Magic Hour

di Cida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storybrooke – Inception ***
Capitolo 2: *** Enchanted Forest – Grief ***
Capitolo 3: *** Elections and conspiracy ***
Capitolo 4: *** Friends ***
Capitolo 5: *** Deal ***
Capitolo 6: *** Magic Hour ***



Capitolo 1
*** Storybrooke – Inception ***



Magic Hour


Capitolo 1: Storybrooke – Inception


*Be-beep... be-beep... be-beep*
  Nel buio più completo della stanza cominciò ad udirsi un leggero mormorio.
*Be-beep... be-beep... be-beep*
  «Ho capito, ho capito... mi alzo!»
*Be-beep... be-beep... be-beep*
  Un cuscino venne sparato alla velocità della luce sul comodino e il rumore finalmente cessò.
  «Maledetta sveglia...» imprecò il padrone della mano colpevole del lancio, prima di lasciarsi andare ad un sonoro sbadiglio. Rimase ancora qualche minuto a crogiolarsi nel calore del suo letto ma, alla fine, dovette arrendersi e prendere la decisione di alzarsi.
  Il movimento di coperte mostrò il corpo di un ragazzo alla metà del cammino che separa i venti dai trent’anni: era alto ma non troppo e il fisico era asciutto, fatto più per essere scattante che possente.
  Senza troppa enfasi si trascinò verso il bagno dove, una volta libero dai lunghi pantaloni del pigiama a quadretti e dalla maglietta usati per dormire, si concesse una doccia veloce. Una volta uscito asciugò i capelli biondi, molto chiari, con un colpo di fon e passò una mano sullo specchio liberandolo dalla condensa per verificare di aver acquisito un aspetto quantomeno presentabile. Incontrò, infatti, il riflesso dei propri occhi di un curioso colore violetto dalle sfumature rosate e vi trovò un’espressione vigile e attenta. Fortunatamente per lui l’albinismo non era stato troppo crudele nei suoi confronti, lasciandogli un aspetto tutto sommato gradevole e la possibilità di esporsi al sole senza troppi rischi, come se qualcosa d’invisibile proteggesse costantemente la sua pelle chiara: l’unica cosa a cui doveva stare attento erano gli occhi che riparava con occhiali scuri quando i raggi risplendevano troppo potenti.
  Tornò in camera dove si vestì alla meno peggio mentre lo sguardo gli cadeva sull’orologio appeso alla parete: era in ritardo.
  «Poco male...» sbuffò con una smorfia, tanto sarebbe stata sempre la solita giornata inconcludente al piccolo studio legale dove, su carta, avrebbe dovuto fare pratica ma in realtà si limitava a sfornare fotocopie e a portare caffè.
  Ogni tanto si ritrovava a chiedersi che cosa ci facesse ancora in quella cittadina sperduta del Maine ma come velocemente il cervello formulava quel pensiero, altrettanto rapidamente decideva di cancellarlo. Ancora una volta, infatti, quello non era il momento per pensarci e, indossata una giacca leggera, uscì.
  Praticamente volò giù dalle scale a grandi balzi cercando di recuperare un po’ di tempo e appena fuori dal portone per poco non travolse la sua vicina di casa già di rientro dal mercato, lei sì che era una vera mattiniera.
  «Mi scusi M...» le disse contrito.
  «In ritardo come al solito, eh?» lo riprese bonariamente la donna, sorridendo per come la chiamava sempre: da quando il padre del ragazzo era morto, per lei era diventato come un figlio ma sebbene fosse arrivato a darle quel nomignolo “Em”, semplicemente l’iniziale del suo nome, ancora non si calava a darle del tu.
  Lui si portò una mano dietro alla nuca con leggero imbarazzo «Già... io e gli orologi non andiamo molto d’accordo»
  «Allora vai, non ti trattengo oltre... non sia mai che tu non riesca a passare da Granny’s per la colazione» lo punzecchiò con una nota maliziosa della voce, guadagnandosi un’occhiata torva che sottolineava un perentorio “siamo solo amici” «E a proposito di orologi: quello della piazza centrale ha ripreso a muoversi»
  «Che cosa?» le chiese stupito, prima di voltarsi verso l’unico edificio che poteva vedersi da qualsiasi angolo della cittadina: era vero, le lancette di quel vecchio macinino si erano spostate.


  Emma camminava irritata lungo la strada principale che l’avrebbe portata alla tavola calda, gestita dalle stesse persone che le fornivano un alloggio. Chi si credeva di essere quella donna? Presentarsi con quel cesto di mele maledette e poi cercare di intimorirla a quel modo. Se pensava di poter fare il bello e il cattivo tempo sulla sua vita così come sembrava fare in quella cittadina... oh, si sbagliava di grosso.
  Presa com’era dai suoi pensieri, poco si preoccupava di guardare dove stesse andando e così, proprio nell’imboccare il vialetto d’ingresso del bar, cozzò malamente contro qualcuno. «Ehi!» esordì «Stai bene? Mi spiace, non ti avevo visto...»
  «Ho notato...» le rispose il ragazzo in questione, massaggiandosi un braccio «Ma anch’io andavo di fretta, per cui non è solo colpa dei tuoi pensieri» sorrise «Tu, tutto ok?»
  La bionda annuì, per ritrovarsi poi a disagio di fronte a quegli occhi così strani che la guardavano con curiosità «Che c’è?» chiese di conseguenza.
  «Scusa, non volevo fissarti...» si riprese subito lui «E’ che... tu sei nuova, vero? Nel senso: sei appena arrivata in città?» continuò avviandosi verso l’ingresso.
  «Ieri sera» confermò lei seguendolo «E non sei stato l’unico a stupirsi di questo. E’ davvero così strano che qualcuno si fermi qui?»
  «Strano direi che non basta» ridacchiò il ragazzo «Penso proprio che tu sia la prima, da che io possa ricordare almeno. Prego...» continuò, poi, aprendole la porta ed invitandola ad entrare.

  Ruby si voltò verso l’ingresso attirata dal suono del campanello, collegato alla porta del locale, e vide entrare gli ennesimi nuovi clienti della mattinata. La prima era colei che alloggiava dalla sera precedente al motel della nonna, inutile dire che erano state assai stupite di avere finalmente un ospite. La salutò, quindi, con un cenno del capo e la vide ricambiare mentre prendeva posto al bancone appropriandosi di un giornale: ahia, non le sarebbe piaciuto per niente trovarvi quel che c’era scritto.
  La seconda persona, invece, la conosceva bene, perciò fu con un largo sorriso che si girò nella sua direzione «Guarda un po’ chi mi degna della sua presenza» lo provocò lanciando un’occhiata all’orologio «Qual è la scusa di oggi, Alec?»
  «Che spiritosa...» le rispose l’albino avvicinandosi «Diciamo che sono successe un po’ di cose curiose» continuò lanciando un’occhiata alla bionda seduta alcuni sgabelli più in là.
  «Oh, giusto!» si ricordò la ragazza «Ho un’ordinazione speciale, torno subito»
   Si allontanò e, con l’esperienza di ogni giorno, preparò una fumante cioccolata calda a cui aggiunse un’abbondante dose di panna e una spolverata di cannella, come espressamente richiesto dal committente. Fu proprio così, infatti, che la servì alla nuova arrivata «Ecco a lei»
  Emma alzò lo sguardo sulla giovane, interrompendosi per un soffio nel dare un morso ad una delle mele di Regina «Grazie...» disse «Ma non l’ho ordinata io»
  Ruby appoggiò i gomiti al bancone, sorrise maliziosa «Sì, lo so... ha un ammiratore» e il sorriso si allargò quando la vide dirigersi erroneamente dallo sceriffo, si prospettava una scenetta divertente.
  «Sei tremenda» la riprese il ragazzo alla sua sinistra.
  Lei arricciò le labbra con espressione offesa e gli tornò di fronte, non prima di aver recuperato un sacchetto di carta «Talmente tremenda che ti ho già preparato la colazione a portar via, così recuperi tempo»
  Alec, anziché ringraziarla, fece una smorfia «Naaah... fino a quando non arriva l’ora del caffè, nessuno bada alla mia presenza»
  «Ah-ha...» annuì l’altra con noncuranza «Peccato che sia, esattamente, fra cinque minuti»
  Il biondo sgranò gli occhi e li puntò dritti sull’orologio «Merda, quanto è tardi» imprecò finemente «Scappo» arpionò il sacchetto, pagò e schizzò letteralmente verso la porta. Poco prima di uscire, però, si fermò e riportò la sua attenzione su di lei «Grazie» le disse e, solo quando la vide sorridere e scuotere la testa con fare rassegnato, uscì.




Prima di tutto grazie per aver letto il primo capitolo e spero che vi abbia un po' incuriosito in modo da spingervi a seguire anche i successivi (saranno sei capitoli in tutto).
Come detto nell'introduzione la fic si è classificata al secondo posto al concorso di Trick C'era una volta un personaggio di cui ci siamo scordati - Il contest delle favole dimenticate, il quale chiedeva di creare un OC credibile (mai apparso nella prima serie e non previsto ufficialmente per la seconda) che interagisse con gli stessi personaggi sia nel mondo delle fiabe che a Storybrooke.
Qui il link al post del forum con il regolamento completo.

La filastrocca nell'introduzione è tipica inglese. Io ho cambiato solo un paio di parole: al posto di change c'era work e di stay, play.
La parte nel bar fra Emma e Ruby è tratta dalla 1x02 :)
Per ora vi saluto e, spero, alla prossima :D

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Capitolo 2
*** Enchanted Forest – Grief ***



Capitolo 2: Enchanted Forest – Grief


  Il padrone di casa si alzò, non dormiva mai molto o, quantomeno, mai troppo a lungo. Bastarono, infatti, una leggera stirata, uno sbadiglio e una strofinata agli occhi per essere già bello che pronto. Andò all’armadio della sua stanza e l’aprì, puntando direttamente sulla parte destra dove recuperò un panciotto, una giacca lunga e un foulard: tutti e tre rigorosamente neri. Posò tutto sul letto e cominciò a vestirsi: iniziò dal panciotto, facendo attenzione mentre inseriva nelle asole i preziosi e ricamati bottoni dorati; continuò, poi, con il foulard che legò attorno al collo con precisione ed, infine, indossò la giacca decidendo di lasciarla aperta, in modo che non gli intralciasse troppo i movimenti.
  Si guardò allo specchio e sbuffò quasi dispiaciuto perché, oltre ai suoi vestiti, non avrebbe avuto nient’altro per simboleggiare il lutto. Certo, il suo dolore era autentico ed era sicuro che la principessa avrebbe capito ma voleva fare di più, voleva che sapesse quanto le fosse vicino in quel momento e ricambiare quello che aveva fatto per lui quando, tempo prima, si era ritrovato nella sua stessa situazione.
  Fu per questo che la sua attenzione venne catturata dal piccolo ritratto posato sul comò lì accanto. Anche suo padre se n’era andato, da mesi ormai: era un vecchio scorbutico, poco incline ad interessarsi del prossimo, fissato all’estremo con il suo lavoro e tanto altezzoso coi suoi servi quanto strisciante coi suoi superiori. Non era esattamente il genitore migliore che si potesse desiderare ma era anche l’unico che avesse mai conosciuto perciò, anche se non andavano d’accordo, aveva imparato a volergli bene. Si ritrovò a sorridere ricordandosi di come andava in giro sbraitando per casa, prendendosela quasi sempre con la cameriera che, poverina, raramente aveva colpa.
  Scosse il capo, quello non era il momento di lasciarsi andare a sentimentalismi, avrebbe dovuto essere forte. Aprì il primo cassetto che aveva di fronte e prese il prezioso orologio in esso contenuto, lo agganciò con cura ad uno dei bottoni del panciotto e lo fece sparire nel taschino. Era pronto per scendere.

  Arrivato in salotto, fu subito accolto dalla cameriera, una signora ormai in là con l’età dai lunghi capelli bianchi ed occhi azzurri che da giovane doveva essere stata una ragazza veramente graziosa «Signore, la colazione è pronta: tè caldo assieme ai vostri muffin preferiti»
  «Mi dispiace, Mary Ann...» le rispose lui desolato «Ma, questa mattina, non mi va proprio di mangiare»
  La donna comprese e non insistette oltre. Erano davvero cambiate le cose in quella casa da quando il figlio era diventato il nuovo padrone. Non che odiasse quello precedente, sia chiaro, tuttavia era innegabile che la portasse spesso all’esasperazione e, difatti, più di una volta si era trovata ad avere l’impulso di spaccargli qualche piatto sulla testa... cosa che, fortunatamente, non era mai accaduta. «Andate al castello?»
  Lui si limitò ad annuire mentre dava un’ultima sistemata al colletto della giacca.
  «Allora, se posso permettermi...» azzardò l’altra «Vi chiederei di portare alla principessa le mie condoglianze e quelle di Pat» concluse rimanendo col fiato sospeso, mai prima di allora aveva osato fare una richiesta simile: i suoi padroni portavano messaggi reali, non si erano mai abbassati a recapitare quelli dei servi. Per questo trasalì quando lui voltò di scatto il capo verso di lei, fissandola con quel suo sguardo attento e violetto, si era spinta troppo oltre?
  «Perché non lo fate voi di persona? Venite con me» le rispose, invece, lasciandola di stucco.
  «Signore, non potrei mai...» si affrettò a ricomporsi «Sono solo una domestica e Pat un giardiniere, non sono sicura che la nostra presenza sia gradita a palazzo»
  Questa volta toccò al più giovane comprendere, in fin dei conti al castello non abitava solo la principessa. «Le porterò le vostre condoglianze allora, sono sicuro che ne trarrà conforto» le assicurò, poi mise mano alla catenella e recuperò l’orologio: spaccava il secondo come al solito. Quindi lo risistemò, salutò la cameriera ed uscì, in perfetto orario.


  Il viaggio verso il castello fu abbastanza lungo ma non faticoso, gran parte del suo mestiere consisteva nel camminare o correre da una parte all’altra del regno e, di conseguenza, era molto allenato. La giornata era limpida ma, già vedendolo da lontano, si capiva quanto il palazzo fosse chiuso nel suo dolore: il re era stato assassinato mentre il principale sospettato era, misteriosamente, sparito nel nulla. Salì le ampie scale di marmo con agilità e, una volta arrivato in cima, le guardie lo lasciarono passare senza problemi: d’altra parte aveva varcato quella soglia innumerevoli volte. Imboccato il grosso corridoio, si costrinse a cercare la moglie del re perché, sebbene i suoi desideri fossero differenti, lei era pur sempre la regina e lui l’araldo del defunto sovrano, la politica voleva che fosse lei la prima a ricevere le condoglianze. Si lasciò guidare dalle sue capacità e la trovò alla balconata che dava proprio sulla grande sala adibita a camera ardente. «Vostra maestà...» disse per attirarne l’attenzione.
  La donna si voltò nella sua direzione e lui si prodigò a farle un profondo inchino come l’etichetta richiedeva.
  «Alzate il capo, fidato araldo» lo invitò la regina «E’ un vero peccato che il nostro primo incontro avvenga in una così triste occasione»
  Quella era, infatti, la prima volta che s’incontravano faccia a faccia. Da che aveva preso il posto del padre, lui aveva sempre e soltanto avuto contatti con il re: erano i suoi atti che rendeva pubblici, erano i suoi messaggi che portava alle corti straniere. Le poche volte che l’aveva vista era sempre stato da lontano. Non poté fare a meno che essere d’accordo con lei. «Sono molto addolorato per la vostra perdita, il re era davvero un uomo molto buono» affermò con convinzione «Per quanto possano valere, vi porgo le mie più sincere condoglianze»
  Sul viso triste della giovane vedova si dipinse un leggero sorriso, quasi dolce «Non dite così, non sminuite le vostre parole. Non potranno riportarlo in vita, è vero, ma fa piacere sapere che gli amici condividano il nostro dolore. Perché voi siete un buon amico»
  L’araldo piegò la testa, confuso da quelle parole… sembrava quasi che fosse lei a consolarlo, non il contrario. Tuttavia, non riuscì ad aprir bocca che lei continuò «E da buon amico quale siete, capirete quanto sto per dirvi» mosse qualche passo nella sua direzione «So che alla morte di vostro padre, mio marito era restio a farvi prendere il suo posto, come dargli torto? Eravate, e siete ancora, così giovane. Snow, però, aveva capito le vostre potenzialità e, per darvi una possibilità, si è battuta con tutte le sue forze. Ovviamente non avete deluso le aspettative, tanto che mio marito ha imparato a fidarsi di voi ciecamente» sospirò «Capirete che questi ricordi sono troppo per me. Perciò ho deciso di rinunciare ai vostri servigi: vedervi, per quanto voi non ne abbiate colpa, me lo ricorderebbe in continuazione e non potrei sopportarlo» concluse guardandolo con una strana espressione, dall’alto verso il basso.
  Lui sgranò gli occhi mentre un fremito incontrollato scuoteva il suo naso… lo stava licenziando? «Co-come desiderate, vostra maestà» si ritrovò a balbettare con un inchino, completamente schiacciato dallo sguardo altezzoso della donna che l’aveva decisamente preso alla sprovvista «Col vostro permesso, adesso, andrei a dare l’ultimo saluto al mio re» riuscì a dire, poi, riprendendo la propria dignità.
  Regina lo congedò con un cenno del capo e, quando lui si voltò, un altro sorriso nacque sul suo volto ma, a differenza di poco prima, non aveva nulla di dolce: questo era di pura soddisfazione.

  L’araldo, ormai ex, si trascinò addolorato e confuso verso la bara, ricoperta di rose rosse, posta su di un grosso altare di marmo al centro della camera ardente. S’inginocchiò e rimase in silenzio, con la mente in balia di un mare in tempesta. Mentre rischiava di perdervisi senza possibilità di salvezza, due parole vennero in suo aiuto «Sei qui!»
  Riaprì di colpo gli occhi e si rialzò, voltandosi verso quella voce «Principessa…»
  «Snow…» lo corresse lei, aveva le lacrime agli occhi ma stava sorridendo.
  «Snow» ripeté lui sforzandosi, troppo difficile da combattere l’abitudine «Vi... ti porto le mie condoglianze, assieme a quelle di Mary Ann e Pat»
  «Grazie…» rispose la ragazza con dolcezza, abbassandosi di poco in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza e poi l’abbracciò, traendo conforto dal suo calore. «Dopo tutto questo nero, il tuo pelo candido mi riscalda il cuore, White»
  Lui scosse il capo e il movimento fece dondolare le sue lunghe orecchie, era stato davvero uno stupido a farsi tutti quei problemi. Rimasero così, l’una fra le zampe dell’altro, traendo conforto dalla reciproca presenza.

  Regina guardò, per qualche minuto, la scena con espressione impassibile, poi decise di scendere. A differenza del padre, vecchio ossequioso e manipolabile, il giovane era piuttosto sveglio ed, inoltre, il legame con Snow poteva risultare un grosso ostacolo per i suoi piani: era giunta l’ora di liberarsi di messer Rabbit.

  White avvertì il suo spostamento: percepì il rumore dei tacchi grazie al suo udito fine, sentì il suo profumo col naso. Sciolse l’abbraccio. «Devo andare, Princ… Snow» si corresse, non le avrebbe dato altro dolore facendole sapere ciò che aveva deciso la sua matrigna «Sappi che di qualsiasi cosa tu avrai bisogno, io ci sarò sempre per te»
  L’altra annuì, passandogli una carezza sul muso «Lo so, grazie»
  Così si congedarono e lui si allontanò. Non era esattamente un ottimo modo per iniziare a sdebitarsi con lei, lo sapeva, per questo si voltò nella sua direzione ancora una volta e, così, la vide posare sulla bara una rosa bianca a stelo lungo, in un letto di petali rossi. Quando la sentì dare l’addio a suo padre fra i singhiozzi, le diede nuovamente le spalle mentre nel suo animo iniziava a farsi largo un pesante senso di colpa. Per quanto desiderasse stare accanto alla principessa, era sicuro che non sarebbe riuscito a sopportare nuovamente lo sguardo altero della regina che, sebbene le sue ragioni sembrassero valide anche se estremamente egoistiche, non aveva esitato a cancellare con poche parole tutto ciò che, da quando era nato, aveva imparato a fare.
  Fu abbattuto e sconfitto che attraversò per l’ultima volta il lungo corridoio del castello: persino le sue orecchie, di solito sempre ritte e attente, erano scivolate meste lungo il capo mentre, ad ogni passo, il peso del suo essere si faceva sempre più pressante. In fin dei conti, lui non era un guerriero, non era un eroe... non era neanche un uomo: lui era semplicemente un coniglio.




Eccoci arrivati alla fine del capitolo due: ebbene sì, il mio OC è proprio il Bianconiglio ;) Spero vi piaccia come ho deciso di renderlo.
Il capitolo è ambientato nell'episodio 1x07 e, come avrete notato, ho deciso di mantenere i nomi originali.
Ringrazio infinitamente Capinera ed _Eterea_ per avermi lasciato una recensione ed aver messo, rispettivamente, la mia storia fra le preferite e le seguite assieme a Ginevra Gwen White e chica KM.
Chiunque voglia lasciarmi un suo pensiero sarà ben accetto ;)
Grazie per aver letto e alla prossima.

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Capitolo 3
*** Elections and conspiracy ***



Capitolo 3: Elections and conspiracy


  I giorni di apatia, che avevano accompagnato la cittadina dalla prematura morte dello sceriffo, erano terminati. La città era di nuovo in fermento dovuto, soprattutto, alla competizione che era nata per deciderne il successore. Storybrooke si trovava spaccata a metà: c’era chi sosteneva Emma Swan, nuova arrivata nonché ex vice sceriffo, e chi parteggiava per Sidney Glass, direttore del Daily Mirror.
  Alec era una di quelle persone che rientravano nel primo caso. Certo, non poteva dire di conoscerla chissà quanto, tuttavia le volte in cui l’aveva incontrata da Granny’s cominciavano ad essere parecchie e, di conseguenza, si era fatto un’idea: Emma era una a posto. Senza contare che sembrava non temere il malefico duo governatore della città: dall’episodio della miniera, ormai, tutti erano al corrente del conto aperto che aveva con il sindaco per la questione di Henry e, da Ruby, era venuto a sapere come si fosse messa contro Mr. Gold per aiutare quella ragazza… come si chiamava? Ashley.
  Infine, a suo favore c’era anche il fatto che Graham l’aveva già scelta come vice ed il ragazzo si rifiutava di credere che le avesse dato quell’incarico solo perché aveva un bel sedere, come insinuava qualcuno in quei giorni.
  Quindi, parlandosi chiaro, cosa poteva fare il suo sfidante contro tutte queste qualità? Sidney Glass non era niente di più di un uomo che scriveva i suoi articoli da dietro una scrivania di un sontuoso ufficio, pronto a correre solo quando il suo padrone lo ordinava. Perché sì, il biondo aveva capito cosa c’era sotto a questa candidatura e la chiamata, che aveva ricevuto la sera prima, gliel’aveva confermato.
  Proprio a causa di quella telefonata non era passato alla tavola calda quella mattina, nonostante avesse un giorno libero dallo studio. Ruby, infatti, capiva ogni volta dove sarebbe dovuto andare, fin dal primo momento che metteva piede nel suo locale e, di conseguenza, non gli rivolgeva parola o, se lo faceva, finivano per litigare. Decisamente non era in vena di scenate.
  Fece ancora qualche passo lungo il marciapiede e, poi, imboccò il vialetto d’ingresso del giardino. Una volta davanti alla porta della villa, prese un profondo respiro, raddrizzò le spalle ed allungò un braccio. Proprio quando il suo dito scontrò il metallo sul muro, si capì come la ragazza potesse sempre sapere dove lui andasse in quelle occasioni: il campanello trillò in perfetto orario.
  Dovette attendere solo pochi minuti prima che la porta si aprisse «Mr. Downy, puntuale come al solito» lo accolse Regina.
  «Sindaco Mills…» rispose lui con un cenno del capo.
  «Ho del lavoro per lei» arrivò dritta al punto la donna «Il tempo è poco e da fare c’è tanto» spostò leggermente la porta e recuperò un grosso scatolone che il ragazzo si affrettò a prenderle. «Questo è solo il primo di tanti. Gli altri potrà trovarli al comune» continuò a spiegargli «Ci sarà anche un furgone, così farà prima. Mi raccomando di dare priorità agli inviti per il dibattito di domani. So che saprà soddisfare le mie aspettative» concluse sorridendo.
  Alec annuì e distribuì meglio il peso sulle braccia, cosicché lo sguardo gli cadde sul contenuto dello scatolone mezzo aperto: chili su chili di manifesti elettorali, tutti con la faccia di Sidney. Era stupito? Ovviamente no. Tuttavia qualcosa dentro di lui scattò «Perché Glass?»
  «Come, prego?» chiese lei perplessa, non le aveva mai fatto domande.
  Lui non demorse «Mi chiedevo perché candidare Glass per un ruolo di questo genere, non sarebbe stato meglio far succedere direttamente il vice sceriffo Swan?»
  Regina sorrise nuovamente «Mi pare che nessuno abbia chiesto il suo parere Mr. Downy» disse con calma «Le sto offrendo un lavoro… lavoro che pagherò assai bene. Se non lo vuole può benissimo evitare di accettarlo» sospirò «Mi pareva di aver capito, però, che avesse bisogno di soldi… gli affitti di Mr. Gold sanno essere assai cari a volte, non trova?»
  L’albino strinse i denti «D’accordo, lo farò»
  «Molto bene. Allora vada: prima comincerà, prima finirà» lo congedò chiudendogli, praticamente, la porta in faccia.
  Il ragazzo strinse convulsamente la scatola fra le sue braccia, così tanto che le dita quasi bucarono il cartone. Quindi si voltò e riprese il vialetto che l’avrebbe portato via da lì. Mentre passava accanto al melo, però, non poté fare a meno di pensare se quella donna fosse davvero stata sempre così stronza o lo fosse diventata per qualcosa di particolare.


  Snow aveva corso e corso ancora, finché il cuore non aveva rischiato di scoppiarle nel petto. Solo allora si era fermata a riprendere fiato: non sarebbe mai più potuta tornare a casa, non dopo quello che era successo. La sua vita da principessa era finita, da quel momento in avanti avrebbe dovuto affrontarne una nuova: quella da fuggitiva.
  Aveva bisogno di nascondersi, di sparire, perché era sicura che Regina non si sarebbe fermata. Ancor prima di questo, però, necessitava dell’aiuto e del conforto di un amico, qualcuno che l’avrebbe capita, consolata e protetta se si fosse presentato il caso. Per cui si fece forza e, anche se le lacrime premevano per uscire, riprese il cammino: sapeva esattamente dove doveva andare.

  Mary Ann si trovò costretta, da un forte battito di mani contro la porta d’ingresso, ad abbandonare le sue mansioni. Fu piuttosto irritata, infatti, che andò ad aprire «Si può sapere chi è che ha deciso di butt...» cominciò ma non appena riconobbe la figura sporca e affaticata che aveva di fronte si quietò «Principessa! Che cosa vi è successo? Entrate, presto» si affrettò accompagnandola dentro e richiudendo subito la porta.
  La mora si lasciò cadere su una poltrona del salotto «Vi racconterò tutto ma, prima, ho bisogno di White»
  La donna annuì «Ma certo, lo vado subito a chiamare» e prese velocemente le scale che portavano al piano superiore. Batté delicatamente le nocche sulla porta semiaperta del padrone: non ottenne risposta ma, data la situazione, si azzardò ad entrare lo stesso. Lo trovò intento a seguire i leggeri dondolii che la catenella, stretta nella sua zampa, faceva compiere all’orologio di suo padre, lo sguardo assente perso in chissà quali pensieri. Mary Ann sospirò, ecco perché non aveva udito nulla di quel che era accaduto di sotto: era da quando aveva perso il suo lavoro che, ogni tanto, scivolava in quegli stati di catatonia, innegabilmente cominciava ad essere preoccupata. «Signore...» provò ancora a richiamare la sua attenzione sperando che la sua voce, a differenza del bussare di poco prima, potesse ottenere un risultato migliore.
  Questa volta, infatti, White riprese lucidità con un leggero scatto del capo «Dimmi...» le rispose.
  «Abbiamo ospiti» lo informò lei «Di sotto c’è la principessa Snow, temo abbia bisogno del suo aiuto»
  «Che cosa?» scattò in piedi subito l’altro con ancora la catenella dell’orologio stretta nel pugno. Si voltò a guardare lo strumento solo per un attimo, quasi con stizza, poi lo abbandonò sul comò e, seguito dalla cameriera, scese veloce al piano di sotto.

  «Snow!» sgranò gli occhi il Bianconiglio, quando la vide.
  Lei gli si precipitò incontro e gli buttò le braccia al collo abbandonandosi finalmente alle lacrime.
  White non poté far altro che lasciarla sfogare per un po’, solo quando la sentì calmarsi le levò una foglia secca dai capelli e provò a chiederle «Che ti è successo?»
  La ragazza sciolse l’abbraccio e si passò una mano sul viso, con il risultato di far un pessimo miscuglio di lacrime e terra «Ha tentato di uccidermi...»
  «Chi?» chiese l’altro incredulo.
  «Regina...» gli rivelò lei in un soffio «Ha mandato un cacciatore estraneo alla corte, è stato solo grazie al suo buon cuore se mi sono salvata: ha avuto pietà di me e mi ha lasciata andare. Per questo sono venuta qui: non posso più tornare a palazzo, capisci? Anche i fedeli alla mia famiglia sono sempre meno» lo guardò negli occhi «Tu sei stato solo il primo di una lunga serie, si sta liberando di tutti quelli che potrebbero essere un ostacolo per i suoi piani»
  «Quella donna...» sibilò il bianco in un soffio, irritato per essersi fatto abbagliare dalla sua bellezza e per aver creduto ai suoi modi cordiali. Si era persino dispiaciuto per lei, anche se non aveva esitato a liquidarlo con superbia. A quel punto gli venne naturale chiedersi se anche il suo dolore fosse stato tutta una farsa e, inevitabilmente, si ritrovò a valutare l’ipotesi che, a tirare le redini del misterioso assassinio del re, fosse stata proprio lei. Alla luce di tutto, la probabilità era tutt’altro che esigua. «Mary Ann» chiamò, quindi «Prepara subito un bagno caldo alla principessa, così potrà lavarsi via questa brutta giornata. Nel frattempo le faremo da mangiare e cercheremo di trovare qualcosa che possa andar bene fra i tuoi vestiti»
  «Subito, signore» rispose solerte la cameriera che, sebbene fosse assai turbata dal racconto della ragazza, non poté far a meno di essere felice per la vitalità che il suo padrone sembrava aver recuperato.
  Quando la donna se ne fu andata, Snow si rivolse al suo amico «Tu non devi fare tutto questo per me»
  «Hai ragione, non devo...» annuì White «Io voglio farlo. Ti ho detto che per te ci sarei sempre stato, giusto un attimo prima di lasciarti nelle mani della tua matrigna» sorrise amaramente «Non è stato un ottimo modo per cominciare ma, ora, voglio rimediare. Per cui troveremo una soluzione e, fino a quel momento, sarai mia gradita ospite»
  E, mentre si faceva accompagnare dalla sua zampa posata sulla schiena, la mora non poté far altro che dire «Grazie...»


  Alec posò sbuffando quello che era, finalmente, l’ultimo scatolone di manifesti. Era sicuro che, a forza di spargere la sua faccia per la città, avrebbe pinzato ad un muro anche Sydney Glass in carne ed ossa, se lo avesse avuto vicino. Si chinò per la millesima volta in quei due giorni, recuperò l’ennesimo foglio e si apprestò ad appiccicarlo alla parete.
  «Non ci posso credere, anche tu!»
  Il ragazzo inarcò le sopracciglia ed interruppe il suo lavoro «Mary Margaret» la riconobbe voltandosi «Anch’io, cosa?» le chiese ma bastò ricordarsi di cosa aveva in mano per rendersene conto da solo «Ah... Sidney» storse le labbra «Chi altro hai trovato ad appendere i suoi manifesti?» buttò lì, innocentemente, cercando di sviare il discorso.
  «Non ha importanza chi ho trovato» disse lei risentita, tuttavia non riuscì ad impedirsi di arrossire leggermente «Non ci provare nemmeno a fare certi giochetti con me» continuò riferita al suo tentativo di depistaggio ed andandogli vicino «Mi sembrava di aver capito che avresti votato per Emma»
  Il biondo tamburellò il piede a terra, irritato: già si sentiva abbastanza in colpa così, ci mancava anche la paternale «E’ esattamente quel che farò, infatti...»
  «E allora perché?» gli chiese la mora non capendo, poi arrivò l’illuminazione «Te l’ha chiesto lei» affermò.
  «Mi ha offerto un lavoro» si sentì in obbligo di precisare lui.
  «Lavoro che ti fa fare qualcosa che non condividi» rilanciò l’altra «Si può sapere che potere ha su di te? Sembra quasi che tu non le sappia dire di no, anche il tuo ritardo cronico con lei sparisce»
  Alec strinse i denti «Non lo so perché con lei mi comporto così, d’accordo? Quando mi chiama io non faccio niente di diverso dal solito, so solo che quando arrivo alla sua porta sono sempre in orario. Credi che mi piaccia fare ciò che mi chiede? Beh, non mi piace... ma mi paga, maledizione» sbottò «Mio padre non mi ha lasciato un centesimo e allo studio legale non mi danno un soldo, senza contare che neanche mi ricordo di come ci sono finito là dentro. Mi piacerebbe sopravvivere ad aria ma ho bisogno di mangiare, di un posto dove stare e, purtroppo, entrambe queste cose hanno un prezzo»
  Mary Margaret non reagì subito, le ci volle un attimo per assorbire quella rivelazione «Perché non hai detto nulla?»
  Il ragazzo soppesò la domanda e verificò mentalmente a chi avrebbe potuto dirlo: una persona ce l’aveva di fronte ed era sicuro che l’avrebbe aiutato in qualsiasi modo le fosse stato possibile, così come aveva fatto con Emma ospitandola in casa sua anche se la conosceva appena; altre due erano alla tavola calda, la nonna e Ruby l’avrebbero riempito fino a scoppiare se avessero saputo che faticava a mettere il cibo nel piatto e l’ultima era Marianne, la sua vicina di casa che per lui già si preoccupava fin troppo. Quelle donne erano parte della sua vita, a pensarci bene non si ricordava nemmeno la prima volta che le aveva incontrate e, di conseguenza, doveva conoscerle da sempre «Io non voglio essere un peso» rispose infine «Per nessuno»
  La donna sospirò, sapeva quanto potesse essere testardo «Allora vattene da quello studio, cerca un altro lavoro. Ti aiuterò a trovarlo»
  Il biondo rise sarcastico «Sii seria, tutti in città sanno del mio problema con gli orologi: nessuno è pronto a darmi una possibilità»
  «Io te la darei...» confutò subito la sua tesi l’altra.
  «Tu non fai testo, la daresti a chiunque...» le fece presente lui in un’alzata di spalle.
  Rimasero in silenzio per un attimo, guardandosi, occhi negli occhi... poi Alec scoppiò a ridere mentre sul viso della mora andava dipingendosi un’espressione d’indignazione mista ad imbarazzo «Tu! Tu non puoi fare queste battute con me» l’accusò puntando un dito contro al suo petto ad ogni “Tu”, fingendosi offesa.
  «Scusa, scusa...» si affrettò a riparare il ragazzo, alzando le mani in segno di resa.
  «Almeno sei tornato a sorridere un po’, anche se a mio discapito» constatò lei scotendo il capo «Sono cambiate molte cose in città, ultimamente...» riprese il discorso poi «Chi lo dice che non possano cambiare anche per te? Sei tu il primo a doverti dare una possibilità»
  Alec annuì, anche se poco convinto «Grazie»
  «Per cosa? Dovresti ringraziarmi se ti prestassi la stessa somma che Regina ti ha promesso» buttò lì guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’altro «Ok, non accetteresti mai, ho capito. Allora finisci quello che devi fare ma, per la prossima volta, pensa a quello che ti ho detto. Ci vediamo al dibattito»
  Si salutarono e lei se ne andò. Il biondo riportò lo sguardo sullo scatolone: gli servivano davvero quei soldi, perciò riprese il suo lavoro. Mentre gli ultimi manifesti passavano fra le sue mani, però, non poté far a meno di ripensare alle parole della mora e un sorriso spuntò sulle sue labbra.


  La carrozza reale frenò dolcemente di fronte alla modesta casetta a due piani circondata da un ampio giardino. Regina ne uscì con la sua solita fierezza e tirò dritta verso la sua meta. Bastò un semplice movimento della mano per far sì che il cancelletto d’ingresso si aprisse docile al suo passaggio. Proseguì lungo il vialetto ma, proprio quando posò il piede sul primo gradino della casa, la porta si aprì dall’interno.
  «Vostra maestà» l’accolse il padrone con un inchino.
  «Rabbit...» constatò la donna con la sua solita espressione compiaciuta «Mi avete sentito arrivare»
  «Queste non sono solo un tenero ornamento, mia regina» le rispose lui dandosi un colpetto sulla punta di una delle orecchie «A cosa devo l’onore di questa vostra visita?» chiese cordiale, tuttavia non si mosse dallo stipite della porta.
  «Dov’è la principessa?» arrivò dritta al punto affiancandolo sull’uscio.
  Il coniglio inarcò le sopracciglia stupito «La principessa? Perché dovrebbe essere qui, non è a palazzo?» le chiese incuriosito, scostandosi per lasciarla passare «Non la vedo dalla mia ultima visita, ossia quella per la morte del re, vostro marito» sottolineò.
  «Mi prendete per stupida, Rabbit?» gli intimò lei, facendo vagare gli occhi per il salotto in cerca di qualcosa che potesse ricondurla alla presenza della ragazza.
  White chinò il capo in segno di rispetto «Non mi permetterei mai, maestà»
  «Questo lo scopriremo subito» gli fece presente Regina con un ghigno: voltò una volta su se stessa e, subito dopo, del fumo bluastro cominciò ad uscire dalle sue mani.
  «Cha state facendo?» chiese l’altro battendo una zampa a terra, come faceva sempre quando era infastidito per qualcosa che non era in grado di controllare e, decisamente, la magia era una di queste.
  La donna, però, non rispose: troppo intenta a decifrare i segnali che il suo incantesimo le riportava. Lo sentì spandersi in tutta la casa, solcare ogni mattonella, infiltrarsi in ogni più recondita fenditura. Sorrise maligna quando spaventò terribilmente il giardiniere e la governante intenti a sistemare la piccola aia sul retro, tuttavia, di Snow White neanche l’ombra. «Sembra che, effettivamente, lei non sia qui» constatò la regina bloccando il flusso di magia con un gesto secco delle braccia «Ringraziate che potreste servirmi un domani» gli intimò sovrastandolo con la sua superba fierezza «Ascoltate ciò che sto per dirvi, Rabbit. Non importerà dove né quando: se io dovessi aver bisogno, voi accorrerete al mio richiamo senza domande e farete tutto ciò che vi chiederò, con la precisione e la puntualità che vi contraddistingue» concluse compiaciuta e, una volta sistemato lo strascico del suo vestito con un gesto, lasciò l’abitazione.
  White mantenne il petto gonfio e le orecchie dritte, così come aveva affrontato l’ultimo assalto di quella donna: anche se del coniglio ne aveva l’aspetto, era giunto il momento di smetterla di comportarsi come tale. Solo quando non udì più i rumori della carrozza, liberò il respiro «Questo lo vedremo»


  Snow uscì dal piccolo ripostiglio in cui venivano riposte le provviste a lunga conservazione, portando con sé qualcosa per un piccolo spuntino. Posò il cibo sul tavolo e sbuffò, le razioni cominciavano a scarseggiare. Guardò fuori dalla finestra, il sole al tramonto aveva un effetto spettacolare sul mare d’erba che circondava la piccola abitazione in cui aveva trovato rifugio.
  Era rimasta da White per qualche giorno ma, poi, era stato chiaro che non vi sarebbe potuta rimanere ancora a lungo: Regina sapeva della loro amicizia, non ci avrebbe messo molto a capire tutto. Avevano considerato ogni possibilità, infine, al Bianconiglio era arrivata l’illuminazione e l’aveva indirizzata lì, in quella che era stata la casa di sua madre. Nessuno sapeva della sua esistenza, neanche Mary Ann.
  Si erano lasciati con la promessa che lui sarebbe diventato i suoi occhi e le sue orecchie, pronto a raccogliere ogni informazione sulle azioni della matrigna e, di conseguenza, sarebbe andato periodicamente a trovarla. Tutto questo, però, non cambiava ciò che era adesso, ossia, completamente sola. Sentì le lacrime arrivare a pizzicarle gli occhi ma, con una forza di volontà enorme, riuscì a ricacciarle indietro. Basta, non era più una fragile principessa: era giunto il momento di imparare a sopravvivere.




E così siamo arrivati a metà: come avete visto, entrambi i mondi hanno cominciato ad alternarsi all'interno del capitolo. D'ora in poi proseguirà a questo modo :)
Una piccola precisazione sul nome del protagonista: Alec Downy. Dato che molti dei personaggi a Storybrooke hanno mantenuto nel loro nome (o cognome) un riferimento alla loro controparte nel regno delle fiabe (come Blanchard, Hopper, Ruby ecc...), ho deciso di usare la stessa linea anche per il Bianconiglio. "Downy" significa, infatti, lanuginoso/soffice e ben riporta alla morbidezza del coniglietto ^^. "Alec", invece, è il nome maschile che più si avvicina ad un anagramma di "Alice". Scelto perché, girovagando per la rete in modo da rinfrescare un po' la memoria, ho trovato che Carroll immaginava il Bianconiglio come l'alterego anziano di quest'ultima. ;)
Concludo ringraziando, come sempre, chi segue questa storia e in particolare _Eterea_ e Capinera che sono sempre così gentili da lasciarmi una loro opinione.
See you soon :D

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Capitolo 4
*** Friends ***



Capitolo 4: Friends


  White si alzò il più che poté sulle zampe posteriori, drizzò le orecchie ed annusò l’aria: prima a destra, poi a sinistra. Una volta fatto tornò a quattro zampe, posizione che aveva assunto per cercare di camuffare le eventuali tracce che poteva aver lasciato, e zompettò ancora un po’ in avanti per ripetere, poi, l’operazione: tutto tranquillo. Finalmente rilassò il respiro e riprese la sua solita posizione eretta, ormai era piuttosto lontano dalla casetta di sua madre e nessuno l’aveva seguito, perciò Snow era al sicuro... o quantomeno lo era il suo rifugio. Al suo arrivo, infatti, aveva trovato l’abitazione vuota come già gli era capitato in precedenza scoprendo, così, che la principessa aveva preso l’abitudine di sparire nei boschi imparando l’arte della sopravvivenza, della caccia e, purtroppo, anche del furto. Provare a farla ragionare era risultato inutile: lei non voleva essere un peso e lui non avrebbe potuto occuparsi di lei ogni giorno, troppo il rischio di essere scoperti, perciò si era dovuto arrendere alla realtà delle cose. Era, di nuovo, innegabilmente preoccupato ma, per lo meno, ora sapeva che nessuno l’aveva rapita, considerato il completo ordine che regnava nella dimora e la totale assenza di odori estranei, semplicemente se n’era andata chissà dove. La sua visita, quindi, era stata veloce limitandosi alla consegna di qualcosa di fresco proveniente dal suo orto e della poca lieta notizia riguardante la taglia che la regina aveva deciso di metterle sulla testa. Niente da stupirsi che il Bianconiglio fosse già abbondantemente sulla via del ritorno ed un po’ più rilassato: quando svoltò nel bosco in direzione della sua dimora e un odore anomalo entrò nel suo campo olfattivo, però, tutti i suoi sensi ritornarono immediatamente in allerta. Si portò al riparo dietro ad un grosso tronco, troppo bianco per passare inosservato nascosto in un cespuglio, e annusò ancora: non era l’odore di Regina, il che era già un bene ma quella scia lo confondeva... era umana? Perché, allora, avvertiva anche una punta di animale?
  In barba a tutte le possibili considerazioni che l’avrebbero dovuto allontanare da lì il più velocemente possibile, si lasciò andare alla curiosità tipica della sua specie e, seppur con attenzione, si avvicinò alla fonte di quell’odore anomalo. Le sue mirabolanti idee di trovare chissà quale strana creatura, però, vennero spazzate via quando ai suoi occhi violetti si presentò il corpo di una ragazza priva di sensi, riversa su un letto di muschio e foglie secche mentre, curiosamente, stringeva in mano un’ampia mantella rossa. Il bianco diminuì ancor di più la distanza, volendo esser sicuro di quello che aveva captato ma quando portò il muso verso il suo viso, così vicino che i baffi potevano quasi solleticarle le gote, si ritrovò in un paio di balzi a diversi metri da lei e con il cuore che gli rimbombava nel petto: quello era, senza il men che minimo dubbio, odore di predatore.
  Proprio in quell’istante la giovane si svegliò e, dopo un lieve momento di smarrimento, percepì la presenza dell’altro, perciò fu con espressione allarmata che si girò verso di lui. Non appena i loro sguardi s’incrociarono, però, il viso di lei si trasformò in puro stupore «Voi siete un coniglio enorme con un panciotto» constatò, trovando assai strano che fosse così grosso e che indossasse quella raffinata stoffa blu, ricamata in argento, a coprirgli il petto.
  Lui, punto nell’orgoglio, le si avvicinò nuovamente con un paio di balzi «E voi siete una ragazza con un cappuccetto rosso» replicò con ovvietà inarcando le sopracciglia.
  L’altra, a quelle parole, si accorse di non avere addosso il suo mantello e si affrettò a rimediare senza, però, perdere l’occasione di meravigliarsi ancora «E parlate»
  Il Bianconiglio piegò il capo di lato «Siamo nell’Enchanted Forest, davvero vi stupisce così tanto il fatto che possano esistere creature come me?»
  L’umana arrossì «In effetti... questa è la prima volta che mi allontano così tanto dal mio villaggio»
  «Capisco...» comprese l’altro «Allora sono lieto di essere stato la prima bizzarra creatura che abbiate visto» le disse con un inchino, lasciando momentaneamente da parte le circostanze del suo ritrovamento: in fin dei conti, quella ragazza non sembrava per nulla pericolosa e le spiegazioni a tutto ciò potevano essere molteplici.
  In realtà, lui non era la prima creatura anomala che lei avesse mai visto in generale, era solamente la prima che le stava di fronte. Questo, però, non lo disse: si limitò a sorridere «Mi chiamano Red...» si presentò.
  Sul muso del coniglio apparve un’espressione divertita.
  «Perché ridete?» chiese lei non capendo.
  «Perché io sono White»


  All’inizio fu come un ricordo di un’altra vita che andava a solleticare pian piano la sua coscienza assopita. Man mano che il tempo passava, secondi forse minuti, l’effetto si trasformò in un rumore secco mentre un leggero vento gli sussurrava all’orecchio il suo nome. All’ennesimo colpo, Alec scivolò definitivamente via dalla braccia di Morfeo, allungò mollemente una mano sul comodino e accese l’abatjour. Un leggero suono gutturale uscì dalle sue labbra quando la luce ferì i suoi occhi chiari e, nuovamente, le sue orecchie udirono lo scontro delle nocche di una mano sul legno della porta: era un rumore contenuto, probabilmente per rispetto dell’orario… davvero strano, nel suo sogno sembrava decisamente meno delicato. Sbadigliò e si alzò «Arrivo…» biascicò e, nonostante l’avesse pronunciato con la stessa attenzione usata dal suo inaspettato visitatore, lo udì smettere di bussare. Arrivò all’ingresso e diede un’occhiata veloce allo spioncino, gli scappò un mezzo sorriso «Ruby…» l’accolse aprendo la porta.
  «Alec…» rispose lei dondolando leggermente sulle gambe.
  Lui la guardò e inarcò un sopracciglio «Vuoi entrare o sei passata nel cuore della notte solo per farmi un saluto?» le chiese, subito prima di lasciarsi andare ad un altro sbadiglio impossibile da trattenere.
  La ragazza parve riscuotersi, annuì liberandosi del paraorecchie ed entrò «Ho litigato con Granny, me ne vado da Storybrooke»
  Il biondo sospirò e andò ad accendere la luce principale facendosi violenza «Ora, senza bagagli?»
  «Non ora…» rispose ironica l’altra, posando il giubbino a quadri su una sedia «E i bagagli sono da Emma e Mary Margaret, mi hanno offerto ospitalità» notando la sua occhiata incuriosita, però, continuò «Non so cosa fare, d’accordo?» confessò confutando subito la seconda frase che aveva pronunciato entrando «Non riuscivo a dormire, avevo bisogno di parlare con qualcuno»
  Alec sorrise «Ok…» le disse avvicinandosi all’angolo cottura del piccolo appartamento «Faccio un po’ di tè, ne vuoi?»
  Ruby scosse il capo per tirare, poi, le labbra in un’espressione imbarazzata «Però accetterei volentieri qualcosa da mangiare... non ho cenato»
  Lui le indicò il frigo «Serviti pure…»
  «Stai scherzando?» esordì poco dopo la ragazza di fronte all’elettrodomestico aperto «Questa roba va bene solo per i roditori»
  «Scusa tanto se non mi piace la carne» rispose quello piccato, prima di lanciarle un pacco di biscotti «Tieni belva famelica»
  L’altra lo afferrò al volo e, decidendo che potevano andare bene, cominciò a sgranocchiarne uno mentre prendeva posto al tavolo.
  Il biondo la raggiunse dopo alcuni minuti, scegliendo la sedia che le stava proprio di fronte: non disse niente, si limitò a sorseggiare il suo tè e a lanciarle qualche occhiata ogni tanto. Alla quinta che le arrivò, quella sbottò «Che c’è?» gli chiese decidendosi a puntare, a sua volta, gli occhi nei suoi.
  «Niente» le rispose con un'alzata di spalle «Aspetto: hai detto tu che avevi bisogno di parlare, o sbaglio?»
  A quelle parole la brunetta non poté far a meno di abbassare nuovamente lo sguardo, ottenendo il risultato di farlo sospirare. Lo intravide alzarsi e venire ad appoggiarsi al bordo del tavolo proprio al suo fianco.
  «Ehi!» esordì dandole un leggero buffetto sul mento, costringendola a rialzare il viso «Si può sapere che è successo? Non è la prima volta, né sarà l’ultima, che litighi con tua nonna… cosa c’è di diverso dal solito?»
  «Tutto è diverso» gli rispose lei alzandosi «Non posso tornare indietro, ho lasciato il lavoro alla tavola calda. Vuole tarparmi le ali, capisci? Farmi diventare come lei… io sono giovane, maledizione, non ho visto ancora niente al di fuori di questo misero paese» affermò allargando le braccia per dare maggiore enfasi alle sue parole mentre camminava nervosa «Non pensi mai ad andartene, Alec?»
  «Certo che ci penso» confermò il ragazzo, senza spostarsi «Ma ciò non toglie che devo considerare la realtà: riesco a malapena a sopravvivere qui, dove ci sono delle persone che conosco e che sarebbero disposte ad aiutarmi nel caso toccassi il fondo. Come potrei cavarmela in città sconosciute, se prima non imparo a vivere a Storybrooke, nell’unico luogo che conosco da sempre?»
  Ruby si bloccò sgranando gli occhi «Che cosa hai detto?»
  Lui strinse le labbra, aveva rivelato troppo: maledette le crisi esistenziali notturne «Non cambierebbe niente se ti ricordassi che non sei venuta per parlare di me, vero?» cercò di riparare.
  «Esattamente» replicò l’altra con ovvietà, andandogli così vicino da portare il viso davanti al suo «Se pensi di dirmi che fatichi a sopravvivere e sperare, poi, che io ci passi sopra senza farti domande… ti sbagli di grosso carino»
  «D’accordo, carina» sostenne il suo sguardo lui «Ho bisogno di soldi, o pensi davvero che mi piaccia correre quando Regina chiama? Questa cosa non indispone solo te…»
  Fu per l’espressione con cui la guardò o, forse, per il tono di voce con cui lo disse: la ragazza non si arrabbiò «Allora spiegami il motivo per cui lo fai…» lo pregò semplicemente.
  «Perché non pensavo di meritare una possibilità» sospirò l’albino «Ma qualcuno mi ha fatto notare che, ultimamente, sono cambiate molte cose in città e, di conseguenza, ho capito che potrei sbagliarmi… così come potresti sbagliarti anche tu»
  «E io cosa c’entro adesso?» la vide chiedere mentre drizzava di colpo il collo incredula.
  «Penso che tu lo sappia…» rispose serafico portandola, di nuovo, ad abbassare lo sguardo: sguardo che, questa volta, catturò un particolare che, sino ad allora, gli era sempre sfuggito.
  «Questa cos’è?» lo interrogò mentre con tre dita andava a percorrere dei lineamenti rosei che gli spuntavano leggermente dallo scollo della canottiera.
  Aveva deciso di farlo impazzire, per caso? Non bastava l’improvvisata nel cuore della notte… e in quel caso doveva solo dire grazie al cielo, visto che faceva freddo e, di conseguenza, era quantomeno vestita… no, ci mancava anche quello. Oh, certo… erano davvero favolosi ed invidiabili amici ma, cavolo, si guardava allo specchio ogni tanto? «E’ s-solo… u-una vecchia cicatrice» le spiegò cercando di mantenere un contegno, scivolò via dal tavolo guadagnando un po’ di distanza e, allargando la canottiera, le mostrò quel che rimaneva dei segni di tre profonde lacerazioni.
  Ruby le guardò intensamente, così tanto che la sua espressione si corrucciò «Mi dispiace…» si ritrovò a dire senza sapere il perché.
  «Ti dispiace?» ripeté l’altro non capendo «Non me le hai mica fatte tu» sorrise, scotendo leggermente il capo «Che ne diresti se provassimo a dormire, adesso?» suggerì prima dell’insorgere di un nuovo sbadiglio «Prendi pure il mio letto, io mi metto sul divano»
  «Non posso» protestò quella «Già ti sono piombata qui nel cuore della notte, non posso anche rubarti il letto»
  Alec sbuffò «Già sei stata abbastanza scema a girare per le strade deserte di Storybrooke a quest’ora, non pensare che io lo sia altrettanto da rimandartici» le andò vicino e posandole le mani sulle spalle la costrinse a camminare, una volta giunti a destinazione la spinse a sedere sul materasso «Quindi adesso ti sdrai qui e non fai più storie»
  «Agli ordini, capo!» accettò la ragazza con un sorriso mentre cominciava a togliersi gli stivali. Lo vide di schiena solo per un attimo, poi la luce si spense. «Sai, se le cose andassero male potremmo sempre andare via insieme» buttò lì prima di sprofondare nel cuscino «Il ritardatario e la ribelle, saremmo una gran bella coppia»
  «Una gran bella coppia di sfigati…» fu la risposta impastata che le arrivò.
  Nel buio più completo un cuscino venne lanciato nella direzione del biondo, lancio che sarebbe di sicuro andato a segno se un braccio, sempre nell’oscurità più totale, non l’avesse intercettato «Ci hai provato» la derise «Grazie per il cuscino, buona notte»
  Lei sorrise ancora «Buona notte»


  Red sospirò e distolse lo sguardo dalla finestra di quella che era diventata la sua camera da quasi un mese: ancora un paio d’ore e il giorno sarebbe morto dando vita alla prima terribile notte del lupo. Lo sguardo le cadde sulle proprie mani che, nonostante fossero posate sulle ginocchia, avevano iniziato a tremare vistosamente: le strinse con forza, rabbia e disperazione, fino a farne diventare bianche le nocche. Perché, perché lei?
  Neanche l’oblio che seguiva ogni trasformazione poteva più lenire il suo dolore, perché ora lei sapeva: notte dopo notte aveva ucciso, macellato animali e persone, gente che conosceva… che amava… «Peter…» sussurrò mentre un singhiozzo incontrollato usciva dalla sua bocca e alcune lacrime cominciavano a rigarle il volto.
  «Red?» arrivò la voce del padrone di casa alle sue orecchie «Che vi succede?» chiese fermo sull’uscio della stanza riuscendo a riscuoterla dai suoi cupi pensieri.
  Lei portò veloce le mani al viso, cercando di asciugarlo, e si alzò «Nulla» mentì «Solo un po’ di nostalgia di casa»
  Il Bianconiglio piegò il capo «Devo davvero fare finta di credervi?»
  La ragazza gli si avvicinò e, chinandosi un poco, gli prese le zampe anteriori con le proprie mani «Sì, White… ve ne prego»
  L’altro sospirò «Voi mi confondete» le disse ritirando gli arti e guardandola in viso «Siete qui da un po’ di giorni ormai: vi siete fidata nel condividere il mio stesso tetto, il mio cibo… tuttavia, non vi fidate abbastanza da raccontarmi qualcosa in più su di voi»
  «Mi dispiace» affermò lei storcendo mesta le labbra «Voi fate molto per me e non solo ospitandomi. Parlando con voi ho scoperto molte cose di questo mondo, i racconti dei vostri viaggi mi hanno fatto capire quanto poco ancora ne so… però, io…» titubò.
  Lui scosse il capo e sorrise «Non dovete parlarmene se non ve la sentite, non volevo forzarvi… è che, per quanto provate a nasconderlo, io vedo che soffrite e mi dispiace di non poter fare qualcosa per aiutarvi» prese fiato «Scusate se sono stato troppo invadente. Ero solo venuto a dirvi che è quasi pronta la cena»
  Red ingoiò l’ennesimo groppo in gola «Grazie, ma non ho fame… credo che andrò a letto presto» si mosse, non voleva più farsi vedere in viso. Andò verso l’armadio, l’unica cosa che voleva in quel momento era prendere il suo mantello e avvolgersi nel suo calore protettivo. Quando aprì le ante, però, in lei si fece largo il terrore «Oh no…» sussurrò «No, no!» disse più forte.
  Il bianco si voltò di scatto nella sua direzione «Che cosa sta succedendo?»
  «Il mio mantello…» spiegò quella ansiosa «Dov’è?»
  «Non lo so» rispose l’altro non capendo «Non è nel vostro armadio? A cosa vi serve il mantello in casa?»
  «E’ tempo di lupi» farneticò la brunetta mentre rovistava nervosamente per tutta la stanza «Il rosso li tiene lontani»
  «Lupi?» sgranò gli occhi il coniglio «Non ci sono lupi da queste par…» si bloccò «Il vostro odore»
  «Il mio odore, cosa?» chiese lei preoccupata voltandosi di colpo.
  «Quando vi ho trovata» la guardò «Scappavate dai lupi? E’ per questo che vi è rimasto quell’odore addosso… ma non preoccupatevi, non potranno farci nulla in casa»
  «Vi sbagliate!» urlò Red rabbiosa lasciandolo di sasso. Quelle porte, quelle finestre… non sarebbero mai bastate a fermare la sua furia, già poteva vedere la gola squarciata di Mary Ann, il corpo martoriato di Pat… la sua candida pelliccia impregnata dal rosso del sangue. Scosse il capo con violenza, che diavolo stava pensando? Non c’era più tempo «Non posso più stare qui» lo superò senza garbo e imboccò al volo le scale.
  White perse secondi preziosi a meravigliarsi «Red!» gridò a sua volta quando si riprese e balzò veloce al piano di sotto ma quella era uscita ed aveva già abbondantemente imboccato il vialetto verso il bosco.
  «Padrone…» uscì dalla cucina la cameriera preoccupata «Cos’è tutto questo trambusto?»
  Il Bianconiglio allargò le zampe anteriori e scosse il capo «Red è scappata» spiegò ancora incredulo «Non trovava il suo mantello ed è andata nel panico»
  «Il suo mantello?» ripeté la donna «L’ho preso io, era tutto sporco… volevo sistemarlo un po’»
  «Che cosa?» chiese girandosi di scatto nella sua direzione «E l’hai fatto senza chiederle il permesso?» la riprese irritato, ma perché se n’era andata? «Recupera quel maledetto mantello» le ordinò brusco facendola trasalire «Io vedo di riportarla qui. Spranga porte e finestre, apri solo se sarò io a chiamarti. A quanto pare è tempo di lupi»
  Mary Ann si portò una mano alla bocca impaurita «Lupi?» tremò preoccupata per le sorti del suo padrone e della loro ospite, ma quello era già lontano e a lei non badava più: a quattro zampe, correva veloce con tutti i sensi all’erta proiettati sulle tracce della fuggitiva.


  Il campanello suonò, a quanto pareva era, decisamente, periodo di visite inaspettate. Alec ingoiò velocemente il primo boccone, preso dalla tortina appena sfornata, e si alzò. Anche questa volta sorrise nello scoprire il volto dell’ospite e, come aveva fatto con Ruby quella stessa notte, l’accolse aprendo la porta «Buongiorno signora Lucas»
  «Buongiorno figliolo» lo salutò la donna a sua volta.
  «La solita partita della settimana con Marianne?» le chiese sorridendo senza, però, invitarla ad entrare, particolare che a lei non sfuggì.
  «Certo, non mi perderei il nostro burraco per niente al mondo» affermò l’altra decisa «Anche se quella benedetta ragazza di mia nipote ha deciso di lasciarmi in asso» continuò alzando un po’ il tono di voce.
  Lui scosse il capo «Avete litigato di nuovo?» fece finta di nulla e, in tutta risposta, la vide mimare con le labbra la domanda “E’ qui vero?” mentre, però, dalla sua bocca uscì «Qualche giorno mi farà impazzire. Non è che l’hai vista per caso?»
  «No» rispose secco il biondo mentre, al contrario, la sua testa annuiva «Ma se la vedrò le dirò, sicuramente, che la sta cercando» e concluse con un muto “Sta bene”.
  La donna sospirò di sollievo «D’accordo, ora vado. Stavo pensando di dire a Marianne di spostare la nostra partita alla tavola calda, non sia mai che servisse aiuto data l’improvvisa carenza di personale» sottolineò.
  «Se vuole» propose l’altro, dopo averci pensato qualche secondo «E se si fida» chiarì «Potrei sostituirla io per questa mattina... Ruby intendo, non lei. Sono piuttosto sicuro di riuscire a cavarmela con resti e ordinazioni, almeno fino a pranzo. Così può fare la sua partita in pace, un po’ di riposo se lo meritano tutti ogni tanto»
  La nonna soppesò la sua proposta «Solo se mi permetterai di pagarti»
  «Le permetterò di pagarmi offrendomi il pranzo» contrattò l’altro.
  «Affare fatto» accettò Granny «Ma mangerai finché non sarò soddisfatta, siete tutti così secchi voi giovani d’oggi» continuò dandogli una sonora pacca su un braccio mentre mimava un “Grazie” con le labbra «Fra mezzora al massimo alla tavola calda, intesi? Guarda che saprò se sei arrivato in ritardo»
  Alec annuì sorridendo e, dopo averla salutata, chiuse la porta: lo spostamento del legno fece rientrare Ruby nel suo campo visivo.
  «Decisamente preoccupata...» la sentì borbottare mentre tornava al tavolo e addentava voracemente un dolcetto «Ma è buonissimo» s’illuminò cambiando rapidamente umore.
  «E tu che mi denigravi le carote» la canzonò con espressione furbetta mentre le si avvicinava.
  «Devi ammettere che così sono tutta un’altra cosa» lo sfidò l’altra con lo sguardo.
  «Ah-ha...» annuì il biondo con improvvisa aria innocua «Se ora vuoi scusarmi» continuò «Come hai sentito, mi hanno appena dato un lavoro da fare» e rapido come un furetto le impiastricciò il naso con alcuni rimasugli dell’impasto usato per preparare la colazione.
  «Ma tu guarda, brutto...» non le riuscì nemmeno di finire la frase, stizzita prese una manciata di farina e gliela lanciò.
  «E non mi sporcare che devo uscire» la schivò per un pelo quello con una strana torsione.
  «Scemo» Ruby concluse l’insulto di poco prima, poi il sorriso sulle sue labbra si spense «Perché l’hai fatto?»
  «Per il pranzo gratis? » buttò lì ridacchiando.
  «Più che altro lavorerai gratis» precisò la brunetta con una smorfia, per niente convinta della sua risposta.
  L’altro non vi badò «Fai come se fossi a casa tua, ci vediamo più tardi» la salutò «Vado»
  «Ehi, Alec» lo bloccò lei mentre stava già aprendo la porta «Grazie»
  Il ragazzo le rispose con un cenno del capo e, infilando la giacca, uscì. Gli occhi verdi di lei si posarono sull’orologio a muro appeso lì di fianco, a quanto pareva potevano davvero cambiare le cose: era uscito in perfetto orario.


  White sfrecciò rapido tra gli alberi e gli arbusti, come aveva potuto allontanarsi così tanto in così poco tempo? Il pericolo era imminente, glielo suggeriva ogni fibra del suo corpo. Perché, se aveva così tanta paura dei lupi, era fuggita nel bosco priva di qualsiasi protezione? Non aveva alcun senso. Dopo l’ennesimo balzo, finalmente, il suo occhio catturò un movimento quasi al limite del suo campo visivo: frenò bruscamente l’andatura. Cercò di riprendere fiato, mentre il petto si alzava e abbassava velocemente «Red!» chiamò cercando di attirare l’attenzione della figura accasciata accanto ad un grosso albero.
  «White?» gemette terrorizzata quella «Perché mi avete seguito?» lo riprese dandogli sempre le spalle.
  «Ma che cosa dite?» ribatté il coniglio incredulo «Pensavate davvero che scappare a quel modo non mi avrebbe spinto a seguirvi? Perché non siete rimasta in casa, al sicuro, se i lupi vi terrorizzano a questo modo?» le chiese allungando una zampa nella sua direzione.
  «Non vi avvicinate!» ringhiò lei ottenendo l’effetto sperato «Voi non capite…» sussurrò, poi, con difficoltà: il tempo che le rimaneva era ormai agli sgoccioli, lo sentiva «Io non ho paura dei lupi… perché sono io il lupo» confessò voltandosi nella sua direzione.
  Nel vedere i suoi occhi gialli puntati su di lui, il bianco si pietrificò «N-non è possibile…» balbettò.
  «Dovete fuggire» lo supplicò mentre un forte spasmo per poco non rischiò di piegarla in due «Solo il cappuccio può bloccare la trasformazione ed è sparito» spiegò prima che il fiato le venisse nuovamente a mancare «Scappate!» urlò esasperata, vedendo che continuava a rimanere lì impalato «O vi ucciderò»
  Furono quelle le ultime parole che disse, poi, il buio arrivò.
  La trasformazione iniziò sotto gli occhi allibiti di White: la vide cadere carponi mentre, con un ringhio agghiacciante che gli fece rizzare ogni pelo del corpo, il viso le si allungava riempiendosi di zanne affilate. Quando il primo ululato si espanse nel freddo della notte, lui stava già correndo lontano.


  «Ehi, vice sceriffo!» si sentì chiamare Ruby giusto nel momento in cui stava per inserire le chiavi nella serratura del maggiolone giallo della bionda.
  «Dove te ne vai a quest’ora? Devi recuperare qualcun altro che si è perso nel bosco?» le chiese Alec affiancandola, riferendosi all’incredibile ritrovamento di David del pomeriggio.
  «Devo andare a Toll Bridge, per conto di Emma» gli spiegò quella velocemente aprendo la portiera «Non ho molto tempo»
  «Ok, allora non ti trattengo» lui comprese la sua fretta e, visto da chi le era arrivato quel compito, non fece domande «Se vuoi possiamo mangiare qualcosa insieme, quando hai fatto. Ti aspetto»
  «Grazie» accettò lei mentre saliva in macchina apprestandosi a mettere in moto ma, poco prima di girare la chiave, si bloccò «Ti va di venire con me?»
  Il ragazzo inarcò un sopracciglio «Sei certa che possa farlo?»
  «No…» rispose sinceramente «Ma mi sentirei molto più sicura se ci fossi anche tu»
  Lui alzò le spalle «D’accordo» acconsentì girando velocemente attorno alla macchina e prendendo posto sul lato del passeggero «Basta che Emma non mi arresti per intralcio alle indagini»
  «Cercherò di metterci una buona parola» lo rassicurò la brunetta accendendo il motore, diede gas.
  Il tragitto non fu lungo, bastarono solo pochi minuti per raggiungere il vecchio ponte. Lo sceriffo, al telefono con Ruby, non aveva fatto molte storie nel sapere dell’aiuto extra che la ragazza si era portata appresso: a quanto pareva le cose andavano fatte alla svelta e c’era bisogno di tutto l’aiuto possibile, in più, quel che era fatto non poteva essere cambiato. L’auto si fermò.
  «Cioè… cos’è che sto cercando?» la udì chiedere alla bionda poco prima di uscire dall’auto. Il ragazzo, ovviamente, non poté sentire la sua risposta: fece per scendere a sua volta ma, al momento di toglierla, la cintura s’inceppò.
  «Ma che diavolo…?» imprecò armeggiando con l’incastro «Aspettami, Ruby!» quella, tuttavia, aveva già preso il sentiero per il fiume. Quando, finalmente, riuscì a liberarsi, della sua compagna di viaggio non c’era più nemmeno l’ombra. Il biondo sbuffò e si mise sulle sue tracce: l’idea di infilarsi le scarpe da ginnastica in quella giornata non si rivelò particolarmente geniale ma, d’altra parte, come poteva immaginarsi che in serata avrebbe dovuto affrontare una discesa su un terreno fangoso e, di conseguenza, estremamente scivoloso?
  Il primo grido che la ragazza lanciò fu il colpo definitivo alla sua stabilità, perse malamente l’equilibrio ed iniziò a ruzzolare per qualche metro. Proprio mentre stava per schiantarsi sul grosso tronco di un albero caduto, il suo corpo ebbe una reazione che lo stupì: trovando momentaneo appoggiò di entrambi i piedi sul terreno, saltò. Senza rendersene conto, così, si ritrovò incredulo dall’altra parte dell’ostacolo, pieno di fango e con il fiatone. Tuttavia, non poté rimuginare a lungo su questo fatto perché, di nuovo, la voce terrorizzata dell’altra arrivò alle sue orecchie «Ruby!» gridò a sua volta lanciandosi di corsa nella sua direzione. La trovò proprio sulla sponda del fiume completamente nel panico, appena le fu al fianco lei si avvinghiò al suo torace.
  «Ruby!» arrivò la voce di Emma dal cellulare posato su una pietra lì accanto «Che sta succedendo?»
  Alec non vi badò e concentrò la sua attenzione sul cofanetto di legno che avevano proprio di fronte. Allungò una mano guantata, dato il freddo che faceva, verso il coperchio e l’aprì, proprio come aveva fatto l’altra poco prima. Davanti al contenuto sgranò gli occhi e richiuse la scatola di colpo, poi, con un braccio aumentò la stretta sulla ragazza e, con l’altro, si decise a rispondere «Sceriffo» disse all’apparecchio «Direi che abbiamo trovato qualcosa» Perché, sebbene non fosse un medico, era quasi sicuro di ciò che era contenuto in quel cofanetto: lì dentro c’era un cuore umano.


  Doveva decisamente essere impazzito. Quando, finalmente, era stato sicuro di aver messo abbastanza distanza fra lui e la belva famelica in cui Red si era trasformata, un’idea completamente folle si era fatta largo nella sua mente: una volta mandato allegramente a quel paese il buon senso, aveva bruscamente fermato la corsa ed era tornato indietro.
  Non ci volle molto perché al suo naso arrivasse il primo sentore di sangue: dopo poco, infatti, intravide in lontananza il lupo intento ad avventarsi su un cervo malcapitato. Rimase ad una discreta distanza di sicurezza: era veloce certo, molto più sia di un lupo che di un umano ma dalle leggende sapeva bene che gli uomini lupo o, in questo caso, le donne avevano capacità strabilianti, niente a che vedere con quelle delle due specie a se stanti. Quindi, un buon vantaggio non poteva assolutamente guastare. Prese il coraggio a due zampe, inspirò a fondo «Ehi!» gridò «Perché non provi a prendere me, bel cagnetto?» la provocò sperando di spingerla nella sua direzione. Non dovette ripetere il richiamo, appena finì di pronunciare quelle parole, Red alzò il muso insanguinato dalla sua prima vittima e puntò gli occhi gialli nella sua direzione: scattò.
  White partì a sua volta a tutta velocità ma non ci volle molto perché lei gli arrivasse alle calcagna, era decisamente più rapida del previsto. “Sono morto” si ritrovò a pensare mentre saltava e correva, cambiando in continuazione traiettoria e cercando i passaggi più difficoltosi per la sua inseguitrice. Improvvisamente lei saltò, solo il suo sesto senso gli permise di bloccare di colpo l’andatura e di raggomitolarsi su se stesso: lo slancio di Red risultò, quindi, troppo lungo e portò la bestia a schiantarsi contro un vecchio tronco caduto. Il Bianconiglio non si lasciò sfuggire l’occasione di riguadagnare terreno, ormai la sua casa era vicina. Pregò le sue zampe di sostenerlo ancora, cominciava ad essere davvero stanco, arrivato nei pressi del cancelletto esterno gridò «Mary Ann, il mantello dalla finestra del piano di sopra, presto!» saltò agilmente all’interno e sperò con tutto il cuore che la sua domestica l’avesse udito. Con sua immensa gioia, il legno che teneva sbarrata la finestra si aprì mentre, dietro di lui, il lupo riprendeva la sua corsa.
  «Padrone…» cercò spiegazioni la donna porgendogli il cappuccio rosso.
  «Non adesso, lascialo cadere» la pregò l’altro «E chiudi subito»
  La cameriera sembrò comprendere la sua urgenza e, senza ribattere, fece come gli era stato ordinato, mentre Red irrompeva furiosamente nel cortile. Saltarono in contemporanea: lei con l’intento di uccidere, lui con quello di intercettare la discesa del mantello. Lo scontro fu inevitabile e si concluse con entrambi i contendenti rovinosamente caduti a terra ma, a differenza del bianco, il lupo era avvolto nell’ampio tessuto rosso. La magia di cui era impregnata la stoffa invertì la trasformazione all’istante, Red recuperò la sua forma umana.
  «Dove sono? Che cosa è successo?» si chiese quella confusa riportandosi in posizione eretta «Che cosa ho fatto?» gemette notando il sangue che sporcava le sue mani.
  «Ha funzionato…» gioì piano il coniglio ma, a differenza dell’altra, non si mosse dalla posizione in cui era caduto.
  «White!» si voltò nella sua direzione la ragazza «Oddio…» esclamò portandosi le mani al volto sconvolta. Lo raggiunse in fretta e si chinò al suo fianco: sul suo petto, tre profonde lacerazioni colavano sangue copiose «Sono stata io…» comprese tra i singhiozzi.
  «Non ti preoccupare…» cercò di rassicurarla lui, abbandonando ogni distacco, mentre provava a mascherare il suo dolore «Non mi hai morso, per cui non diventerò un coniglio mannaro… grazie al cielo»
  «Voi siete pazzo…» lo rimproverò la brunetta non riuscendo, però, ad evitare di sorridere. Rapida si strappò un pezzo di vestito e, alla meno peggio, cercò di fermare l’emorragia in corso.
  Ad avvertire la stoffa premuta sulle ferite, White non poté evitare che una smorfia si dipingesse sul suo muso «L’ho pensato anch’io… e, dato che mi hai quasi ucciso, direi che potresti anche smetterla di darmi del voi»
  «Perché mi trattate a questo modo? L’avete appena detto, ho cercato di uccidervi…» gli chiese lei incredula.
  «Perché penso che tu sia una persona molto bella: sei dolce, buona, intelligente e curiosa… e guarda un po’, anche unica nel tuo genere» le spiegò, non senza fatica «Ho visto come tutto questo ti turba, avevi bisogno di aiuto e io te l’ho dato. Fra amici si fa questo ed altro, no?»
  Red sorrise commossa ma, prima che potesse ribattere, la porta d’ingresso si aprì.
  «Padrone, Red!» esordì agitata Mary Ann di fronte a tutto quel sangue «Che vi è successo? Dov’è finito il lupo?»
  «Se n’è andato» anticipò il bianco prima che la ragazza potesse confessare la sua colpa «Rimanderemo a dopo le spiegazioni» fece presente, con un tono che non ammetteva repliche, nonostante il controllo sulla mente cominciasse a venire meno «Ora, se non vi dispiace, gradirei rivedere il sole domani mattina…» ironizzò prima di perdere del tutto conoscenza.
  «Presto figliola, portatelo dentro» la esortò la cameriera «Dobbiamo curarlo. Pat!» gridò, poi, verso l’interno «Metti su una pentola d’acqua, subito!»
  Dopo aver ascoltato la donna, Red riportò l’attenzione sul coniglio sdraiato vicino alle sue ginocchia: gli passò una carezza sul muso «Ti ringrazio» poi, con tutta l’attenzione che riuscì a metterci, lo prese fra le braccia e lo portò in casa.


  «Hai deciso di far nevicare prima del previsto, per caso?»
  Nell’udire quelle parole il ragazzo non poté far a meno di sorridere mentre si tirava dietro la porta della tavola calda da cui era appena uscito «Sei in ritardo» disse in tutta risposta mentre si voltava verso colei che l’aveva ripreso poco prima. Non appena i suoi occhi incontrarono la figura di Ruby ritta in fondo al vialetto dovette far affidamento su tutte le sue forze per evitare di rimanere a bocca aperta come un ebete, tuttavia non riuscì a mascherare a pieno la sua espressione tant’è che anche lei se ne accorse.
  «Che c’è?» volle sapere, quindi, curiosa.
  «Niente...» cercò di rispondere quello, senza sprofondare nell’imbarazzo più totale «E’ che… è così difficile vederti acqua e sapone, stai davvero molto bene» si decise a confessare, in fin dei conti era la pura verità anche se, effettivamente, non erano proprio le reali parole che aveva pensato.
  La brunetta arrossì «Grazie» disse con l’ombra di un sorriso sulle labbra.
  «Come stai?» volle sapere l’altro cambiando discorso «Ti sei ripresa da ieri sera?»
  Ruby annuì «E’ tutto a posto» lo rassicurò «Anche la mia crisi esistenziale è rientrata e, finalmente, ho preso la mia decisione. Sono venuta qui per parlarne con la nonna»
  «Sono contento che tu abbia risolto» le disse lui sinceramente.
  «E tu?» volle sapere l’altra «Che cosa pensi di fare adesso?»
  Alec abbassò per un attimo il capo con fare sconsolato ma, poco dopo, lo rialzò con un’espressione serena sul volto «Io, oggi, comincio un nuovo lavoro»
  «Davvero?» esclamò quella felice.
  «Sì» le confermò con un sorriso «Ho accettato la proposta di Mary Margaret: aiuterò il professor Knight con i club sportivi pomeridiani alla scuola. Non guadagnerò di certo come un insegnante, visto che non ne ho l’abilitazione, ma dovrebbe comunque bastare per pagare l’affitto di Gold. Questa mattina dobbiamo sistemare le pratiche di collaborazione»
  «Sono contenta per te ma, se lo stipendio copre a malapena l’affitto, come farai per il resto?» chiese preoccupata.
  L’entusiasmo del biondo, però, non si smorzò «Ho fatto un accordo...» le confessò mentre, con un cenno del capo, le indicò il locale alle sue spalle «Nel caso ne avessi bisogno, Granny è disposta a sfamarmi in cambio di alcuni lavoretti. Con un po’ di organizzazione dovrei aver il tempo per farli»
  «Sono davvero orgogliosa di te» affermò decisa la ragazza «Allora ti lascio andare, non vorrei davvero essere io a farti arrivare in ritardo al tuo primo giorno» lo punzecchiò.
  «Che spiritosa...» ribatté l’altro con una smorfia anche se si vedeva lontano un miglio che non se l’era presa per niente «In bocca al lupo per la chiacchierata con tua nonna» le disse, infatti, arrivandole al fianco e posandole una mano su una spalla per farle coraggio.
  «Cr...» iniziò a dire lei ma, improvvisamente, si bloccò «Grazie» rispose alla fine.




Avevo detto, rispondendo ad _Eterea_ (che come sempre ringrazio per le sue recensioni), che avrei aggiornato ieri salvo imprevisti... imprevisti che, ovviamente, ci sono stati ù__ù Mi scuso ma il mio nuovo gestore telefonico ha deciso di farmi penare la connessione internet.
Due piccole precisazioni sul capitolo: è ambientato nell'episodio 1x15 (a mio parere, uno dei più belli della prima stagione) e un piccolo pezzo è proprio tratto da lì. Per chi avesse visto la 2x07 "Child of the Moon": ho cominciato a scrivere questa storia prima della sua messa in onda per cui non me la son sentita di cambiare le cose in corsa. Tuttavia ho cercato di limitare i danni, diciamo che gli avvenimenti di quell'episodio sono stati solo posticipati un pochino, il prossimo capitolo spiegherà meglio ;)
Concludo con i ringraziamenti di rito per chi legge questa storia, soprattutto Eloise_Hawkins e x_LucyLilSlytherin che l'hanno aggiunta fra le seguite.
Chiunque voglia lasciarmi un suo parere non sarà sbranato, anzi XD
Ciao e alla prossima ^__^

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Capitolo 5
*** Deal ***



Capitolo 5: Deal


  Alec posizionò l’ultimo ostacolo all’interno del capanno adibito a magazzino per le attrezzature sportive scolastiche, sospirò e fece mente locale: mancavano ancora il materasso e l’asta per il salto in alto, poi avrebbe finito. Tornò sul campo, che ospitava diverse aree per permettere ai bimbi di scegliere lo sport a loro più congeniale, e si diresse nell’ultimo punto rimasto da sistemare. Una volta di fronte alla barra, però, non poté far a meno di ricordare quel che gli era successo la volta che aveva accompagnato Ruby a Toll Bridge. Si ritrovò a chiedersi come avesse potuto dimenticarselo ma, in fin dei conti, non era poi così strano dati tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti nei giorni successivi: l’aver riconosciuto il cuore, trovato lungo il fiume, come quello della moglie scomparsa di David; l’accusa di omicidio nei confronti di Mary Margaret per le sue impronte rinvenute sul cofanetto, aggiunte all’ottimo movente che aveva come amante del marito... erano stati giorni d’inferno. Alla fine, però, tutto si era risolto per il meglio: Ruby aveva ritrovato Katherine, non senza essersi presa un bello spavento dato che, avendola vista riversa a terra in un vicolo, aveva seriamente pensato di aver di fronte il suo cadavere. Mary Margaret, quindi, era stata liberata e Sidney Glass, reo confesso, era stato arrestato per aver rapito la donna e aver cercato d’incastrare l’insegnante. Ancora non si era capito come il laboratorio di analisi avesse potuto toppare così il riconoscimento del cuore ma, ormai, non aveva più importanza. Fortunatamente, adesso, tutto questo era acqua passata, ora poteva dedicarsi al suo dubbio.
  Sistemò l’asta ad un’altezza modesta, giusto per iniziare, fece un po’ di riscaldamento ed effettuò un primo salto di prova. Non ebbe problemi, anzi, una piacevole sensazione riscaldò il suo animo, come se si fosse accorto solo in quel momento di come quell’attività gli era mancata negli ultimi anni. Cominciò ad aumentare la difficoltà incrementando, man a mano, l’altezza. Quando ebbe ripreso piena consapevolezza dei movimenti corretti, si azzardò a posizionare la barra ad un livello decisamente più impegnativo. Una volta fatto, si allontanò quel tanto che gli sarebbe bastato a prendere la giusta rincorsa, batté un paio di volte le punte dei piedi a terra, inspirò a fondo e partì: iniziò in linea retta, aumentando sempre più la velocità e la lunghezza del passo, poi curvò la traiettoria con un’inclinazione del corpo, fece gli ultimi passi e staccò. Valicò l’asta inarcando la schiena e richiamando le gambe verso l’alto, infine, invertì la posizione del bacino lasciandosi cadere sul materasso: ce l’aveva fatta. Si concesse qualche secondo per recuperare fiato, era stanco... non sarebbe mai riuscito a replicare il salto che aveva compiuto giorni prima.
  «Wow» esordì una voce al suo fianco facendolo sobbalzare, data la sua concentrazione non si era nemmeno accorto che qualcuno lo stesse osservando «Questo salto è stato di livello olimpico» continuò il suo spettatore dando un’occhiata all’altezza in cui la barra era stata posizionata «Mary Margaret mi aveva detto che eri bravo, ma non pensavo così tanto»
  «Professor Knight...» lo riconobbe il ragazzo portandosi a sedere «Mi dispiace di non aver messo ancora tutto a posto, mi sono fatto prendere un po’ la mano. Era una vita che non lo facevo»
  L’uomo sorrise bonario «Non c’è affatto bisogno di scusarsi. Perché hai smesso?» volle sapere incuriosito mentre gli porgeva un braccio per agevolargli la discesa dal materasso.
  «Non lo so...» ammise l’albino lasciandosi aiutare «Penso che sia stato, più che altro, per mancanza di tempo»
  «Un vero peccato» constatò il professore dispiaciuto «Dato che hai cominciato a lavorare qui, però, direi che puoi sentirti libero di fermarti quanto vuoi dopo gli allenamenti dei ragazzi. Tanto non ci viene mai nessuno» gli suggerì «Adesso, però, che ne diresti se ti aiutassi a finire di mettere dentro queste cose e ce ne andassimo a bere qualcosa da Granny’s? Dato che sei diventato il mio assistente, credo proprio sia giunto il momento di conoscerci un po’ meglio»


  White dovette fermarsi per l’ennesima volta lungo il tragitto: era terribilmente stanco, la ferita che Red gli aveva inferto tempo prima non si era ancora del tutto rimarginata e la sua conformazione fisica non aiutava di certo il processo di guarigione. Nonostante questo, però, quel giorno si era alzato praticamente in piena notte, in modo da non dover discutere con qualcuno, e si era avviato verso il rifugio della principessa deciso più che mai a non saltare il loro incontro.
  Il viaggio, lo stesso di innumerevoli altre volte, in questa occasione risultò difficile e spossante, senza contare la costante sensazione di inquietudine che non l’aveva più abbandonato da un certo momento in poi. Aveva pensato, perfino, di essere seguito ma non era mai riuscito ad ottenere un riscontro effettivo che confermasse i suoi timori: probabilmente era solo stanco, non c’era niente di cui preoccuparsi. Riprese il cammino e, dopo poco, arrivò in vista della casetta in mezzo al prato. Davanti alla porta bussò, col ritmo concordato, e attese approfittandone per riprendere fiato.
  Finalmente l’uscio si aprì e il volto della mora, appena lo vide, s’illuminò «White» lo salutò chinandosi per abbracciarlo di slancio.
  «Piano, per favore» frenò il suo entusiasmo l’altro con una leggera smorfia di dolore.
  Quell’avvertimento impedì alla ragazza di stringere troppo e, solo allora, si rese conto delle bende che spuntavano dal suo fidato panciotto «Che ti è successo?» chiese preoccupata.
  «Sono stata io» arrivò una voce familiare dal limitare del bosco.
  «Red?» si alzò di scatto la principessa e, senza pensarci due volte, iniziò a correre nella sua direzione. Furono l’una fra le braccia dell’altra ancor prima di rendersene conto, felici di essersi finalmente ritrovate.
  «Allora non sono diventato paranoico, qualcuno mi stava davvero seguendo» esordì il coniglio alle loro spalle «Qualcuno con una certa esperienza» sottolineò.
  «Vi conoscete?» volle sapere Snow stupita.
  Il bianco annuì «A quanto pare è davvero piccolo il mondo...» considerò con un leggero affanno, aveva bisogno di sedersi: subito.
  La ragazza dal cappuccio rosso intuì il suo disagio «Andiamo dentro » suggerì «White deve riposarsi, ha avuto la sfortuna di trovarsi in mia compagnia l’ultima luna piena» spiegò mentre sul viso di entrambe andava dipingendosi un’espressione addolorata.
  «Non fate quelle facce» le riprese il Bianconiglio «Sono ancora vivo» puntualizzò prima di avviarsi, seguito subito dalle due, verso l’abitazione. Una volta dentro ci volle ben più di un minuto di discussione per obbligarlo a distendersi sul letto ma, alla fine, le due ragazze riuscirono a battere la sua testardaggine e a metterlo a riposo: per quanto cercò di lottare con il sonno, si assopì quasi subito.
  Snow e Red decisero di spostarsi verso il tavolino, dove la mora era solita mangiare, per potersi raccontare ogni cosa senza rischiare di disturbarlo. Passò molto tempo mentre le loro voci si alternavano e, a volte, accavallavano ma quello non si svegliò.
  «Gli vuoi bene?» chiese improvvisamente la principessa, prendendo la bruna completamente in contropiede.
  «Sì...» annuì, dopo un attimo, l’altra abbassando il capo «Come ne voglio a te. Voi due siete stati gli unici ad accettarmi per quello che sono nonostante abbiate visto e, nel suo caso, provato cosa sono capace di fare» rialzò di colpo lo sguardo «E’ per questo che ho deciso: me ne andrò»
  «Che cosa?» sbottò l’altra riabbassando subito il tono di voce «Questa è una stupidaggine e lo sai»
  «No» ribatté Red alterata «Rimanere con voi mentre la luna piena sta arrivando sarebbe una stupidaggine e anche bella grossa. Ho già quasi ucciso White, non vorrei avere l’occasione di riprovarci»
  «Hai sempre il tuo mantello a proteggerti, no?» le ricordò Snow con un sorriso d’incoraggiamento ma non servì a far risalire la più giovane dalla visione pessimista in cui stava scivolando.
  «E se smettesse di funzionare?» chiese, infatti, sull’orlo della disperazione.
  La principessa le strinse la mano con la propria «Allora impara a controllarlo»
  Red sgranò gli occhi «Come?»
  La mora scosse il capo «Non lo so» rispose sinceramente «Ma possiamo cercare di scoprirlo»
  «Possiamo?»
  «Certo, vuoi partire alla ricerca di una soluzione? Mi sta bene, ma non ti lascerò sola» a quelle parole l’altra provò a ribattere ma non ci riuscì perché continuò «Se io mi smarrissi e avessi bisogno di ritrovare me stessa, vorrei un amico al mio fianco»
  La brunetta strinse le labbra mentre gli occhi le si inumidivano di commozione «Perché fate tutto questo per me?»
  Snow si allungò sul tavolo e l’abbracciò «Perché anche noi ti vogliamo bene»
  «Grazie» ricambiò il gesto la più piccola ma il suo sguardo non poté far a meno di posarsi sul coniglio che, sdraiato a letto, ancora non si era svegliato nonostante avessero alzato più volte la voce: era davvero esausto.
  «Non hai intenzione di aspettare White» comprese la principessa.
  Red non disse una parola ma il suo silenzio fu una risposta affermativa più che eloquente.
  «Non capirà» le fece presente.
  «Lo so» parlò, invece, questa volta «Ma lo vedi anche tu come l’ho ridotto: sta male anche se cerca di nasconderlo. Le ferite faticano a rimarginarsi e il testone non fa niente per riguardarsi»
  «Da che pulpito…» sussurrò la moretta ridacchiando.
  «Ti ho sentita, sai?» la rimbrottò l’altra socchiudendo gli occhi.
  «Tu e il tuo udito da lupo» constatò Snow fingendosi risentita, poi tornò seria «Se vuoi partire prima che lui si risvegli, lasciamogli almeno una lettera di spiegazioni» suggerì.
  Red acconsentì «D’accordo, aggiungi che non sarà necessario cercarci, ci ritroveremo quando sarò diventata in grado di controllare il lupo»
  «Pensi davvero che desisterà solo per questo?»
  «No» fu la risposta sincera che le diede «Ma, almeno, ci avremmo provato»


  Il campanello collegato alla porta del negozio di Mr. Gold trillò e Alec entrò al suo interno come era solito fare ogni mese. Lanciò un’occhiata veloce al bancone e lo trovò vuoto, niente di nuovo: il padrone spariva spesso nel retro a combinare chissà cosa e, più di una volta, si era trovato a dover aspettare qualche minuto prima di poter consegnare i suoi soldi. Si infilò le mani in tasca e cominciò a dare un’occhiata alla marea di oggetti che riempivano quel negozio: era davvero incredibile la quantità di roba contenuta lì dentro, senza contare che ogni volta sembrava esserci qualcosa di nuovo. Avvicinandosi ad una vetrina, infatti, notò un pezzo che non aveva mai visto prima di quel momento: un orologio da taschino, probabilmente antico e, di sicuro, prezioso visti gli intarsi finemente lavorati che aveva sullo sportellino anteriore.
  «Un oggetto davvero notevole, non trova Mr. Downy?» gli chiese Gold scostando la tenda che dava sul retro e prendendo posizione al suo bancone «Peccato che non funzioni»
  «Come mai?» chiese il giovane incuriosito.
  «Probabilmente solo perché è vecchio» spiegò il padrone del negozio.
  Il biondo si avvicinò «Ha provato a farlo aggiustare?» volle sapere ancora.
  «No» rispose l’altro «Sono quasi sicuro che non abbia bisogno di particolari interventi per tornare a funzionare»
  «Pensa che si aggiusterà per magia?» chiese quello scettico.
  «E’ esattamente quello che penso, in effetti…» gli rivelò l’uomo «Ha solo bisogno di… tempo»
  «Se lo dice lei…» lasciò correre Alec mentre portava una mano alla tasca interna del giubbotto e ne tirava fuori una busta bianca «Qui ci sono i soldi del mese per l’appartamento»
  Gold appoggiò il peso sul suo bastone e con l’altro braccio prese ciò che gli veniva porto «Molto bene» constatò dopo aver dato una rapida occhiata al contenuto «Ho saputo del suo nuovo lavoro, mi permetta di farle tutti gli auguri del caso» si congratulò.
  «Grazie…» rispose l’albino inclinando leggermente il capo confuso ma, prima che potesse aggiungere altro, il suo cellulare squillò. Alec lo recuperò e diede un’occhiata al nome illuminato sul display: il suo sguardo si velò perdendo lucidità.
  L’altro lo guardò con un’espressione incuriosita «Non risponde Mr. Downy?»
  Il ragazzo rialzò il capo di scatto e con un guizzo veloce del braccio frantumò il telefonino sul bancone «Sembra che non ci sia abbastanza campo qua dentro...»
  Le labbra di Mr. Gold si piegarono in un mezzo sorriso «Sa che le dico Mr. Downy? Se le piace tanto quell’orologio può prenderlo...»
  Il biondo riportò la sua attenzione sull’altro «Non posso permettermelo...»
  «Esattamente... ma non le ho detto che deve pagarlo» spiegò il padrone del negozio con tranquillità.
  «Che cosa vuole in cambio?» chiese il più giovane sospettoso.
  «Perspicace...» constatò l’uomo «Diciamo solo che, se avessi bisogno di un favore in futuro, lei mi aiuterà»


  Era passato molto tempo da quella sera in cui White si era svegliato nel buio più completo all’interno di quella che era stata la casa di sua madre. Non c’era voluto molto per capire di essere completamente solo ma c’era voluto un po’ di più per rendersi conto che le ragazze non sarebbero tornate, almeno non tanto presto. Solo al mattino dopo, infatti, si era accorto della lettera che gli avevano lasciato: come prima reazione provò delusione, poi rabbia, infine dispiacere per non essere stato abbastanza forte da riprendersi quel tanto che bastava per poterle seguire. Rimase lì a riposarsi qualche giorno, cercando di recuperare, poi tornò a casa: Mary Ann e Pat lo trovarono svenuto lungo il vialetto, in preda alla febbre causata dalla ferita infetta. Passò una settimana d’inferno in cui lottò fra la vita e la morte finché la battaglia non si concluse con la sua vittoria. Aveva dovuto attendere ancora prima di ritornare completamente in forma ma, alla fine, aveva potuto iniziare la sua ricerca.
  Aveva camminato per sentieri conosciuti e corso per quelli inesplorati attraversando i confini di diversi reami, così come faceva quand’era ancora l’araldo del re, riscoprendo la gioia del viaggio che sembrava aver dimenticato da tempo. Si tenne piuttosto lontano dai villaggi più grandi, sapendo che le due avrebbero preferito spostarsi nei boschi per non rischiare di attirare l’attenzione di persone sbagliate. Tuttavia non evitò completamente i contatti con chi gli capitava di incontrare lungo il cammino, in fin dei conti aveva pur bisogno di informazioni. Venne a scoprire, così, che i regni di re George e re Midas erano in festa per l’unione che sarebbe avvenuta grazie al matrimonio tra il figlio del primo, James, e quella del secondo, Abigail... ma di una ricercata dai capelli neri come l’ebano e di un lupo minaccioso non riuscì a recuperare alcun indizio utile.
  Arrivato a nord aveva trovato la neve e, come ogni volta che gli capitava di vederla, ne era rimasto affascinato. Era candida e morbida, togliendosi il panciotto poteva tranquillamente sparire fra i suoi fiocchi... avevano molto in comune ad esclusione del fatto che l’una era gelida mentre l’altro era caldo.
  Fu il decidere di lasciarsi andare all’istinto e di correre in mezzo a tutto quel bianco ad essere un errore: finì in una trappola, abilmente nascosta fra la neve, come il più ingenuo dei cuccioli.
  Cercò di lottare per uscire da quella rete che l’aveva avvolto e issato per aria ma ottenne solo il risultato di incastrarsi di più. Alla fine dovette quietarsi consapevole del fatto che, per avere una minima speranza di salvezza, avrebbe dovuto aspettare che qualcuno venisse a reclamare il bottino.
  Solo dopo qualche ora avvertì i primi passi avvicinarsi, fortunatamente aveva la pelliccia o sarebbe morto congelato di sicuro.
  «Finalmente qualcosa di grosso» udì uscire dalla bocca del suo carceriere «Avrò pelliccia e carne per un po’» completò avvicinandosi «Un coniglio?» si stupì «Mai visti di così grandi»
  White abbassò lo sguardo «Sarebbe quanto mai irrispettoso se voi mi mangiaste, Miss» esordì verso colei che l’aveva messo nel sacco.
  Era una donna che poteva avere la stessa età di Mary Ann, portava i capelli grigi raccolti e indossava un paio di occhialetti tondi «Buon Dio, voi parlate!» spalancò gli occhi incredula.
  «Esattamente» confermò lui con ovvietà «E vi sarei davvero grato se decideste di risparmiarmi»
  In tutta risposta quella sfoderò un lungo coltello facendolo trasalire ma, invece che avvicinarsi alla rete in cui era rinchiuso, si allontanò e si portò nelle vicinanze di un grosso albero: con un movimento rapido ed esperto, tagliò la corda di sostegno.
  Il Bianconiglio finì a terra con un tonfo sordo e, dopo aver armeggiato un po’ con ciò che lo avvolgeva, fu libero «Vi ringrazio» disse scrollandosi la neve di dosso.
  La donna lo guardò con un po’ di sana curiosità «Siete davvero una creatura bizzarra...» poi il suo tono si fece improvvisamente burbero «Al villaggio quelli come voi non sono ben visti, vi consiglierei di non passarvici...»
  «Quelli come me?» ripeté il bianco con una nota di disappunto «Perché? Ma, soprattutto, perché mi avete aiutato se è vero che al vostro villaggio non sarò ben visto?»
  «Io non ho niente a che spartire con quegli sciocchi...» affermò risoluta quella tornando involontariamente indietro nel tempo con la memoria, quanto era passato dall’ultima volta che l’aveva vista? «Per quel che li riguarda hanno avuto seri problemi con un altro tipo di creatura mesi fa...» si tenne vaga, tuttavia le orecchie dell’altro si rizzarono di colpo.
  «Per caso con un lupo?» volle sapere speranzoso.
  Lei trasalì «Cosa ne sapete voi dei lupi?»
  White sorrise «Direi che ho indovinato...» affermò contento di aver, finalmente, trovato una pista «Perché il fatto che io ne sappia qualcosa vi sconvolge così tanto?» chiese avvicinandosi e solo in quel momento si accorse di un particolare. Si mosse veloce e, girandole intorno, cominciò ad annusarla.
  «Che diavolo fate?» lo riprese la donna «Non so come usi fra quelli della vostra specie, ma fra gli umani è davvero scortese odorare gli altri a questo modo»
  Lui non vi badò «Voi la conoscete» le disse, infatti.
  «Chi?»
  «Red...»
  A sentire pronunciare quel nome, lei perse un battito «Avete incontrato mia nipote? Dov’è?»
  Il Bianconiglio perse il suo entusiasmo «Non lo so dov’è... e a quanto pare neanche voi» constatò deluso. Sospirò «La sto cercando da tempo, insieme ad un’altra cara amica»
  «Mary?» volle sapere l’altra «Una ragazza graziosa dai lunghi capelli neri e la pelle molto chiara» gli spiegò vedendo la sua espressione confusa.
  Dalla descrizione non poteva che essere Snow «Esatto...»
  La signora socchiuse gli occhi «A quanto pare abbiamo molto di cui parlare... a cominciare dal fatto che non conoscete il nome di questa cara amica» sottolineò.
  Sul muso del bianco si dipinse un’espressione piacevolmente stupita, a quanto pareva la signora sapeva davvero il fatto suo «Concordo pienamente sul primo punto» l’appoggiò «Tuttavia devo dissentire sul secondo perché io il nome della mia cara amica lo conosco eccome, siete voi a non conoscerlo affatto... per cui direi che è di questo che dobbiamo cominciare a parlare»
  La nonna di Red rimase un attimo interdetta, poi un sorriso incurvò le sue labbra: l’aspetto poteva davvero ingannare, in quel gigantesco coniglietto sembrava aver trovato pane per i suoi denti.


  «Finalmente riesco a trovarla Mr. Downy» esordì Regina avvicinandolo sul marciapiede dove l’aveva scorto «Ho provato a chiamarla più volte ma era sempre irraggiungibile»
  L’albino alzò lo sguardo su di lei di malavoglia «Mi spiace ma, purtroppo, il mio cellulare si è rotto, non ho ancora potuto comprarne uno nuovo»
  «Capisco» pronunciò l’altra a labbra quasi serrate portando le mani in tasca «Ho bisogno che lei faccia una consegna per me» spiegò porgendogli ciò che aveva appena recuperato dalla sua lunga giacca.
  Alec prese ciò che gli veniva porto e guardò: era una carta da gioco, probabilmente un jolly, raffigurante un coniglio bianco dalla giacca rossa, un lungo ombrello e un grosso orologio da taschino. Le sue sopracciglia s’inarcarono «Mi sta prendendo per il culo, per caso?»
  Il sindaco rimase interdetto per un attimo dalla sua reazione. Pensare che aveva provato una soddisfazione perversa al solo immaginare di dare proprio a lui quel compito. Che avesse esagerato così da arrivare a sollecitare la sua memoria? Impossibile.
  «Perché dovrebbe buttare i suoi soldi per farmi consegnare questa misera carta da gioco?» continuò, infatti, quello.
  «Non mi pare che i miei soldi l’abbiano mai disgustata prima d’ora...» gli rispose lei alzando un sopracciglio piccata.
  Il ragazzo valutò la situazione in silenzio «Voleva vedere se sarei corso ad esaudire il suo desiderio, anche adesso che le cose sono cambiate...» comprese «Beh, se lo scordi: non ho intenzione di continuare a farlo»
  La mora finse indignazione «E’ così che si trattano gli amici?»
  «Amici?» ripeté l’altro ironico «Mi ha sempre dato compiti che non condividevo approfittandosi del mio bisogno di denaro: sapeva benissimo che detestavo quelle cose ma, allo stesso tempo, era sicura che non le avrei detto di no... anche se per farlo avessi dovuto mettermi contro tutta Storybrooke. Questo non è essere amici»
  «Mi pare che abbia chiarito il suo punto di vista» constatò quella «Spero per lei che riesca a tenersi il suo nuovo posto di lavoro alla scuola, non vorrei vederla tornare da me strisciando quando Gold la sbatterà fuori dal suo appartamento»
  «Mi sta minacciando per caso?» sostenne il suo sguardo l’altro.
  «Non mi permetterei mai Mr. Downy» gli rispose Regina rilassando il viso «Volevo solo ricordarle chi è il sindaco di questa città... mentre lei, mio caro, non è nessuno» e, senza aggiungere altro, se ne andò con un sorriso di soddisfazione sulle labbra.
  Quando fu abbastanza lontana il piede di Alec batté violentemente a terra mentre il suo proprietario, quasi, ringhiava a denti stretti. L’aggettivo che gli passò per la testa, però, se lo tenne per sé.


  Le cose non potevano mai andare bene troppo a lungo, era di questo che il Bianconiglio si stava convincendo sempre più. Aver ritrovato le sue due amiche era decisamente un fatto positivo, soprattutto se ci si aggiungeva la piena consapevolezza di Red del suo essere lupo e l’amore che Snow sembrava aver trovato nel principe James. Non c’era voluto molto, però, perché si vedesse l’insorgere delle prime incrinature: re George, più che mai intenzionato ad avere un’abbondante fetta delle ricchezze di re Midas, aveva costretto la principessa, con un vile ricatto, a rinunciare a Charming e quella, affranta, si era convinta su suggerimento di Red a chiedere aiuto ad un potente stregone il quale le aveva fornito una pozione per dimenticare. Quando il giorno delle nozze era arrivato, non aveva fatto in tempo a gioire della fuga del principe che dai nani gli era arrivato un messaggio dove gli veniva spiegato che Snow non aveva retto al dolore e aveva bevuto, dimenticandosi non solo di James ma anche di tutta la bontà che aveva nel cuore.
  Era proprio da loro che stava correndo, infatti, quando si era imbattuto nel primo drappello di guardie nere: l’inseguimento era scattato.
  Scartò l’ennesima rete che gli venne lanciata contro e saltò agilmente su una piana più bassa del bosco ma, proprio in quel momento, altri soldati uscirono dalle frasche e dovette, per forza di cose, bloccarsi: era stato circondato.
  «Certo che corri davvero molto coniglietto» esordì un soldato smontando da cavallo, probabilmente il comandante in carica «Ma immagino che l’idea di batterti con noi non ti abbia nemmeno sfiorato, giusto? Il tuo coraggio non ti è di certo venuto in aiuto» lo prese in giro provocando una grossa risata nel resto dei suoi compagni.
  White fremette, non era di certo per la paura che non li combatteva ma perché sapeva di essere solo un coniglio disarmato contro una discreta quantità di uomini equipaggiati dal più piccolo stiletto al più pesante spadone. A ben vedere non era davvero lui il codardo «Che cosa volete da me?»
  «Sua maestà ti vuole al castello, a quanto pare sembra che tu stia dando il tuo aiuto a persone sbagliate e non è per niente contenta di questo» spiegò l’uomo il cui volto era nascosto completamente dall’elmo che indossava «Sfortunatamente per te non ha specificato di volerti vivo... immagino che la pelliccia di coniglio parlante abbia un alto valore di mercato» concluse sfoderando la sua spada.
  Il bianco tese i muscoli pronto a scattare nel momento in cui si fosse avvicinato abbastanza: voleva guadagnare sulla sua pelle? Allora era il caso che si sudasse un po’ il suo compenso. Giusto nel momento in cui l’altro scoprì la guardia, alzando il braccio per calare il primo fendente, il Bianconiglio saltò e lo colpì in pieno petto con le possenti zampe posteriori facendolo sbattere violentemente a terra. Ci volle solo un battito di ciglia prima che anche il resto degli uomini partisse all’attacco, era una battaglia persa in partenza. Giusto un attimo prima che venisse sopraffatto, però, accadde qualcosa d’incredibile: ogni singolo soldato che aveva attorno caracollò a terra completamente privo di sensi, non era più in pericolo.
  White alzò di colpo il capo, per nulla rilassato da quell’aiuto inaspettato «Che diavolo è successo?» chiese a nessuno in particolare.
  «Magia...» gli rispose una voce divertita alle sue spalle «Uno strumento davvero potente non trovate, dearie? In grado di fare anche questo...»
  Il Bianconiglio si girò verso colui che stava parlando appena in tempo per vederlo chiudere teatralmente una mano a pugno: tutti i corpi dei soldati sparirono in un sol colpo «Chi siete?» chiese intimorito.
  «Rumpelstiltskin...» si presentò quello roteando un braccio prima di prodigarsi in un profondo inchino «Per servirvi»
  L’altro riconobbe il nome «Voi avete dato la pozione a Snow...» pronunciò sospettoso «Perché mi avete aiutato?»
  «Questa diffidenza mi ferisce» si finse offeso l’Oscuro portando una mano al petto «Mi aspettavo più un... grazie» sghignazzò alzando un dito verso il cielo.
  «Grazie...» concesse l’animale, in fin dei conti era una parola più che doverosa da dire a chi gli aveva appena salvato la vita... quale che fosse lo scopo per cui l’avesse fatto, perché sapeva essercene uno.
  «Molto meglio» batté le mani quello mentre spariva e riappariva alle sue spalle facendolo sussultare «Ora che siamo tranquilli possiamo parlare di affari»
  «Affari?» inarcò le sopracciglia il bianco, non si era sbagliato.
  «Sì, sì...» confermò Rumpelstiltskin «Voi possedete qualcosa che mi interessa e sono ragionevolmente sicuro di potervi dare in cambio ciò di cui avete bisogno» gli spiegò divertito.
  «E di cosa avrei bisogno?» volle sapere l’altro.
  «Non avete, forse, degli amici in difficoltà?» gli suggerì.
  Il suo pensiero andò subito alla principessa «Voi avete cambiato Snow, potete farla tornare com’era prima?»
  L’Oscuro sghignazzò «Vi ho praticamente detto che potrei esaudire ogni vostro desiderio ed è questo quello che mi chiedete? Davvero ammirevole... ma dovreste aver più fiducia»
  L’altro scosse il capo «Non capisco»
  «Non credete nel vero amore, dearie? La principessa risolverà i suoi problemi senza il vostro aiuto...» gli spiegò «Per quanto vi riguarda, invece... non avreste voluto le capacità per poter competere con quei soldati?» gli chiese riferendosi ai suoi inseguitori «Non vorreste avere la forza per difendere voi stesso e i vostri amici? Magari dimostrandolo ad un lupo di vostra conoscenza?»
  «Mi state dicendo che potete farmi diventare umano?» comprese White senza riuscire a fermare un movimento incontrollato del proprio naso.
  «Esattamente quello che intendo, senza perdere i vantaggi della vostra specie ovviamente» confermò quello con un sorriso inquietante «Ma ogni magia ha un prezzo e questa non è diversa da tutte le altre... »
  «E quale sarebbe questo prezzo?»
  «Un piccolo prezzo...» precisò Rumpelstiltskin avvicinando un pollice e un indice «Il vostro orologio» rivelò alzando un palmo di una mano e disegnandovi un cerchio con un dito dell’altra.
  «L’orologio di mio padre?» chiese conferma il bianco non capacitandosi di quella strana richiesta «E a cosa vi servirebbe?»
  «Sono piuttosto interessato al tempo in questo periodo inoltre sono un inguaribile collezionista» spiegò l’uomo allargando le braccia «Il vostro orologio non ha mai perso un secondo, sarebbe davvero sciocco lasciarselo scappare non credete? E prima che mi chiediate perché allora dovreste consegnarmelo, permettetemi di farvi notare che a voi non serve più» lo ammonì «Sarebbe solo un legame con la vostra vecchia vita: ogni volta che lo guarderete vi ricorderà che voi, in realtà, siete solamente un coniglio» sghignazzò.
  White soppesò le parole che gli erano appena state rivolte, infine decise: portò una zampa al panciotto e dal taschino ne tirò fuori l’orologio, lo guardò ancora un’ultima volta e poi lo sganciò dal bottone.
  L’Oscuro saltellò gioioso tamburellando le dita delle mani fra loro «Allora affare fatto?»
  Il Bianconiglio gli porse la catenella «Affare fatto»
  Non appena ebbe l’orologio fra le sue mani, Rumpelstiltskin gli puntò un dito sul muso «Benvenuto nel mondo degli uomini, White Rabbit»
  Ma quello non riuscì a rispondere perché scivolò all’istante nel mondo dell’incoscienza.

  «Ehi, ragazzo! Tutto bene?» fu la prima cosa che udì dopo un tempo che gli parve infinito «Svegliatevi, ragazzo!» si sentì picchiettare sul muso, perché diavolo lo stavano chiamando ragazzo? Alzò le palpebre e per poco non rimase accecato dai raggi del sole, li richiuse all’istante con un gemito di dolore.
  «I vostri occhi sono davvero chiari» sentì dire nuovamente da quella voce «Aggrappatevi a me, vi porto in un posto più ombreggiato»
  Allungò le zampe anteriori per fare come gli era stato suggerito e arrivò a destinazione molto prima del previsto, cercò di camminare per stare dietro all’altro ma gli risultò stranamente difficoltoso, tanto che lo sentì sussurrare «Manca poco» fecero ancora alcuni passi e, finalmente, si fermarono. Che diavolo gli stava succedendo?
  Decise di riaprire gli occhi, questa volta con calma: nella penombra del bosco ebbe meno difficoltà a farli riabituare alla luce. Di fronte aveva un giovane cavaliere dall’armatura lucente, dai corti capelli castani e occhi dall’espressione buona e coraggiosa... non era molto alto, però, dato che non doveva nemmeno sollevare lo sguardo per vederlo in viso.
  «Va meglio adesso?» gli chiese.
  Lui annuì stupendosi di non avvertire il dondolio delle orecchie.
  «Lasciate che mi presenti» interruppe il flusso dei suoi pensieri l’altro «Sir Frederick. Vi ho trovato svenuto in questo bosco, ho pensato che potevate aver avuto un malore o essere stato aggredito dai briganti»
  White rifletté sul nome che aveva appena udito «Voi siete uno dei cavalieri di re Midas?»
  «Esatto» confermò quello «E se voi conoscete il mio nome dovete essere un messo... o un araldo» constatò.
  «Non più, ormai» gli rispose l’altro portando una mano alla tempia che aveva iniziato a pulsargli leggermente... una mano? Sgranò gli occhi e, per la prima volta da quando si era risvegliato, abbassò lo sguardo su se stesso: erano veramente mani quelle che stavano all’estremità delle sue braccia, le gambe erano lunghe e tese, il muso era diventato un viso e le orecchie non erano più grandi e ritte sulla sommità del capo ma piccole e ai lati. Non era il cavaliere ad essere basso ma era lui ad essersi alzato: indossava morbidi pantaloni blu, una camicia bianca, panciotto e giacca lunga dello stesso colore dei pantaloni. Era così strano sentire la stoffa a diretto contatto con la pelle. Finalmente comprese perché l’altro continuava a chiamarlo “ragazzo”: era esattamente quel che era diventato.
  Frederick classificò il suo momento di smarrimento come conseguenza del probabile colpo che aveva preso, o che gli avevano dato, perciò non vi si soffermò a lungo «Coraggio» disse quindi «Vi scorterò fino al prossimo villaggio. Mi rincresce ma poi dovrete cavarvela da solo, purtroppo non posso riaccompagnarvi al reame da cui venite»
  L’ex coniglio, dal canto suo, sembrò ricordarsi della presenza dell’altro solo in quel momento «Sarebbe più che sufficiente, avete già fatto molto per me» ringraziò «Se potessi esservi utile in qualche modo, mi piacerebbe aver l’opportunità di sdebitarmi con voi»
  Il cavaliere si prese qualche secondo per pensare «In effetti credo che voi possiate... ma prima ditemi, di chi eravate l’araldo?»
  «Di re Leopold...» lo informò il ragazzo, se re George voleva garantirsi le ricchezze di re Midas era davvero improbabile che gli avesse riferito della fuga del figlio «Alla sua morte, però, la regina mi ha dispensato da ogni compito»
  «Eravate amico di Snow White, quindi?»
  «Perché volete saperlo?» si mise in guardia il più giovane sospettoso.
  Frederick sorrise «Dalla vostra reazione, immagino di sì e probabilmente lo siete ancora adesso. Non temete, non ho niente contro Snow, anzi. E’ solo grazie all’amore che il principe James prova per lei, se io ho potuto riavere il mio»
  «Non credo di capire...»
  «Io amo la principessa Abigail e lei ama me, ma a dividerci non c’erano solo le diverse classi sociali. Conoscete il dono di re Midas?» lo vide annuire «Ebbene, per colpa di quel dono, sono stato trasformato in una statua d’oro. E’ stato il principe a spezzare la mia maledizione»
  Anche sulle labbra dell’altro si dipinse un sorriso «Questo significa che neanche la principessa Abigail intendeva sposarsi, è una notizia davvero meravigliosa» Peccato che il dolore di Snow fosse troppo pesante per riuscire ad aspettare ma, secondo l’Oscuro, tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi e se per lui aveva fatto questo, poteva davvero dubitare delle sue parole? «Bene» affermò deciso «Abbiamo appurato che stiamo dalla stessa parte. Quindi, in che modo pensate possa esservi utile?»
  «Come vi ho detto, grazie a James ho potuto riunirmi alla mia amata ma la nostra felicità non è durata a lungo, perché Abigail è sparita» gli spiegò il cavaliere affranto «Voi viaggiate molto, avete sentito qualche notizia a riguardo? Sto cavalcando in lungo e in largo per i regni da giorni ma senza alcun risultato»
  White scosse il capo «Mi dispiace ma non ne so nulla. Se volete, però, posso accompagnarvi: voi siete solo e i reami sono vasti inoltre cercare le persone, per fargli avere i messaggi del re, era il mio lavoro. Potrei esservi utile»
  «Questo sarebbe più di quel che speravo… ma non posso chiedervelo, la vostra principessa avrà bisogno di voi»
  «In realtà questa proposta non è proprio disinteressata» confessò il giovane «Da quel che ho udito sul vostro conto, siete un valoroso cavaliere e, sinceramente, credo che potrei imparare molto da voi. Mi piacerebbe poter essere utile a Snow su ogni campo, anche in prima linea se necessario»
  «Allora l’accordo è fatto» confermò Frederick «Prima di partire, però, visto che collaboreremo assieme, vorrei sapere il vostro nome: voi conoscete il mio ma io non posso dire altrettanto»
  «Mi chiamo White» si presentò.
  Un sorriso increspò le labbra del cavaliere «Un nome piuttosto azzeccato…»




Come di rito, ecco le note di fine capitolo :)
Come vi avevo anticipato in quello precedente, è in questo modo che ho deciso di far iniziare il viaggio di Red e Snow che poi sfocerà negli eventi della 2x07.
Il patto che White fa con Rumpel: può sembrare un accordo poco fruttuoso un orologio in cambio della possibilità di diventare umano (mantenendo i vantaggi della specie di appartenenza), tuttavia la maledizione che è stata lanciata nell'Enchanted Forest e su Storybrooke ha bloccato il tempo per 28 lunghi anni... un orologio che non ha mai perso un secondo, non trovate possa essere un interessante ingrediente? ;)
Infine ho trovato ragionevole la scomparsa di Abigail: Regina a Storybrooke aveva il suo cuore, in qualche modo deve averlo pur preso e, così, ne ho approfittato :D
Concludo con la speranza che il capitolo vi sia piaciuto e con il ringraziamento speciale ad _Eterea_ che mi lascia sempre un suo pensiero.
All'ultimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Magic Hour ***



Capitolo 6: Magic Hour


  Snow si acquattò dietro ad una grossa colonna: quello era l’ultimo corridoio che le rimaneva da attraversare prima di arrivare alle scale che l’avrebbero portata nei sotterranei del castello. Lanciò un’occhiata veloce dietro alle sue spalle, i nani erano rimasti a coprirla e, a quanto sembrava, stavano facendo un ottimo lavoro. Inspirò a fondo e fece il primo passo consapevole che in quell’ultimo tratto sarebbe stata completamente scoperta.
  «Fermatevi!» fu l’ordine che le rivolse il capo di un drappello di guardie arrivate in gran fretta da un passaggio laterale, tutte con le spade sguainate.
  La principessa non si lasciò intimorire, non si sarebbe arresa, non a quel punto: urlò per farsi coraggio ed attaccò. Le lame iniziarono a cozzare fra loro e il primo avversario fu ben presto fuori dai giochi «Si può sapere quante guardie ci sono in questo palazzo?» si lamentò la mora mentre ne affrontava un altro del gruppo.
  «Tante» le rispose una di queste mentre le si avvicinava a testa bassa «Così tante che non si sono accorti di averne una di troppo» concluse e, con stupore di tutti, attaccò il soldato più vicino.
  In pochi minuti Snow rimase sola con il suo nuovo e inaspettato aiutante «Chi siete?» volle sapere.
  Il giovane di fronte a lei si chinò levandosi l’elmo «White Rabbit, principessa… per servirla, come sempre» le rivelò alzando lo sguardo violetto su di lei.
  «White?» ripeté l’altra incredula soffermandosi sul suo viso, i suoi capelli «Com’è possibile? Sei un…»
  «Umano, sì» concluse lui al suo posto «Ora ho le capacità per fare di più: posso combattere, difendermi e proteggere coloro a cui tengo…»
  La mora sospirò, doveva aver fatto un patto non c’era altra spiegazione ma quello non era il momento per discuterne «Sei sicuro che sia questo quello che volevi?» si limitò, quindi, a chiedere.
  «Sì» lo sentì rispondere deciso, senza ombra di esitazione perciò sorrise «Allora va bene…» lo abbracciò e, per la prima volta in vita sua, dovette allungarsi per potergli cingere il collo con le braccia «Grazie»
  White ricambiò la stretta «Coraggio adesso, il tuo principe ti aspetta. Io sarò dietro di te, non permetterò a nessuno di fermarti»


  «Ciao Mary» salutò l’albino prendendo posto accanto a lei al bancone della tavola calda.
  «Ciao Alec» rispose la donna cercando di sorridergli ma era impossibile non notare l’assenza del calore che accompagnava da sempre quei sorrisi.
  «Come stai?» volle sapere il ragazzo preoccupato.
  «Male» non si curò nemmeno di fingere l’altra «Ma passerà» considerò mesta.
  Lui annuì «Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, sai che puoi fare affidamento su di me» cercò di consolarla posandole una mano sulla spalla «E, tanto per cominciare, ti offrirò la cena»
  Mary Margaret si girò di scatto nella sua direzione «Non ci pensare nemmeno…» lo ammonì.
  «Ssh» la zittì il biondo puntandole un dito contro «Non ti ho ancora ringraziato come si deve per l’aiuto che mi hai dato, quindi permettimi di cominciare a farlo» affermò risoluto «E comunque non ti devi preoccupare, godo dello sconto dipendente saltuario» buttò lì vedendo l’avvicinarsi della brunetta.
  «E questo chi l’ha deciso?» replicò, difatti, quella.
  «Io, ora» le fece presente il ragazzo alzando le sopracciglia con fare innocente.
  Ruby si portò le mani ai fianchi «Sei incredibile» lo riprese «Ho capito, offre la casa»
  «Ehi!» si drizzò sullo sgabello l’altro «Non è quello che ti ho chiesto, così sminuisci la mia virilità» si finse offeso.
  «Perché, ne hai una?» lo prese in giro lei da dietro il suo bancone, al sicuro.
  Mary Margaret guardò la scenetta dapprima perplessa, poi un sorriso divertito si dipinse sulle sue labbra «Ragazzi, penso seriamente di adorarvi» affermò decidendo di interrompere il loro palesemente finto battibecco «Non so come farei senza di voi a volte»
  Ruby gongolò sorridendo «Sono pronta a prendere in giro questo scemo ogni volta che vuoi, se serve a tirarti su il morale»
  «Gni, gni, gni…» la scimmiottò il biondo in tutta risposta «Ma devo ammettere che anch’io sono pronto ad immolarmi per la patria, se necessario» confermò gonfiando il petto teatralmente scatenando un’alzata d’occhi al cielo da parte della giovane cameriera.
  «Grazie» disse sinceramente la mora «Grazie davvero»


  «E’ morta» sussurrò Red trattenendo a stento i singhiozzi «Si è sacrificata per il vero amore»
  «Si è sacrificata per tutti noi» la corresse Grumpy con espressione affranta.
  «Questo non è giusto» protestò contro il fato la giovane prima di scoppiare a piangere.
  «Bambina mia» la richiamò la nonna offrendole il conforto delle sue braccia ma, per quanto fosse una donna forte, non poté fare a meno di condividere le lacrime della nipote.
  Red si sfogò a lungo nel calore di quella stretta ma, quando tirò su col naso cercando di riprendere un po’ di contegno, avvertì un odore familiare. «C’è qualcuno qui» esordì sciogliendo l’abbraccio all’improvviso.
  «Chi?» volle sapere Grumpy già in allarme assieme ai suoi fratelli.
  «Tranquilli» cercò di calmare gli animi lei «E’ un amico» gli fece cenno di aspettare e si avviò nella direzione suggeritagli dal suo naso. Si ritrovò a girare attorno ad un grosso albero «White» esordì ancor prima che lui entrasse nel suo campo visivo: rimase, quindi, molto stupita nel trovare, ai piedi del tronco, un ragazzo più o meno della sua età chino sulle ginocchia. Quando lo vide alzare lo sguardo su di lei, però, capì che il suo olfatto non l’aveva tradita «Sei davvero tu» constatò lasciandosi cadere al suo fianco.
  «A cosa è servito?» lo sentì sussurrare «A che cosa è servito diventare umano se non ho potuto impedirle di mordere quella maledetta mela?!» ringhiò subito dopo mentre gli occhi gli si riempivano nuovamente di lacrime.
  Red sostenne il suo sguardo non curandosi dell’aspetto sinistro che aveva assunto per il rosso del pianto mescolato al singolare colore delle sue iridi «White…» sussurrò allungandosi verso di lui ma non fece in tempo a cingerlo con le braccia che si ritrovò con il viso fra il suo collo e la spalla mentre avvertiva il suo respiro fra i capelli.
  «Io la ucciderò» pronunciò lui a denti stretti «Ucciderò Regina, dovesse essere l’ultima cosa che faccio»
  A quelle parole la ragazza si staccò bruscamente «No!» obbiettò «Non devi parlare così, Snow non avrebbe voluto. Hai visto cos’ha fatto? Avrebbe potuto combattere Regina e invece l’ha incontrata disarmata. Ha preferito sacrificarsi per far sì che lei non uccidesse il suo vero amore, perché ci lasciasse in pace»
  «Che cosa hai detto?» chiese White alzando il capo di scatto «Snow si è sacrificata per Charming?»
“Non credete nel vero amore, dearie?” le parole dell’Oscuro saettarono nella sua mente «Tu sei un genio!» si complimentò con espressione nuovamente speranzosa «Il vero amore la salverà» le rivelò scuotendola per le spalle.
  «Che cosa intendi?» cercò spiegazioni quella non capendo.
  «Charming ha già salvato Snow dalla pozione che l’aveva cambiata, chi dice non possa farlo di nuovo?»
  Red sorrise mesta «Non potrà fare nulla, non è come allora: è morta e tu devi accettarlo» affermò facendo violenza anche a se stessa.
  Questa volta toccò all’altro gridare un secco «No!» quasi aggredendola «Troverò il principe James, costi quel che costi, e ti dimostrerò che ti sbagli» non aggiunse altro, si voltò e iniziò a correre rapido come il vento verso il castello di Regina.


  Alec uscì dal Granny’s Café lasciando Ruby al suo lavoro e Mary Margaret ai suoi pensieri. Sistemò meglio il collo della giacca, si portò le mani a coppa davanti alla bocca e soffiò un po’ d’aria calda: faceva piuttosto freddo quella sera, l’unica cosa che voleva in quel momento era rintanarsi nel caldo del suo appartamento. Quando, però, lo sguardo gli scivolò per caso verso l’auto della mora parcheggiata lì vicino e notò la presenza di una persona al suo fianco, non poté fare a meno di effettuare una deviazione. «Che cosa ci fai tu qui?» chiese non troppo amichevolmente quando gli fu abbastanza vicino.
  David, dapprima perso nei suoi pensieri, portò l’attenzione su di lui: aveva già visto quel ragazzo, impossibile non notarlo visto il suo particolare aspetto ma, soprattutto, non gli era passato inosservato per il fatto che fosse spesso in compagnia di Mary Margaret. Non ebbe il tempo di interpretare la sua strana domanda che lo sentì continuare «Stai aspettando lei, non è vero?» si ritrovò ad annuire senza sapere perché.
  L’albino sospirò «Non pensi di averle causato già abbastanza problemi?»
  «Io volevo solamente parlarle» cercò di spiegargli l’altro.
  «E se lei non volesse starti a sentire?» non demorse il più giovane.
  L’uomo cominciò a perdere la pazienza, chi diavolo si credeva di essere? Non si erano neanche mai parlati prima di quel momento «Senti amico, non vedo come questa storia debba interessarti»
  «Io non sono tuo amico» sottolineò quello «Sono amico di Mary Margaret e se lei soffre per causa tua, è anche un mio problema»
  A quelle parole David si calmò, ritornando al suo stato d’inquietudine iniziale. Come poteva biasimare quel ragazzo? Da quando era cominciata la relazione con Mary le aveva procurato non pochi guai, prima con la sua indecisione e poi con la sua incapacità di crederle quando gli aveva detto di non c’entrare nulla con la scomparsa di Katherine. «Allora mi sta bene...» quel giovane, però, doveva aver ben chiara una cosa «Ma dovrà essere lei a decidere se vorrà ascoltarmi o meno, tu non puoi farlo al posto suo. Che tu ci creda o no, io la amo e farla soffrire è esattamente l’ultima cosa che voglio»
  «Hai uno strano modo di dimostrarlo» gli fece presente Alec scotendo il capo, tuttavia non poté far a meno di pensare che sembrasse veramente sincero... possibile che fosse soltanto un grandissimo idiota? «Però hai ragione» si trovò costretto a dire «Io non posso decidere per lei e neanche voglio, è una donna adulta» puntò gli occhi nei suoi «Ciò non toglie che ti spaccherò la faccia se proverai a ferirla di nuovo»
  David deglutì a vuoto non tanto perché temeva un confronto, bastava un’occhiata per capire che sul piano della forza fisica gli era nettamente superiore, ma per la determinazione che gli aveva letto nello sguardo «Di questo non ti devi preoccupare, se lei non mi vorrà io me ne andrò»


  James uscì dal castello di Regina di corsa, non aveva tempo da perdere perché non sapeva per quanto il Cacciatore, che l’aveva aiutato a fuggire, sarebbe stato in grado di distrarre la donna. Si avventurò nel bosco senza aver idea della direzione da seguire, solo di una cosa era certo: avrebbe ritrovato Snow, l’avrebbe ritrovata sempre.
  «Principe Charming» si sentì chiamare in lontananza, alzò lo sguardo senza smettere di correre e scorse una macchia d’azzurro sulla sua destra. Cambiò, quindi, direzione e sfoderò la spada: non sembrava un soldato ma era sempre meglio andar sul sicuro.
  «Non ho cattive intenzioni» lo informò quello strano ragazzo dalla carnagione chiara alzando entrambe le mani, possedeva anche lui una spada ma a quanto pareva non aveva intenzione di usarla «Sono qui per portarvi da Snow, ha bisogno di voi»
  «Che cosa le è successo?» volle sapere l’uomo preoccupato, quel dolore che aveva provato in cella era stato davvero un segno.
  «Regina...» gli spiegò quello e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Ricominciò a correre, questa volta guidato da quel ragazzo «Chi siete?»
  «White Rabbit» sì presentò il biondino senza fermarsi «Sono un amico di Snow, ero l’araldo di suo padre...»
  «Correte davvero veloce White» si trovò costretto a dire James con il fiatone, faticava a stargli dietro.
  «Non abbiamo tempo da perdere» si giustificò il giovane saltando agile oltre un tronco. Fece ancora pochi passi e, poi, si trovò costretto a rallentare: non sentiva più la presenza dell’altro alle sue spalle.
  «Principe?» chiamò fermandosi del tutto: non ottenne risposta «Principe James!» gridò più forte guardandosi attorno ma di Charming non c’era più nemmeno l’ombra.


  Ancora non riusciva a crederci, com’era potuto accadere? A volte il destino sapeva essere davvero crudele. Henry era solo un ragazzino, in buona salute per di più… come aveva potuto cadere vittima di un malore inspiegabile?
  Non che Alec avesse un particolare legame con lui, tuttavia lo vedeva sempre girare per Storybrooke assieme ad Emma cercando di nascondersi da sua madre, mangiare alla tavola calda e, negli ultimi tempi, anche all’istituto scolastico: si era abituato alla sua presenza e perché no, si era anche un po’ affezionato.
  Proprio per questo aveva appuntamento con Ruby di lì a pochi minuti, insieme avrebbero raggiunto Mary Margaret all’ospedale e l’avrebbero aiutata a tener compagnia al piccolo Henry, in fin dei conti, la speranza era l’ultima a morire.


  Aveva fallito: per quanto l’avesse cercato in lungo e in largo non era più riuscito a trovare il principe. Si era infuriato, aveva gridato e maledetto Regina, perché non poteva che esserci lei dietro a tutto, ma nessuna di queste cose erano servite a riportarlo indietro. Ogni sua azione era risultata inutile, di Charming non era rimasta neanche una misera traccia di odore: niente di niente, era sparito nel nulla.
  Era tornato, così, nel posto da cui era partito con il cuore carico di dolore, non era riuscito nel suo intento e la salvezza di Snow sembrava più che mai lontana.
  «Sapevo che ti avrei trovato qui» disse una voce alle sue spalle.
  «Red» la riconobbe voltandosi «Ho fallito, non sono riuscito a portarlo da lei»
  La ragazza riuscì a mascherare la sua espressione solo con un enorme sforzo, non sapeva ancora nulla «Da quant’è che sei qui?» volle sapere, infatti.
  «Non lo so...» le confessò, per la prima volta in vita sua aveva completamente perso la cognizione del tempo.
  Davanti alla sua espressione affranta, l’altra non fu più in grado di trattenersi «Avevi ragione tu» gli rivelò con un largo sorriso.
  «Che cosa?» disse White sgranando gli occhi incredulo «Ma com’è possibile?»
  «Charming ha trovato Snow e il bacio di vero amore l’ha salvata» gli spiegò.
  «Vuoi dirmi che è viva?» volle esserne certo.
  «E’ esattamente quello che ti sto dicendo» ribadì Red allegra e la sua gioia si trasferì immediatamente sul volto di White «Quindi è finita» sospirò di sollievo.
  «Non proprio» lo contraddisse lei senza, però, perdere il suo buon umore «Ora dobbiamo aiutarli a riprendersi il regno. Ci sarà da combattere…» lo guardò con un sorriso di sfida sulle labbra «Pensi di potercela fare?»
  Il biondo ricambiò la sua espressione senza timore «Certo…»


  Alec stava dando un’occhiata al vecchio orologio rotto datogli da Mr. Gold, era davvero un peccato che non funzionasse. Più di una volta aveva avuto l’impulso di provare ad aggiustarlo ma, considerando che non aveva mai fatto un lavoro del genere, aveva desistito… romperlo del tutto era l’ultima cosa che voleva. Anche l’idea che si sarebbe aggiustato per magia, però, era abbastanza assurda: chissà, forse, Marco avrebbe saputo cosa fare, era bravo a sistemare le cose. Si infilò il giubbotto e mise l’orologio nella tasca interna, si avviò all’ingresso. Fu quando la sua mano toccò il pomello della porta che venne investito da una strana energia positiva, la sua bocca si aprì e i suoi occhi si sgranarono: si ricordava ogni cosa.
  Uscì in un lampo dal suo appartamento e, un attimo dopo, era già a battere sul legno della sua vicina di casa «Mary Ann!» chiamò bussando più forte «Mary Ann!»
  La donna arrivò di corsa ad aprire «Padrone…» lo accolse mentre lacrime di commozione cominciavano a cadere dai suoi occhi.
  «Mary Ann…» disse ancora il biondo quasi fuori di sé dalla gioia «Mary Annissima!» continuò abbracciandola forte.
  La cameriera, dapprima stupita per quello slancio di affetto, si lasciò andare a quella stretta e la ricambiò «Sono così felice, padrone»
  Il ragazzo si staccò ma non le levò le mani dalle spalle «Mi hai fatto praticamente da madre per ventotto anni, puoi anche smetterla di chiamarmi padrone»
  Mary Ann sorrise, questa volta fu lei ad abbracciarlo stretto «D’accordo White» ed entrambi scoppiarono a ridere «Perché non andate adesso?» gli suggerì dopo un po’.
  «Andare dove?» fece finta di nulla l’altro, non voleva lasciarla subito non dopo tutti quegli anni.
  «So che non vedete l’ora di andare da loro» lo smascherò con un sorriso «Andate, ora che la maledizione è spezzata avremo tutto il tempo per parlare»
  «Grazie…» le disse riconoscente e uscì nuovamente sul pianerottolo, arrivato sul primo gradino si fermò «Prima voglio provare una cosa…» informò la donna alla sue spalle «Recuperami se dovessi rompermi una gamba» la pregò prima di piegarsi sulle ginocchia e spiccare un grosso salto: atterrò senza problemi in fondo alla rampa di scale «Wo-oh!» esultò euforico prima di uscire del tutto.
  Una volta in strada inspirò a pieni polmoni, era la prima volta che passava in mezzo a quegli edifici con piena consapevolezza della sua identità. L’unica cosa che gli mancava in quel momento era il salutare le sue due care amiche, per quanto avesse avuto vicino Ruby e Mary Margaret ogni giorno, erano ventotto anni che non vedeva Red e Snow White.
  Regina aveva perso, sorrise al pensiero e si voltò per riprendere il cammino: la nube violacea che vide in lontananza fece scomparire ogni ombra di soddisfazione dalle sue labbra. Non ci volle neanche un minuto perché lo raggiungesse, si portò un braccio davanti al volto mentre attendeva di esserne investito e quando questo avvenne si portò l’altra mano al petto: l’orologio all’interno del suo taschino aveva ripreso a funzionare.


FINE




Ed eccoci giunti al capitolo finale di questa storia.
Il capitolo è ambientato negli episodi 1x21 e 1x22 e il "Mary Ann... Mary Annissima" che pronuncia White verso la fine è un chiaro riferimento al "Marianna... Mariannissima" del Bianconiglio della Disney.
Per il Wonderland ho deciso di non metterlo in quanto, essendo un concorso a scadenza, quando mi è venuto in mente come avrei potuto inserirlo nella storia non ne avevo più il tempo materiale, senza contare che è venuta piuttosto lunga già così XD Il White Rabbit della mia fic, comunque, è il figlio del Bianconiglio che noi tutti conosciamo per cui l'assenza del Wonderland mi è sembrata ragionevole. Chissà, magari un domani potrei cercare di sviluppare quell'idea ma, sicuramente, attenderò prima la fine della seconda serie.
Concludo con i ringraziamenti di rito:
Per prima ringrazio Trick, grazie al suo concorso ho scoperto il magico mondo delle fic su OUAT perché nonostante adorassi la serie non mi era mai venuto in mente di venire a curiosare nella sezione telefilm del sito... chissà perché, il periodo di attesa fra la prima e la seconda stagione sarebbe stato di sicuro meno pesante XD Ho trovato delle storie davvero interessanti e spero di riuscire a leggerne ancora molte. Infine la ringrazio perché era veramente un po' che non mi partiva l'ispirazione a questo modo :D
Per secondo ringrazio il mio coniglietto (anche se chiamarlo così è un po' riduttivo) Blu: un tenero ariete grigio/blu di tre anni *___* Mi ha aiutato non poco per le descrizioni dei movimenti di White quand'era ancora un coniglio.
La abc per aver creato questa serie e questi personaggi fantastici.
Infine ringrazio chi ha letto, seguito, preferito e commentato questa storia. Inutile dire che mi farebbe molto piacere conoscere le vostre impressioni, soprattutto adesso che la storia è terminata.
Grazie ancora per essere arrivati fin qui.
Un salutone
Cida

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