Hope never leaves di Fiorels (/viewuser.php?uid=78393)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Never alone ***
Capitolo 2: *** Never getting back together ***
Capitolo 3: *** Never give up ***
Capitolo 4: *** Never see you again ***
Capitolo 5: *** Hope never leaves ***
Capitolo 1 *** Never alone ***
HNL - cap 1
- Ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhh….
- Eccoci qui e
finalmente si può dire
che è arrivato il Natale. Perché per noi non
è Natale finché le nostre menti
malate non partoriscono una nuova mini ff natalizia, perciò
tutte insieme
urliamo…
- Jxjchjdhvjhdvsbbhjdsbvshbsdhh
*________*
- Ok, facciamo le
persone serie u___u
(Seh, come no).
- Ok, dicevamo.
Come sapete
l’ispirazione per la ff ‘Ogni battito del mio
cuore’ è scemata nei mesi, e ci
siamo rese conto che per necessità, tempi e
modalità, le mini ff sono meglio per
noi. Sono più flessibili e ci permettono di scrivere ma con
più libertà. Perciò
anche quest’anno siamo qui a proporvi una storia che (almeno
per noi) è
mooooolto valida e avvincente. Come al solito ci saranno momenti
corrispondenti
a queste faccine:
- *______* -> ahahah i
momenti amati da tutti ;
-
- T______T -> aehm… i momenti
in cui ci maledirete;
-
- O_____O -> ci conoscete
perciò tali momenti
abbonderanno hihihiih;
-
- Vogliamo
ricordarvi che se nel corso
della storia ci saranno alcune situazioni che riguarderanno ambiti
specifici
come medicina, legge, o altre professioni, beh... ecco, tenete la mente
un po’
aperta perché anche se ci siamo informate alcune volte
dovete lasciarci un po’
di ‘licenza narrativa’ o saremo volutamente un
po’ vaghe ahahah.
- La ff non
è stata pre-letta da nessun
essere umano vivente che ci abbia garantito la riuscita della nostra
storia,
ahah, quindi ognuna di voi legge materiale inedito!! Perciò,
mi raccomando,
fateci sapere *_____*
- La ff
è quasi totalmente pre-scritta
quindi il postaggio è garantito ogni cinque giorni ;)
- Ok, ci
pare di aver detto
tutto…perciò siamo onorate di dare il via
all’oroginale annuale mini ff
Natalizia di Cloe & Fio!!!
- (suggerimento
musicale)
-
- Pov Kristen
- 23 dicembre 2015,
Londra
-
- C’è
qualcosa di
terribilmente strano nel Natale.
- In quel periodo
dell’anno è come se tutto il mondo
all’improvviso fosse più bello, più
giusto,
più equo, più… più felice.
Tutti corriamo in giro per le strade innevate a
comperare regali per persone che magari conosciamo solo di vista
perché, si sa, è
Natale. Ci affanniamo a cucinare
dolci e cene di sei portate per parenti che a malapena vediamo un paio
di volte
all’anno perché, si sa, è
Natale. Ci
ritroviamo persino ad accantonare i nostri problemi personali per
preoccuparci
degli altri e dei meno bisognosi perché, si sa, è Natale
e tutti dobbiamo
almeno cercare di essere più buoni.
La
cosa davvero strana, però, è che tutto questo non
è uno sforzo per la maggior
parte delle persone; è come se insieme alle decorazioni,
agli alberi, al vischio
e ai dolci alla cannella ci instillassero anche una dose di buon umore,
di
gioia, di allegria e di… di speranza.
E si diventa persone migliori; almeno per quel mese all’anno
ci riserviamo la
prerogativa di vedere il mondo a tinte colorate, di pensare che,
perché no, le
cose dal primo gennaio andranno davvero meglio.
- Ma la volete
davvero
sapere la cosa più strana del Natale?
- La magia.
- La cosa
più strana è
che non importa quanto la tua vita possa essere tremenda, quanto tu sia
triste
o scoraggiato; ci sarà sempre in quel lungo mese di
dicembre, per tutti noi,
almeno un minuto, almeno un secondo, almeno un istante, in cui
sentiremo la
magia nell’aria e crederemo che qualcosa che avevamo sempre
reputato
impossibile, possa accadere. E allora ci sentiamo pervasi di fede e di
qualcosa
che non è nemmeno possibile definire se non come magia. E
sì, tutto questo, nei
luoghi anche più strani oppure nei più comuni.
C’è a chi succede a casa propria
davanti ad un camino, a chi succede mentre è imbottigliato
nel traffico e a
chi… a chi succede mentre si trova al centro di un aeroporto
affollato dai
classici viaggiatori.
- Proprio come
accadde a
me.
- Il momento in
cui
sentii che quelle feste di Natale sarebbero state diverse da qualsiasi
avessi
mai vissuto prima.
- Rob
sbadigliò
appoggiando la fronte contro la mia spalla, dopo aver lasciato cadere
sonoramente le nostre due valige a terra.
- “Tranquilla,
non
preoccuparti, non avevo bisogno di aiuto. Ma grazie di esserti offerta,
eh” si
lamentò.
- “Oh,
andiamo! Per una
volta che ti faccio fare l’uomo forte e macho non dovresti
proprio lamentarti. Sei
tu quello che si lamenta sempre del fatto che io ti consideri un
pappamolle che
inciampa dappertutto.”
- Mi
guardò storto.
“Questo perché mi consideri un pappamolle che
inciampa dappertutto.”
- Gli baciai la
punta
del naso. “Questo perché è vero.
Piuttosto, vedi di non sbattere le valigie con
tutta quella forza. Ci sono i regali per le tue sorelle e per i tuoi
genitori
lì dentro e non vorrei che si rompessero per colpa
tua.”
- “Sì,
padrona!”
- Ridemmo come due
stupidi finchè non raggiungemmo un angolo un po’
appartato della grande sala ritiro bagagli
e mi guardai furtivamente
intorno cercando di monitorare la situazione. La zona era relativamente
tranquilla ma sapevo che il peggio doveva ancora arrivare e si sarebbe
manifestato nella folla oceanica di parenti e amici che accoglieva le
persone
che tornavano a casa per le feste. Per cui la nostra vera missione
iniziava
ora.
- Mi aggiustai
guanti e
cappellino, calandomelo il più possibile sugli occhi; poi
feci lo stesso col
cappello da baseball di Rob e i suoi occhiali da sole.
- “Ti
rendi conto che
sembriamo assurdi?” protestò “Cappello
di lana e guanti per te e occhiali da
sole per me? Siamo spaiati.”
- “Siamo
originali”
ribattei “E soprattutto irriconoscibili. Sembriamo forse
Kristen Stewart e
Robert Pattinson? No, sembriamo…”
- “Kris,
posso
ricordarti che noi siamo Robert Pattinson e Kristen
Stewa…”
- “Shhhhhhh”
gli tappai
la bocca con la mano, voltando freneticamente
il capo da una parte all’altra.
“Vuoi che ci scoprano? Non urlare!”
- Solo una
vecchietta
sembrava averci notati ma riportò subito la sua attenzione
altrove. Per
fortuna!
- “Lo
sai che siamo in
incognito! Questa è la nostra missione segreta e se la farai
saltare me la
prenderò con te.”
- Rob si
abbassò un poco
gli occhiali da sole e premette la mano sulla mia fronte come a voler accertarsi
che non avessi la
febbre.
- “Scemo,
smettila.”
- Provò
a trattenerlo ma
un risolino, l’ennesimo da quando gli avevo esposto il mio
piano qualche giorno
prima, gli increspò le labbra.
- “Ripetimi
ancora una
volta perché non possiamo arrenderci al fatto di essere
famosi e sopportare la
cosa come abbiamo sempre fatto” domandò.
- “Perché
quest’anno ho
deciso così” sentenziai
“Perché per una volta voglio che tutti si chiedano
dove
siamo senza saperlo, perché per una volta sono convinta che
viaggiando soli e
acconciati come normali turisti nessuno ci riconoscerà. Dai,
sarà divertente!”
- I suoi occhi si
assottigliarono. “Nessuno ci riconoscerà
eh”
- “No!”
esclamai
entusiasta “Insomma, pensaci! Abbiamo passato gli ultimi tre
Natali da quando
ci siamo sposati in qualche posto esotico o fuori mano o remoto e alla
fine ci
hanno scoperti comunque e abbiamo dovuto firmare sempre almeno una
dozzina di
autografi e fare foto e…”
- “E
cosa ti fa pensare
che quest’anno non succederà? Quelli erano posti
esotici” intervenne “E questa
è Londra, con milioni di abitanti. Tutti sanno che i miei
genitori abitano qui
e…”
- “Ahah!
Qui sta il
bello! Negli ultimi anni abbiamo depistato i paparazzi! Ora sono tutti
all’erta
di trovarci mentre ci crogioliamo al sole ai caraibi e
invece… bam! Eccoci qui,
dove nessuno ci aspetta! Sono un genio!”
- Non rispose ma
un suo
sorriso a trentadue denti mi informò che lo avevo convinto
o, quanto meno,
aveva deciso di non protestare con me.
- “Tanto
lo so che ti
mancano i tuoi” lo punzecchiai “Specialmente la tua
mamma.”
- “Ed
è così, lo sai”
rispose. Ci tenevamo per mano, camminando tra la folla che aveva
riempito quasi
interamente la zona arrivi dell’aeroporto di Heathrow;
sembravano tutti così
presi dalla frenesia delle feste da prestare pochissima attenzione a
due
ragazzi che, per una volta, erano solo due sconosciuti in mezzo ad un
mare di
gente.
- Trattenni il
respiro
finchè non salimmo sani e salvi a bordo di un taxi e, dopo
aver dato
l’indirizzo, il tassista partì, immettendoci nel
traffico della capitale
inglese.
- Lanciai
un’occhiata
divertita a Rob che aveva la faccia schiacciata contro il finestrino e
guardava
fuori come… come solo una persona che rivede la propria casa
dopo mesi può
fare. Poteva anche dire che i nostri ultimi Natali passati a fare i
neosposini
erano stati fantastici ma sapevo che stare a Londra durante le feste
gli era
mancato; i Caraibi e la Polinesia erano stati epici, pieni di sole,
spiagge
tiepide, nottate abbracciati, fare l’amore quando e dove
volevamo…
- Ma
quest’anno era
giusto venire a Londra.
- Lo sentivo nel
profondo delle ossa.
- Era la cosa di
cui entrambi
avevamo più bisogno.
- Avevamo bisogno
di
casa, di famiglia, di tè fumante, biscotti caldi,
pudding…
- “Un
penny per i tuoi
pensieri?” sussurrò roco al mio orecchio. Neppure
mi ero resa conto che si era
sporto verso di me e le sue labbra mi sfioravano l’orecchio
“A che pensavi?”
- “Al
pudding.”
- Rob
alzò un sopraciglio.
“A me ricoperto di pudding? O a te ricoperta di pudding e io
che lo lecco? Mmm,
se ben ricordo, a quest’ora l’anno scorso, eravamo
in Polinesia e io stavo
leccando un’altra parte anatomica del tuo
corpo…”
- Scoppiai in un
risolino quando le sue dita iniziarono a solleticarmi, aiutate dal buio
della
macchina. Se non che il tassista scelse proprio quel momento per
rivolgerci la
parola e indagare sulla provenienza dei suoi passeggeri. Pessimo
tempismo!
- E, cosa ancora
più
pessima, quando ci chiese da dove venissimo Rob fu sul punto di dire
tranquillamente
che venivamo da Los Angeles. Presi in mano la situazione immediatamente.
- “Io
sono texana”
imitai la mia migliore parlata strascicata del sud. Rob
scoppiò a ridere e si
beccò una gomitata nelle costole. “E lui
è, ehm…mio fratello. Ma non parla,
poverino. Lui è mmm…” sperai che
l’uomo non ci avesse visti parlottare a bassa
voce prima “è muto.”
- Rob emise una
sorta di
grugnito di protesta che gli valse un’occhiata
compassionevole del tassista.
“Oh poveretto. Mi spiace tanto.”
- Mi limitai a
borbottare un ‘grazie’, non sapendo quanto a lungo
mi sarei trattenuta io
stessa dal ridere a crepapelle.
- Erano passati si
e no
20 secondi quando sentii il telefono vibrarmi in tasca. Lo estrassi e
lessi un
messaggio di Rob.
- ‘Sarei
muto adesso? Anche sordo, cieco e storpio?
- Ho sviluppato
Qualche altra malattia invalidante
- nel corso degli
ultimi cinque minuti o sono a posto?’
- La voglia di
ridere si
faceva più pressante ma riuscii a contenermi e a continuare
il nostro giochetto.
- ‘Tu e
la tua linguaccia stavate per rovinare tutto.’
- ‘Ricordavo
che ti piacesse la mia lingua :P’
- Il buio non gli
diede
la soddisfazione di vedermi arrossire.
- ‘Pervertito.
Sarà meglio che ti comporti bene. Ricorda che
sono
- Tua moglie e
questo fa di me il tuo capo.’
- Ammiccò
verso di me ma
non disse nulla.
- ‘Il
capo eh?’
- ‘Sono
sempre stata io il capo, bello mio ;)’
- Scosse la testa,
sogghignando, ma vidi le sue dita esitare sullo schermo del telefono,
cancellare ciò che aveva digitato e poi riscrivere da capo.
Quando la sua
risposta arrivò sul mio telefono con una vibrazione sentii
le dita della sua
mano intrecciarsi a quelle della mia.
- ‘Quando
prendevo i bagagli e ti ho lasciata da sola… ti ho
vista che fissavi il vuoto e sembravi..piena di pensieri.
- Stavi pensando
ancora a quello?’
- Non avrei dovuto
essere stupita dalla sua domanda. Lui era mio marito ma era anche il
mio
migliore amico, il mio confidente, la persona che aveva sofferto come
me per la
notizia che avevamo ricevuto meno di due mesi prima. Era colui che mi
conosceva
meglio di chiunque altro al mondo, spesso molto più di me
stessa…
- Lui conosceva il
mio
dolore. Lo aveva diviso con me in quello studio medico e lo divideva
con me
ora. Era un’altra delle cose che, in fondo, ci avrebbe legati
per sempre.
- Aspettai a
rispondergli fino a quando fummo scesi dal taxi e ci ritrovammo con le
nostre
valigie sul vialetto di casa dei suoi genitori. La mano di Rob non
aveva mai
lasciato la mia, neppure per un secondo, e mi dava un calore che
nemmeno il
gelo dell’inverno poteva scacciare.
- “Non
stavo pensando a quello”
sussurrai “O meglio, forse sì.
Forse una parte di me stava pensando anche a quello. Ma quello a cui
davvero
pensavo era il Natale, al fatto che rende tutto migliore,
meno… negativo.
Capisci?”
- I suoi occhi non
si erano
mai staccati dai miei ma quando fece per parlare lo bloccai, posando le
dita
sulla sua bocca.
- Sapevo quello
che
avrebbe detto.
- Che eravamo
giovani,
che avremmo provato e riprovato e ancora, ancora e ancora, che saremmo
andati
da mille dottori, che potevamo pensare a mille vie diverse se fosse
stato
necessario. Sapevo che le sue non sarebbero state solo parole dette al
vento
per farmi stare meglio; sarebbero state sincere e lui ci avrebbe
creduto
veramente mentre le diceva.
- Ma in quel
momento non
era ciò che avevo bisogno di sentirmi dire; la speranza che
avevo sentito in
aeroporto era ancora chiara e forte dentro di me.
- “Non
pensiamoci ora.
Pensiamo solo a divertirci e a goderci le feste con la tua
famiglia”
- “La
nostra famiglia”
mi interruppe baciandomi con le sue labbra fredde e calde allo stesso
tempo.
- “La
nostra famiglia”
mormorai.
- E, nonostante il
dolore degli ultimi mesi, permisi a me stessa di essere di nuovo felice.
-
-
- “Sai,
sono davvero
felice che siate venuti e che almeno quest’anno non ve la
siate battuta alle
Hawaii” disse Lizzie passandomi un bicchiere di champagne.
Presi un lungo
respiro che mi permise di assimilare i profumi tipicamente natalizi che
permeavano la casa e non potei fare a meno di pensare che anche io ero
felice
di essere lì, circondata dal calore che solo la famiglia ti
può dare. Quel
pensiero, tuttavia, mi diede anche una fitta di vergogna al cuore. Li
consideravo davvero la mia famiglia anche se tra noi non
c’erano legami di
sangue: mi avevano accolta e amata dal primo momento e mai, mai,
neppure quando
avevo fatto scelte stupide che avevano fatto soffrire il loro stesso
figlio, mi
avevano allontanata o giudicata.
- E allora
perché quando
due mesi prima una parte del mio mondo, una parte che un tempo neppure
credevo
di volere, mi era crollata addosso, non avevo detto loro nulla?
- Peggio, avevo
addirittura chiesto a Rob di non dir loro nulla.
- Perché
non ero pronta,
perché si sarebbero preoccupati per me, perché mi
avrebbero chiesto
incessantemente come stavo e cosa provavo e…
- Tutte scuse.
- La sola ragione
per
cui avevo chiesto a Rob di non raccontarlo era perché mi
vergognavo. Di essere
diversa, di essere sbagliata… difettosa.
- Come se avesse
potuto
leggere nei miei pensieri, Clare intrecciò il braccio al mio
e mi massaggiò la
mano con amore.
- “Allora,
Kristen, i
tuoi genitori come stanno?”
- Ed ecco
un’altra
ragione per cui amavo il calore e la solidità della famiglia
Pattinson. I miei
genitori avevano divorziato tre anni prima ma in realtà
erano anni che le cose
non erano state più come un tempo. Mi amavano, amavano i
miei fratelli, ma non
era giusto che continuassero a stare insieme solo per dare la parvenza
di una
famiglia felice che non esisteva.
- Meglio essere
realisti
e andare ognuno per la propria strada, questo aveva detto mia madre;
senza rimpianti
e senza rancore. E forse una parte di me sapeva che aveva ragione, ma
saperlo
non mi aveva fatta sentire meno spaesata quando davvero si erano
separati. O
meno sola, o meno persa.
- Ripensandoci,
quella
del 2012 era stata l’estate più schifosa della mia
intera esistenza, per più di
una ragione.
- Prima che i miei
pensieri prendessero una spiacevole direzione, mi voltai, rivolgendo un
sorriso
stentato a Clare.
- “Bene.
Ma sai come
sono… papà passava le vacanze da alcuni amici, la
mamma è in Australia per un
progetto a cui sta lavorando e i ragazzi…” feci un
gesto vago con la mano “Beh,
lo sai come sono fatti. Ognuno ha amici diversi e preferiscono
trascorrere le
feste così. Di certo non con la loro noiosa, sorella
sposata.”
- Avvertii la mano
di
Rob scivolare all’interno della tasca dei miei jeans,
lasciandomi una carezza;
solo per farmi sapere che era lì con me, vicino al mio cuore.
- “A me
piaci anche se
sei noiosa e sposata” disse, divertito.
- Ridemmo tutti e
quattro, la tensione stemperata da quella
battuta. A pochi passi da noi Victoria
rovesciò un bicchiere di
champagne che stava riempiendo, facendolo cadere a terra con un tonfo
secco.
- “Scusate,
scusate!
Mamma non fare quella faccia, pulisco io. Subito, subito,
subito.”
- Detto fatto, in
meno
di un minuto e ancora prima che suo marito Mark si offrisse di darle
una mano, era
andata e tornata con un grosso straccio e sul pavimento non restava
neppure una
gocciolina di vino.
- Non potei fare a
meno
di chiedermi se per caso non avesse già bevuto un
po’ troppo perché era da
quando eravamo arrivati che sembrava… su di giri.
- “Mi
chiedo che le
succeda” borbottò Clare.
- “In
effetti è peggio
del solito” aggiunse Rob “Di solito, quella
schizzata sei tu Lizzie. Vic è
relativamente normale.”
- Questa frase
ovviamente ottenne l’effetto sperato, ossia iniziare una
battaglia all’insulto
più cattivo tra Rob e Liz. E, anche se era esattamente
contro lo spirito
natalizio che tanto amavo, non riuscii a trattenere una risata
ricordando come
io stessa non avessi fatto altro con i miei fratelli . I battibecchi,
le
litigate, le prese in giro… Non credevo che lo avrei mai
detto ma ora che
eravamo cresciuti mi mancavano terribilmente.
- Rob e Lizzie,
inutile
dirlo, non erano cresciuti poi così tanto, evidentemente.
- Proprio quando
ero
certa che Clare li avrebbe presi ciascuno per un orecchio e trascinati
in
castigo in un angolo, fu Vic a intervenire, battendo leggermente con un
cucchiaino contro il suo bicchiere per attirare l’attenzione
di tutti.
- Quando anche Liz
distolse il suo sguardo imbronciato da Rob con un’ultima
linguaccia, Vic prese
la mano di suo marito Mark e…
- E quello fu il
momento
in cui capii.
- Anzi, forse lo
avevo
saputo sin da quando mi ero resa conto di quanto sembrasse eccitata e
felice e
entusiasta e… bella. Bella in quel modo particolare e
inconfondibile di una
persona che è sempre uguale eppure ha qualcosa di
tremendamente diverso dentro
di sé.
- “Beh,
io e Mark
abbiamo una cosa importante da dirvi” annunciò.
“Aspettiamo un bambino.”
- Le guance le si
colorarono di rosa e il mio sangue si fece di ghiaccio.
- In meno di un
istante
fu come ritornare al dolore di qualche mese prima.
-
- “Lo
sai che andrà tutto bene, vero?”
mormorò Rob al mio
orecchio “Sta’ tranquilla”
- Annuii veloce.
Cercava di confortare me quando si vedeva
lontano un miglio che lui era altrettanto agitato e preoccupato; la sua
gamba
non smetteva di muoversi su e giù, quasi in sincrono con
quel maledetto
orologio bianco attaccato alla parete bianca, vicino alla finestra con
gli
infissi bianchi…
- Perché
gli studi dei medici dovevano essere sempre così? Si
presumeva che il bianco fosse un colore che avrebbe dovuto trasmettere
pace e
calma?
- Beh, si
sbagliavano di grosso. Si sbagliavano terribilmente.
- Perché
la sola cosa che avrei voluto fare in quel momento era
urlare, piangere o vomitare. Vomitare almeno avrebbe dato un
po’ di colore alla
stanza. Cercai di mettermi su un sorriso tirato ma non venne fuori
altro che
una smorfia.
- “La
maggior parte della gente ci prova per mesi o anni,
anche. Non è mica come nei film che sbam, basta una volta
sola, no?” continuò
Rob. La sua gamba sbatteva sempre più velocemente.
“In fondo non è moltissimo
che hai smesso di prendere la pillola. Non c’è
ragione di preoccuparci.”
- La sua voce era
così al limite che non potei non chiedermi
chi dei due stesse davvero cercando di convincere.
- “E
quando il dottore ci dirà che è tutto a posto e
che
dobbiamo solo stare tranquilli potremo andare a
casa…”
- “A
fare sesso?” scherzai. O almeno ci provai; dopotutto stava
cercando di rassicurarmi da giorni, tentando di restare positivo mentre
io mi
consumavo dall’ansia. Il minimo che potevo fare era fare
finta di crederci.
- “Sì”
i suoi occhi si illuminarono alla mia battuta “E ho
anche una sorpresa a casa che ci aspetta per
quando…”
- Non
riuscì mai a finire la frase.
- Sentimmo la
porta aprirsi e poi richiudersi alle nostre
spalle e bastò quel clic a farci capire che, nel bene o nel
male, da quel
momento in poi avremmo potuto smettere con le finte rassicurazioni che
continuavamo a darci a vicenda.
- Il medico si
sedette alla sua scrivania con
un sorriso calmo che non mi tranquillizzò
affatto. Avrei scommesso tutto quello che avevo che quello era il
classico
sorriso standard dei medici, indipendente dalla notizia che stavano per
comunicare. Per farti stare calma e poi…
- Zac.
- “I
risultati degli esami sono arrivati. E purtroppo non ho
buone notizie.”
- Dovetti
ammettere che ebbe la gentilezza di non indugiare con
frasi fatte. Arrivò dritto al punto.
- Zac.
- Un taglio netto.
Avrebbe dovuto fare meno male, vero?
- No…
no.
- Non face affatto
meno male.
-
- “Oh
mio Dio ma è
meraviglioso!”
- “Tesoro,
sono così
felice per te! Ed emozionata! Il nostro primo nipotino!”
- “Se
sarà un maschietto
lo chiamerete come me, eh?”
- “Sarà
una femminuccia!
E come secondo nome pretendo Elizabeth, che dopotutto è uno
dei più bei e
tradizionali nomi inglesi, no?”
- Le voci eccitate
della
famiglia Pattinson intorno a me, mano a mano, mi riportarono alla
realtà.
- Un bel respiro,
Kristen.
- Non ero in
California,
nello studio asettico di un medico.
- Ero a Londra,
era
Natale ed era stata appena data una delle più belle notizie
che si possano
sentire in una famiglia. Una di quelle poche notizie che cambiano la
vita ma
solo in modo positivo, portando più allegria e
più gioia e…
- E allora
perché
diavolo mi sentivo come se mi avessero appena sparato dritta al cuore?
- Oh
sì, giusto. Perché
io non avrei mai potuto dare quel genere di notizia.
- Mai.
- In tutta la mia
vita.
- “Oh
Kris, ma ti stai
commuovendo?” Vic mi strinse in un abbraccio che mi
lasciò stordita. “Awww, no
dai!”
- “Io…”
- Le parole mi
ostruivano
la gola, ma la mia mente vorticava a mille all’ora. Era ovvio
che si
aspettavano che le mie lacrime fossero di gioia. Vic era come una
sorella, i
Pattinson erano una famiglia… la mia famiglia. E non ero
ancora così morta
dentro da non sentire di essere davvero felice per lei. Lo ero, Vic era
fantastica e si meritava il meglio dalla vita, ma…
- Deglutii il
groppo che
mi impediva di respirare e mi asciugai la lacrima che mi colava lungo
la
guancia.
- Ero
un’attrice, no?
Dovevo solo concentrarmi sulla parte del mio cuore davvero felice per
lei e
ignorare tutto il resto.
- Potevo farcela.
- “Io…
è… fantastico e… davvero
è una notizia stupenda e…”
- Forse,
dopotutto, non
ero un’attrice così brava.
- “Kris,
accidenti, Ruth
non ti aveva detto di chiamarla per quel… quel
contratto?” intervenne Rob. Mi
resi conto che nemmeno lui era riuscito a dire una parola.
“Aveva detto che era
terribilmente importante. Forse dovresti chiamarla.”
- I nostri occhi
si
incrociarono e capii, capii in un istante che mi stava dando una via
d’uscita.
La raccolsi con gratitudine borbottando qualcosa di non meglio definito
e
facendo ondeggiare il telefono per far capire che sarei andata a
telefonare.
- Ricominciai a
respirare solo quando l’aria fredda del giardino mi
congelò le lacrime sulle
guance e, dopo aver alzato il viso al cielo, mi accorsi che stava
nevicando.
- La
neve… un’altra
delle cose che più di tutto mi facevano sentire quella
speranza tipica del
Natale. E adesso?
- Adesso nulla.
- La sensazione
che
qualcosa sarebbe accaduto, che qualcosa di bello sarebbe successo, che
avevo
provato prima all’aeroporto era svanita come se non fosse mai
neppure esistita.
- Come
un’illusione.
- Sentii le
braccia di
Rob circondarmi da dietro ancora prima di avvertire il suo respiro
caldo contro
la pelle gelida e umida della mia guancia.
- “Vorrei…dovrei
sentirmi…”
- “Shhh,
lo so” sussurrò
“Non è colpa tua. Non è colpa
tua.”
-
- “Non
è colpa tua. Troveremo una soluzione…qualcosa. Ma
non
pensare che sia colpa tua neppure per un secondo. Okay?”
- Non annuii,
troppo stanca anche solo per provarci. Che senso
aveva? Entrambi ora sapevamo che era colpa mia. Lo era e nulla di
quello che
avrebbe detto Rob avrebbe cambiato le cose.
- Il medico era
stato chiaro come il sole nella sua diagnosi.
- Rob non aveva
nulla che non andasse. Lui era sano e perfetto.
- Io…
io ero quella danneggiata, fatta male. Questo si era
chiaramente evinto tra tutte le grandi parole mediche che ci aveva
propinato
quel pomeriggio; quando lo avevamo guardato sconvolti era stato
chiarissimo. Il
mio utero aveva qualcosa che non andava, non era adatto ad accogliere
un
bambino, non permetteva all’embrione di attecchire, la mia
possibilità di
restare incinta era meno… meno del 2%.
- Era inutile
continuare a dire che non era colpa mia.
- Perché
lo era.
- Passai oltre Rob
e salii le scale. Forse se avessi chiuso gli
occhi, la mattina dopo mi sarei svegliata e avrei scoperto che era
stato solo
un brutto sogno, nulla di più. Evidentemente,
però, Dio non ce l’aveva avuta a
sufficienza con me perché quando arrivai in cima al
pianerottolo mi accorsi che
dalla cameretta attaccata alla nostra proveniva una luce.
- Era una stanza
che avevamo adibito a magazzino ma, da quando
avevamo iniziato a provare ad avere un bambino, sapevamo che quella
sarebbe
stata la sua cameretta un giorno…
- “L’hai
lasciata accesa tu?” mormorai.
- “Sì”
Rob mi posò una mano sul braccio cercando di
indirizzarmi verso la nostra stanza “La spengo dopo.
È stata comunque un’idea
stupida e… andiamo a letto.”
- Fu in quel
momento che capii.
- La sorpresa di
cui mi aveva accennato dal medico.
- Mi staccai dalla
sua presa ed entrai.
- Tutte le sue
scartoffie, i mille fogli e scatoloni che lo
avevo rimproverato di depositare lì senza un ordine preciso
erano spariti. Era
rimasto solo il mobile marrone su cui una piccola abat-jour faceva
luce. Le
pareti, una volta bianche, ora erano arancione chiaro, perfette per la
cameretta di un neonato.
- Neutre
perché avevamo sempre detto che non avremmo voluto
sapere il sesso. C’erano così poche sorprese nella
vita, no?
- “È
un bel colore. Allegro.”
- “Kris…”
- “La
culla l’avrei messa qui” continuai senza riuscire a
fermarmi “Non troppo vicino alla finestra per evitare i raggi
del
sole. Il
fasciatoio lì perché è la parete
più larga
e c’è spazio per tanti scaffali
e…”
- “Kris…
sono un idiota. È stato stupido, io credevo
di…”
- “Credevi
di essere normale” mormorai “E lo sei. Quella
sbagliata sono io.”
- Sgusciai fuori
dal suo abbraccio e, prima che me ne rendessi
conto, ero seduta a terra, in camera nostra, la testa posata contro il
bordo
del letto, le lacrime che fluivano libere sulle mie guance.
- Quando Rob mi
raggiunse non lo allontanai ma mi lasciai
cullare dal suo abbraccio finchè in me non rimase neppure
più una goccia
d’acqua. Non sapevo se fossero passati minuti o ore ma la
stanza si era fatta
sempre più buia.
- Fu lui il primo
a spezzare il silenzio.
- “Andremo
da altri dottori.”
- Scossi il capo.
“Siamo stati a Berkeley, dal più famoso
specialista di tutto il sud-ovest.”
- “Beh
andremo da qualcuno più famoso, più bravo,
più…”
- “No,
invece non lo faremo.”
- Non avrei avuto
la forza di sentirmi ripetere la stessa cosa
ancora e ancora e ancora. Io sapevo che in me c’era qualcosa
che non andava, lo
sapeva il mio cervello e lo sapeva il mio cuore. Prima lo avessi
accettato e
prima…
- Le braccia di
Rob mi massaggiavano cercando di darmi un calore
che non avrebbero mai potuto infondermi.
- “Sai
che c’è stato un tempo in cui non mi sarei mai
vista
come madre?” le parole mi uscirono prima che le fermassi
“Che non avrei mai
pensato di volere un figlio, di avere bisogno di un figlio…
E poi quando lo volevo
pensavo che sarebbe arrivato subito, senza fatica, senza sapere che non
avrei
mai… mai potuto averlo, invece.”
- La voce mi si
spezzò.
- “Non
funziona così. Dio non ti sta punendo. Questa non
è
colpa tua…”
- “Lo
so.”
- Non era vero,
non lo sapevo. Ma quello che sapevo era che se
avesse detto un'altra volta ‘non è colpa
tua’ non avrei più risposto della mia
sanità mentale.
- “Prendiamoci
un paio di giorni per metabolizzare la notizia,
okay?” mormorò. Sentii le vibrazioni delle sua
parole contro la mia pelle, le
sue braccia sollevarmi e poi dormii.
- Dormii sperando
di svegliarmi in un mondo diverso.
-
- Ma non era
successo.
- Mi ero
risvegliata
nello stesso mondo.
- Lo stesso mondo
in cui
mi trovavo adesso, distrutta anche dopo mesi.
-
-
- Riaprii gli
occhi
quando sentii la porta della stanza aprirsi e richiudersi. Rob
entrò con in
mano un panino e un bicchiere di Coca-Cola.
- “Ehi.”
- “Ehi.”
- “Non
sei scesa per il
pranzo, perciò ho pensato che avessi fame adesso. I miei
erano un po’
preoccupati.” Indugiò “Io ero molto
preoccupato. Sono preoccupato.”
- Guardai
distrattamente
l’orologio sul comodino che segnava le tre del pomeriggio del
24 dicembre, ma
il mio sguardo fu subito ricatturato dal tormento che leggevo negli
occhi azzurri
di mio marito. Non avrei voluto farlo soffrire così. Avrei
voluto essere capace
di dimenticare, di superare… avrei voluto solo essere capace
di dargli un
figlio.
- Dio!
Perché la sola
cosa che desideravo al mondo era anche la sola cosa che non avrei mai
potuto
avere?
- Non fu,
però, questa
la domanda che uscì dalle mie labbra.
- “Tu lo
sapevi, vero?
Di Victoria, del… del bambino.” Faceva male
persino dirla quella parola. “Per
questo non volevi che venissimo per le feste. Per questo volevi andare
in un
posto lontano. Per darmi la notizia con calma e non farmi fare la
figura della
pazza asociale con i tuoi.”
- Chiuse gli
occhi,
prendendo un grosso respiro e scuotendo il capo. “Non lo
sapevo. Ma è mia
sorella e nell’ultimo mese mi era sembrata un po’
strana e... la conosco da
tutta la vita, Kristen. Sapevo che lei e Mark ci stavano pensando e
quando mi
ha detto che aveva notizie meravigliose ho fatto due più
due.”
- Mi limitai ad
annuire.
Non provai neppure a frenare la singola lacrima che mi
scivolò lungo la guancia
davanti ai suoi occhi pieni di dolore.
- “Perché
sei ancora con
me?” mormorai “Perché non mi
odi?”
- Erano mesi che
mi
ponevo quella domanda ma quella era la prima volta che raccoglievo il
coraggio
necessario. Una parte di me mi diceva che ero una stupida se pensavo
che Rob,
l’uomo che avevo sposato e che mi rispettava più
di chiunque altro al mondo,
potesse abbandonarmi perché ero… ero sterile. Ma
d’altro canto non potevo
fermarmi dal sentirmi sbagliata; non potevo smettere di pensare che non
avrei
mai potuto dargli una vera famiglia.
- Nel momento in
cui
quella frase mi era uscita di bocca, il viso di Rob aveva subito una
trasformazione; da colmo di dolore a colmo di pura rabbia.
- “Come
puoi dire questo?
Tu lo sai quanto ti amo. Tu… sei la mia famiglia. Non ti
potrei mai lasciare”
afferrò il mio viso con forza “Io non ti vorrò
mai lasciare!”
- Posai le mani
sulle
sue, fissandolo con altrettanta determinazione. “Io non posso
avere figli.”
- Contemporaneamente
entrambi ci alzammo dal letto, fronteggiandoci.
- “Tu
non puoi
partorirli. È completamente diverso!”
esclamò, fissandomi come se fossi io
quella che non capiva. Quella che rendeva la situazione più
terribile di quanto
fosse. “Potremmo avere una madre surrogato o… o
adottare. Pensaci! Pensa ai
tuoi fratelli, Kris. Li ameresti di più se fossero
biologicamente tuoi?”
- “È
diverso e lo sai”
sbottai. Come poteva non capire che era totalmente diverso? Quella non
era una
situazione ipotetica! Questi eravamo io e lui e il figlio che non
avremmo mai
avuto. “È così sbagliato aver
immaginato un bambino con le mie orecchie a
sventola, o una bambina scoordinata come te? È
così sbagliato?”
- “Kris…
no, non è
sbagliato. Ma…” allungò una mano per
accarezzarmi ma mi scostai di un passo.
Non volevo la sua pietà, non volevo il suo dolore.
- Volevo una vita
diversa in cui almeno quel mio unico singolo desiderio potesse
realizzarsi.
- “Non
ho bisogno di un
figlio che assomigli a me. Non mi serve. Non me lo farà
amare di più.” Sussurrò.
- “Tu
non capisci”
risposi “Non è te
che guarderanno con
pietà, con compassione. Non sarai tu a sentirti sbagliato
continuamente.”
- “Kristen…”
- Tornai a letto e
gli
voltai le spalle. Non c’era nulla che potesse fare o dire per
farmi stare
meglio, lo sapevamo entrambi. Nell’ultimo mese credevo di
aver trovato un
equilibrio, di averlo accettato, ma ora mi rendevo sempre
più conto che non era
così.
- Avevo fatto
finta di
accettarlo, avevo fatto finta di essere felice, ma dentro…
dentro qualcosa si
era rotto per sempre.
- Appena fu uscito
dalla
porta sentii la voce di Lizzie rimpinzarlo di domande; probabilmente
aveva
sentito tutto e, se la conoscevo abbastanza, presto lo avrebbe saputo
Victoria
e poi Clare e poi tutti quanti. Erano una famiglia unita e si
confidavano,
trovavano forza l’uno nell’altra.
- La prospettiva
di
passare la Vigilia di Natale a essere guardata come la povera, depressa
Kristen
mi fece rivoltare lo stomaco e, per la prima volta da quando ero una
ragazzina,
sentii la parte codarda di me, la parte che scappava quando aveva
paura, farsi
prepotentemente spazio. Quando sentii il rumore di un auto uscire dal
vialetto,
mi affacciai a guardare. Di certo Rob li aveva convinti di quanto
avessi
bisogno di stare un po’ sola ed erano andati tutti via,
pensando che avessi
solo bisogno di riposarmi.
- E in effetti
avevo
bisogno di stare sola. Lontana da tutti. Ma per molto più
tempo di un paio
d’ore.
- In meno di dieci
minuti, con un borsone pieno di roba al mio fianco, ero su un taxi
diretta in
un luogo dove speravo non mi avrebbero trovata.
-
-
- La casa
sull’isola di
Wight era stata una delle poche cose che io e Rob avevamo voluto in
modo totale
sin dal primo momento. Spesso avevamo discusso per ore sul colore di un
mobile,
su come dipingere la camera da letto della nostra stanza a Los Angeles,
su
mille cose stupide, solo per punzecchiarci a vicenda e poi finire a
letto a
fare pace. Ma la casa sull’isola… quella casa era
stata nostra sin dal secondo
in cui vi avevamo posato gli occhi sopra.
- Così
come l’isola era stata
un rifugio sin dalla prima volta in cui ci eravamo venuti, qualche anno
prima
di sposarci per una mini vacanza e una parte del nostro cuore era
rimasta lì.
- Non appena ero
entrata
in casa, però, un paio d’ore prima, avevo sentito
le pareti stringersi su di
me, pronte a soffocarmi. Ogni cosa mi ricordava Rob; ogni dettaglio,
ogni
mobile, ogni libro. La sua chitarra…
- Avevo staccato
il
telefono una volta messo piede sul traghetto ed erano passate ore.
- Di certo mi
stavano
cercando. Di certo Rob era fuori di sé dalla paura..
- Infilai la
giacca e mi
misi a camminare senza una meta ben precisa tra le stradine illuminate
dalle
luci; tutto pur di non restare fra quelle quattro mura. La gente era
poca in
giro ormai, troppo presa a festeggiare la vigilia di Natale con i
propri
famigliari, a scartare regali desiderati da mesi, a divertirsi. Il
freddo era
così terribile da penetrarti nelle ossa e l’aria
era carica di umidità per la
tempesta di pioggia e vento che si era abbattuta sulle coste poco dopo
il mio
arrivo. Era appena passata ma aveva lasciato un cielo grigio e ancora
carico di
pioggia. O forse neve.
- Ma a me non
importava
del freddo che passava attraverso il panno del cappotto.
- Almeno quello
era
qualcosa che riuscivo a sentire, a percepire. E dopo aver passato mesi
a non
sentire nulla, qualunque cosa era ben accetta.
- La sabbia della
spiaggia era bagnata e gelida quando mi ci sedetti sopra ma la mia
attenzione
fu catturata solo dal mare scuro e tempestoso davanti a me.
L’acqua scura
vorticava in onde così alte e minacciose da incutermi paura.
- Avrei voluto le
braccia di Rob a stringermi per farmi sentire al sicuro ma, dopotutto,
ero
stata io ad andare via, io a voler restare da sola.
- Ora non avevo
più il
diritto di desiderare un bel niente. Tanto meno lui.
- Avvertii gli
occhi
bruciare al pensiero di quanto male gli stessi facendo. Ma lui
continuava a
dire che non era colpa mia, che avremmo trovato altre soluzioni, che
avremmo
superato anche quella…
- Io non volevo
altre
soluzioni.
- Volevo sentirmi
normale, non danneggiata e imperfetta.
- Volevo essere di
nuovo
io, la Kristen a cui mi sembrava di aver detto addio quel giorno allo
studio
medico.
- Io volevo un
bambino.
- Fu assurdo e
incredibile ma fu proprio mentre quel pensiero mi attraversava la mente che sentii il
rumore per la prima
volta.
- Subito non ci
prestai
caso, pensando fosse il guaito lontano di qualche cane. Presto,
però, mi
accorsi che non era un guaito.
- E non era
affatto
lontano.
- Mi alzai,
iniziai a
camminare, percorrendo diverse decine di metri verso il punto in cui si
trovava
un gruppo di scogli più scuri del resto della spiaggia.
- Mi fermai,
pensando
che se fosse stato davvero un animale ferito avrebbe potuto essere
pericoloso,
ma la curiosità fu troppo forte e prese il sopravvento su
tutto il resto.
- Si dice che in
ogni
vita ci sia un punto di svolta. Un momento così chiaro e
definito da farti
sentire come se fossi stato colpito al petto, non potessi
più respirare e il
tuo cuore sappia, semplicemente sappia, senza la più piccola
ombra di dubbio,
che la tua vita non sarà mai più la stessa.
- Per me, Kristen
Stewart, quel momento fu quando per la prima volta posai gli occhi su
di lei.
- Nulla fu più come
prima.
- _______________________
- Beneeee, detto questo noi ci
ritiriamo in attesa dei vostri commenti, sperando che ci siano o___o
- Ci sentiamo tra cinque giorni,
se siamo ancora tutti vivi ovviamente u.u
- Nel caso, boh, vi abbiamo
voluto bene e anche se a volte volete ammazzarci, inutile sprecare
tempo che tanto ci pensano i Maya :')
- Un bacio!
- Cloe & Fio xx
|
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Capitolo 2 *** Never getting back together ***
HNL - cap 1
- Hola
girlssss!
- Scusate,
avevamo detto cinque giorni e ne sono passati sei, mea culpa (di Fio
xD); ho avuto un casino di cose da fare...
- Anyway
ora siamo qui (fanculo Maya!!! u___u) a postare il secondo capitolo e a
ringraziarvi per aver letto/recensito il primo e a aver aggiunto la
storia tra le preferite e blabla...
- Come
sempre, siamo felicissime di condividere qualche piccola storia con
voi, quindi speriamo che vi piaccia ancora di più
:)
- Vi
lasciamo subito alla lettura!
- C'è
un suggerimento musicale dal secondo pov ;)
-
- Pov Kristen
- Non riuscivo a
staccare gli occhi dalla piccola figura che aveva attirato la mia
attenzione,
forse convinta di stare sognando, incredula davanti ai miei sogni e
alle mie
speranze che prendevano finalmente vita, proprio sotto i miei occhi.
- Possibile che,
per una
volta, il cielo avesse davvero ascoltato le mie preghiere, possibile
che
qualcuno lassù avesse davvero avvertito le mie grida
silenziose e disperate,
possibile che stesse davvero succedendo?
- Mi guardai
intorno
velocemente, per assicurarmi che non ci fosse nessuno, ma la spiaggia
era già
quasi totalmente buia e non si vedeva ombra di anima viva, eccetto
quella che
si muoveva con tranquillità e dolcezza dentro la malandata
barchetta di legno,
intrappolata tra le rocce in riva al mare.
- Per un secondo
solo
fui indecisa sul da farsi, ma mi bastò chinare nuovamente
gli occhi su quel
fagotto per realizzare che quello era il mio destino, che la svolta che
stavo
aspettando era arrivata e, prima ancora di prenderla tra le braccia,
sapevo che
avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
- Mi chinai e
l’osservai
ancora per qualche istante, ascoltando bene i rumori provenienti dalla
sua
bocca; non era un pianto, quanto più un lamento, una tacita
e inconscia
richiesta di aiuto. Il genere di lamento di chi è perso e
non sa trovare la via
di casa e cerca qualcuno che lo guidi.
- Io sarei stato
quel
qualcuno per quella piccola, decisi senza pensarci mentre allungavo le
braccia
e, con estrema delicatezza, la tiravo su.
- Era
così piccola, −
non doveva avere più di un mese − soprattutto
avvolta in quell’ammasso di
coperte che sembrava inghiottirla, ma si riconoscevano facilmente i
lineamenti
di una bambina.
- “Da
dove vieni fuori
tu…?” sussurrai più a me stessa che a
lei e, senza nemmeno accorgermene, presi
a cullarla.
- Non so se il
movimento
la spaventò o se, chissà, le ricordasse il
dondolio del mare e delle acque che
l’avevano trasportata fin lì, ma iniziò
a piangere e mi sentii tremendamente in
colpa e spaventata.
- Che le avessi
fatto
qualcosa? E se aveva qualcosa di rotto o stesse male per altro?
- Cercai di fare
mente
locale velocemente e di pensare quanto più razionalmente
possibile, ma la
ragione aveva abbandonato la mia mente nel momento in cui i miei occhi
si erano
posati su di lei e sapevo che non l’avrei recuperata presto.
- Mi lasciai
guidare
dall’istinto e presi a dondolarmi di nuovo, canticchiando
parole dolci.
- Si
calmò un po’, con
enorme piacere e sorpresa, ma mi resi presto conto che non potevo
restare lì.
- Non potevo
rischiare
che qualcuno mi vedesse, inoltre il freddo della sera iniziava a farsi
sentire
decisamente troppo e non potevo tenere la bambina fuori più
di quanto,
probabilmente, non fosse già stata.
- “Sssh”
continuai a
cullarla. “Ora andiamo a casa. Tranquilla,
piccolina.”
- La strinsi a me,
diedi
un’ultima occhiata alle prime stelle nel cielo e poi voltai
le spalle per
dirigermi verso le strade in cemento.
- Mi affacciai
dietro
una delle case che davano sulla spiaggia per assicurarmi che non ci
fosse
nessuno per strada e, in effetti, erano totalmente vuote. Le poche
persone che
vi giravano prima dovevano essere rientrate in casa per prepararsi al
cenone
della Vigilia e per un attimo il mio pensiero andò a Rob, a
quello che stava
facendo, al fatto che sicuramente mi stava cercando e morendo non
avendo mie
notizie.
- Lasciai il
pensiero
andare via in fretta, troppo in fretta, e tornai a concentrarmi sulla
piccola,
infreddolita, tra le mie braccia.
- Camminai a passo
svelto, continuando a dare un’occhiata in giro, sentendomi
quasi una ladra,
finché non fui finalmente al sicuro nel piccolo giardino di
casa, poi sulla
veranda e infine dentro.
- Chiusi la porta
alle
mie spalle e mi sentii finalmente al sicuro. La bambina stretta al mio
petto e
i ricordi di un’intera vita sotto i miei occhi.
- Mi sentii per un
secondo
persa, senza Rob. Era la prima volta in cui vivevo qualcosa del genere
senza di
lui, senza la necessità di accendere il telefono e
parlargli, senza la voglia
di averlo accanto a me; non sapevo davvero il perché, forse
avevo semplicemente
paura che lui mi avrebbe portata alla realtà che odiavo
mentre io ne stavo già
costruendo un’altra.
- Ancora una
volta,
spensi tutto ciò che del mio corpo era collegato a lui e
pensai a una sola cosa
unicamente: la bambina e il fatto che in quella casa non avessimo
niente per
prendersi cura di un bambino.
- Non latte,
pannolini,
tutine calde, calzini, biberon… niente. Niente di niente.
- Ma non mi diedi
per
vinta, intenzionata a non essere per nulla una pessima madre ancora
prima di
cominciare. Quella era la mia chance, la mia svolta, la candela di
speranza che
si era finalmente accesa e aveva trovato la luce, e io non avrei
permesso a niente
e nessuno di farla spegnere. Non a Rob o chiunque altro né,
tanto meno, alle
mie insicurezze.
- Potevo farlo,
sapevo
che potevo.
- Andai in salone
e,
continuando a tenere la bambina in braccio, aggiustai tutti i grandi
cuscini in
modo da formare una piccola fortezza in cui posi la piccola.
- Si era calmata,
e con
la luce potei notare i suoi occhi, blu come il mare, lucidi e le guance
arrossate. Chinai la fronte sulla sua e la sentii immediatamente calda.
Non mi
ci volle molto a capire che sicuramente doveva avere la febbre e non
potei fare
a meno di chiedermi cosa dovesse aver passato e quanto tempo fosse
stata
effettivamente fuori al freddo.
- Come ci era
arrivata
una bambina di un mese su una barca? Cosa ci faceva?
- O forse qualcuno
l’aveva semplicemente abbandonata lì…?
- Non seppi darmi
risposta a quelle domande, ovviamente, e decisi di non pormele
più. Non avevo
bisogno di avere una risposta al passato, ma solo di guardare al
presente e al
futuro.
- “Andrà
tutto bene,
piccola. Te lo prometto.”
- E, prima che
potessi
pensarci troppo sopra, uscii chiudendo la porta a chiave.
- Di certo non
avrei
trovato un supermercato aperto la vigilia di Natale ma anche su
un’isola doveva
esserci una farmacia di turno. Non avevo torto e, grazie a Dio, non mi
ci volle
nemmeno molto a trovarla. Misi su il cappuccio e la sciarpa fin sopra
la bocca
così che fosse impossibile riconoscermi, ed entrai.
- Il reparto
neonati era
più grande di quanto mi aspettassi da una farmacia e,
sebbene ce ne fosse
motivo, decisi di non soffermarmi troppo. Avrei avuto tempo per vedere
quali
pannolini erano più adatti o quali biscotti erano
più ricchi di vitamine.
- Al momento tutto
ciò
di cui avevo bisogno era di tornare a casa, da lei, col minimo
indispensabile.
Presi un pacco di pannolini, latte liofilizzato, un biberon, un ciuccio
dei più
piccoli, salviettine, un termometro auricolare e qualche paio di
calzini di
lana e di tutine invernali che non mi aspettavo di trovare
lì.
- Andai alla cassa
e mi
informai con la dottoressa di turno sul da fare con un neonato in caso
di
febbre.
- “I
neonati hanno di
norma una temperatura più elevata della nostra quindi se
sono decimi non c’è da
preoccuparsi. Se aumenta fino a 38 circa, gli dia una di queste.
Vedrà che
scenderà subito.”
- Sperai vivamente
che
avesse ragione mentre univa le supposte al conto e, uscita dalla
farmacia,
corsi letteralmente a casa.
- Entrai in un
piacevole
tepore e mi compiacqui di aver acceso i riscaldamenti appena arrivata
quel
pomeriggio. La piccola era, ovviamente, dove l’avevo lasciata
e sembrava stare
già molto meglio.
- Gli occhi blu
erano
più vispi e svegli e, non so se fu un caso, ma appena mi
vide affacciarmi su di
lei, prese a muoversi con più foga tra le sue copertine.
- Le tolsi
quell’ammasso
di pezze umide da dosso e rivelai la tutina che aveva. Era…
strana e
particolare, quasi antica. Certamente molto vecchio stile, viola e con
una
specie di salopette nera che rafforzava il tutto. Riscaldai i vestiti
nuovi
vicino a un termosifone per un paio di minuti prima di spogliarla
totalmente. Anche
i calzini erano particolari, di lana ma fatti a maglia. Si vedeva bene
senza
prestarvi nemmeno molta attenzione e il pannolino era un semplice panno
con due
spille attaccate alla vita, come quelli di anni ed anni prima.
- Quando fu
pronta,
sembrava un’altra bambina, la mia
bambina.
- Non mi vergognai
di
quel pensiero ma, anzi, mi riscaldò il cuore. La presi
finalmente di nuovo in
braccio e sentii il calore della sua guancia a contatto con la mia. Mi
ricordai
della febbre e gliela misurai subito ma non toccava i 38 quindi mi
rilassai e potei
finalmente prepararle il latte e darle da mangiare.
- Inizialmente
rifiutò
il biberon, ma quando pressai la tettarella per fare uscire un
po’ di latte,
sembrò intuire subito, spalancò gli occhi e vi si
avvinghiò come se non vedesse
cibo da giorni, e chissà se era effettivamente
così.
- Le diedi il
tempo di
respirare tra una poppata e l’altra per non farla strozzare,
calcolai le giuste
dosi e fui capace di farla digerire qualche minuto dopo.
- Incredibile come
tutto
mi venisse così spontaneo, nonostante non avessi mai davvero
avuto a che fare
con neonati prima, non in senso così stretto almeno, non
come dovrebbe una
madre.
- Chissà
che la mia
conoscenza non fosse dettata da tutto il tempo passato a leggere libri
ogni
volta che speravo di essere incinta, ogni volta che speravo di non
sentirmi
dire che, anche stavolta, l’embrione non si era creato.
- Ma quella
bambina,
quello scricciolo che si era addormentato tra le mie braccia, era la speranza. Era la prova che non
è vana,
che vale la pena esprimere un desiderio a una stella cadente ogni tanto.
- “Sei
con la mamma
adesso. Dormi tranquilla, amore mio…”
- È
possibile amare
qualcuno così tanto e così in fretta? La mia
storia con Rob non mi aveva mai
fatto mettere in dubbio l’amore a prima vista, ma questo era
qualcosa di
diverso.
- Qualcosa di
sublime e
imprescindibile. Qualcosa di mio, come niente lo era mai stato prima.
- Ero totalmente e
incondizionatamente innamorata di lei, e mentre le posavo un leggero
bacio
sulla fronte liscia, sapevo già che lei avrebbe riempito
tutti gli ovuli vuoti
che il mio corpo aveva ospitato negli anni.
- Non so quanto
tempo
restai ferma, immobile, davanti al camino, incantata dalla delicatezza
del suo
viso; sicuramente quanto bastasse per farmi abbassare ogni barriera,
perdere il
contatto con il mondo esterno e sussultare impaurita quando sentii il
campanello.
- Il terrore si
impossessò di me davanti all’eventuale
possibilità che potesse essere la
polizia.
- Non
può essere. Nessuno ti ha vista. Stai tranquilla, non hai
fatto nulla di male.
- Eppure il
campanello
suonò di nuovo e io sobbalzai proprio come prima, svegliando
la bambina.
Accarezzai l’idea di lasciarlo lì a suonare da
solo, con chiunque fosse dietro
quella porta, ma sapevo che non era saggio. Chiunque fosse, sapevo,
sarebbe
tornato a cercarmi.
- Io e Rob non
avevamo
amicizie sull’isola e lui aveva le chiavi e poteva benissimo
aprire da solo se
avesse intuito dove fossi.
- Adagiai la
piccola
nella fortezza costruita prima sul divano e chiusi le vetrate
scorrevoli e
colorate del salone alle mie spalle mentre andavo verso la porta
d’ingresso.
- Qualunque cosa
sia, nega. Nega tutto. Nessuno lo verrà mai a
sapere.
- Promisi a me
stessa
mentre, tremante, camminavo lenta.
- Nega, nega
tutto. Non hai notato né sentito niente di strano.
Non hai visto né preso nessuna bambina. Non ne sai nulla.
- Il campanello
suonò
ancora una volta proprio mentre la mia mano girava le chiavi nella
serratura.
- “Kristen!”
- La voce di Rob,
come
una doccia d’acqua calda dopo ore di pioggia,
attraversò la porta ed ebbe il
potere di calmarmi e rilassarmi istantaneamente.
- Non sapevo
ancora bene
come affrontarlo ma certo era un sollievo in confronto al pensiero di
dover parlare
con la polizia.
- Aprii la porta e
me lo
trovai davanti, con le mani rosse dal freddo, il viso esausto e
terrorizzato e
i capelli umidi. Entrò in casa in un passo solo e mi
abbracciò come se non ci
fosse un domani, salvo poi lasciarmi andare un secondo dopo e assumere
uno
degli sguardi più duri che gli avessi mai visto in tanti
anni.
- Prese
l’iPhone dalla
tasca e scrisse qualcosa velocemente – immaginai fosse un
messaggio per
avvisare gli altri che mi aveva trovata e che stavo bene –
per poi tornare a
fissarmi, più scosso e duro di prima.
- “Che
cazzo ti passa
per la testa!? Me lo spieghi!?” prese ad urlare,
costringendomi a stringere gli
occhi per un paio di secondi. “Sai cosa vuol dire lasciarti
casa libera per
farti respirare e non trovarti dentro quando torno?! Lo sai che vuol
dire?! Non
trovare i tuoi vestiti, non riuscire a raggiungere il tuo cellulare,
non avere
la minima idea di cosa possa esserti passato per la testa?”
- “Mi
dispiace…”
sussurrai, sentendo improvvisamente addosso tutta la colpa che avevo
cercato di
scaricare altrove.
- “Non
me ne fotte che
ti dispiace! Non bastano le scuse, Kristen, cazzo! Lo sai dove sono
andato
prima di venire qui? Lo sai il primo posto che mi è venuto
in mente? Il Tamigi.
Sono andato al Tamigi e ho pregato di non vedere polizia e gente
affollata
attorno al punto da cui una donna si era appena buttata nel fiume. Sai
che
cazzo vuol dire temere che la persona che ami di più al
mondo si sia uccisa?”
- Un brivido mi
percosse
la spina dorsale al pensiero. “Rob… non lo farei
mai. Lo sai.”
- Si
portò le mani in
viso e asciugò il sottile strato di lacrime che gli
inumidiva gli occhi.
- Le presi tra le
mie e
sentii il gelo percorrere i nostri corpi.
- “Ho
temuto il peggio”,
disse con voce rotta dalla paura.
- “Non
sono a quel
punto, Rob. Davvero. Sto bene. E poi sai che non amo nuotare, se
proprio
volessi, farei un salto da qualche altra parte…”
- “Kristen…”
ringhiò, e
capii che non era il momento di sdrammatizzare con scherzi. Non era il
momento
di sdrammatizzare affatto. Era morto di paura per me e non potevo
dargli torto.
Mi ero comportata da egoista ma, in fondo, ne era valsa la pena e
l’avrei
rifatto altre mille volte sapendo l’esito.
- “Rob,
guardami.”
Ubbidì. “Non voglio lasciarti, in nessun modo, e
ora più che mai voglio
sentirti vicino.”
- “Sono
qui, amore. Sono
qui, lo sai…” chinò la sua fronte
contro la mia e restammo immobili per un paio
di minuti prima che io sentissi un flebile vagito provenire
dall’altra camera.
Alzai gli occhi per notare una qualche reazione di Rob ma li teneva
ancora
chiusi. Era evidente che non doveva averci fatto caso, soprattutto
perché non
poteva certo immaginare che nella camera appena adiacente ci fosse un
neonato;
ma io che lo sapevo, lo avevo sentito eccome.
- “Tu lo
vuoi un
bambino, Rob?”
- Alzò
il viso e prese
il mio tra le sue mani ancora infreddolite. “Io voglio
te.”
- “Non
è la riposta alla
domanda.”
- “Kristen…”
- “Rispondi
e basta, sì
o no. In tutta onestà.”
- Sospirò.
“lo avremo,
Kristen. Te lo prometto. In un modo o nell’altro.”
- “La
domanda, Rob. Sì o
no?” incalzai.
- “Sì,
lo voglio. Sai
che è così.”
- “E…
cosa faresti per
averne uno?”
- Sembrò
indugiare un
po’ prima di rispondere. “Qualunque
cosa…”
- “Me lo
prometti?”
- “Sì,
certo. Te lo
prometto.”
- E sorrisi,
sperando
che non si pentisse presto di quella risposta.
- “Okay.
Devo
presentarti qualcuno.”
- E non potei
descrivere
le espressioni che dovette assumere il suo viso perché non
permisi nemmeno a me
stessa di vederle, o non sarei stata capace di spiegargli tutto.
- Lui doveva vedere prima di sapere;
doveva innamorarsi proprio come era capitato a me e doveva
sentire di non aver bisogno di risposte. Era l’unico modo.
- Presi la
bambina,
ormai completamente sveglia, e tornai da lui.
- Vidi il suo
sguardo
passare dall’incerto al pensieroso, all’incredulo,
ad altre tremila emozioni a
cui non avrei saputo nemmeno dare un nome.
- “Kristen…”
- “Non
è bellissima?”
- Mi avvicinai e
gli
permisi di guardarla meglio. Lui chinò il viso e un sorriso
perfetto fece da
arco agli angoli della sua bocca, mentre con un dito sfiorava le guance
calde
della bambina. “Lo è…”
sussurrò, specchiandosi in quegli occhioni blu,
così
simili ai suoi.
- “Ma
cosa…? Chi è?”
- “È
un miracolo, Rob. È
un segno… lo capisci?”
- “Veramente
no. Di chi
è?”
- “Dovevo
farlo. Lei era
lì, e sarebbe morta se non l’avessi
presa… Non potevo lasciarla lì, dovevo
farlo. Era la cosa giusta da fare. E ha un po’ di febbre ma
starà bene. Andrà
tutto bene.”
- “Kristen”
la voce di
Rob divenne sempre più seria e incerta, incapace di capire
una sola parola di
quello che stavo dicendo. “Mi spieghi, per favore? Di chi
è questa bambina?”
- “Non
lo so” dissi con
un filo di voce, esasperata. “Era in una barca abbandonata,
sulla spiaggia.
Freddissima, sola. Piangeva ed io ero lì. Dovevo farlo,
capisci?”
- Continuavo a
ripetere
le stesse parole sperando che, col tempo, avrebbero assunto un senso
per Rob ma
era evidente dal suo viso che stavo fallendo miseramente.
- Dovetti
spiegargli per
filo e per segno come si era svolta la mia giornata fino al momento del
suo
arrivo.
- “D’accordo.
Hai fatto
la cosa giusta. Ora dovremmo portarla alla polizia
dell’isola.”
- “NO!”
non controllai i
decibel della mia voce né il movimento protettivo che
automaticamente mi fece
indietreggiare da Rob.
- “Kristen…?”
- “No!”
ripetei.
- “D’accordo,
magari
stasera no. Andremo domani.”
- “No,
Rob. Non la
porteremo a nessuna polizia. Né stasera, né
domani, né mai.”
- E forse quello
fu il
momento in cui lui capì quali fossero davvero le mie
intenzioni; quello che
ancora non sapeva era la mia determinazione a fare in modo che nessuno
le attaccasse.
- “Che
intenzioni hai?”
chiese in ogni caso.
- “La
terremo noi. Starà
con noi e crescerà con due genitori che la amano.”
- Vidi il suo viso
aprirsi in un moto di compassione che, con me, non aveva mai avuto.
“Kristen…
sai che non possiamo…”
- “Sì
che possiamo. Lo
desideriamo e abbiamo la possibilità di mantenere un
bambino. Possiamo.”
- “Non
si tratta di
possibilità! Ti rendi conto di quello che dici?”
- Avanzò
verso di me ma
io indietreggiai ancora.
- “Si
tratta proprio di
possibilità. Questa è la mia e non la
lascerò andare.”
- “E
come pretendi di
fare? Dire che hai partorito una bambina in una notte?”
- “Diremo
che l’abbiamo
adottata, e da quando ti importa di quello che pensano gli
altri?”
- “Kristen,
ma che cazzo
dici? Ti rendi conto di quello che esce dalla tua bocca?”
- “Rob,
hai promesso che
avresti fatto di tutto!”
- “Era
prima che mi
proponessi di rubare un neonato!”
- “Ma
non si tratta di
rubare! L’abbiamo trovata, è diverso!”
- “Trovata
in una barca,
su una spiaggia. Potrebbe avere dei genitori là fuori! Dei
parenti, un padre! Una
madre!”
- “Sì,
una madre tanto
brava che l’ha lasciata in mezzo
all’oceano!”
- “Non
sappiamo quello
che è successo e non sta a noi saperlo! Dobbiamo denunciare
la cosa e lasciare
che si occupino della bambina!”
- “Per
farla passare da
un istituto all’altro in attesa che qualcuno venga a
reclamare la sua
scomparsa? O magari in affidamento, in qualche casa in cui rappresenti
solo un
buono pasto? Come puoi essere così meschino, Rob?”
- “Dio
santo, non sono
meschino! Sono solo realista, a differenza tua. Stai perdendo il
contatto con
la realtà. Ti prego, ascoltami! Non possiamo tenerla senza
dire niente, te ne
rendi conto? Chiederanno, faranno mille domande. Come si fa a tenere
segreta
una bambina? Senza contare che se un giorno dovesse presentarsi
qualcuno e si
scoprisse tutto rischieremmo di finire in carcere, non so se ti
è chiara la
situazione.”
- “È
un rischio che sono
pronta a correre.”
- “Non
con il mio
appoggio!”
- “Non
ti sto chiedendo
il permesso, Rob. Lei è mia.”
- “Cristo
Santo,
Kristen! Ora smettila! Lei non è tua!”
urlò così forte da far pianger persino
la bambina.
- Ormai eravamo
distanti
anni luce e io non ascoltavo nemmeno più quello che diceva,
tanto ero presa dal
desiderio di proteggere la piccola.
- “Non
voglio più
parlare. Sono stanca.”
- “Ah,
sei stanca? Ti ho
cercata per un intero pomeriggio, sono quasi morto dalla paura di
quello che
poteva esserti successo, vengo qui e mi trovo a dover combattere con te
e tu
sei stanca?”
- “Ho
detto che non mi
va di parlare!”
- “E
quando vorresti
parlare? Sentiamo!”
- “Ah,
non lo so! Magari
tra una ventina d’anni, quando Hope sarà cresciuta
e non sarà più messo in
dubbio che è mia.”
- “Hope?
Kristen, non
puoi averle dato un nome!”
- “Invece
l’ho fatto, e
l’ho fatto da sola come, a quanto pare, dovrò fare
molte altre cose, ma non
importa. Ce la farò anche da sola, Robert. Non credere certo
che le mie
decisioni dipendano da te!”
- “Devono
farlo, invece!
Tu devi rendermi conto se decidi di rovinare la tua vita! Siamo
sposati,
cazzo!”
- “Allora,
forse,
dovremmo lasciarci, perché io non cambio idea!”
- Iniziai a salire
la
scale che davano al piano di sopra, cercando disperatamente di calmare
la
piccola.
- “Sì,
brava! Lasciamoci
pure! Che importanza ha! In fondo è quello che fai ogni
volta che abbiamo dei
problemi. Tu scappi e mi escludi dalla tua vita pensando che non possa
capire
come ti senti o cosa provi. Ti chiudi in te stessa pensando di avere
ogni
ragione del mondo e mi sbatti in faccia ogni porta che cerco di aprire
per
venire da te, proprio come quando-”
- “Eravamo
d’accordo di
non parlarne più.”
- Mi ero fermata
di
scatto ma non avevo girato il viso. Fissavo le scale di legno sentendo
quel
tasto tornare a schiacciare forte contro ogni parte di me e dolere come
un cuore
stretto in un pugno.
- “Il 13
Settembre 2012,
tu mi hai guardata negli occhi e mi hai detto: non parliamone mai
più.”
- “Mi
dispiace, non
volevo dirlo…”
- Un sorriso amaro
mi
dipinse il viso mentre cercavo di trovare la forza per sputargli in
faccia
qualcosa di molto cattivo.
- Mi voltai e
affrontai
il suo viso. “Sai una cosa? Invece penso proprio che volessi
dirlo.”
- “No,
Kristen. Non
avrei aspettato tre anni per parlarne se avessi ancora avuto problemi
con
quella storia. Era un modo stupido per farti capire che-”
- “Cosa,
Rob? Per farmi
capire cosa? Che qualunque cosa faccia, io sbaglio sempre? Io sono
quella che
ci mette due anni per prendere una decisione, io sono quella che si
lascia
incastrare, io sono quella che bacia un quarantenne in una stupida
macchina in
mezzo alla strada, io sono quella che tradisce il ragazzo migliore del
mondo,
io sono quella che non può avere bambini, io sono quella sbagliata!”
- Rob mi
fissò truce e
ferito per qualche secondo.
- “Mi
stai mettendo in
bocca parole non mie.”
- “Ti
sto mettendo in
bocca quello che leggo tra le righe.”
- I nostri occhi
si
sfidarono, i miei seri e carichi di rabbia; i suoi esausti
e… dispiaciuti.
- Sembravano
chiedere
solo riposo ma non avrei mai potuto concederglielo, non se significava
rinunciare a Hope. Avevo preso la mia decisione e non l’avrei
abbandonata.
- “Kristen…”
- “Chissà,
magari è
meglio così. Forse, dopotutto, sono davvero sbagliata. Forse
non vado più bene
per te, non funzioniamo più…” una
lacrima mi scese sul viso al solo pensiero
delle parole che stavano per uscire, incontrollate, dalla mia bocca.
- Rob la
notò. “Amore…”
- “Io…
io mi sono rotta,
Robert. Mi sono rotta e noi non ci incastriamo
più…”
- “Io mi
incastrerò
sempre a te, mi adatterò sempre, lo sai.”
- “Ed
è questo che non
va bene. Tu… sei come succube. L’amore per me ti
rende cieco.”
- “Se mi
rendesse cieco,
ti appoggerei senza combattere questa guerra.”
- “Io ti
ho tradito,
Robert. Dovresti… odiarmi. Avresti dovuto sputarmi in
faccia, lasciarmi e non
tornare mai più.”
- “Non
era così
semplice. Lo sappiamo entrambi.”
- “Perché
tu non hai
voluto che fosse semplice!”
- “Certo!
Perché farei
di tutto per te, ma non perché sono tuo succube o incapace
di ragionare con la
testa piuttosto che col cuore. Non lo faccio perché non ho
scelta, lo faccio
proprio perché ne ho una e scelgo te. Sceglierò
sempre te.”
- “Non
stavolta, a
quanto pare.”
- “Ti
sbagli. Sto
scegliendo te anche questa volta. Sei tu che stai mettendo altro prima
di noi.”
- “Sto
mettendo un
figlio prima di noi.”
- “Pensi
che non lo
voglia anche io? Pensi che non desideri crescere un figlio con te? Ma
voglio
farlo alla luce del sole e senza il timore che qualcuno possa
portarmelo via
nel cuore della notte. Potrei essere egoista ed appoggiarti in questa
pazzia ma
non lo faccio perché so che ci rovinerà. Se non
ti fermi, ti rovinerà.”
- Mi fermai a
riflette per
la prima volta da quando avevamo iniziato quella estenuante
conversazione; ma
le sue parole volavano via come foglie al vento e la loro consistenza
semplicemente non reggeva il confronto col peso che avevo tra le
braccia. E
forse aveva ragione lui, forse sarebbe stata una rovina, ma quale
rovina
maggiore poteva esserci per una donna del vedere il desiderio di
diventare madre
svanire ogni giorno di più?
- Rob non lo
capiva
perché non poteva provare quello che provavo io, ma ero
già rovinata. Non avevo
nulla da perdere.
- “Io
terrò questa
bambina, Robert. Con o senza di te.”
- E salii le scale
senza
aspettare la sua reazione.
- Istintivamente
andai
nella nostra camera e, stringendo Hope, lasciai che qualche lacrima
copiosa
scendesse lungo le guance mentre vedevo, dalla finestra, le stelle in
cielo,
proprio sopra il nostro posto speciale.
- Non potei fare a
meno
di pensare a come sembrasse triste il cielo quella sera, nuvoloso, come
se le
stelle stesse fossero spente: nessuna bruciava, nessuna cadeva. Non
c’erano più
desideri da esaudire lassù e mi convinsi di stare facendo la
cosa giusta.
- “Tranquilla,
piccolina. Starai con me…” sussurrai a Hope per
farla calmare, mentre guardavo
i suoi occhietti colmi di lacrime chiudersi pian piano.
- Non contai i
minuti,
ma non passò molto prima di sentire i passi di Rob nella
stanza. Non mi voltai,
non fiatai, non feci nulla se non continuare a guardare il cielo scuro
e quel
posto sotto di esso.
- Dove eravamo
finiti?
- Avvertii le mani
di
Rob sui miei fianchi e mi sentii subito meglio. La sua voce calda
iniziò a
sussurrare al mio orecchio: “Scusami, scusami,
scusami…”
- Appoggiai la
schiena
al suo petto e lasciai che mi stringesse tra le sue braccia. Non ci fu
bisogno
di dire altro, sapevo per cosa erano quelle scuse così come
sapevo che non
significavano un suo cambiamento di idea, ma decisi di approfittare
della
momentanea conciliazione per prendere un po’ di tempo.
- “Rob…”
- “Mmh…?”
- “Lo so
che è una
pazzia ma, ti prego, non portarmela via ora che l’ho trovata.
Non… non farlo…”
- Sentii il suo
respiro
caldo schiudersi in un sospiro sul mio collo.
“Kristen…”
- “Un
paio di giorni.
Solo un paio di giorni! TI prego… Due giorni per valutare le
opzioni…”
- Sembrò
molto incerto
ma, quando perse i suoi occhi nei miei, cedette.
- “D’accordo,
un paio di
giorni…” acconsentì, e io mi lasciai
cullare dalla speranza che passando anche
una sola ora con quella bambina se ne sarebbe innamorato come era
successo a
me, ma avrei pagato oro per sapere quello che davvero gli passava per
la testa.
- “Vuoi
tenerla un po’?”
- “N…
non importa. Non
voglio…”
- “Dai,
Rob. Non morde
mica! Sta dormendo, fai attenzione a non svegliarla” lo
interruppi prima che
potesse spezzare i miei intenti e con un movimento fluido e calcolato,
gli misi
la piccola tra le braccia.
- Le sue mani
corsero
subito al posto giusto, proprio come avevano fatto le mie, e lo vidi,
nei suoi
occhi, quel luccichio che gli avevo visto solo quando gli avevo detto
che
aspettavo un bambino.
- “Stai
benissimo con un
bimbo in braccio…”
- “Sì,
eh?” si aprì in
un sorriso che mi scaldò il cuore. Annuii, emozionata, e non
potei fare a meno
di sporgermi e baciarlo. Un tacito grazie, una preghiera che tutto
andasse per
il verso giusto.
- Ci stendemmo sul
letto; lui continuava a tenere Hope tra le braccia, io mi stesi accanto
a lui e
mi lasciai cullare dalla sua ninna nanna.
- “Mi
dispiace,
piccola…” furono le ultime parole che sentii, ma
ero già troppo catturata dal
mondo dei sogni per capire che non erano rivolte a me.
-
- Pov Robert (suggerimento
musicale)
-
- “Cosa ne
sarà di lei?”
- “Beh,
per il momento
se ne prenderanno cura gli assistenti sociali, mentre noi cerchiamo di
rintracciare i genitori o i parenti più prossimi.”
- Annuii.
“E se… se non
si trovasse nessuno?”
- “In
quel caso andrebbe
in affidamento.”
- Sentii un
brivido
percorrermi la schiena e provai un senso di colpa improvviso e
inaspettato.
“Capisco… Senta, io le lascio il mio numero di
telefono. La prego di chiamarmi
se ci sono problemi o qualsiasi novità. Se
c’è bisogno di soldi… qualsiasi
cosa…”
- Scrissi
velocemente il
numero su un pezzo di carta trovato sulla scrivania e lo lasciai al
poliziotto
al quale avevo spiegato la faccenda fino ad ora.
- “Certamente.
Non
esiterò.”
- Sospirai
pesantemente
e guardai dentro la cesta che avevo utilizzato per trasportare la
piccola fino
alla centrale di polizia.
- Aveva gli occhi
completamente aperti e mi guardava come a chiedermi cosa ci facessimo
lì. Mi
chinai quel poco che bastava per baciarle la piccola fronte e lei
afferrò il
mio dito fermo sulle sue coperte.
- “Buona
fortuna,
piccolina…”
- Salutai il
poliziotto
velocemente e uscii prima di commettere un crimine e rapire davvero
quella
bambina. Passeggiai a lungo sulla spiaggia e mi fermai ad osservare le
prime
luci dell’alba prima di tornare a casa.
- Non ero pronto
ad
affrontare Kristen. Non ero pronto a difendermi dai suoi attacchi sulle
mie
bugie; le avevo promesso un paio di giorni e invece avevo approfittato
del suo
sonno per fare proprio ciò che mi aveva pregato di non fare,
ma non avevo avuto
scelta.
- Era
così accecata dal
desiderio di diventare madre, dalla rabbia contro se stessa e dal
dolore che la
notizia di non poterlo mai essere le aveva creato, da perdere
totalmente il
contatto con la realtà. E se lei volava troppo in alto,
toccava a me restare
con i piedi per terra e tirarla giù, prima che si
avvicinasse al sole e si
scottasse troppo.
- Hai fatto la
cosa giusta, mi convinsi
mentre entravo in casa e prima o poi
Kristen lo avrebbe capito, pensai.
- Ma dovetti
ricredermi
quando la vidi di fronte a me, sulla porta di ingresso, pronta ad
accogliermi.
- “Dov’è?”
- Non risposi.
- “Robert,
dov’è la
bambina? Dove sei stato?”
- La voce le
tremava
dalla rabbia e sapevo
che non sarei
durato ancora a lungo.
- “Robert,
dove sei
stato!?” urlò, stringendo i pugni.
- “Mi
dispiace, amore.”
- Spalancò
gli occhi
pian piano e strinse la mascella. Ogni parte del suo corpo fremeva e si
avvertiva anche a distanza.
- “Che
cosa hai fatto…?
Che cosa…”
- “Era
la cosa giusta da
fare…”
- “CHE
COSA HAI FATTO!?”
- “Kristen!”
- “Ridammela!
Ridammi la
mia bambina! Riportala qui!”
- “Non
posso, Kristen!
Non posso io e non puoi tu! Quella bambina non appartiene a
te!”
- “E a
chi allora? Allo
Stato? Al mare? A due genitori che si sono messi in mare con una
bambina di un
mese?”
- “Non
è una cosa che ti
riguarda.”
- “Lo
è eccome, invece!”
mi aggredì, ringhiando mentre si avvicinava sempre
più minacciosa. “L’ho
trovata io, Robert! Io! Non tu né nessun altro. Sarebbe
morta senza di me, la
sua vita dipende dalla mia e la mia dalla sua. Ma tu non lo capisci
questo,
vero? Tu non puoi capire cosa si prova perché il problema
non sei tu, sono io.
Sono io che sono vuota, senza senso, sterile”
calcò l’ultima parola con così tanto
schifo e ribrezzo da farmi accapponare la pelle
per la rabbia che provava nei confronti della sua condizione.
- “Lo
capisco, invece.
Lo capisco perché io sono l’altra metà
di te. La tua gioia è la mia e il tuo
dolore è il mio! Lo capisco meglio di quanto credi, Kristen.
Ed è proprio il
dolore che provi che dovrebbe aprirti gli occhi. Pensa se avessi perso
tua
figlia e qualcuno se la prendesse senza nemmeno assicurarsi della tua
esistenza. Come ti sentiresti? Non c’era pace in quella
bambina, non ci sarebbe
stata pace d’animo con lei, non in questo modo e so che fa
male ma è stato
giusto così.”
- “Smettila
di dire che
è giusto così, smettila! Cosa
c’è di giusto in tutto questo? Spiegamelo, Rob,
perché io non lo so.”
- “È
giusto dare a
quella bambina la possibilità di trovare i suoi
genitori.”
- “E i
nostri bambini
mai nati? Anche quello è giusto? I miei ovuli vuoti, sono
giusti? I nostri
sogni, la cameretta arancione, il mio ventre piatto…
è tutto giusto?” scosse il
capo con un’espressione di rammarico. “Niente di
tutto questo è giusto Robert,
niente.”
- Mi
passò davanti ed
aprì la porta.
- “Dove
vai?”
- “A
riprendermi mia
figlia.”
- “Kristen,
non dire
cazzate! Vieni qui! Non puoi!” l’afferrai per un
braccio e la strinsi a me, ma
fu la goccia che fece traboccare il vaso. Mi allontanò di
scatto e prese a
prendermi a pugni sul petto.
- “LASCIAMI
STARE!
LASCIAMI STARE, HO DETTO!”
- Ma io non esitai
a
stringerla ancora di più a me, facendo forza contro i suoi
schiaffi.
- “Lasciami
andare! Devo
andare da lei! Tu me l’hai portata via! Ridammi la mia
bambina! Avevi promesso,
Roberto! Io ti odio! Ti odio! Lasciami stare! Ti odio… ti
odio… Io ti odio…”
scoppiò in lacrime e, sfinita, si accasciò per
terra.
-
-
- Di tutte le
possibilità che avevo vagliato su come avremmo passato
questo Natale, quella di
stare seduto sul divano a fissare il fuoco mentre mia moglie passava la
giornata a piangere nel letto, senza rivolgermi la parola, senza dubbio
era la
più remota.
- Continuavo ad
osservare le fiamme, ipnotizzato dal rumore scoppiettante della legna
secca che
continuavo ad aggiungere imperterrito, sperando che quel calore
placasse almeno
minimamente il gelo che era calato in casa.
- Era quasi sera e
Kristen non si era alzata dal letto, nemmeno per mangiare.
- Mi ero
affacciato alla
camera diverse volte per trovarla sempre nella stessa posizione; decisi
di
provare ancora ma non ebbi maggiore fortuna.
- Tuttavia
stavolta ero
determinato a non limitarmi a guardarla solo dalla porta. Entrai e mi
sedetti
sul bordo del letto, dal lato in cui era girata, solo per vedere il suo
sguardo
spento e vuoto.
- “Amore,
vieni a
mangiare qualcosa, ti prego…”
- “Non
ho fame…”
- Le carezzai una
guancia col dito e bastò a farle cambiare posizione per
farmi le spalle.
- “Kristen,
ti prego,
non fare così…”
- “Non
voglio parlare,
Rob. Vattene via.”
- “Kris…”
- “VIA!”
- Il suo tono non
poté
non scuotermi e fui costretto ad ubbidire. L’ultima immagine
che conservai
prima di addormentarmi sul divano, fu il suo viso distrutto dal dolore
mentre
affondava in lacrime nel cuscino.
- Quando mi
svegliai,
fuori era ormai totalmente buio.
- Preparai a
Kristen
qualcosa di caldo ma le mie buone intenzioni divennero vane quando
entrai in
camera e tutto ciò che restava di lei era un cuscino ancora
umido.
- La chiamai e la
cercai
per casa prima di uscire e cercarla nell’unico posto in cui,
sapevo, doveva
essere andata.
- Uscii dal retro
e
percorsi il vialetto che portava alla spiaggia e poi quello
più disconnesso che
saliva fino a una piccolissima altura che avevamo scoperto la prima
volta che
eravamo arrivati sull’isola.
- Non era niente
di
particolare, semplicemente una roccia piatta, e lontana dalle luci
misere della
città, che permetteva di guardare ogni stella cadente nel
cielo mentre il mare
si infrangeva sugli scogli proprio sotto.
- La trovai
lì, in quel
posto in cui avevamo riposto ogni nostra speranza, in cui avevamo
espresso ogni
desiderio fino ad allora taciuto.
- Ed era
lì che, l’8
Dicembre 2012, il mio più grande desiderio si era avverato.
-
- “Un’altra!
Non parlare, non pensare! L’ho vista prima io!”
- “Io lo
esprimo lo stesso! Mi serve!”
- “Rob,
no! Sei un bastardo se lo fai!”
- “Ti
giuro che è per una buona causa…questo
è un gran bel
desiderio!”
- “Non
me ne importa. Non funziona così! Chi la chiama, esprime
il desiderio. Io l’ho chiamata quindi tu ti freghi.”
- “Però,
bello spirito di condivisione.”
- “Con
le stelle cadenti non si scherza. Aspetta la prossima.”
- “Sì
sì, okay. Ti muovi con questo desiderio?”
- “Hey,
devo pensarci bene. Chiudi il becco.”
- E lo chiusi il
becco, ma non potei fare a meno di baciarla
mentre la vedevo, tenerissima, con gli occhi chiusi e lo sguardo verso
il
cielo.
- “Rob!”
- “Cosa?
Pensavo stessi desiderando le mie labbra.”
- “Pensavi
male, caro.”
- “Quindi
non desideri le mie labbra?”
- “Sì,
ma non ho bisogno di una stella cadente per averle.”
- E si sporse per
baciarmi, lentamente e con molta dolcezza.
- “Cosa
hai espresso?”
- “Non
si dice, lo sai, se no non si avvera.”
- “Ma io
posso avverare tutti i tuoi desideri, lo sai.”
- “Lo
spero…” sorrise quasi timida e insicura.
-
- E quello fu il
momento
in cui capii che Kristen aveva desiderato di essere incinta, per la
prima
volta. Forse non subito, forse non in un futuro prossimo, ma prima o
poi… E il
suo desiderio alla fine si era avverato, salvo poi essere distrutto due
mesi
dopo da un’ecografia e da un ventre vuoto.
-
- “Okay,
ma ora tu chiudi gli occhi così non mi freghi la
prossima!”
- “Cosa?
No!”
- Ma prima che
potesse ribellarsi la intrappolai con le braccia
in modo che tenesse il viso totalmente chino sul mio petto.
- “Fai
la brava o ti butto a mare.”
- “Pfft,
non camperesti un giorno senza di me!” disse con voce
soffocata contro la mia giacca, ed aveva ragione; ecco
perché avevo bisogno di
una stella proprio in quel momento.
- E come se il
cielo mi stesse ascoltando, la stella più
luminosa di quella notte squarciò il cielo lasciando una via
luminosa ed io
espressi il mio desiderio.
- “Okay,
puoi aprirli.”
- “Espresso
il gran bel desiderio?”
- Annuii,
sorridendo. “Sposami, Kristen.”
- “C…
cosa?” sbarrò gli occhi, presa totalmente alla
sprovvista.
- “Sposami.”
- “Sì,
okay, in futuro.”
- “No,
presto. Il venti di questo mese.”
- “Rob…”
- “Siamo
a Dicembre del 2012. Voglio sposarti prima che finisca
il mondo.”
- Rise.
“Rob, non dire sciocchezze, dai. Il mondo non
finirà.”
- “E se
finisse?”
- “E se
finisse, vorresti sposarmi solo per quello?”
- “E
perché ti amo e voglio passare il resto della mia vita con
te…”
- Capì,
finalmente, che ero serio e non scherzò più.
“Dici
davvero?”
- “Dico
davvero…”
- Il 2012 era
stato un anno un po’ particolare per noi, pieno
di alti e bassi, ma se ne avevo tratto qualcosa era la sicurezza. Ero
sicuro di
voler passare la mia vita con quella donna e avevo desiderato che per
lei fosse
lo stesso.
- Sorrise.
“Sei un grande idiota.”
- “Perché?”
- “Perché
non avevi bisogno di una stella cadente perché ti
dicessi di sì…”
-
- Non avevamo mai
conosciuto i desideri dell’altro ma da due anni, seppure non
l’avessimo detto,
entrambi sapevamo che stavamo desiderando la stessa cosa,
l’unica cosa di cui
sentivamo la mancanza, l’unica cosa che, quel giorno, le
avevo portato via.
- Di certo non
avevo
bisogno di chiedere cosa stesse desiderando in quel momento ma sembrava
che le
stelle fossero troppo poche per cadere per lei.
- Mi avvicinai e
le misi
una coperta sulle spalle. Lei non mosse un muscolo mentre mi sedevo
accanto a
lei.
- “Buon
Natale, amore…”
- “Mi
hai mentito, Rob”
rispose, prendendomi totalmente alla sprovvista. “Mi fidavo
di te… E tu mi hai
guardato negli occhi e mi hai mentito. Mi hai preso in giro.”
- “L’ho
fatto per te.
Non ho avuto scelta.”
- “L’hai
avuta, invece.
L’hai detto tu stesso. Stai con me perché lo
scegli e sceglierai sempre me.”
- “Ed
è così.”
- Lei
chinò il viso e
per secondi interminabili guardò la roccia scura su cui
eravamo seduti.
- “Ma
stavolta hai
scelto male, Rob. Voglio il divorzio.”
- Le sue parole
arrivarono come una doccia gelata in pieno inverno: inaspettate,
pungenti,
dolorose e insopportabili.
- Si
alzò senza
aggiungere altro, lasciandomi solo a metabolizzare il significato di
quelle
parole dettate, senza dubbio, dalla rabbia ma comunque pesanti.
- Alzai gli occhi
al
cielo lentamente, in tempo per vedere una delle poche stelle in cielo
cadere
davanti ai miei occhi, e desiderai che fosse tutto un brutto incubo.
- Ma cosa poteva sperare
di ottenere da delle stelle che non esaudivano più nulla da
tempo?
- _______________________
- Ebbene sì, Kristen
è leggermente impazzita, lo sappiamo anche noi... Ma abbiate
pietà, povera cucciola :(
- Oddio, dovevo scrivere un
casino di cose ma ora ho la mente vuota .___. E' Cloe quella brava a
fare le note introduttive e finali ç___ç
- Vabbè, intanto...
chi indovina come ci è finita Hope in mezzo al mare e qual
è la storia dietro?
- Un capitolo intero come premio
a chi ci arriva *-* (tanto nessuno ci arriverà mai
muhahuahua siamo state le ore a elaborare qualcosa di sensato
huahua).
- Aw, ma immaginate se Rob
avesse davvero chiesto a Kristen di sposarlo prima della fine del
mondo? ç_ç A quest'ora lei sarebbe Mrs.
Pattinson... asdkhaks *-*
- Okay, basta con gli
scleri... E approposito di fine del mondo (AHAHAHA facciamoci na grossa
risata a riguardo AHAHA), ho scritto una piccola
shot a tema, passate se vi va :)
- Okay, dovrebbe essere
tutto.
- Vi salutiamo e vi "diamo
appuntamento" tra cinque giorni.
- Buon Natale a tutti e buone
feste *-*
- Cloe &
Fio xoxo (è finito Gossip Girl
ç___ç <--- il pianto è un
pò finto perchè a me non piace poi
chissà quanto ma vi sono vicina u.u ahahaha)
|
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Capitolo 3 *** Never give up ***
HNL - cap 1
- Buonasera a
tutte
voi!!!!!!
Per prima cosa speriamo che tutte
abbiate passato
un Natale meraviglioso, che vi siate ingozzate e abbiate trovato sotto
l'albero
tanti bei regali!!!
Ed eccoci qui con un bel regalo, anche se in ritardo, tutto
per voi: il cap 3 di HNL dove ci sarà un salto temporale e
qualche flashback.
Speriamo vi sia tutto chiaro ;)
Vi ringraziamo per le
recensioni, i seguiti&preferiti
e in generale per tutto l'affetto che continuate a mostrarci!!!!! (a
noi e alla
piccola Hope).
Vi mandiamo un bacio super
mega enorme e.... A
mercoledì ;D
*________*
un bacio,
Cloe&Fio
-
-
- Pov Kristen
- Los Angeles,
Ottobre
2019
-
- “E
quindi pensava di
vestirsi da Biancaneve. Questo però succedeva
venerdì, perché oggi ha deciso di
vestirsi da Cenerentola. Insomma, io avevo già detto alla
sarta tutti i
dettagli per Biancaneve! A volte penso che mi manderà fuori
di testa! Potrei
strozzarla!”
- La donna, di cui
non
ricordavo il nome, continuava a parlare e parlare come se fossimo
amiche di
vecchia data. Ed ero certa che non lo fossimo: primo perché
ci conoscevamo da
sì e no tre settimane e secondo, beh… secondo
perché onestamente davvero
nemmeno riuscivo a ricordare il suo nome.
- Forse iniziava
per… B?
- Bl…
- Blaire?
- Blake?
- No…
mmm, Belinda!
- Ecco come si
chiamava!
Belinda!
- “Tu a
volte non
avresti voglia di strozzarle?” domandò,
lasciandomi di stucco. Chi diavolo
chiedeva una cosa simile a una donna che conosceva da tre settimane?
- “Non
che intenda sul
serio, ovvio” si affrettò a rettificare
“Ma a volte avere un figlio è orribile!
Non pensi anche tu?”
- Avrei voluto
risponderle che no, non lo pensavo affatto. Che se solo avesse saputo
cosa
significasse sentirsi dire di essere sterile e senza alcuna
possibilità di
portare un figlio dentro di sé, allora non avrebbe mai detto
una cosa simile.
Avrei voluto risponderle che dare per scontata la benedizione di avere
un
figlio era una cosa tremendamente sbagliata.
- E non che non
sapessi
quanto stancante essere una madre, fosse. Ora lo sapevo anche io.
Sapevo che i
bimbi erano rumorosi, disordinati e a volte semplicemente,
semplicemente arghhh; eppure ogni
istante, anche i più
stancanti, erano comunque stati i più belli della mia vita.
- Mi sentii
scaldare
dentro quando la ragione della mia esistenza trotterellò
fuori dal cancello.
- “Beh,
Belinda ehm...”
- “Io mi
chiamo Blaire”
- Merda.
- “Beh,
Blaire, ehm… è
stato un piacere parlare con te. Ci vediamo lunedì,
ok?”
- “Va
bene, Kristen.”
Agitò la mano mentre mi allontanavo in fretta
“prendiamoci un caffè un giorno
di questi!”
- Ma ormai non la
sentivo più, non davvero perlomeno. La mia piccolina era tra
le mie braccia e
per la prima volta in tutto il giorno tirai un grosso sospiro di
sollievo.
Forse ero patetica, ma da quando aveva iniziato l’asilo il
mese precedente, mi
ero trasformata in una di quelle mamme iperprotettive e super
preoccupate. La
prima settimana le avevo misurato la febbre ogni giorno al ritorno da
scuola,
con grande divertimento di mio marito. Io, comunque, ancora non ci
trovavo
niente di divertente; era un fatto provato che tanti bambini chiusi in
un unico
ambiente creassero un covo perfetto per i germi.
- Mmmm, ora che ci
pensavo sembrava un po’ calda. Forse una volta tornate a casa
potevo…
- “Mamma,
non ho la
febble.” Hope batté gentilmente la mano sulla mia
“Sto bene!”
- Ok, essere
rassicurate
dalla propria figlia di quattro anni era decisamente patetico,
perciò mi
limitai ad annuire contro la sua esile spalla mentre camminavo verso
l’auto.
- Le domandai come
fosse
andata la sua giornata e lei iniziò a raccontarmi nei
dettagli tutte le
attività che aveva svolto coi suoi compagni; ancora una
volta mi stupii di come
parlasse bene, articolando tutte le vocali. Era sempre stata una bimba
precoce
ma un solo mese di asilo le aveva fatto fare progressi ancora maggiori.
E da
come era entusiasta dei compagni e dei colori e dei giochi e della
maestra si
capiva che adorava andarci.
- Certo, mi
mancavano i
momenti in cui eravamo solo noi due a casa. Le ultime tre settimane, ad
esempio, erano state tremende; Rob stava finendo le riprese di un film
a san
Francisco e io, che mi ero presa una pausa fino a dopo le vacanze
natalizie, mi
ritrovavo a casa a girarmi i pollici. O a tentare di fare la casalinga,
cosa
che onestamente non mi riusciva benissimo eccetto che per la cucina;
ero una
cuoca piuttosto in gamba ma per il resto…
- Ripensai ai
boxer di
Calvin Klein di Rob che quella mattina avevo trasformato in un bel rosa
confetto e scossi il capo tra me e me. Dovevamo cambiare la lavatrice
perché di
certo doveva essere rotta!
- “Mamma
mi stai
ascoltando?!” Hope catturò la mia attenzione
alzando il tono di voce e guardandomi
con disapprovazione per essermi distratta “Ho detto che la
maestla ha detto che
ci sarà una festa di Halloween e allora noi dobbiamo
complale un costume, ok?”
- Ah, allora era
questo
ciò per cui Blair era tanto preoccupata.
- “Ok”
risposi “Che
costume ti piacerebbe?”
- “Mmm,
non lo so. Pelò
folse ho un’idea!”
- Mise su il
sorriso
furbetto che di solito significava guai
ma mai mi sarei aspettata ciò che mi disse quando tornammo a
casa. Tolti i
vestiti per la scuola si era seduta sul divano a giocare con il mio
i-pad e,
mentre ero in cucina a prepararle la merenda, annunciò con
grande enfasi che
voleva essere me per Halloween.
- Oh, cosa?
- Era vero che non
controllavo ossessivamente internet per sapere a che posizione fossi
delle ‘più belle attrici
di Hollywood’ ma non
pensavo di essere diventata così orribile da rappresentare
una maschera di
Halloween.
- O almeno lo
speravo.
- Avevo solo 29
anni,
per la miseria.
- Mi
bastò un’occhiata
alla schermata, però, per capire cosa Hope intendesse.
- “Sei
stata una vampila
mamma! Non lo sapevo! Voglio essele una vampira come te! Voglio essere
te
vampira per Halloween” esclamò, quasi rovesciando
il bicchiere di latte “Posso?
Eh, ti pleeeeeeeeeeeeeeeeeeeego, posso? Eh? Eh?
Peffavooooole?!”
- Automaticamente
mise
su la sua miglior espressione da cucciolotto indifeso e sperduto,
correlata da
occhioni blu mare spalancati e sbattimento di ciglia così
forte da creare un
uragano. Ma questa volta non aveva motivo di pregare, perché
non vedevo alcun
motivo di non farla vestire da vampira. Dopotutto non mi stupiva che
Hope non
avesse voluto vestirsi come una principessa o una fatina.
- Lei
era… era una
bambina speciale. Era la mia bambina speciale; unica, imprevedibile,
fantastica, dolce. E anche testarda e combattiva, cose che a volte
facevano impazzire
me e Rob, ma non l’avremmo cambiata per tutto l’oro
del mondo. Specialmente
dopo ciò che avevamo passato per averla.
- Passammo i
minuti
seguenti a parlare di rossetto rosso sangue, cipria bianca per farla
diventare
super pallida e, perché no, anche un bel vestito bianco e
fluttuane macchiato
di sangue finto. Forse un po’ macabro ma se bisognava
diventare una vampira
meglio farlo con stile, no?
- Mano a mano che
parlavamo, però, il sorriso di mia figlia si fece
più debole, quasi come se non
fosse del tutto felice.
- “Tu
pensi che papà ci
sarà alla festa velo?”
- “Oh
tesoro, sì, sì,
certo che sì” mi affrettai a rassicurarla.
“Papà dovrebbe tornare domani e ad
halloween mancano quasi venti giorni, non preoccuparti.”
- Alzò
i suoi occhietti
su di me e lessi in loro lo stesso sentimento che riempiva anche i
miei.
- “Mi
manca papà…”
- “Lo
so, tesoro, manca
anche a me.”
- Ci mancava, ci
mancava
disperatamente. E non importava che fosse a sole due ore di macchina,
che ci
sentissimo spesso e che il giorno dopo sarebbe stato di nuovo a casa;
Rob era
la nostra roccia, era il collante che teneva tutto insieme. Se non ci
fosse
stato lui sarei impazzita, e non metaforicamente.
Probabilmente avrei rovinato
tutto, avrei fatto qualche follia e ogni possibilità di
essere genitori sarebbe
svanita per sempre per noi.
- Senza di lui,
chissà
dove Hope sarebbe finita.
- Senza di lui,
chissà
dove io sarei finita.
- Chiusi gli occhi
cercando di non pensarci, ma il ricordo di quel natale 2015 si
ripresentò
prepotentemente e, con lui, la follia che mi era uscita dalla
bocca…
-
-
- “Ma
stavolta hai scelto male, Rob. Voglio il divorzio.”
- Dopo averlo
detto mi ero alzata, ero tornata indietro, in
casa, e avevo iniziato a fare i bagagli. I pochi vestiti che avevo
portato con
me da Londra, buttati di nuovo dentro la borsa da cui li avevo tolti
solo poche
ore prima.
- Prima di
incontrare Hope, prima che qualcosa dentro di me
cambiasse, prima che Rob lo distruggesse…
- Come aveva
potuto farlo? Come? Aveva promesso che ci saremmo
presi un paio di giorni per pensarci, per valutare le opzioni, e invece
lui
aveva agito alle mie spalle, senza un pensiero, senza…
- Lacrime di
rabbia mi colarono lungo le guance mentre mi
sdraiavo sul letto, in attesa dell’alba. Come aveva potuto
guardare quella
bimba negli occhi e lasciarla alla polizia? Come? Non aveva sentito lo
stesso
legame speciale che avevo provato io quando l’avevo presa in
braccio? Fredda e
bagnata? E adesso chissà con chi era, chissà
dov’era, chissà se per lo meno era
al caldo e se le avevano dato da mangiare?
- Come aveva
potuto farlo? Come?
- Ma
più le ombre della notte si diradavano e più il
mattino si
faceva vicino, più mi rendevo conto che in realtà
avrei dovuto chiedermi il
contrario. Come avevo anche solo potuto pensare per un istante che lui
avrebbe
voluto tenerla? Rob non poteva capire quello che avevo sentito io e mai
avrebbe
potuto farlo. Lui era normale, lui avrebbe potuto avere figli suoi un
giorno,
lui non sapeva cosa significasse essere costantemente consapevole di
essere… sbagliata.
Difettosa.
- Non potevo
fargli una colpa per questo.
- La colpa era
mia, solo mia.
- Non parlammo per
tutto il viaggio di ritorno sul traghetto,
neppure ci guardammo in effetti. Lui rimase dentro mentre io me ne
stavo sul
ponte incurante del freddo e del vento; era così assurdo che
neppure riuscissi
a sentirlo? Ero così gelata dentro che ormai la temperatura
dell’aria e quella
del mio cuore erano uguali?
- Forse, forse
sì.
- Quando il taxi
parcheggiò davanti a casa Pattinson, Rob scese
ma io indugiai.
- “Può
aspettare un paio di minuti per favore?”domandai
all’autista.
- Riconobbi a
stento la mia voce, come se neppure fosse la mia.
In effetti non mi sentivo affatto io; era come se fossi entrata in un
ruolo che
avevo letto in un copione e stessi cercando di recitare la parte alla
perfezione.
- Vederla in quel
modo fu la sola cosa che mi permise di
pronunciare quelle parole.
- “Rob…”
- Si
voltò di scatto, come se fosse stupito che gli avessi
rivolto la parola, gli occhi colmi di speranza.
- “Kris,
ti prometto che i miei non… non diranno niente. Ma
possiamo andare in hotel se preferisci. Possiamo starcene in pace per i
fatti
nostri. Parlare.”
- Il suo sguardo
era così speranzoso, eppure non ebbi la forza
di abbassare gli occhi.
- “Quello
che ho detto prima…”
- “Lo so
che non lo pensavi. Eri arrabbiata, ma so che non lo
pensavi.”
- Fece un passo
avanti ed istintivamente io ne feci uno
indietro.
- Presi un lungo
respiro.
- Sette anni e
tutto finiva così…
- “Io
sì. Io lo pensavo.”
- Si
immobilizzò, pietrificato.
- “Quello
che è successo mi ha fatto capire che lasciarci è
la
cosa migliore. Forse lo sapevo da mesi, ma cercavo di negarlo a me
stessa. Tu
meriti di meglio. Io non ti renderò mai felice e tu non...
non potrai mai
capire.”
- Si
passò le mani fra i capelli prima di tornare a guardarmi.
- “Kristen...”
- “No”
scossi il capo. Che senso aveva dire altro? “È
meglio
così. Quello che hai fatto mi ha aperto gli occhi e ho
capito…”
- “Quello
che ho fatto è stato fare la cosa giusta!”
esclamò,
incredulo “Kristen, tu ora non ragioni perché se
lo facessi capiresti che la
tua idea era folle. Folle!”
- “Non
era folle per me!”
- Una lacrima di
dolore mi scivolò lungo una guancia e la sua
espressione rafforzò ancora di più la mia
decisione.
- “Visto?
Non vogliamo più le stesse cose” gracchiai. Cercai
di
contenere il flusso di lacrime, certa che se le avessi lasciate libere
di
cadere non avrei avuto la forza di andare avanti. “Lo faccio
per entrambi. Lo
faccio…”
- “Non
ti azzardare” la sua voce era così gelida che i
miei
occhi scattarono verso l’alto nonostante non volessi vedere
l’espressione di disprezzo
nei suoi. “Vuoi farmi fare la parte del cattivo
perché io non sono sterile e tu
sì? Ok, va bene, sarò il cattivo della
situazione. Ma non ti azzardare, non
osare dire che lo fai per me. Se te ne vai lo fai per te. Lo fai
perché sei una
codarda e tutto quello che fai quando hai paura è prendere
armi e bagagli e
scappare.”
- Mi voltai per
impedirgli di vedere quanto le sue parole mi
avessero ferito. Feci un passo verso il taxi.
- “Kristen,
se sali su quel taxi, questa volta è davvero
finita.”
- Deglutii il
dolore che mi impediva di respirare e annuii.
- “Addio,
Rob.”
- La porta del
taxi che richiusi dietro di me fu l’ultima cosa
che sentii prima di bisbigliare all’autista il nome del luogo
in cui volevo
andare e, poi, accasciarmi sul sedile.
- Incredibilmente,
meno di un ora dopo mi trovavo nello stesso
aeroporto in cui solo due giorni prima avevo sentito che qualcosa di
importante
nella mia vita sarebbe successo.
- Beh, era
successo, pensai amaramente.
- Due giorni prima
avevo un marito e adesso ero sola al mondo.
- Ma forse era
giusto così, forse tutto era semplicemente
andato come era destino. Trovare quella bambina, sentire ciò
che avevo sentito,
il fatto che Rob l’avesse riportata via senza pensarci due
volte…
- Forse negli
ultimi mesi mi ero solo illusa con me stessa; lui
non vedeva la situazione come la vedevo io, non poteva provare
ciò che provavo.
Non appena aveva visto Hope aveva usato la ragione, non aveva pensato a
come
fare a tenerla con noi.
- Ero certa che
fosse devastato per non potere avere un figlio
con me, ma un giorno avrebbe potuto averlo… con
qualcun’altra.
- La sola idea mi
fece salire la bile alla bocca, ma con quale
diritto?
- Io
l’avevo lasciato, io me n’ero andata il giorno di
Natale,
io stavo per prendere un volo per Los Angeles pronta a svuotare casa
nostra
dalle mie cose.
- E mentre me ne
stavo lì, a cercare segni che mi facessero
capire che avevo davvero fatto la cosa giusta, qualcosa successe.
- Un miracolo? Un
caso?
- Forse. O forse
fu semplicemente un vero segno, mentre quelle
che io avevo cercato così disperatamente erano solo scuse.
- Quello che era
reale era ciò che successe davanti a me, in
quell’aeroporto: una madre che aveva perso il suo bimbo di
cinque anni tra la
folla, salvo poi ritrovarlo pochi minuti dopo, in lacrime in un angolo.
Qualcuno aveva sorriso, qualcuno aveva pianto e qualcuno aveva tirato
un
sospiro di sollievo. Ma io ero rimasta paralizzata. E in un attimo le
parole di
Rob mi avevano inondato la mente.
- “Potrebbe
avere dei genitori là fuori! Dei parenti, un padre!
Una madre!”
- Questo aveva
detto. E aveva ragione.
- Quanto ero
ipocrita a provare sollievo per la donna che aveva
ritrovato il suo bambino e poi desiderare con tutto il mio cuore di
tenere una
neonata che per quanto ne sapevo poteva avere una famiglia che la stava
cercando nel terrore più totale.
- “Miss
Stewart?” una hostess si chinò su di me. Il fatto
che
conoscesse il mio nome e si preoccupasse di avvertirmi di persona, un
chiaro
privilegio riservato ai passeggeri della prima classe.
“Stiamo per imbarcare. I
passeggeri della prima classe per primi e lei è
l’unica.”
- Ebbi solo la
forza di deglutire e guardarla sconsolata. “Cosa
sto facendo?”
- Non sapevo se
parlavo con me stessa, con Dio, col fato o con
chiunque altro potesse darmi una risposta. A quel punto
l’avrei accettata
perfino da quella hostess se l’avesse avuta.
- “Ehm…,
sta per salire su un aereo?”
- Indugiai un paio
di secondi ma sapevo, ormai sapevo, che se
avessi messo piede su quell’aereo non avrei solo rotto per
sempre le cose fra
me e Rob, avrei per sempre rotto il rapporto che avevo con me stessa.
Che tipo
di persona stavo diventando?
- “No,
non credo salirò.”
- “No?”
domandò confusa.
- “No.”
-
- Rob era seduto
sul pavimento della sua stanza con l’aria
distrutta, sulle gambe il suo pc portatile e in un mano il cellulare,
mentre
con l’altra muoveva freneticamente il dito sul cursore del
mouse. Ma gli bastò
vedermi per far cadere tutto a terra in un secondo. Si alzò
in piedi, mi fissò
per un intero minuto, poi fece un passo, poi un altro e infine... mi
diede uno
schiaffo. Non forte, non tanto forte da farmi male, ma abbastanza forte
da
farmi bruciare la pelle. Abbastanza forte da svegliarmi. Fu come essere
svegliata del tutto da un orribile incubo in cui mi ero rinchiusa io
stessa.
- Lo superai e mi
lasciai cadere sul letto con la testa fra le
mani.
- “Non
volevo farti male.”
- “Non
me ne hai fatto” scossi il capo, guardandolo come se lo
vedessi per la prima volta dopo mesi “Mi serviva, Dio, mi
serviva da un sacco
di tempo.”
- Sentii il peso
del suo corpo al mio fianco. “Sai quanto male
hai fatto tu a me invece? Ogni singola volta in cui dicevi che non ti
capivo,
che non potevo neanche lontanamente immaginare come ti sentissi. Sai
cosa
volevo urlarti? Volevo urlarti che sapevo esattamente come ti sentivi.
Perché
se tu non puoi avere un bambino, allora nemmeno io posso avere un
bambino”
indugiò un attimo “Io non lo voglio un figlio con
qualcun’altra. Né ora né mai.
Te ne rendi conto?”
- Annuii, pronta a
parlare, ma quando i miei occhi si posarono
sullo schermo del pc, aggrottai la fronte, confusa.
- “Che
stavi facendo?”
- Mi
guardò come se fossi pazza. “Prenotando un volo
per LA,
ovvio.”
- “Ma…
quando sono salita sul taxi hai detto…” non
riuscii a
terminare la frase, ripensando a quello che avevo provato quando mi
aveva dato
quell’ultimatum.
- ‘Se
sali su quel taxi è finita.’
- “Lo so
quello che ho detto” sussurrò.
- “E
allora perché? Perché stavi venendo?”
- Mi
carezzò la guancia in modo che lo guardassi fisso negli
occhi.
- “Perché
non posso vivere senza di te.”
- Una lacrima
tiepida mi scivolò lungo la guancia e non tentai
neppure di fermarla.
- “Non
voglio il divorzio, Rob” gracchiai “Non lo voglio
ora,
né mai, né...”
- Non riuscii ad
andare avanti, il respiro troppo corto per
poter parlare.
- “Lo
so” mormorò “E so che mi ami, anche se
sei tornata di
corsa solo per i mille messaggi che ti ho lasciato in segreteria su
Hope...”
- “Cosa?”
La sorpresa per le sue parole mi fece dimenticare per
un attimo il groppo alla gola “Quali messaggi?”
- “Quelli
che ti lascio da più di un’ora sul
cellulare.”
- “Il
mio cellulare è sull’isola di Wight. Non
l’ho nemmeno
preso con me.”
- La sua
espressione si fece confusa, almeno tanto quanto la
mia. “Allora… allora perché sei tornata
indietro?”
- “Perché
non posso vivere senza di te.”
- Vidi i suoi
occhi divenire umidi. Le sue mani strinsero con
più forza il mio volto.
- “Kris,
ti amo alla follia, ma ora metto in chiaro due cose.
La prima è che sì, sei sterile”
rabbrividii alla durezza delle sue parole ma mi
resi conto che non mi fecero tanto male quanto mi sarei spettata.
“E questo non
ti rende sbagliata, diversa, o inutile. Ti rende vulnerabile, umana e
perfetta.
Ti rende la mia Kristen. Un giorno avremo un bambino, o una bambina o
un
mucchio di bambini e non importerà come li avremo. Saranno
nostri comunque.
Intesi?”
- “Intesi”
abbozzai un piccolo sorriso e le mie labbra si
tesero sulle sue, tiepide. “E la seconda cosa qual
è? Hai detto due cose.”
- “La
seconda è che la prossima volta che scappi non mi
limiterò a darti uno schiaffo. Verrò ovunque ti
trovi e ti prenderò a calci nel
sedere così forte che non te lo scorderai mai.
Chiaro?”
- “Chiaro.”
- Lo abbracciai
sorridendo ma, all’improvviso, le sue parole di
poco prima mi tornarono alla mente.
- “Che
c’entra Hope ora?”
- “Ok”
sospirò, afferrandomi per le spalle “Non alzare
troppo
le tue speranze ora, intesi?”
- “Rob...”
- “Quando
ho riportato la bimba indietro ho lasciato il mio
numero. E mi hanno chiamato i servizi sociali dell’isola.
Vogliono che racconti
come l’hai trovata alla polizia e… poi ho
telefonato all’avvocato di famiglia
dei miei. Voglio capire se ci sarebbe la possibilità di
seguire il suo caso,
di…”
- “Rob,
quando l’ho trovata ho davvero sentito una connessione
speciale con lei. Davvero… non so neppure come spiegarlo.
Anche se ho fatto e
detto cose tremendamente stupide, quello… quello era
vero.”
- “Lo
so” annuì “E non so come andranno le
cose con lei. Non so
se ha una famiglia da qualche parte. Non so nulla. Ma so che voglio
scoprirlo.”
- “E io
so che voglio aiutarla” terminai per lui.
- Non so come, ma
qualcosa di speciale era successo quando
l’avevo presa tra le braccia. Mi aveva cambiata dentro, in
più di un modo.
- Se avesse avuto
una madre che la amava lì fuori, allora
l’avrei aiutata a tornare da lei e se non l’avesse
avuta… se non l’avesse avuta
allora mi sarei assicurata che avesse una famiglia disposta ad amarla.
Che
fosse con me e Rob o con qualcun altro, non l’avrei delusa.
- “Insieme?”
- Rob mi prese la mano.
“Insieme.”
-
- Pov Robert
-
- Entrai in casa
in
punta di piedi per non svegliare nessuno, ma avrei dovuto immaginare
che
Kristen sarebbe stata ancora sveglia. Di solito le piaceva scherzare di
essere
un animale notturno, ma non avrei mai creduto di trovarla in piedi a
mezzanotte
passata a… cucire?
- Kris seduta al
tavolo
della sala da pranzo, con davanti metri di stoffa nera e una macchina
da
cucire. Una macchina da cucire.
- Soffocai
l’impulso di
ridere, sapendo che se lo avessi fatto, non sarei mai riuscito a farla
spaventare e, invece, rimasi semplicemente appoggiato allo stipite
della porta
a guardarla.
- Era bellissima
anche
col pigiama verde sbiadito, quello leggermente consumato sul ginocchio
sinistro, che si rifiutava di buttare perché, per qualche
strana ragione, le
ricordava qualcosa di importante, con una matita a tenerle fermi i
capelli in
cima al capo e con la lingua stretta fra le labbra, il suo gesto
classico
quando si stava concentrando su qualcosa di importante. Un gesto che
nostra
figlia aveva copiato e che le vedevo ripetere quando si concentrava
mentre
colorava un’immagine particolarmente difficile.
- Il pensiero di
Hope mi
fece subito rettificare ciò che avevo detto tra me e me solo
pochi istanti
prima. Non era così inusuale vedere Kristen seduta su quel
tavolo a cucire;
forse non aveva mai preso ago e filo prima, ma sin dal momento in cui
Hope era
entrata nelle nostre vite, aveva fatto di tutto per essere la madre
migliore
del mondo.
- E
c’era riuscita.
- Questo non
significava
che era perfetta o che non commetteva mai errori, perché
entrambi ne facevamo
molti, ma cos’era essere genitori se non cercare di fare del
proprio meglio? Se
l’amore incondizionato era il metro che misurava la
felicità di una famiglia
allora eravamo tutti e tre estremamente fortunati ad avere
l’un l’altro.
- Solo immaginare
le
nostre vite senza Hope…
- Quello era un
pensiero
che non volevo dovesse mai neppure passarmi per la testa.
- Senza fare
rumore mi
avvicinai a lei e la circondai da dietro con le braccia; la sentii
sussultare
ma quando si accorse che ero io, molto probabilmente dal mio profumo,
si
rilassò e scoppiò in una risata nervosa.
- “Sei
così sexy con
questo pigiama…”
- “Beh
ti consiglio di
approfittarne stasera. Domani torna mio marito ed è un tipo
molto geloso”
scherzò “Potrebbe non
apprezzare…”
- “Vedremo
di utilizzare
al meglio il poco tempo che abbiamo allora.”
- Feci scorrere i
palmi
delle mani sul suo ventre liscio e morbido ma, prima ancora che potessi
andare
avanti, fu lei a prendere in mano la situazione. Si voltò
tra le mie braccia e
la sua bocca fu subito sulla mia.
- “Non
so con quale
miracolo tu sia riuscito a tornare a casa un giorno prima ma non sai
quanto
sono felice” la voce le tremò per un secondo
“Avevo bisogno di te.”
- “Va
tutto bene? Cosa…”
- Non mi fece dire
altro. Le sue dita si intrecciarono alle mie e in silenzio salimmo le
scale che
portavano alla nostra camera da letto. Una parte di me avrebbe voluto
andare da
Hope ed assicurarmi che fosse al sicuro nel suo letto, ma la parte che
aveva
bisogno di mia moglie prevalse. Amavo il mio lavoro ma quando mi
portava
lontano dalle due persone che rendevano la mia vita completa, allora
arrivavo
davvero ad odiarlo. Ci amammo in silenzio, soffocando i nostri gemiti
l’uno
nella bocca dell’altro come avevamo imparato a fare da quando
Hope era venuta a
vivere con noi. Eppure nel dover fare l’amore in silenzio non
c’era imbarazzo o
fastidio, anzi, la nostra intimità sembrava essere solo
aumentata nel
ridacchiare sepolti sotto due piumoni per non fare rumore, nel
soffocarci di
baci, nel prenderci in giro perché comunque non eravamo mai
abbastanza
silenziosi. Quando la sentii rilassarsi sotto di me, le mordicchiai il
collo ma
mi accorsi subito delle sue guance umide. Accesi la luce sul comodino
per
vedere le sue guance rigate da due lunghe lacrime.
- “Kris…”
- “Non
è niente,
davvero” mi interruppe “Io sto bene, Hope sta bene.
È solo che oggi ho iniziato
a pensare al giorno in cui l’abbiamo trovata, a quello che
è successo il giorno
dopo, a quello che ho fatto, quello che ti ho
detto…”
- “Shhh,
sdraiati.” Sapevo
ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Entrambi ci
sdraiammo sotto le
coperte, la presi tra le braccia e allungai la mano spegnendo la luce.
Era
sempre riuscita ad esprimersi meglio al buio, sussurrando
ciò che pensava
nell’oscurità.
- “Cosa
sarebbe successo
se avessi preso quell’aereo, Rob? Avrei potuto rovinare
tutto. Forse le nostre
vite sarebbero così diverse ora.”
- “Sarei
venuto a LA e
ti avrei preso a calci, te l’ho detto” risi
baciandole il capo “Non ti avrei
mai permesso di lasciarmi, figurati. Saremmo tornati a Londra da Hope e
ora
saremmo esattamente qui in questo letto a parlare dopo aver fatto
l’amore, ne
sono sicuro.”
- “Ero
così stupida… Pensavo
cose assurde, volevo rapire una bambina…”
- “Non
farlo, Kris” la
rimproverai “Non avresti rapito nessuno. Alla fine avresti
fatto la cosa
giusta. Alla fine hai fatto la cosa giusta, no?”
- Erano rare, ma
c’erano
ancora delle volte in cui Kristen pensava al passato e si auto
flagellava; solo
che ora non si sentiva più in colpa per il fatto di non
potere avere figli, ma
per avermi ferito per mesi chiudendosi in se stessa, per avere
seriamente
considerato di tenere Hope senza dirlo a nessuno e per i mille
sentimenti che,
a parer mio, non doveva giustificare a nessuno. Neppure a me.
- “È
solo che ora che so
cosa vuol dire essere madre, mi sento tanto stupida. Come potevo
pensare che
partorire un bambino mi rendesse una madre più vera? Avevo questa convinzione che non
poterti dare un figlio
biologico mi rendesse inutile. Ero… beh, a un certo punto
stavo probabilmente
per impazzire.”
- “Non
stavi per
impazzire” esitai “Beh sì, forse un
po’ sì.”
- “Oh
grazie tante!” Mi
colpì scherzosamente alla pancia salvo poi posare il capo
sul mio cuore.
- “Tranquilla!
Posso
mettermi nei tuoi panni. Era qualcosa di importante che ti è
stato strappato.
Era ovvio che tu non stessi bene. Immagino come mi sentirei se un
giorno
diventassi pelato. Insomma, che ne farei di me stesso senza una parte
così
importante di me come la mia chioma?”
- Kris
soffocò le risate
contro la mia pelle e non potei non assaporare il piacere di poter
scherzare
con lei su quell’argomento. C’era stato un tempo in
cui non avremmo neppure
menzionato il fatto che non potesse avere figli. E adesso…
adesso potevamo
addirittura scherzarci su, farci una battuta di tanto in tanto per
esorcizzare
la cosa.
- Hope ci aveva
cambiati
e, forse, nel farlo, ci aveva anche salvati.
- “Mmm,
condivido” giocò
“Che cosa farebbe il genere umano senza i tuoi capelli?
Sarebbe un lutto per
tutto il genere femminile, di certo.”
- La sua risata
scemò e
dalla postura del suo corpo contro il mio capii che stava per dire
qualcosa di
serio.
- “Ricordi
la prima
volta che l’abbiamo portata a casa? Quando ci hanno detto che
poteva stare con
noi in affidamento?”
- “Come
fosse ieri.”
- “È
stato uno dei
momenti più belli della mia vita. E anche i mesi dopo.
Solo… ricordo anche il
terrore costante.”
- Sapevo
esattamente di
cosa parlava. Visto il chiaro legame che si era formato con la bambina
e il
fatto che eravamo candidati perfetti sia finanziariamente sia secondo i
test,
Hope ci era stata data in affidamento. Ma per quanto tempo? Mesi? Anni?
Avevamo
sin da subito avviato la richiesta di adozione vera e propria, visto
che la
polizia aveva chiuso il suo caso decretandola come minore abbandonato
senza
alcun genitore che si fosse mai fatto avanti a reclamarla, ma la
burocrazia era
quella che era e come facevamo ad essere certi che saremmo diventati
noi i suoi
veri genitori un giorno? Alla fine eravamo stati fortunati ma quei mesi
di
incertezza ci avevano logorati dentro. Tanto da farci esitare ad
ampliare la
nostra famiglia.
- “Sai
cosa mi
piacerebbe? Un figlio con i tuoi capelli leggendari”
mormorò.
- “Sì?”
risposi. Avevamo
affrontato qualche volta la possibilità di una madre
surrogato ma visto che gli
ovuli di Kristen erano inutilizzabili, avremmo dovuto usare quelli di
una
donatrice anonima. E l’ultima cosa che volevo era che lei si
sentisse tagliata
fuori e ricadesse nella stessa depressione di quattro anni prima.
“Sicura?”
- Annuì.
“Sarebbe una
parte di te e il regalo di qualcun altro. Certo che sono
sicura.”
- “Magari
nell’anno
nuovo, mm? Niente mi renderebbe più felice che avere un
altro figlio con te.”
- “Sì?”
- “Sì.”
- Baciai le sue
labbra
tiepide, accoccolandomi meglio contro di lei, conformandomi al suo
calore.
- Qualcosa mi
diceva che
per la prima volta da tre settimane a quella parte avrei dormito
perfettamente.
- E, in effetti,
fu
così, per lo meno per qualche ora. Alle sette di mattina
però ero già
perfettamente sveglio, nonostante fosse sabato e nonostante, per una
volta, non
dovessi essere su un set, su un aereo o a qualche show televisivo.
Dicevo
sempre di voler passare la giornata a poltrire a letto e poi, quando ne
avevo
la possibilità, che cosa facevo? Fissavo il soffitto mentre
mia moglie russava
piano al mio fianco. Non resistetti e presi il telefono, registrando il
suono
che usciva dalla sua bocca; era terribilmente cattivo da parte mia ma
ogni
volta che avevo tentato di dirle che russava, lei se ne era uscita
ribattendo
che era una bugia per prenderla in giro. Beh, ora avevo le
prove…
- Non resistetti
un
secondo di più a letto.
- C’era
qualcosa dentro
di me che mi faceva capire che non mi sarei più
riaddormentato, neppure
volendo. E non era per il russare di Kris, a cui tra l’altro
ero abituato da
anni. Era solo la voglia, pura e semplice, di attraversare il
corridoio,
entrare in camera di Hope, svegliarla e stringerla a me fino a
imprimermi di
nuovo in ogni poro della mia pelle il suo profumo di…
- Dio, neppure
sapevo
descriverlo. Un mix di aria e sole e vento e… e vaniglia.
- Non sapevo
perché ma
Hope profumava da sempre vagamente di vaniglia.
- Con un sorriso a
trentadue denti mi sporsi in camera sua, ma contrariamente a quanto
avevo
voluto fare, non la svegliai. Mi sedetti al suo fianco, sul suo lettino
rosa
che lei occupava solo in minima parte, raggomitolata com’era
in un angolo col
suo orsetto.
- I capelli rossi
erano
una matassa aggrovigliata sul capo che scostai con non poca fatica, ma
avrei
fatto qualunque cosa pur di vedere il suo visino. Erano state tre
settimane
terribilmente lunghe! Si stiracchiò un poco quando le mie
dita le sfiorarono la
fronte ma si rilassò subito. Sentii una stretta al cuore
quando mi accorsi che
in meno di un mese era cresciuta. Forse non di molto ma era certamente
più
grande. Ma com’era possibile? Non sarebbe dovuta restare una
bambina ancora per
molti e moltissimi anni? Possibilmente per sempre?
- Di questo passo
presto
sarebbe arrivata a casa con un ragazzo psicopatico, drogato o
alcolizzato che
l’avrebbe messa incinta e sarebbe finita in un orribile
matrimonio riparatore.
- OK, forse avevo
guardato per sbaglio qualche puntata di ’16
anni e incinta’ che mi aveva traumatizzato ma il
fatto era che lei era la
mia Hope, la mia bambina e di certo avrei fatto sì che la
sua vita fosse il più
perfetta possibile. E se questo significava comprare un quintale di
mattoni e costruirle
una torre…
- Ok, stavo
decisamente
impazzendo.
- Ma, forse, tutti
i
padri ad un certo punto avevano gli stessi pensieri assurdi ed
iperprotettivi.
- Un padre.
- Ecco
quello che ero. Solo qualche anno fa non
ci avrei neppure pensato. Poi era arrivata la notizia della
sterilità di Kris
che ci aveva investiti come un tornado e poi… poi era
arrivata Hope; e,
credetemi, anche lei ci aveva investiti. E aveva portato caos e giochi
sparsi
ovunque e pianti e capricci e risate e un numero imprecisato di ore a
guardare ‘Dora
l’esploratrice’, e di tutto questo
non avrei cambiato neppure una virgola. Avevo amato, e amavo, Kristen
alla
follia ma con Hope… con Hope sentivo un sentimento, una
proiettività che non
credevo fosse neppure umanamente possibile.
- Le carezzai le
labbra
col pollice e forse per reazione istintiva spalancò gli
occhioni blu che si
posarono, confusi ed eccitati su di me. Le bastò sbatterli
un paio di volte per
scacciare ogni traccia residua di sonno.
- “Sei
tonnato!”
- Mi
gettò le braccia al
collo e potei finalmente fare ciò che avevo desiderato sin
da quando avevo
aperto gli occhi. La abbracciai e sentii il suo profumo che mi era
mancato come
l’ossigeno.
- “Ma
mamma aveva detto
che tonnavi stasela!”
- “Beh
sì ma mi
mancavate, no? Comunque se preferisci me ne vado e ritorno stasera,
eh.”
- “No,
no, no!
Scherzavo!”
- Si
avvinghiò al mio
collo e la feci piroettare in aria finchè non si
scostò, fissandomi tutta
eccitata.
- “Preparami
le flitelle
per colazione!”
- Risi. Hope
sapeva che
le frittelle erano la sola cosa che non bruciavo in cucina e ogni volta
che
poteva ne approfittava.
- “Ai
suoi ordini,
principessa!”
- A
metà delle scale che
portavano al piano di sotto, Hope mi diede un lungo bacio sulla guancia.
- “Mi
sei mancato tanto
tanto tantissimissimissimo papà!”
- Papà.
- Chiusi gli occhi
e
riassaporai il ricordo della prima volta che quella parola le era
uscita dalla
bocca.
-
-
- “Riesci
a crederci?”
- Kris sussurrava
per non ricominciare a piangere. Le
massaggiavo la schiena come a volerla consolare, ma onestamente avevo
pianto
anche io. Avevo pianto quando l’assistente sociale ci aveva
detto che le
procedure per l’adozione definitiva erano andate a buon fine.
- Non era solo
più nostra ‘in affidamento’. Adesso era
davvero
nostra figlia. Agli occhi del mondo, degli altri e della legge lei era
nostra e
nessuno, nessuno, avrebbe più potuto portarcela via.
- “Sembra
un sogno…”
- Scossi il capo.
“Non lo è Kris, è la verità.
Te lo giuro. E’
qui, ed è reale ed è… la giornata
più bella della mia vita”
- Eppure mi
sbagliavo. Mi sbagliavo perché non sarebbe mai
stata assolutamente perfetta se non fosse accaduto ciò che
successe pochi
minuti dopo.
- Hope aveva
iniziato a parlare da un paio di mesi ma non ci eravamo
mai spinti a spronarla a chiamarci ‘mamma’ e
‘papà’; quelle erano parole
tabù,
nel caso non avessimo ottenuto l’adozione.
L’avvocato aveva detto che eravamo
candidati perfetti agli occhi della legge ma la paura… la
paura non se n’era
andata davvero finchè il giudice non aveva approvato in via
definitiva.
- Per questo
motivo quando lei balbettò, esitante ed incerta,
‘papà’ fra le mie braccia, rimasi
scioccato. Forse l’aveva sentito in tv o
forse Kris si era lasciata scappare quella parola qualche volta di
fronte a
lei.
- Non lo sapevo.
- Sapevo solo che
non potei frenare la lacrima che mi scese
lungo la guancia.
- “Adesso”
mormorai a Hope “Adesso è diventato davvero il
giorno più bello della mia vita.”
-
-
- “Mmm,
frittelle? E
senza di me?” Una Kris ancora terribilmente assonnata
entrò in cucina,
sfregandosi gli occhi. Mise su un adorabile broncio, mentre ci guardava
ingozzarci seduti al tavolo e Hope, per farla arrabbiare, si
spruzzò in bocca
le ultime gocce di sciroppo d’acero direttamente dal
barattolo.
- “Io e
papino abbiamo
fatto le flittelle e abbiamo finito tutto, tutto, tutto e anche tutto,
tutto,
tutto lo sciroppo!”
- “Ah
sì eh. Siete
veramente cattivi.”
- “Nooo,
scherzo! Papà
te ne ha lasciate due in forno al caldo”aggiunse Hope che non
riusciva a dire
bugie neppure per scherzo.
- “Wow
addirittura due?
Ti sei sprecato, mio caro.”
- Mi fece la
linguaccia
e quando si chinò per prendere il piatto dal forno, tirai
fuori il cellulare e
lo posai sul tavolo, avviando la riproduzione del suono che avevo
registrato
meno di un ora prima. Nostra figlia, che avevo già avvisato,
rise non appena
Kris sentì l’inconfondibile suono di un russare
provenire dall’apparecchio.
- Arrossì
e mi fissò a
occhi stretti come due fessure.
- “E
quello cosa diavolo
è?”
- “Sei
tu mamma!”
esclamò Hope “Russi!”
- Kris
spalancò la bocca
in modo assolutamente comico e puntò lo sguardo da me a
Hope, fintamente
sconvolta.
- “Siete
due persone
cattive. Molto, molto cattive.”
- Sia io che Hope
ridemmo ancora più forte e fummo salvati solo dal suono del
campanello del
cancello esterno a cui Kris andò a rispondere.
- Meno di un
minuto dopo
rientrò in cucina, guardando con orrore la tuta che aveva
indosso.
- “Dio,
proprio ora che
sono vestita così!” borbottò
“Tesoro, vai in camera tua a giocare mentre io e
papà parliamo con una persona?”
- “Ok,
vado a dare da
mangiare un pò di flittelle a Shirley licciolona
allora”
- Quando fu
trotterellata via mi sporsi verso Kris che stava cercando di dare una
forma
presentabile ai suoi capelli.
- “Chi
è?”
- “I
servizi sociali
inglesi.”
- “Davvero?”
domandai
confuso “A quest’ora?”
- Alzò
le spalle, senza
sapere che dire. “Beh avevano detto che anche se
l’abbiamo adottata ormai da
tre anni ci sarebbero state delle visite. Normale routine,
no?”
- In effetti non
era la
prima assistente sociale che veniva a fare un controllo ma questo era
successo
soprattutto il primo anno, poi si erano diradate ed ormai erano molti
mesi che
non ne avveniva una.
- Beh, nulla di
male, pensai.
In genere le donne che venivano erano persone molto gentili e
disponibili e
qualcuna, ok a essere sincero più di qualcuna, era
più eccitata di conoscere me
e Kris che di parlare con Hope.
- Ridacchiai.
“Abbaglierò anche lei col mio fascino,
vedrai.”
- Ma ogni voglia
di
ridere, ogni voglia di essere felice, ogni sensazione positiva che
avevo provato
da quando ero tornato a casa, fu spazzata via dalla donna che ci
trovammo
davanti pochi minuti dopo in salotto.
- Sui
trent’anni,
capelli biondo chiaro, vestita in modo elegante, chiaramente a disagio.
- Disse di
chiamarsi
Donna.
- Ci disse che,
sì, era venuta
per Hope.
- Ci disse che,
sì, era
venuta da Londra.
- Ma ci disse che,
no,
non era un assistente sociale.
- Ma fu quello che
disse
dopo a lasciarci totalmente sconvolti, impreparati.
- “La bambina che
avete
adottato. Io... io sono quasi certa…”
Indugiò, come se avesse appena commesso
un errore nel discorso che si era preparata. “No. Io sono certa che lei sia
mia.”
- _______________________
- Ehm... che dire...?
- Visto che questo è
l'ultimo capitolo del 2012, ci sentiamo nell'anno nuovo! ;)
- E' stato un anno pieno di alti
e bassi ma, tanto per citare ogni favola che si rispetti, il bene e
l'amore alla fine vincono sempre, no? :)
- Beh, forse non sempre, who
knows... AHAHA
- Fateci sapere che ne pensate
in una recensioncina. Ci fanno sempre tanto piacere
ç_ç Vabbè, a chi non fanno piacere?
AHAHAHA
- That said...
- Un bacio e buone feste
ancora!
- Cloe&Fio xx
|
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Capitolo 4 *** Never see you again ***
HNL - cap 1
- Salve gente!
Prima di tutto, ci scusiamo per il
ritardo e voglio essere sincera: dobbiamo ancora scrivere l'ultimo
capitolo quindi ci siamo prese un pò di tempo AHAHA Onestà, portami via
:') AHAHAHA
Ma si sa, è periodo di feste: gente da vedere, roba da
mangiare, regali da fare, roba da mangiare, parenti che invadono casa,
ancora roba da mangiare....
AHAHA sfido chiunque ad affermare di non essere ingrassato almeno un
chilo in queste feste .___.
Oggi è pure la befana, stamm' appost'! HAHAHA
Vabbè, le vostre befanine vi lasciano il capitolo!
Speriamo vi piaccia! Ci sentiamo in fondo :)
*________*
un bacio,
Cloe&Fio
(suggerimento
musicale) - che io amo adgfkjadfs ç_ç
-
-
- Pov Kristen
- “Non
ho mai conosciuto
i miei genitori, tutt’oggi non ho nemmeno idea di chi siano.
Ho vissuto i primi
cinque anni della mia vita in un orfanotrofio, uno di quelli vecchi
dove ci
sono suore che dovrebbero prendersi cura di te ma in realtà
non fanno altro che
renderti tutto più difficile. Ero una delle più
piccole lì. Non potevano
occuparsi di neonati e i bambini più piccoli di me erano
sempre e comunque
preferiti, tanto che mi chiedessi come facevano le bambina di dieci
anni ad avere
ancora speranza di essere adottate. Alcune non ci credevano
più, infatti.
Meredith era una di queste. La conobbi un giorno in cui strillavo come
una
pazza perché volevo la mia mamma, perché volevo
sapere dove fosse, e lei mi
prese in braccio, mi cullò e mi disse che sicuramente era in
cielo, ma che se
le parlavo poteva sentirmi lo stesso. Non so se avesse ragione, ma
decisi di
crederle e da quel momento fummo inseparabili per molto tempo. Lei era
due anni
più grande di me, per cui, quando ce lo dissero, fu
difficile credere che una
coppia fosse interessata a prendere due bambine, di cui una
già abbastanza
grandicella. Eppure fu così. Fummo adottate insieme, lo
stesso giorno, dalla
stessa coppia che ci fece sentire a casa in poco tempo.
- Joseph e Juliet
Blake
erano… persone speciali. Quel tipo di persone da cui puoi
aspettarti solo bene.
Io presi a chiamarli mamma e papà dopo qualche mese,
Meredith non ci riuscì mai
e in cuor mio sapevo che quelle volte che lo faceva, lo faceva solo per
me. In
cuor mio sapevo che, in fondo, era uno spirito libero e che si trovava
in
quella casa solo ed esclusivamente per me… Nonostante
questo, fu un duro colpo
quando a venti anni, fece le valigie e lasciò casa. Aveva
conosciuto un ragazzo
Amish e, beh, non so se voi sappiate qualcosa della loro
cultura… Sono una
comunità religiosa, arretrati, chiusi, attaccati a dei
principi guida che li
tengono quanto più possibile lontani dalla civilizzazione.
Vivono per conto
loro, nelle loro comunità ristrette, piccole o grandi che
siano. Non è
difficile immaginare che i nostri genitori non fossero per nulla
d’accordo con
questo connubio. Avevano grandi piani per noi: Meredith aveva iniziato
la
facoltà di medicina, le piaceva anche, voleva diventare una
ginecologa o una
pediatra, ancora non lo sapeva, ma le piaceva.
- Ma forse
è vero quello
che si dice, che l’amore rende ciechi…
perché lei non guardò in faccia a
nessuno e non esitò a voltarci le spalle per seguirlo,
nonostante le differenze
culturali. Era così presa e innamorata da rinunciare a
quello che era per
diventare qualcun altro, qualcuno di nuovo insieme a lui, e noi cosa
potevamo
fare?
- I nostri
genitori
tennero il punto, convinti che prima o poi sarebbe tornata sui suoi
passi e
impedirono anche a me di avere rapporti con loro; per molto tempo non
sono
riuscita a rintracciarli in nessun modo e mi convinsi io stessa che, in
fondo,
era meglio così, che lei non volesse essere trovata, che
dopotutto era una vita
che non aveva mai voluto veramente… Così la
lasciai andare.
- Gli anni
passarono e
ormai Meredith era diventata solo un ricordo nel cuore e una fotografia
sul
comodino…
- Quando i nostri
genitori morirono in un incidente d’auto, circa sei anni fa,
decisi di
scriverle. Dovevo metterla al corrente, volevo che fosse presente per
loro e
per me, volevo che ci fosse per capire come ogni cosa passi in secondo
piano
davanti alla morte… Ma lei non si presentò. Le
scrissi ancora dicendole che…
che era un’ingrata, che avrebbe potuto fare uno sforzo e che
la odiavo, ma che
ero ancora disposta a chiarire e se avesse voluto poteva raggiungermi
sull’isola di Wight dove mi sarei trasferita in una casa
lasciataci in eredità
dai nostri genitori. Ancora una volta non ebbi risposta; mi chiesi
anche se
avesse effettivamente ricevuto quelle lettere ma darmi il tormento non
serviva
a nulla, così la lasciai andare, ancora una volta. Pensavo
che sarebbe stata la
definitiva, quando a inizio febbraio 2013 ricevetti una telefonata che
mi
informava del ritrovamento di due corpi in mare, nei pressi
dell’isola, e del
bisogno di un accertamento della loro identità.
- Mi
bastò guardare una
sola volta per perdere tutto ciò che era rimasto della mia
famiglia. Il dolore
di aver perso tutto, la rabbia, la consapevolezza che era colpa mia mi
portarono a partire, nemmeno un mese dopo, per una missione di
volontariato in
Africa. Dovevo restarci un anno, ma poi divennero due, poi
tre…
- L’Africa
era
semplicemente il luogo perfetto per dimenticare il mio dolore e pensare
a
quello degli altri. Mi ci sono rifugiata per tanto tempo prima di
capire che
non potevo davvero aiutare chi soffriva più di me se non
avessi risolto le mie
proprie sofferenze, così sono tornata in America, sono
andata in Ohio, alla
comunità di Amish in cui, sapevo, appartenevano mia sorella
e il marito.
- Era giunto il
momento
di affrontare il passato e cercare delle risposte che mi liberassero
del mio
senso di colpa… e le trovai! Ma non furono la sola cosa che
scoprii quando mi
recai lì.
- Quando mi
presentai a
raccontai di ciò che era successo a Meredith, nessuno sapeva
niente, credevano
che avessero semplicemente deciso di partire e che si fossero staccati
dalla
vita Amish. In fondo non era per nulla concepito per loro prendere un
aereo e
raggiungere Londra, anche se era per rivedere una sorella
perduta…
- Fu allora,
quando
insieme iniziarono a pregare per le loro anime e per quella della
povera
piccola, che scoprii che Meredith aveva avuto una bambina.
- Mia sorella era
incinta e io non lo sapevo nemmeno. Si era messa su una barca con una
bambina
di un mese per raggiungermi e l’ultima cosa che aveva
ricevuto da me era solo
odio…
- Non potevo
crederci
all’inizio, ma fui portata a quella che era la loro casa e mi
diedero il
permesso di restare tutto il tempo di cui avevo bisogno. Iniziai a
cercare
qualcosa… Qualsiasi cosa che provasse che non era vero, che
era tutto un grande
errore, ma trovai il suo diario. Pagine piene dei ricordi della
gravidanza, del
primo mese di vita, dei suoi rimorsi, dei piani del viaggio…
e ritratti piegati
di una piccola neonata in fasce e una fotografia.
- Piansi su quelle
pagine così a lungo… Per mia sorella, per suo
marito, ma soprattutto per quella
povera piccola perché… che speranze aveva potuto
avere di affrontare una
tempesta su una barchetta di legno?
- E fu allora che
iniziai a collegare ogni cosa e tutto combaciava alla
perfezione.”
- Strinsi il
braccio di
Rob, seduto proprio accanto a me. Avevo ascoltato ogni parola di quella
donna,
senza interromperla come lei aveva gentilmente richiesto, e avevo
sperato di
poter tirare un sospiro di sollievo alla fine, di capire che si
trattava di
qualche malinteso o di qualche scherzo idiota, ma il respiro non
accennava a
tornare. Anzi, ogni secondo, ogni parola, mi sentivo morire un
po’ di più.
- Nessuno dei due
fu in
grado di dire nulla, probabilmente entrambi chiedendoci quale fosse
l’inganno
che doveva esserci sotto l’intera storia, decisamente ben
elaborata; avremmo
potuto spegnarla in un secondo, ma nessuno de due fiatò, e
fu lei a continuare.
- “Io…
mi dispiace, io
non mi sarei mai permessa di venire qui, a casa vostra, a sconvolgere
la vostra
vita se non ne fossi totalmente sicura.”
- Sconvolgere?
Sconvolgere cosa? Quale vita? Non c’era proprio niente da
sconvolgere, solo
tutto da appurare e da verificare, e se anche una minima parte di
quella storia
fosse stata vera, ormai era tardi per qualsiasi cosa.
- Non
c’era nulla da
sconvolgere, se non il jet leg di questa donna che presto avrebbe fatto
ritorno
a casa sua.
- “Sono
stata due mesi a
fare ricerche e ad assicurarmi che tutto avesse un senso, ma
più andavo avanti
più capivo che non poteva esserci altra spiegazione. Non
capita tutti i giorni
di ritrovare un neonato abbandonato in una barca su un’isola
minuscola e di
trovare due cadaveri sugli scogli della stessa isola appena due mesi
dopo.”
- A quel punto fu
Rob a
parlare, prendendomi totalmente alla sprovvista. “Senta,
Donna… giusto? Io…
noi… Siamo addolorati per quello che le è
successo, ai suoi genitori, a sua
sorella, ma temo che non ci siano modi per essere totalmente sicuri che
si
tratti della stessa bambina, purtroppo. Certo le vie per esclusione
sono
consistenti ma non totalmente valide.”
- “La
vostra bambina ha
una voglia, vero?”
- Gelai, e Rob
insieme a
me. Lo sentii irrigidirsi sotto al mio tocco e divenimmo un unico pezzo
di
marmo.
- “C…
come?”
- “Una
piccola macchiolina
scura, vicino all’ombelico. Proprio come questa.”
- E nel dirlo
estrasse
dalla borsa una foto di una neonata. Era color seppia e un
po’ stropicciata ma
non avevo bisogno di colori e di una stiratura per riconoscere la mia
bambina;
ci sarei riuscita anche ad occhi chiusi.
- E
quella… quella era
proprio lei. Il piccolo fagotto che avevo trovato quella fredda notte
sulla
spiaggia, la speranza per cui avevo lottato, il piccolo angelo che era
entrato
nella mia vita, con quella sua peculiare macchiolina scura che avevo
sempre
adorato e che ora diventava un banale segno di riconoscimento, un
infame
traditore.
- A quel punto la
mia
gola già secca si prosciugò totalmente e, sebbene
volessi, non ebbi la forza di
dire nulla.
- “La
piccola si chiama
Sophie, Sophie Charlotte Bennett ed è nata il 7 novembre
2012. Ecco, è scritto
tutto sul diario. Potete tenerlo per un po’, se volete, e
leggerlo.”
- Non osai nemmeno
allungare la mano per afferrare il quaderno di cuoio marrone che ci
stava
allungando, né lo fece Rob, così lo depose
semplicemente sul piccolo tavolino
che separava il nostri divano dal suo.
- Calò
un silenzio
assordante e decisi di porre fine a tutto e andare al punto.
L’ansia mi stava
uccidendo e non potevo sopportare di vivere altri cinque minuti a
chiedermi cosa
quella donna volesse effettivamente da noi.
- “Io…
la ringrazio per
averci cercati ed essersi accertata di tutto prima di venire qui
ma… mi
sfuggono i suoi scopi ad essere sincera. Si è presentata
affermando che la
bambina è sua ma noi abbiamo concluso le procedure di
adozione già tre anni fa
perciò…”
- “Sì,
lo so… Ma tra le
cose di mia sorella ho trovato anche questo.”
- Ancora una volta
dovetti sopportare la vista di quella mano che allungava un qualcosa
sotto i
nostri occhi e mentre l’afferravo riuscivo solo a chiedermi
quando sarebbe
finita quella atroce tortura; e invece mi bastò
un’occhiata su quel foglio per
rendermi conto che era appena cominciata.
- Era un
testamento. Era
un cazzo di testamento firmato, timbrato e controfirmato da un notaio,
in data
3 dicembre 2012, in cui la suddetta Meredith dichiarava, in caso di
morte o
scomparsa, di lasciare il suo unico vero bene alla sorella, Donna
Blake, che si
sarebbe presa cura della bambina provvedendo ai suoi bisogni e
perseguendo il
suo bene e la sua felicità.
- Se qualcuno mi
avesse
chiesto in quale momento della mia vita mi sono sentita morire, adesso
avrei
saputo rispondere senza esitazioni.
- Rob strinse il
foglio
in un pugno e prese a respirare in modo molto irregolare.
- “Sono
passati anni
ormai. Questo non può avere ancora validità dopo
tutto quello che è successo e
dopo tutto il tempo che è passato.”
- “Lo
pensavo anche io,
ma come vi ho detto mi sono bene informata prima di venire da voi e,
certo non
è un caso comune, ma non sono da sottovalutare tutte le
condizioni e le
situazioni che si sono presentate per cui non si tratterebbe di un caso
fortuito.”
- “Mi
dispiace se le
rovino i piani, ma davvero pensa che le convenga iniziare una guerra
civilista
contro di noi?”
- Rob mi sorprese,
perché avrei detto le stesse cose se non mi avesse
anticipato di pochi secondi.
- “Mi
sta forse
minacciando?”
- “Non
mi permetterei
mai, ma non ho di certo intenzione di abboccare all’amo al
primo colpo.
Contatteremo i nostri avvocati e andremo in fondo a questa
storia.”
- “Non
chiedo altro. So
che posso apparire come la cattiva di turno qui, e se avrò
torto sarò la prima
a fare un passo indietro, ma se c’è una
possibilità di avere quello che mi
spetta, combatterò fino alla fine.”
- A quel punto
scoppiai.
“Quello che le spetta!? Ma crede di avere a che fare con un
pezzo di terra, per
caso!? È una bambina. Stiamo parlando di una
bambina!”
- “E non
è sua.”
- “È
mia molto più di
quanto potrebbe mai essere sua.”
- Donna
chinò il viso e
assunse un’espressione di onesto rammarico.
“Sentite, a me dispiace, davvero, e
non era mia intenzione esprimermi in questo modo. Ma lei è
l’unica famiglia che
ho, l’ultima parte che mi è rimasta di mia sorella
e lei voleva che l’avessi
io…”
- “Questo
lo vedremo...”
ringhiai tra i denti proprio mentre sentii i passi di Hope sulle scale
e la sua
vocina chiamarci già da lontano.
- “Mammaaaaa!”
urlò,
entrando nel salone e saltellando fino a gettare le braccia alla mia
vita. La
strinsi d’istinto mentre lei alzavi il viso e lo posava sul
mio petto “Mami mi
sono scocciata di giocare. Quando mangiamo? Ho fameee.”
- “Sì…
sì… ora… Ora la
mamma ti prepara qualcosa…”
- “Sophie…”
- Donna aveva
riaperto
bocca, per dire la cosa più sbagliata che potesse dire in
quel momento. Alzai
gli occhi per fulminarla ma lei non colse il mio sguardo, troppo presa
a
fissare Hope come se non credesse ai suoi occhi, come se fino ad allora
non
avesse ancora realizzato che la bambina esistesse davvero.
- Probabilmente
era
davvero quello che stava pensando, dal momento in cui notai i suoi
occhi farsi
sempre più lucidi.
- “Mamma,
chi è
Sophie…?” sussurrò Hope, nascondendo il
viso dietro il mio braccio protettivo.
- “Nessuno,
tesoro.”
- “E chi
è quetta
signora? Perché sta qui?”
- Non ebbe mai
risposta
alla sua domanda perché Rob si alzò,
improvvisamente, e la prese in braccio.
- “Penso
sia il caso che
ora se ne vada, signorina Blake.”
- Donna ci mise
qualche
secondo per elaborare quelle parole e distogliere da Hope quello
sguardo così
intrusivo e fastidioso.
- “Ce…
certo. Vi lascio
il biglietto da visita del mio legale ma di sicuro sarà lui
stesso a contattare
il vostro. Ad ogni modo io sarò in città per una
settimana, dopo di ché dovrò
ripartire quindi spero che si riesca a trovare una soluzione, almeno
temporanea, per allora.”
- “La
porta è da questa
parte” rispose Rob, imperterrito e totalmente scortese e
maleducato. Ma
d’altronde, chi poteva dargli torto?
- Io non ebbi la
forza
di muovere un muscolo; mi limitai a stare ferma sul posto e aspettare
che
quella donna uscisse di casa nostra.
- “Sei
bellissima,
piccolina…” disse ad Hope e allungò una
mano per carezzarle il viso ma lei si
scansò totalmente nascondendo la testa nel collo di Rob e
stringendo le
braccine attorno a lui.
- Fu il suo
congedo
definitivo.
- “Papi,
ma chi ela…?”
- “Nessuno,
amore mio.
Su, andiamo a mangiare qualcosa. Va tutto bene.”
- E se Hope non
fosse
stata solo un’innocente bimba di quattro anni, avrebbe capito
facilmente che
era una bugia dal modo in cui Rob la strinse a sé e la
baciò.
- Passammo tutta
la
giornata tra telefono, carte, internet e persino il codice civile, ma
non
avemmo le risposte che cercavamo e soprattutto non quelle che speravamo.
- Era ancora tutto
così
incerto da dare il mal di testa solo a pensarci. Il caso era troppo
particolare
per essere discusso per telefono per cui prendemmo appuntamento con i
nostri
legali per l’indomani.
- Hope intanto
aveva
capito che qualcosa non andava e, quando l’avevo messa a
letto, si era gettata
tra le mie braccia e aveva sussurrato: “Che succede, mami? Tu
e papà avete
litigato? Ti plego, non vi lassiate pelò! Ti
plego!”
- E se il mio
cuore
aveva smesso di battere quella mattina, ora si era proprio spezzato, in
un
milione di piccoli pezzi e mi chiesi se potesse esserci altro che
poteva
sopportare e come avrei fatto se… se…
- “No,
amore. No! Non
piangere! Non ci lasciamo. Non ci lasceremo mai… Non ti
lasceremo mai, okay?”
- Lei
annuì nell’incavo
del mio collo e vi lasciò un dolcissimo bacio, mentre io
pregavo solo di poter
essere in grado di mantenere quella promessa.
- Ci misi un
po’ a
calmarla del tutto, mi stesi accanto a lei per leggerle una storia ma
solo
quando le canticchiai qualcosa iniziò a chiudere gli occhi.
- Avrei voluto
essere
come lei in quel momento; avrei voluto qualcuno che mi dicesse che
sarebbe
andato tutto bene e che non ci saremmo mai lasciati e avrei voluto
avere quella
ingenuità necessaria per crederci senza averne il minimo
dubbio.
- Restai per molto
tempo
a guardarla dormire, come non facevo da quando le pratiche di adozione
non
erano ancora ultimate e c’era sempre la paura che ci fosse
qualche intoppo o
qualche clausola sfavorevole all’ultimo minuto; come non
facevo dall’ultima
volta in cui avevo davvero temuto che potesse non essere mia e che me
la
portassero via.
- Lasciai
scivolare una
lacrima che cadde, bagnando il suo viso. Lo carezzai con
l’indice e la
raccolsi, desiderosa di rimetterla al suo posto e piangerla ancora e
ancora
perché… non avevo la forza di piangere lacrime
nuove. Avrei voluto che almeno
nel pianto avessi una sicurezza, avrei voluto quell’unica,
sola lacrima a
scendere in continuazione, bloccata in quel frammento di tempo, senza
andare
avanti. Nascere, crescere, cadere, morire, rinascere…
- Proprio quando
chiusi
gli occhi solo un’istante per desiderare che fosse tutto un
incubo, sentii i
passi di Rob sulla porta e lo guardai, scioccamente carica di
aspettative, ma
ottenni solo una scrollata di spalle e un viso preoccupato.
- Nonostante
tutto,
venne a stendersi accanto a noi; la mia schiena contro il suo petto,
una mano
che stringeva la mia vita e le sue labbra che sussurravano al mio
orecchio che
sarebbe andato tutto bene e che non ci saremmo mai lasciati.
-
-
- E ci avevo
creduto, ci
avevo creduto davvero che, in fondo, sarebbe andato tutto bene e che
non ci
saremmo mai lasciati. Ci avevo creduto dal primo momento e ancora ci
credevo
mentre guardavo Hope ancora addormentata accanto a me. Ci avevo creduto
perché
non potevo permettermi di pensarla diversamente, ma una piccola voce
dentro di
me, me lo aveva detto di non crederci troppo altrimenti mi sarei
ritrovata
vuota, e infatti era esattamente il modo in cui mi sentivo in quel
momento:
vuota. Ed Hope era ancora con me. Non potevo immaginare quello che
avrei
provato quando me l’avrebbero portata via.
- Avevamo passato
una
settimana intera a parlare con gli avvocati ma non c’era
verso di avviare un
processo e chiuderlo prima di mesi. Era una situazione troppo
complicata, che
richiedeva verifiche e controlli precisi e studiati: un percorso troppo
lungo;
un percorso durante il quale, come stabilito dal mediatore, Hope
sarebbe dovuta
stare con la sua effettiva tutrice.
- C’era
qualcosa
riguardo i tempi di scomparsa e morte presunta che non tornava con i
tempi
dell’adozione. Nonostante i genitori di Hope fossero stati
dichiarati morti,
nessuno sapeva della bambina per cui il caso poteva effettivamente
rientrare
nelle condizioni di ignoranza del fatto stesso per cause esterne.
- Nello stato
della
California non c’erano precedenti del genere e i continui
contatti con l’isola
di Wight per verificare fatti e versioni rendevano tutto più
difficile.
- Intanto noi
portavamo avanti
la nostra causa e non ci saremmo arresi finché non avremmo
avuto nuovamente la
certezza che Hope era ormai nostra.
- Era me che
chiamava mamma, Rob che chiamava papà. Chiamava noi se aveva
fame, sete,
sonno. Se voleva giocare, se voleva che le raccontassimo una favola, se
voleva
un giocattolo, se voleva che le pettinassi i capelli… ogni
cosa, ogni piccola
cosa del suo universo girava attorno a noi e, per quanto cercassero di
convincermi del contrario, io credevo fermamente che quattro anni
è un’età abbastanza
matura per ricordare un trauma come un allontanamento da quelli che
sono i tuoi
genitori.
- Certo, ad Hope
avevamo
raccontato di come l’avevamo trovata; l’avevamo
posta come una specie di favola
di cui lei era la protagonista e ne era rimasta quasi estasiata.
Ovviamente non
poteva davvero rendersi conto di cosa volesse dire, non faceva mai
domande sui
suoi genitori perché eravamo noi. Solo noi.
- Di certo non
avrebbe
mai creduto che un’ombra del suo passato sarebbe tornata a
riprendersela. E
nemmeno noi…
- Le carezzai i
capelli
rossi e una guancia col dito proprio mentre apriva gli occhietti.
- Era ancora
stanca, si
vedeva bene. Avevamo festeggiato il suo effettivo compleanno appena la
sera
prima, il giorno prima della sua partenza, ma non eravamo riusciti a
spiegarle
come e per quale motivo sarebbe dovuta andare via da noi per un
po’.
- Avevo preferito
farlo
poche ore prima, per evitare troppe domande, lacrime e spiegazioni che
non
avrei saputo dare.
- “Ciao
mamma…” salutò
con uno sbadiglio.
- “Ciao,
amore mio…”
- “Dov’è
papi?”
- “È
giù a farti le
frittelle.”
- A quelle parole
i suoi
occhi si spalancarono e un sorriso enorme le dipinse il visto mentre
metteva a
sedersi in un secondo.
- “Flittelleeeee!
Che
belloooo! Lo vado ad aiutareeee!”
- “No,
tesoro, aspetta!”
- La fermai,
perché
proprio non potevo più rimandare, anche se non sapevo dove
avrei trovato le
forze e le parole.
- La presi in
braccio e
me la sistemai sulle mia gambe. Presi un profondo respiro e cercai di
parlarle
nel modo più sereno possibile. “Amore ti ricordi
la signora che è stata qui
ieri per il tuo compleanno?”
- Annuì.
“Donna? Quella
che ti chiama così?”
- “Sì,
lei.”
- “Okay.
Che ha fatto?”
- “No…
non ha fatto
niente. Solo che…” dio,
dammi la forza.
“Ti ricordi quando io e papà ti abbiamo parlato
della spiaggia, della barchetta
e della tua vera mamma e del tuo vero
papà…?”
- “…
quelli nella
favola?”
- “Sì,
tesoro. Quelli
nella favola. Però ora nella favola c’è
anche Donna. Lei è la sorella della
mamma che stava sulla barchetta con te… e devi andare a
stare con lei per un po’…”
- Hope assunse
un’espressione confusa.
“Pecché…?”
- Ecco.
“Beh… Perché io
e papà dobbiamo fare un viaggio lungo
lungo…”
- “E non
potto venire
con voi anche io?”
- “No,
tesoro. Questo
viaggio è troppo lungo e i bambini piccoli come te non
possono venire. È noioso
e ti stancheresti subito.”
- “Non
mi impotta.
Vollio venire pure io!”
- Scossi il capo.
“Non
puoi amore, però è davvero davvero importante che
io e papà andiamo. Vedrai che
starai bene e poi alla fine del viaggio passiamo a prenderti,
okay?”
- Non sembrava
molto okay per lei, tanto che le si
riempirono
gli occhi di lacrime.
- “Ma
pel quanto
tempo…?”
- “Poco,
coccinella. Un
mesetto e poi torniamo a prenderti. Va bene così?”
- Lei non rispose
e una
lacrima calda le scese sul viso mentre prendeva i miei capelli e li
carezzava
molo lentamente.
- “Non
potto ploprio
venire?”
- Questa volta non
riuscii a rispondere; era decisamente troppo. La strinsi semplicemente
a me e
lei si accucciò sul mio petto e si lasciò cullare
a lungo, finché Rob non entrò
in camera e trovò quello che doveva essere il quadro
più triste a cui potesse
assistere in quella situazione di merda.
- Serrò
la mascella e
gli bastò un mio cenno del capo per capire che glielo avevo
detto.
- Posò
sul comodino la
forchetta che aveva in mano e prese Hope da dietro per poi stringersela
al
petto.
- “Cucciolina,
papà ha
fatto le frittelle! Andiamo a mangiarle, su!”
- Hope scosse il
capo.
“Non le vollio.”
- “Come
non le vuoi?!
Guarda che mi sono impegnato e suono venute più buone di
sempre! Devi mangiarle
per forza!”
- “Non
ho fame…”
- “Aaaah!
Non fare la
sciocchina! Andiamo che ci mettiamo anche le gocce di cioccolata
sopra!” disse
ancora, cercando di tirarla su, prima di lasciare la stanza e lasciare
me e le
mie lacrime silenziose.
- Come un automa,
riposi
in un borsone un po’ di roba di Hope che avevo preparato la
notte prima e,
quando scesi giù, Hope e Rob mangiavano frittelle come se
nulla fosse, come se
fosse solo un altro giorno della nostra famiglia, come se fosse tutto
come
prima, tutto un incubo, tutto dimenticato, tutto andato.
- E
l’attesa snervante
che seguì la colazione fu la parte più terribile
di tutto il teatrino. Era uno
di quei momenti in cui sai che qualcosa sta per finire e vorresti solo
fermare
la tua vita nel momento adatto, un momento in cui si è
ancora tutti insieme.
- Ecco, avrei
voluto
fermare la mia vita a quella colazione di appena due ore prima, avrei
voluto
fermare tutto, avrei voluto non dover preparare Hope, lavarla e
vestirla
sapendo che non l’avrei fatto per troppo tempo, avrei voluto
non doverle
asciugare le lacrime ancora e ancora, avrei voluto non farla piangere
mai,
avrei voluto non spiegarle ancora ciò che stava succedendo
con una scusa così
futile che non reggeva col bisogno che avevo di tenerla con me per
sempre,
avrei voluto non sentire mai quel campanello, avrei voluto non doverla
lasciar
andare.
- “Okay,
tesoro. Ci
siamo. Ricorda che è solo per poco tempo e che ci vediamo
presto presto. E ti
chiamiamo due volte alla settimana perché dove andiamo non
c’è molta linea,
però ti penseremo sempre, e saremo sempre con te.”
- Presi una
collanina
dalle tasche dei jeans e gliela misi al collo. Era un semplicissimo
ciondolo a
forma di cuore con inciso Here
sopra.
- “Proprio
qui…”
premetti la mia mano sul ciondolo. “Sempre qui.”
- Hope
annuì col capo
chino e tirò su con il naso prima di gettarmi le braccia al
collo e stringermi
come mai aveva fatto fino a quel momento.
- Avrei voluto che
passasse una vita intera prima di dovermi fare forza e scendere quelle
scale
con la mia bambina in braccio.
- Il suo borsone
era già
all’ingresso, accanto a Donna che aspettava sulla porta
insieme a Rob.
- Non
l’avevo mai visto
più morto dentro come era stato in quei giorni, ma mi
bastò un secondo per
guardarlo e capire che non avevo ancora visto niente.
- Ci venne
incontro.
“Vieni qui, cucciola…”
- E Hope si
buttò tra le
sue braccia e iniziò a piangere, molto silenziosamente, come
se sapesse davvero
che non era un addio ma solo un arrivederci.
- “Un
mese. Avete
plomesso…” disse tra un respiro mozzato e un altro.
- “Un
mese, tesoro. Un
mese” promise ancora Rob e io non osai guardare Donna per
vedere qualunque
espressione avesse in viso di fronte a quella promessa. Non
c’era ragione di
prenderla in nessun modo visto che avevamo già stabilito che
per nessun motivo
al mondo avremmo rinunciato a un Natale con nostra figlia. Quella era
la nostra
festa, il nostro giorno e niente e nessuno avrebbe potuto tenerci
separati.
- Rob mise Hope a
terra
e io mi chinai insieme a loro per abbracciarla ancora.
- E lei ancora si
strinse a me, più forte di prima, come se sentisse come ogni
abbraccio potesse
essere l’ultimo, almeno per un po’.
- Eppure fu lei a
staccarsi per prima.
- Mi
carezzò una guancia
con la manina e ci guardammo negli occhi per perderci insieme e non
lasciarci
più.
- “Tu
sei la sola vela
mamma per me…”
- Il mio cuore si
spezzò, lo sentii andare in frantumi ma le sorrisi e
ricambiai la carezza.
- “Sì,
tesoro. Lo sono…”
- Ci abbracciammo
per
l’ennesima volta prima che Rob la baciasse ovunque e le
mettesse tra le mani il
suo coniglietto di pezza.
- “Non
dimenticare Mr
Rabbit. Sai che non può stare senza di te.”
- “Andiamo
Mistel
Labbit! Tanto tonniamo presto. Ciao Beal, ciao Bernie. Ci vediamo
presto. Fate
i blavi!” abbracciò i due cani che erano alti
quasi quanto lei.
- Misi una mano
davanti
la bocca per bloccare qualsiasi suono stesse per uscire e restai a
guardarla
mentre camminava verso Donna che la chiamava.
- “Su,
Sophie, o
perdiamo l’aereo. Ci sei mai stata su un aereo? È
bellissimo! Ti ho prenotato
il posto accanto al finestrino così puoi vedere tutto e in
borsa ho gli Oreo
per il viaggio. So che ti piacciono molto, vero? Ho anche
l’iPad con me, con
tanti giochi sopra per passare il tempo. Tu lo sai usare? Io sono
negata,
magari mi insegni. Vedrai che starai bene, te lo prometto.”
- Hope aveva
già preso
molti aerei, amava gli Oreo e sapeva usare un iPad abbastanza bene, ma
non
rispose a nessuna delle sue domande.
- “Io mi
chiamo Hope” fu
tutto quello che disse prima di voltarsi a guardarci.
- “Un
mese… plomesso?”
sussurrò sperando che Donna non la sentisse.
- “Promesso…”
sussurrai
anche io e le lanciai un bacio.
- Lei lo
afferrò, come
facevamo sempre, e me lo rimandò. Lo afferrai anche io e
posai la mano sul
cuore.
- Lei strinse il
ciondolo e Mr Rabbit e si voltò per l’ultima
volta, perché non ci guardò più
mentre percorreva il vialetto e saliva sul taxi.
- Quella era stata
l’ultima
immagine che aveva voluto conservare di noi ed ero contenta
perché, almeno per
lei, il mio cuore era ancora intatto.
-
-
- Inutile dire che
quelli che seguirono furono i quarantacinque giorni più
lunghi, lenti e pesanti
della mia vita. il tempo sembrava non passare mai e vivevo praticamente
in
funzione delle telefonate settimanali con Hope che, puntualmente, ci
chiedeva
cosa stessimo facendo esattamente e quanto tempo ancora ci avremmo
impiegato.
- Sapere di essere
lontana da lei ma di poterla raggiungere quando avrei voluto e non
poterlo
fare, rendeva tutto terribilmente frustrante. Inizialmente avevo anche
pensato
di trasferirci sull’isola così da poterla vedere;
non importava tanto che lei
vedesse noi, ma almeno avrei avuto la certezza visiva di come stesse.
Rob
ovviamente aveva bocciato l’idea ricordandomi le parole del
mediatore
sull’essere quanto più aperti e disponibili
possibili durante la risoluzione
definitiva della cosa. Mostrarci gentili e accondiscendenti a tutto
ciò che era
reputato sano e per il bene di Hope, non avrebbe fatto altro che
metterci in
luce davanti al giudice; c’era un unico particolare che
però stonava in quella
canzone mal accordata: il bene per Hope eravamo noi. Io lo sapevo, il
mediatore
lo sapeva, forse lo sapeva anche Donna eppure faceva di tutto per
tenersi
quella parte di vita che, in fondo, non le era mai appartenuta.
- E più
andavamo avanti
con i giorni, più Hope era entusiasta del nostro ritorno,
più mi rendevo conto
che avrei dovuto dirle che non era sicuro che significasse che lei
potesse
tornare con noi. Inizialmente non lo avevo fatto perché
speravo che le cose si
risolvessero nel giro di un mese, poi non avevo semplicemente avuto il
coraggio, ed ora ero lì. Sull’isola di Wight,
sullo stesso suolo di mia figlia;
avrei potuto girare per l’isola fino a trovarla e sperare di
incontrarla per
strada ma non potevo scombussolare i piani in quel modo. Eravamo attesi
per il
giorno dopo in modo da passare la vigilia di Natale e il giorno di
Natale
insieme, come avevamo sempre fatto, ma io non potevo non pensare a un
albero di
Natale che non era stato addobbato con noi, a vestitini rossi che non
ero stata
io a metterle, a calze che non erano state appese al camino.
- C’era
qualcosa di
tremendamente sbagliato in tutto ciò; nulla aveva senso. Era
semplicemente
sbagliato.
- Persa nei miei
pensieri non mi ero nemmeno accorta di aver lasciato la veranda e aver
preso a
camminare per la spiaggia finché non avevo raggiunto quel
posto che da cui io e
Rob esprimevamo i nostri desideri da sempre.
- Peccato che il
cielo
fosse ancora troppo chiaro; avrei tanto voluto vedere almeno una
stella, anche
se non fosse stata cadente, solo per sperare che Hope stesse bene. Non
sarebbe
dovuta cadere per me; poteva restarsene lì a vegliare sulla
mia bambina e io
non avrei mai voluto che cadesse.
- Ero
così catturata
dalle immagini dei miei desideri da credere di stare sognando quando
sentii
l’inconfondibile vocina di Hope mormorare qualcosa che non
riuscii a capire.
- Forse stavo
decisamente sognando, pensai; ma poi giunse forte e chiara, di nuovo.
- “Ecco!
È quetto! Ci
siamooooo!”
- E io mi voltai e
dalla
piccola altura di scogli su cui mi trovavo, la vidi, a metà
spiaggia, la mia
bambina che si faceva strada tra quei luoghi così familiari
per lei. Doveva
averli cercati tanto durante quel mese, pensai mentre mi soffermai a
guardarla
aspettando che alzasse gli occhi solo un secondo e si accorgesse di me.
- Doveva farlo.
Doveva
alzare il capo e vedermi. Non potevo chiamarla, non potevo interferire,
ma se
era destino allora avrebbe alzato il viso e mi avrebbe vista.
- E lo fece. Fu
una
frazione di secondi in cui sicuramente anche lei credette di stare
sognando, ma
poi ci guardammo meglio e ci riconoscemmo all’instante.
- “MAMMAAAAA!”
ripeté
diverse volte mentre correva verso di me e solo il sentire di nuovo
quel suono
mi fece capire quanto mi fosse mancato davvero, quanta fosse stata
enorme la
mia paura di non sentirlo mai più.
- Le corsi
incontro a
mia volta e la presi in braccio. La strinsi a me più forte
che potevo e la
baciai ovunque mentre lei continuava a chiamarmi.
- “Lo
sapevo che stavi
qui! Pelò siete in ritaddo! Avevate detto un mese e invece
sono passati più
gionni!”
- Non avrei mai
creduto
che se ne potesse accorgere o che portasse il conto ma era evidente che
la
lontananza non aveva giovato a nessuno, su nessun fronte.
- “Hai
ragione, amore.
Scusaci!”
- “Non
fa niente! Tanto
ola non ve ne andate più velo?”
- Non risposi, e
la
baciai ancora.
- “Mamma,
dov’è papà?”
mi disse all’orecchio.
- “A
casa, amore mio.”
- “Lo
vollio vedeleeee!
Andiamo a casa! Dai, dai!”
- Fu allora che mi
resi
conto che non eravamo inosservate, che non potevamo esserlo. A dire la
verità
l’avevo notato anche prima ma avevo deliberatamente ignorato
gli occhi che
avevamo addosso.
- Sistemai Hope su
un
fianco e mi avvicinai a Donna, accompagnata da una donna di colore
sulla
quarantina.
- “Kristen…”
sussurrò
Donna abbozzando un sorriso che sicuramente era un tentativo di celare
la sua
contrarietà.
- “Donna…”
risposi a
tono.
- “Siete
venuti prima.”
- “Un
giorno di
anticipo, non mi sembra molto.”
- “No…
sono solo…
sorpresa…”
- Annuii e avrei
voluto
chiedere come andassero le cose ma mi bloccai per due ragioni: prima di
tutto
mi resi conto che per nessun motivo mi avrebbe detto che le cose non
andavano
bene, soprattutto perché lo avevo chiesto mille volte
durante le telefonate e
lei non faceva che confermare che Hope si stesse abituando alla nuova
vita, in
secondo luogo non me lo permise e scansò ogni eventuale
possibilità
presentandomi la donna accanto a lei.
- “Lei
è Keira, una mia
amica africana venuta qui a trovarmi e a passare le feste con
me.”
- “Keira
è troppo blava,
mamma! Sa fale i dolci più buoni del mondo, dopo di te
pelò!”
- Le sorrisi e
chinai la
mia fronte sulla sua guancia per qualche secondo.
- “Dai,
Hope, ora
andiamo o si fredda la cena.”
- Non mi lasciai
sfuggire il suo chiamarla per nome e non Sophie. Pensai che dovesse
aver
rinunciato.
- Quello che mi
sorprese
davvero fu la risposta di mia figlia.
- “Ma
non hai ancola
nemmeno cucinato! E io non la mangio la robba tua ora che sta mamma
qui!”
- Va bene che
sarei
stata più che felice di portarmela a casa e cucinare per lei
ma non era il modo
di rispondere con cui era stata educata da me e Rob.
- “Hope!
Non si risponde
così! Chiedi subito scusa!”
- “Ma
mamma, è velo!”
- “Chiedi
scusa.”
- Sbuffò
e nascose il
viso nel mio collo. “Cuuuusa…”
sbiascicò e io percepii anche un uffa
da qualche parte.
- “Però
potto venie co
te, velo?”
- Perché
continuava a
chiedermi cosa a cui potevo rispondere solo di no?
- “Domani,
tesoro.
Domani veniamo io e papà da te e passeremo tutta la giornata
insieme e anche il
giorno dopo! Però ora devi andare ancora con
Donna…”
- “Uffa,
mami… Non ce la
faccio più io…”
- Poche parole che
però
sembrarono dettate davvero da una genuina stanchezza di tutta quella
situazione, troppo strana per lei da poterla capire. Io avrei solo
voluto
portarla a casa con me, da Rob, e passare il Natale solo noi tre.
- E invece fui
costretta
a separarmi da lei ancora una volta.
- “Andiamo
Tumaini.
Keira prepara piatto che piace tanto.”
- “Tu…
Tumaini…?”
- “Significa
speranza in
mia lingua.” Mi spiegò Keira mentre allungava le
braccia verso Hope che, con le
lacrime agli occhi, mi lasciò un bacetto sulla bocca prima
di andare in braccio
alla sua amica.
- “Domani,
mamma. Hai
plomesso. Non rompele altre plomesse, okay?”
- Con cuore in
mano
annuii e le mandai un bacio, e lei l’afferrò,
portandosi anche il mio cuore.
-
-
- Dopo il racconto
del
mio piacevole incontro, Rob era decisamente più fremente di
me all’idea di
rivedere Hope di nuovo e non potevo certo biasimarlo.
- Vedere la nostra
bambina saltargli addosso e chiamarlo papà come se fosse la
parola più
importante del mondo, bastò a rimettere insieme i pezzi
perduti nel mio cuore.
- Per un paio di
giorni
potevo cercare di concentrarmi sul fatto che eravamo insieme e non
preoccuparmi
di altro, anche se era maledettamente difficile.
- Hope chiamava me
o Rob
per ogni minima cosa, proprio come se per lei nulla fosse cambiato in
quel mese
e mezzo: nel suo piccolo mondo andava tutto bene, noi eravamo tornati e
tutto
era tornato al posto giusto.
- Mi resi sempre
più
conto che avrei dovuto dirle la verità, quella
più comprensibile per lei, il
prima possibile.
- Nonostante il
clima di
tensione per la buffa situazione, la giornata passò in
armonia e decisamente
troppo velocemente.
- Avevamo portato
ad
Hope una montagna di regali e lei si era limitata a dire che avremmo
potuto
scartarli a casa nostra così non ci sarebbe stato bisogno
poi di spostarli da
un posto all’altro; fu la prima di molte occasioni mancate
per dirle quel
briciolo di verità che mi ero ripromessa di confessarle.
- La sera
arrivò troppo
presto e Hope si era accoccolata sul petto di Rob, pronta a dormire.
- “Mami,
mi fai il latte
coi biscotti?”
- “Certo,
tesoro mio.”
- Quando Donna
rispose
per me, a freddarla ci pensò la bambina stessa.
- “No,
ho detto mamma.
Mami, me lo fai tu?”
- “Sì,
amore… Te lo
faccio io…”
- Le diedi un
bacio sul
nasino e uno veloce a Rob.
- Mi concessi una
rapida
occhiata a Donna e, nonostante l’astio di mia figlia,
sembrò così intenta a guardarla
tra le braccia di Rob, così persa nei suoi pensieri che per
un momento sperai
quasi che stesse pensando di lasciar perdere tutto e lasciarla tornare
a casa
con noi.
- Ma sapevo che
non
poteva essere così semplice; scossi il capo prima di
dirigermi nella cucina,
nonostante non sapessi dove fosse tutto.
- Era assurdo.
Dovevo
preparare un semplice biberon di latte e biscotti a mia figlia e non
sapevo
dove mettere le mani.
- Keira fu la mia
salvezza. Aveva sentito Hope dall’altra stanza e mi
aiutò volentieri.
- “Lei
deve essere brava
mamma” disse mentre aspettavo che il latte si riscaldasse.
- Le sorrisi ma
non
riuscii a rispondere a quella affermazione se non con
un’altra domanda. “Lei
come sta?”
- E sperai che da
quella
donna dagli occhi scuri e grandi come il mare avrei auto una risposta
sincera.
- “Tumaini
non felice
qui. Sono da poco qui ma vedo che lei non felice. Lei contato i giorni
su
calendario, aspettava vicino telefono ogni lunedì e
venerdì, ieri riso per la
prima volta davvero quando ha visto lei.”
- Lo sapevo.
- “Io
capisco Donna.
Quando genitori abbandonano o muoiono tu pensi sempre come poteva
essere se non
era successo. Lei vuole dare Tumaini questa possibilità e
non capisce che tutte
vite sono diverse e che non puoi decidere vita di altri.”
- La guardavo
attentamente
e mi sembrò di vederla commuoversi ma non potevo esserne
certa. Per un secondo
lasciai ogni pensiero concentrato su di me e fui trasportata dalla
voglia di
sapere la storia di quella donna, ma non era né il momento
né il luogo.
- “Io ho
detto Donna:
lascia stare bambina, lascia andare, tu non sei meglio per lei. Ma lei
non
ascolta. Pensa di fare torto a sorella e vuole fare…
emm… mend… Non so come
dice…”
- “Ammenda?”
- “Sì!
Quello. Vuole
perdono. Lei davvero ama Hope, lo vedi. Ma sappiamo che non
è meglio per lei.
Dottori dicono che bambina è piccola, che dimentica prima o
poi. Io dico di no.
Quei occhi non dimenticano e anche se memorie sfocano, cuore sta sempre
fermo.
E cuore di Tumaini è fermo. Batte solo con voi. E Donna non
capisce e vuole
solo tenerla tutta lei. Vuole chiamare avvocato e chiedere restrizione,
non so.
Non conosco vostra legge.”
- Lei poteva non
conoscere la legge ma io avevo ben capito quelle che erano le
intenzioni di
Donna e se lo cose si fossero messe male sarebbe riuscita nel suo
intento con
un parere di uno psicologo. Bastava semplicemente appurare che la
bambina non
dovesse più vedere me e Rob per lasciare che si dimenticasse
di noi facilmente.
- Se pensava di
riuscirsi, però, aveva decisamente sbagliato bersaglio.
- Fui sollevata
dai miei
pensieri da Keira stessa che mi passava il biberon ormai caldo.
- “Tu
sei brava mamma.
Fai cosa giusta per tua figlia.”
- Le sorrisi, la
ringraziai di cuore e tornammo in salotto insieme.
- Hope prese il
suo
biberon e si accucciò ancora di più tra le
braccia di Rob.
- “Amore,
vuoi andare a
nanna, che dici?” le sussurrò Rob e lei
annuì.
- “Solo
se resti a
raccontammi una stolia però!”
- “Va
bene, una sola
però, okay?”
- Annuì
ancora. “Tanto
domani tonniamo a casa e me ne racconti tutte le volte che
voglio.”
- Ecco, era giunto
il
momento e questa volta non potevamo più evitare.
- Keira
capì senza che
ci fosse bisogno di parlare e trascinò Donna con
sé in cucina.
- “Tesoro,
domani non
torniamo a casa.”
- Questa volta fu
Rob a
parlare e gliene fui grata perché io davvero non avrei
sopportato altre
conversazioni del genere.
- “Pecchè…?”
sussurrò
Hope, allontanando il biberon dalla sua bocca.
- “Vedi,
devi stare qui
un altro po’. Non lo abbiamo deciso noi e lo so che
è difficile per te capirlo,
ma devi farlo finché mamma e papà non aggiustano
un po’ di cose…”
- “Voi
volete solo viaggiale
senza di me! Aveva lagione Donna quando diceva che non mi volevate
più!”
- “Cosa?
Tesoro, no! Non
è così!”
- Se avessi potuto
avere
quella stronza tra le mani in quel momento, l’avrei uccisa
senza rimorsi.
- “Sì,
invece! Voi
volete liberavvi di me!”
- “No,
amore, no…”
- “No!
Avevi detto che
tonnavo con voi! State solo lompendo le plomesse! Siete dei bugiardi!
Bugiardi!”
- Gettò
a terra il
biberon e Mr. Rabbit e carica di rabbia scese dalle gambe di Rob e
corse sopra.
- Restammo in
silenzio
per diversi minuti, ognuno perso nei proprio pensieri,
finché non ritenemmo
opportuno andare da lei a controllare come stesse e a cercare di farle
capire
come stessero davvero le cose, ma alle scale non ci arrivammo mai,
catturati
nell’attenzione dalla voce di Donna proveniente dalla cucina.
- Non riuscimmo a
capire
se stesse parlando da sola, o al telefono o con Keira dal momento in
cui non vi
era risposta a nessuna delle sue parole. Era un monologo interiore
espresso ad
alta voce.
- “Non
si può andare
avanti così… Non si può. Lei non
dimenticherà mai in questo modo, vedendoli
ogni giorno.”
- Tremai.
- “Penso
di non avere
scelta… Anche se farà male… ho preso
la mia decisione.”
- E quelle parole furono
come un fulmine che squarciava il cielo in due metà
imperfette e mi lasciava
nella metà sbagliata; la metà in cui non avrei
più rivisto la mia bambina.
- _______________________
- Okay, precisiamo che non siamo
né avvocati, né giudici, né esperte di
legge e bla bla, quindi se le cose non vanno davvero così
(cioè al 90% HAHAHA) concedeteci questa licenza letteraria.
Insomma, io so che la morte presunta, in Italia, è
dichiarata 10 anni dopo la scomparsa, (e se non sbaglio ora il termine
si è abbassato anche a 5 anni) e solo 2 anni per fenomeni
naturali, e bla bla... Ma la legge inglese e statunitense proprio non
so, quindi ho preferito mettere in mezzo il processo di mediazione che
comunque dovrebbe essere valido in una ipotetica situazione del
genere... Spero di non aver scritto troppe stronzatine in ogni caso haha
- Mh, penso non ci sia altro da
chiarire su questo capitolo.
- Ah! La storia di Hope e tutto
quello che c'è dietro. Credeteci: abbiamo passato ore e ore
a telefono e su whatsapp a cercare di trovare qualcosa di meno
complicato e improbabile ma ogni volta spuntava un "Però così
non sarebbe possibile perchè..." ecc ecc...
Quindi questa storia è venuta fuori davvero per miracolo,
insomma... HAHAHA Boh, visto che è una FF, tutto
può accadere, no? u.u Anche che ci sia un lieto fine...
huahua
- Detto questo... Mi raccomando,
mangiate tutte le schifezze della calza oggi perchè da
domani DIETA! AHAHAHA ceeeerto... crediamoci....
- Voglio proprio vedere quante
partiranno con questo intento e abbandoneranno dopo pranzo AHAHAHA (io
sarò una di queste, già lo so ahaha)
- Vabbè, la smetto
LOL
- Buona fortuna con i chili di
troppo u.u
- E se non ne avete, andate
amabilmente a quel paese, grazie u.u
- Un bacio, buona serata e buon
rientro a scuola per chi deve rientrare! (noi no, muhauahuha)
- Che cattive stasera u.u hahaha
- A presto con l'ultimo capitolo!
- Cloe&Fio xx
|
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Capitolo 5 *** Hope never leaves ***
HNL - cap 1
Weeee know. Scusate il ritardo.
Ormai è diventata una costante 'sto ritardo. AHAHA
Vabbè, in ogni caso non sarà più un
problema d'ora in poi.
Grazie mille per averci seguite in quest'ultima storia.
Ci sentiamo in fondo!
un bacio,
Cloe&Fio
-
-
- Pov Kristen
-
- “No.”
- Non poteva farlo
davvero. Donna non poteva pensare davvero che separare una bambina dai
suoi
genitori fosse la cosa migliore per tutti.
- Per tutti?
- Non era la cosa
migliore per nessuno.
- Condannava tutti
noi
ad una vita piena solo di sofferenza e dolore. Se non pensava a me e a
Rob
avrebbe potuto almeno pensare a Hope. Una bimba di quattro anni non
avrebbe mai
potuto capire il motivo per cui i suoi genitori l’avevano
abbandonata con una sconosciuta!
Si sarebbe sentita tradita per tutta la sua intera esistenza e la cosa
l’avrebbe distrutta.
- L’avrebbe
cambiata per
sempre.
- “No”
la voce mi si
spezzò in gola ma, anche se rotta, conteneva una
determinazione che non avevo
mai avuto in tutta la mia vita. “Non possiamo lasciarglielo
fare. No. Costi
quel che costi.”
- Alzai il viso e
i miei
occhi incrociarono quelli di Rob; c’era stato un tempo in cui
lui era stata la
persona razionale, un tempo in cui io stavo per fare una follia e lui
mi aveva
fermato in tempo. E col senno di poi ero stata la prima ad ammettere
che
prendere una bambina trovata su una spiaggia non era un mio diritto;
non era un
diritto di nessuno al mondo.
- Poi,
però, quella
bambina era diventata la mia
bambina.
Avevamo lottato per averla, avevamo fatto tutto quello che potevamo,
l’avevamo
curata ed amata.
- E nel mio cuore
sapevo… sapevo che se lasciarla a Donna fosse stata la
scelta migliore, allora
lo avrei fatto. A costo di morire di dolore, lo avrei fatto.
- Ma
questa… questa non
era la cosa giusta. Come poteva esserlo?
- Donna non era la
sua
famiglia. Il sangue non ti rendeva tale, non faceva sì che
un legame fatale si
creasse all’improvviso.
- Io, Rob e
Hope… noi
tre insieme eravamo una famiglia.
- Per cui avrei
lottato,
anche se fosse stata l’ultima cosa che avessi fatto.
- Gli occhi di Rob
rispecchiavano la mia stessa decisione. Non era più
l’uomo razionale che
conoscevo. Ora era un padre che, come me, rivoleva la sua bambina nel
luogo in
cui apparteneva.
- Mi
afferrò la mano e
in modo combattivo mi trascinò in cucina.
- Immediatamente
Donna
si immobilizzò, le mani ancora strette al bordo del tavolo
com’erano state
prima che facessimo irruzione. Come avevo pensato, in cucina non
c’era nessuno
eccetto lei.
- Ci fissammo per
un
interminabile istante; sembrava stanca e triste ma negli occhi aveva
anche
un’aria decisa e determinata. L’aria di qualcuno
che aveva preso una decisione
irremovibile.
- “Dobbiamo
parlare.”
- Quelle due
parole
furono tutto ciò che disse e bastarono per farmi provare una
rabbia che non avevo
mai sentito prima dentro di me. Per la prima volta nella mia vita seppi
esattamente cosa provava una persona quando voleva fare fisicamente
male ad
un’altra, quando era così disperata che nessuna
azione poteva definirsi non
accettabile.
- “Abbiamo
sentito
quello che stavi dicendo. Il discorsetto che ti stavi
preparando” Rob aveva una
voce carica di un odio che non gli avevo mai sentito.
“E davvero non ho idea di come tu possa
anche
solo pensare di farlo. Come puoi? Sei la persona più
orribile che io abbia mai
conosciuto.”
- “Come
ti permetti tu?”
sbottò lei. Il volto una maschera di disprezzo “Tu
non mi conosci. Non sai
niente di quello che ho passato negli ultimi cinque anni della mia
vita! Ho
provato più dolore di voi due messi assieme, ho sofferto, mi
sono ritrovata
sola e...”
- Una singola
lacrima,
non seppi se di rabbia o sofferenza, le scivolò lungo il
viso.
- Le parole mi
uscirono
senza che potessi fermarle o anche solo pensarle.
- “Se
hai sofferto così
tanto, come puoi, adesso, infliggere tanta sofferenza tu stessa ad
altre
persone? Se sai che cosa vuol dire perdere la persona che ami di
più al mondo
perché tu lo stai facendo a noi?”
- Deglutii le
emozioni
che tentavano di sopraffarmi. “Perché è
esattamente quello che stai facendo. Dal
primo momento in cui l’ho presa in braccio su quella
spiaggia. Lo sai come l’ho
trovata? Era bagnata, infreddolita, febbricitante e per un orrendo
momento ho
creduto che magari fosse perfino morta. Ma non lo era. Lei era la cosa
più
perfetta che avessi mai visto. Lei era un miracolo, l’ho
sempre pensato e lo
penso ancora. Siamo una famiglia perché eravamo destinati ad
esserlo. Ma non lo
capisci?”
- Mi sarei
aspettata una
risposta piccata, una sceneggiata, qualunque cosa tranne la singola
sillaba che
le uscì dalle labbra.
- “Sì.”
- “Come?”
Rob sembrava
più scioccato di me.
- “Sì,
lo capisco”
rispose piano come se ogni parola le costasse un dolore
incommensurabile. “Ed è
per questo che la decisione che ho preso è che…
che lei starà meglio a casa
sua. E casa sua
siete voi.”
- Rob mi
afferrò la
mano. Tremava, o forse a tremare ero io. Non lo sapevo, ma sapevo che
le sue
parole erano state come una bomba su un terreno totalmente impreparato
a
riceverle.
- “Ma
hai detto… prima
stavi dicendo che avevi preso una decisione” balbettai
“Hai detto che...”
- “E la
mia decisione è
che lei deve stare con voi” mormorò, affranta.
- Le sue guance
erano
rigate di lacrime che non sembrava in grado di contenere e, anche se il
mio
cuore sembrava svolazzarmi nel petto per la gioia, non potei fare a
meno di
pormi una fondamentale domanda.
- Perché?
- Perché,
se aveva la
legge dalla sua parte, ci stava lasciando Hope?
- Si era forse
stufata?
Aveva capito che crescere una figlia non era una passeggiata e che non
ce
l’avrebbe fatta? Ma se questi erano i motivi allora
perché era così devastata?
- “Perché?”
Rob mi battè
sul tempo a parlare.
- Lo sguardo di
Donna
alternò me e Rob prima di posarsi su un punto fuori dalla
finestra al suo
fianco che dava sull’oscurità del giardino.
- “Perché
lei non è
Meredith” sussurrò piano “Ho passato gli
ultimi anni della mia vita a fingere
di non essere sola. A viaggiare in capo al mondo cercando di aiutare
gli altri
nel disperato tentativo di trovare qualcuno, di trovare un posto a cui
appartenere. O che almeno mi ricordasse il modo in cui appartenevo a
mia sorella.
Ma non ci sono mai riuscita, finché...”
- “Finchè
non è arrivata
Hope” conclusi per lei.
- Donna
annuì con uno
scatto del capo. “Mi sembrò un miracolo, quello
che stavo cercando. Un ultimo
legame con mia sorella. Una persona che ci avrebbe legate per sempre
ancora una
volta. Avrei amato quella bambina, l’avrei trattata come mia
ma più la vedo con
voi più capisco che anche se io appartengo a lei,
forse… forse lei non
appartiene a me. Lei non è Meredith. E non è
neanche Sophie. Lei è Hope e la
sua casa siete voi.”
- Si
pulì il viso dalle
lacrime residue.
- “Perciò
firmerò tutto
quello che devo e poi penso che potrete portarla a casa con voi.
Dovreste
andare a darle la bella notizia… penso sia di
sopra.”
- Rob non perse
tempo a
correre su per le scale. Un soffio d’aria ed era sparito dal
mio fianco.
- Feci per
seguirlo ma
quando i miei occhi si posarono sul viso distrutto di Donna sentii una
strana
fitta di compassione che non avrei voluto provare alla bocca dello
stomaco.
- “Per
quello che vale…”
- “No”
mi bloccò con un
gesto della mano “Non essere gentile con me adesso o penso
che crollerò in un
milione di pezzi. Per cui.. .no, non dire niente.”
- Annuii solo ma
non
potei fermarmi da aggiungere qualcosa che avevo pensato sin dal primo
istante
in cui avevo preso Hope tra le braccia, una neonata portata dal mare.
- “Non
so se credo in
Dio o no. Ma sappi che non credo neppure nelle coincidenze
e… e sono sicura che
sia stato qualcuno a mandarla da me. Forse Meredith, chissà?
E giuro che la
fiducia di chiunque sia stato ad avermi mandato Hope, non è
stata riposta in
vano.”
- Non aspettai una
risposta che sapevo non sarebbe arrivata. Invece corsi su per le scale
e mi
bloccai accanto al corpo di Rob, fermo in piedi davanti alla porta
della camera
di Hope.
- Una camera in
cui non
c’era traccia di mia figlia.
-
-
- “E’
lì?”
- Quasi strillai
dentro
l’apparecchio, il cuore che mi batteva a mille e il respiro
affannato. Io e Rob
ci eravamo divisi per cercarla mentre Donna era rimasta a casa
nell’eventualità
che Hope tornasse lì o che qualcuno la trovasse e ci
telefonasse.
- Ma fino ad ora
niente.
- Erano passate
due ore
da quando era sparita dalla casa di Donna. Mezzanotte si avvicinava
inesorabilmente, i minuti scorrevano pesanti come piombo dentro di me e
mille
immagini mi bombardavano la mente facendomi impazzire.
- Fuori faceva
freddo,
era buio, era tardi e lei era sola ed era… era
così piccola. Le sarebbe potuta
accadere qualsiasi cosa e le eventualità erano alte; e se
fosse scivolata? Se
fosse andata in spiaggia e fosse…
- Un suono
strozzato mi
uscì dalla gola senza che potessi trattenerlo. Per un
minuscolo istante sperai,
sperai con tutto il mio cuore che Rob l’avesse trovata ma il
suo respiro
sconsolato dall’altra parte del telefono distrusse ogni
speranza.
- “Qui a
casa non c’è”
mormorò “L’ho cercata dappertutto, ho
setacciato tutte le stradine vicino, ho
parlato con i vicini. Niente.”
- “Nemmeno
io” gemetti
“Sono venuta in spiaggia, ho chiesto in giro ma sembra che
nessuno l’abbia
vista. Ma com’è possibile, Rob? È
un’isola minuscola in cui abitano quattro pensionati!
Insomma, nessuno si è preso la briga di porsi qualche
domanda nel vedere una
bimba in giro da sola?”
- Rob rimase
silenzioso
per due lunghi secondi e quando parlò sembrò
più sconsolato di me.
- “Continuavo
a pensare che
sarebbe venuta qui a casa. È il solo posto in cui sapeva
arrivare a piedi. Il
posto in cui siamo stati felici tante volte. Non riesco a pensare a
nessun
altro posto importante o speciale o…”
- Tutto a un
tratto mi
immobilizzai. “Cosa hai detto?”
- “Quando?”
- “Adesso.
Un secondo
fa, cosa hai detto?”
- “Che
non riesco a
pensare a un altro posto speciale o…”
- “Il
posto speciale,
Rob!” esclamai, iniziando a correre ancora prima di
accorgermi che lo stavo
razionalmente facendo “Il nostro scoglio, il nostro posto
speciale! Gliene
abbiamo parlato, l’abbiamo portata lì e ricordi
che cosa le abbiamo detto?”
- La risposta di
Rob
aveva un tono speranzoso per la prima volta da ore.
- “Le
abbiamo detto che
poteva diventare anche il suo posto speciale! Che se si fosse sentita
triste o
sola poteva sempre venire lì e guardare il cielo!”
- “Esatto!”
- “Sono
a cinque minuti
da lì. Faccio una corsa subito.”
- Riagganciò
senza darmi
il tempo di rispondere e, esattamente come stava facendo Rob a qualche
chilometro da lì, anche io mi misi a correre.
- E come in un
film mi
sembrò di essere catapultata indietro a quella notte di
cinque anni prima in
cui la mia vita era stata sconvolta inevitabilmente. Ma, al contrario
di quella
notte in cui la mia disperazione era dovuta al non avere più
nulla da perdere,
ora avevo tutto da perdere. Proprio adesso che l’incubo di
vedermela strappare
via dalle braccia era sparito non potevo neppure tollerare
l’idea che le
capitasse qualcosa. Corsi e, per la prima volta da mesi, pregai; pregai
perché
fosse al sicuro, perché nessuno le avesse fatto del male e,
soprattutto, giurai
che se avessi potuto stringerla di nuovo a me non l’avrei mai
più abbandonata.
- Mai
più…
- Quando raggiunsi
il
punto che dalla sabbia permetteva di arrampicarsi sugli scogli avevo il
fiato
spezzato e i polmoni doloranti a causa della fatica e
dell’aria gelida che mi
era penetrata fin dentro le ossa. L’aria salmastra arrivava
dal mare poco
distante portando con sé anche un umidità
fortissima.
- E Hope non aveva
neppure preso una giacca…
- Col terrore nel
cuore
alzai lo sguardo e per un orribile istante vidi solo la forma
accucciata di Rob
che sembrava seduto sconsolato in cima allo scoglio.
- Non
l’aveva trovata. Non era nemmeno lì. Non era
lì.
- Poi,
però, si spostò
una frazione di centimetro, quel tanto per farmi capire che stava
tenendo qualcosa
fra le braccia.
- O meglio,
qualcuno.
- Spinta da una
forza
che neppure sapevo di avere, corsi verso di loro e solo quando sentii
il loro
calore contro il mio corpo freddo seppi che davvero era finita. Tutto
il
dolore, tutta la sofferenza dei mesi passati non avrebbero
più potuto farci
nulla.
- Mi sfilai il
cappotto
e lo avvolsi attorno a Hope nel tentativo di scaldarla.
- “Non
piangele mamma!”
esclamò lei, sembrando di nuovo la mia bambina e non
più la creaturina tradita
che mi aveva urlato contro in casa, ferita e arrabbiata
“Papà dice che posso
stale pre sempresemprissimo con voi adesso!”
- Ebbi solo la
forza di
annuire aggrappandomi ancora di più a lei. Sentii le labbra
di Rob posarmi un
bacio leggero sulla fronte.
- “E’
finita. È tutto
finito”
- Ancora una volta
i
suoi pensieri sembravano essere perfettamente in sincrono con i miei,
le nostre
emozioni una cosa sola.
- “Guadda
mami, una
stella cadente!”
- Hope
puntò il dito
verso il cielo e serrò gli occhi in modo strettissimo,
facendomi capire che
aveva appena espresso il suo desiderio.
- “Mamma
tu lo hai
esplesso i desidelio?”
- Scossi il capo.
“Sì. E
sai, penso che questo desiderio si avvererà
proprio.”
- “E
come lo sai?”
- Sorrisi a Rob e
seppi
che lui stava pensando alla stessa cosa.
- Perché
è un desiderio
che vale triplo.
- Perché
ero certa che
tutti e tre avessimo desiderato la stessa cosa.
- Restare insieme,
per sempre.
- Accarezzai la
guancia
morbida di Hope, così uguale e così diversa dalla
bambina che il destino mi
aveva posato davanti in modo inaspettato.
- “Perché
ho fede.
Perché ho Speranza.” risposi.
“Perché neppure per un minuto ho smesso di
credere”
- Presi un lungo
respiro
di aria pulita.
- “Perché
la speranza
non ti lascia mai se ci credi davvero.”
- E lì,
stretta alla
persona più importante che avessi mai amato, seppi che era
vero.
- Ed era proprio
il caso
di dirlo.
- Hope never
leaves.
- 31
Dicembre 2021
-
-
- “Toooom,
passa il
sale!”
- “E tu
la birra!”
- “Ma
chi ha messo
questa canzone?”
- “Mammaaaa,
ancolaaaaa!”
- “Avete
già chiamato
mamma e papà?”
- “Il
tacchino era
davvero delizioso, Kristen!”
- Le voci nella
sala da
pranzo continuavano ad affollarsi l’una sull’altra,
come sempre in fondo. Si
sarebbe potuto pensare che dopo anni in cui avevamo tenuto la cena di
fine anno
a casa nostra, sull’isola di Wight, mi fossi abituata al caos
continuo e frenetico
che aleggiava in casa già dalle sette di sera e, in alcuni
casi, dal giorno
prima. Invece no.
- Ogni anno era
sempre
un qualcosa che mi stupiva e mi travolgeva come un’onda
riportandomi, per un
momento, indietro al tempo in cui non avrei mai creduto possibile di
essere
così felice; un tempo in cui avevo quasi perso ogni speranza.
- Il periodo di
Natale
era sempre stato speciale, in qualche modo.
- Da anni ormai
non
aveva fatto altro che portare speranza e buone notizie: sarebbe stato
ridicolo
negare che fosse il periodo dell’anno che preferivo.
- E ogni anno mi
rendevo
conto sempre di più che lo adoravo: adoravo il casino,
adoravo le urla, adoravo
avere bambini che correvano per casa. Adoravo quella ventata di vita
assoluta
che si abbatteva su noi e sulla casa durante le feste.
- Eppure, per
quanto
amassi tutto ciò che comportava, non potevo fare a meno di
allontanarmi e
ritagliarmi un piccolo, anche minuscolo, momento per me ogni volta.
- Era una specie
di rito
ormai. Dovevo semplicemente trovarmi in una stanza da sola per
realizzare e
ringraziare di quello che avevo avuto dalla vita.
- Quest’anno
mi ero
ritrovata in cucina senza nemmeno rifletterci. Ero semplicemente
entrata per
prendere tovaglioli puliti e invece mi ero trovata a fissare la luna,
incantata.
- E i soliti
pensieri si
fecero presto largo in me; erano sempre lì, in effetti, ma
nessun periodo mi
portava a rifletterci quanto questo periodo preciso. Non potevo farci
nulla.
- Semplicemente
non
riuscivo a non pensare a quello che era stata e a quanto il destino,
che un
tempo sembrava prendersi beffa di noi, avesse poi deciso di voltarsi di
nuovo e
non darci più le spalle.
- Ero davvero
fortunata,
pensai nel momento esatto in cui sentii due braccia avvolgermi la vita
da
dietro.
- Non ebbi,
ovviamente,
bisogno di guardare per sapere chi fosse. E non necessariamente
perché poteva
essere solo Rob ad abbracciarmi, ma perché solo lui era
capace di abbracciarmi
così, riuscendo a farmi sentire nel posto più
sicuro al mondo in un solo
secondo.
- Chiusi gli occhi
e
poggiai il mio capo al suo che si era chinato per baciare
l’incavo del mio
collo.
- Non mi chiese a
cosa
pensassi. Non me lo aveva mai chiesto sebbene quello fosse un rito
anche per
lui: vedermi assorta nei miei pensieri, lasciarmi due minuti da sola
prima di
venire a riportarmi dolcemente alla realtà.
- “Donna
è pronta” disse lui,
dopo qualche minuto.
- E io annuii,
quasi
emozionata. “Credi che le piacerà?”
- Lui non
sembrò del
tutto sicuro mentre rispondeva. “Non so. Forse non lo
capirà ancora bene, ma un
giorno lo farà. È giusto che sappia da dove
viene…”
- Annuii ancora e
mi
voltai per dargli un bacio a fior di labbra prima di abbracciarmi
stretta a
lui.
- La sala era
immersa
nel caos più assoluto. Fortunatamente era abbastanza grande
da ospitare un
tavolo per venti persone, un camino, e un albero di Natale; ma niente
la
rendeva piena quanto i bambini.
- Le bambine
ballavano
attorno all’albero di Natale, mentre i maschi giocavano a
rincorrersi per tutta
la casa con le nuove pistole giocattolo che avevano ricevuto per
Natale.
- A volte perdevo
anche
il conto di quanti ne fossero.
- Tom si era
così
impuntato sull’idea di avere un maschio dopo Marlowe, che
nemmeno la nascita di
Jamie lo fermò dal tentare un’altra volta. La
terza fu quella buona, grazie al
cielo perché non volevo immaginare quante femmine avrebbe
avuto intenzione di
lasciar sfornare a Sienna prima di avere un Daniel.
- Vic e Mark, da
canto
loro invece, si erano trovati con due maschi in un giro solo e la terza
era
stata semplicemente inaspettata.
- Lizzie invece ci
era
andata con molta calma e aveva realizzato i suoi piano perfettamente.
Prima un
maschio e poi una femmina.
- Il tutto per un
totale
di dieci bambini, tra i nove anni e i sei mesi, che urlavano,
correvano,
ballavano, scherzavano, giocavano e sì, magari a volte
diventava leggermente
pesante averne tanti insieme in una volta sola, ma non avrei scambiato
posto
con nessuno e per nulla al mondo.
- Quando
ritornammo in
sala da pranzo quasi nessuno badò a noi, tranne Hope che
ballava con Sophie su
una vecchissima canzone dei The Lumineers che la radio stava
riproponendo da
giorni, tra i successi del decennio precedente.
- Ci
guardò non appena
entrammo, come se i nostri occhi fossero magneti e non potessero fare a
meno di
attrarsi a meno di 100 metri gli uni dagli altri.
- Ci
regalò un sorriso entusiasta
e io colsi l’occasione per ricambiare e farle segno con la
mano di
raggiungerci.
- Non ci
pensò due volte
a correre da noi, seguita a ruota da Sophie che non perdeva occasione
di fare
tutto ciò che faceva la sorella, sebbene non con la stessa
velocità.
- Hope si
gettò tre le
braccia di Rob mentre io presi Sophie al volo e le schioccai un sonoro
bacio
sulla guancia.
- Andammo in
salone e ci
sedemmo sui divani.
- “Che
succede?” chiese
Hope, quasi preoccupata, quando vide Donna appoggiarsi allo stipite
della porta
che separava il salone dalla sala da pranzo.
- Sebbene avesse
imparato a volerle bene, credo che ancora covasse una qualche forma di
risentimento nei suoi confronti, o forse era solo paura che un giorno
la
portasse via di nuovo.
- “Niente,
tesoro. Va
tutto bene” la tranquillizzò subito Rob.
- “Donna
è qui per darti
una cosa. Un regalo.”
- “Davvero?
Ma Natale è
passato.”
- Sì,
Natale era passato
ma lei non era riuscita a passarlo con noi per cui il suo regalo aveva
dovuto
aspettare un po’.
- “Lo
so” aggiunse
Donna, unendosi a noi sul divano e reggendo un pacchetto tra le mani.
“Ma
volevo dartelo comunque. Spero che ti piacerà e ti
aiuterà a capire meglio la
tua vita quando sarai più grande.”
- Era chiaro che
Hope
fosse più che confusa dalle parole di Donna, ed era
totalmente normale e
comprensibile.
- Non a caso, non
aprì
subito il regalo, ma lo tenne tra le mani per una manciata di secondi,
intatto,
aspettando probabilmente che qualcuno di noi le spiegasse qualcosa o
che la
tranquillizzasse.
- Quando
capì che
nessuno avrebbe detto niente, le feci un cenno con il capo per
invogliarla.
- Strinse un
labbro tra
i denti – un’abitudine che aveva decisamente preso
da me – e si fece coraggio.
Sembrava quasi spaventata all’idea di ciò che ne
sarebbe uscito, per cui sembrò
quasi sollevata e possibilmente più confusa di prima quando
si trovò un diario
di pelle tra le mani.
- Lo
ispezionò per bene
prima di commentare. “Ah… wow.
Grazie…”
- Non
sfuggì a nessuno
la leggera ironia della sua voce e io non potei trattenere un sorriso
prima di
renderle le cose più facili. Passai Sophie nelle braccia di
Rob e avvicinai
Hope a me, facendo in modo che si incastrasse tre le mie gambe.
- “Questo
diario
apparteneva a tua madre” sussurrai, con voce più
grave di quanto mi aspettassi
da me stessa. Hope alzò lo sguardo di scatto e mi
sembrò di vederci un lampo di
rabbia o rancore o… non seppi bene come definirlo, ma
riuscivo a capirlo.
- Non aveva
più voluto
sentire quella storia dopo quel Natale di due anni prima. Una sera
aveva
semplicemente detto “Basta con questa storia. Non mi
piace” e noi avevamo
capito che aveva capito cosa significasse effettivamente.
- Non avevamo
forzato la
mano, soprattutto dato l’episodio che avevamo da poco
vissuto, né io avevo una
particolare voglia di ricordare a lei e a me stessa che non ero la sua
madre
biologica, ma sapevo che un giorno sarebbe arrivato il momento in cui
sia io
che lei avremmo dovuto affrontare il passato, e accettarlo finalmente.
- “Mia
madre è qui. Non
ho altre madri” commentò con un tono saggio che
non si addiceva per nulla ai
suoi sei anni.
- “Sì,
invece. Ne hai
un’altra in cielo, ed è giusto che tu la conosca e
sappia di lei… e di tuo
padre.”
- “Mamma…”
- “Sì,
amore. Io sono la
tua mamma. Lo sarò sempre, lo sai. E questa cosa fa male
anche a me. Lo so come
ti senti, okay? Lo so… Ma la vita non è solo
presente e futuro, e tu devi
sapere da dove vieni e quale è stato il passato che ti ha
portata a noi.”
- E se per un
momento
pensai che non avrebbe mai accettato quella realtà, un
istante dopo una lacrima
calda le calò sul viso per incontrare la mia mano e capii
che lei aveva capito,
già da molto tempo. Lei aveva capito tutto e la faceva stare
male.
- E non era altro
che un
ulteriore motivo per affrontare questa cosa, insieme.
- “E
poi, amore, guarda
che non è mica male avere due mamme e due papà.
Loro ti amavano proprio come ti
amiamo noi, ti proteggono da lassù e quando vuoi stare sola
col cielo puoi
parlargli quanto vuoi” tentò Rob.
- “Ma
non li conosco
nemmeno…” mormorò con la voce
più spezzata che le avessi mai sentito.
- “Ed
è per questo che
abbiamo deciso che fosse giusto che questo lo avessi tu.”
- Continuò
Donna,
toccando il diario tra le mani di Hope.
- La mia bambina
non
sembrò totalmente convinta, eppure annuì e
aprì la prima pagina del diario.
- Donna aveva
fatto un
ottimo lavoro, ricercando vecchie fotografie e allegandole alle pagine
con
delle graffette nel caso in cui avessero avuto un qualche collegamento
con
quanto vi era scritto.
- “Ci
metterò un po’ a
leggerlo tutto…” commentò Hope,
stringendo gli occhi e cercando di decifrare la
prima pagina di scrittura.
- “Tranquilla,
puoi
farlo quando vuoi. E io posso aiutarti se vuoi” si
offrì Donna.
- “Grazie…”
rispose
Hope, gentile, ma in cuor mio sapevo che era una cosa che avrebbe
dovuto fare
da sola, magari anche più in là nel tempo.
- Al momento
avrebbe
potuto limitarsi a guardare le foto se le risultava più
facile da affrontare.
Difatti era quello che stava facendo, passando tra decina di foto tra
una
pagina e l’altra – foto della vita di Meredith
– quando qualcosa catturò la sua
attenzione particolarmente.
- “Disneyland
Paris…”
sussurrò Hope e io allungai il collo per vedere meglio la
foto che ritraeva una
Meredith e una Donna, bambine, strette tra Minnie e Topolino, con
Disneyland
come sfondo.
- Conoscevo bene
quella
foto e quello che avrebbe significato per Hope nel giro di qualche
minuto.
- “Oh,
questa è una
delle mie preferite!” osservò Donna mentre Hope
sfiorava il viso di quella
donna, probabilmente rendendosi conto di quanto le somigliasse.
Effettivamente
Hope era la copia di Meredith. Capelli rossi, occhi blu, labbra
sottili,
lentiggini. Tutto di lei era ricordava Meredith e viceversa e, sebbene
la cosa
mi facesse un po’ male, guardai Donna per rendermi conto del
dolore che lei
stessa doveva provare nel vedere tale somiglianza.
- “Meredith
aveva
pregato per quel viaggio e lo aveva amato, anche se si può
dire che fosse un
po’ cresciuta. Non lo era, in realtà. È
stata una bambina per molto tempo.
Disneyland Paris era uno dei suoi desideri. Il primo posto che le
veniva in mente
quando le chiedevano dove volesse essere…”
- “Anche
il mio…”
sussurrò Hope, sorridendo sinceramente per la prima volta da
quando aveva preso
il diario.
- Io e Rob ci
scambiammo
un’occhiata, sorridendo. “Davvero,
tesoro?” disse lui, fingendo di non sapere quanto
nostra figlia ci avesse fatto più volte presente il suo
desiderio.
- “Siiii,
lo sai, papà!
Te lo dico sempre che voglio andarci e sei sempre troppo
impegnato!”
- “Lo
so, amore. Ma ti
prometto che ci andremo presto.”
- “Davvero?
Me lo
prometti? Quanto presto?”
- “Tipo,
domani? Va
bene?”
- Hope la prese
come uno
scherzo, ovviamente, e stette a quello che credeva fosse un gioco.
- “Va
bene, andiamo a
preparare la valigia!” disse e fece per andare su per le
scale, ma si bloccò
quando mi vide alzarmi e darle fin troppa corda per essere un gioco.
- “Dai,
andiamo!”
- Si
pietrificò e mi
guardò incredula.
- “Andiamo?”
- “Sì,
andiamo! Domani.
Partiamo nel pomeriggio!”
- “State
scherzando?”
- “No,
non stiamo
scherzando!” disse Rob e bastò perché
Hope scoppiasse in lacrime lentamente.
- Io, Donna e Rob
ci
scambiammo uno sguardo incredulo, divertito e quasi leggermente
colpevole,
sebbene fossero lacrime di felicità.
- Mi si sciolse il
cuore
e la strinsi a me.
- “Tesoro,
perché stai
piangendo?” le chiesi, senza riuscire a trattenere un sorriso
infinito.
- “Per…
perché… Perché
sono felice…” riuscì a dire tra un
singhiozzo e un altro e ci vollero un paio
di minuti per farla calmare.
- Il paradosso per
eccellenza: esaudire il suo desiderio e farla piangere.
- “Dai!
Basta lacrime!
Fammi un balletto felice!”
- Si
staccò e ci guardò
per un paio di secondi prima di abbozzare una danza sconnessa, e tutti
scoppiammo a ridere. “Ora calmati e vai a giocare,
su!”
- “Okay!
Grazie grazie
grazie! Vi voglio bene!”
- “Anche
noi te ne
vogliamo, amore!”
- Senza preavviso,
prese
Sophie dalle braccia di Rob. “Hai sentito, Sophie?? Andiamo a
Disneyland
domaniiii!” saltellò un po’ sul posto
facendo ridere la sorellina, prima di
metterla a terra e ballare con lei. Poi la lasciò e
saltellò sul posto da sola.
- Era
letteralmente impazzita.
Prese il diario e corse via per poi tornare trenta secondi dopo e
posarmelo
sulle ginocchia. “Me lo conservi tu, mami? Poi lo leggiamo
insieme!”
- Annuii e le
carezzai i
capelli lisci prima di lasciarla andare.
- Sophie, nel suo
vestitino bianco e rosso, aveva osservato tutta la scena seduta sul
tappeto per
terra, e stavolta le era stato impossibile stare dietro alla sorella;
così si
era limitata a guardarla e sorridere, divertita dalla sua euforia,
prima di
alzarsi, camminare verso di noi e buttarsi sulle mie gambe.
- La presi senza
nessuno
sforzo e Rob, accanto a me, le fece una pernacchio sul collo, facendola
ridere
come sempre.
- Poche risate
riuscivano a riscaldarmi il cuore, ma la sua lo faceva in un modo
totale e
particolare. Probabilmente perché era il motivo per cui
ancora credevo nei
miracoli.
-
-
- Avevo passato la
notte intera a rigirarmi nel letto, cercando
di trovare un giusto equilibrio tra la miriade di sensazioni che
stavano
invadendo il mio corpo: paura, terrore, emozione, confusione, amore,
gioia,
incredulità…
- Ma forse quella
che aveva la meglio era proprio la paura.
- Con il caos del
mese precedente, mi ero accorta solo a metà
Gennaio che il mio ciclo aveva saltato il mese di Dicembre. Non avevo
detto
nulla a Rob per non preoccuparlo inutilmente e perché mi ero
convinta che
probabilmente era la mia stessa condizione ad aver influenzato il
ciclo.
Tuttavia quando anche Gennaio era passato senza una minuscola macchia
rossa,
decisi che era il caso di fissare un appuntamento con la ginecologa.
- Inutile dire che
ormai avevo persino smesso di comprare test
di gravidanza tanta era la delusione di vederli negativi ogni volta,
per cui
quando quello che credevo fosse un follicolo scoppiato si
trasformò in un
embrione, non riuscii a contenere le lacrime.
- Lacrime
di… qualsiasi cosa possibile e immaginabile, ma la
paura aveva la meglio.
- Paura che fosse
un sogno, paura che fosse un altro scherzo
del destino, paura che l’ecografia fosse sbagliata, paura che
il macchinario
non stesse funzionando correttamente, paura che fosse andato tutto
male, ancora
una volta.
- Ma quel fagiolo
era lì già da due mesi e mezzo e, senza che
nemmeno lo sapessi, non gli era successo niente.
- Non eravamo mai
arrivati tanto lontani; anzi, non eravamo mai
arrivati a nessun mese. Ed ora ne erano già più
di due!
- Sapevo che mai
più in vita mia avrei potuto dare a Rob una
notizia del genere, perciò non fui semplicemente capace di
dirglielo sulla
porta di casa appena rientrò quella sera.
- Non ci riuscii.
Non sapevo perché, semplicemente le parole
non erano venute fuori, così come non vennero fuori la
mattina dopo.
- Mi ero alzata
presto, incapace di stare un altro solo secondo
a rigirarmi nel letto.
- Mi ero messa ai
fornelli e avevo preparato la colazione. Solo
quando fu completa, mi resi conto di quello che il mio subconscio aveva
elaborato componendo, su un paio di pancakes, la scritta SONO INCINTA
con… gli
M&Ms.
- Cosa diavolo mi
era saltato in mente?
- Non potevo
dirglielo in quel modo. Gli sarebbe venuto un
infarto senza dubbio!
- Stavo per
scomporre tutto quando sentii i passi di Rob sulle
scale e poi nella cucina e mi pietrificai.
- Beh, era
evidente che era destino che lo sapesse così, pensai
tra me e me.
- Così,
quando si avvicinò per darmi un bacio, pensai che fosse
la volta buona, che avrebbe chinato lo sguardo e trovato quella
realtà scritta
sotto i suoi occhi, ma niente.
- L’idiota
aveva ancora gli occhi mezzi chiusi mentre si
versava un bicchiere di succo di arancia e si sedeva
all’isola della cucina,
proprio di fronte a me.
- Idiota.
- Mi trovai a
sorridere tra me e me e lui mi guardò confuso.
- “Cosa…?
I capelli…?”
- Scossi il capo e
continuai a fissarlo sorridendo.
- “Ho…
ho qualcosa tra i denti?” disse e subito vi passò
la
lingua sopra.
- Risi e scossi il
capo ancora.
- “Allora
cosa? Ah, vuoi giocare al cuoco e alla cameriera, eh?”
alzò un sopracciglio come se sapesse il fatto suo e io risi
ancora perché non
aveva capito un bel niente.
- Scossi il capo
ancora e lui iniziò a preoccuparsi.
- “Allora…
cosa? Tutto bene, Kristen?”
- Annuii,
immaginando quanto questo mio comunicare in silenzio
dovesse snervarlo, ma non riuscivo a trovare le parole. Dopotutto gli
M&Ms
potevano parlare per me.
- Presi un lungo
respiro, afferrai il piatto e glielo misi
davanti.
- Lui
chinò il viso. “Sono
incinta…” sussurrò, non capendo.
“Guarda, qualcuno ha scritto Sono Incinta sui pancakes. Ma
cos-”
- Idiota. Lo avevo
già detto che era un idiota?
- Anche se non
potevo biasimarlo.
- Alzò
lo sguardo e incontrò il mio, senza dubbio lucido delle
lacrime che non riuscivo più a trattenere.
- “Tu…?
Sei…? Sei…? Io? Noi? Siamo…?”
- E riuscii solo
ad annuire prima di trovarmi tra le sue
braccia.
-
-
- Era proprio
vero, in
fondo, che le cose migliori arrivano quando meno si aspettano, proprio
come
lei. E insieme al ricordo, non potevo non pensare alle mille
preoccupazioni,
alle visite, alle attenzioni, a fare in modo che niente e nessuno
potesse
mettere in pericolo quella vita che finalmente cresceva dentro di me,
proprio
quando in lei ci avevo perso totalmente le speranze.
- “È
un vero miracolo…”
aveva commentato ogni persona che fosse al corrente della mia
condizione.
- Già,
un vero miracolo
che ora era lì, sotto i nostri occhi, viva e vegeta e sana e
bellissima. La
nostra piccola che, eravamo stati entrambi d’accordo di
chiamare Sophie per
onorare la memoria dei genitori naturali di Hope e di quello che era il
suo
nome, sebbene non potesse essere più diversa dalla sorella.
- Hope aveva
capelli
lisci, rossi e occhi blu.
- Sophie aveva i
capelli
ricci, di un biondo cenere, e gli occhi verdi.
- Non potevano
essere
più diverse eppure sembrare più uguali ai miei
occhi. Entrambe frutto di un
amore decisamente più forte di una semplice combinazione di
geni.
- Hope impazziva
per
Sophie, e Sophie vedeva solo Hope.
- Erano una cosa
sola,
entrambe accumunate da un destino strano che alla fine le aveva portate
a noi.
- Ripensai al
Natale di
sei anni prima, e a come ero passata da non avere nemmeno la
più lontana
possibilità di un figlio, ad avere due bellissime bambine,
venute da chissà
dove.
- Perso
com’ero nei miei
pensieri non mi ero nemmeno resa conto che mancavano pochi minuti alla
mezzanotte. Sophie aveva richiamato la mia attenzione giocando con i
miei
capelli.
- “Sei
di nuovo tra
noi?” sussurrò Rob, qualche secondo prima che
iniziasse il conto alla rovescia.
- “Sì…”
sorrisi e chinai
il viso per lasciarmi baciare la fronte.
- Anche gli ultimi
trenta secondi di questo anno passarono troppo veloci ma mi trovai
ugualmente a
fare un resoconto veloce di quello che era stato: i primi passi di
Sophie, il
primo giorno di scuola di Hope, le prime parole lette e scritte, i
primi suoni
sconnessi di Sophie prima di arrivare a dire mamma
e papà, e il nuoto,
il calcio, la danza, il pianoforte, ogni cosa possibile e immaginabile
che Hope
aveva voluto provare, e i viaggi, i nostri genitori, i nonni, i nuovi
arrivi, i
cugini, gli amici…
- La mia vita
ruotava
intorno alle mie figlie e a ciò che di diverso avevano
portato alla mia vita, e
non avrei potuto chiedere trenta ultimi secondi migliori di quelli in
cui ogni
migliore immagine ti scorre davanti e tu puoi solo stare a guardarla e
sorridere.
- “Buon
anno, amore…”
- “Buon
anno a te. Ti
amo…”
- Ci godemmo lo
spettacolo dei fuochi d’artificio dalla terrazza al piano
superiore ma Rob
trascinò me e le bambine via, prima che finissero.
- Ci trovammo per
strada.
- Hope saltellava
avanti
e indietro mentre Rob reggeva una Sophie ancora vispa e teneva me per
una mano.
- Era
l’una e sapevamo
che ormai a quell’ora sull’isola non
c’era nessun pericolo; ciò non impedì a
Rob di richiamare Hope e fare in modo che camminasse vicino a noi.
- “Ma
dove andiamo,
Papi?”
- “Papi
papi papi” ripeté
Sophie, facendo da eco alla sorella.
- “Vorrei
saperlo anche
io…” mi aggiunsi.
- “Sssh,
state zitte
tutte e tre.”
- E
così facemmo. Mi
fidavo di Rob, ovviamente. Era la curiosità che mi stava
uccidendo, soprattutto
quando mi resi conto che avevamo solo fatto il giro
dell’isolato ed eravamo
tornati quasi al punto di partenza.
- “Stai
cercando di
confondermi le idee o cosa?”
- “O
cosa” rispose,
divertito.
- “Sai,
a mosca cieca si
gioca bendati.”
- “Puoi
stare un po’
zitta?”
- “Uffa!
Sono curiosa,
dai!”
- “Mamma,
dai! Abbi un
po’ di pazienza!”
- “E
smettila tu di
imitare tuo padre!” schernii Hope, stringendo la sua mano
nella mia.
- “Ci
siamo quasi…”
- E lo disse nel
momento
in cui ci approcciamo alla spiaggia e al nostro posto speciale.
- C’era
troppo fumo
nell’aria per vedere le stelle ma non importava. Ormai
eravamo così esperti di
quel posto da essere capaci di arrampicarci anche al buio.
- “Hey,
cucciola! Vieni
in braccio a papà!” disse Rob a Hope, prima di
passarmi Sophie tutta accucciata
nella sua tuta-piumino.
- “Okay,
e ora?”
- “Ora
aspettiamo…”
diede un veloce sguardo al suo orologio. “Due minuti
esatti.”
- E furono i due
minuti
più lunghi della mia vita a causa della curiosità
che mi divorava da dentro.
- Stavo per
esplodere
quando qualcos’altro esplose nel cielo, perfettamente di
fronte a noi.
- Furono una
quindicina
di botti uno dopo l’altro, o forse tutti insieme, non ne ero
sicura, ma non
aveva importanza perché quando si assestarono e vidi la
scritta HOPE NEVER
LEAVES sullo sfondo nero del cielo, nulla ebbe più
importanza.
- Nessun dramma,
nessun
problema, nessuna tragedia…
- Sentii un groppo alla
gola, gli occhi di Rob su di me e mi strinsi a lui mentre sentivo
nascere sulle
mie labbra il sorriso più grato che avessi mai avuto sapendo
che quella era
l’unica verità.
- _______________________
- Niente da dire lol No, okay.
Qualcosa c'è.
- Grazie davvero mille per
averci seguite, prima
e ora,
fino a qui. Per averci sempre fatto sentire apprezzate e per averci
permesso di conoscere delle persone favolose. Come qualcuno magari
avrà capito, il nostro periodo di scrittura di FF ormai
è passato. E' giunto al termine, in fondo. Abbiamo avuto
più di quanto potevamo mai sperare con quel primo capitolo
di "Qui dove batte il cuore" ed è arrivato il momento di
andare avanti. E non perchè non amiamo più Rob e
Kristen o perchè non speriamo con tutto il cuore che
sfornino un bimbo subito (jamm bell! u.u), ma semplicemente
perchè è giusto così. C'è
un tempo adatto per ogni cosa, no? Ecco, noi abbiamo scritto di loro (o
anche di Edward e Bella) durante il loro momento, durante il momento
adatto; ma il momento è passato e noi andiamo avanti. :)
- Non vogliamo farlo suonare
come un addio, perchè questo provocherebbe più
lacrime a noi che a voi (ebbene sì, anche noi abbiamo un
cuore in fondo haha) ma visto che non pensiamo ci saranno altre fan
fiction in futuro, volevamo solo dirvi quanto voi siate state speciali
ed importanti per noi. Insomma, con alcune di voi sono nate amicizie
vere e proprie, per non parlare degli scleri, delle petizioni, dei
conti alla rovescia, dei... (okay, avevamo detto di non piangere
ç_ç)... Ma insomma, qualunque cosa accada nelle
nostre e nelle vostre vite, di certo non dimenticheremo mai questi
"anni di scleri" con voi.
- E' qualcosa con cui siamo
anche un pò cresciute quindi qualcosa che ci porteremo
dentro sempre. Magari tra qualche anno guarderemo indietro e penseremo
"Oddio, che idiote eravamo..." però magari rileggeremo
questa piccola nota finale e ci ricorderemo che se qualcosa ti rende
felice mentre la fai, allora non è tanto da idioti, dopo
tutto, no?
- Okay, stop. Bando ai discorsi
tristi! Vogliamo solo dirvi che vi vogliamo bene e
che le recensioni, gli scleri, le nottate insieme e tutto il resto sono
state le ricompense più belle per le ore passate a
scrivere. Vi vogliamo un mondo di bene e... siamo davvero il fandom
più speciale del mondo! :')
- Un abbraccio!
- Cloe&Fio xx
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