano essere in due? C’era poco da pensare, dovevo agire. Presi più coraggio che potei. – Beh, mi spiace.- Poi mi avventai su di lui e lo scacciai col ferro. In un attimo sparì. Mi precipitai sul mio borsone e tirai fuori il mio fucile, poi cercai il cellulare. Dovevo contattare Bobby, chiedergli di fare alcune ricerche mentre tenevo a bada il maggiore dei Rookvelt. Dovevo sapere dove era stato sepolto, ma non avrei potuto scoprirlo io con il fantasma alle calcagna. Avrei dovuto ascoltare il mio istinto quando mi diceva che non dovevo fidarmi delle apparenze, sapevo che era stato troppo facile risolvere quel caso.
Ero così agitata che mi accorsi tropo tardi che era tornato il gelo nella stanza. Mi girai giusto in tempo per vedere Rookvelt che mi dava una botta in testa con una sedia. Caddi al suolo con la vista che si annebbiava. Mentre perdevo pian piano i sensi gli sentii dire. – Bene e adesso vediamo di far tornare qui i tuoi amichetti.-
Cercai di tornare presente a me stessa, ma ogni volta che mettevo a fuoco quel che mi circondava mi girava la testa e non riuscivo a rialzarmi. Mi abbandonai al suolo consapevole che presto sarebbe finita.
Poi fu tutto nero.


Punto di vista di Dean

L’impala sfrecciava veloce sull’asfalto, anche troppo veloce. Per non pensare non c’era niente di meglio che guidare la mia piccola, ma non quella volta. Pensieri ed immagini si susseguivano nella mia testa e per ricacciarli via non sapevo che altro fare se non schiacciare quel dannato acceleratore.
Ero consapevole che Sam mi guardava preoccupato, ma non avevo bisogno anche del pensiero di lui che voleva parlare di ‘sentimenti’. Proprio non mi andava una chiacchierata con lui sul suo argomento preferito di conversazione.
In risposta alle sue occhiate alzai al massimo il volume della radio che trasmetteva “Highway to hell” degli AC/DC. Non c’era canzone più azzeccata di quella.
Dopo parecchio tempo Sam abbassò il volume riducendolo a misero suono di sottofondo.
- Andiamo! Perché mi devi rovinare la giornata?- Dissi spazientito.
Mi guardò scettico. – Veramente te la stai rovinando da solo. Comunque devo fare una telefonata.- Disse digitando un numero sul cellulare e portandoselo all’orecchio.
- Chi chiami?- Chiesi, guardandolo curioso.
Lui sospirò. – Chiamo Bobby. Voglio sapere se sa qualcosa di Elena, visto che a quanto pare non la posso chiamare perché ‘è meglio che la lascio stare’.- Disse a mo di rimprovero.
Guardai fisso la strada davanti a me. – Vedrai che sta bene.-
- Beh, vorrei accertarmene dato che è una mia amica. Non so che discussione abbiate avuto voi due, ma io voglio sapere come sta. - Poi più piano disse. – Anche se immagino non bene, visto come stai tu. -
Lo ignorai e feci finta di non ascoltare la telefonata a Bobby, ma la verità era che anch’io ero preoccupato per come se la stava passando, ma sapevo che probabilmente non si era fatta sentire ne da Bobby ne da nessun altro.
- Uh, Bobby. Sono Sam. – Ascoltò la risposta poi riprese. – Sì, senti Dean è un idiota e ha diciamo avuto una discussione con Elly.- Altro silenzio, dove io lo guardai male, ma sembrò non accorgersene. – Lo so, ma sai anche tu com’è fatto.- Disse girandosi verso di me, ma vedendo la mia faccia cambiò subito espressione. – Beh, senti ti chiamo perché quando siamo partiti lei era ancora nella sua stanza. Volevamo sapere se ti aveva chiamato.- Nel silenzio che seguì cercai di captare qualche parola dall’altro lato del ricevitore. –Ok, senti con noi non vuole parlare. Non è che la chiameresti per sentire come sta?- Di nuovo silenzio. – No, con noi non vuole parlare. Grazie Bobby. Poi richiama.- Poi chiuse il cellulare e si accasciò sul sedile.
Ci furono vari minuti di silenzio, poi quando cercai di alzare il volume della radio lui mi fermò. – Cos’hai combinato stavolta?- Chiese lui. Io lo ignorai, cosa avrei potuto dirgli?. – Sai sembravate andare d’accordo. Non capisco cosa sia successo.-
- Niente ok! La vuoi smettere, se ho voglia di parlartene, te ne parlo. Altrimenti taci!- Gli urlai. Poi mi calmai. – Scusa Sam, è che non è un buon momento, né il discorso migliore da affrontare. Abbiamo semplicemente avuto una discussione.-
Lui mi osservò attentamente. – C’entra per caso la scorsa notte. Senti l’ho capito che non siete stati al pub fino a quell’ora. Non sono uno stupido, anche se quando ho cercato di sondare la situazione siete stati irremovibili. Non so come faccia a fidarmi di gente che mente così bene.- Disse per sdrammatizzare. Io non risposi. – Dean, so che non ti piace parlarne, ma voi due… Non so c’era uno strano feeling tra voi. Era come se vi conosceste da tutta la vita. Ti conosce e ti capisce molto più di me, lo vedevo come vi guardavate.-
- Sam, per favore, smettila.- Dissi.
A quel punto lui si zitti e io alzai a tutto volume la radio.
Quando la sera ci fermammo in un motel lungo la strada Bobby richiamò. Rispose Sam. – Dimmi.- Io ascoltai senza darlo troppo a vedere, mentre pulivo la mia pistola. – Come non risponde?- Disse. Iniziai subito ad agitarmi.
- Metti in vivavoce.- Gli dissi avvicinandomi.
Lui annuì. – Aspetta Bobby, metto in vivavoce così sente anche Dean.-
Dopodiché pigiò alcuni tasti e lo poggiò sul suo letto. – Sai di essere un idiota vero?- Mi chiese Bobby. – Cosa diavolo hai combinato stavolta?-
Sospirai. – Niente. Non sono affari vostri.- Risposi un po’ troppo duro.
- Oh ragazzo, altroché se lo sono! Quella ragazza ne ha passate tante, proprio come voi e non si merita certo anche una doppia dose della tua imbecillità.- Disse lui.
Abbassai lo sguardo. – Lo so. Sai come sta?- Chiesi agitato da quel che aveva detto prima.
Lui sospirò contro la cornetta. – No purtroppo. Ho provato a chiamarla su entrambi i suoi cellulari. Ma non risponde. Ha provato anche Rufus, la chiamiamo da tutta la giornata, ma non risponde. All’inizio pensavo che non volesse parlarmi perché ce l’aveva con te, da quanto aveva detto Sam. Sai magari pensava che chiamassi da parte vostra, come in effetti stavo facendo.- Aspettò qualche secondo poi riprese. – Questo atteggiamento non è da lei. Avrebbe dovuto rispondere a Rufus e non ha mai rifiutato così tante mie chiamate. Di solito anche se è arrabbiata con me dopo un po’ mi richiama.-
Mentre Sam continuava a parlare con Bobby io presi il cellulare e provai a chiamarla un paio di volte. La segreteria partiva sempre dopo una ventina di squilli, troppo perché fosse lei a mettere giù o per una segreteria accesa per non sentire nessuno.
- C’è qualcosa che non va.- Dissi tornando verso Sam e il telefono. – Normalmente si lascia il cellulare spento o si mette giù dopo pochi squilli. La segreteria qui parte dopo un bel po’ di chiamata a vuoto. Quindi o ha gettato entrambi i cellulari o è successo qualcosa.- Dissi in agitazione. Cosa poteva essere successo?
Poi parlò Bobby. – Avete finito il lavoro, prima di partire, vero?-
- Ma sì, certo che lo abbiam…- Mi interruppi subito.
- Come ha detto lei, è stato fin troppo facile.- Disse Sam. – Magari aveva ragione. Quando mai le cose ci sono andate lisce in una caccia?-
No, non poteva essere. Perché l’aveva lasciata sola prima che partisse? Perché non si era assicurato che era al sicuro? – Merda.- Dissi incominciando a raccogliere le nostre cose.
- Bobby noi torniamo indietro. Chiamaci se sai qualcosa. Appena arriviamo ti chiamiamo.-
- Scordatelo, arrivo anch’io, mi metto subito in viaggio. Probabilmente arriverete prima voi.  Mi aspettano quindici ore di macchina. State attenti.- Disse Bobby.
- Certo.- Appena chiusa la chiamata mi diressi verso la mia macchina. – Andiamo Sammy!-
Come avevo potuto lasciarla sola? Se le era accaduto qualcosa non me lo sarei mai perdonato.
 
Arrivammo a Elmore all’alba. Inchiodai nel parcheggio e scesi quasi di corsa dall’auto. Arrivato davanti alla sua stanza incominciai a tempestarla di pugni, ma nessuno rispose. Continuai a picchiare la porta, ma non successe niente. – El!- Gridai cercando di aprire la porta che era bloccata.
- Dean calmati.- Mi disse Sam. Io lo guadai furioso. – Non serve a niente agitarsi in questo modo. Devi calmarti, perché se non ragioni con calma non risolveremo un bel niente. Sfogati piuttosto buttando giù la porta.-
Questa era una gran bella idea. Mi allontanai di qualche passo, presi la rincorsa e sfondai quel pezzo di legno. Dentro la stanza era vuota, ma riconobbi il suo borsone ai piedi de letto, con dentro tutte le sue armi. Tutte tranne il fucile caricato a sale che era per terra, ma dall’altra parte della stanza. – Sammy le è successo qualcosa.- Dissi avvicinandomi alla sua borsa e tirando fuori la foto di lei da piccola con i suoi genitori. La strinsi forte. – è tutta colpa mia.-
- Non dire così Dean. Adesso facciamo qualche ricerca e vedrai che la ritroviamo.- Cercò di calmarmi Sam.
- Come può essere Rookvelt. Lo abbiamo arrostito quel bastardo.-
Camminai avanti e indietro per la stanza, mentre mio fratello tirava fuori il portatile e iniziava a cercare qualche altra informazione. Sam trovò qualche articolo che riguardava gli omicidi attuati dal fratello, aveva un modus operandi molto simile a quello di George Rookvelt, spesso venivano scambiati.
- Potrebbe essere lui. Molto più sensato della possibilità che ci sia ancora qualche suo pezzo in giro. Nei documenti che abbiamo trovato non se ne parla, dicono che vanne sepolto intero. L’unica pista che ci rimane è quella di Stephen Rookvelt.- Disse Sam.
Scoprimmo subito che era stato sepolto a Freemont nell’‘Oakwood Cemetery’. La città dove aveva commesso i suoi ultimi crimini prima di essere arrestato e giustiziato per aiutare il fratello.
- Bene io vado a cercarla nella casa di George Rookvelt. Ho come la sensazione che anche in vita lavorassero insieme qualche volta, perché non farlo anche dopo la morte? Se è lui doveva conoscere il suo laboratorio. Tu vai a bruciacchiare quel figlio di puttana.- Dissi.
Lui annuì e fece per andarsene, ma poco dopo si girò nuovamente verso di me. – Abbiamo una sola macchina.- Disse.
Tirai fuori dalla borsa le chiavi della Ducati. –Sono sicuro che non si arrabbierà. È un’emergenza.- Dissi.
- Io sono sicuro che ti taglierà la testa per aver guidato la sua moto senza il suo permesso.- Disse Sam prima di uscire e partire.
Arrivai in pochissimi minuti alla casa abbandonata fuori città. Tirai fuori il mio fucile a sale e mi caricai la borsa in spalla. Senza aspettare un solo altro secondo corsi nel laboratorio in cantina, lo buttai all’aria, ma non trovai nessuno.




**______Angolo dell'autrice______**

Manca poco, molto poco alla fine. direi un capitolo o due.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***





Quando ripresi i sensi non riuscii a mettere a fuoco quello che mi circondava. Sentivo freddo, questa era l’unica cosa cui riuscivo a pensare. Sbattei le palpebre parecchie volte prima di riuscire a distinguere qualcosa.
Vidi delle travi, sembravano disposte a capriata, quindi probabilmente mi trovavo in una soffitta. Cercai di alzarmi, ma avevo le mani legate, così come i piedi. Feci forza sui gomiti e riuscii a sedermi. L’unica illuminazione veniva da una piccola lanterna all’altro lato della stanza e da dei deboli raggi di sole che filtravano dalle assi di legno sopra la mia testa.
- Credo che siano arrivati.- Disse una voce proveniente da un angolo oscuro della soffitta. – Diamo inizio alle danze.- La figura del maggiore dei fratelli Rookvelt uscì dall’ombra con un coltello affilato in mano, lungo quanto un mio avambraccio. Fece qualche passo verso di me e io cercai di indietreggiare trovandomi contro una parete. Mentre si avvicinava iniziai a cercare di liberarmi dalle corde che mi legavano i polsi. Erano strette e mi ci sarebbe voluto un po’ per slegarle, ma potevo farcela. Il problema era allontanarlo, non potevo farlo senza le mani libere.
Continuò ad avvicinarsi. – Facciamoci un po’ sentire, se no come potranno arrivare qui?- Chiese ironico.
Lo fulminai con lo sguardo. Sapevo che stava per torturarmi come con le altre vittime, ma non avrei ceduto tanto facilmente. Non volevo che si mettessero in pericolo per me e se non mi avessero trovato, se ne sarebbero andati. Il fantasma, ormai a pochi centimetri da me, si chinò e fece scorrere la lama sulla parte alta del mio braccio. Il coltello scivolò lasciandosi dietro una lunga striscia rossa. Il dolore non tardò ad arrivare, forte e intenso, come se mi stesse bruciando, ma riuscii a trattenere l’urlo che voleva uscire dalle mie corde vocali.
- Vedo che vuoi fare la dura.- Disse poggiando il coltello al lato destro del mio collo. – Vediamo quanto puoi resistere.- Fece scendere la lama fino a raggiungere lo scollo della mia maglia. Anche se il dolore era più intenso e mi mozzò il fiato riuscii a trattenere la voce, che non voleva altro a parte uscire violentemente dai miei polmoni.
Mi prese le gambe e le distese, poi fece un altro taglio, più profondo stavolta, sulla mia coscia destra. Ne fece un altro poco distante da quello, ma l’unica cosa che feci fu tremare. Mi aiutava, riuscivo a sfogare lì la frustrazione del non poter liberare la voce. Sembrava che il rimedio per far passare tutto fosse gridare a pieni polmoni, ma non era così e in ogni caso dovevo resistere per il loro bene. Lui continuò a tagliuzzare il mio addome, dove stavolta si soffermo con la punta e la fece ruotare, stavolta non riuscii a trattenere un gemito basso e roco. I suoi occhi si illuminarono vittoriosi, sapeva che non avrei resistito a lungo. Continuò a infierire, finché non si stancò del mio silenzio e pugnalò brutalmente il mio braccio sinistro. Per la sorpresa e il dolore intenso esplosi in un urlo straziante per le mie stesse orecchie, sfogando tutto quello sopportato fino a quel momento. Appena mi resi conto di quanto avevo fatto serrai le labbra in fretta, maledicendomi.
- Tardi ragazzina.- Disse il fantasma.
Dal piano di sotto sentii un rumore sordo e poi una voce familiare grido. – El!- Pregai che lasciasse stare, ma a quel punto Rookvelt estrasse e affondo di nuovo il coltello nella spalla e scoppiai in un altro urlo misto a singhiozzi, nonn ce la facevo più. – El, resisti sto arrivando.- Continuò il ragazzo al piano di sotto, lo sentii correre verso la zona in cui si trovava probabilmente un varco per la soffitta, che la volta prima non avevamo notato.
- No Dean! – Gridai. – Ti prego non venire. Vattene! Non vuole altro.-
Ma dai rumori che venivano da sotto capii che o non mi aveva sentito o non gli importava quel che avevo detto. Poco dopo lo vidi in fondo alla stanza. La torcia gli illuminava il volto preoccupato. Quando mi vide diventò furente. Io avevo quasi sciolto le corde che mi legavano i polsi, ma mi serviva ancora qualche minuto. Non potevo permettere che nel frattempo Rookvelt gli facesse qualcosa.
Il fantasma sorrise beffardo alzandosi. – Bene, eccolo qui. L’eroe della situazione.- Disse  mentre Dean puntava il fucile su di lui. Poi sparò e il fantasma scomparve.
A quel punto corse verso di me. – El, piccola, stai bene?- Annuii poco convinta e confusa.
- Ti prego vattene finché riesci. Vagli a dar fuoco.- Lo implorai.
Lui cercò di sistemarmi meglio. – E secondo te perché sono da solo.- Sussurrò facendomi un sorriso scaltro. Sam! Se ne stava occupando lui. Sospirai di sollievo, ma non era ancora finita. Vidi il fantasma avventarsi su di noi appena in tempo.
- Dean!- Gridai. Lui si girò, estrasse un asta di ferro che aveva nella borsa e la conficcò nel fantasma.
Dopodiché si girò di nuovo verso di me, cercando di sollevarmi senza farmi male. – No Dean, se mi tieni in braccio non potrai combatterlo.- Dissi debole. – Posso camminare da sola.-
Lui mi guardò negli occhi e forse capì che non era la verità, ma capì anche che non poteva portarmi fuori così finche Rookvelt non fosse stato eliminato definitivamente. Scendemmo al primo piano mentre mi sorreggeva con un braccio. Ci dirigemmo più in fretta che potei verso le scale che portavano al piano inferiore. Continuavo a perdere sangue, ma non potevo fermarmi. Ricomparve in fondo all’ultima rampa di scale poco prima che ci arrivassimo. Io alzai come meglio potevo la sbarra di ferro e Dean, poggiandomi al muro, caricò il fucile. Stava per sparare quando la mano dello spettro cominciò a sfrigolare, poi comparve una fiamma. – No, non può essere.- Disse mentre il fuoco si propagava e lo bruciò completamente. – Noooo.- Fu l’ultima cosa che si sentì.
- Impara a contare amico.- Disse Dean.
Io sorrisi guardandolo, ma mi reggevo a stento in piedi. Si girò verso di me facendomi l’occhiolino. – Oh ma quanto siamo spavaldi. – Dissi ridendo.
Rise di gusto, quanto mi era mancata la sua risata.- Dai andiamo. Ti porto subito all’ospedale.- Mi fece di nuovo appoggiare a lui e mi portò fuori.
I miei occhi si posarono su una moto rossa, fin troppo familiare. Mi bloccai. Lui si girò verso di me. – Che c’è?- Chiese facendo il finto tonto.
Lo guardai male. – Cos’è quella?- Dissi indicando la mia Ducati con il mento.
- La tua moto.- Continuò lui innocente. Poi vedendo che non desistevo disse. – E va bene. Avevo bisogno di un altro mezzo di trasporto e non dirmi che avresti preferito che la guidasse Sam.- Rabbrividii al solo pensiero e lui lo percepì. – Ecco appunto. Ti ho fatto solo un favore.-
Continuai a guardarlo male. - Avresti potuto rubare una macchina.- Dissi. – O vuoi dirmi che sei un bravo ragazzo e che certe cose non le fai.-
- Ci avrei messo troppo.- Disse, poi guardò il mio volto scettico. – E va bene, ho voluto approfittarne. – Sospirò.
- Cretino.- Dissi mentre lui sospirava sempre più frustrato. Ci avviammo verso la moto. – Lo sai vero che adesso dovrò guidare la tua macchina.-
Lui mi appoggiò al sedile della moto per tirare fuori i caschi e con un mezzo sorriso strafottente mi disse. – Non abbiamo fatto nessun accordo del genere mi pare, quindi io non ti devo proprio niente.- Disse vendicandosi di quello che io gli avevo detto qualche sera prima.
- Sì, ma tu hai preso la MIA moto SENZA il MIO permesso.- Dissi enfatizzando alcune parole.
Lui mi guardò ridendo. – Insomma vinci sempre tu.-
- Certo tesoro.- Risposi sorridendo mentre mi metteva il casco.
Alzò gli occhi al cielo. – Se non mi spieghi il significato di quello che dici, potresti evitare di parlare nella tua lingua madre.-
- No, è troppo divertente vederti esasperato.- 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***





Arrivata al pronto soccorso mi misero un quantità industriale di punti, bendarono le ferite più gravi e infine, nonostante le mie più accese proteste, mi stesero su un lettino per farmi riprendere. Avevo perso molto sangue, ma per fortuna nulla di più.
Dean nel frattempo non si era mai allontanato da me, tranne che per andare incontro a Sam e Bobby quando erano arrivati anche loro. – La stavano per sedare come si fa con gli animali, tanto si agitava.- Aveva detto loro Dean ridendo e io di rimando gli avevo tirato un cuscino in pieno viso.
Mentre aspettavamo che il dottore mi venisse a dimettere chiacchierammo e ridemmo del più e del meno, come se non fosse successo niente. Ogni volta che ridevo o mi muovevo non riuscivo a trattenere dei gemiti per il dolore delle ferite e Dean scattava sempre verso di me per chiedermi come stavo. Cosa alquanto snervante dato che accadeva spesso. Non mi staccava mai gli occhi di dosso.
- La vuoi smettere. Sto bene! Mi servirà solo un po’ di tempo perché il dolore passi.- Sbottai non potendone più di tutte quelle attenzioni.
Lui si scusò e cercò di non guardarmi più, ma vedevo che ogni tanto mi lanciava delle occhiate di sfuggita e in quelle occasioni incrociavo il suo sguardo, troppo poco tempo perché potessi leggere quello che stava pensando.
- Bene io e Sam andiamo a prenderci un caffè, andiamo Sam.- Disse a un certo punto Bobby tirando una gomitata a Sam.
- Oh certo! Non mi reggo in piedi, ho proprio bisogno di un caffè.- Disse quest’ultimo fingendo uno sbadiglio.
Mentre se ne andavano trattenni a stento una risata. – Che c’è?- Mi chiese Dean.
- Non hai capito che se e sono andati per lasciarci soli?- Gli chiesi continuando a ridacchiare nervosa.
Lui rimase in silenzio guardandosi le mani con aria seria. Non era un buon segno. Quando alzò lo sguardo io lo distolsi, avevo paura di vedere quel che voleva dirmi. Lui però mi prese per il mento e mi voltò per fissarmi negli occhi. I suoi erano limpidi e sereni come non li avevo mai visti. Mi prese una mano tra le sue e se la portò alla bocca dandole un piccolo bacio. – Scusami.- Sussurrò. Lo guardai senza ben capire dove volesse andare a parare, nonostante il mio cuore avesse iniziato a galoppare. – Mi dispiace per quello che ho detto. - Continuò lui. – Avevo paura ad ammettere quello che provavo, non avrei dovuto lasciarti in quel modo. - Quelle parole mi stupirono. – Non volevo che venissi con me perché mi spaventava quanto in fondo ci capissimo noi due e quanto bene ci conoscevamo nonostante ci fossimo incontrati solo il giorno prima.-
Presi un lungo respiro. Tutto potevo aspettarmi fuorché quelle parole. – Che cosa vuoi dire?- Chiesi. Volevo che fosse più chiaro.
- Non sono bravo con le parole. – Disse. Poi mi si avvicinò alzandosi dalla sedia su cui era seduto. Si chinò e mi baciò dolcemente sulle labbra.
- Questo sembra un ‘mi dispiace’, ma credo tu l’abbia già detto. Non mi stai dicendo nulla di nuovo.- Scherzai. Si abbassò di nuovo e mi baciò più a lungo e deciso, in quel bacio riuscii a sentire la paura che aveva provato poche ore prima. – Questo è più difficile da tradurre.- Dissi a pochi millimetri dalle sue labbra. 
- Resta con me. - Sussurrò senza allontanarsi. – Vieni con me. -
Sorrisi, finalmente me lo aveva detto. – Non lo so, ci devo pensare.- Dissi facendo la finta pensierosa. Lui si tirò su guardandomi e facendo l’offeso. Lo tirai per la maglietta verso di me e prima di baciarlo dissi. – Sì, certo che vengo con te. - Poi le nostre labbra si unirono di nuovo. Il bacio si fece sempre più appassionato, gli misi le mani tra i capelli e lui sotto la nuca per avvicinarmi sempre di più alle sue labbra.
- Questo penso di sapere cosa significa.- Disse lui ridendo.
Io risi a mia volta. – Sì, ma sarà meglio aspettare di essere lontani da occhi indiscreti, prima di continuare il discorso.-
Poi si chinò a baciarmi un’ultima volta mentre il dottore si avvicinava.
 
 
 
5 anni dopo…
- El!- Gridò Dean dal piano terra della casa di Bobby. – Piccola noi stiamo per andare.- Continuò lui.
Finii di legarmi i capelli e scesi di corsa, andando a sbattergli contro, visto che mi aspettava in fondo alle scale. – Ehi piano per le scale.- Disse accarezzandomi la pancia. – Qui c’è qualcuno che potrebbe protestare.-
Gli misi le braccia al collo, mentre lui continuava a tenerla sulla mia pancia leggermente più grossa del dovuto. – Questa volta non vengo solo perché non riesco a staccarmi dalla tazza del cesso per praticamente tutto il giorno.- Dissi guardandolo negli occhi. – Ma alla prossima voglio esserci.-
Quei cinque anni insieme ci avevano cambiati. Sapere che lui andava a caccia senza di me, mi faceva stare in ansia per tutto il tempo in cui stava via. Avevamo imparato a guardarci le spalle a vicenda, io, lui e Sam, e non sapermi lì mi straziava. Se non ero con loro durante la caccia e non vedevo con i miei occhi che tutto andava bene e che non si facevano sfuggire nulla, non riuscivo a stare calma. Se in più si aggiungevano anche le dosi di ormoni aggiuntive, mi si poteva definire una bomba ad orologeria.
Lui mi baciò dolcemente e mi sorrise. – Aspetta e spera allora. Perché qui siamo in due contro uno e ti legheremo se questo significa tenere al sicuro te e il piccolo Dean.- Disse lui.
- Non sai ancora se sarà un maschietto.- Dissi sorridendo.
- No, ma so che deve stare al sicuro e questo significa che tu rimarrai qui.-
Cercai di protestare, non capiva che quando era fuori casa ero in pensiero per lui ogni secondo che passava. Mi zittì con un altro bacio ancora prima che iniziassi a parlare. – Non ricominciare, ti prego.- Disse.
Sospirai. Lui raccolse la borsa dai piedi delle scale e si diresse verso Sam che aspettava sulla porta. – Ci vediamo tra qualche giorno.- Mi fece l’occhiolino e chiuse la porta dietro di se.
- Stai attento.- Sussurrai mentre usciva.
Era stata davvero dura in quegli anni, se solo pensavo a come c’eravamo conosciuti mi veniva da ridere. Ci erano cascati addosso tanti di quei casini in cui non avrei mai immaginato di trovarmi in mezzo. Lucifero, l’apocalisse, i leviatani… Ma soprattutto la morte di Rufus e Bobby. Non si può dire che tutto si fosse sistemato, i problemi esistevano e continuavano ad arrivare. Con molta fatica, però, ce l’avevamo fatta e avevamo provato a tirare avanti. Avevamo ricostruito la sudicia casa a cui eravamo tanto legati e ci risiedevamo stabilmente tra una caccia e l’altra. Ovviamente sapevo che i nostri problemi non sarebbero finiti lì. I mostri continuavano a esistere e anche se era bello sognare, un bambino non avrebbe mai cambiato quello che eravamo. Saremmo stati sempre cacciatori e non avremmo potuto ignorare la gente che moriva quando noi potevamo salvarla.


**______Angolo dell'autrice______**

Allora, siamo arrivati alla fine.
Vi saluto e vi ringrazio tanto per aver seguito la mia storia :)
Un ringraziamento a mijagi89 e stefy77 per aver rispettivamente aggiunto la storia tra le preferite e le seguite.
Un grossissimo abbraccio e ringraziamento a Lavandarose e Concy_93_ per averla aggiunta alle seguite e per i commenti che mi avete lasciato, non sapete quanto mi abbiano fatto piacere :)    (mi mancheranno le vostre recensioni).
Probabilmente ci sarà un seguito, ma per il momento non so ancora quando lo pubblicherò, tra studio e tutto il resto non trovo il tempo di scriverlo decentemente. 
Comunque spero a presto! 
E grazie ancora.

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