If I never knew this love, I would have no inkling of how precious life can be.

di Alley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Admiring the stras (especially one) ***
Capitolo 2: *** How does the proverb say? ***
Capitolo 3: *** The Beauty and the Beast ***
Capitolo 4: *** Shield centered ***
Capitolo 5: *** Avengers vs San Valentino ***



Capitolo 1
*** Admiring the stras (especially one) ***


Admiring the stars (especially one)


La luna splendeva alta nella distesa di oscurità trapunta di stelle, dipingendo d’argento le strade e i grattacieli di New York.
Bruce rimase a lungo a contemplare quello spettacolo attraverso i vetri della finestra chiusa, disteso sul fianco, leggermente sollevato, con il gomito affondato nel cuscino e la mano a sorreggere il capo. La Stark Tower offriva una panoramica mozzafiato della Grande Mela e il dottor Banner, da sempre affascinato dall’incantevole richiamo della notte, sarebbe rimasto ad ammirarla fino all’alba, malgrado il sonno. Quando, qualche ora prima, s’era messo a letto, dopo aver trascorso un’interminabile giornata tra le affollatissime vie della città insieme a Tony e agli altri Vendicatori, era certo che sarebbe crollato all’istante, invece quel luminoso mantello nero aveva calamitato la sua attenzione. Eppure di energie, sia fisiche che mentali - soprattutto mentali, impiegate in larga parte per contrastare i tentativi di Tony di irritarlo e divertirsi così a vedere turisti e cittadini fuggire a gambe levate e gridare a squarciagola con Hulk alle calcagna - ne aveva impiegate quel giorno, eccome se ne aveva impiegate; più di quello in cui avevano scacciato i Chitauri da New York. Tony, resosi evidentemente conto d’ aver esagerato con le provocazioni, s’era offerto di ospitare tutti nella sua faraonica abitazione, malgrado l’idea che lui e Steve Rogers dormissero sotto lo stesso tetto non lo entusiasmasse affatto.
Alla fine Bruce staccò lo sguardo dall’orizzonte cobalto e affondò il capo nel cuscino fresco, sospirando pesantemente. Sentiva che non sarebbe riuscito a prender sonno e la previsione si rivelò presto esatta. Così scostò lenzuola e piumone, infilò i piedi nelle pantofole e con estrema discrezione lasciò la propria camera per raggiungere la cucina. Forse un bicchier d’acqua – sempre che fosse riuscito nell’impresa di trovare della semplice acqua naturale tra l’infinita scorta di superalcolici di Stark - l’avrebbe aiutato ad assopirsi.
Scese le scale in punta di piedi, suggestionato dal silenzio assoluto in cui la torre era immersa. Terminata la rampa si accorse, con stupore, che dalla porta socchiusa del salotto, che precedeva la cucina nel corridoio al piano terra, proveniva una debole luce. Evidentemente colui che per ultimo l’aveva lasciato - avevano trascorso la serata a giocare a carte, stipati sul divanetto e sulle poltrone distribuite attorno al tavolino di cristallo al centro della stanza - aveva dimenticato di spegnerla. Bruce si avvicinò alla porta e la spalancò con cautela quasi maniacale, temendo che cigolasse, e una sorpresa ancor più grande lo travolse quando vide distesa, su quello stesso divanetto su cui lui e gli altri s’erano adagiati poche ore prima, l’agente Romanoff, immersa nella lettura.
Indossava una lunga vestaglia verde smeraldo che l’avvolgeva fino alle caviglie ed imitava il colore dei suoi occhi; i capelli ramati ondeggiavano attorno al viso pallido e assorto, chino sulle pagine del libro che stringeva tra le mani. Pareva una rosa rossa fasciata dall’erba fresca e Bruce fu ammaliato da quella visione come dal cielo stellato che si stagliava oltre la finestra. Natasha era splendida, accidenti se lo era, ma in quel momento c’era qualcosa che rendeva la sua bellezza diversa e più luminosa, che le conferiva un’insolita e irresistibile dolcezza, rendendola mille e mille volte più attraente ed incantevole. Il velo di gelo che sempre la circondava s’era sciolto e adesso appariva delicata, serena, distesa. Dopo quella che gli parve un’eternità, Natasha staccò lo sguardo dal tomo e alzò gli occhi, incontrando quelli di Bruce che ancora la fissavano dalla soglia. Un lampo di irritato stupore balenò nelle iridi smeraldine e quello strato di risentimento e durezza che l’accompagnava come un’ombra tornò a ricoprirla; Bruce si rammaricò non poco per aver spezzato l’incanto.
"Come mai ancora sveglio, dottore?"
Natasha chiuse il libro e si sollevò, mettendosi a sedere. Il tono della voce rivelava che non aveva affatto gradito l’interruzione e ancor meno l’esser stata spiata chissà per quanto tempo. Bruce dovette ammettere che aveva delle ottime ragioni per essere infastidita.
"Volevo solo un bicchiere d’acqua" rispose, mentre lo sguardo di Natasha diveniva più sottile e tagliente.
"La cucina è quella accanto."
"Perdonami Natasha, non volevo essere indiscreto. Ho visto la luce accesa e credevo che non ci fosse nessuno, non immaginavo che-"
"Non importa" lo interruppe lei e non sembravano parole dette per pura cortesia.
Bruce tirò un sospiro di sollievo.
"Che cosa leggi?"
Continuare ad importunarla non era la mossa più brillante che potesse fare, soprattutto considerando che non stava parlando con un innocuo topo di biblioteca ma con la Vedova Nera - avrebbe potuto stenderlo in un nano secondo se solo l’avesse voluto e se non ci fosse stato il rischio che lui si trasformasse in un omaccione grosso, verde e pericoloso. Eppure, la curiosità lo spinse a domandare.                                                                     
"'La morte di Ivan Il'ič'." rispose lei, mostrandogli la copertina del libro, sulla quale campeggiava un titolo per Bruce incomprensibile.
"I tuoi connazionali sono insuperabili in fatto di scrittura" commentò, sorridendo. Quasi senza rendersene conto, chiuse la porta alle proprie spalle e prese ad avanzare verso il divanetto, da cui Natasha lo osservava con un misto curiosità e meraviglia. O almeno, questa era la sua impressione; decifrare il volto di Natasha Romanoff è un'impresa nella quale sentiva di non poter riuscire.
"Hai letto Tolstoj?"
"Qualcosa. 'Anna Karenina', 'I cosacchi', 'Il sogno'…Non sono psicologicamente pronto ad affrontare 'Guerra e pace', ma prima o poi leggerò anche quello. Ah, e 'La morta di Ivan Il'ič'." –
Natasha sgranò gli occhi in un’espressione di puro stupore, come se Bruce le avesse appena rivelato d’aver preso parte ad un’orgia insieme agli altri Vendicatori e a Fury. Era tanto traumatizzante scoprirlo un appassionato lettore di Tolstoj? Pareva una persona così poco acculturata?
"Davvero hai letto questo libro?" gli chiese, rannicchiandosi sul bordo del divano per fargli spazio. Bruce prese posto accanto a lei.
"L’ho letto la prima volta tanti anni fa, quando ero solo un ragazzo. Mi colpì moltissimo già all’epoca, ma ero troppo giovane per capirne a pieno il significato. A questo ci sono arrivato soltanto dopo parecchi anni, però."
Bruce prese a fissare la copertina del libro e le lettere dorate che recitavano il titolo in russo. Ben presto quell’immagine fu sostituita da fotogrammi del suo passato, ricordi dipinti a tinte forti e dolorose che riaffioravano nella sua mente nei momenti più bui, e un’ondata di fredda e profonda tristezza lo travolse.
"'La rabbia lo soffocava. E sentì una pena straziante, intollerabile…'” sussurrò, con voce fioca e spenta, la mente che ancora galoppava nel passato - un passato di cui, nel presente, continuava a sentire il peso.
"'…non è possibile che tutti siano per sempre condannati a quest'orrore'."
La voce di Natasha, anch’essa un debole mormorio, si unì alla sua.
Bruce annuì mestamente e sfiorò i lembi bordati d’oro della copertina.
"A volte le parole dei libri ti sembrano cucite addosso…" commentò. Un leggero fremito gli incrinava la voce e le dita, ancora poggiate sul libro, presero a tremargli impercettibilmente.
Un bagliore di struggente tenerezza illuminò gli splendidi occhi di Natasha e a Bruce parve di veder la mano di lei, piccola e affusolata, scattare nella sua direzione, ma si fermò tanto in fretta che si convinse di averlo solo immaginato.
"È uno dei motivi per cui amo tanto la lettura" esordì e, stranamente, una nota d’imbarazzo le macchiò la voce soave "Grazie ai libri mi sento una persona migliore, più vera. Non ho bisogno di maschere quando leggo."
Bruce ricordò quanto le fosse sembrata diversa e raggiante mentre i suoi occhi solcavano avidamente le pagine.
"Lo stesso vale per me. E sono anche il miglior rifugio che conosca."
Questa volta, fu Natasha ad annuire.
"Mi presteresti 'Anna Karenina'? Quello mi manca."
Il sorriso cheto e brillante che le inclinò le labbra cremisi era favoloso e Bruce pensò che non aveva nulla da invidiare alla più luminosa delle stelle.
"Molto volentieri."












Note
Dovrei passare ventitre ore e mezzo su ventiquattro china sui libri in vista del secondo esame e invece no (purtroppo per voi e per la mia media universitaria). A mia discolpa posso dire che questa raccolta non era in programma, è saltata fuori all'improvviso, quindi non c'è l'aggravante della premeditazione. Sarà una raccolta di one shot (se tutto va secondo i piani dovrebbero esse cinque), molto semplici e ricche d'ammmore, che probabilmente troverete banale e stucchevole, ma, aimè, a causa della sindrome da shipping compulsivo che m'ha assalita nell'ultimo periodo dovevo fare 'na cosa del genere. Ma passiamo a questa storia. Dunque, ci sono altiiiissime probabilità che risulti assurda e inverosimile, ma ci sono due elementi che m'hanno fulminata e hanno letteralmente soggiogato la mia mente, costringendomi a stare sveglia fino alle 2 per scriverla. Il primo, è l'idea che Natasha legga i grandi maestri della letteratura russa (anche Dostoevskij naturalmente, tra un calcio negli stinchi e un cazzotto al supercattivo di turno) e la seconda è la citazione di quel libro, che m'è sembrata scritta a posta per Hulk. Ammetto di non avrelo mai letto (m'impegno a farlo, promesso), ma da aforismi&citazioni dipendente quale sono, quando mi sono imbattuta in quella frase (realmente tratta da "La morte di Ivan Il'ič" di Tolstoj) non ho potuto fare a meno di associarla a Bruce.
La storia vuole (o almeno vorrebbe) anche un modesto ma sentito omaggio alla lettura e quanto essa possa arricchire l'animo degli uomini.
Il titolo della raccolta è tratto dal testo della canzone "
If I never knew you", che fa parte della colonna sonora del cartone animato Disney "Pocahontas".
Credo d'aver detto tutto (ma anche se così non fosse preferisco smetterla di tediarvi con le note a margine). Spero che possiate apprezzare questa piccola sciocchesssssuola *sparge cuoricini*

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Capitolo 2
*** How does the proverb say? ***


How does the proverb say?


Tony si piazzò davanti allo specchio e prese a contemplare con evidente compiacimento la propria immagine riflessa.
Pepper trattenne a stento uno sbuffo spazientito e si chinò a raccogliere gli abiti sparsi ai piedi del letto. 'Abiti' non era esattamente il termine più adatto a definire l’esigua quantità di stoffa che l’ultima amica del signor Stark aveva lasciato nella sua stanza prima di essere subutata; 'stracetti privi di decenza' era senza dubbio una definizione più efficace. Appallottolò uno slip rosso fuoco, un succinto top argentato ricoperto di paillettes, un paio di calze a rete e…un minuscolo triangolo di tessuto nero attaccato a quello che le pareva un filo interdentale, tanto era sottile. Pepper realizzò con stupore che quello che aveva raccolto inizialmente non era uno slip, ma una minigonna - a meno che la fanciulla che quella notte s’era rotolata nel letto del signor Stark non avesse la bizzarra abitudine di indossare le mutande sopra il tanga.
Avvilita, si sollevò e fece per lasciare la camera, quando la voce di Tony ruppe il silenzio.
"Santo cielo, che splendore!"
Pepper roteò gli occhi al soffitto e raggiunse a grandi passi la porta socchiusa, i tacchi che tamburellavano minacciosi contro il parquet. Raccattare gli avanzi dell’ennesima sgualdrina era già di per sé un pessimo modo per inaugurare la giornata; per quanto fosse allenato e incredibilmente resistente, non era certa che il suo sistema nervoso avrebbe retto anche le autocelebrazioni mattutine.
"Avevo quasi dimenticato di avere una segretaria tanto affascinante."
Pepper, stupita, si bloccò sulla soglia e sperò che il rossore che le aveva tinto le guance andasse via il prima possibile.
"Per quale inspiegabile motivo io e lei passiamo così poco tempo insieme, signorina Potts?"
Forse perché è troppo occupato a deliziare il proprio apparato riproduttivo con la putta…meretrice di turno ed io a mandare avanti un’azienda multimilionaria mentre lei lo fa
"A causa dei rispettivi e improrogabili impegni che ci perseguitano, suppongo" rispose Pepper, ostentando il più falso dei sorrisi e scuotendo allusivamente il braccio in cui reggeva gli abiti, a mò di attaccapanni.
Tony sorrise a sua volta, ma, a differenza di quello della donna, il suo era un sorriso tutt’altro che forzato; era ampio e sornione e per quanto Pepper detestasse l’insolenza che gli incurvava le labbra non potè fare a meno di pensare che era decisamente affascinante.
Virginia, smettila subito
"Impegni? Che termine fastidioso!"
Perché, l’ha mai sentito prima?
"Compiere il proprio dovere talvolta può risultare tedioso, ma è aimè necessario" argomentò Pepper, senza riuscire a bandire dalla propria voce quella nota di acida ironia che già prima gliel’aveva incrinata.
Il viso di Tony si contrasse in una smorfia contrariata e lei dovette fare appello al proprio incrollabile autocontrollo per soffocare l’impulso di schiaffeggiarlo.
"Pepper, Pepper, Pepper…"
Si lasciò la specchiera alle spalle e prese ad avanzare verso di lei, facendo scivolare il proprio sguardo, intenso e adulatore, nel suo. Pepper sentì qualcosa dibattersi tra le pareti dello stomaco e un’improvvisa e imbarazzante ondata di calore le rivelò che le guance stavano nuovamente avvampando. Il guizzo malizioso che attraversò gli occhi scuri di Tony fu un ulteriore conferma.
"Non ha mai sentito il proverbio 'Prima il piacere e poi il dovere?', signorina Potts?"
Tony le si piazzò davanti e si sporse verso di lei. Il suo respiro fresco soffiava sulle guance infiammate di Pepper come una rigenerante brezza primaverile.
"Non mi sembra che il proverbio dica esattamente così" ribattè, senza però riuscire ad imprimere alla voce il tono sarcastico che aveva programmato.
"Ah no?" biascicò Tony con fare distratto, sporgendosi ulteriormente e riducendo ad uno spiffero la distanza tra i loro volti.
"No."
Pepper indietreggiò con uno scatto repentino e fu con enorme soddisfazione che colse il lampo di delusione balenato nelle iridi nocciola del suo capo. Con molta meno soddisfazione si accorse della vocina impertinente che, in un angolo recondito del suo subconscio, la biasimava per essersi sottratta a quella vicinanza così piacevole e promettente.
Per l’amor del cielo, taci
"L’appuntamento con il signor Tunder è previsto per le 10.30. Ha a disposizione solo 15 minuti per prepararsi, le consiglio di sbrigarsi."
Tony fece per ribattere, ma Pepper si voltò ed abbandonò la sua camera senza dargliene il tempo.
Aveva compiuto solo qualche passo quando gridò, lasciando trapelare un velo di compiaciuto scherno: “Prima il dovere e poi il piacere. È così che dice il proverbio, signor Stark”.












Note
Ed ecchila qua con la seconda, piccolerrima shot della nostra (un "plurale maiestatis" ogni tanto ci sta sempre bene) raccolta, che vede protagonista una coppia per la quale stra vedo e che non mi stancherei mai di raccontare. Amo e ammiro enormemente Virginia Potts per il modo in cui riesce a tener testa a quell'irresistibile megalomane di Tony Stark e desideravo da tanto scrivere qualcosa in cui gli mostra chi indossa i pantaloni in casa; n'è venuta fuori una cosuccia di estrema brevità e semplicità, spero possiate apprezzarla comunque.
Ringrazio immensamente Flox93, F e d e e Lou che con le loro recensioni alla prima shot hanno reso stra felice il ggguoricino folle e dolcioso di questa piccola squilibrata scrittrice in erba *sparge cuoricini* e tutti coloro che hanno inserito la raccolta tra le preferite/ricordate/seguite. Grazie di cuore a tutti!

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Capitolo 3
*** The Beauty and the Beast ***


The Beauty and the Beast


Vestiti, vestiti e ancora vestiti, vestiti ovunque. La stanza di Jane avrebbe potuto tranquillamente esser scambiata per un negozio d’abbigliamento in quel momento - un negozio di abbigliamento molto caotico.
La giovane astrofisica liquidò con uno sguardo sconsolato l’ultimo completo tirato fuori dall’armadio e lo lanciò sul letto, alimentando il già mastodontico mucchio di indumenti che nascondeva il piumone ormai quasi del tutto. Uno sbuffo afflitto sfuggì dalle sue labbra e Jane si gettò a peso morto sul letto, schiacciando la pila di abiti selezionati e puntualmente scartati nelle due ore precedenti. Aveva perlustrato l’armadio da cima a fondo, ma nulla le era sembrato adatto al primo appuntamento ufficiale con il suo ragazzo, che sarebbe passato a prenderla tra meno di un’ora. Tutti i primi appuntamenti con le sue vecchie fiamme erano stati preceduti da estenuanti pomeriggi di dubbi amletici e psicodrammi riguardo all’abbigliamento, il trucco, l’acconciatura e tutto ciò che potesse contribuire a migliorare il suo aspetto, ma questa era la prima volta che usciva con una divinità traboccante di muscoli e sex appeal e questo complicava non poco le cose. Niente le avrebbe evitato di sfigurare accanto alla bellezza surreale di Thor.
"Jane!"
La voce di Darcy risuonò squillante e sorpresa. Jane si sollevò a fatica e vide la sua amica fissarla con gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Era tanto assorta nel suo piccolo grande trauma estetico-sentimentale da non averla nemmeno sentita entrare.
"Tra meno di un’ora Thor-Sono-Un-Pericolo-Per-Gli-Ormoni-Di-Tutte-Le-Donne-Dei-Nove-Regni busserà alla tua porta e tu sei ancora in questo stato?"
Darcy pronunciò le ultime parole con un’enfasi tale che Jane non potè fare a meno di riaffondare nella pila di abiti che si ergeva alle sua spalle, in preda alla disperazione più totale.
"Non mi sento molto bene, forse sarà meglio che chiami Thor e rimandi l’appuntamento."
Un pesante rumore di passi rivelò che Darcy stava avanzando e in un nanosecondo Jane se la ritrovò davanti, le mani sui fianchi e una smorfia contrariata dipinta sul volto.
"Ascoltami bene, cocca. Una donna degna di questo nome preferirebbe vestirsi di stracci piuttosto che rinunciare ad una cena con Thor" sbraitò, esasperata "È inconcepibile. E se pensi che alla cena seguirà il dopocena, si può definire un’autentica follia."
Jane sospirò e si sollevò, rovesciando buona parte degli abiti sul pavimento.
"Se il tuo problema è cosa indossare, la soluzione è nella stanza accanto" cinguettò Darcy con entusiasmo, per poi afferrarla per un braccio e trascinarla nella sua camera.
"Darcy, sei molto carina a preoccuparti per me, ma…"
Jane cercava un modo delicato per dirle che mai e poi mai avrebbe indossato gli abiti succinti ed esuberanti che componevano il suo guardaroba, ma l’amica s’era già fiondata nell’armadio e adesso armeggiava con top striminziti, minigonne cortissime e tanga tanto minuscoli che non avrebbero ricoperto nemmeno un’unghia.
Mai, ma e poi mai, mai nella maniera più assoluta
A Jane dispiaceva davvero mortificare Darcy e il suo altruistico spirito di iniziativa, ma non avrebbe preso in prestito la sua biancheria intima nemmeno sotto tortura ed era disposta anche a dirglielo schiettamente pur di evitarlo.
"Eccolo qua!"
Darcy riapparve da dietro l’anta spalancata con una maglia fucsia, priva di spalline e leggermente arricciata sui fianchi che, stranamente, a Jane non dispiaceva affatto. Forse il colore era un tantino troppo acceso per i suoi gusti, ma considerando gli standard dell’amica in fatto di abbigliamento era un dettaglio assolutamente trascurabile.
"Bella, mi piace! Non avresti qualcosa da abbinarci? Una gonna – magari qualche centimetro più lunga di quelle che hai tirato fuori – o un paio di pantaloni…"
"Jane."
Darcy contrasse le labbra e roteò gli occhi al cielo.
"È un vestito."
"Cosa?!"
Le ipotesi erano due: o la sarta che l’aveva cucito era a corto di stoffa o l’acquirente l’aveva comprato con il preciso intento di andare in giro col fondoschiena in bella vista. Conoscendo l’amica, Jane optò per la seconda.
"Darcy, apprezzo moltissimo il tuo tentativo di aiutarmi, ma non c’è niente che faccia al caso mio. E non nel tuo armadio, ma nel mondo."
Si aspettava un rimprovero o un’altra smorfia o un verso canzonatorio, invece l’amica le sorrise teneramente e le prese la mano. "A Thor non interessa minimamente quello che hai addosso, Jane. Potresti anche farti trovare nuda, lui sarebbe comun-"
Si interruppe e un altro lampo di malizia cancellò la dolcezza che aveva animato il suo sguardo poco prima. "Non sarebbe affatto una cattiva idea."
Jane sbuffò, indispettita, e le lanciò addosso quella sottospecie di abito che aveva provato a rifilarle; ma, in realtà, non aveva alcuna voglia di tenerle il broncio.
"Grazie."

***

Il rumore del campanello risuonò come il rintocco di una campana mortuaria alle orecchie di Jane. Rassegnata, la giovane si trascinò fino alla porta, tra un mare di sospiri e tacite maledizioni rivolte a Madre Natura – non era certa che operasse anche ad Asgard, ma aveva bisogno di imprecare contro qualcuno – che aveva dotato il suo ragazzo di una quantità così spropositata di testosterone. Inutile affannarsi alla ricerca di abiti e scarpe, le ci sarebbe voluta la fata turchina per trasformarla in una super gnocca all’altezza di Thor-Sono-Un-Pericolo-Per-Gli-Ormoni-Di-Tutte-Le-Donne-Dei-Nove-Regni; con quest’amara consapevolezza aveva deposto le armi ed era rimasta in pigiama, senza però trovare il coraggio di telefonargli per disdire l’appuntamento.
"Thor" esordì, ancor prima di aprire la porta "Mi dispiace tanto, sono veramente desolata, ma è da questo pomeriggio che ho un terribile mal di testa e la nausea e non faccio altro che correre in bagno e mentre vomitavo mi è caduto il gabinetto nel water e allora non ho potuto avvertir-"
Quando ebbe spalancato la porta si interruppe di colpo e, anche se sapeva che non era una cosa educata e che non avrebbe dovuto farlo, sgranò gli occhi in un’espressione di puro stupore, non dovuto alla straordinaria bellezza del dio – o almeno, non soltanto a quella – che gli stava davanti.
Thor indossava un paio di jeans decisamente troppo stretti e su questo Jane non aveva nulla da dire – anzi – era quello che vi aveva abbinato a suscitare il suo sbigottimento. Thor, che le sorrideva radioso e leggermente impacciato – Darcy non le credeva quando diceva che preferiva il suo sorriso alla sua montagna di muscoli, ma era davvero la cosa più bella che avesse mai visto – indossava un maglione extra larga – extra large per lui e le sue infinite spalle, il che era tutto dire – su cui erano disegnati degli animali che Jane avrebbe definito – Dio mio - feroci e assetati di sangue.
"Thor, che cosa sono?" gli chiese indicandoli, gli occhi ancora sbarrati.
"Cuccioli di Pentapalmo" rispose quello, abbassando lo sguardo sul maglione e poi rialzandolo su di lei.
Jane non aveva la benché minima idea di cosa fosse un Pentapalmo. Sapeva solo che trovava quegli esseri orrendi e Thor magnifico, anche con quel ridicolo maglione addosso.
"Mi spiace che tu sia stata male, Jane. Vorrà dire che…"
"No!"
La voce della giovane risuonò stridula e squillante, molto più di quanto avrebbe voluto, tanto che Thor aggrottò la fronte, preoccupato e confuso.
"Voglio dire, non sto male, sono stata male oggi ma adesso sto bene, benone, quindi possiamo uscire esattamente come avevamo programmato! Dammi solo cinque minuti."
Indietreggiò, lasciando la soglia libera, e lo invitò ad entrare.
Naturalmente, Darcy apparve proprio in quel momento; Jane sospettava seriamente che fosse capace di materializzarsi.
"Thor!"
Corse a braccia spalancate verso il dio del tuono e gli stampò un bacio sulla guancia, sollevandosi sulle punte per raggiungere il suo volto.
"Sei uno schianto!"












Note
Naturalmente, il titolo è parodico ed è riferito al modo in cui la povera Jane si sente; se Natalie Portman è una Bestia, io sono la nonna di Babbo Natale.
Ringrazio con tutto il cuore - i polmoni e il fegato e con quell'unico neurone che ancora gravita nella mia vuotissima scatola cranica - tutti coloro che hanno inserito la raccolta tra le storie preferite/ricordate/seguite o semplicemente l'hanno letta e magari gradita (se spera); un ringraziamento particolare e affettuoso e lovvoloso va a Lou e Flox93 che m'hanno di nuovo riempita di gioia con le loro splendide recensioni. Baci e orsetti zuccherosi per tutti!
Ho un dubbio amletico tanto quanto quelli di Jane: il singolare di "Pentapalmi" è "Pentapalmo" o "Pentapalma"? La sottoscritta s'è sottoposta ad una lunga serie di pippe mentali per ore ed ore prima di optare per la prima.

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Capitolo 4
*** Shield centered ***


Shield centered

Quando Phil entrò nel proprio ufficio e si chiuse la porta alle spalle, le urla di Fury gli rimbombavano ancora nella testa e con esse le battutacce di Stark, le proteste di Natasha, le paranoie del dottor Banner e le esasperanti arringhe difensive di Thor a favore del fratello. Soltanto il Capitano s’era comportato in maniera ineccepibile; non aveva mai alzato la voce, non aveva mai fatto un’osservazione fuori posto, non aveva mai interrotto nessuno dei presenti. Gli altri ce l’avevano messa tutta per irritarlo ed opprimerlo e avevano conseguito brillantemente il risultato. Non avrebbe mai più preso parte ad una riunione con il direttore e i Vendicatori, a costo d'essere licenziato.
Naturalmente, aveva notato che uno dei convocati mancava all’appello; Barton disertava incontri e turni quotidianamente e la cosa, pertanto, non l’aveva affatto stupito, ma non gli era nemmeno sfuggita. L’assenza di Clint non sarebbe mai passata inosservata ai suoi occhi, nemmeno dopo secoli di astensionismo reiterato e infiniti sabotaggi. In quel momento era troppo stanco per arrabbiarsi e cominciare a preparare mentalmente la ramanzina che gli avrebbe rifilato il giorno successivo, senza contare che l’attendeva ancora un ultimo, gravoso compito che avrebbe richiesto tutta la sua attenzione. Se non fosse stato per quella maledetta riunione, prolungatasi cinque ore più del previsto - una faccenda da niente, Coulson, la liquideremo in un attimo. Certo, come no - sarebbe potuto tornare a casa e sprofondare in un sonno lungo e beato, invece avrebbe dedicato buona parte della nottata a compilare gli schedari sulle nuove reclute. Il direttore pretendeva di trovarli l’indomani mattina sulla sua scrivania e pertanto non poteva rimandare l’onere. A pochi minuti dalla mezzanotte, Phil non aveva ancora esaminato uno solo dei documenti che gli occorrevano per sbrigare la pratica e le palpebre gli pesavano come macigni.
Uno schiocco secco spezzò il turbine di voci che ancora riecheggiava nella sua mente e interruppe le sue riflessioni, mentre la punta della freccia colpiva, esattamente al centro, la riproduzione dello scudo di Capitan America appesa alla parete; il dardo sbattè contro il metallo a stelle e strisce per poi stramazzare al suolo.
"Sparisci" gli ordinò, e non con il tono blando e ben poco convincente delle altre sere.
Le rotelle della poltrona strisciarono contro il marmo dal pavimento e un istante dopo Clint si chinò a raccogliere la freccia, ancora stesa inerme contro la parete.
"Mi perdoni signore, non volevo disturbarla" si scusò, raddrizzandosi. La sua voce non tradiva delusione né rancore per il modo brusco in cui era stato scacciato, ma dal momento che...l’evolversi del loro rapporto aveva portato all’automatica abolizione di ogni tipo di formalità ormai da secoli, l’utilizzo del 'lei' non passò inosservato alle orecchie del suo interlocutore. In ogni caso, Phil non era nelle condizioni psico-fisiche adatte ad intavolare una discussione, così si avvicinò alla scrivania senza aggiungere nulla, lanciando un’occhiata desolata ai documenti che lo attendevano. Giunto davanti allo scrittoio, non potè fare a meno di sgranare gli occhi in un’espressione di autentico stupore; la prima griglia era già stata compilata e così la seconda e tutte quelle dell’infinita colonna. I dati sulle nuove reclute, che lui nemmeno aveva letto, erano stati inseriti negli appositi spazi in maniera chiara e ordinata.
"Ero passato per vedere se avesse bisogno di una mano."
Quando sollevò lo sguardo, Clint era già sparito oltre la porta di mogano, lasciandola socchiusa. Phil si colpì la fronte col palmo della mano e si precipitò in corridoio. Tutti gli agenti erano già andati via; eccetto loro due la base era deserta e ad illuminare l’andito buio c’era solo la luce proveniente dal suo ufficio.
"Clint."
Il Falco si voltò e adesso la sua espressione era evidentemente contrariata.
"Ho avuto una pessima giornata, sono distrutto mentalmente e fisicamente. Fury mi sta tormentando e Stark non è mai stato così insopportabile e…mi dispiace."
"Ti ho sempre detto che lavori troppo."
La maschera di sdegno sul volto di Clint si sciolse in un sorriso divertito e dopo un istante entrambi scoppiarono a ridere.
"Grazie."
"È l’ultima volta che faccio una cosa del genere. Preferirei essere spedito al Polo Nord a fare da balia ai Pinguini piuttosto che dedicarmi a quella roba".
"Al Polo Sud" lo corresse Phil e Clint gli rivolse uno sguardo perplesso.
"Al Polo Nord non ci sono i pinguini. Sono al Polo Sud."
"Sei schifosamente pignolo."
"E tu schifosamente geloso."
Clint tacque e un’ombra di colpevolezza passò sul suo viso, alimentando il sorriso sornione che era spuntato su quello di Phil.
"Non so di cosa tu stia parlando" ribattè alla fine, cercando vanamente di ostentare quanta più indifferenza possibile.
"Quindi…" cominciò l'altro e Clint detestava quell’espressione e quel tono da so perfettamente che stai mentendo in modo spudorato e sputtanarti mi diverte moltissimo che Phil aveva rispolverato per l'occasione.
"…è per puro caso che ogni sera ti trovo a colpire lo scudo del Capitano…"
"Rogers."
"…con quella faccia disgustata e inviperita?"
"Ovviamente" replicò Clint e no, non era affatto credibile, ma la sua filosofia era sempre stata quella di negare anche di fronte all'evidenza "È il miglior bersaglio che ci sia nel tuo ufficio e dovrò pur passare il tempo in qualche modo mentre ti aspetto e smettila immediatamente di fare quella faccia."
"Quale faccia?" chiese innocentemente Phil e si beò dello stizzito verso di protesta che uscì dalla sua bocca.
"Lo sai benissimo. E sai che non la sopporto, quindi smettila."
"È quasi peggio di quando m’hai nascosto la collezione di figurine."
"Te le straccio una ad una se non la pianti."
Phil scoppiò a ridere e la sua risata rimbombò chiara e cristallina nella base deserta. Pensava che la cosa l’avrebbe ulteriormente seccato, invece Clint parve rilassarsi, quasi come per magia, e lui non potè fare a meno di notare che gli succedeva sempre, quando lo guardava ridere. Sembrava in pace con se stesso e con il mondo intero ed era incredibile il modo in cui lo fissava, quando rideva in quel modo.
"Andiamo a casa" disse infine e, spenta la luce nel suo ufficio, lo raggiunse a metà del corridoio.
"Credo sia la prima volta che non entro dalla finestra" osservò Clint e una nota di stupore gli macchiò la voce.
Sicuramente, le volte in cui s’era intrufolato per vie traverse e Phil se l’era ritrovato davanti aprendo la porta – rientro tutt’altro che spiacevole, ma questo aveva evitato di dirglielo – superavano di gran lunga quelle in cui aveva bussato ed era stato accolto dal padrone di casa, come fanno tutte le persone normali.
"Beh, devo farmi perdonare."
Il ghigno compiaciuto che Phil era certo si sarebbe dipinto sul viso di Clint non si fece attendere.
"Già."












Note
E fu così che, superato il tanto temuto secondo esame, trovò il tempo di aggiornare la raccolta *yeah* Chiedo immensamente perdono, ma lo studio m'ha completamente assorbita, risucchiandomi tempo ed energie e costringendomi a postare con estremo ritardo questa quarta shot, senza contare che me ritrovo con milioni di storie da leggere e recensire e miliardi di recensioni arretrate *annega nello sconforto e nei sensi di colpa* Prometto che adempirò ai miei doveri al più presto!
Nel mentre, abbraccio e sbaciucchio quelle due meraviglie di Lou e Flox che continuano ad allietare il mio cuoricino con le loro splendide recensioni e ringrazio sentitamente tutti coloro che seguono la raccolta in silenzio. Prometto che la quinta ed ultima shot arriverà tra una settimana esatta (ve potete fidà, è già pronta e deve solo essere rivista). Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Avengers vs San Valentino ***


Avengers vs San Valentino


Soltanto una cosa riusciva a mettere d’accordo Tony Stark e Steve Rogers: l’inutilità e la ridicolaggine di San Valentino.
Quando Tony venne a sapere che c’era un argomento sul quale convenivano la cosa lo raccapricciò a tal punto che fu tentato dal rinnegare la propria opinione al riguardo, ma aveva trascorso gli ultimi trenta quattordici Febbraio della sua vita a deprecare la ricorrenza e Tony Stark non poteva di certo correre il rischio di risultare incoerente – né contraddire se stesso – a causa di Capitan Solo-Dopo-Il-Matrimonio. In fondo, i motivi che li portavano a disprezzare la festività erano antitetici: Tony ripudiava sinceramente la melensa e insensata abitudine delle coppiette di tutto il mondo di celebrare il proprio amore in quel determinato giorno dell’anno con smancerie e sciocchezze perchè "così prescritto dalla tradizione". Tradizione. La sola parola bastava a far rizzare i capelli a Tony, ostinato nemico di convenzioni, usanze e di tutto ciò che venga fatto perché imposto o previsto. Rogers era mosso da motivazioni molto più vili; con tutta quella gente che si scambiava baci, fiori e cioccolatini doveva sentirsi ancor più solo e abbandonato del solito. Se non si fosse trattato di Capitan Ghiacciolo, Tony avrebbe quasi provato un briciolo di compassione nei suoi confronti.
"Buongiorno, Tony."
Bruce, ansimante e rosso in viso, varcò la soglia del laboratorio e gettò sul pavimento, accanto all’entrata, un grosso borsone.
"Sei ritardo, dottore."
Tony prese a trafficare con l’attrezzatura sparsa sulla scrivania, alla ricerca di quanto occorreva loro per proseguire gli esperimenti sulle radiazioni di sincrotrone cominciati la settimana precedente. Bruce inspirò profondamente più e più volte, fino a quando non riuscì a regolarizzare la respirazione, poi si chinò accanto alla sacca e tirò fuori delle provette.
"Ho corso come il vento per arrivare quanto prima" si giustificò, la voce leggermente incrinata dall’affanno "Detesto essere in ritardo."
Avanzò fino ad affiancare Tony e inforcò le spesse lenti protettive indispensabili per preservare la vista dal materiale che avrebbero esaminato.
"Questo non succederebbe se ci fosse la Romanoff a buttarti giù dal letto" commentò Tony con nonchalance, indossando a sua volta i grossi occhiali. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma Bruce, da scienziato irreprensibile e ligio al dovere qual era, aveva chiarito sin dal primo giorno che senza quelli non gli avrebbe fatto toccare nemmeno una fiala. La protesta del miliardario s’era limitata a qualche debole borbottio; in fondo, visti i precedenti del dottore con le radiazioni, non poteva biasimarne la prudenza.
"Mi stai invitando a intraprendere una convivenza?" chiese Bruce distrattamente, senza distogliere lo sguardo dal liquido giallognolo che stava travasando in un’ampolla bombata.
"Ti sto invitando a dormire più spesso nel suo stesso letto " sbottò Tony a braccia conserte "Ed è auspicabile che, in certe circostanze, tu e l a superspia non vi limitiate a-"
"Mi basta la sveglia per alzarmi in orario."
"E allora perché sei arrivato a quest’ora?"
"Perché…"
Bruce sbuffò e poggiò la boccetta, adesso ricolma, sulla scrivania, con molta più veemenza di quanto avrebbe voluto.
Un gesto anche vagamente brusco da parte di Bruce Banner sarebbe bastato a terrorizzare il diavolo in persona; dal momento che aveva assistito alla sua trasformazione ormai tantissime volte, Tony non aveva più motivo di provocarlo per poterla finalmente vedere live, ma di certo non era tipo da reprimere la propria molesta curiosità solo per scongiurare il rischio che la Torre fosse rasa al suolo da un omaccione verde e muscoloso. Pertanto, malgrado l’evidente malumore del dottore, proseguì il proprio interrogatorio imperterrito e nemmeno vagamente preoccupato.
"Sì?"
"Perché avevo una cosa urgente da fare prima di venire e m’ha preso molto più tempo del previsto."
"Riposta evasiva, mi costringi a sospettare che-"
"Tony."
Bruce aveva semplicemente pronunciato il suo nome, ma con tono tanto minatorio e rabbioso che nemmeno un’ esplicita intimidazione di morte sarebbe suonata più temibile. Il fatto che potesse trasformarsi in un Hulk rendeva tutto più terrificante - non per Tony, naturalmente.
"Sì, dottore?"
In fondo, le manie di onnipotenza di Tony Stark non erano poi così ingiustificate. Insomma, stava esasperando Hulk e malgrado ciò lui era ancora perfettamente integro e la sua casa intatta.
"Non sono qui per un’intervista né tanto meno per-"
Proprio in quel momento una musica allegra e frizzante riempì l’aria e Bruce si interruppe, infilando la destra nella tasca del camice che aveva indossato.
"Dottore, dovrebbe sapere che il cellulare va spento durante-"
Bruce lo fulminò con un’occhiataccia e uscì dal laboratorio, avvicinando il telefonino all’orecchio solo dopo essersi allontanato di parecchio.
Tony ripose le provette sulla scrivania e si tolse quei ridicoli e ingombranti occhialoni da scienziato pazzo, chiedendosi per quale assurdo motivo il suo buon amico si comportasse in modo tanto misterioso e non si confidasse con lui - con lui, che era la discrezione fatta persona!
Mentre era immerso in questi interrogativi lo sguardo gli cadde sul borsone accasciato contro la parete. Era la prima volta che Bruce si portava dietro una sacca così capiente; la maggior parte della strumentazione era già alla Stark Tower, perché aveva bisogno di una borsa così ingombrante?
Tony avanzò fino alla porta di vetro e si sollevò sulle punte per assicurarsi che non vi fosse nessuno nemmeno in lontananza. Di Banner non c’era traccia e perché lui avrebbe dovuto aspettare il suo ritorno con le mani in mano, annoiandosi e sprecando il suo prezioso tempo? Non aveva assolutamente intenzione di immischiarsi nei suoi affari, lui non era impiccione né invadente, semplicemente non sapeva come ingannare l’attesa e, dal momento che proseguire il lavoro senza di lui e privarlo della possibilità di vedere all’opera il geniale Tony Stark non gli pareva affatto carino né educato, si chinò e prese a frugare nella grossa borsa. Ma, è bene sottolinearlo ancora, lo fece solo perché non aveva alternativa. Non poteva mica rovistare tra le proprie cose? Le conosceva tutte perfettamente e poi era stato Bruce a piantarlo in asso per cinguettare chissà con chi.
Non s’aspettava di trovare qualcosa di interessante e le sue attese non furono smentite; provette, manuali, occhialoni di riserva - passi la prudenza ma portarsene dietro otto paia era veramente troppo-, una sottospecie di microscopio arrugginito e…
Tony afferrò il piccolo pacco fasciato di carta rossa che giaceva sul fondo della borsa, coperto dall’attrezzatura. Non era di grandi dimensioni ma in compenso era piuttosto pesante, voluminoso e di forma rettangolare. Sopra v’era attaccato un biglietto su cui era riportata una frase virgolettata, lunga diverse righe. Mentre s’apprestava a leggerla, un pesante rumore di passi annunciò il ritorno di Bruce e Tony si interruppe e ripose tutto frettolosamente nella borsa, senza avere il tempo di scoprire cose ci fosse scritto.

***


Natasha riagganciò e lanciò il cellulare sul divano. Era estremamente difficile – se non impossibile – carpire la benché minima informazione dal volto della Vedova Nera, il secondo essere più abile della Terra a dissimulare le proprie emozioni dietro ad un’imperscrutabile maschera di impassibilità; ma per Clint, che riusciva a decifrare senza sforzo persino le espressioni – o meglio, le non espressioni – di Phil Coulson - il primo essere più abile della Terra in questa particolare arte - non fu affatto difficile cogliere la sfumatura di irritazione apparsa sul suo viso.
"L’uomo grosso e verde ti ha fatto arrabbiare?" chiese, allungando furtivamente un braccio verso il vassoio al centro del tavolo, ad afferrare l’ennesimo cioccolatino.
Natasha, evidentemente troppo assorta nella degustazione della sua collera, non lo rimproverò come aveva fatto fino al cioccolatino precedente, segno che, qualunque cosa le avesse detto Bruce, era riuscito ad alterarla oltremodo.
"No."
Clint aveva letto da qualche parte – su una rivista rosa o più probabilmente su un blog – che le donne hanno la strana e a suo avviso anche parecchio stupida abitudine di dire esattamente l’opposto di quel che pensano, lasciando all’uomo l’incombenza di dare alla loro risposta la giusta interpretazione. Roba del tipo “vattene” significa “resta”, “non mi importa niente di te” equivale a “ti amo” e, naturalmente, “no” significa “sì”. Natasha sfuggiva ai clichè sul genere femminile, ma, in fondo, era pur sempre una donna e quel “no” con valore affermativo lo testimoniava.
Clint sollevò le spalle e divorò altri due cioccolatini.
"È ancora da Stark" si lamentò Natasha, e a giudicare dallo sguardo omicida con cui accompagnò la spiegazione il dottor Banner avrebbe passato cinque minuti davvero poco piacevoli al suo arrivo.
"E allora?"
"E allora avrebbe potuto avvisarmi che sarebbe arrivato con due ore di ritardo!" sbottò, con voce stridula "Se non l’avessi chiamato io non mi avrebbe nemmeno-"
Natasha si sporse verso Clint e gli schiaffeggiò il dorso della mano, che si stava nuovamente avvicinando al vassoio ormai quasi vuoto.
"Smettila, o li finirai tutti!"
Il Falco emise un verso di protesta e la ritrasse, senza essere riuscito ad accaparrarsi il bottino.
"Perché te la prendi tanto? Non avete mica qualcosa da festeggiare" commentò, con fare allusivo e provocatorio, massaggiandosi la mano arrossata. Incredibile come Natasha riuscisse ad essere micidiale anche con un semplice buffetto "In realtà, non capisco perché tu abbia insistito tanto affinché passaste l’intera giornata insieme proprio oggi."
La donna roteò gli occhi al cielo e incrociò le braccia sul tavolo.
"E perchè questi cioccolatini incartati di rosso siano su questo tavolo proprio oggi."
"Perché c’erano solo questi al supermercato" ribattè, piccata, e uno sbuffo esasperato le sfuggì dalle labbra quando s’accorse che Clint ne aveva mangiato un altro. "In ogni caso, quando Bruce sarà arrivato saranno finiti da un bel pezzo."
"Non c’è bisogno di fare la superspia di ghiaccio immune ad ogni sentimentalismo con me, Nat" fece Clint, masticando rumorosamente "Non c’è niente di male nel fatto che sogni di trascorrere il giorno di San Valentino davanti ad una romantica cenetta a lume di candela, per poi guardare “Titanic” o “Via col vento” o qualcos’altro di terribilmente smielato e noioso accoccolata sul divano accanto al tuo uomo scartando cioccolatini a forma di cuore e dopo-"
L’espressione sorniona ed allusiva che s’era dipinta sul suo volto fu cancellata dal cuscino che Natasha gli lanciò.
"Te lo ripeto per l’ultima volta, Clint. Non ho alcuna intenzione di festeggiare San Valentino. È una festa ridicola e insensata e schifosamente commerciale, è il trionfo dello stereotipo e del consumismo e-"
"Non lo dirò a nessuno, te lo prometto!"
Natasha grugnì – ed era veramente spaventosa quando grugniva – si sollevò con uno scatto, riafferrò il cuscino che aveva lanciato e prese a colpirlo ripetutamente.
"E va bene, va bene, mi arrendo!"
La Vedova Nera lo centrò un’ultima volta e tornò a sedersi, palesemente compiaciuta. Clint la detestava quando faceva la bulla, era insopportabilmente prepotente e, se lui non fosse stato un amico così paziente e altruista, l’avrebbe presa a calci. Si asteneva dal farlo soltanto perché le voleva troppo bene, non perché avesse paura di lei, no, né tanto meno perché le prendeva ogni volta che s’allenavano assieme e temeva che gli spezzasse un osso. Assolutamente no.
"Ma dimmi un po’, Barton..."
L’espressione trionfale che campeggiava sul suo volto fu sostituita da un sorriso ampio e allusivo tanto quanto quello che aveva sfoggiato lui poco prima e un luccichio di malizia le illuminò lo sguardo - a Clint la cosa non piacque per niente.
"Perché non mi racconti quali sono i tuoi programmi?"
"Programmi?" chiese Clint, con fare teatralmente scandalizzato “Non ho alcuna intenzione di festeggiare San Valentino. È una festa ridicola e insensata e schifosamente commerciale, è il trionfo dello stereotipo e del consumismo.”
Natasha avrebbe voluto prenderlo a cuscinate un’altra volta, ma non potè fare a meno di scoppiare a ridere - la sua imitazione, doveva ammetterlo, gli veniva veramente bene.
"Non fare l’idiota e rispondi."
"Beh, non c’è molto da dire " esordì lui, scrollando ancora le spalle "San Valentino è un giorno come un altro, non vedo perché dovremmo fare qualcosa di diverso. Quindi, come ogni giorno, quando Coulson rientrerà, farò finta di credere che sia tanto stanco da non riuscire nemmeno ad infilarsi il pigiama e-"
L’espressione ambigua si spostò nuovamente sul viso del Falco che, incurante dei rimproveri precedenti, allungò il braccio verso il centro del tavolo, prese l’ennesimo cioccolatino e se lo ficcò in bocca con particolare voracità. Chissà per quale motivo, Natasha attribuì al gesto un valore metaforico. Esplicitamente metaforico.
"Quindi niente di particolare? Niente uscite, cene, regali…?"
Clint prese a tossire rumorosamente, sputacchiando saliva mista a cioccolato.
"Va tutto bene?"
Il Falco annuì, scuotendo il capo con decisione sospettosamente eccessiva, ma continuò a tossire e il viso gli si arrossò leggermente.
"Vado a prenderti un po’d’acqua."
"Non ce n’è bisogno!" gridò, agitando la mano con nonchalance.
Natasha sollevò le sopracciglia, fissandolo stranita.
"Sei sicuro di sentirti bene?"
"Magnificamente" ribattè, con estrema prontezza, e immise nei polmoni quanta più aria potè "E comunque no, assolutamente no. Niente regali. No nella maniera più assoluta."
Lo sguardo di Natasha divenne improvvisamente intenso e tagliente - forse non era stato abbastanza convincente.
"Che cosa gli hai comprato?"
Forse non era stato per niente convincente.
Natasha era pur sempre una donna e, in quanto tale, una perfetta conoscitrice della psicologia inversa. Maledizione.
"Niente. Non penserai davvero che io-"
"Che cosa gli hai comprato?" ripeté lei, scandendo per bene ogni singola parola - e quando ritmava le parole in quel modo era ancor più temibile di quando grugniva.
"Natasha, conosci Coulson, non è di certo il tipo da-"
"Rispondimi. Che cosa...?"
"Buongiorno!" li salutò allegramente Bruce entrando in cucina, il volto ridente e una grossa borsa tra le mani.
Il nuovo arrivato non avrebbe potuto essere accolto in modo più diverso dai due presenti. Clint, sollevato da quella insperata salvezza, gli sorrise radioso e si alzò per andargli incontro; Natasha, che già era in collera con lui per il ritardo con cui era giunto, corrugò la fronte, incrociò le braccia sul petto e restò seduta, ulteriormente indispettita dall’interruzione.
"Che piacere vederti, dottore!"
"Ciao, Clint. Anche io sono molto felice di-"
"Non sai quanto mi dispiace non potermi trattenere ma ho un impegno, un impegno urgentissimo, e non mi sembra proprio il caso di fare il terzo incomodo, decisamente no…Ciao Nat!"
Rivolse all’amica un sorrisetto vittorioso e sparì.

***


Phil era a tal punto immerso nella lettura dei fascicoli che Fury gli aveva consegnato quella mattina che lo scampanellio della porta lo fece sobbalzare. Raddrizzò la schiena con uno scatto e il plico che stava esaminando gli sfuggì dalle mani, scivolando sul pavimento. Sbuffando, si chinò a raccoglierlo e si diresse verso l’ingresso, a passo lento e strascicato.
"Giura che mi lascerai lavorare, altrimenti non ti faccio entrare."
Non aveva alcuna intenzione di arretrarsi ore ed ore di lavoro a causa delle molestie – e il termine non era affatto eufemistico – di Barton e, se fosse stato necessario, l’avrebbe lasciato fuori pur di poter adempiere ai propri doveri in santa pace.
"Ti prometto che farò la brava" squittì una voce oltre la porta e no, non era quella di Clint.
Da quando aveva perso la splendida abitudine di chiedere chi fosse o guardare dallo spioncino? Probabilmente, da quando Barton aveva preso ad infestare casa sua ancor più del suo ufficio e dare per scontato che fosse lui a bussare era diventato inevitabile.
"Ciao Virginia."
"Deluso?" fece lei, sollevando un sopracciglio con fare civettuolo.
"Affatto. Sono felice di vederti" ribattè, indietreggiando per liberare la soglia.
Virginia entrò quasi saltellando e gli schioccò un bacio sulla guancia. Tutto quell’entusiasmo non faceva che incrementare il suo già fortissimo disagio. Urgeva uno spunto che distogliesse la mente di Pepper dallo spiacevole equivoco e magari le cancellasse quel sorrisetto allusivo dalla faccia.
"Come è andato l’incontro-?"
"Che cosa avete in programma per oggi?" lo interruppe lei e Dio, la sua migliore amica non gli aveva appena chiesto quali programmi avesse per San Valentino, non era assolutamente possibile. Se l'era immaginato, senza dubbio.
"Niente, Virginia. Assolutamente niente" replicò secco - sapeva di non esserselo immaginato, purtroppo - e avanzò verso la cucina, seguito a ruota dall’amica "Posso offrirti qualcosa?"
"Allora perché lo stavi aspettando?"
Phil represse a stento uno sbuffo e continuò a trafficare tra gli ripiani del frigo, ed era sin troppo evidente quanto la cosa fosse solo pretestuosa, dal momento che c’erano soltanto due bottiglie d’acqua naturale. Da quando Barton aveva preso a frequentare casa sua tutto ciò che acquistava, che fosse allo stato solido o liquido, aveva al massimo ventiquattro ore di vita.
"Non lo stavo aspettando, semplicemente credevo fosse lui."
"E che cosa te lo faceva pensare?"
Questa volta Phil non riuscì a trattenere il soffio esasperato che premeva contro le sue labbra serrate.
Pepper non era mai stata indiscreta né invadente, tant’è che era l’unica con la quale s’era sentito di confidarsi in quei mesi di dissidi interiori e dubbi amletici e tira e molla infiniti. L’aveva ascoltato a qualsiasi ora del giorno e della notte senza fare domande e senza sparare giudizi; probabilmente, se non fosse stato per lei sarebbe scoppiato. Eppure, da quando la...situazione - preferiva di gran lunga questo termine, innocuo e neutrale, a cose tipo “relazione”, “legame”, “rapporto” e simili - con Clint s’era, per così dire, normalizzata - chi ha inventato gli eufemismi dovrebbe essere santificato -, aveva sviluppato una sgradevole propensione a tirar fuori l’argomento ogni volta che ne avesse l’opportunità.
"Il fatto che i momenti in cui me lo ritrovo tra i piedi superano di gran lunga quelli in cui-"
Serrò i denti e dovette frenare l’impulso prendersi a schiaffi. C’era stato un tempo in cui non avrebbe mai e poi mai commesso errori così stupidi ed elementari uno dopo l’altro, ma, evidentemente, la sua attuale situazione sentimentale aveva ripercussioni negative sulla sua lucidità.
Aveva bisogno di una vacanza.
Trovava molto allettante la prospettiva di restare nascosto dietro l’anta del frigo fino a quando Pepper non se ne fosse andata, ma alla fine dovette arrendersi all’idea di conversare con lei faccia a faccia; così afferrò una delle due bottiglie, si sollevò e si diresse verso il tavolo, dove lei aveva già preso posto - pessimo segno: aveva intenzione di chiacchierare a lungo.
"Quindi viene a casa tua."
"Di tanto in tanto – fece Phil con indifferenza, riempiendo due bicchieri."
"Non è quello che hai detto un minuto fa."
"Abbastanza spesso."
Il sopracciglio di Pepper si sollevò di diversi millimetri.
"Molto spesso" confessò alla fine. Era inutile cercare di mentire a quella donna
"Bene".
"In che senso 'bene'?"
"Mi fa piacere che la vostra relazio-"
Phil sollevò la mano libera per interromperla. "Vacci piano con le parole, sai che non mi piace quel termine."
Adesso Pepper non stava sorridendo, stava ghignando.
"Se questa parola ti mette tanta paura posso usare un sinonimo, ma sappi che, quando due persone praticamente convivono-"
"Noi non conviviamo" la interruppe ancora Phil e no, non aveva urlato, aveva soltanto alzato un pochino la voce - forse un pochino troppo.
"E va bene, va bene, come non detto. 'Bene' che le cose vadano come hai sempre sperato e 'bene' che tu sia felice" si corresse Pepper, e Phil potè finalmente rilassarsi.
"Cosa fa di tanto fastidioso da non lasciarti lavorare?"
Mai abbassare la guardia tanto in fretta, con le donne.
"Non è come pensi, non..."
Sarebbe occorsa una risposta estremamente convincente per smentire il rossore che gli aveva colorato le guance. Purtroppo, non gli venne in mente alcuna rettifica sufficientemente geniale né sufficientemente evasiva, allora decise di intraprendere la strada, poco percorribile ma invitante, della digressione.
"Come mai da queste parti? Pensavo la riunione ti avrebbe occupato più tempo."
"È terminata molto prima del previsto."
Phil annuì, cercando di celare la propria soddisfazione. Non sperava che avrebbe abboccato così facilmente.
"Allora ho pensato di fare un salto a salutarti e…"
Afferrò la valigetta da lavoro che aveva poggiato sul tavolo, vi immerse le mani e tirò fuori una sottile scatola rettangolare.
"Non avevo la benché minima idea di cosa regalare a Tony e sinceramente non so se possa piacergli…Dimmi che te ne pare."
Pepper afferrò l’orlo del coperchio e prese a sollevarlo. Phil si sporse, curioso, ma prima che apparisse il contenuto l’amica si bloccò e gli rivolse un’occhiata intrisa di divertito biasimo.
"Ti ho concesso di cambiare argomento solo perché devo tornare a casa per pranzo, ma sappi che esigo un resoconto dettagliato delle molestie che subisci."

***


"Che ne pensate di questa?"
La commessa si sollevò sulle punte per raggiungere lo scaffale più alto e riuscì a sfilare una t-shirt dalla pericolante pila di magliette senza rovesciarle tutte. Quando la mostrò alle due clienti, sfoggiando l’ennesimo sorriso di plastica, l’una storse la bocca in una smorfia riluttante e l’altra spalancò gli occhi e sorrise a sua volta, entusiasta.
"È orribile."
perfetta."
Darcy si voltò verso Jane e le rovesciò addosso tutto l’esterrefatto dissenso che il suo commento le aveva suscitato. "Potrei per favore sapere qual è il significato che attribuisci al termine 'orribile'?"
Jane arricciò ancora le labbra e lanciò uno sguardo sprezzante alla t-shirt che la commessa reggeva ancora tra le mani. In realtà, definirla t-shirt le pareva inappropriato: bianca, smanicata, con un ampia scollatura a V che avrebbe pericolosamente…
"Non capisci quanto metterebbe in risalto l’attrezzatura?"
"È proprio quello il problema, Darcy" ribattè lei, piccata "Non avrebbe qualcosa di più…discreto?"
La commessa scrollò leggermente le spalle e tornò ad arrampicarsi tra gli scaffali traboccanti di abiti.
"Ascolta Jane, le cose belle sono fatte per essere mostrate" riprese Darcy in tono solenne, come se stesse recitando un sermone "Che cosa pretendi, che uno come Thor vada in giro in burka?"
Jane avrebbe voluto rispondere che no, non pretendeva questo; semplicemente, dal momento che Thor attirava l’attenzione di tutte le creature provviste di ovaie nel raggio di mille miglia anche con quel ridicolo e sformato maglione ricoperto di belve assatanate, sarebbe stato meglio…
"Perfetta!"
Non ebbe il tempo di esporre queste riflessioni ma, visto che di sicuro non sarebbero servite a nulla, non se ne dolse più di tanto.
Darcy catalizzò la propria attenzione sulla nuova t-shirt – o misero aggregato di stoffa semi trasparente, come dir si voglia – che la commessa – la quale, evidentemente, utilizzava il suo stesso vocabolario in fatto di abbigliamento – aveva tirato giù dallo scaffale. Era identica all’altra, con l’unica differenza che lo scollo, ben più profondo, avrebbe attirato il quadruplo delle galline.
"Temo che non ci sia nulla che fa al caso nostro" ringhiò Jane tra i denti, afferrando l’amica per un braccio e trascinandola via senza lasciarle il tempo di protestare, sotto lo sguardo seccato della giovane commessa.
"Santo cielo Jane, qual è il tuo problema quando si tratta di vestiti? Sei insopportabilmente logorroica!" gridò lei, cercando vanamente di divincolarsi.
"No, Darcy, sono dotata di buon gusto, è diverso."
Proseguì imperterrita verso l’uscita, con i reclami e le lamentele dell’amica che divenivano via via più fiochi. Sarebbe stato molto più semplice regalare a Thor un peluche, ma l’ossessione del dio del tuono per il suo Lollo, dal quale non si separava mai – nemmeno quando dormiva con lei - dalla tenera età di due anni l’aveva indotta a desistere. Nessun pupazzo avrebbe retto il confronto.
Jane sbuffò, sconsolata. Non aveva idea di cosa acquistare e il tempo a sua disposizione diminuiva drasticamente.
Quando era ormai a due passi dall’uscita – col braccio dell’amica ancora stretto tra le mani – una macchia di tessuto cobalto striato di giallo le balenò davanti agli occhi e fu colpita da una folgorante ispirazione. Entusiasta, si fermò e cambiò bruscamente direzione, trascinando Darcy verso lo scaffale su cui era poggiato il pullover che aveva attirato la sua attenzione.

***


Natasha dedicò a Clint una smorfia irritata – erano più le volte in cui si congedavano in quel modo che con un sorriso o un semplice e cordiale 'ciao' – e distolse lo sguardo dalla soglia, senza rivolgere a Bruce né un saluto né una semplice occhiata. Il dottor Banner era un uomo estremamente accorto e sensibile e, in condizioni normali, sarebbe riuscito a cogliere il malumore di Natasha persino dal tono, soltanto impercettibilmente freddo, che aveva utilizzato durante la telefonata, ma in quel momento era tanto preso dall’idea del regalo che giaceva sul fondo della sua borsa che quell'accoglienza passò inosservata ai suoi occhi. Chiuse la porta, poggiò la borsa sul divano e il suo braccio sprofondò nella sacca, oltre le provette e gli occhialoni e il grosso volume di fisica quantistica da cui stava studiando le nuove radiazioni.
Nel frattempo Natasha ribolliva come acqua sul fuoco, e fu solo grazie all’impeccabile autocontrollo di cui era dotata che riuscì a trattenere l’impulso di alzarsi e cancellargli quel fastidiosissimo sorriso dalla faccia con uno dei suoi calci ben assestati.
"È una splendida giornata, non trovi?"
Bruce non potè vederla mentre stringeva sotto il tavolo i pungi tremanti ed era tanto assorto nella ricerca del pacco – l’aveva accuratamente nascosto sotto un miliardo di libri e aggeggi inutili affinché Stark non lo vedesse – che gli sfuggì persino il minaccioso gorgoglio, appena soffocato, che risuonò nella gola della Vedova Nera.
"Io e Tony abbiamo fatto grossi passi avanti, non credevo che la ricerca avrebbe dato risultati tanto soddisfacenti in così poco tempo."
"Splendido."
"Tony è davvero geniale. Una volta fatta l’abitudine alle sue autocelebrazioni lavorare con lui diventa un piacere."
Natasha inspirò profondamente e pensò che, forse, prendere qualche lezione di joya insieme a lui era un’ipotesi da prendere in considerazione.
"Sono veramente soddisfatto, anche se il motivo per cui è una splendida giornata non è esattamente questo. O almeno, non solo" riprese, cessando di trafficare nella borsa e raddrizzandosi "Sai, questa mattina ho messo a soqquadro casa. Credo non sia mai stata in uno stato così pietoso, non ho avuto il tempo di riordinarla."
"Bruce" scandì Natasha infervorata, ormai incapace di trattenersi. Passino il ritardo, il resoconto della mattinata trascorsa con Stark a giocare all’allegro chirurgo e le lodi sperticate delle doti del collega, ma non poteva tollerare la descrizione del suo appartamento immerso nel caos. Non le importava minimamente del disordine di casa Banner, anzi, le sarebbe tanto piaciuto sapere per quale motivo aveva perso tempo a metterla in subbuglio invece di…
Una scatola fasciata di rosso e coronata da un grosso fiocco dorato si materializzò davanti ai suoi occhi, interrompendo bruscamente le sue riflessioni.
"Non riuscivo a ricordare dove fosse, ma per fortuna alla fine è saltato fuori."
Natasha afferrò il pacco e posò gli occhi, sgranati per lo stupore, sul biglietto infilato nel nastro color oro. Il suo sguardo scorse tra le parole, riportate a lettere chiare e sottili.
Ma in lei c’era qualcosa che la metteva al di sopra del suo ambiente: in lei c’era lo splendore di un brillante autentico in mezzo a brillanti falsi. Questo splendore le veniva dagli occhi bellissimi e veramente misteriosi. Lo sguardo stanco e nello stesso tempo appassionato di quegli occhi colpiva per la sua assoluta schiettezza. Guardandola negli occhi pareva di leggere nella sua anima e conoscerla significava amarla
"Non avevo idea di cose regalarti. Non ti reputo esattamente il tipo da gioielli, borsette, trucco o abiti e tutto quello che generalmente si regala a una donna. Per fortuna m’è venuta in mente quella notte, a casa di Tony, quando mi hai chiesto di prestarti 'Anna Karenina'. Il caso ha voluto che proprio in quel libro ci fosse questa frase, che mi ha sempre parlato di te. Anche prima di..." si interruppe e prese a massaggiarsi la nuca, imbarazzato "Spero ti piaccia."
Dopo aver letto il biglietto, Natasha aveva alzato lo sguardo su Bruce e l’aveva fissato stupefatta, come se avesse fatto la cosa più assurda e incredibile di questo mondo o si fosse trasformato per la prima volta davanti ai suoi occhi. Spostava freneticamente lo sguardo dal regalo a Bruce e sapeva che se non avesse detto subito qualcosa lui sarebbe andato in fiamme per la vergogna o, più probabilmente, sarebbe stato sostituito dal suo alter ego. Ma le parole non erano il pezzo forte del repertorio della Vedova Nera – quelli erano calci, pugni e stilettate fatali – e così, per scongiurare il rischio di mettere a repentaglio la salute del proprio compagno e riuscire a comunicargli l’immensa gratitudine che provava, poggiò il libro sul tavolo, gli gettò le braccia al collo e lo baciò, e fu uno di quei baci che riempiono il cuore e lo stomaco.
"È il più bel regalo che potessi farmi. Grazie."
Il volto di Bruce si distese in un timido sorriso e riacquistò un colorito più tenue. "Di niente. E buon San Valentino."

***


Quando Phil lasciò la base il buio era già calato da ore e, mentre camminava verso casa a passi pesanti e strascicati, l’avvolgeva come un mantello freddo e silenzioso, la cui stoffa scura era impreziosita da una miriade di gocce dorate.
La testa gli doleva e le gambe gli pesavano come macigni. Era esausto. Tra fascicoli da compilare, nuove reclute da iniziare e tutelare dai soprusi dei veterani, missioni da organizzare e supereroi da tenere a bada non aveva avuto un attimo di respiro; il lavoro l’aveva assorto a tal punto che, soltanto in quel momento, con i piedi che protestavano ad ogni singolo passo e le tempie che pulsavano dolorosamente, si accorse di quanto fosse stanco. Continuò a mettere faticosamente un piede dopo l’altro e, mentre la luna in cielo diventava improvvisamente più piena e splendente, le parole di Pepper presero a riecheggiare nella sua mente e con tanto trambusto che sembravano risuonare concretamente nel vuoto buio che lo circondava. Quando l’amica aveva lasciato casa sua s’era precipitato al lavoro e, naturalmente, non aveva avuto tempo di rimuginare su quello che si erano detti. In realtà non credeva che ci fosse qualcosa su cui rimuginare, eppure, malgrado la spossatezza e i dolori gli fiaccassero il cervello, la conversazione gli piombò addosso come un improvviso scroscio di pioggia. Evidentemente, la mente di Phil Coulson non era mai abbastanza stanca da essere completamente fuori uso.
A dirla tutta, anche se la frenesia della giornata aveva momentaneamente seppellito la chiacchierata, c’era una parola che aveva continuato a rimbombare nelle sue orecchie, fastidiosa come il ronzio di una zanzara ma ben più allarmante. Quella parola che Pepper aveva pronunciato tanto innocentemente ma che a lui faceva l’effetto di un ago infilzato nella carne.
Relazione
Non era la prima volta, nell’arco della sua esistenza, che aveva a che fare con quell’accozzaglia di lettere. Non aveva fatto collezione di storie ma ne aveva avute alcune durature, di cui un paio potevano addirittura definirsi importanti, e nessuna di esse l’aveva mai turbato. Nessuna di quelle relazioni – e Phil non aveva alcun problema a definire in questo modo i suoi precedenti legami – aveva mai, nemmeno minimamente, minato la sua incrollabile ragionevolezza, nessuna donna aveva intaccato le sue preziose e infrangibili regole personali. Tutte s’erano adattate a queste norme e lui aveva vissuto come sempre, come aveva sempre e consapevolmente deciso di vivere; semplicemente, con una nuova, accondiscendente persona al suo fianco. Non aveva mai perso il controllo, non c’era mai stata la benché minima sbavatura nel dipinto impeccabile che era la sua vita, un’opera perfetta che aveva realizzato con le proprie mani e che niente e nessuno aveva il potere, il diritto e nemmeno la semplice possibilità di intaccare. Poi era arrivato Clint e aveva preso a soffiare sul castello di carte che lui aveva tanto accuratamente costruito. Phil s’era subito reso conto del pericolo ed era corso ai ripari; aveva innalzato quante più barriere possibili, muri di cemento dietro i quali s’era trincerato armato fino ai denti ed era assolutamente sicuro che, anche questa volta, la vita avrebbe ripreso a scorrere come sempre, senza sconvolgimenti, con i suoi preziosi e infrangibili principi a proteggerlo come la più resistente delle armature. Aveva utilizzato tutte le armi a sua disposizione: indifferenza, freddezza, bugie e anche peggio, ma Clint non s’era arreso; aveva insistito, imperterrito, e Phil non avrebbe mai creduto che potesse essere così caparbio e petulante e insopportabilmente cocciuto e questo l’aveva spaventato enormemente, perché vedeva le carte traballare sempre di più e sapeva, in cuor suo, che presto sarebbero crollate. Ma, più di ogni altra cosa, lo spaventava il fatto che, per la prima volta in vita sua, l’idea di infrangere quel codice fino a quel momento inviolato non solo gli era parsa ammissibile, ma l’aveva addirittura desiderato e con tutte le proprie forze. Era stato proprio lui a buttare giù le ultime carte, l’aveva deciso consapevolmente e non era mai stato così sicuro in vita sua, tanto che, se fosse tornato indietro, avrebbe rifatto la stessa identica scelta. Questa era senza dubbio la cosa che lo agitava maggiormente – lo agitava veramente tanto – e che rendeva così inquietante quella parola.
Era a tal punto immerso in quelle riflessioni – forse Pepper non aveva tutti i torti quando lo definiva “un inguaribile logorroico” – da non accorgersi d’esser giunto a destinazione.
Infilò la mano in tasca e tirò fuori la chiave, aguzzando la vista per inquadrare la serratura nel buio pesto che lo circondava. Il metallo aveva già sfiorato la toppa quando un sibilo squarciò l’oscurità e una freccia si conficcò nella spessa superficie di legno, a mezzo centimetro dal chiavistello e dal dorso della sua mano. Phil sgranò gli occhi in un’espressione di autentico stupore e si voltò di scatto, ma non vide nulla al di fuori delle tenebre e della luna che le rischiarava debolmente. Tornò a fissare il dardo davanti a sé e fu solo allora che s’accorse che dall’estremità pendeva qualcosa e che questo qualcosa luccicava nel buio come una delle stelle agganciate al cielo. Sorrise divertito e staccò dalla freccia la piccola riproduzione dello scudo a stelle e strisce che pendeva da uno spesso gancio di metallo. Quando lesse il biglietto infilzato nella punta, tutto stropicciato contro la superficie della porta, il sorriso si trasformò in una risata, che risuonò fragorosa nel vuoto della notte.
Stark ha ragione, sembra più una padella che uno scudo, ma contento tu
Con gli occhi ancora ridenti estrasse la freccia dalla porta – le profonde crepe che s’erano formate nel legno avrebbero richiesto più di una piccola riparazione – e tornò a voltarsi; acuminò la vista ancora una volta, ma evidentemente Clint aveva scelto un punto d’azione ben nascosto, perché non riuscì ad individuarlo. Dopo qualche minuto di acuta e infruttuosa contemplazione dell’orizzonte si arrese e riprese a fissare il ciondolo che brillava nell’oscurità. Era certo che Barton si stesse godendo un mondo la vista del sorriso ebete che campeggiava sulla sua faccia e che non avrebbe mancato di sottolineare che, almeno per quella sera, il tredicenne alla prima cotta non era sembrato lui.
"Cerca qualcuno, signore?"
Phil aveva sempre sospettato che Clint fosse capace di materializzarsi – altrimenti non si spiegava come riuscisse a comparire nel suo ufficio nei momenti più impensabili – e in quel momento ne ebbe la certezza.
"Sì, l’imbecille che mi ha sfasciato la porta di casa" ribatté, e non riuscì minimamente ad imprimere alla voce quella nota di biasimo che aveva programmato e con la quale di solito lo rimproverava.
"Eppure non mi sembra particolarmente irritato."
"L’apparenza inganna."
"Non sempre" ribattè Clint con fare saccente ed avanzò fino a raggiungere la porta scheggiata. Vi si poggiò contro, incrociando le braccia e sfoggiando lo sguardo più irriverente di cui disponesse, in una di quelle espressioni davanti alle quali Phil era assalito dal duplice impulso di prenderlo a schiaffi e saltargli addosso. In ogni caso, si trattava di istigazione alla violenza allo stato puro e per quanto Phil non fosse un tipo manesco quella era la seconda volta, quel giorno, che veniva provocato e – considerando che non s’era sfogato in alcun modo su Pepper - non era affatto sicuro di poter resistere ancora.
Improvvisamente, quella smorfia sfacciata scomparve dal volto di Clint ed era così incredibile che fosse andata via senza che Phil muovesse nemmeno un muscolo – di solito doveva richiamarlo per anni prima di riuscire a cancellarla e non sempre ci riusciva – che Coulson temette si sentisse male o ci fosse qualche mostro alieno alle sue spalle.
"Io, ecco…" esordì e Phil non ricordava di averlo mai visto così impacciato "Ci tengo a precisare che non si tratta assolutamente di un regalo per San Valentino. San Valentino è una cazzata e non vorrei che tu pensassi che quello" e indicò il portachiavi che luccicava tra le mani di Phil "è l’equivalente di rose, cioccolatini e altre stronzate di questo tipo, perché io non avrei mai e poi mai fatto una cosa così insulsa e imbarazzante e senza senso e se t’aveva sfiorato il dubbio che potesse esserci anche un vago collegamento tra San Valentino e quello, beh, sappi che-"
Phil represse a stento una risata, avanzò e scattò in avanti, colmando la distanza che separava i loro volti e interrompendo con le proprie labbra quel flusso inarrestabile di parole. Le braccia di Clint lo cinsero, allacciandosi saldamente dietro la sua schiena, e la sua mano, quella libera, si infilò sotto il tessuto della maglietta e si posò dolcemente sul torace caldo. Improvvisamente, il freddo della notte cessò di pungere e i piedi smisero di lamentarsi e le tempie di pulsare.
Quando si staccarono, Phil si avvicinò ulteriormente e Clint si ritrovò con la schiena incassata nella porta.
"Tu parli troppo, Barton" sussurrò ad un centimetro dal suo orecchio, per poi affondare il viso nell’incavo della sua spalla, prendendo a baciarne la pelle tesa e invitante, mentre la mano saliva più in alto ad accarezzare il petto e a sfiorare i battiti, così forti che pareva di poterli toccare.
"Forse sarebbe meglio entrare" suggerì il Falco, la voce flebile e leggermente roca, ma Phil non sembrava aver prestato ascolto alla proposta; la sua bocca continuava a vagare avidamente sul collo dell’altro, depositandovi una scia infinita e smaniosa di baci. Alla fine, senza interrompersi, infilò una mano in tasca – quella in cui reggeva il ciondolo, si intende, perché l’altra non aveva alcuna intenzione di rinunciare al tepore fornitogli da lana e pelle – e tirò fuori le chiavi; se fosse stato capace di centrare la serratura senza vedere l’avrebbe sicuramente fatto, ma era altamente improbabile che ci riuscisse e così dovette, a malincuore, fermarsi per aprire la porta. Clint non ebbe nemmeno il tempo di richiuderla alle proprie spalle che la bocca di Phil s’attaccò nuovamente alla sua e le sue braccia ripresero a stringerlo.
Forse, San Valentino non era poi così male.

***


"Sbrigati, sta arrivando!"
Jane, allarmata come se una bomba fosse in procinto di colpire la sua abitazione, tirò con forza e stizza il nastro argenteo con il quale stava lottando da ormai tre quarti d’ora. Non s’era mai resa conto che incartare un regalo fosse così complesso. Dalla disinvoltura con cui lo facevano le commesse pareva l’operazione più semplice di questo mondo e, pertanto, quando la simpaticissima tizia delle canotte le aveva detto che carta e nastro erano finiti e non poteva confezionare il suo acquisto – Jane aveva la malevola convinzione che, se avesse comperato una di quelle magliette indecenti che aveva tentato di rifilarle, l’occorrente sarebbe magicamente saltato fuori – non s’era preoccupata più di tanto. Non poteva minimamente immaginare che maneggiare la carta colorata sarebbe stata un’impresa così ardua e che fosse più fattibile realizzare una statua in avorio perfettamente intagliata che un fiocco dignitoso. Prendere la laurea in astrofisica era stato una passeggiata, in confronto a quello.
"Thor, che piacere incrociarti! Stavo andando via, il ruolo del terzo incomodo non mi si addice…"
Rassegnata, Jane appiccicò del nastro adesivo sui lembi rovinati della carta a pois malamente accartocciata attorno all’indumento e rinunciò all’idea di apporre una festosa nappa in cima al pacco.
"È veramente una bella giornata, non trovi? C’è un sole che spacca le pietre! Si usa dire così ad Asgard?"
Darcy stava ormai consumando gli argomenti con cui intrattenere Thor ed era meglio affrettarsi a raggiungerli prima che liquidasse pretesti noiosi come il tempo e passasse a qualcosa di sconveniente.
"Jane, c’è Thor!" gridò, a voce molto più alta di quanto la distanza tra l’ingresso e il salotto richiedesse.
"Arrivo!"
"Perfetto" commentò Darcy, sorridendo con finta innocenza alla montagna di muscoli che le stava davanti e che, probabilmente, si stava chiedendo per quale motivo lei ostacolasse con tanta ostinatezza il suo ingresso in casa.
"Passate una bella giornata!" esclamò e finalmente liberò la soglia, consentendo a Thor di avanzare.
Darcy aveva già oltrepassato l’uscio con entrambi i piedi quando si voltò con fare cospiratorio e rivolse un sorriso traboccante di malizia al dio del tuono.
"Divertitevi" bisbigliò, accompagnando il sussurro con un occhiolino accattivante.
"Lo faremo senza dubbio, lady Lewis. Il luogo in cui condurrò Jane straripa di attrazioni mirabolanti. I piccoli Midgardiani che me l’hanno suggerito ne erano entusiasti."
"Wow, sembra promettente" commento Darcy "Come si chiama questo posto?"
"Se non erro, gli infanti l'hanno chiamato 'Luna Park'." Se non fosse stato così maledettamente bello Darcy l’avrebbe preso a calci, ma non poteva fare del male ad una creatura così perfetta - senza contare che a Jane non avrebbe fatto piacere e che avrebbe ottenuto, come unico risultato, quello di rompersi qualche falange a causa della possente muscolatura.
S’era appena chiusa la porta alle spalle – augurandosi che il divertimento non si fermasse davvero solo al parcogiochi – quando Jane raggiunse Thor, le mani nascoste dietro la schiena e un sorriso radioso e leggermente imbarazzato dipinto sul volto.
"Ciao, Thor."
Il dio del tuono sorrise a sua volta e avanzò fino a raggiungerla, chinandosi sulla sua docile figura per stamparle un bacio delicato sulle labbra. "Ciao, Jane."
La giovane astrofisica avvampò e perso quel pizzico di lucidità che le era rimasta dopo la feroce lotta col nastro e che le sarebbe servito davvero tanto per pronunciare il discorso che s’era preparata e di cui, in quel momento, non ricordava nemmeno una parola.
"Thor, c’è una cosa che dovrei darti…Cioè, dirti, prima che usciamo."
"Ti ascolto."
Jane tirò un profondo respiro e riprese.
"Ecco, oggi è un giorno particolare per noi Midgrardiani, un giorno in cui le persone che si vogliono bene si scambiano regali per celebrare-"
Thor strabuzzò gli occhi e spalancò la bocca, in un’espressione tanto agitata e stupefatta che Jane si zittì di colpo e fu assalita da un panico ancor più profondo.
"Jane, sono costernato" asserì, ed era autentica afflizione quella che animava la sua voce "Ho cercato di mandare a memoria tutte le festività del vostro lunario, ma la ricorrenza odierna dev’essermi sfuggita. Non ho nulla da donarti."
La smorfia addolorata in cui il suo viso era contratto lo rendeva così tenero che Jane ebbe l’impulso di lasciar cadere il pacco sul pavimento e abbracciarlo.
"Thor, non devi scusarti. Non è una vera e propria festa, non è nemmeno segnata in rosso sul calendario…Non potevi saperlo. Sta'tranquillo."
La rassicurazione cancellò l’afflizione dal volto del dio del tuono e Jane ne fu enormemente sollevata.
"Oggi è San Valentino, la festa degli innamorati. In realtà è piuttosto sciocca come cosa, se due persone si amano si amano per tutto l’anno e non soltanto il quattordici Febbraio e non c’è di certo bisogno di scambiarsi regali proprio oggi per dimostrare all’altro il proprio affetto, fondamentalmente non ha senso come cosa ma è un po’che desideravo farti un pensierino, solo che non avevo idea di cosa comprarti e allora è passato Gennaio e poi la prima parte di Febbraio e…"
Jane cominciava seriamente ad essere a corto di fiato e così, per evitare una dolorosa morte per asfissia, tacque e svelò la sorpresa, porgendo il pacco a Thor. Questi lo osservò, curioso e impacciato, per qualche secondo - tempo durante il quale Jane sperò ardentemente che il pavimento sotto i suoi piedi si squarciasse e la voragine creatasi la inghiottisse-, prima di afferrarlo e prendere a stracciare la carta colorata, fino a quando il maglione azzurro venne fuori e Jane maledisse le piastrelle che erano rimaste compatte al loro posto e non l’avevano ingurgitata come s’era auspicata poco prima.
"Quelli" riprese, indicando il disegno che campeggiava sulla stoffa "sono lampi e il pullover è blu, pertanto quello è un cielo in tempesta e mi ha ricordato te, cosa che probabilmente troverai stupida perché tu sei il dio del tuono e non dei lampi, ma i tuoni sono soltanto dei rumori e non si possono vedere né tanto meno rappresentare e…Penso sia della tua misura."
Thor, che fino a quel momento aveva contemplato il dono assorto e concentrato, come se stesse cercando di muoverlo con la sola forza del pensiero, alzò finalmente lo sguardo su di lei e le rivolse uno di quei sorrisi luminosi e sinceri che solo i regali veramente graditi riescono a suscitare.
"Non avresti potuto scegliere presente più appropriato, Jane" asserì entusiasta e si sfilò la maglia che indossava per infilarlo. Se Darcy fosse stata lì, avrebbe apprezzato lo spettacolo - non che lei non lo facesse.
Sì, era proprio della misura giusta, e quella tempesta stilizzata gli donava decisamente di più delle belve feroci ritratte sul maglione extra large con il quale s’era presentato la settimana prima.
Mentre Jane si compiaceva del proprio acquisto - in realtà addosso a Thor sarebbe parso bello anche uno straccio, ma le piaceva pensare d’aver scelto qualcosa di particolarmente appropriato-, il dio tirò fuori dalla tasca dei jeans una microscopica agendina nera ed una penna. Sulla piccola rubrica spiccava la scritta Tutto quello che c’è da sapere sui Midgardiani apposta in stampato e a caratteri cubitali.
"Quattordici Febbraio" scandì Thor concentrato, sfogliando le pagine. Quando giunse alla data in questione, scarabocchiò in fretta San Gelsomino. Ricorda regalo per Jane e lo sottolineò tre volte, come faceva con i promemoria particolarmente importanti.

***


"È inammissibile, è assurdo, è inaudito."
Tony proseguiva imperterrito nelle sue enumerazioni e Pepper continuava, altrettanto imperterrita, ad ignorarlo.
"Banner ha interrotto i nostri esperimenti sul più bello per andare dalla superspia siberiana…"
"Russa. Non è la stessa cosa, Tony."
"Barton che arriva, saluta e poi sparisce per l’intera giornata dicendo che 'ha delle faccende importanti da sbrigare' e come al solito nessuno gli dice niente – sbottò, dirigendosi verso le armature ordinatamente allineate in fondo al laboratorio e ritornando con il casco della Mark VII tra le mani "Si può sapere perché Legolas ha tutte queste prerogative? Nemmeno me la ricordo l’ultima volta che ha svolto regolarmente i suoi turni e ci fosse qualcuno che non dico lo punisca, ma glielo faccia almeno notare...Agente fa l’autoritario soltanto con il sottoscritto?"
"Da che pulpito viene la predica" osservò Pepper tagliente, glissando intenzionalmente sul riferimento a Phil.
"E Thor che porta l’astrofisica al parcogiochi."
Tony era tanto assorto nella sua filippica contro le romanticherie a cui si erano squallidamente abbandonati i suoi colleghi che nemmeno s’accorse che Pepper era sgusciata via dal laboratorio.
"Non credevo che avrei mai detto una cosa del genere, ma l’unico che s’è comportato degnamente oggi è stato Rogers."
Quando Pepper tornò, con il dono stretto tra le mani, il suo soliloquio non era ancora giunto al termine.
"Certo, pur volendo non avrebbe l’opportunità di festeggiare, dal momento che l’unico individuo di sesso femminile con il quale ha avuto un rapporto che andasse oltre il semplice saluto è sua madre, ma-"
Ora, frenare il fiume di parole che sgorgava dalla bocca di Tony Stark era un trofeo a cui nessun essere umano poteva ambire, nessun essere umano che non fosse Virginia Potts. Pepper era capace di cose che il resto dell’umanità poteva solo sognare: interrompere Tony Stark, contraddire Tony Stark, irritare Tony Stark, dare ordini a Tony Stark, porre le cose a Tony Stark...Dunque non era poi così strano che tacesse davanti a lei, ma Pepper non ricordava di avergli mai visto in viso un’espressione tanto incredula come quella che sfoggiò davanti al pacco che lei gli mise sotto gli occhi. Il casco gli cadde di mano, piombando sulla scrivania con un tonfo e rovesciando sul pavimento il mucchietto di viti accumulate sul bordo.
"Che cos’è?"
"È un regalo."
Tony aprì la bocca - o meglio, la aprì ulteriormente, dato che l’aveva spalancata nel momento in cui aveva visualizzato il fagotto -, ma riuscì a produrre solo dei borbottii inarticolati. A Pepper rincrebbe moltissimo di non aver attivato le telecamere del laboratorio; la scena meritava di essere immortalata.
"Visto che detesti tanto San Valentino, puoi considerarlo un regalo di compleanno anticipato. O di Natale. Come preferisci."
Tony sollevò impercettibilmente lo sguardo e la fissò con espressione criptica. Probabilmente, se gli avesse comunicato il fallimento delle Stark Industries ne sarebbe stato meno turbato.
"Puoi aprirlo, se vuoi" lo incoraggiò e se Tony non la rimproverò per il tono canzonatorio con cui gli si era rivolto, vuol dire che era veramente sconvolto.
Tornò a fissare il pacco e prese a scartarlo con cautela, come se temesse di trovarvi un ordigno esplosivo o qualcos’altro di altamente pericoloso. Impiegò moltissimo tempo a rimuovere tutta la carta e anche di più a sollevare il coperchio della scatola; era passato quasi un secolo quando guanti, sciarpa e cappello vennero fuori e fu davvero incredibile come la sua faccia divenne ancor più sconcertata.
"Sul cappello è disegnato questo" esordì Pepper, chinandosi a raccogliere il casco dell’armatura, cascato qualche minuto prima "Ma ci sarebbe voluto troppo tempo per ricamarlo anche sui guanti e la sciarpa, senza contare che uno solo basta e avanza per alimentare il tuo ego."
Tony non ribattè nemmeno a quella frecciata e Pepper cominciò a temere che si sentisse male.
"Quindi, ho pensato di ornarli con le nostre iniziali" spiegò, indicando la T e la P che si intrecciavano sulla lana scura.
Un leggero rossore le imporporò le guance e, per la prima volta in vita sua, desiderò che Tony straparlasse, perché quel silenzio cominciava a diventare piuttosto imbarazzante; ma lui non aprì bocca, o almeno, non lo fece mentre afferrava i guanti, li indossava, le poggiava delicatamente le mani fasciate di tessuto sulle guance bollenti e si sporgeva verso di lei, con gli occhi luminosi e intrisi di tenera sorpresa. Fu solo allora che schiuse le labbra, per donarle il bacio più devoto, grato ed innamorato che avesse mai dato.
"Chi ti ha detto che detesto San Valentino?" sussurrò quando si furono staccati, senza allontanare le mani dal suo volto.
"Tu, Stark" replicò lei con una smorfia di finto biasimo.
"Beh, soltanto gli stolti non cambiano idea."

***


Steve sprofondò nella sedia con uno sbuffo rassegnato. Aveva girato mezza città alla ricerca di un bar che non pullulasse di coppiette e le cui vetrine non fossero addobbate con cuori giganti e piccoli Cupido, senza riuscire a trovarlo. Per quanto l’idea di consumare il proprio caffé circondato da ragazzi e ragazze che si scambiavano effusioni lo disgustasse era troppo stanco per continuare a vagare e talmente nervoso che, se non avesse ingerito immediatamente della caffeina, sarebbe scoppiato all’istante. Così si fermò nel locale meno melenso ed affollato tra quelli che aveva ispezionato e prese posto nell’angolo più remoto, il più lontano possibile dai clienti che si scambiavano doni e sguardi innamorati.
Steve non sopportava San Valentino. Settant’anni or sono, prima del siero, prima di Capitan America, prima del sonno infinito tra i ghiacci, non aveva mai attribuito troppo peso a quella ricorrenza; la riteneva poco sensata, certo, ma non la odiava né si preoccupava ossessivamente di evitare tutto ciò che vi avesse a che fare. Da quando si era risvegliato in quel mondo nuovo ed estraneo, molte cose che prima, nella sua vecchia vita, non avevano avuto alcun significato particolare gli risultavano insopportabili, perché evocavano momenti, legami ed affetti che gli erano stati strappati e che mai avrebbe potuto recuperare..
"Buongiorno. Desidera?"
"Un caffé" rispose secco, senza nemmeno sollevare lo sguardo.
"Espresso, nocciolato, macchiato, ristretto…? O una delle ultime novità della casa: abbiamo l’ Irish coffee, il caffé russo, il messicano…Io le consiglio il Jamaican coffee, è il mio preferito."
Steve era di pessimo umore e aveva fatto di tutto per sottrarsi a qualsiasi tipo di contatto con altri esseri umani, eppure c’era qualcosa di estremamente gradevole in quella voce, una nota di briosa vitalità che andava ben oltre la meccanica cortesia che si deve ad ogni cliente e che lo portò a sollevare lo sguardo, incontrando gli occhi vispi e gentili della giovane cameriera che gli stava davanti, un blocchetto tra le mani sottili e un sorriso spensierato stampato sul volto.
"Uno vale l’altro. L’importante è che sia molto forte e molto amaro."
Beth - così recitava la targhetta appuntata sulla divisa - assottigliò lo sguardo e restò a fissarlo per qualche istante, la fronte leggermente aggrottata e le labbra contratte in una smorfia appena accennata. Steve non capiva perché lo guardasse in quel modo, tuttavia la cosa che maggiormente lo stupì fu il sorriso che gli incurvò le labbra; quell’espressione curiosa e corrucciata era piuttosto buffa, certo, ma fino ad un minuto fa non avrebbe nemmeno immaginato di poter sorridere, in una giornata del genere e con quella malinconia nel cuore.
"Ha ragione, c’è fin troppo zucchero in giro" commentò acidamente, lanciando un’occhiata nauseata alla coppietta che si coccolava senza pudore due tavoli più in là.
Steve scoppiò a ridere e Beth gli rivolse un sorriso ancor più radioso, per poi unirsi alla risata.
"Glielo porto subito."
La seguì con lo sguardo fino a quando non scomparve dietro il bancone di legno, attorno al quale era assiepata almeno una dozzina di ragazzi.
Tutt’a un tratto, San Valentino non gli pareva più così detestabile.











Note
Lo so, lo so. Sono ignobile e lo sono per una lunga serie di motivi. Primo, perchè ho postato in ritarderrimo malgrado avessi promesso di essere puntuale (lanciatemi pure pietre e pomodori, vi autorizzo a farlo), secondo perchè è assurdo quanto sia venuta lunga quest'ultima shot ed è ancor più assurdo considerando che le altre sono mini. L'intento era quello di realizzarle tutte (più o meno) della stessa lunghezza, ma poi è saltata fuori sta cosa di San Valentino che coinvolge tutti quanti e fa riferimento alle quattro shot precedenti e allora c'erano molto da dire e...Compatitemi.
Duuuunque, siamo giunti al termine *occhioni lucidi* Ringrazio vivamente tutti coloro che hanno inserito la raccolta tra le seguite/preferite/ricordate, seguendola in silenzio, e tutti coloro che l'hanno semplicemente letta (e mi auguro apprezzata). Un ringraziamento speciale va a coloro che mi hanno seguita con incredibile costanza ed allietata con le loro splendide parole: Lou e Flox. Grazie di cuore care, avete rallegrato il mio piccolo ggguoricino ad ogni aggiornamento, ve ne sono immensamente grata *abbraccia e sbaciucchia* Un grazie altrettanto speciale va alla mia dolce metà, _Maria_, che con incredibile e amorevole pazienza ha recensito tutto in ventiquattro ore, commuovendomi e facendo sganasciare dalle risate. La menzione di Barton di "Via col vento" è merito suo, come sono merito suo tante altre cose che figurano tra le mie storie e probabilmente il fatto stesso che le mie storie esistano. I love you, Orsetta.

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