Arbel Belava - Prologo

di Tristo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Espressioni d'Inverno ***
Capitolo 2: *** 2. Il fu Arbel Pascal ***
Capitolo 3: *** 3. La signorina Dluk ***
Capitolo 4: *** 4. End Of The Prologue ***



Capitolo 1
*** 1. Espressioni d'Inverno ***


Arbel belava, belava, belava…e io viaggiavo, viaggiavo, viaggiavo…[1]
Arbel era un rinoceronte antropomorfo.
I rinoceronti squittiscono[2] nel deserto alimentare dei Tarmelli.

Prologo
All’inizio fu Arbel. Non so perché sto scrivendo questo. Forse perché la mancanza di neuroni mi ha reso una persona molto.  Sono il non protagonista di questa storia reale, che sfiora il sabato ma passa dritta per la domenica.
È estate, e ho caldo. La febbre mi rende febbricitante. Ed ecco che vengo catapultato in…
 
 
I- Espressioni d’inverno
 
Sul treno per andare al molo a prendere l’aereo, stavo leggendo una scimmia, quando arriva uno strano tipo che mi chiede se voglio vedere i suoi mandaranci. Ma, tirati fuori dalle mutasche ho capito che erano mandananas. A quel punto cominciai a correre su e giù, usufruendo dei poteri donatami da Donato. Uraldo, il controllore del bus e buttafuori in una casa di riposo, mi corse contro, ma non era della Corsica.
Arrivato al molo, ho notato che mi mancava qualcosa. Non gli occhi, né le orecchie, né la bocca…Bensì il trasmettimucchi di materia. Senza preavviso il bus varò. Allora io cercai di raggiungerlo camminando sull’acqua, ma venni trascinato dalla corrente e finii nei Tarmelli.
Ed è qui che comincia la nostra storia.
In quel periodo i Tarmelli erano in pieno inverno, e faceva molto caldo, 50° scolastici all’ombra.
Però era un deserto molto strano, perché ogni oggetto era commestibile: i granelli di cioccolato, infatti, erano sabbia e le noci di cocco erano di legno. In questo posto mi ritrovai con il mattino sulle labbra. No, gli occhi li avevo chiusi, però era domenica, quindi il signore delle ginocchia stava cercando dei clandestini.
 
Quando mi vide, fece un’espressione sorpresa e arrabbiata, e una semplice divisione lo portò a capire che la somma di due noci di cocco non è un mobile dell’Ikea. Quindi chiamò le sue dodici spille da balia, che catapultarono questo testo in un suo monologo esteriore.
 
“Ho geliddo investate tue participe fuck in the lesson de francese. Tu che odi l’emi erime don’t me laisse not solo.”
 
Ovviamente, non capii un acca. Però la elle sì. Dunque, mi portarono in prigione in modo da farmi un’intervista non troppo amichevole.
“Quante volte è stato sulla luna?”
“Nessuna”
“Qual è il significato della parola difapjdoiafdi”
“Trifincultura invernale?”
“Sua madre è siodso?
“Non penso”
E dopo aver passato gli snodi autostradali mi ritrovai con un sonnifero piantato nelle chiappe.
Mi risvegliai in primavera che ero un figurino.
Gli occhi marroni avevano lasciato il posto agli occhi marroni, e i budini del deserto erano sbocciati, illuminando il contenuto del periodo sintattico.
Tutto era composto da atomi. Il mio cuore si era riempito di gioia, e non riusciva a digerirla.
Le guardie vennero a chiamarmi e mi portarono in giardino, per discutere del mio letargo.
Infatti ero molto diverso da loro: avevano infinite teste, sei gambe, erano sprovvisti di apparati auditivi ed erano pure tristi. Però mi donarono una creatura molto strana, che a prima vista sembrava un cactus. No, aspetta, era completamente diverso, ma ne parlerò nel capitolo successivo.
Io decisi di dargli dei soldi, e loro cominciarono a piangere: non sapevo come scusarmi, allora ho fatto una capriola. E! Miracolo! F! Miracolo! Rap Gesùtristico! Di - O!
 
 
Nota dell’aumucchi: Volevo inserire una prefazione carina per ogni capitolo, o almeno occupare un po’ di spazio. Ma questa vi farà riflettere: è un personal trainer.
Un due, un due, un due, ci abbiamo capiti. Vi ricordo che questo libro non sarà censurato perché la censura è proprio una *biiiiiip*


[1]  Le capre muggiscono pesantemente sull’erba del Pacifico, creando distorsioni spazio temporali.
[2]  Cioè creano delle nuove Mafalda incinte di un marinaio russo sterilizzato.

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Capitolo 2
*** 2. Il fu Arbel Pascal ***


II- Il fu Arbel Pascal.
 
Arbel correva quel giorno. Non era stata educata abbastanza bene, ma eravamo in sintonia. Era figlia del re di RealdumField, ma il regno era stato distrutto e gli abitanti costretti a fuggire.
Arbel fu, e non poteva non furre. Aveva l’aspetto uguale a un trifolsfato di anguria, ma completamente diverso. Due corna sul viso, tipo i cammelli, una gobba di grasso sulla schiena, come le api e un mandarino, come Gaetano.
Arbel come riportato all’inizio della fine, era un rinoceronte antropomorfo, che di rinoceronte antropomorfo aveva ben poco. Se però belando si confondeva con belanda, le mie scarpe le andavano in egual misura sui tripondi (piedi, in gergo greco - africano). I suoi occhi erano di zucchero, le sue tagliatelle di pasta incartata di branzini. Però aveva un difetto. La voce.
Una voce che corrodeva anche l’acciaio più dorato che non ci sia.
Aveva una storia complicata. Settima figlia di una settima figlia, in realtà era il primogenito di un figlio unico. Per osmosi anche lui è figlia unico.[1] So solo una cosa.
Le palle da tennis la facevano scassare. Quindi le mangiava anche a merenda. Cena. I gatti. Perle di saggezza infervoravano il suo animo quando una racchetta colpiva il suo cibo, si scagliava contro l’obbiettivo e… Gesù.
Sono arrivato a metà pagina e già ho esaurito le idee.
Correva il maratoneta 1867. Arbel aveva 12 lustri. Era un gentleman inglese, ma non sapeva che qualcuno cercava di renderlo francese. Sì. La Fondazione. Una fondazione talmente segreta da non avere un nome ed essere perciò chiamata fondazione.
Questa agenzia (non era una fondazione? Sarà per confondere le spie nemiche…) a scopo malvagio voleva trasformare tutti gli inglesi in francesi, in modo che la Francia non venisse più considerata una checca. Però il piano consisteva nel far mangiare formaggio di latte di formaggio sporco per poi lavarlo con Perlana.
Arbel, il nostro agente non segreto venne scoperto dalla fondazione mentre cenava in un pub irlandese. Cercava di non dare nell’occhio. Ma i muri avevano le orecchie. Ed ecco che otto combattenti gay in divisa da spiaggia arrivarono con delle banane in mano. Dal tutù rosa vennero estratti degli occhiali laser a forma di cuore. <3
MA.
Arbel fuggì. Sotto la protezione della sua pistola, corse. Fino ad arrivare al terzo vicolo cieco. Qui fece un intervento e gli ridiede la vista. Ed ecco che come un fulmine venne. E non ci fu più altro.
La distruzione.
Il vuoto.
L’abisso.
Radiazioni nucleari.
Aveva scorreggiato.
Nella corsa perse vari oggetti di ovvia utilità. L’apparato sessuale, i cani della signorina Dluk, sua nonna e il sol.
Gli agenti erano alle sue spalle. Lei se le tolse e riuscì a fuggire.
Dietro l’angolo non andò così bene.
E si ritrovò dentro una macchina. Da scrivere.
La mia.
Ebbene, questo è il suo passato. Ora vi starete chiedendo chi è la signorina Dluk.
Se non ve lo stavate chiedendo, beh, ora fatelo.
 
 


[1] Non si fa l’accordo perché non so di che sesso sia Arbel. Valalla.

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Capitolo 3
*** 3. La signorina Dluk ***


III- La signorina Dluk
 
La signorina Dluk è l’ex-vicina di casa dell’ex-padrone di Arbel. Abita in un tri-bilocale ed è una battona.
L’odore di fumo, vino scadente e trucchi rovesciati aprono la sua dimora. Il letto sempre sfatto, con minigonne troppo lunghe per essere chiamate poltrone sopra rendono lo scenario squallido.
Appena entrati si veniva assaliti da qualche reggiseno o tanga volante. O dagli scoiattoli che ormai erano soliti entrare nell’edificio per rubare le rane. La sua voce profonda, che preferiresti non sentire per lasciare spazio ad altri lavori, ti informava che non era in servizio.
Avvicinandoti alla stanza potevi notare vari bicchieri vuoti, con il segno del rossetto. Bottiglie di vodka in frantumi sul pavimento. Schegge ovunque, ricoperte da chiazze di sangue coagulato.
Seduta sul tavolo con le gambe incrociate, appare Dluk. 
Biondamente castana, con le mèches rosse ormai divorate dalla ricrescita, i suoi capelli a caschetto le circondano il viso, ormai sfiorito dalle lacrime versate pensando al fantasma sopra il comò. Il rossetto ormai consumato sbavava sul mento. Su tutto il corpo graffi, che facevano notare i lati negativi della zoofilia. Lo smalto sulle unghie mezzo tolto, i capelli arruffati, la gamba sempre in movimento facevano notare l’inquietudine della donna, che si pentiva per una vita sprecata, per non aver realizzato i propri elementi chimici razionali, per aver abbandonato una figlia avuta da un cliente.
Il suo corpo ancora in forma, come un parmigiano stagionato, era l’unica cosa che le restava.
Il suo ponte, il suo tramite in una realtà troppo dura per lei. E si odiava per questo, cercava di punirsi, sfregiandosi da sola. Ma la sofferenza fisica non eguagliava mai quella psicologica che provava guardandosi allo specchio e trovandosi ancora troppo bella e giovane. No, non è parente di un certo sig. D. Gray.
Arbel la adorava. E non passava giorno che non la andasse a trovare, per sentire le sue unghie scheggiate che grattavano il suo corpo, per consolarla, per leccarle via le lacrime, per rubarle il pollo arrosto dal forno…
Un giorno la signorina Dluk si portò a casa due cani dalla statale. Erano piccoli, li aveva trovati abbandonati in un fosso e, pensando al destino di sua figlia, li aveva raccolti per scontare i suoi peccati. Da quel giorno cambiò completamente. Smise di spendere i soldi in alcool e fumo, riordinò la stanza. Appena presi un po’ di soldi da parte, si cercò un impiego e cominciò a lavorare onestamente. Trovò posto come cassiera al centro commerciale vicino a casa sua.
Era tornata felice, e Arbel con lei. I vicini ora non la guardavano più disgustati e lei cominciava ad apprezzarsi. Tutto grazie a un incontro casuale con due “esseri che leccavano le cacche” –come definiti dal mio rinoceronte antropomorfo che di rinoceronte antropomorfo aveva ben poco.
E questo dimostra che l’amicizia poster - USB esiste, ed è vera.
La signorina Dluk affidava sempre i due cani, Reatl e Blosmie al padrone di Arbel. Ma quel giorno Arbel li portò a spasso, e come sapete, li perse.
Tornato a casa, la sua amata quasi padrona era sull’orlo del suicidio. Si era abituata alla nuova vita, non voleva tornare la battona di sempre. Ma era sconvolta. Senza i suoi “figli” non aveva ragione di vivere. Scrisse una lettera alla veloce, probabilmente la G, e uscì di casa.
La trovarono morta sei ore dopo.
O sei ore prima?
Ma prima del dopo o dopo il prima? E se fosse la seconda? O i secondi?
Questo racconto era troppo serio per un romanzo come questo. Romanzo.
Manzo. Fame. Ciao. Suicidarsi è bello.

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Capitolo 4
*** 4. End Of The Prologue ***


IV- End of the prologue
 
Appena finito di leggere il suo profilo, presi Arbel e mi misi in viaggio.
Non sapevo esattamente dove dovevo andare. Sulla mappa era indicata una X, ma non c’era né la direzione, né l’intensità della plastica. Il deserto era deserto, non c’era una porcellana nemmeno a cercarla con il paradenti. L’infinito della sagra dei vini finiva. Il posto lasciava posto ad altri posti, che non avrei mai voluto postare.
Dopo alcune (metaf)ore di cammino, Arbel trovò uno strano aggeggio per terra.
Verde, con alcuni diamanti finti incastonati nella base di finto legno, sembrava uno di quei mecha giapponesi, tipo le winx. Ma quando la luce dell’oscurità gli passò attraverso, cominciò a proiettare storie, di vita e di nasi, di cani e di bicchieri, che giungevano dall’aldiqua.
 
-Io, re Nebrastasiltiquasieroxondopon, porto questo messaggio in tutti i dugonghi per farvi afferrare il concetto di Nebraska. Non lo stato, il mondo nascosto che secerne dell’inutilità rassegnata.
Qui, dove verrete dopo aver ascoltato la mia storia, dovete trovare la sacra pietra, che di sacro non ha niente. E in realtà è di vetro.
 
 
Nella landa desolata del Mesniordonos, si trova una grotta, che conduce alla realtà del Nebraska.
Questo è un mondo crudele, pieno di cheerleader obese. Nella nave del secondo ospedale troverete il nostro informatore, che chiameremo .K. Il capitano sarà pronto a volare, ma attenzione. Non fidatevi del molo che non ha la mole.
Infatti penso che sia… -

 
Il messaggio finiva così.
Arbel e io fissavamo il nulla. Non sapevamo che fare.
Eppure, sapevo che avrei dovuto coprire la sveglia prima di andarmene. Ma non potevo abbandonare il mio deretano sul posto. Arbel mise gli occhiali da notte e mi comunicò queste poche parole:
“Duk nu hade de ne so ki ha de te yoi di ne dv un tewls!”
Che significa:
“Duk nu hade de ne so ki ha de te yoi di ne dv un tewls!”
Quindi cominciammo la nostra epopea verso il Nebraska.
 
Cercammo ovunque un passaggio, una grotta, ma non trovammo niente. Quando si fece notte, il trasmettitore verde si illuminò, e cominciò ad indicare una strada.
Io non sapevo se seguirlo o no, ma Arbel era già corsa via. La rincorsi. E ci trovammo davanti ad un varco.
La sogliola era blu. Ci fissava con quegli occhi da triglia tipici delle mucche.
E venimmo assaliti da dei ninja.
Non so come, ma ci ritrovammo legati.  
 
I ninja mi lasciarono @libero.it  anche se io volevo @virgilio.it  e fuggirono con Arbel.
Fu l’ultima volta che la vidi.
O almeno, pensavo lo fosse.
 
 
 

Un tipo losco, nascosto dietro un baule: -Nebraska, eh?

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