I'll keep you alive, if you show me the way.

di ShioriKitsune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quel padroncino, sensi di colpa. ***
Capitolo 2: *** Quel padroncino, tristi verità. ***
Capitolo 3: *** Quel padroncino, strategie. ***
Capitolo 4: *** Quel padroncino, risvolti inaspettati. ***
Capitolo 5: *** Quel padroncino, tradimento. ***
Capitolo 6: *** Quel padroncino, solitudine. ***
Capitolo 7: *** Quel maggiordomo, torture. ***
Capitolo 8: *** Quel becchino, doppio gioco. ***
Capitolo 9: *** Quel maggiordomo, ricordi. ***
Capitolo 10: *** Quel padroncino, fare il demone. ***
Capitolo 11: *** Quel padroncino, cadendo nell'oscurità. ***
Capitolo 12: *** Quel maggiordomo, dolorosi inganni. ***
Capitolo 13: *** Quel becchino, la fine. ***
Capitolo 14: *** Quel maggiordomo, anima pura. ***
Capitolo 15: *** Quel maggiordomo: nascita, vita, morte. ***
Capitolo 16: *** Quel maggiordomo, riunione. ***
Capitolo 17: *** Quel maggiordomo, la fine? ***



Capitolo 1
*** Quel padroncino, sensi di colpa. ***


«Bocchan, la cena è pronta».
La voce di Sebastian ebbe il potere di svegliarmi da quello strano torpore in cui ero caduto durante le ultime due ore. Ma non parlai né mi mossi, se non per fare un cenno col capo. Lui, in risposta, si chinò e fece per andare via.
«Sebastian!».
Non avevo programmato di bloccarlo, né comprendevo le motivazioni del mio gesto. Sospirai, afflosciandomi su me stesso e appoggiando la fronte sul palmo della mano. «Arrivo subito».
Sebastian annuì, ed io rimasi nuovamente solo.
E con la solitudine tornarono ad affollarmi la mente i pensieri che mi avevano impegnato il pomeriggio.
Sentimenti contrastanti si facevano guerra dentro di me: l’odio per Alois Trancy e per il suo maggiordomo, per Hanna e per tutto ciò che mi aveva costretto in quella situazione. Io, un demone. Sembrava così sbagliato che ancora non riuscivo a credere che fosse reale, che tutto quello fosse successo davvero.
Non sarebbe dovuta andare così, sarei dovuto morire. Sebastian avrebbe pensato alla mia anima, io me ne sarei lavato le mani.
Avevo aspettato così tanto quel momento che adesso, sapere che non sarebbe mai finita, mi lasciava una sensazione amara che faticavo a mandar via. Spesso mi ritrovavo a pensare che lo sbaglio fosse stato all’origine: se avessi permesso che Sebastian uccidesse Ash e la Regina sulla torre Eiffel, a quest’ora tutto sarebbe come era stato programmato.
Ed io non sarei stato qui a farmi corrodere il fegato dai sensi di colpa.
Era strano, no? Che un demone ne provasse. Ma io ero un novellino, e il rifiuto dei sentimenti umani sarebbe arrivato col tempo. Effettivamente, questa situazione non cambiava nulla: ero sempre lo stesso, mi occupavo sempre delle stesse cose e avrei continuato a farlo per chissà quanto tempo.
Era Sebastian ad essere cambiato.
Dal giorno dopo il nostro ritorno a casa, era diventato una persona completamente diversa da quella che, fino a quel momento, era stata al mio fianco.
Spesso disobbediva ai miei ordini o li ignorava, o magari non si presentava in mattinata e si dimenticava di servirmi i pasti. Inoltre, mi rivolgeva la parola lo stretto necessario e spesso con tono freddo o arrogante.
Beh, era comprensibile. Lo avevo legato a me in modo scorretto: era obbligato a restare al mio fianco senza poterci ricavare nulla alla fine, perché non ci sarebbe mai stata una fine.
Come biasimare il fatto che lui avesse iniziato a provare antipatia, se non odio, nei miei confronti? Era un demone, e sarebbe stato costretto a vivere senza poterlo essere fino in fondo.
Serrai la mascella, mentre l’odio inondava tutto quanto, dentro di me. Quello per me stesso, affiancato alla vergogna, erano al primo posto: perché non riuscivo semplicemente a disinteressarmi di lui, e sfruttarlo come un qualsiasi altro demone, al mio posto, avrebbe fatto?
La vergogna stava invece nel fatto che una grossa parte di me si sentisse tradita da Sebastian. Perché lui aveva promesso che ci sarebbe sempre stato, ma si stava lentamente allontanando.
E ogni volta odiavo la sensazione di vuoto provata realizzando che, un giorno o l’altro, avrebbe trovato una scappatoia e sarebbe andato via, lasciandomi solo.
Solo proprio come prima che lui mi salvasse.
«Al diavolo!», urlai, rovesciando sul pavimento il servizio da te rimasto sulla scrivania.
Ero stufo, stufo di sentirmi in colpa, stufo di aver paura che Sebastian mi abbandonasse. Avrei voluto avere un pulsante, una specie di interruttore per spegnere le emozioni e far finta che tutto andasse bene.
Ma non era possibile, non avrei ottenuto la pace così facilmente.
Ero condannato alla sofferenza.
Sebastian non arrivò per ripulire, né più venne a chiamarmi per la cena. Io, dal canto mio, non avevo nessuna intenzione di andarci, nessuna intenzione di sentire quel suo sguardo accusatore su di me, mentre magari pensava a come uccidermi e ricordava tristemente che non era possibile.
Ero stato uno sciocco a pensare, anche solo per un secondo, che Sebastian avesse iniziato a provare affetto per me. Tutto ciò che aveva fatto era stato soltanto per obbligo, per rispettare un contratto da cui non avrebbe mai più tratto beneficio. E ciò che lo costringeva a continuare a servirmi non era, come inizialmente avevo creduto, attaccamento nei miei confronti. Era solo impossibilitato a rompere l’accordo.
Mi liberai dai vestiti e indossai la camicia da notte. Farlo da solo era complicato, ma recentemente mi ci ero quasi abituato.
Avevo appena spento le candele, quando lo scricchiolio della porta attirò la mia attenzione.
Mi tirai su a sedere, cercando di spiare nell’oscurità. «Sebastian?».
Nessuno rispose, e per un secondo pensai di essermelo immaginato. Poi, una candela solitaria illuminò il viso del mio maggiordomo.
«Bocchan, siete andato a letto senza cena?», domandò in tono formale. Sembrava quasi una domanda, come se stesse semplicemente chiedendo una conferma per i suoi sospetti. Questo significava che doveva essere uscito subito dopo essermi venuto a chiamare, infischiandosene di ciò che avrei fatto io.
«Sì», borbottai, abbassando lo sguardo. «Non avevo fame».
Dalla non-risposta di Sebastian, capii che stava per andare via. «Dove sei stato? Non mi pare di averti dato il permesso di uscire».
«Infatti, non lo avete fatto».
Quella risposta mi spiazzò. Era la prima volta che ammetteva apertamente di aver trasgredito un mio ordine. Inoltre, sembrava ostinato a non dirmi dove fosse stato ed io, per mantenere intatto quel briciolo di orgoglio che mi era rimasto, non glielo avrei chiesto una seconda volta.
Il maggiordomo si schiarì la voce. «È tutto?».
Sospirai, e lui soffiò sulla candela. Ma, per la seconda volta in una giornata, ebbi l’irrefrenabile impulso di bloccarlo, domandandogli qualcosa che soltanto una volta, durante tutto il tempo in cui era stato al mio fianco,  gli avevo chiesto di fare. «Puoi restare?».
Nell’oscurità, lo sentii sorridere in modo maligno. «Oh, bocchan, non è un po’ troppo cresciuto per questo?».
La porta si chiuse dietro di lui e tutto diventò esageratamente buio, ma non durò per molto. Qualche minuto dopo, non abbastanza perché avessi assunto un’espressione quantomeno dignitosa, dei passi fuori dalla soglia attirarono la mia attenzione.
“È Sebastian”, pensai. “È tornato per obbedire al mio ordine”.
 Ma quando la porta si aprì e un tizio completamente vestito di nero mi puntò contro una pistola, capii che forse avevo fatto male i miei calcoli.
«Chiunque tu sia, razza di stolto, non potrai uccidermi con qu-».
Io non ero Sebastian, non possedevo la sua forza né la sua velocità, ed ero ancora sensibile al dolore. E l’ultima cosa che udii, prima che il proiettile mi trapassasse il cervello e mi facesse perdere conoscenza, fu l’ululato di un lupo rivolto alla luna piena.






TO BE CONTINUED:
Lasciate una recensione se volete che la storia prosegua, ne sarei enormemente felice *-*

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Capitolo 2
*** Quel padroncino, tristi verità. ***


«Il cane da guardia della regina, eh? Gran bel colpo, davvero. Ci creeranno un sacco di problemi, lui e quel suo maggiordomo».
«Ci è stato ordinato così, lo sai. E pensa a quanto sarebbe appagante riuscire a sparire dalla circolazione prima che il maggiordomo ci trovi. Senza di lui, quel moccioso non è niente».
«Ah no? Allora perché è in grado di restare vivo dopo una pallottola nel cervello?».
Silenzio.
Riaprii gli occhi, ma non riuscii a vedere nulla: ero legato e bendato. Faceva freddo, forse troppo per una normale notte di gennaio. Ricordai che indossavo soltanto la camicia da notte, era forse per quello che sentivo il gelo penetrarmi nelle ossa in modo così intenso e doloroso?
Il mio corpo veniva sbattuto da una parte all’altra del carro, nessuno si era preoccupato quantomeno di legarmi a qualcosa. Stupidi umani.
Ma tre domande si affacciarono spontaneamente nella mia testa: chi erano quelli,  perché sapevano di me e per conto di chi lavoravano?
Era chiaro come il sole che due idioti come loro non conoscevano neanche le motivazioni dei loro gesti.
Fui sbattuto con forza contro il legno freddo e duro, e non riuscii ad evitare di emettere un singulto. I due si voltarono all’improvviso, trattenendo il fiato. «Si è svegliato».
«Non è possibile che sia già sveglio», gli fece eco l’altro.
Il carro si fermò. «Dici.. dici che dovremmo sparargli di nuovo?».
«Forse dovremmo. Insomma, non sappiamo di cosa sia capace questo marmocchio».
Ci fu silenzio, e riuscii ad udire chiaramente l’uomo che caricava la pistola. Ma non volevo perdere conoscenza di nuovo.
Agitai convulsamente la testa, emettendo dei mugolii. La benda era così scura che non riuscivo a guardare attraverso, nonostante i sensi sviluppati. Ma forse, se avessi fatto abbastanza pressione sui polsi, la corda si sarebbe spezzata.
«Fermo! Si sta liberando, cos’aspetti a sparargli?».
Mi rassegnai, raggomitolandomi su me stesso e serrando gli occhi in attesa della pallottola che, per la seconda volta, mi avrebbe trapassato il cranio.
“Sebastian”, pregai mentalmente. “Sebastian, dove sei?”
 Ma il proiettile non arrivò mai a destinazione. Un movimento d’aria alle mie spalle mi fece intuire che qualcuno era arrivato in mio soccorso. Sospirai, notevolmente sollevato.
«Vogliate scusarmi, begli uomini, sono venuto a riprendermi ciò che è mio».
Ma quello non era Sebastian.
«E tu chi diavolo sei?», urlò uno dei due, totalmente in preda al panico. Il nuovo arrivato mi tolse le bende giusto in tempo perché io potessi vedere il suo solito piccolo siparietto.
«SHINIGAMI DEATH!».
M’inumidii le labbra, ormai secche e screpolate, prima di rivolgere lo sguardo all’uomo dai capelli rossi. «Grell, cosa ci fai qui?».
«Che domanda stupida, conte Phantomhive. Ti salvo da questi due psicopatici!».
Riuscii a liberarmi dai lacci che mi tenevano serrati i polsi e le caviglie, poi Grell mi prese tra le braccia e iniziò a correre tra la foresta fitta, lontano dai due rapitori messi ormai K.O.
«Non ti ho chiesto di salvarmi», borbottai a braccia conserte, rivolgendo lo sguardo alla vegetazione che mi scorreva davanti troppo velocemente per potermici soffermare.
Avvertii una fitta al petto, una fitta di quel tipo che rare volte avevo provato nella mia vita. Era dolore, e non fisico. Con la mano, mi coprii l’occhio che racchiudeva il sigillo Faustiano di Sebastian, come a volerlo celare al resto del mondo. Non volevo che Grell si accorgesse che c’era qualcosa di sbagliato, ma chi non se ne sarebbe accorto? Sospirai, stringendomi le ginocchia al petto. Lo Shinigami non stava facendo domande, il che era abbastanza insolito. E fu in quel momento che la mia mente partorì l’idea che, forse, Grell era a conoscenza di qualcosa che io non sapevo.
«Tu, sai dov’è Sebastian?».
Lui si irrigidì appena, ma continuò a correre con il sorriso aguzzo che lo caratterizzava dipinto sul volto. «Sebas-chan? Sfortunatamente sono settimane che non lo vedo, e mi deve ancora un bacio con la lingua. Anche se dopo tutte quelle pose sexy a palazzo Trancy credo che non mi basti più un semplice bacetto», il suo tono si fece basso, magari con l’intento di essere seducente, ma riuscì soltanto a procurarmi un brivido di disgusto. «Sei un inguaribile pervertito».
Grell mi aveva mentito. Sapeva dove fosse Sebastian, ma non aveva intenzione di dirmelo. Non era difficile pensare che lo stesse coprendo, data la sua smisurata cotta per lui, ma coprendo da cosa? Da me? E per quale motivo? I dubbi continuavano ad insinuarsi dentro di me, e il timore di poterlo perdere..
“NO!”. Qualcosa, dentro di me, urlò. Io non avevo paura, non più. Ero il conte Ciel Phantomhive del casato Phantomhive, noto per il coraggio e la fermezza. Non mi era concesso sentirmi debole, neanche per un secondo. Soprattutto da quando ero diventato un demone.
«Non mentirmi, Grell Sutcliffe. Non sai farlo a dovere».
Lui sbuffò, fermandosi di scatto e lasciandomi quasi cadere. «Siamo arrivati alla villa, ringraziami per il trasporto. Che ne dici di un appuntamento con Sebas-chan, come ricompensa?».
Serrai gli occhi in due piccole fessure. «Dov’è William?».
E, come prevedibile, l’attenzione dello Shinigami fu completamente catturata dal nome del suo collega. Strinse le mani l’una con l’altra e, con fare gaio, se le portò al viso. «Will, oh, Will. Grazie, piccoletto, mi hai ricordato cosa devo fare adesso».
Prevedibile, vero, ma la reazione era stata fin troppo pronta. Come se.. come se fosse stata programmata. Nemmeno lui era così tanto frivolo.
«Ehi, Grell, aspetta! Devi ancora rispondere alle mie dom-». Ma era troppo tardi, era già scappato via. Abbassai le spalle, abbattuto. «Dannato».
M’incamminai per il lungo viale della residenza, tornando a domandarmi chi diavolo fossero i due che avevano fatto irruzione in casa, eludendo le difese di Sebastian e rapendomi. Per chi lavoravano? E come facevano a sapere quelle cose su di me? Avrei chiesto a Sebastian di indagare.
Anche se, a dirla tutta, non ero sicuro che lo avrebbe fatto.
Bussai al grande portone della villa, aspettando che qualcuno mi aprisse. Ricordai che non avevo con me la benda, quindi tentai di coprire l’occhio con ciuffi di capelli: per quanto potessi sembrare strano ai miei servitori, era sempre meglio che conservassi almeno una parvenza di normalità.
Mey-Rin arrivò alla porta qualche minuto dopo, tenendo gli occhiali tondi e scheggiati stretti in una mano e un fucile nell’altra. Quando mise a fuoco il mio volto, lo lanciò dall’altra parte della stanza e iniziò ad agitare convulsamente le braccia. «Signolino! Cosa ci fa qui fuoli vestito solo di un così leggelo indumento? Pensavo fosse qualche malintenzionato, a quest’ola della notte!».
Avevo così tanto freddo che iniziai a battere i denti senza neanche rendermene conto. La donna mi circondò le spalle con le braccia e mi scortò in cucina, dove m’immerse i piedi in una bacinella di acqua calda. «Oh, signolino, spero che adesso non le venga un malanno! Cosa le è saltato in mente?».
In pochi minuti riuscii a smettere di tremare. Nel frattempo, erano arrivati anche Finnian, Baldroy e Tanaka, ma di Sebastian neanche l’ombra. A causa delle loro facce assonnate, mi azzardai per la prima volta a guardare l’orologio: erano le quattro del mattino.
Per un momento mi dispiacque sapere di averli svegliati, ma poi ricordai che erano semplici servitori: era quello il loro compito, ed erano tenuti ad adempiervi a qualsiasi ora del giorno.
Non si erano accorti dello sparo? Piuttosto strano, visto che era piena notte e tutto era silenzioso.
«Qualcuno è entrato in casa e mi ha portato via con la forza. Domani provvederò a scoprire chi è stato».
In pochi secondi, - il tempo di metabolizzare la notizia -  in casa scoppiò il putiferio.
Tutti iniziarono ad urlare, chiedendosi cosa fare e dove fosse Sebastian, e soprattutto chiedendosi come mai lui non avesse fatto niente per impedirlo.
«Allora inizia a perdere colpi anche il caro Sebastian, mhm?», sentenziò Baldroy incrociando le braccia al petto.
«No», esclamò in tono esuberante Finnian. «Il signor Sebastian non può perdere colpi. Dev’esserci per forza una spiegazione..».
«Una spiegazione per cosa?».
Tutte le teste della stanza si voltarono in direzione del maggiordomo.
«Sebastian-saaaaaaaaan!».
I miei servitori, eccetto Tanaka, si radunarono tutti intorno a lui, agitandosi per ottenere la sua attenzione. Le loro voci si accavallarono, ma mi parve di comprendere che gli stessero raccontando ciò che era successo.
«..Ma pel il lesto della stolia deve pallare col signolino, signol Sebastian. Non ha fatto in tempo a laccontalci tutto, poco fa».
Il maggiordomo alzò lo sguardo, uno sguardo freddo e falsamente gentile, e lo posò su di me. «Bocchan, mi racconti cosa è successo».
Serrai la mascella per non urlare, un eccesso di collera lo avrebbe solo divertito. In quel momento, tutto ciò che provavo era rabbia, odio, risentimento.
Ero stato tradito dall’unica persona che aveva giurato di non farlo.
Mi alzai di scatto, senza rivolgere la parola a nessuno, e mi diressi nella mia stanza.
La finestra era ancora aperta, segno che nessuno di loro era venuto a cercarmi. Proprio nessuno.
La richiusi, quasi sbattendola, quando avvertii una presenza alle mie spalle.
«Bocchan..».
Mi voltai nello stesso istante in cui udii la sua voce, pronto a schiaffeggiarlo. Ma lui carpì il movimento del mio braccio e mi bloccò la mano a mezz’aria in una stretta salda.
Sgranai gli occhi, quasi digrignando i denti. «Che combini, Sebastian?», gli urlai contro. «Ero in pericolo! E tu saresti dovuto essere lì per salvarmi! Provo ancora dolore, lo sai? Fa ancora male una pallottola nel cervello! Dov’eri quando avevo bisogno di te?».
Serrai di scatto la bocca, rendendomi conto dell’ultima frase pronunciata. Il sorriso sarcastico del demone di fronte a me mi aiutò a capire che nemmeno a lui era passata inosservata. «Lei è un demone adesso, bocchan. Non ha bisogno di nessuno, nemmeno di me».
Ero sempre più irritato, nervoso e umiliato. «Non è questo il punto. Noi abbiamo un contratto e tu sei tenuto a-».
«Lo abbiamo?». I suoi occhi incrociarono i miei, ardenti come l’inferno stesso. «Abbiamo un contratto? Perché non mi sembra che io possa più ricevere qualcosa in cambio da tutto questo».
Mi si strinse lo stomaco.
«Io ti ho dato un ordine e tu devi eseguirl-».
Sebastian si abbassò raggiungendo la mia altezza, e mi posò un dito sulle labbra come a zittirmi. «So quali sono i miei ordini, ma so anche che non sono più tenuto ad eseguirli. Il buoncostume di un demone può spingersi fino ad un certo punto, no? In fondo, siamo esseri egoisti e nient’altro».
Il cuore mi martellava nel petto, mentre lacrime di rabbia e frustrazione minacciavano di distruggere la mia facciata di autocontrollo. Deglutii a vuoto, distogliendo lo sguardo dal suo. «Ho sonno».
Sebastian tornò dritto, facendomi un mezzo inchino e aspettando che io raggiungessi il letto prima di parlare. «A causa della sua nottataccia, la lascerò dormire di più in mattinata. Buon riposo, bocchan».
Mi girai dall’altra parte, stringendo un lembo di lenzuolo nel pugno della mano, mentre alle mie spalle il sole sorgeva.

TO BE CONTINUED:
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e recensite se volete che la storia continui :) Arigatō!

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Capitolo 3
*** Quel padroncino, strategie. ***


Me la sarei cavata da solo, quella mattina. Mi ero svegliato tardi – come aveva preannunciato, Sebastian non era venuto a chiamarmi – ed ero rimasto a letto fino a mattino inoltrato. Mi sentivo stanco, debole, vuoto. Com’era possibile che un demone provasse tutto questo? Avevo sperato di diventare una macchina senza sentimenti, dopo la mia.. mutazione.  E invece era come se ogni mia emozione, ogni sensazione provata in precedenza si fosse amplificata. Solo quelle negative, ovviamente. Le emozioni come amore, affetto, felicità.. sembravano distanti anni luce da me, come se fossero solo un vago ricordo della mia infanzia rubata e violata. C’erano ancora, probabilmente, ma seppellite per bene nelle profondità del mio subconscio, un posto in cui in quel momento non avevo accesso. E a cui, probabilmente, non avrei avuto accesso per il resto dei miei giorni. Era la mia umanità, e durante ogni secondo passato da demone me ne allontanavo sempre di più, fino a quando non sarebbe scomparsa del tutto e di me sarebbe rimasto solo un involucro vuoto, il frutto di ciò che mi era stato fatto. Il segno che non esiste bene, su questa Terra: solo un posto traboccante di marciume e miseria, che spinge anche il più innocente e puro degli uomini nell’abisso della distruzione e della disperazione.
Questo è ciò che i miei trascorsi mi avevano insegnato.
Sospirai, scoprendomi. Dalla posizione del sole, alto nel cielo, dedussi che doveva essere all’incirca mezzo giorno.
Non avevo voglia di vedere Sebastian, non dopo le parole della sera precedente. Il nostro contratto era ormai nullo, in un certo senso. Non era questo ciò che aveva detto? Che era tenuto ad eseguire i miei ordini fino ad un certo punto. Digrignai i denti, avvertendo l’irrefrenabile impulso di rompere qualcosa.. o qualcuno. Ma non potevo permettere che quell’essere influenzasse così tanto il mio umore. Era un semplice schiavo, proprio come gli altri. E doveva rimanere tale.
«Signolino, il pasto è quasi plonto. Baldloy ha provveduto a cucinalle un planzetto coi f-».
Mi voltai di scatto. «Baldroy?».
Mey-Rin, ancora sull’uscio, si fece forza ed entrò. Sembrava imbarazzata, o magari soltanto nervosa. Si tormentò le dita per svariati secondi prima di proferir parola. «B-beh», balbettò. «Il signol Sebastian aveva da fale e ha chiesto a Baldloy se..».
«Va bene, Mey-Rin. Va’ pure, scenderò tra poco».
La cameriera dai capelli rossi stava ancora indugiando. Si avvicinò, lentamente, e con mano tremante mi aiutò ad abbottonare la camicia. Una volta Sebastian aveva detto che non sapevo nemmeno vestirmi da solo. Aveva ragione.
Improvvisamente, mi resi conto che quella non era la Mey-Rin che conoscevo. Era.. diversa, ancora più introversa del normale. «C’è qualche problema?», domandai in tono burbero, mentre lei si allontanava da me a capo chino. «No, signolino. V-va tutto bene».
Un’altra bugia.
Perché la gente aveva iniziato a mentirmi così spesso? Sbuffai, assumendo un’espressione arcigna. «Stai mentendo».
«N-no», si affrettò a dire lei, agitando le braccia. «È solo che tutti noi ci chiedevamo cosa fosse successo di così glave da costlingere il signol Sebastian ad andale via senza il padloncino.. Siamo tutti molto pleoccupati».
Sgranai gli occhi. Andare via? «Ha detto per quanto tempo sarà assente?».
Mey-Rin scosse piano il capo. «Dalle indicazioni che ci ha lasciato pelò, sembla che lestelà fuoli pel almeno una settimana».
I miei pugni si serrarono in modo quasi automatico. E un dubbio iniziò ad insinuarsi dentro di me, strisciando come un serpente velenoso, mentre mi domandavo se Sebastian non avesse deciso di stringere un altro contratto, abbandonandomi a me stesso e lasciando che tutto cadesse in rovina. Sapevo che sarebbe accaduto, prima o poi. Ma non pensavo che sarebbe andato via in modo così subdolo, senza nemmeno dirmi addio. Oh, ma lui era un demone, non badava a queste frivolezze. Avrei dovuto prendere esempio e smetterla di tenerci.
Tenerci?
Quella semplice parola fu come una bomba, dentro di me. Ogni cosa fu rasa al suolo mentre una nuova consapevolezza nasceva: io tenevo a Sebastian.
Ogni cellula del mio corpo si sforzò di rifiutare quel pensiero rivoltante. Sebastian era solo uno dei tanti che aveva infranto delle promesse fatte, e avrei dovuto odiarlo solo per questo.
Ma erano i ricordi della mia vita da umano che mi bloccavano, perché fino a quel momento, lui c’era sempre stato.
“Solo per un suo personale tornaconto, sciocco”, recitava una vocina dentro di me. E come darle torto? Tutto ciò che Sebastian aveva fatto era stato solo per prendermi l’anima alla conclusione del contratto.
Lentamente tornai in me. Mey-Rin era ancora lì, impietrita, in attesa di una risposta.
«Ce la caveremo benissimo senza di lui».
Ed era vero, ce l’avremmo fatta. Ce l’avrei fatta. Ma prima dovevo trovarlo, e impartirgli il mio ultimo ordine: sciogliere il contratto in modo definitivo, in modo che più niente ci legasse.
Ed entrambi saremmo stati liberi.
«Ringrazia Baldroy per essersi occupato del pranzo, ma non ho tempo. Ho da fare una cosa importante, che non posso assolutamente rimandare. Devo vedere qualcuno».
E l’unica persona in grado di procurare qualsiasi tipo di informazione si trovava in città.
 
«Undertaker?».
«Sta’ zitto, Grell. Non sei qui per fare domande, sei qui per pagare il becchino».
Quella era decisamente una di quelle cose che non potevo fare da solo. Far ridere qualcuno non era esattamente una delle cose che mi riusciva meglio.
«E perché devo farlo io?».
Per la prima volta dopo settimane intere, sorrisi. «Perché basta guardarti in faccia per mettersi a ridere».
Infischiandomene di averlo offeso, mi limitai ad ignorarlo per tutto il tragitto. Non sembrava entusiasta della gita in città, ma ero stranamente sorpreso che fosse accorso al primo richiamo, come un docile cagnolino al guinzaglio. Ma sapevo che, se avessi iniziato con qualche domanda, mi si sarebbe sicuramente rivoltato contro.
«Siamo arrivati», borbottai dopo un po’. «Entra».
La catapecchia piena di bare di Undertaker era la stessa di ogni volta, ma mi resi conto che quell’aspetto macabro non mi disturbava più come un tempo.
«Conte Phantomhive, quale onore! Siete venuto a scegliere la vostra tomba?». La sua voce era gracchiante come sempre, seguita dai tre immancabili colpi di tosse.
Non gli risposi nemmeno. «Dammi ciò di cui ho bisogno e il rosso pagherà la ricompensa».
Il becchino lo studiò per qualche minuto. «Questo Shinigami non sembra possedere il senso dello humour. Che ci provi pure, sono qui ad ascoltarlo».
Come previsto, fu un fiasco totale. Grell non riuscì a strappargli neanche una mezza risata.
Undertaker sbadigliò, scavallando le gambe e rivolgendomi un’occhiata furtiva. «Dato che il pagamento non è stato effettuato..».
Persi il controllo delle mie azioni: lo afferrai dal bavero, scoprendo di possedere una forza che fino a quel momento era rimasta nascosta, e lo bloccai contro una delle sue preziose tombe. «Ascolta, non ho tempo da perdere con i tuoi giochetti idioti. Dimmi quello che m’interessa sapere e facciamola finita».
La sua risata non si rivelò per nulla preoccupata. Anzi, riuscì solo a ricordarmi che ero un semplice bambino alla ricerca del suo maggiordomo. Patetico. Mi rivedevo in Sama alla ricerca di Mina, che tanto avevo criticato. Solo che le motivazioni erano leggermente diverse.
«Tante cose affliggono il conte, tanti i dubbi su cui vorrebbe far chiarezza. Orsù dimmi, quale di questi ti sta più a cuore?». Mollai la presa su di lui, dandogli le spalle. «Portami Sebastian».
«Ih-ih-ih, sapevo che avresti scelto la vendetta sul maggiordomo. Ma rintracciare un demone che si è liberato dal guinzaglio non è certo cosa semplice, Ciel. Questo necessiterà di qualcosa di più sostanzioso che una semplice battuta di spirito».
Serrai la mascella, disgustato dal suo voler ricavare qualcosa ad ogni costo. «Dimmi cosa vuoi e l’avrai».
«Oh, no», iniziò lui, muovendosi lentamente alle mie spalle come qualcuno che è sul punto di rivelare un grosso segreto. «Non si tratta più di una gratifica a mio favore: per ottenere la tua vendetta, c’è bisogno che il demone torni a te grazie al richiamo del sangue».
Affilai lo sguardo, prestando attenzione alle sue parole. «Vuoi dire che devo invocarlo usando il mio sangue?».
«No, conte Phantomhive. Voglio dire che bisogna sacrificare qualche innocente vita umana, per far sì che un demone affamato torni in città».


TO BE CONTINUED:
Le cose si fanno sempre più assurde, non è vero? Ma non preoccupatevi, tutto avrà senso molto presto.
Lasciate qualche recensione se volete che la storie vada avanti, mi renderebbero una "scrittrice" molto felice *-*

 

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Capitolo 4
*** Quel padroncino, risvolti inaspettati. ***


La carrozza sembrava procedere più lentamente del solito, mentre un turbine di pensieri piroettava nella mia testa. Mi portai una mano alla tempia, chiudendo gli occhi e serrando la mascella.
Per trovare Sebastian, avrei dovuto uccidere qualcuno. Dovevo invocarlo. Ciò significava che avrei dovuto fare ad altri ciò che era stato fatto a me. Avrei dovuto strappare la vita a qualche innocente, umiliarlo e calpestare il suo onore nel sacrificio più viscido che potesse esistere. E non potevo permettermi di immolare qualcuno ad un tale orrore per un mio capriccio, Sebastian non valeva così tanto. Non avrei sporcato le mie mani di sangue innocente.
«Tu sei un demone proprio strano», commentò borbottando Grell, mentre giocherellava con ciuffi di capelli. «Ti ho anche detto che avrei potuto aiutarti a scegliere la vittima, ma hai rifiutato senza ascoltare ragioni. E’ come se avessi ancora una morale, e questo è un paradosso: a causa della tua natura, avresti già dovuto rimuovere ogni sentimento umano».
Quello era forse il discorso più serio e composto che lo Shinigami avesse mai pronunciato. Ma io sapevo che non lo faceva per me, né per Sebastian. Parlai senza nemmeno guardarlo. «Non diventerò come Madam Red. Non sarò il tuo nuovo giocattolo».
«Non si tratta solo di questo, piccolo conte. La mia domanda è: cosa ti spinge ad aggrapparti alla tua umanità? Basterebbe che la spegnessi e tutto sarebbe più facile. Sei una creatura demoniaca ormai, compiere buone azioni non ti servirà a nulla. Il tuo destino è segnato, e faresti bene ad accettarlo in fretta».
«Taci, essere. Sei l’ultima persona di cui vorrei ascoltare un giudizio», sibilai, trafiggendolo con lo sguardo. «Quindi ti pregherei di star fuori dalla mia vita».
Il resto del viaggio passò, come da mia richiesta, silenziosamente. Ebbi quindi modo di riflettere sulle sue parole per più tempo del necessario. E dentro di me, una molla scattò.
 
«Il padroncino è tornato, ed ha portato un ospite! Presto, Mey-Rin, apparecchia anche per lui».
«Tranquillo Finnian, il signore non si fermerà a cena. Anzi, stava giusto per andare via». Lanciai un’occhiata a Grell, che sembrava ostinato a voler entrare in casa. Se avesse toccato qualcosa anche solo con un dito, gli avrei tagliato quelle luride mani da Shinigami senza pensarci due volte.
«Oh, Ciel, non essere scortese con gli ospiti!», sghignazzò il rosso, facendomi venir voglia di prenderlo a pugni in faccia.
Chiusi gli occhi, prendendo un respiro profondo. «Hai dieci secondi per uscire da quella porta. Nove..».
«E va bene, me ne vado. Ma ricorda che mi devi una cena. Magari quando crescerai potresti chiedermi un appuntamento. Oh, peccato che tu non cr-».
La mia occhiata bastò a bloccarlo, evitando che dicesse qualcosa che i servitori non avrebbero dovuto sentire. Grell roteò gli occhi e andò via senza aggiungere altro.
Sospirai, finalmente un po’ di pace.
Con Sebastian lontano, non c’era nessuno ad occuparsi della casa e della posta. Così, fui costretto a smistare personalmente tutte le lettere accumulatesi in tre giorni.
Nulla di rilevante: inviti a ricevimenti e feste private, eventi mondani organizzati dalla nuova-falsa regina.. niente in grado di catturare la mia attenzione. Eccetto un biglietto scritto con grafia tondeggiante, infantile.
Era di Elisabeth, e diceva che sarebbe venuta a trovarmi il giorno dopo.
Un rivolo di sudore freddo mi attraversò la schiena, mentre riflettevo sul fatto che gestire Lizzie da solo, senza l’aiuto di Sebastian, sarebbe stata una delle cose più difficili del mondo. Il suo entusiasmo era impossibile da sopportare, e la villa sarebbe diventata un’enorme casa delle bambole che nessuno avrebbe ripulito.
Mi sarei preparato al peggio, magari passando la serata in qualcosa di dilettevole nella speranza di riuscire a conservare almeno una parvenza di buonumore per l’indomani.
Ma nel momento stesso in cui stavo per alzarmi, un bigliettino che prima non avevo notato sbucò dal mucchio di lettere. E qualcosa mi disse che non avrei dovuto ignorarlo.
La carta era nera, pregiata, liscia al tatto. E recava una semplice frase, scritta in modo chiaro e conciso.
 
“Non ti salverai una seconda volta, mostro”
 
La mia mano tremò.
Se prima avevo dubitato che il rapimento dell’altra sera fosse stata una cosa seria, adesso il mio principio di dubbio era stato clamorosamente smentito. Chiunque ci fosse dietro, era intenzionato a fare sul serio.
Sbattei i palmi sul legno duro della scrivania, alzandomi di scatto. Stavo ansimando. Avevo paura.
Questa volta, sarei morto sul serio.
Durante i miei primi giorni da demone, Sebastian mi aveva detto che essere un diavolo novellino, soprattutto non per scelta, è quasi come essere umano: l’unica differenza sono i sensi lievemente più sviluppati e l’inizio dell’accantonamento delle emozioni. E più ci si addentra nell’oscurità, più si inizia ad essere umano solo nell’aspetto.
Come demone appena nato, quindi, esistevano svariati modi per farmi fuori.
«Sebastian».
Lui doveva obbedirmi. Doveva. «Sebastian, è un ordine, vieni subito qui».
Ma non sarebbe venuto, lo sapevo bene.
Nonostante questo, continuai a illudermi per l’intera notte.
 
«Ciel, oggi non sei per niente grazioso! Cosa sono questi capelli disordinati? E questa camicia abbottonata in modo così sbagliato? È tutto nero qui. C’è bisogno di un tocco di femminilità!».
Sospirai, rendendomi conto che la nottata in bianco non mi aveva fatto bene per niente. Tollerare i gridolini esuberanti di Lizzie sarebbe stato ancora più difficile, ma non avevo scelta.
Accettai di buon grado tutti i cambiamenti che le sembrò opportuno fare nel mio abbigliamento di quel giorno, concedendole perfino un ballo prima dell’ora di cena. Dopodiché, ordinai a Mey-Rin di restare con lei tutta la sera e di aiutarla a mettersi a letto.
Tornai nello studio, chiudendo la porta a chiave. Ero deciso ad esaminare quel biglietto fin quando non fossi riuscito a carpirne qualche informazione utile sull’identità di colui che mi dava la caccia. Avrei potuto chiedere nuovamente una mano a Grell, ma non volevo avere ulteriori debiti con quello Shinigami, né con Undertaker.
Mi svegliai di scatto, scoprendo di aver preso sonno sulla sedia, proprio come un poppante. Era mezzanotte, la villa era silenziosa e tutto sembrava tranquillo. Mi voltai, con l’intenzione di dare un’occhiata fuori dalla finestra, ma qualcosa – o meglio, qualcuno – catturò il mio sguardo. Una figura femminile, vestita di un abito color del cielo e capelli biondi come il miele, era appena uscita dalla stanza. E fu in quel momento che mi resi conto che la porta era aperta.
«Ma cosa..».
A passo fermo iniziai a seguire la figura. Ero certo di aver dato un paio di mandate dall’interno, e non mi spiegavo come fosse possibile che la porta si fosse aperta da sola.
La donna, ferma al centro del corridoio, ricominciò a correre prima che io potessi raggiungerla.
«Ehi, tu!».
Nulla, non si voltò nemmeno.
«Fermati subito, te lo ordino!».
Si stava addentrando nel cuore della villa come se la conoscesse, come se sapesse bene quale strada prendere per arrivare in un determinato punto. Fin quando non raggiungemmo i sotterranei.
«Donna, chi diavolo se-».
Poi, tutto ad un tratto, si voltò.
Caddi sulle ginocchia, la bocca aperta per lo stupore e una mano che tentava di sfiorare la figura che avevo di fronte. «Mamma».
Non era reale, non poteva esserlo. Mia madre era morta, l’avevo persa. E una volta che qualcosa è andato perduto, è impossibile riaverlo indietro. «Mamma..».
Come potevo resistere ad una così dolce tentazione? Come potevo mandarla via senza che prima le avessi detto qualcosa? Non ero così forte, non lo ero mai stato. Ero solo un bambino, un bambino..
«Mamma, io..».
Qualcosa cambiò, l’atmosfera si fece improvvisamente pesante. E il volto grondante di sangue di mio padre si sovrappose a quello di mia madre, sfregiato e lambito dalle fiamme, come.. come se fossero cuciti insieme. Come se fossi tornato indietro nel tempo.
Mi venne da vomitare.
“Non è reale”, continuavo a ripetermi. “Non è reale”. E allora perché sembrava così terribilmente vero?
L’ibrido mi venne in contro, stringendo un biglietto nero che lasciò cadere ai miei piedi.
E fu allora che iniziai ad indietreggiare, inorridito e spaventato. E poi, le voci accavallate dei miei genitori, recitarono la frase scritta su quello stesso biglietto.
Non ti salverai una seconda volta, mostro.
Iniziai a correre senza guardarmi indietro. Non ce l’avrei fatta; la puzza di corpi in putrefazione mi solleticava le narici e mi stimolava ricordi che avevo cercato con tutto me stesso di rimuovere. Inoltre, una voce melensa iniziò a parlare nella mia testa.
“Basta un sacrificio, Ciel. Un sacrificio e il tuo cane da guardia sarò di nuovo al tuo fianco. Una sola vita, una vita innocente, e stanotte non morirai. Accetta l’oscurità che è in te”.
La testa iniziò a girare. Immagini del sacrificio che io stesso avevo subito mi invasero la mente, impedendomi di pensare lucidamente.
“Di cosa hai paura? Perché risparmiare a qualcun altro un dolore che a te è stato inflitto con così tanta crudeltà? Fallo Ciel, sporca le tue mani di sangue e sarai salvo”.
Andai a sbattere contro il muro, quasi non riuscivo a reggermi in piedi. Stavo per cedere, l’ibrido mi avrebbe raggiunto.
Lui, chiunque esso fosse, avrebbe vinto. Sarei morto.
E non potevo dargli quella soddisfazione.
“Invoca il tuo demone, conte Phantomhive. Invocalo”.
«Sì», biascicai, in preda ai conati. «Sì».
Mi rialzai a tentoni, spalancando la prima porta che mi capitò davanti. Uno qualsiasi di loro sarebbe andato bene, non m’importava chi fosse. Dovevo uccidere per riavere Sebastian con me.
Mi avvicinai al letto, dove qualcuno dormiva beatamente. Vedevo il suo petto muoversi su e giù, sentivo il suo cuore battere in modo lento e regolare. Quello stesso cuore che, di lì a pochi attimi, avrei stretto tra le mani invocando il mio demone.
Quando afferrai la sua spalla, mi resi conto che quel corpicino dormiente apparteneva a Lizzie.
 
“Lei andrà benissimo”, continuò la voce. “E’ così pura, così innocente..”.
«Pura», mormorai di rimando, senza neanche comprendere bene il significato di quella parola. «Innocente».
Smisi di ragionare, di pensare con la mia testa. Quella.. cosa, quella voce aveva preso il controllo di me, del mio corpo, delle mie azioni e delle mie parole. Io ero solo uno spettatore inerme di ciò che stava per succedere.
“Uccidila, fallo ora. Strappale il cuore dal petto senza pietà. È così che un demone si comporta”.
«Senza pietà».
La scoprii, poggiando la mano in direzione del suo cuore.
Elisabeth si mosse, probabilmente a causa del suono della mia voce, ma non aprì gli occhi. «Ciel», sussurrò. Ma non si era svegliata, stava sognando. Stava sognando me.
E quel momento di esitazione fu in grado di cambiare tutto.
Qualcuno mi scaraventò all’indietro con una tale forza che avvertii un dolore acuto all’altezza del petto quando provai a prendere un respiro. Quando riaprii gli occhi, la lucidità mentale era tornata.
«Bocchan!».
E così anche Sebastian.
 
Sbattei le palpebre più volte prima di riuscire a mettere a fuoco la figura che mi stava davanti. «Sebastian, sei tornato. Io.. io non-».
Non ero ancora in me. La voce era sparita, ma faticavo a rendermi conto di ciò che mi circondava. L’unica cosa certa era che Sebastian si trovava lì, di fronte a me. «Hai disobbedito».
I miei occhi si chiusero.
Lui mi prese tra le braccia, ed io non opposi resistenza mentre mi trascinava di peso nella mia stanza e mi metteva a letto. Si sedette accanto a me, in silenzio, aspettando che mi riprendessi.
«Elisabeth.. io..».
«La signorina sta bene. Si metta a dormire».
Ma non lo avrei ascoltato, non questa volta. Era appena successo qualcosa che non avrei potuto ignorare. La mia mente era stata manipolata, e avevo quasi fatto del male a Lizzie.. «Sebastian..», mormorai, alla ricerca di spiegazioni. Ero troppo debole per il resto della frase, ma lui avrebbe capito comunque.
«Non so cosa sia successo, bocchan. Non so con chi lei abbia parlato e non so chi le stia dando la caccia».
Raccolsi tutte le mie forze per aggrottare la fronte e pronunciare tre semplici parole. «Mi hai abbandonato».
Sebastian sorrise. «Forse. O forse no. È così infantile e impulsivo che perde di vista il significato di alcune cose».
«Ti avevo ordinato di tornare».
«Infatti sono qui. Bastava che lei me lo ordinasse e sarei tornato».
Quindi, la storia del sacrificio..
«Perché sei andato via?».
«Questo non posso dirvelo, bocchan». Serrò la mascella, ma quasi non me ne accorsi. Conservò la sua aria serena mentre mi aiutava ed entrare sotto le lenzuola.
«Te lo ordino», mormorai, ma sapevo che a breve avrei perso conoscenza.
Sebastian non si scomodò neanche a rispondermi. «Si riposi, adesso. Domani mi racconterà cosa è successo. Buonanotte».
Ero ancora irritato per la sua indisponenza nei miei confronti, ma anche totalmente vulnerabile. Ogni mia difesa, costruita con cura mattone per mattone ogni giorno dalla morte dei miei genitori, era crollata miseramente. Ed ero tornato ad essere il bambino di quella notte, almeno per qualche ora.
Afferrai la coda del frac del mio maggiordomo con le poche forze che mi restavano. «Sebastian?».
«Sì, bocchan?».
«Grazie per avermi impedito di far del male a Lizzie».
S’irrigidì, e per qualche secondo restò in silenzio. Poi spense la fiamma della candela e, uscendo, mormorò. «Come maggiordomo del casato Phantomhive, se non sapessi neanche impedire al mio padroncino di commettere errori.. che maggiordomo sarei?».



TO BE CONTINUED:
Ho amato particolarmente scrivere questo capitolo, lo ammetto. Scusate se c'è troppo miele verso la fine, ma proprio non ho resistito. *fangirleggia*
Iniziamo a rivedere il vecchio Sebastian, ma c'è qualcosa che nasconde. Cosa sarà? E perché sembra che Grell e Undertaker abbiamo qualcosa a che fare con tutta questa storia?
Recensite se volete che la storia vada avanti, al prossimo capitolo! :D

 

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Capitolo 5
*** Quel padroncino, tradimento. ***


In una settimana, ogni cosa sembrava essere tornata alla normalità. Tutti aveva ricominciato a comportarsi nella solita maniera, Sebastian incluso. Ogni mattina mi aiutava ad essere presentabile e i pasti erano sempre ottimi e puntuali, la casa luccicava e il giardino era in ordine.
Sotto mio ordine, il maggiordomo aveva chiuso l’accesso ai sotterranei. Non ci sarei tornato per nessuna ragione al mondo, e non avrei permesso che qualcun altro vi si recasse.
Nonostante le cose durante il giorno andassero bene, le mie nottate non erano delle migliori. Mi svegliavo urlando, grondante di sudore, immaginando di trovare l’ibrido dei miei genitori davanti ai miei occhi. Sentivo ancora addosso il suo odore nauseabondo e il tocco viscido delle sue dita morte.
Dopo la seconda notte, però, Sebastian aveva deciso di restare a vegliare su di me, nonostante io sentenziassi che non era necessario. Lui diceva che sarebbe andato via non appena mi fossi addormentato, ma ogni volta che mi svegliavo urlando lo trovavo lì, nella stessa posizione, pronto ad offrirmi un bicchiere d’acqua.
Da quando non ero più il cane da guardia della regina, le giornate erano noiose. Mi trascinavo da una lezione all’altra, prendendomi qualche ora per controllare l’andamento dell’azienda, e poi passavo il resto del pomeriggio indugiando nello studio, mangiando i dolci che Sebastian mi preparava e guardando fuori dalla finestra. Avrei dovuto trovarmi un hobby al più presto, anche se il divertimento non rientrava esattamente tra le mie priorità, in quel momento.
Dovevo ancora scoprire chi ci fosse dietro il mio rapimento e dietro.. l’altra vicenda. Dovevo sapere chi fosse così potente da evocare mostri del genere e come facesse a conoscere i miei segreti e quelli della mia famiglia.
Avevo chiesto a Sebastian di indagare, il quale mi aveva risposto con un cenno di assenso, ma sembrava che non avesse ancora scoperto nulla di rilevante.
«Potresti iniziare con lo scoprire chi fossero i due tizi che mi hanno rapito», gli suggerii. «Magari loro potrebbero portarci a lui.. o lei».
Sebastian fece per pensarci qualche momento. «Non so, bocchan. Non credo che, chiunque ci sia in cima a tutto questo, sia collegato a qualcuno a cui ha affidato un lavoro. Ma potrei provare, se riuscisse a descrivermene i volti».
Scossi la testa, mordendomi l’interno della guancia con fare nervoso. «Non posso. Non sono riuscito a guardarli in volto, ero bendato. Ma potresti parlare con Grell, lui lo saprà di certo». Incrociai il suo sguardo che, per la prima volta da quando lo conoscevo, sembrò sorpreso da qualcosa. Arcuò le sopracciglia, serrando le labbra in una linea sottile. «Grell lo Shinigami?».
Annuii. «È stato lui a salvarmi e a riportarmi a casa, dato che tu non c’eri», borbottai, lanciandogli un’occhiataccia e incrociando le braccia al petto.
Sebastian fece un mezzo inchino. «Chiedo ancora perdono per quello. Dovevo risolvere.. delle questioni».
«Quali questioni?».
«Non sono tenuto a rispondere».
Silenzio.
Forse tutto poteva aver ripreso una parvenza di normalità, ma sapevo che niente sarebbe stato più come prima. Le parole di Sebastian sull’egoismo dei demoni erano state incisive: non avrebbe cambiato idea sul come obbedire ai miei ordini.
Avrei dovuto abituarmi e sperare che lui continuasse a proteggermi, almeno fino a quando non fossi diventato più capace di badare a me stesso. Arrivati a quel punto, la separazione sarebbe stata ovvia. E sarei stato io a dare il taglio netto alla cosa.
«Dovremmo iniziare con l’interrogare Grell, allora», propose lui.
Era una buona idea. Con il giusto tipo di pressione nei suoi punti deboli, lo Shinigami si sarebbe fatto comprare senza neanche tanti sforzi. «Fallo subito, allora».
«Yes, my lord».
M’irrigidii. Per la prima volta, quella frase mi provocò un eccesso d’ira. Serrai i pugni, dandogli le spalle. «Non dirlo».
«Cosa, bocchan?». Sembrava sorpreso.
«Quella frase, non dirla».
Tornai a guardarlo in faccia. Lui, nonostante tutto, era ancora legato alla mia anima, avvertiva i cambiamenti del mio umore e dei miei sentimenti. Quella rabbia, probabilmente, gli faceva rimpiangere il fatto di non avermi assaggiato quando avrebbe potuto, lo eccitava. I suoi occhi color del sangue erano ipnotiche fiamme vive.
«L’hai detto tu, no? L’hai detto tu che non sei più tenuto ad obbedirmi e che lo fai per puro senso del dovere. E questa frase adesso sembra così.. falsa. Lo è sempre stata, in un certo senso. Non ti è mai importato di eseguire i miei ordini, volevi solo ottenere ciò che volevi. Ma adesso la cosa mi irrita».
Realizzai in quel momento che il motivo di quella rabbia non era stata la frase che il demone aveva pronunciato. O meglio, quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ce l’avevo con lui già da prima, perché in tutto quel tempo non si era mai affezionato a me, mentre io..
«Bocchan..-».
«Va’ al diavolo».
Uscii dalla stanza senza dire altro, mentre mi domandavo quanto fosse sbagliato che io sentissi unattaccamento nei confronti quell’essere. La cosa doveva cambiare al più presto.
Qualche ora dopo, annoiato, mi ritrovai a passare dalla cucina. La porta era socchiusa, cosa assolutamente sospetta, e mi avvicinai silenziosamente nell’intento di beccare i servitori a fare qualche magagna, spaventandoli e concedendomi una risatina.
Ma le voci che udii non erano quelle di Mey-Rin, Finnian e Baldroy.
Erano quelle di Sebastian e Grell.
«Sebas-chan, mi piace quando usi le maniere forti», sussurrava Grell in quel suo tentativo di essere seducente. Sebastian emise un verso animalesco che mi fece raggelare il sangue nelle vene. Era simile ad un ringhio proveniente direttamente dal fondo della gola.
Ci fu un rumore forte di qualcosa che cadeva, e capii che il maggiordomo stava facendo sul serio. «Dimmi tutto ciò che sai», ordinò, in un tono che non ammetteva repliche.
«Non-riesco-a-respirare», biascicò Grell.
«Non ti serve respirare. Adesso parla, stupido Shinigami».
«Ho salvato Ciel e questo è il ringraziamento che mi spetta?».
Sebastian strinse la presa, e potei giurare di udire il rumore delle ossa di Grell che scricchiolavano. «Come facevi a sapere dove fosse? E non dirmi che ti trovavi lì per caso. Anche per un demone sarebbe difficile rintracciare qualcuno, se non fosse per il marchio».
«Stavo indagando!».
«Su cosa?».
«Siamo dalla stessa parte, Sebas-chan. Voglio aiutarti».
Sebastian probabilmente mollò la presa, perché Grell iniziò a tossire ed emettere strani lamenti. Ci fu silenzio per un secondo, ma il tono che assunse il demone poco dopo fu ancora più inquietante di quello di prima. «Io non ti ho detto su cosa sto indagando, Grell. Come fai a saperlo?».
Lo Shinigami emise un risolino. «Okay, ammetto di averti spiato. È che la cosa è troppo interessante, perfino per noi Shinigami. Non capita tutti i giorni che un demone si sforzi tanto per trovare il modo di annullare un contratto».
Sgranai gli occhi, in preda ad un dolore cieco.
Tradimento.
Senza preoccuparmi di essere scoperto, spalancai la porta della cucina e, rivolto a Sebastian, urlai.
«Cosa?».


TO BE CONTINUED:
Capitolo un po' breve, spero vogliate scusarmi. Il prossimo, prometto, sarà molto più ricco. Mi prenderò il weekend di pausa, quindi spero che lunedì vi ricordiate ancora di me e della mia storia :3
Recensite se vi va', mi rendereste una scrittrice felice. <3

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Capitolo 6
*** Quel padroncino, solitudine. ***


Lo sguardo di Sebastian saettò su di me. «Bocchan, non dovrebbe essere qui. Sa che origliare è scortese?».
Non m’importava delle sue prediche, né di qualsiasi altro cambio di argomento. Digrignai i denti, avvicinandomi a lui in tutta fretta. «Tu! Avevi giurato, abbiamo un contratto! Non puoi romperlo, non è questa l’etica di un d-».
«Non esistono contratti tra demoni, bocchan. O meglio, esistono ma sono stipulati in modo diverso e per diversi fini. Io non posso avere un contratto con lei, perché non ne trarrei nulla in cambio. E nessuno fa nulla per nulla».
Durante tutto il discorso era rimasto serio, diplomatico. Né un accenno di rabbia, o rimorso o soddisfazione. Era come se indossasse una maschera che lo privava di tutte le emozioni, sempre che ne avesse. Serrai i pugni. «Allora perché sei ancora qui?».
«Perché, mio malgrado, il contratto è ancora in corso, anche se la sua validità potrebbe essere messa in discussione».
Deglutii a vuoto. «Solo per questo?».
«Solo per questo».
Chinai il capo, serrando ancor di più i pugni.
Sebastian, il demone che mi aveva servito fedelmente per tutto quel tempo, era un vile traditore che, nell’ombra, cospirava un abbandono.
Da umano soprattutto, lui era stato il mio punto di riferimento: avevo avuto cieca fiducia in lui e in quello che mi diceva, e mi ero abituato all’idea che non sarei più rimasto solo, che Sebastian ci sarebbe stato fino alla fine.
Ma adesso ero costretto a rivedere tutto.
In quel momento capii che l’unica cosa che potevo fare era ripudiare io stesso il contratto. «Sei libero».
Sebastian rimase immobile. Grell, dal canto suo, sgranò appena gli occhi.
«Sebastian, ti ordino di rompere il contratto. Non abbiamo più niente che ci leghi. Sei libero».
Il demone serrò le labbra. «Non funziona cos-», iniziò a dire, ma si bloccò all’improvviso, fissandomi l’occhio ormai libero dalla benda.
Il marchio era sparito.
Sembrò quasi che la mascella di Grell stesse per cadere. I suoi occhi erano sgranati, tratteneva il respiro ed era silenzioso come non mai.
Le parole di Sebastian arrivarono basse, quasi inudibili. Era così statico da sembrare finto. «Non è possibile».
«Bastava che lo dicessi prima. Questa storia è andata avanti troppo a lungo. Va’ via adesso».
«Bocch-».
«Non chiamarmi così! Non sono più il tuo padrone, non sono nessuno per te!», urlai, serrando gli occhi per impedirgli di fissarli. Vi avrebbe trovato l’accenno di lacrime, lacrime di rabbia. Non gli avrei mai e poi mai dato quella soddisfazione.
«Ciel».
Schiusi le labbra.
Era la prima volta che mi chiamava usando il mio nome di battesimo. Aveva un retrogusto strano, pronunciato da lui. Un amaro che di solito non vedevo. Alzai lo sguardo.
Sebastian sembrava.. diverso. Preso alla sprovvista, sicuramente, ma c’era qualcos’altro nel suo sguardo. Qualcosa che non riuscivo a cogliere, che mi era del tutto sconosciuto.
Sembrò quasi che volesse allungare la mano verso di me, ma ci ripensò il secondo dopo. «Non credevo fosse possibile rompere un contratto in questo modo», ammise.
Schioccai la lingua. «Siamo demoni, no? Un contratto tra demoni si rompe non rispettandolo. E io non ho rispettato la mia parte, quindi ora sei libero di andare a stipulare contratti con bambini innocenti nel resto del mondo».
Mi pentii di aver pronunciato quella frase mentre ancora le mie labbra si muovevano. Sembrava.. sembrava che fossi geloso. Ma non lo ero, non era da me. Non provavo sentimenti come quello.
«Non m’interessano anime qualunque, dovresti saperlo. Non sono un novellino affamato», rispose duramente, guardandomi dall’alto.
«Allora va’ a crescerti la prossima anima, magari però stai attento a non fartela soffiare da sotto al naso», replicai in modo sarcastico, ma non senza una punta di rabbia.
Era colpa sua, di tutto quanto.
Se lui fosse stato più attento..
«Ciel».
Serrai gli occhi. «Che altro vuoi?».
Sebastian esitò, ma dopo un sospiro ricominciò a parlare. «Sta’ attento alla gente di cui ti fidi. I problemi che ti assillano sono ben più gravi di quanto pensi, e la soluzione potrebbe essere sotto il naso».
Mi voltai di scatto verso di lui. «Hai scoperto qualcosa?».
Scosse la testa. «E non è più mio dovere farlo. Ma ci riuscirai benissimo anche senza il mio aiuto. Tieni d’occhio quei tre, fatti aiutare da Tanaka se necessario. Se sei in pericolo, chiama Grell».
Grell sembrò svegliarsi da un sogno. Ma c’era qualcosa in lui.. Nessuna battutina, nessun commento. Come se fosse mentalmente da un’altra parte. Si limitò ad annuire, senza neanche incrociare il mio sguardo.
Serrai la mascella. «Smettila di far finta che t’importi di me. Non sei più tenuto a farlo».
Lui sorrise appena. «Già, ma le abitudini sono dure a morire».
Rimanemmo lì, in silenzio, in attesa che qualcuno parlasse. Volevo che andasse via, volevo che uscisse da quella porta e che non facesse più ritorno. Volevo dimenticare di averlo mai conosciuto, di essermi fidato di lui. Era niente, ormai.
Ma l’altra parte di me, quella più infantile e debole, voleva solo abbracciarlo e chiedergli di restare. Ovviamente, non l’avrebbe avuta vinta.
«Ho da fare, adesso. Prepara le tue cose e sparisci».
Non aspettai una risposta o un cenno di assenso.
Ero concentrato nel fissare un punto indefinito sulle mie scarpe, ricordando a me stesso che, da quel giorno, avrei dovuto cavarmela da solo sotto ogni punto di vista, perché Sebastian era ufficialmente uscito dalla mia vita.
Avrei imparato ad essere un demone, a pensare come un demone. Avrei fatto dei contratti, magari. Avrei potuto mietere anime anche io. E col passare del tempo, Sebastian non sarebbe stato che un nome vagante nei meandri della mia memoria.
C’erano un sacco di problemi da risolvere, lo sapevo bene e non avevo neanche la sicurezza che me la sarei cavata.
Ma di una cosa ero certo: la mia vita da demone iniziava quel giorno.



TO BE CONTINUED:
Lo so, sono imperdonabile: non aggiorno da venerdì e poi vi rifilo questo mini-capitolo ç_ç il problema è che è una settimana di compiti in classe, ho il cervello in fiamme e non ho nemmeno il tempo di respirare.
Comunque sia, il "prologo" della storia è terminato. Dal prossimo capitolo, inizia ciò che Sebastian chiamerebbe INFERNO. Quindi.. restate collegati!

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Capitolo 7
*** Quel maggiordomo, torture. ***


“Traditore”.
Avevo letto quella parola nello sguardo limpido di Ciel Phantomhive, quello sguardo che per me non aveva mai avuto segreti. Quello sguardo che, in quel momento, esprimeva tutto il disprezzo che provava per me. Ma oltre al disprezzo c’era il dolore, il dolore dell’abbandono. Un dolore che io avevo giurato non gli avrei mai inflitto.
“Mi dispiace, bocchan, ma non potevo fare altrimenti”.
Spalancai la grande porta ad arco spingendola con entrambe le mani. Occhiatacce da parte di demoni inferiori mi arrivavano da ogni lato e non potevo far niente per rimetterli al loro posto.
Ormai all’inferno avevo perso il mio rispettoso grado: ero un reietto, una nullità, nessuno si prendeva la briga di rivolgersi a me come doveva. Ma, a dirla tutta, m’importava ben poco di loro: ero sempre uno dei più potenti, e se qualcuno si fosse messo sulla mia strada o avesse osato mancarmi di rispetto in maniera diretta, gli avrei strappato il cuore dal petto senza pensarci due volte.
“Traditore”.
Chi avevo tradito? Il mio padrone o me stesso? La sua razza o la mia? Era quasi difficile trovare risposta a domande come quella.
Avevo perso me stesso, non sapevo più chi ero.
E la cosa non mi disturbava affatto.
«Sebastian, sei arrivato».
Serrai la mascella, arricciando il naso. Sebastian era il nome che il bocchan mi aveva affibbiato, e  non gradivo che venisse usato anche in quel mondo da un essere tanto rivoltante.
Quel nome era stato l’inizio della redenzione.
«Voleva vedermi?».
Il demone davanti a me, nella sua forma naturale, si chiamava Alaister. Era uno dei pezzi grossi, quelli a capo della gerarchia. In altri tempi, io sarei stato quasi al suo livello. Le sue iridi cangianti si fissarono su di me, sulla mia forma. «Conservi ancora la forma umana, nonostante il contratto sia ormai rotto?».
Affilai lo sguardo.
«Ho ancora delle faccende da sbrigare che richiedono me in questa forma. Ma ora bando alle ciance, e passiamo al motivo per cui sono qui».
La sua risata echeggiò tra le pareti, mentre tutto intorno a noi si zittiva. «Vai di fretta, demone? Vuoi tornare a corteggiare qualche anima per poi fartela rubare da sotto al naso?». Schioccò la lingua. «Sai benissimo perché ti ho convocato».
Rimasi in silenzio, in attesa.
«Stai tramando qualcosa.. lo so, ti conosco. Qualcosa riguardante la tua anima pura. Dimmi cosa».
«Ciel Phantomhive non è più un’anima pura. È un demone minore, e non mi riguarda più».
Alaister si strofinò il mento con le unghie lunghe e affilate dipinte di nero. «Ah no? Allora perché mi è giunta voce che stai cercando.. una scappatoia?».
Divenni di pietra. «Una scappatoia?».
«Sì. Per far tornare il moccioso umano. Sarebbe bello, vero? Ottenere finalmente la ricompensa dopo il duro lavoro di servo che hai svolto».
Mi permisi di ridere, fermandomi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. «Sa meglio di me che è una cosa impossibile: nessun demone può diventare umano».
Si fermò un attimo, ma quando ricominciò a parlare sembrava sapesse benissimo cosa stesse dicendo. «Nemmeno uno che in precedenza lo era?».
Sgranai gli occhi.
«Sai, Sebastian, è da un po’ che ti osservo. Ti ho visto fare ricerche, informarti, parlare con altri demoni: nessuno ha saputo darti una risposta. Alois Trancy ha generato qualcosa che mai prima d’ora era esistito: un semidemone. Una nuova razza, qualcosa di davvero interessante. Caratteristiche umane, pregi demoniaci, il tutto alimentato da odio e sete di vendetta, sentimenti tipici dell’essere mortale. Non trovi che sia un mix perfetto e appetitoso? Ho già l’acquolina in bocca».
Serrai i pugni.
«Ma, date le caratteristiche da demone, il povero Ciel Phantomhive non possiede più la sua anima: eppure questa esiste ancora, in un posto che noi chiamiamo comunemente limbo. E, ovviamente, non è accessibile a nessuno. Se non..».
No, non poteva saperlo. Non poteva davvero aver scoperto tutto in così poco tempo.
«..ad un particolare tipo di Shinigami».
Fissò lo sguardo nel mio, ghignando. Aveva capito che ribollivo di rabbia, odio e rancore: tipiche emozioni umane che non avrei dovuto provare. Ma la vicinanza prolungata con le anime aveva questo effetto, sui demoni..
Alaister si alzò, avvicinandosi a me. «E così è questo il tuo obiettivo, Sebastian? Recuperare l’anima del tuo padrone e farlo tornare umano? Beh», mormorò, con un tono che cresceva d’intensità poco a poco. «Non posso permettertelo, lo capisci? Questo bambino.. questo bambino deve essere mio. E deve essere mio così com’è. Non ti permetterò di commettere un errore del genere».
Feci un passo avanti, pronto a battermi se necessario.
Ciel Phantomhive apparteneva a me. A me e a nessun altro.
«Mi dispiace Alaister, ma nessuno toccherà quel bambino se non il sottoscritto, così come da contratto».
«Sciocchezze», sentenziò lui. «Il contratto è rotto e sei stato proprio tu a fare in modo che ciò accadesse. Non puoi più avvalorarti nessun diritto su quell’anima».
Questa volta fui io a ridere, mentre le iridi rosse si trasformavano lentamente in quelle cangianti tipiche da demone.  «Ah, ma davvero?». Mi sfilai i guanti da maggiordomo, gettandoli sul pavimento. «Eppure pensavo che il grande capo Alaister sapesse che rompere un contratto senza cibarsi di un’anima è praticamente..». Alzai la mano, in modo che potesse vederla bene.
«..impossibile».
Il segno del contratto era lì, tatuato sulla mia pelle in modo indelebile. Ciò che era successo prima con Ciel era servito solo a fargli credere che io lo avessi tradito. Svolgere quell’incarico davanti a lui, cercare di recuperare la sua anima mettendolo a conoscenza di tutto, sarebbe stato come puntarsi un cartello luminoso addosso, e avrebbe finito solo col metterlo in pericolo. Il marchio nel suo occhio era invisibile ma continuava ad esserci, era stato Undertaker a dirmi come fare.
Ciel doveva credere che io non fossi più assoggettato a lui, doveva credere di essere solo. In quel modo avrei potuto occuparmi della sua anima senza distrazioni e, una volta trovata, sarei tornato ad essere il suo maggiordomo. E, alla fine, la sua anima sarebbe stata mia.
O forse no”.
Scacciai quella voce dalla testa. 
Alaister era ancora lì, immobile, come se non si aspettasse un risvolto del genere. Poi, proprio quando pensavo di essere tornato un passo avanti a lui, il suo sorriso diabolico si allargò. «Allora vuol dire che romperemo il contratto in un altro modo, magari uccidendo il demone che lo ha stipulato».
Digrignai i denti. Avrei dovuto aspettarmi una mossa del genere: in fondo, la mia razza non era di certo conosciuta per il senso di lealtà e fratellanza.
Riuscii a tirarmi indietro prima che la lama della sua arma mi trafiggesse. Ma tornò all’attacco prima di quanto mi aspettassi, in un susseguirsi di affondi che riuscii a scansare con rapidità.
Fino a quando i miei avversari non divennero tre.
Mi guardai intorno, cercando un modo per sopravvivere, ma ero circondato.
Serrai la mascella, dandomi già per spacciato,  quando Alaister fermò le spade che stavano per trafiggermi. «Aspettate, non così velocemente. Portatelo nella camera delle torture».

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All’improvviso, un dolore mi colpii in pieno petto. Come se mi stessero trafiggendo, puntando la lama con tanta forza fino a raschiare le ossa, lacerando i muscoli. Fui costretto a rannicchiarmi su me stesso, contorcendomi a causa dell’acuto e bruciante dolore. Strappai via la camicia da notte, Osservandomi il petto: nessun segno di ferita lo marchiava, era come se tutto stesse accadendo sottopelle. Afferrai un lembo del lenzuolo tra i denti, urlando di dolore.
Che diavolo succede? Chi è il responsabile?”.
Le fitte continuarono ad espandersi, arrivando secche sulle spalle come segni di frusta. Dovetti contorcermi all’indietro in modo anormale per cercare di attutire gli spasmi, ma non servì a nulla.
«Padroncino, padroncino!».
Mey-Rin, seguita dagli altri due, entrò in camera allarmata. Non indossava gli occhiali e stringeva un fucile tra le mani: aveva udito le mie urla e, giustamente, si era preparata al peggio. Ma, quando si accorse della situazione, il suo sguardo divenne più attento. «Padroncino, cosa succede? Cos’ha?».
Ma non riuscivo neanche a parlare.
«Se.. Sebas.. Seb-».
Il suo nome. Era il suo nome l’unica cosa che riusciva a venir fuori dalle mie labbra secche e lacerate. Avevo bisogno del suo aiuto, ma sapevo che non sarebbe arrivato.
Lui non era mio, non più.
Riaprii gli occhi di scatto, mentre una lacrima mi rigava la guancia. Finnian mi fissò, spaventato, puntandomi un dito contro. «Padroncino, cos’ha nell’occhio?».
Voltai la testa di scatto.
Cosa?
Il dolore terminò, bloccandosi improvvisamente. Mi presi qualche attimo per controllarmi, ma non c’era traccia di ferite. Dopodiché, volai allo specchio.
Il mio occhio era limpido, azzurro. Non c’era niente.
Guardai Finnian severo, come se la colpa fosse sua. Cos’aveva visto nel mio occhio? Cosa credeva di aver visto?
«Sto bene. Fuori, tutti fuori». I tre rimasero lì, fermi. Forse erano perfino preoccupati per me. Mi voltai di scatto, urlando. «Via!».
Dopo un ulteriore attimo di titubanza, i servitori andarono via chiudendosi la porta alle spalle.
Ricaddi a letto, il respiro affannato e la fronte madida di sudore, la camicia da notte lacerata e il ricordo del dolore disumano che avevo appena provato.
Ma non ci rimisi molto a prendere sonno.
Ricordo di aver pronunciato qualcosa, prima di abbandonarmi alla stanchezza.
Un nome, un flebile sussurro.
«Sebastian».

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Ero appeso per i polsi e per le caviglie, stanco ormai perfino di lottare. La mia schiena ed il mio petto erano lacerati, scheggiati da armi diaboliche e acqua santa. Quelle ferite probabilmente non sarebbero mai guarite.
Chiusi gli occhi, nella speranza che il dolore finisse, fin quando non sentii un richiamo nella mia testa.
Ciel mi stava evocando, aveva bisogno di me.
Istintivamente rialzai il volto, sgranando gli occhi e urlando. «Liberatemi o giuro che vi ammazzerò tutti, dal primo all’ultimo, in modi che neanche riuscite a immaginare. Non potete sapere quanto sia fantasiosa la mente di un demone infuriato!».
Ma non ci fu risposta.
Mi agitai, sforzandomi con tutto me stesso di rompere quelle catene.
Cosa stava succedendo al bocchan? Chi gli stava facendo del male?
Poi ricordai che, anche se non fossi stato incatenato, non sarei potuto andare ad aiutarlo. Lui doveva continuare a credere di essere solo, per il suo bene.
Se la sarebbe cavata, era forte.
Doveva esserlo.
Un rumore attirò la mia attenzione, costringendomi a voltare la testa dall’altro lato. Era un meccanismo estremamente familiare, un ronzio che avevo udito in più di un’occasione.
E quando la figura in rosso fece il suo trionfale ingresso nella stanza, collegai.
«Grell Sutcliff, che diamine ci fai qui?».
Sbuffò. «È questo il modo di accogliere il cavaliere che ti salverà?».
Spalancai appena gli occhi. «Non dirmi che hai fatto fuori tutti i demoni presenti».
«Beh, no. Non mi andava di perdere tempo. Oh, ma sei a petto nudo! O, Sebas-chan, sei così hot! Mi ecciti nonostante tutti questi brutti segni sul torace. Se ne andranno, vero? Non ti donano e avrò paura di farti male quando finalmente ti deciderai a conceder-».
«Zitto e liberami. Come sei riuscito ad  entrare?».
Grell azionò la sua falce a motosega per rompere le catene, poi si sistemò gli occhiali. «Ti ricordo che sono uno Shinigami, posso andare praticamente ovunque».
Esitai. «Anche nel limbo?».
Il rosso mi rivolse una strana occhiata. «No, quello no. Ma ho fatto qualche ricerca al posto tuo. T’interessa così tanto ritrovare l’anima di quel marmocchio? Non credo che lui saprebbe soddisfarti come potrei fare io».
«Sei disgustoso, smettila», borbottai, massaggiandomi i polsi e recuperando ciò che era rimasto dei miei abiti. La camicia, per fortuna, era ancora intatta. Sporca, ma intatta. Me ne sarei procurato un’altra al più presto.
«Ma che razza di demone sei, con un senso del pudore così noioso?».
Ridacchiai, Grell non mi conosceva affatto.
«Andiamo adesso, usciamo di qui prima che arrivi qualcun altro».
Ma qualcosa mi costrinse a bloccarmi. La voce del bocchan mi stava invocando di nuovo, ma in modo diverso rispetto a prima. Qualcosa mi portò a pensare che stesse sognando.
Sorrisi appena, seguendo Grell fuori dalle celle mentre una frase – un giuramento – prendeva forma nella mia testa.
Bocchan, la aiuterò a tornare umano.
Glielo prometto.




TO BE CONTINUED:

Sì, lo so che prima aggiornavo più spesso, ma adesso proprio non ci riesco, troppe cose da fare, ma non abbandonerò la storia, tranquilli u_u
Che dire, scrivere questo capitolo mi è piaciuto un sacco, finalmente molte cose sono state rivelate (spero che cambierete giudizi sul povero Sebas-chan :'D) e la storia inizia a prendere forma.
Spero davvero che il capitolo sia valso l'attesa!
Alla prossima, e recensite se vi va, mi farebbe piacere! :)

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Capitolo 8
*** Quel becchino, doppio gioco. ***


«Allora, cos’hai intenzione di fare una volta uscito di qui?».
Grell, con le mani dietro la testa, mi precedeva guardandosi intorno.
«Pensavo lo sapessi. Non ne abbiamo già parlato?».
«Beh, sì, il limbo e tutto il resto. Ma non ho ben capito come intendi esattamente riuscire ad ottenere le informazioni di cui hai bisogno. Non tutti gli Shinigami sono disponibili come me».
«In realtà», iniziai, assumendo un tono basso e seducente. «Avevo pensato di poter contare su di te, per quello».
Il rosso si voltò di scatto, un sorriso felino ad illuminargli il viso. «Sebas-chan, stai forse chiedendo il mio aiuto?».
Odiavo ammetterlo, ma avevo davvero bisogno dell’aiuto di quel pervertito, almeno per il momento. Dovevo fare uno sforzo, tollerarlo e cercare – nei limiti – di assecondarlo. «Esattamente».
Grell strinse gli occhi, iniziando ad agitarsi. «Oh, Sebas-chan! Sapevo che questo momento sarebbe arrivato! Oh, oh, oh! Coraggio, spogliati e fammi vedere quanto sei uomo. O, se preferisci, posso essere io l’att-».
Cercai con tutto me stesso di non rabbrividire al pensiero, limitandomi a frenare il suo entusiasmo con un gesto della mano. «La ricompensa è l’ultima cosa. Devi prima aiutarmi», gli ricordai in tono fermo, sperando che non risultasse esageratamente disgustato.
Lo Shinigami s’incurvò, rattristato. «Così non vale! Tu non mi darai mai ciò che mi spetta, alla fine. Voglio almeno un incentivo».
Alzai un sopracciglio. «Incentivo?».
«Sai com’è, un bacio magari.. o una toccatina».
Assunsi un’espressione esterrefatta. «E se ti promettessi un appuntamento con William T. Spears?».
Grell affilò lo sguardo. «Will non farà mai un favore a te, figurarsi se accetterebbe di uscire con me. Non se ne parla, questo accordo non è equo». Incrociò le braccia al petto, mettendo il muso.
Sospirai.
«Si sente che siamo ancora all’inferno, qui fa molto caldo, non trovi?», sussurrai, slacciando in modo lento e seducente i bottoni della camicia che ero riuscito a recuperare.
Il rosso strabuzzò gli occhi, mentre cercava di mettermi addosso quelle sue manacce insolenti. «Oh, Sebas-chan, lasciami toccare un po’!».
«Se riuscirai a procurarmi le informazioni di cui ho bisogno, ti lascerò toccare tutto quello che vuoi», risposi, riabbottonandomi la camicia.
Grell perse completamente la testa, iniziando ad agitarsi e urlacchiare in modo estremamente poco virile.
«Bene allora, cosa ci facciamo ancora qui? Andiamo da qualcuno che potrà sicuramente fornirci qualche risposta».
Corrucciai la fronte. «E chi sarebbe?».

«Chi, se non Undertaker?».

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«Signorino, sicuro che non vuole che qualcuno di noi l’accompagni?».
Annuii col capo. «Certo, Finnian. Tornate pure ai vostri impieghi abituali, rientrerò per cena. Oh, e ricorda a Baldroy che se anche stasera cercherà di cucinare la carne con il lanciafiamme, si ritroverà presto per strada, al freddo e senza cibo».
Finny annuì, affrettandosi ad allontanarsi dalla carrozza.
«Possiamo andare adesso».
Fino a qualche settimana fa non avrei mai pensato che sarei andato da Undertaker senza nessuno che provvedesse alla sua ricompensa. Ma, sinceramente in quel momento era l’ultima cosa di cui m’importava. Quel becchino mi doveva delle risposte.
L’ultima volta che ero stato da lui, mi aveva quasi convinto ad uccidere qualcuno per fare in modo che Sebastian tornasse indietro, ma avevo scoperto in tempo – e proprio grazie al maggiordomo – che nessun sacrificio umano sarebbe stato necessario.
Undertaker non era stupido, non parlava giusto per farlo. Aveva cercato di farmi compiere un’azione di cui mi sarei pentito, e volevo assolutamente sapere perché.
Inoltre, da quando anche Grell era sparito, lui era l’unica persona alla quale potevo rivolgermi per ottenere informazioni di qualsiasi tipo. La ricerca a chi mi dava la caccia non era certo passata in secondo piano: avrei scoperto il colpevole, fino alla fine. E glie l’avrei fatta pagare cara.
«Undertaker, esci da quella bara puzzolente».
«Hi-hi-hi, il conte Phantomhive ha deciso di onorarci nuovamente della sua presenza!».
La sua voce arrivava da un punto indefinito della stanza, così iniziai a guardarmi intorno fino a quando non fui abbastanza sicuro di averlo individuato. «Ho bisogno di sapere alcune cose».
Lui ridacchiò. «Mi sembra ovvio, cane della regina. Altrimenti non saresti qui».
Feci scoccare la lingua, rendendomi conto di quanto quell’appellativo sembrasse sbagliato adesso, dopo tutto ciò che era successo. Il cane della regina era morto con lei, ma per convenzione non avrei mai potuto liberarmi di quel lato di me stesso.
«Allora dimmi, cos’è che vuoi sapere?».
Undertaker non mi avrebbe dato più di un indizio per volta, lo conoscevo bene. Quindi, avrei fatto le mie domande nel modo più diretto possibile, sperando che lui rispondesse in modo altrettanto diretto.
«Chi c’è dietro quello che mi sta accadendo? Chi c’è dietro i tentati attacchi alla mia casa?».
«Cosa ti fa pensare che io disponga di queste informazioni?», domandò lui, uscendo finalmente dall’ombra.
Gli rivolsi un’occhiata, ma senza sprecarmi più di tanto. Era lo stesso Shinigami di sempre. «Il fatto che tu sappia sempre tutto ciò che accade. È il tuo compito, no?».
«Mmh», mormorò lui, massaggiandosi il mento. «Sì e no. Tu non sei un’anima da proteggere, Ciel Phantomhive. In realtà sei già bello che morto. Però..».
Si bloccò all’improvviso, come se stesse per dire chissà cosa, e la sua espressione cambiò per un secondo. Poi sospirò. «Non importa. Comunque sia, potrei svelarti l’identità dei rapitori.. ma sai che necessito di un compenso», ghignò.
Sbuffai. «Non sono in vena per questo, Undertaker. Prometto che avrai ciò che ti spetta la prossima volta».
«Hi-hi-hi! Non funziona così, conte, e lei lo sa bene».
Serrai la mascella.
L’ultima cosa che desideravo fare era mettermi in ridicolo per due semplici nomi. «Al diavolo. Vorrà dire che otterrò le informazioni in un altro modo».
Mi voltai, afferrando il pomello della porta, pronto ad uscire. Ma un sussurro alle mie spalle mi trattenne.
«Ed è questo l’unico motivo per cui è venuto, conte? Non c’è nient’altro che vorresti sapere?».
Deglutii.
Ovviamente, non gli era sfuggito. A quel tizio non sfuggiva nulla.
«Voglio sapere perché hai cercato di farmi compiere un sacrificio inutile».
L’attimo di silenzio che seguì la mia domanda sembrò durare secoli. Poi, finalmente, Undertaker rispose.
«Inutile? Nessuno ha parlato di sacrifici inutili».
«Ma non serviva che uccidessi qualcuno perché Sebastian tornasse».
«Oh, lo so bene. Ma il mio obiettivo era un altro, Ciel Phantomhive. Del tuo demone m’importa ben poco».
Serrai i pugni. «Hai cercato di sfruttarmi per motivi che solo tu conosci?».
«No, non esattamente. È che penso che la tua vita sia sprecata, se continui a vegetare in questo modo», si fermò. «Potresti fare grandi cose, con il mio aiuto».
E poi, per un secondo, riuscii a vedere i suoi occhi. Erano fiammanti, eccitati al pensiero di chissà cosa. Mi catturarono con facilità. «Grandi.. cose..».
Ma quella specie di ipnosi fu spezzata da un’intrusione inaspettata.
Mi voltai di scatto, schiudendo le labbra.
«Grell?».


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Ero riuscito a nascondermi in tempo, Ciel non mi aveva visto.
Avevo sentito il suo odore, il retrogusto restante della sua anima, non appena ero entrato in quella bettola sudicia e disordinata. Grell non si era minimamente accorto che Undertaker non era solo, ed effettivamente ci mise un po’ per accorgersi del bocchan.
«Oh, cosetto, e tu che ci fai qui?», inclinò il capo.
Il volto di Ciel si fece paonazzo, mentre cercava con tutto se stesso di non esplodere dalla rabbia. Odiava quando qualcuno gli dava quel genere di nominativi, odiava sentirsi piccolo.
Sorrisi appena.
«Io che ci faccio qui? Tu che diamine ci fai qui! Questa è la mia città, e posso andare ovunque quando mi pare».
«Ehi, ma questo è il mio collega, e posso passare a fargli visita quando più mi aggrada».
Si fissarono in malo modo, e mi trovai a domandarmi chi dei due fosse più infantile.
«Hi-hi-hi! State combattendo per me? Sono onorato. E io che pensavo aveste occhi solo per i bellocci».
Il bocchan diventò ancora più rosso di prima. «Cosa dici?», urlò, agitando il braccio. «Io non sono un gay pervertito come questo qui!», grugnì, indicando Grell.
Il rosso ridacchiò. «Non c’è bisogno di arrabbiarsi tanto, piccoletto! Siamo tutti amici qui, non devi giustificarti di nulla».
«Basta! Smettetela», continuò il bambino, serrando i pugni. «Non siete affatto divertenti».
Gli sarebbe esploso in cervello, se non si fosse calmato. Ma quella discussione mi divertiva alquanto: osservare Ciel arrabbiato era un vero spasso.
Ci vollero un paio di minuti prima che Grell e Undertaker riuscissero a smettere di ridere, ma la situazione tornò più o meno al livello di partenza. «Ha bisogno di qualche altra informazione, conte Phantomhive?», domandò il becchino, mentre Grell si guardava intorno in attesa. Per fortuna, aveva capito che in presenza di Ciel doveva tacere.
«No», sospirò lui. «Non mi serve sapere altro, per adesso. Ma tornerò».
L’espressione che rivolse ad Undertaker mi lasciò di sasso. Era bramosa di informazioni, e questo al bocchan non era mai successo. Undertaker sembrò rispondere con lo stesso sguardo, ma non riuscii a guardarlo negli occhi per confermare la mia ipotesi.
Eppure, era come se avessi la sensazione che qualcosa non andava.
«Ciao ciao, piccolo conte!».
Lui scoccò la lingua, facendo per andare via, ma si bloccò davanti alla porta.
Aggrottò la fronte, rivolgendo lo sguardo nella mia direzione.
Oh no”, pensai. “Se dovesse vedermi, tutto il mio piano andrà al diavolo”. E, nonostante il gioco di parole, ero seriamente preoccupato che ciò accadesse.
Ma, per mia fortuna, il bocchan non era mai stato un tipo paziente. Dopo un ulteriore attimo di esitazione, sospirò e si chiuse la porta alle spalle.
Cosa era successo? Come mai si era fermato? Era impossibile che avesse avvertito la mia presenza, eppure..
«Sebas-chan, puoi mostrare il tuo bel viso adesso».
Undertaker ridacchiò. «Avevo sentito puzza di demone».
Nonostante il mio strano presentimento su di lui, ridacchiai a mia volta. C’erano delle cose che avevo bisogno di sapere e, chissà perché, sospettavo che l’unica persona in grado di aiutarmi fosse proprio lui.
«Coraggio, becchino, mettiti comodo. Dobbiamo fare una bella chiacchierata, noi tre».



TO BE CONTINUED:
A distanza di una settimana, ecco il nuovo capitolo. Un altro mistero, sì. Voglio proprio farvi impazzire. Cosa nasconderà Undertaker? E Sebastian riuscirà a sapere ciò di cui ha bisogno? Lo scopriremo, o anche no, nel prossimo capitolo.
..Forse.

[cit.]

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Capitolo 9
*** Quel maggiordomo, ricordi. ***


«Quindi, da questo momento in poi, tu starai sempre con me?».
Gli occhi grandi e color del cielo del piccolo conte mi rivolsero uno sguardo severo e carico di aspettative.
«Yes, my lord. Il contratto prevede che io le resti vicino e la protegga fin quando non avrà compiuto la sua vendetta», risposi in tono accondiscendente e accennando un sorriso.
«E in cambio ti basta avere la mia anima?».
«Non mi serve nient'altro».
Lui annuii. Mi squadrò a lungo, dondolando le gambe mentre gli abbottonavo la camicia da notte.
Era passata una settimana da quando avevamo stipulato il contratto, e sembrava che lui si stesse abituando alla mia presenza. O, perlomeno, mi permetteva di lavarlo, vestirlo e rimboccargli le coperte.
Per quanto riguardava me, fare il baby-sitter a tempo pieno non mi pesava poi tanto: per quanto cocciuto e impertinente, era un bambino abbastanza tranquillo. Avrei imparato a gestirlo e a renderlo ancor più docile, senza però spegnere la fiamma che ardeva nella sua anima, che alimentava la brama di vendetta e l'odio che portava dentro.
Immaginare il sapore di quell'anima bianca votata alle tenebre mi faceva venire l'acquolina in bocca. 
Le gambe del bocchan smisero di dondolare. «Non capisco».
Alzai lo sguardo, inclinando appena il capo. «Cosa, bocchan?».
Sospirò, poi iniziò a parlare molto velocemente. «Non capisco cosa possa fartene di una cosa senza valore come l'anima, ammesso che esista e io ne abbia una. Insomma, sei un demone, potresti chiedere qualsiasi cosa in cambio dei tuoi servigi. Perché l'anima, allora?».
Questa volta fui io a scrutarlo. «Che domanda insolita», borbottai. In effetti, nessuno me l'aveva mai posta prima.
«Io mi nutro di anime, bocchan. E non mi serve nulla di ciò che possedete in questo futile e superficiale mondo. Cos'altro potrei chiedere come ricompensa se non l'unica cosa che per me ha valore?».
Lo presi tra le braccia per scoprirgli il letto, e lui allacciò le piccole mani al mio collo per paura di cadere.  «Ma non potresti semplicemente prendere l'anima che vuoi, quando vuoi? O prenderne più di una, senza stringere alcun tipo di contratto?».
«Sì», iniziai. «Potrei farlo. La maggior parte dei demoni fa così. E' solo che.. sono stanco di accontentarmi di qualsiasi scarto, ecco. Preferisco sudarmi il pranzo e avere la garanzia che sia ottimo. Lei mangerebbe mai un pasto arrangiato e di scarsa qualità, bocchan?».
Lui scosse la testa, un accenno di sorriso ad illuminargli il volto. «Che sapore ha un anima?», domandò ancora, fissando lo sguardo su un punto indefinito del mio viso. «Da' di cioccolata?».
Quella fu la prima volta, in tutta la mia esistenza da demone, che avvertii  davvero l'impulso di  scoppiare in una fragorosa risata. Ovviamente riuscii a trattenermi, - le buone maniere non ammettevano che il maggiordomo scoppiasse a ridere in faccia al suo padrone - ma il sorrisetto che mi spuntò sulle labbra era dei più genuini.
«Non c'è un termine di paragone con il cibo umano che, come lei ben sa, per me non ha sapore alcuno. Magari, però, potrei paragonarlo a-». Mi bloccai all'improvviso. Gli occhioni del padroncino mi fissavano curiosi, in attesa che io completassi la frase. 
Ma era troppo piccolo perché io potessi proporgli un paragone del genere; la cosa, in un certo senso, mi.. imbarazzava.
Fu in quel momento che mi resi conto che c'era qualcosa di sbagliato in quella situazione: non avrei dovuto comportarmi così. Niente scrupoli,  niente comportamento impeccabile, niente riguardi per quel moccioso. Io ero un demone e lui solo il mio pasto.
Sentivo, dall'interno, qualcosa che spingeva con tutte le sue forze per venire fuori. Qualcosa che non avevo mai pensato di possedere.
Il mio sguardo s'indurì, e così si raffreddarono anche le mie parole e i gesti divennero meccanici. Staccai le mani del padroncino dal mio collo, appoggiandolo sul letto e cercando di farlo infilare sotto le coperte. Ma  lui sembrava deciso a rimanere con i piedi piantati sul materasso, alla mia altezza. Incrociò le braccia al petto. «Non hai ancora finito di parlare e non andrò a dormire fin quando non mi avrai spiegato come funziona».
Per poco non sbuffai. «L'anima ha un sapore particolare. Non so come spiegarglielo, bocchan. Per noi demoni è tutto ciò che conta».
Inclinò il capo. «Tutto ciò che conta? E la mamma e il papà?».
Da una parte, tutte le sue domande m'irritavano: cosa gli importava di tutto questo? Il contratto non prevedeva che gli scrivessi la biografia di un demone tipo. 
Dall'altra, però, mi sentivo quasi.. lusingato. Nessuna delle mie vittime mi aveva fatto tante domande prima d'allora, ma è anche vero che non avevo mai stretto contratti di quel tipo. Forse era normale, o forse Ciel Phantomhive era semplicemente un bambino troppo curioso.
«Nessuno di noi ce li ha, bocchan. Ha finito con le domande?».
L'espressione del marmocchio si fece corrucciata, come se fosse dispiaciuto per me. Non poteva sapere che a me non importava nulla di nessun tipo di affetto. «E come.. venite al mondo, allora?».
Non riuscii a trattenere un sospiro, temevo quella  domanda. «Glielo racconterò un'altra volta, adesso deve mettersi a letto, è molto tardi».
Si fece aiutare a infilarsi sotto le coperte, ma quando stavo per voltarmi ed andare via, mi afferrò dalla coda del frac. «Non ti ho detto che puoi andare via».
Il suo viso minuto era coperto fino al naso e le palpebre minacciavano di chiudersi da un momento all'altro, ma era talmente impaziente di acquisire nuove informazioni che avrebbe vinto persino la stanchezza, per fare il ficcanaso per altri cinque minuti.
«Siediti accanto a me».
Obbedii, ma ero diffidente. Non avevo intenzione di raccontargli altro su demoni e anime per quella sera.
Ma la domanda che mi rivolse mi spiazzò completamente, mettendomi a tacere per qualche minuto. «Hai mai voluto bene a qualcuno?».
Quando tornai in me, la mia risposta fu secca. «No».
Ciel sospirò. «Lo sospettavo, sei troppo rude e non sai come trattare i bambini».
Mi risentii, e dato che non poteva seguire i movimenti del mio viso mi sentii libero di lanciargli un'occhiataccia. Mi ero sempre comportato come si deve, nei suoi confronti. Per essere un demone, mi ero comportato in modo fin troppo gentile.
«Ma a me vai bene così», mormorò, abbassando lo sguardo sulle sue mani. «Se so che tu non potrai mai volermi bene, io non ne vorrò a te. In questo modo eviterò di soffrire se un giorno dovessi perderti. Non vorrò bene più a nessuno, da questo momento in poi».
Di nuovo quella sensazione, quella a cui non sapevo dare un nome. Distolsi lo sguardo, fissandolo sul soffitto di quella casa che era stata teatro di atroci morti e sofferenze inaudite. Doveva essere dura, per il piccolo conte, vivere tra quelle mura. Ovviamente, era troppo orgoglioso per ammetterlo.
«Mi piacerebbe essere come te».
Cosa?
Il mio sguardo saettò nuovamente su di lui, allibito. «Bocchan..».
«Sì,lo so, Sebastian..», m'interruppe prima che io potessi finire la frase. «So che abbiamo un contratto e che la mia anima dovrà essere tua. Ma se così non fosse stato, e avessi potuto avere la possibilità di scegliere, magari avrei scelto di essere come te».
Il suo discorso, come sempre, mi stupì. Quel bambino era più imprevedibile di quanto pensassi.
«Non è così bello essere una creatura demoniaca».
Era una bugia, no? Io amavo essere un demone. Ma l'idea che il padroncino potesse anche solo pensarci mi faceva ribrezzo.
Lui sospirò. «Sì, sì.. hai ragione». Chiuse gli occhi. «Essere umano è tutto ciò che mi resta. Provare dolore, sentire sulla pelle l'amaro della sofferenza e dell'umiliazione subita, mantengono vivo il ricordo dei miei genitori. E quella è l'unica cosa che m'impedisce di crollare».
Non mi sentii in grado di dire nulla: erano cose che un demone come me non poteva comprendere.
«Adesso riposi, bocchan».
Lui non disse altro, quindi spensi le candele con un soffio. 
Ero quasi alla porta quando la sua voce impastata a causa del sonno mi bloccò per la seconda volta. «Sebastian?».
«Sì?».
«Anche se non ci vorremo mai bene, tu sei l'unico di cui mi fid-».
La stanchezza ebbe la meglio, impedendogli di completare la frase. Ma, nella mia testa, questa arrivò forte e chiara.
E da quel giorno, qualcosa dentro di me iniziò a rompersi.
 
************
 
«Il limbo?». Undertaker emise un fastidioso risolino. «E voi credete ancora a queste favolette della buonanotte? Andiamo, Sebastian, anche tu? Ah, è proprio vero che quando tieni ad una persona..».
«Taci, shinigami». Assottigliai lo sguardo, resistendo all'impulso di usare le cattive maniere. Se lo avessi afferrato dal collo, probabilmente non mi avrebbe detto più nulla. «Non tengo a nessuno, ma quell'anima mi appartiene».
«Ooh, Sebas-chan! La tua fredda compostezza è così eccitante!», gracchiò Grell, strusciando la schiena contro il mio braccio. Irritante. 
Undertaker nascondeva qualcosa. Il sospetto si era tramutato in certezza nel giro di mezz'ora a causa dei suoi modi criptici - più del solito - e delle sue risposte sfuggenti e vaghe. Era a conoscenza di informazioni che, per qualche ragione a me sconosciuta, non era disposto a darmi.
Poi, un campanellino d'allarme suonò nella mia testa. 
Qualcun altro avrebbe potuto desiderare l'anima del mio bocchan.
Non dissi nulla, speravo di sbagliarmi. Se il becchino fosse diventato un mio avversario, le cose si sarebbero complicate di parecchio.
«Quindi dove pensi che sia l'anima di Ciel Phantomhive?», domandai a bassa voce, senza perdere di vista neanche uno dei suoi movimenti.
Lui fece spallucce. «All'inferno?».
Scossi la testa. «La sua anima è intrappolata nel limbo, me lo ha detto Alaister. E tutti sanno che i demoni non mentono». Mi sembrava ridicolo impuntarmi in quel modo e confidargli tutte quelle informazioni, ma avevo bisogno di metterlo alle strette. «Ciel non è diventato un demone, è un incrocio tra le due specie. E Alaister è interessato a lui. Non permetterò a nessuno di sfiorare la sua anima neanche con un dito», sibilai, rendendo valida la minaccia anche per lo shinigami che mi era di fronte. 
L'atmosfera si era fatta pesante, più pesante di quanto non fosse mai stata in quel posto in cui di solito si compravano informazioni con le risate. 
Grell se ne accorse, e forse per la prima volta sentii che era leggermente a disagio.
Allora, pensai, il brutto presentimento non lo avevo avuto soltanto io. 
«Perché invece di marcare il territorio non cerchiamo una soluzione?», ridacchiò quindi il rosso, passandosi una mano sulla testa.
Undertaker scrollò le spalle. «Beh, è vero che non sono stato del tutto onesto, Sebastian..».
Mi voltai verso di lui, cercando un contatto visivo che non avrei trovato. «Allora parla».
Aprì e chiuse le mani per qualche minuto, immerso in qualche  genere di pensieri che forse non avrei neanche potuto comprendere. Poi, si decise a proferire parola. «Un limbo c'è».
Grell si alzò di scatto. «Allora perché ci hai preso in giro, poco fa?». Anche lui si sentiva offeso: appoggiò le mani sui fianchi, divaricando le gambe in una posa che voleva essere minacciosa. Forse, tra colleghi, le bugie non erano tollerate.
«Perché non è un luogo fisico in cui si può entrare. In pratica non esiste, in teoria sì. E' semplicemente un concetto, qualcosa di astratto di cui angeli, shinigami e qualche demone hanno sentito parlare. Nessuno ci è mai stato. E' un po' una pezza a colori messa per giustificare tutti i conti che non tornano nell'ufficio amministrativo della raccolta anime». Fece spallucce.
La nuova notizia mi lasciò perplesso. Mi massaggiai il mento, aggrottando le sopracciglia. «E allora come..».
«Non si può», m'interruppe il becchino. «Potrebbe essere come no, ma non potrai mai scoprirlo».
Serrai le nocche. E così, dopo tutti i miei sforzi, mi sarei lasciato sconfiggere in questo modo da una non-verità? Accidenti, no.
Guardai Grell, anche lui aveva assunto un'espressione corrucciata. Ero convinto che fosse solo preoccupato di non poter riscuotere la sua ricompensa. 
«Che facciamo adesso?».
Mi morsi l'interno della guancia. «Troveremo un altro modo».
Non avrei smesso di combattere fino a quando l'anima del bocchan non fosse tornata all'interno del suo corpo, era una promessa. 
Undertaker ruppe il silenzio con quel suo risolino, dondolandosi un po' avanti e dietro. «E se non ci fosse?».
La sua affermazione-domanda ebbe il potere di tenermi bloccato al mio posto. 
«Se non ci fosse un altro modo? Anzi, se non ci fosse nessun modo? Devi arrenderti, Sebastian. L'anima di Ciel Phantomhive è persa. Va' avanti, cibati di qualcun altro. Ora che lui pensa che il contratto sia rotto, sei libero come un uccellino. Perché tutto questo attaccamento ad una singola anima?».
Quella domanda mi era stata posta così tante volte che oramai ne avevo perso il conto. 
La risposta era ancora sconosciuta.
Chinai il capo. «Ciel non è un'anima come le altre».
Ed eccola riaffiorare, quella sensazione a cui in precedenza non avevo saputo dare un nome.
La mia umanità. Il mio attaccamento a quel moccioso era diventato la mia condanna.
«Andiamo, Grell. Qui abbiamo finito».
Ma nel momento in cui io mi accingevo ad aprire la porta, un basso mormorio mi fermò. «Però, Sebastian, in fondo hai ragione. C'è qualcun altro interessato all'anima del tuo prezioso conte».
Mi voltai di scatto, ma accadde tutto troppo velocemente perfino per me. La death scythe di Grell, ronzando rumorosa accanto al mio orecchio, aveva appena bloccato l'attacco di un'altra falce. 
Undertaker sorrise in modo malvagio, scoprendo gli occhi da shinigami. Le sue mani stringevano con forza il manico della falce che per poco non mi aveva traforato la gola. Digrignai i denti, facendo un salto indietro e affiancando Grell. «Fammi indovinare», gridai, minaccioso.
Ogni mio sospetto era stato giusto fin dall'inizio. Lo shinigami nemico si tolse il cappello, facendolo volare dall'altra parte della stanza. E, in una posizione che faceva presagire la sua voglia di sfidarmi, esclamò: «Io».




TO BE CONTINUED:

Mi scuso tantissimo per il ritardo nel postare il capitolo, ma sono stata impegnata nel creare il costume da cosplay di Sas'ke-kun (aww!) tutta la settimana. Perdono!
Comunque sia, finalmente sono riuscita a postare (e credo che, d'ora in poi, l'aggiornamento cadrà sempre di domenica).
Che ne dite del nuovo capitolo? Credo che i dubbi di chi era ancora diffidente su Sebastian siano stati smontati, no? ù_ù
E si scopre anche che Undertaker nasconde DAVVERO qualcosa.
Sì, è  un capitolo un po' filler, ma avevo bisogno di pucciosità. Spero che lo gradiate e lasciate qualche recensione *-*

Alla prossima!

P.S. io e la mia amica abbiamo aperto un gioco di ruolo su Black Butler, ma nel fantamondo italiano di facebook non ha molto successo, quindi siamo ancora solo io (Ciel) e lei (Grell). Se qualcuno volesse partecipare, ne saremmo felicissime *-* Vi lascio il link, nel caso.. u.u [
https://www.facebook.com/pages/Watashi-wa-akuma-de-shitsuji-desu-kara-Kuroshitsuji-GDR/110462668982238]

P.S. 2. Ho scritto la mia prima one-shot yaoi su Sebastian e Ciel. Non è un granché, ma sarei contenta se la leggeste *-* [http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1648145&i=1]


 

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Capitolo 10
*** Quel padroncino, fare il demone. ***


Le parole di Undertaker mi erano rimaste impresse, quasi come se me le avesse tatuate nel cervello. Non riuscivo a capire cosa volesse da me. Aveva parlato di “grandi cose” e “vita sprecata”, ma mi sembravano frasi senza significato. Quel tipo non ha mai avuto tutte le rotelle al posto giusto, ma non dovevo dimenticare che era comunque uno shinigami e che, in più di un’occasione, si era dimostrato senza scrupoli. Fidarmi di lui era assolutamente fuori questione.
Con  chi potevo parlare? Da quando anche Grell faceva il misterioso e lo sfuggente, mi sentivo doppiamente tradito. Non che m’importasse qualcosa di quel rosso, certo, ma avevo pensato che mi avrebbe fatto da guardia almeno fin quando non mi fossi abituato a cavarmela da solo.
Sospirai, appoggiando la testa al muro. Erano passate solo poche ore da quando avevo lasciato la tana di Undertaker, ed era come se non riuscissi a scrollarmi di dosso una strana sensazione. Come se sentissi di essermi perso qualcosa, qualcosa d’importante.
Per un breve momento mi era parso di avvertire la presenza di Sebastian. Ovviamente, mi ero sbagliato.
Mi sfilai i guanti, poggiandoli sul comò. Dovevo smetterla di pensare sempre a Sebastian: lui non era più niente per me. Dovevo iniziare ad agire da demone e infischiarmene del resto del mondo. Ma le mie sembravano parole al vento che non sarebbero mai state provate.
Sgranai gli occhi, colpito da un lampo di genio.
Perché non iniziare subito? Perché non provare a stipulare un contratto?
Chiusi gli occhi, cercando di immaginarmi in un altro posto, magari in una forma diversa da quella che attualmente conservavo e con voglie diverse. Voglia di anime, magari.
Chinai il capo.
Una volta, molto tempo prima, avevo chiesto a Sebastian che sapore avesse un’anima, ma lui non mi aveva risposto. Era arrivato il momento di scoprirlo da solo.
Da dove iniziare? In tutta franchezza, non ne avevo la più pallida idea. Di certo non mi sarei trasformato in un essere dotato di corna e forcone, l’avevo ormai intuito, ma non ero sicuro che bastasse andare in giro a promettere alle persone di realizzare desideri in cambio della vita. Ero anche abbastanza certo che mi avrebbero riso in faccia. Se possedevo dei poteri demoniaci speciali, non avevo la più pallida idea di come evocarli.
«Conte, ha bisogno di aiuto?».
Mi voltai di scatto, sussultando. Non avevo mai visto la persona che mi era di fronte.
«E tu chi diavolo sei?».
Aveva lunghi capelli biondi legati in una treccia, ed indossava un mantello nero che toccava il pavimento, nascondendo tutto ciò che c’era sotto. La donna aveva uno sguardo glaciale e intimidatorio.
«Hai usato il termine giusto, piccoletto», sorrise appena, inclinando il capo. «Sono qui per aiutarti a capire chi sei».
Schiusi le labbra. «Chi.. sono?».
Quello era un demone, lo si capiva dalle vibrazioni che trasmetteva. Feci istintivamente un passo indietro.
«Esatto. Vuoi essere un demone, no? Posso insegnarti come fare».
Serrai i pugni. «E tu come fai a saperlo?».
Lei mi trafisse con un’espressione carica di sottintesi. «Essere demone non significa solo mangiare anime ed essere bravi maggiordomi, Ciel Phantomhive. Ci sono cose che potresti fare che ti lascerebbero a bocca aperta».
La situazione iniziava a farsi interessante. Non sapevo chi fosse quella donna, né come facesse a conoscere i miei desideri. Sapevo soltanto che capitava nel momento giusto e non mi sarei fatto sfuggire l’occasione.
«Cosa devo fare?», domandai in tono monocorde.
Il demone allargò le braccia. «Accetta l’oscurità che c’è in te, conte. Smetti di combatterla, smetti di cercare una soluzione. Falla scorrere nelle tue vene, fa in modo che ti accechi. Abbandona la speranza e lasciati cadere nell’oblio che ti circonda».
Chinai il capo. «Lo sto già facendo».
Ma era una bugia, e lo sapevamo bene entrambi.
«Eri più insensibile da umano, lo sai? Com’è possibile che l’essere demone ti abbia dato da riflettere?».
Serrai la mascella, ma non potetti contestare la sua affermazione. «Tu chi sei, piuttosto? Non mi hai ancora detto il tuo nome».
«Il mio nome?». Sembrò pensarci su un attimo. «Il mio nome non è importante. Non credo di averlo, in questa forma».
Corrucciai la fronte. «Nessuna delle tue vittime ti ha mai dato un nome?».
«Ti dirò», disse lei, muovendo un passo verso di me. «E’ la prima volta che ricreo le sembianze di un corpo mortale».
Sgranai gli occhi. Cosa?
«Come fai a stipulare contratti e procurarti anime, allora?».
Ridacchiò, afferrandomi il mento e guardandomi dritto negli occhi. «Ci sono altre maniere per impossessarsi di un’anima, Ciel, e stringere un contratto è la meno divertente e l’unica per cui serva assumere una forma umana. Scoprirai presto che la mente umana è così debole che, nei momenti bui, riesce a fidarsi persino di una voce..».
Quella era una novità, per me. Ero sempre stato convinto che stipulare contratti fosse l’unico modo per ottenere la proprietà di un’anima..
«E quali sono gli altri modi?».
Lei si chinò, sfiorandomi il lobo dell’orecchio con le labbra, mentre il suo respiro mi solleticava la pelle. «Far cedere la vittima al peccato».
Mi immobilizzai, non tanto per la frase quanto più per il modo in cui era stata pronunciata.
«Farla cedere.. al peccato?».
«Beh», iniziò, posandomi entrambe le mani sulle spalle. «Se una persona sta litigando animatamente con un’altra, ed una voce nella testa gli sussurra di ucciderla, al sessanta per cento dei casi quella persona darà ascolto alla voce».
Serrai le labbra. La donna-demone mi sfiorò la guancia con la punta delle dita, spostandomi una ciocca di capelli dall’occhio ormai libero dalla benda. «Un essere umano non ci metterebbe molto a diventare estremamente invidioso di qualcuno che vive in una situazione migliore della sua, fino al punto di desiderare la sua morte. Anche quello è peccare, e tutto ciò che un demone deve fare è alimentare quella gelosia fino a che l’anima scelta non inizi a marcire», sorrise in modo malefico, probabilmente immaginando il sapore di un’anima così. A me, invece, veniva solo da vomitare.
«O, ancora, la mia situazione preferita. Non è facile, per un uomo, resistere alla più inebriante delle tentazioni, abbandonando se stesso al piacere».
Mi voltò di scatto, facendomi ritrovare bloccato contro il muro. Il suo viso distava da me soltanto di pochi centimetri. «E sussurrare nella sua testa pensieri perversi, costringendolo a cedere al fascino di qualche sconosciuta mentre a casa lo aspettano moglie e figli..». Mi afferrò il mento tra pollice e indice. «..non trovi anche tu che sia estremamente appagante? La lussuria è ciò che più rende schiava del peccato l’anima di questa specie. Nessuno di loro riesce a resistere al richiamo dei sensi». Sorrise ancora, sfiorandomi il labbro inferiore con il dito. «E tu, piccolo conte? Hai già provato questo tipo di intrattenimento?».
Il mio primo impulso fu di allontanare con uno schiaffo quella mano, ma non ci riuscii. Ero come ipnotizzato dalle sue parole e dal suo sguardo, incapace di muovermi o formare un pensiero coerente. Tutto mi stava scivolando dalle mani, e non era così che avevo programmato che andasse.
«Non temere, c’è sempre tempo. Hai l’eternità davanti per imparare. E puoi iniziare da adesso». E prima ancora che il significato delle sue parole facesse breccia nel mio cervello in stand-by, le sue labbra catturarono le mie.
Fu la sensazione più strana che avessi mai provato in tutta la mia vita. Da un lato, avrei voluto stare a sentire i suoi consigli e abbandonarmi al suo bacio, alle tenebre. Avrei imparato in fretta a fare il demone. Ma dall’altra, qualcosa in me si ribellava e mi spronava ad allontanarmi. C’era un che di disgustoso in quella scena.
Rimasi immobile, inerme, ma non durò molto. Dentro di me, infuriava la guerra.
Il demone mi rivolse un ghigno, leccandosi le labbra. «Scommetto che queste labbra non conoscono il sapore di una donna, sei così rigido che fatico a credere che tu abbia mai avuto un bacio prima d’ora. O forse non ti piaccio? Potrei assumere qualsiasi forma, lo sai bene».
Affilai lo sguardo, sputando. «Non sono mai stato attratto da questo quand’ero umano, figuriamoci se lo sono ora».
Ma lei reagì in modo diverso da come mi ero aspettato. Mi squadrò a lungo, poi parlò. «C’è forse qualcos’altro che ti attrae, allora? Perché di sicuro non è una bella donna. Ma magari..».
Si fermò prima di completare la frase. «Sarà divertente vedere come andrà avanti».
Stavo per chiederle di cosa diavolo parlasse, ma la sua successiva frase catturò tutta la mia attenzione. «Io sono a conoscenza di tutte le informazioni che ti interessa avere, Ciel-kun. Non ti serve Undertaker».
Serrai i pugni. «Qual è il prezzo?».
«Nessun prezzo. Ti dirò tutto ciò che vuoi sapere».
La cosa non mi convinceva. I demoni – tutti i demoni – non facevano mai niente per niente.
«Avanti, dimmi cosa vuoi. Non ho tempo da perdere».
«Te l’ho detto, non c’è nulla che io voglia da te. Desidero solo che tu ti arrenda a ciò che sei e spezzi l’ultimo filo che ti tiene legato alla tua inutile umanità».
Incrociai le braccia al petto. «E quale sarebbe?».
Seppi cosa mi avrebbe detto nel momento esatto in cui terminai la domanda. Voltai il capo, mentre in me montava l’ira.
«Il tuo affetto verso quel demone, ovviamente».
«Non provo nessun tipo di affetto per lui».
«Se continui a negarlo, non riuscirai mai a mandarlo via. Ed è necessario, se vuoi essere come me».
Inclinai il capo, di nuovo soggiogato dal suo tono. «Essere come.. te?».
«È ciò che vuoi. Lo sai anche tu, in fondo. È per questo che ho deciso di portarti con me nei meandri dell’inferno e farti scoprire cosa significa davvero mordere la mela. Tu sei.. una novità, diciamo così. E voglio vedere quanto potenziale hai. Sono sicura che puoi fare grandi cose, conte».
Ancora quella frase, quella che Undertaker mi aveva rivolto soltanto poche ore prima. Ma cosa voleva dire, per loro, essere in grado di fare grandi cose?
«Allora, che ne dici? Lascia andare l’umanità e tutto ciò che essa comporta. Devi iniziare a trarre piacere dal ferire le persone».
«Io..».
La donna-demone mi prese il viso tra le mani. Tutto intorno a me iniziava a sembrare sfocato, distante. «Non temere, nel posto dove siamo diretti potrai ottenere tutte le informazioni che desideri».
La sua voce era ovattata e il mio corpo era diventato insensibile al tatto. Ma, a dispetto di questo, riuscii a sentire la stretta glaciale delle sue braccia mentre mi afferrava. Ogni tentativo di ribellarmi sarebbe stato inutile.
«La tua vendetta sarà l’inizio della caduta».
E dopo quelle parole, persi definitivamente conoscenza.

 

 
*****************

Nel cuore della notte, qualcuno attraversava i corridoi dell’inferno portando tra le braccia il corpo di un bambino.
Una donna, ad una prima occhiata. Ma la sua forma stava cambiando rapidamente, fino a quando non restò solo una figura indefinita dagli occhi color vermiglio.
Alcuni demoni s’inginocchiarono a quello che reggeva il conte Phantomhive tra le braccia, facendogli strada nelle profondità degli inferi.
«Alaister-sama, siete di ritorno».
Il corpo di Ciel fu lasciato sul pavimento davanti ad una specie di trono, mentre il demone di nome Alaister vi si sedeva. «È davvero un osso duro, questo moccioso».
Aveva preso sembianze femminili per corromperlo, ma non ci era riuscito. Quell’anima era stata davvero in grado di rimanere intatta nonostante tutto l’odio che la circondava. E quel guscio semi-mortale continuava a comportarsi nello stesso modo anche in assenza della forza portante.
«Portatemi qui il becchino», ordinò Alaister.
Neanche lui era riuscito a farlo cedere, o meglio..  a causa di Sebastian, anche il suo piano era fallito.
Qualcuno annuì, mentre gli altri rimasero in attesa di altri ordini.
«Non capisco», sussurrò. «Non capisco cosa impedisca alla sua anima di scendere negli inferi».
L’anima di Ciel Phantomhive era destinata ad essere una fissazione per tutti i demoni.






TO BE CONTINUED:
Eccoci con il nuovo capitolo! E' un po' in ritardo, ma per me è sempre domenica u.u
Come potete vedere, la storia sta prendendo una piega diversa. Mi sforzo di tenere i personaggi IC, ma a volte non ci riesco, scusate xD
Ah, se vi state chiedendo perché l'ultimo pezzo è in terza persona, ve lo spiego subito: narro solo dal punto di vista di Ciel o Sebastian, e quando ho bisogno di dire qualcosa in un contesto in cui, per un motivo o per un altro, loro non sono presenti, - o come in questo caso, impossibilitati a parlare xD- uso la terza persona per fare la panoramica.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto venire nuovi dubbi e nuove domande! :D
A domenica prossima!

Oh, approfitto ancora per invitarvi a partecipare al mio GDR, dove mancano Alois, Elizabeth, William e tanti altri. C'mon!

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Capitolo 11
*** Quel padroncino, cadendo nell'oscurità. ***


Dove mi trovo?
Sentivo l’oscurità penetrarmi nelle ossa.
Un rumore di passi, un flebile sussurro.
Aiutatemi, vi prego. Non so dove sono.
Uno spiraglio di luce fece capolino da una fessura. No, non era una fessura.. era una porta, qualcuno stava aprendo la porta. I miei occhi cercavano con avidità la luce, non sapevo neanche per quanto tempo fossi rimasto steso al buio, incapace di muovermi o parlare. Il mio corpo era un inutile ammasso di carne e ossa che non rispondeva agli stimoli, come se non fossi neanche più in grado di comandarlo.
Ero un estraneo nella mia stessa pelle.
Chi c’è?
Nessuno avrebbe potuto rispondere alle mie richieste soltanto pensate, ero condannato.
Lo strisciare della stoffa di un mantello sul pavimento freddo mi diede la forza di aprire gli occhi, ed in quel momento fui invaso dalla luce.
Ma quella luce non era calda e rassicurante. Al contrario, emanava freddezza e negatività. E dall’alto, una figura imponente mi tese la mano, pronta a sollevarmi.
Era davvero quello il modo in cui volevo essere salvato?


**************************************************************

 
«Grell, fatti da parte adesso». Digrignai i denti, sfilandomi i guanti e lasciandoli cadere per terra.
Undertaker si era rivelato e nonostante i miei precedenti sospetti, questo mi creava un serio problema. Quel becchino non era uno Shinigami in pensione come sempre si era definito: era uno Shinigami che dava la caccia alle anime per conto di qualcuno, e quel qualcuno non poteva che essere uno della mia specie.
«Sei in combutta con un demone, Undertaker?».
Lui sorrise in modo meschino, ruotando la falce e cercando di colpirmi al centro del petto. Fui rapido nello schivarlo, ma se avesse continuato così mi avrebbe messo presto alle strette.
«Oh - oh, vedo che sei un tipo abbastanza intuitivo, Sebastian. Cosa ti ha portato a questa conclusione?».
Non era il primo Shinigami che aveva a che fare con le anime all’infuori del suo “lavoro”. Grell era stato il primo, ma lui non aveva avuto nessun fine se non quello di movimentare la sua noiosissima vita.
Undertaker non era il tipo che faceva le cose senza un preciso motivo.
«Voi Shinigami dovreste odiare i demoni, perché continuate ad averci a che fare?».
Mi mossi verso sinistra, ma lui fu più veloce. La sua death scythe mi procurò un graffio sulla spalla destra e fui costretto a stringere i denti per non imprecare.
«Non ficcare il naso in affari che non puoi comprendere, maggiordomo». Il suo tono si era fatto improvvisamente serio, e avrei potuto giurare di vedere un lampo di tristezza – o meglio, di disperazione – passargli negli occhi. Aggrottai la fronte, per nulla impietosito. Non avrei mostrato alcuna clemenza per colui che voleva rubare ciò che era mio.
Stava per arrivare l’ennesimo attacco, ma stavolta fu Grell a pararlo con una velocità e una precisione che da lui non mi sarei mai aspettato. Sorrisi, stupito, lanciandogli uno sguardo di approvazione. Allora non era così inutile come pensavo.
«Oh, Grell, stai scegliendo la parte sbagliata dalla quale schierarti. Sei uno Shinigami come me, perché allora mi vieni contro?».
Il rosso continuò a spingere con la motosega fin quando Undertaker non fece un passo indietro, ritirando la falce. «Se davvero collabori con un demone, sei un traditore. E io non sto mai dalla parte dei traditori».
Il becchino ghignò. «Lo dici mentre difendi un demone, Sutcliffe. Renditi conto di quanto questo suoni fasullo».
«Difenderò Sebastian fin quando le sue azioni non andranno contro il mio lavoro. A quel punto, non ci penserò due volte prima di farlo fuori».
Alzai le sopracciglia, incredulo nell’udire quelle parole. Sembrava proprio che lo spirito di William si fosse impossessato di lui. Ma cambiai subito idea, assumendo un’espressione scocciata, quando lui, voltandosi, sussurrò. «Oh, Sebas-chan, non temere, sto solo facendo finta».
Gli avrei volentieri dato un pugno. Eppure qualcosa mi diceva che fingeva fino ad un certo punto.
Un altro scontro fra falci, ma questa volta sembrava che il becchino stesse avendo la meglio. Digrignò i denti, facendo pressione. La punta sfiorava quasi il petto di Grell. «Devo recuperare quell’anima a qualsiasi costo. Vi avrei detto “Se non volete morire restatene fuori”, ma non sembrate intenzionati a mollare. Quindi..».
«Becchino!».
Undertaker si bloccò all’improvviso, sgranando gli occhi, e tutti e tre ci voltammo verso la voce alle nostre spalle.
«Tu», sibilai, rendendomi conto che quel corpo demoniaco apparteneva al braccio destro di Alaister. «Che ci fai qu-».
In un secondo, tutto mi fu chiaro. Undertaker stava lavorando per Alaister, era lui che all’inferno desiderava così tanto l’anima di Ciel Phantomhive. Digrignai i denti, mentre l’odio risaliva in superficie. «Non avevo già detto al tuo padrone di togliere le grinfie di dosso alle mie cose?».
Il demone sorrise appena, venendomi in contro. «Sebastian Michaelis, che sorpresa trovarti qui. Ero venuto a prendere il becchino, ma se posso ottenere due piccioni con una fava..».
Serrai i pugni. «Dov’è Ciel?».
«In un posto sicuro», sussurrò lui stringendo gli occhi.
Il mio pugno si aprì, mentre ogni speranza pian piano mi abbandonava.
L’avevano preso, erano riusciti a trovarlo nonostante io mi fossi allontanato da lui. Ogni mio sforzo era stato vano.
«Credevi che allontanando la tua aurea demoniaca noi non saremmo stati in grado di trovarlo? Che demone ingenuo. Tenevamo quel bambino sotto controllo da un po’, come hai potuto non accorgertene? Sei proprio un pessimo maggiordomo».
Feci istintivamente un passo in avanti, ma una mano sulla spalla mi bloccò. Era Grell. «Toglimi le mani di dosso», ringhiai con una voce che quasi non era più la mia, ma quella del mostro che ero realmente.
Il rosso sembrò non ascoltarmi. «Se lo uccidi, non saprai mai dov’è il tuo piccolo conte».
Aveva ragione.
Tornai in me, captando dalla sua testa il piano che aveva ideato. Se quel demone era venuto qui per prendere lo Shinigami e portarlo all’inferno, noi avremmo potuto seguirlo. In quel modo, avrei potuto ritrovare Ciel e portarlo in salvo. Le apparenze ormai non avevano più valore.
Il demone affilò lo sguardo, ma tornò a rivolgersi ad Undertaker.
«Tu, vieni con me. Alaister ti ha convocato».
Lui non ne sembrò sorpreso, ma nemmeno troppo entusiasta. «Avete il bambino, cosa volete ancora da me? Voglio la mia ricompensa».
Serrai la mascella. Non capivo cos’avesse potuto spingere Undertaker a vendersi ad un demone. Cos’è che poteva volere così disperatamente?
«È ancora presto per quella, ci servi per un’ultima cosa. Dovremmo sbrigarci, ma devo prima occuparmi di questi due».
Io e Grell ci scambiammo uno sguardo, eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Adesso.
Con uno scatto afferrai la death scythe di Undertaker, strappandogliela dalle mani e puntandola contro il petto del demone mentre Grell, alle sue spalle, teneva  l’altra all’altezza della sua gola, bloccandolo.
«Sono convinto che se scendessi all’inferno non riuscirei a trovare Alaister e Ciel. Quindi dimmi dove sono, se non vuoi che due falci della morte ti facciano il funerale».
Lui digrignò i denti. «Come osi, traditore!».
Le mie iridi diventarono iridescenti, mentre un sorriso maligno mi si apriva sulle labbra. «Basta chiacchiere. Dimmi subito ciò che voglio sapere, hai tre secondi. Uno..».
«..Due», fece eco Grell.
Il demone iniziò ad assumere la sua vera forma, ma sapeva bene che bastava un movimento sbagliato per ucciderlo, le falci gli erano puntate addosso senza lasciare spazi vuoti o vie di fuga.
«Non sembri intenzionato a parlare, vedo. Bene, allora direi che possiamo passare subito alla parte in cui muori».
Alzai la falce, prendendo lo slancio, con un ghigno divertito dipinto sul volto.
«Tre!».

 
**************************************************************

 
Ero ancora stordito, non riuscivo a capire ciò che stesse accadendo intorno a me. Sapevo solo che avevo rifiutato quella mano, ma ero stato portato via con la forza.
Adesso, mi trovavo in un ampio atrio adornato solo da una specie di trono al centro. Era circolare, e dodici colonne in pietra scura ne delimitavano l’entrata. Tutto era ombroso, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
«Dove..».
«Dove siamo?».
Alzai lo sguardo. Quello che avevo davanti era sicuramente un demone, le sue iridi e il suo aspetto etereo ne erano la prova. Ma quei lunghi capelli biondi mi ricordavano..
«Sei tu, vero? Sei tu la donna-demone senza nome».
Lui sorrise, alzandosi e venendomi vicino per afferrarmi dal mento. «Sì, ho assunto quella forma perché speravo di farti cadere in tentazione, ma dato che è inutile sono tornato alla mia vera essenza», fece una pausa. I suoi occhi erano diversi da quelli di Sebastian. Possedevano una malvagità ben più profonda, che non riuscivo a inquadrare. «Il mio nome è Alaister. Benvenuto all’inferno, conte Phantomhive».
Sgranai gli occhi. All’inferno?
«Tranquillo, va tutto bene. Sono qui per aiutarti».
Deglutii, ricordando tutta la nostra precedente conversazione. «Aiutarmi..».
Ero davvero sicuro di voler abbandonare tutto? Il dolore era ciò che mi rendeva chi ero. Abbandonarlo, sarebbe stato come abbandonare me stesso.
Mi feci forza, serrando i pugni e aggrottando la fronte. «Se vuoi aiutarmi, inizia col dirmi chi era il responsabile di quella visione, quella del corpo dei miei genitori. Dimmi chi è stato».
Alaister sorrise, inclinando il capo.
«Io, naturalmente».
Mi bloccai, le labbra dischiuse.
«Devi uccidere qualcuno, Ciel. È sempre stato questo il mio obiettivo. Quando Sebastian è andato via, con l’aiuto di Undertaker sono riuscito ad impiantare nel tuo cervello l’idea che, per riaverlo, avresti dovuto uccidere un’anima innocente. Ma tu sembravi deciso a non farlo, e quella visione era solo un input. Non prendertela così, piccolo conte. Lo facevo per il tuo bene. Peccato che quel tuo maggiordomo appaia sempre nel momento sbagliato».
Sentivo una nuova rabbia scorrermi nelle vene. Un odio cieco che mai prima d’ora avevo provato. Ma c’era anche una parte di me che era delusa, perché quella non era una pista per ritrovare il colpevole della morte dei miei genitori.
«Perché? Perché vuoi che uccida qualcuno?», sibilai, tenendo la testa bassa e i pugni stretti.
«Perché sei un demone, ed è questo che i demoni fanno. Il problema è che tu sei.. come dire, un incrocio? Ecco, la tua anima è rimasta bloccata in un posto, e questo non ti rende un demone al cento per cento. Voglio solo aggiustarti, Ciel. Renderti come noi».
La testa iniziò a girarmi, non riuscivo a capire ciò che stava succedendo. Le parole di Alaister sembravano senza significato. Un sorriso amaro mi si disegnò sulle labbra. «Sono uno scherzo della natura, un umano che non riesce ad essere un demone e un demone che non riesce ad essere un umano. Bloccato nel mezzo, senza possibilità di cambiare. È un’impasse».
«Non proprio. È per questo che voglio farti diventare come me: ti darò il potere, e tu potrai fare ciò che vorrai. Potrai vendicare i tuoi genitori, o distruggere un’intera città solo per noia. Potrai mangiare anime o uccidere solo per piacere, potrai decidere la vita e la morte di una persona. Non è questo il più grande dei poteri? Non è questo ciò che potrebbe tornare a farti sentire vivo?».
Alzai il capo. I miei occhi erano cambiati, diventando come i suoi. La sete di vendetta, di potere, stavano risvegliando in me qualcosa.
Ero ad un bivio, ma tutto ciò che vedevo era l’oscurità. Ci sguazzavo, ne ero accecato. Perché avrei dovuto scegliere qualcosa di diverso?
«Cosa vuoi in cambio del potere?».
Lui ghignò. «La tua anima, ovviamente. L’anima che adesso è bloccata nel mezzo, voglio che diventi mia. Voglio assaporare l’anima bianca caduta nell’abisso».
«Disgustoso», sibilai, arricciando il labbro. «E sia. Prenditi la mia anima e dammi il potere. E non voglio che tu fallisca come l’altro».
Inclinò il capo. «L’altro?».
Voltai lo sguardo. «Sebastian Michaelis».
Lo avrei ucciso con le mie stesse mani, tutto questo era colpa sua. Ed era colpa sua se ancora non ero riuscito ad abbandonare tutto.  
Il rumore del grosso portone in pietra e legno che si spalancava catturò la nostra attenzione, ed entrambi ci voltammo.
Alaister si rimise dritto, inclinando il capo alla vista del duo. «Crowley, sei tornato con il becchino. Come mai ci hai messo così tanto tempo?».
Affilai lo sguardo. C’era qualcosa di sbagliato nella sua espressione. Undertaker, dall’altra parte, sembrava serio. Fin troppo. In quel momento ricordai che avrei dovuto sentirmi tradito per ciò che aveva fatto, ma ormai non aveva più importanza. Tutto aveva iniziato a scivolare via.
Ma dalla bocca di quello che si chiamava Crowley iniziò a sgorgare del sangue, ed il suo corpo cominciò a ridursi in cenere mentre, alle sue spalle, Grell Sutcliffe ripuliva dal sangue la sua motosega.
Alzai un sopracciglio. «E tu che diavolo-». Mi bloccai non appena l’altra figura fece il suo ingresso nella stanza.
Le mie dita si serrarono immediatamente, e quando i nostri sguardi si incrociarono l’elettricità nell’aria era palpabile. Sorrisi di sbieco, facendogli un cenno con la mano.
«Sebastian, stavamo giusto parlando di te».






TO BE CONTINUED:

Inizio con lo scusarmi IMMENSAMENTE per non aver pubblicato la settimana scorsa e per aver aspettato ben due settimane per un capitolo. Sono stata molto impegnata con la scuola, ma ora posso almeno respirare. Mi scuso inoltre perché avevo promesso una scena strappalacrime Sebastian/Ciel, ma mi sono resa conto che non era questo il capitolo adatto, avevo fatto male i conti. Per esigenze di trama, dovrà aspettare ancora un capitolo o due, non di più.
Comunque sia, spero che questo capitolo vi sia piaciuto (se c'è ancora qualcuno che lo leggerà ç_ç). Un po' della verità è venuta a galla, qualche mistero è stato sciolto. Ma adesso abbiamo visto un Ciel tendenzialmente diverso, il cui unico scopo è la vendetta. Riuscità Sebastian a farlo tornare in sé?
Continuate a leggere per saperlo v.v

Recensite se vi va, mi renderebbe davvero felice sapere che il mio lavoro viene apprezzato ç_ç
Alla prossima settimana!

Ah, piccolo post scrittum.
Non so se l'ho già detto - che memoria! - ma a volte è difficile rimanere IC, e non posso fare a meno di andare almeno un po' OOC per esigenze di trama. Mi scuso!

 

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Capitolo 12
*** Quel maggiordomo, dolorosi inganni. ***


Rivolsi il mio solito sorriso gentile e professionale al bambino che, con sguardo malvagio, mi faceva cenno di avvicinarmi.
Quello non era il mio bocchan.
Era un estraneo con le sue sembianze.
Lo scrutai, cercando di percepirne le vibrazioni e rendermi conto di chi avessi davanti. Una copia, magari. Un fantoccio addestrato a parlare e muoversi esattamente come lui. Ma, in quel luogo di anime dannate, era impossibile distinguere la natura di un cuore.
Serrai la mascella.
In fondo, sapevo benissimo che quello era Ciel Phantomhive. La punta di sadismo mista a dolore nel suo sguardo era inconfondibile, e nemmeno il migliore dei trucchi sarebbe riuscito a replicarla. Feci un passo verso di lui, giurando vendetta verso quel demone che mi aveva derubato.
Oh, bocchan, cosa ti hanno fatto?
«Avevo sentito del tuo arrivo qui, piccolo conte», lo apostrofai.
Lì, all’inferno, portargli rispetto non sarebbe servito a nulla. A conti fatti, era lui che doveva portarne a me. «Non pensavo ti lasciassi abbindolare dal primo demone che promette di darti la vendetta».
Ciel serrò i pugni, ma il suo mantenere le apparenze ebbe la meglio. Deglutì, lanciandomi un vago sorriso. «Non perdi mai il senso dell’umorismo, Sebastian».
«Credo sia una qualità innata di noi demoni. Dovresti averlo imparato, ormai».
Non potevo dare per certo che lui conoscesse la verità sul suo essere un semidemone. Alaister poteva avergli detto qualsiasi cosa, pur di attirarlo dalla sua parte.
«Lo saprò presto», commentò semplicemente.
Questo voleva dire che era a conoscenza di tutto, e nonostante sapesse che per la sua anima c’era ancora speranza, aveva deciso di prometterla per la seconda volta.
Proprio non vuoi saperne di essere salvato, eh, bocchan?
Alaister si frappose tra noi. «Quale piacevole sorpresa! Non pensavo ci avresti raggiunto così presto, demone. E, soprattutto, non avevo idea che ti saresti trascinato nuovamente dietro quel tipo».
Grell serrò le palpebre, stringendo la mano attorno all’impugnatura della motosega.
Per natura non era mai stato un tipo paziente, in più quel posto gli metteva ansia, potevo avvertirlo. Era pur sempre uno shinigami all’inferno.
«Ridammelo».
Il demone si aggiustò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. «Ciel Phantomhive non ti appartiene più. Il marchio scomparso ne è la prova. Ed il mio marchio, la conferma».
Sgranai gli occhi. La mano di Alaister era coperta da un sigillo sotto molti aspetti simile al mio, ma più complesso.
Un patto tra demoni.
Semidemone o no, in quel caso non faceva differenza.
«La sua anima ormai mi appartiene, maggiordomo. Hai perso».
Quelle parole cercarono di insinuarsi dentro di me, scalfendo quel muro che per tutto quel tempo era riuscito ad infondermi sicurezza.
Mi ero ripetuto che lo stavo facendo per il suo bene, per il bene di Ciel, ma le mie azioni non avevano forse portato a disastrose conseguenze, il cui unico colpevole ero io?
«Non gli interessa di darti quello che vuoi, Ciel. Vuole solo capire come riuscire a divorare la tua essenza».
Ciel non sembrò affatto colpito dalle mie parole, ovviamente.
«Non credo che questi siano più affari tuoi», mormorò. «E non credo che questo sia il tuo posto. Stare al mio fianco non è più un tuo dovere, sei libero di andare come hai sempre voluto».
Aprii la bocca per replicare, ma mi resi conto che quello non era né il posto né il momento giusto per raccontargli tutto. Dovevo continuare a mostrarmi spietato, davanti al nemico.
«Mettiamola così: anche a me spetta una ricompensa per averti aiutato fino ad ora, e di sicuro non sono il tipo che fa qualcosa senza ricevere nulla in cambio».
In pochi attimi mi trovai alle sue spalle. Lo sentii irrigidirsi e trattenere il fiato. «Brami dalla voglia di farmela pagare, non è vero?», sussurrai, appoggiando una mano sulla sua spalla. «Allora cosa aspetti? Sono qui, proprio davanti ai tuoi occhi».
Il piccolo conte si voltò di scatto, allargando le gambe in una posizione d’attacco che, sapeva bene anche lui, non avrebbe mai sfruttato. Digrignò i denti, iniziando ad ansimare dalla rabbia. «Tu, come osi..».
«Questo è il mio posto», lo interruppi. «E posso osare quanto mi pare».
Le parole di Ciel furono bloccate prima di venire alla luce da un battito di mani.
«Siete così strani, voi due. È interessante starvi a guardare, ma ho altri progetti per il mio protetto».
Alaister posò una mano sul capo di Ciel, lanciandomi uno sguardo carico di soddisfazione.
Era ancora convinto di avere il coltello dalla parte del manico.
«È arrivata, per il piccolo Ciel, l’ora di divorare la sua prima anima».
E forse ce l’aveva davvero.
Rimasi pietrificato al mio posto, assimilando lentamente ciò che il demone aveva appena detto.
Divorare un’anima? Solo i demoni potevano farlo, e Ciel non lo era del tutto. Non ero sicuro che avrebbe funzionato, ma non era una questione da sottovalutare.
Non potevo permettere che la mia anima pura si macchiasse di una tale atrocità, di un abominio di quella portata. L’avrebbe macchiata in modo irreparabile, bucandola e rendendola inservibile.
Proprio per questo, l’anima di un demone non poteva essere mangiata.
«Sai che nel momento in cui i suoi denti affonderanno nella carne latente di un’essenza umana, non potrai più cibarti di lui. Diventerà un demone a tutti gli effetti e né tu né io potremo avere la nostra parte».
Il demone sorrise. «Oh, Sebastian, tu mi sottovaluti. Mi credi davvero così sprovveduto?».
Soltanto dopo avrei compreso quale fosse in realtà il suo piano.
«Portatela qui».
Al suo cenno, dei demoni minori portarono al centro della stanza una donna.
Una donna mortale.
Il suo odore era così allettante che mettere in dubbio l’umanità di quell’essere sarebbe stato da stupidi.
Era bendata, quindi non riuscivo a vedere di che colore avesse gli occhi. I suoi tratti e i suoi capelli castani non mi ricordavano nulla in particolare.
Ma, qualcuno che fino a quel momento era rimasto in silenzio, emise un gemito strozzato.
Alle nostre spalle, Undertaker aveva appena sgranato gli occhi, incredulo.
Alaister ghignò, crudele. «Questo è il tuo primo pasto, conte. Spero che tu possa gradirlo».
«Cosa?».
Ci voltammo tutti di scatto.
Undertaker, mantenuto da due sottoposti di Alaister, cercava in tutti i modi di divincolarsi e raggiungerlo. La sua espressione era furente, intimidatoria. Non l’avevo mai visto così vivo.
«Tu, feccia, avevi promesso!».
Il demone rise. «Undertaker, tu chiami feccia me? Tu che ti sei venduto per così poco?».
«Lei non è poco!».
La frase, urlata all’oscurità, fu seguita da un silenzio carico di aspettative.
Tutti erano in attesa della prossima mossa, senza che nessuno sapesse chi l’avrebbe compiuta.
Alternai lo sguardo dallo shinigami al demone, pronto ad intervenire per tenere al sicuro il bocchan.
«Uno shinigami, un dio, schiavo di un sentimento umano. Non sei degno di possedere quel titolo, e dovresti bruciare all’inferno insieme alla tua amata».
Undertaker urlò. «Non sottovalutarmi, serpe. Ti ho promesso il mio aiuto solo in cambio del tuo favore. Non rimangiarti la parola, se non vuoi che-».
«Se non voglio cosa? Che tu mi uccida?». Schioccò la lingua. «Credi davvero di poterci riuscire, stolto? In ogni caso, l’unico che ci andrà a perdere sei tu. E lei morirà di nuovo».
«No!».
All’improvviso, ogni cosa si fece chiara ai miei occhi. Undertaker era stato innamorato di un’umana, e Alaister gli aveva promesso di portarla indietro. Ecco spiegato perché uno shinigami aveva deciso di collaborare con un demone.
Ma c’era qualcosa di sbagliato in tutto quello.
Un’anima, una volta morta..
«Ciel, non fartelo ripetere ancora. Divora la sua anima».
Il piccolo conte era rimasto pietrificato per tutto il tempo. A quell’ordine, mosse un passo verso la donna al centro della stanza. Ma i suoi occhi si erano svuotati da ogni emozione.
«Phantomhive, non lo fare», ringhiò Undertaker. «Giuro che ti ucciderò. Se la sfiori, giuro che ti ucciderò».
Schiavo di un amore che gli avrebbe portato solo sofferenze, Undertaker si stava sbriciolando dall’interno.
Ed io, per la prima volta, non sapevo cosa fare per porre rimedio a quell’assurda situazione.

 

 
* * * * * *

 
Non sapevo se divorare un’anima era l’equivalente di uccidere qualcuno.
In quel caso, mi sarei macchiato di un doppio peccato.
Il mio corpo si muoveva da solo, come se fosse comandato da fili invisibili che qualcuno, dall’alto, manovrava.
Mi ritrovai davanti alla ragazza, tremava. Non riuscivo a metterla a fuoco, forse a causa dell’oscurità che vigeva in quel posto. Le sfiorai una ciocca di capelli seguendo i miei stessi gesti con gli occhi, ipnotizzato da quel tocco. Non avevo diritto di carezzare colei a cui, di lì a poco, avrei sottratto la vita.
«Cosa devo fare?», anche la mia voce era distante. Talmente eterea che quasi non sembrava la mia. Ero davvero io quella persona?
«Baciala, poi ti verrà naturale».
Avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere. I demoni avevano un modus operandi alquanto insolito.
Chinai il capo, sfiorandole il mento e sollevandolo.
«Come ti chiami?», mormorai per inerzia.
Il suo respiro era affannato, la sua voce sussultava. Ma, nonostante questo, si sforzò di darmi una risposta. «Anne».
Qualcuno, da qualche parte, lanciò un grido di dolore.
«Anne», ripetei. «Anne».
Gustai quel nome, immaginando come sarebbe stato il sapore della sua anima.
Dolce, piccante? Non ne avevo idea.
«Mi dispiace Anne, ma..-».
E poi, fu come se una forza incorporea mi strattonasse, prendendomi a schiaffi.
Respirai.
E aprii gli occhi.
Tutto cambiò in meno di un battito di ciglia: mi guardai intorno, il cuore che mi martellava nel petto e la paura che, poco a poco, cercava di prendere possesso di me.
Che cosa sto facendo?
Mi allontanai , cadendo all’indietro.
«N-non posso», balbettai, fissando la ragazza con occhi sgranati. «Non posso farlo».
Avevo davvero anche solo pensato di fare del male a quella creatura innocente?
Mi ero sempre preoccupato di proteggere le persone, dando la giusta punizione solo a chi lo meritava. Stavo per cadere nella stessa trappola per la seconda volta.
«Sebastian».
Il suo nome mi si formò involontariamente sulle labbra, in una richiesta d’aiuto.
Allacciai lo sguardo al suo, e seppi di essere al sicuro.

 

  * * * * * *
 

Alaister non aveva mai avuto intenzione di far divorare un’anima al bocchan. E non aveva mai avuto intenzione di ridare Anne ad Undertaker. Anche per uno del suo calibro, riportare in vita i morti era impossibile.
Quella ragazza era stata una semplice illusione. Un banale trucco per fare in modo che Ciel riaccendesse l’umanità a cui lui stesso aveva rinunciato.
Lo aveva plagiato, facendolo cadere nell’oscurità solo per fare in modo che il piccolo conte gli promettesse l’anima. E, da quel momento, aveva fatto in modo che Ciel ricominciasse a provare emozioni, ricominciasse a sentire.
Era stato quello il piano di Alaister, fin dall’inizio.
Ed io ero stato troppo cieco per rendermene conto.
«Bocchan!».
Ciel tremava. Tremava come mai aveva fatto in vita sua. E mi fissava con gli occhi azzurri spalancati e innocenti, proprio come quella notte.
«S-Sebast-tian», mormorò, allungando una mano.
Non sapevo cosa fare. Schiusi le labbra, incerto, mentre la mia mano si spingeva istintivamente verso la sua.
E, senza esitazione alcuna, il piccolo conte si fiondò tra le mie braccia, stringendomi come mai aveva fatto prima d’allora.
Mi bloccai, incapace di compiere qualsiasi azione: dal ricambiare la stretta al semplice spiccicare parola. Non avevo mai provato niente del genere.
Una sensazione di calore, al centro esatto del petto, sembrava volersi allargare in tutto il mio corpo.
Ed il bocchan piangeva lacrime amare, stringendo i lembi della mia giacca.
Mi sentivo impotente.
Non potevo comprendere il suo dolore, quello di sottrarre la vita a qualcuno. Lo avevo sempre fatto con naturalezza, con piacere. Quella disperazione mi era del tutto sconosciuta.
Incrociai lo sguardo di Grell, che fissava la scena sbalordito. Nessuno si sarebbe aspettato un crollo del genere dal conte Phantomhive.
Tutti dimenticavamo che era solo un bambino.
Dubitante, gli sfiorai il capo con una carezza. «Non piangere», sussurrai, riuscendo finalmente a muovermi. Lo sorressi con un braccio, alzandomi e fissando lo sguardo su Alaister.
Aveva osato troppo e adesso ne avrebbe pagate le conseguenze.
«Ma che quadretto commovente», esclamò, piegando il capo in un’espressione divertita.
Alla vista di quegli occhi, dentro di me la rabbia crebbe.
Stavo per reagire, con ancora Ciel stretto tra le braccia, ma un cenno del demone mi bloccò.
«Non è ancora arrivato il tuo turno, Sebastian. Come prima cosa, devo liberarmi di questo qui».
In un attimo, si trovò alle spalle di un Undertaker ancora scosso e incapace di ragionare. Non ero sicuro che si fosse reso conto appieno di ciò che stava succedendo, bloccato com’era nella sua bolla di dolore.
La mano del demone si allacciò attorno al collo dello shinigami, sollevandolo in alto. «Non meriti di essere un dio della morte», sussurrò, guardandolo con disprezzo. «E non meriti di morire con onore. È per questo che sarò io, colui che chiami feccia, a toglierti la vita».
Ero pronto a lasciarlo morire.
In fondo, Undertaker aveva collaborato con Alaister, qualsiasi fossero le sue motivazioni.
Ma uno sguardo sbigottito mi venne puntato addosso: Grell mi stava ordinando di fare qualcosa.
Alzai un sopracciglio.
Ti sei forse fatto intenerire dalla storia d’amore?
Sembrava essere determinato. Strinse la falce con l’altra mano, pronto ad intervenire.
Ed io, cos’avrei dovuto fare?






TO BE CONTINUED:
Rieccomi dopo ben due settimane di assenza ç_ç *non sa più in che lingua chiedere scusa* Beh, almeno vi ho dato la scena strappalacrime che vi avevo promesso, è abbastanza per farmi perdonare? No? Vorrà dire che ne avrete un'altra u.u
Posso dire finalmente? Ecco, finalmente tutto - o quasi - è stato svelato. Ma adesso c'è la storia di Undertaker ad incuriosire, oppure non ve ne frega niente? (<.<) Beh, in ogni caso, sarà approfondita nel prossimo capitolo, che sarà un capitolo estremamente sentimentale. Già frigno all'idea.
Bene, con questi dubbi, vi aspetto la prossima volta ^_^

Ah, ultima cosa.
Mi dispiace che il numero delle recensioni vada sempre diminuendo, è forse colpa mia perché non aggiorno con la costanza dovuta o perché la storia inizia ad annoiarvi? Q_Q
In ogni caso, ringrazio chi, costantemente, recensisce o anche solo legge ciò che scrivo. Vi voglio bene, davvero. <3

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Capitolo 13
*** Quel becchino, la fine. ***


La mano di Alaister mi stringeva, tenendomi sollevato.
Ero un fantoccio, ormai. Privato dell’onore, privato del mio grado.
Un burattino nelle mani del nemico.
Che mi finisse, allora. Vivere un altro giorno di quella miseria non sarebbe servito a niente.
Quello sporco demone non aveva mai avuto intenzione di ridarmi Anne, nemmeno per un secondo. Ed io, come uno stupido, avevo lasciato che si prendesse gioco di me.
Sorrisi debolmente, il mio corpo non provava nemmeno a ribellarsi.
«Cosa stai aspettando, diavolo? Strappami quel cuore morto che mi pompa nel petto. È ormai inutile da così tanto tempo».
Alaister mi rivolse una smorfia di disgusto. «A cosa ti sei ridotto, shinigami? Disposto a morire per così poco. Non riesco neanche a provare pietà per te».
«Non cerco la tua pietà», sussurrai. «né quella di altri».
A cosa sarebbe servito opporsi, aggrapparsi alla vita anche se questa non aveva più nulla da offrire? Per tutto quel tempo, avevo vissuto con il solo obbiettivo di riuscire a rivederla, prima o poi. Esplorando ogni strada, cercando ogni tipo di soluzione per rimediare al mio sbaglio.
Lo sbaglio che commisi quella fatidica notte di gennaio.

 

 

 *********************************************************** 

 
Con quel vestito a fiori, Anne era la cosa più bella che avessi mai visto. I suoi capelli, lasciati sciolti, erano lunghi, mossi e, in quel momento, scarmigliati dal vento.
Ero seduto su un masso alto, abiti borghesi e i capelli legati in una coda. In pieno servizio, in realtà. Ma, nonostante questo, non potevo evitare di passare più della metà del mio tempo nell’osservare quella ragazza.
Sorrisi tra me, seguendo le sue giravolte con gli occhi, desiderando di poterla stringere tra le braccia e baciarla fin quando non le fosse mancato il respiro.
«Nathan, cos’aspetti a raggiungermi?».
La sua voce era allegra e squillante. Mi sorrise, quel sorriso che era capace di sciogliermi il cuore. «Arrivo!», risposi, facendo un salto giù e avvicinandomi a lei.
Da gentiluomo quale ero, non l’avrei sfiorata senza il suo consenso. Era un fiore troppo puro, troppo perfetto e innocente perché potessi anche solo scalfirlo.
Mi afferrò la mano guantata, intrecciando le dita con le mie. «Sono felice che trovi sempre un po’ di tempo da passare con me».
Le rivolsi un sorriso, resistendo all’impulso di sfiorarle la guancia con le dita. Mi limitai a stringere un po’ di più la presa delle nostre dita. «Riuscirei sempre a trovare del tempo per te, mia dolce Anne».
Il suo cuore batteva forte, potevo sentirlo chiaramente. Dopo un attimo di esitazione, si allungò sulle punte e sfiorò le mie labbra con le sue.
Fui invaso dal calore, mentre le mie braccia l’avvolgevano dolcemente. «Ti amo», sussurrai al suo orecchio.
Lei arrossì, nascondendo il viso contro il mio petto. «Sai che ti amo anch’io».
Era vero, mi amava. Mi amava nonostante conoscesse tutti gli oscuri segreti che mi portavo dietro. Nonostante sapesse chi ero e qual era il mio destino.
Mi amava senza pregiudizi, senza riserve.
E io le avevo donato il mio cuore.
 
***
 
Erano passati due anni da quel giorno. Giorno in cui, sotto sua richiesta, l’avevo portata lontano dalla sua città natale, permettendole di visitare il mondo. Dal giorno in cui, sotto un cielo stellato, avevo udito i suoi gemiti spezzare il silenzio della notte. Dal giorno che l’aveva vista diventare mia sotto ogni punto di vista.
Giaceva addormentata al mio fianco, le sue braccia che mi circondavano la vita.
Le carezzai dolcemente il capo, senza svegliarla. Avevo del lavoro da fare, lavoro che ultimamente stavo trascurando. Le anime non si sarebbero mietute da sole.
Inoltre, non potevo permettermi di svolgere male il mio lavoro: nell’ufficio amministrativo avrebbero potuto insospettirsi e decidere di passare a controllare cosa stessi combinando. Se ciò fosse successo, se avessero scoperto di Anne..
Al solo pensiero, m’irrigidii. L’avrebbero uccisa senza pensarci due volte.
Provare amore per un’anima umana era fuori dalle cose consentite ad un dio della morte.
Le baciai i capelli, sciogliendo la sua presa e liberandomi di malavoglia del tepore delle coperte e del suo corpo.
Mi rivestii, lasciando però i capelli sciolti sulle spalle, indossai gli occhiali e uscii nel buio della notte.
Il lavoro quella notte non era molto. In lista c’erano soltanto alcune anime, tutte destinate a morire in modo naturale, di vecchiaia, eccetto una. Le presi velocemente, pronto a tornare da lei.
Ma qualcosa, qualcosa di simile ad un’orribile sensazione, mi costrinse a correre, saltando da un tetto all’altro ignorando la possibilità che qualcuno potesse vedermi.
E, quando spalancai la porta, Anne era circondata da shinigami armati di falci.
Schiusi le labbra. «Cosa sta succedendo?».
Uno di loro si fece avanti, aggiustandosi gli occhiali. Il suo sguardo era imperturbabile, quasi indifferente. «Questo dovremmo chiederlo noi a te, Nathan. Ci sono stati dei ritardi nella mietitura delle anime a te assegnate e stasera hai perfino commesso un errore». Fece una pausa, sfogliando la sua lista. «Hai mietuto un’anima al posto di un’altra. Eppure, il nome riportato sul registro è giusto. Come hai potuto sbagliare?».
Sgranai gli occhi e, confuso, iniziai a cercare quel determinato nome sulla mia lista.
E rimasi di stucco.
Avevano ragione, avevo commesso un errore.
Anne mi guardò, tremante. Lacrime di paura rigavano le sue gote arrossate. «Nathan», squittì. «Nathan, cosa succede?».
Deglutii a vuoto, serrando i pugni. «È stato un mio errore, lei non c’entra. Lasciatela andare».
Non avrei permesso che qualcuno le torcesse anche un solo capello.
«Sbagliato. Devi rimediare al tuo errore sacrificando un’altra anima».
Strinsi la mascella. «Bene, vorrà dire che andrò subito a mietere l’anima che era destinata a morire».
Lo shinigami di prima, quello dallo sguardo vitreo, sorrise appena. «Credi che te la caverai così facilmente? Hai sottratto la vita a qualcuno che aveva ancora vent’anni davanti. Dovrai quindi uccidere almeno venti persone innocenti, rinunciando ai tuoi poteri da shinigami per rimediare a quell’unico sbaglio. Oppure..».
Affilai lo sguardo, incrociando il suo.
«Oppure devi uccidere lei».

 
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Con la coda dell’occhio, vidi Grell impugnare meglio la sua falce.
“Sciocco”,avrei voluto dirgli. “ ‘sta fermo. Non ho bisogno di essere salvato”.
Era arrivato il momento di pagare, e nessuno di loro avrebbe dovuto mettersi di mezzo.
Sebastian, con ancora il piccolo conte tra le braccia, lanciava occhiate alternate a me e all’altro shinigami. Nel suo sguardo potevo scorgere chiaramente l’espressione combattuta di chi non sa cosa fare. Mi avrebbe lasciato morire, gli avevo fatto un torto. Era sempre un demone, in fondo.
Ma Grell.. quell’audace rosso, col tempo era diventato la cosa più simile ad un amico che il maggiordomo avesse. E, per quanto lui stesso si sforzasse di non ammetterlo, da quando aveva conosciuto Ciel era cambiato.
La sua anima, quella che nessun demone per definizione avrebbe dovuto possedere, stava tornando in superficie.
Incrociai i suoi occhi per un secondo, e durante quel secondo riuscimmo a comunicare.
Come se ci fossimo letti nel cuore a vicenda.
Gli sorrisi appena, lui distolse lo sguardo.
Ma le parole che mi trasmise nella testa furono ciò che più mi sorprese.
“«Non posso fare di più, ma spero serva a darti la forza di combattere ancora per un po’»”.
Alzai un sopracciglio, confuso.“Che diavolo..?”
Ma, un secondo dopo, la figura di Anne si materializzò nuovamente davanti ai miei occhi. E non era la Anne sofferente che Alaister aveva riprodotto, quella da cui mi ero lasciato ingannare.
Questa era davvero lei.
Schiusi le labbra, lei mi sorrise e allungò la mano verso di me.

 
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Digrignai i denti. «Credete davvero che potrei ucciderla?».
L’altro Shinigami mi trafisse con lo sguardo. «Come pensavo. Sei legato a quest’anima, vero? Sei innamorato di lei. Meriteresti la morte anche tu, per questo affronto».
Abbassai il capo, impotente.
Ero stato scoperto.
«Ucciderò le venti persone, ma non fatele del male».
«No!». Lo sguardo di Anne era pieno di delusione, e mi distrusse dall’interno. Le lacrime si erano fermate, il suo viso era contratto a causa della sofferenza. «Non ti permetterò di macchiarti di un simile crimine. «Uccidi me, Nathan, ti prego. Uccidi me».
Strabuzzai gli occhi, correndo ad afferrare le sue mani e infischiandomene di chi in quel momento ci stava fissando con disgusto. «Non potrei mai uccidere te, come ti passa per la testa? Tu sei la mia anima».
Lei sorrise, sfiorandomi una guancia con la mano. «Va bene così, resterò con te comunque. Ma non permetterò che tu muoia, non permetterò che sacrifichi degli innocenti per me. Sono io quella che deve morire».
Lacrime amare iniziarono a bagnarmi le guance. Come avrei potuto commettere una simile atrocità?
«Non piangere, tesoro. Sai che ti amo e continuerò a farlo, qualsiasi cosa succeda».
Afferrò la falce che stringevo nella mano sinistra, puntandosela al petto.
Trattenni un singhiozzo, bloccandole le mani. «No, Anne, no. Ti prego. Non posso vivere senza di te».
«Sì che puoi», rispose lei, gentilmente. Aveva smesso di tremare, aveva smesso di avere paura. In quel momento era lei a prendersi cura di me. «L’hai fatto per secoli, prima di conoscermi».
«Ma-».
«Niente ma. È una mia scelta».
«Non sei tu a dover prendere questa scelta!», gridai.
«Bene, credo che questa recita straziante sia durata fin troppo. Se non la uccidi tu, lo farò io. E in modo lento e doloroso». Lo Shinigami sorrise, sfiorando soddisfatto la sua falce con la punta delle dita.
In quel momento avvertii l’irrefrenabile impulso di squartarlo in mille pezzettini e darlo in pasto ai cani. Il mio sguardo era carico d’odio, odio che doveva trovare un capo espiatorio.
Stavo per alzarmi, ma qualcosa mi trattenne.
Anne, afferrando la mia mano, aveva spinto la falce fino a sanguinare, perforandosi il petto.
«Anne..».
“Perché?”
Lei tossì, dalla sua bocca sgorgò un rivolo di sangue. «Non sentirti in colpa per questo. Amarti è stata la cosa più bella che potesse succedermi. Conserva il mio ricordo come un motivo per sorridere. Ti amerò per sempre».
Non feci in tempo a risponderle che il suo corpo mi si afflosciò tra le braccia.
Ero impietrito, lo sguardo vacuo e fisso nel vuoto, la bocca aperta.
Era successo tutto troppo velocemente, così tanto che non riuscivo a rendermene conto.
Soltanto poche ore prima, l’avevo baciata e stretta a me in quella stessa casa..
«Anne».
Quel gemito strozzato era tutto ciò che riuscii ad emettere. Sbloccandomi, trovai il modo di stringere a me il suo corpo senza vita.
«Esaminate i cinematic records e mietete la sua anima», aveva ordinato il capo.
Non riuscivo a guardarlo, non riuscivo a controbattere.
«Nathan, puoi ancora considerarti uno shinigami. Torna al lavoro il prima possibile».
Ma non lo degnai nemmeno di una risposta. Mi alzai, con ancora il corpo di Anne tra le braccia e uscii, lasciando indietro sia la falce che gli occhiali.
Quella fu l’ultima volta che qualcuno mi chiamò con il mio vero nome.

 

  ***********************************************************


«Anne, sei tu?».
Lei annuì. «Questo demone è più potente dell’altro. Ma non posso approfittarne, devo dirti subito ciò che devo e sparire. Questa cosa non durerà ancora molto».
Sì, era decisamente lei. Il modo in cui pronunciava la “a”, l’inclinazione del collo quando parlava concitata.. Come era riuscito Sebastian a fare una cosa del genere?
Più potente dell’altro, aveva detto Anne.
Che Sebastian stesse nascondendo qualcosa a tutti quanti?
Mi liberai dalla stretta del demone, ruotando la falce che Grell mi aveva lanciato e puntandogliela alla gola.
Così, mentre Grell giocava col mostro – aveva un assurdo bisogno di squartare gente – io avrei potuto parlare con lei.
Mi avvicinai, incredulo, cercando di sfiorarla.
«Non puoi toccarmi», sussurrò dispiaciuta. «Non sono davvero qui».
Annuii, inginocchiandomi di fronte a lei. «Anne, mi dispiace così tanto. Non c’è un giorno in cui io non pensi a te e non mi maledica per quello che-».
«Basta, Nathan», m’interruppe dolcemente. «Non è stata colpa tua, ho scelto io di sacrificarmi e non me ne pento. Lo rifarei ancora, se potessi».
Quel suo sorriso mi fece tornare indietro nel tempo. Era lo stesso, come se fosse davvero tutto come prima. Per un solo momento, mi concessi di indugiare in quell’illusione.
La figura di Anne era smussata. «Non c’è più tempo», m’informò.
Dio, era durata troppo poco. 
«Quello che volevo dirti è che qui sto bene. Sono in pace. Non devi dannarti per trovare un modo di farmi tornare indietro, non sarebbe naturale. E per quanto io ti ami e desideri stare con te, ora come ora non sarebbe giusto. È questo il mio posto, adesso».
Senza neanche rendermene conto, una lacrima mi bagnò la mano.
«Non piangere», mormorò lei, afflitta. «Voglio solo che tu sia felice. Aiuta quella stramba coppia, hanno entrambi bisogno di essere salvati».
«Ma io..».
Anne allungò una mano, sfiorandomi una guancia. Sgranai gli occhi. «Avevi detto che..».
«Infatti, ma stavolta sono io che sto toccando te».
Eppure, nonostante le sue parole, anche lei sembrava vagamente sorpresa. Si avvicinò, dandomi un casto bacio sulle labbra. «Ci rincontreremo, prima o poi».
E, così com’era venuta, la sua figura si dissolse.
“Sì, ci rincontreremo. È una promessa, Anne”.

 
 ***********************************************************

«Sebastian? Ehi, Sebastian?».
Non lo avevo mai visto così.. stanco. Ansimava, chinato sul pavimento, mentre si teneva una mano alla gola come se gli mancasse l’aria.
Sgranai gli occhi, inginocchiato al suo fianco. «Sebastian, che cosa sta succedendo?».
«Nulla di cui devi preoccuparti, bocchan», biascicò, continuando ad usare quel nomignolo nonostante io non fossi più il suo padrone.
Mi guardai intorno, quella situazione era delle più strambe. Undertaker si era appena rialzato, ma ero sicuro avesse bisogno di un momento. Grell, invece, sembrava in seria difficoltà: battersi contro un demone di quella portata da solo non doveva essere tanto semplice.
Se Sebastian non si fosse ripreso in fretta..
«Undertaker», chiamò lui, attirando l’attenzione dello shinigami. «Visto che mi devi un enorme favore, porta via lui».
Cosa?
«No! Sebastian, non voglio, io..-».
Lui mi afferrò le spalle, guardandomi intensamente negli occhi. «Ascolta, devi andare via di qui. Non posso permettere che tu muoia.. di nuovo. Non prima di averti restituito ciò che è tuo».
Serrai i pugni.
Abbandonarlo ad affrontare un nemico che io stesso avevo scatenato sarebbe stato da codardi, ed io non ero un codardo. «No, resterò qui ad aiutare».
I suoi occhi cangianti ardevano. «Ciel, ti ho detto di andare via. Undertaker ti porterò al sicuro».
Non mi lasciarono neanche il tempo di controbattere. Lo shinigami mi afferrò, trascinandomi via senza dire niente.
Ma qualcosa lo costrinse a fermarsi subito dopo.
Durante la nostra piccola bisticciata, Alaister era riuscito ad avere il sopravvento su Grell e a sfilargli la falce di Undertaker. L’aveva lanciata nella nostra direzione, ma qualcosa si era messo di mezzo.
Lui mi fissò ad occhi sgranati, mentre la macchia rossa sui suoi abiti si espandeva sempre di più. «Sca..ppa», sussurrò a stento,  mentre le sue gambe cedevano.
Sebastian.







TO BE CONTINUED:
Siamo già al capitolo 13, ahhh. Sono felice delle vostre recensioni e sollevata che la mia storia sia ancora seguita. Dopo questo capitolo, incentrato per lo più su Undertaker e Anne, avremo una mezza battaglia che si concluderà in modo tragico.
Ovviamente, non dico per chi.

Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Quel maggiordomo, anima pura. ***


 
È dunque vero che,
durante quell’attimo di estremo susseguirsi di emozioni,
il tempo sembra rallentare?

 

«Sebastian!».
Non pensavo di aver pronunciato davvero il suo nome, di averlo fatto ad alta voce.
C’è solo una cosa che può uccidere un demone – a parte un altro demone.
La falce di uno Shinigami.
Sgusciai via dalla presa di Undertaker, afferrando il mio maggiordomo dal colletto della camicia.
«Che diavolo stai facendo, moccioso?».
Quelle parole non vennero fuori con l’impronta che probabilmente lui aveva voluto attribuirvi: non era un ringhio furioso, né un’offesa sputata fuori con cattiveria.
C’era un che di gentile, in quella sua frase.
Come se fosse seriamente preoccupato per me.
E, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sentii scoperto.
Vulnerabile.
Le mie emozioni, tutti i miei sentimenti più reconditi, avevano in quel momento la possibilità di venire alla luce. E senza esitazioni, prendere una boccata d’aria. Ricordare a me stesso cosa voleva dire essere fragili, tenere a qualcuno.
E vedere quel qualcuno morire dinnanzi ai tuoi occhi.
«Hai promesso, Sebastian. Hai promesso che saresti stato il mio maggiordomo per sempre. Non puoi morire, ti ordino di non morire».
Il demone mi rivolse un mezzo sorriso stizzito. «Mi dispiace, bocchan», sussurrò. «Ma è stato lei a rompere il contratto».
Sgranai gli occhi, rendendomi conto solo allora di ciò che, in un momento di ira, avevo combinato.
Avevo creduto che Sebastian mi avesse abbandonato, tradito.
Avevo creduto di essere rimasto solo.
Ma tutto ciò che lui aveva fatto, era stato cercare di farmi tornare in possesso della mia anima ed evitare che mi cacciassi nei guai.
E per colpa mia, entrambi i piani erano falliti.
Gli tirai uno schiaffo. «Quanta arroganza nel tuo tono».
I suoi occhi, privi della solita scintilla di malizia, parvero riacquistare un po’ di vitalità. «Non sono più tuo servo, e finalmente posso permettermi di rivolgermi a te come più mi aggrada».
Deglutii a vuoto, incapace di lasciar andare quel corpo.
L’involucro che apparteneva a colui che avrei dovuto odiare.
Colui con cui avevo stretto un patto, colui che non era riuscito a soddisfare le mie richieste, colui che con la sua negligenza aveva fatto in modo che diventassi un demone. Un semidemone.
Eppure, il solo pensiero che Sebastian potesse davvero morire..
Tutto questo è tremendamente sbagliato.
«Hai ragione», borbottò. «Lo è. La tua anima ora non sembra più così invitante».
Cosa stava facendo, voleva sdrammatizzare? Era lui a rischiare la vita e l’ironia, in quel momento, non era tollerata. Digrignai i denti. «Maledizione, demone, come puoi non cercare nemmeno di reagire?», gli diedi uno scossone. «Non puoi arrenderti, non dopo un solo colpo, non così..».
La mia voce si ruppe e fui costretto a fermarmi.
Fu solo quando le dita affusolate di Sebastian mi sfiorarono la guancia, che mi accorsi che una lacrima solitaria aveva fatto la sua comparsa.
Lacrima carica di dolore, frustrazione, rabbia.
Sebastian non poteva morire in modo così banale.
«Stai piangendo?», sussurrò il demone, aggrottando la fronte.
Nemmeno lui, che mi conosceva meglio di tutti, si sarebbe aspettato questo da me.
Mi affrettai ad asciugarmi il viso con la manica. «No. Piangere è per i deboli, io non lo sono».
Lui tossì, ridacchiando.
«Sai, mocciosetto, sei stato il padrone più fastidioso che abbia mai avuto. Le tue richieste sono state assurde fin dal primo momento, eppure qualcosa in te mi spingeva a non ucciderti, a preservarti, a proteggerti. Col passare del tempo, ho iniziato a farlo non perché eri tu a ordinarmelo, ma per un istinto irrazionale. Come.. come se, in qualche modo, mi fossi legato a te. Ad un umano piccolo e viziato».
Avrei voluto fermarlo.
Avrei voluto dirgli di tacere.
Non avrei accettato quel discorso melenso come addio, né nessun altro. Doveva rimettersi in piedi e dimostrare che era il migliore, come aveva sempre fatto.
Lo strattonai ancora una volta. «Smettila, idiota, smettila con queste stupidaggini e dimmi cosa posso fare!».
«È troppo tardi».
Troppo.. tardi?
Sebastian sorrise appena. «Forse, però, c’è qualcosa che puoi fare..», iniziò, lentamente.
Sì, c’era qualcosa che potevo fare.
Schiusi le labbra, rendendomi conto che l’avevo sempre saputo.
Era davvero troppo tardi?
«..Puoi aprire gli occhi».

 
 

È proprio in quei momenti..
..che il tempo sembra rallentare.

 

C’è solo una cosa che può uccidere un demone - a parte un altro demone.
La falce di uno Shinigami.
E c’è solo una cosa che può salvarlo dalla dannazione eterna.
Il sacrificio di un’anima pura.

 

E se, durante uno di quei momenti..
..il tempo si fermasse davvero?

 

Aprii gli occhi di scatto, sobbalzando.
Le labbra di Sebastian mi stavano dicendo di fuggire.
Durante quel secondo in cui il tempo si era fermato avevo capito cos’era giusto fare.
E questa volta non sarebbe stato troppo tardi.

 
************************************************

 
Gli occhi del bocchan avevano assunto, in meno di qualche secondo, una strana ombra di comprensione. Il terrore sul suo volto era durato poco, troppo veloce perfino per me.
Come se per lui, il tempo, si fosse fermato per qualche istante.
Il suo viso era risoluto, fermo, mentre si divincolava dalla presa di Undertaker e mi afferrava dal colletto della camicia. Aggrottai la fronte.
Le cose stavano andando diversamente da come avevo previsto.
Di quel passo, sarei riuscito ad evitare quello stupido discorso strappalacrime.
«Cos’hai in mente?», tossii.
«Ti cedo la mia anima».
Sorrisi appena. «Mi piacerebbe poter acconsentire, ma vedi.. la tua anima non solo è bloccata nel limbo, ma è promessa a quel tizio biondo».
«È qui che ti sbagli, Sebastian:», sussurrò, chinando il capo. «La mia anima è sempre stata mia, anche quando era vincolata a te. E se io scegliessi di sacrificarla.. beh, nessuno mi potrebbe impedire di farlo».
Rimasi in silenzio, confuso.
«Ecco, io..». Deglutì, distogliendo lo sguardo dal mio. «È il mio modo di ringraziarti. Se ti trovi in questa situazione è colpa mia e.. oh, adesso basta o sarà di nuovo troppo tardi».
Di nuovo?
E poi, senza che avessi il tempo di rispondergli, il piccolo Conte Phantomhive posò le labbra sulle mie.
Cosa.. significa?
Le nostre menti entrarono in contatto.
Non era mai successo che un’anima si donasse di sua spontanea volontà al proprio aguzzino.
Quello poteva essere chiamato sacrificio?
«Sebastian?».
La sua anima era così bella, splendente.
Eppure, per la prima volta, non avvertivo la bramosia di possederla.
Volevo solo guardarla, sentirla.
«Anche tu hai un’anima, allora?».
L’avevo davvero?
Chi ero io, prima di diventare un demone?
C’è davvero stato un prima?
«Io..».
Ciel?
«Ti sento, Sebastian».
Non capivo cosa stesse succedendo. Per la prima volta, mi sentivo preso in contropiede.
«Cos’ha fatto, bocchan?».
Sentii la sua risata cristallina riempirmi. Quello non era il Ciel che tutti conoscevano, quello scorbutico e dall’aria sofferente. Quella era la parte della sua anima più pura che avessi mai visto.
Era così innocente, così splendida, che a starle vicino mi sentivo meno sporco.
«Non lo so con esattezza. Ma la mia anima è tua adesso, ed è ciò che più conta».
La tua anima.. mia?
«Cosa succederà adesso?».
Quella voce infantile tornò seria. «Adesso tocca a te aprire gli occhi».
Aprire gli occhi.

 
C’è solo una cosa che può salvare un demone dalla dannazione eterna.
Il sacrificio di un’anima pura.











 

TO BE CONTINUED:

Sì, questo capitolo è corto e strano, ma è molto importante. Spero che tutti abbiate capito cosa sia successo, perché dal prossimo ci sarà un cambiamento radicale. Mi scuso per il ritardo, ma sono riuscita a scriverlo solo adesso c.c
Ah, vorrei inoltre ringraziarvi perché il primo capitolo è arrivato all'esorbitante numero di 600 visualizzazioni. Vi amo, davvero. Non so cosa farei senza il vostro sostegno. Grazie a tutti, alla prossima!

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Capitolo 15
*** Quel maggiordomo: nascita, vita, morte. ***


Avvertimenti:
Questo capitolo, diviso in tre mini-capitoli (che ho messo tutti insieme per non farvi aspettare troppo), non prende ispirazione da nulla in particolare, ergo non contiene spoiler (tranne che un lieve accenno nell'ultima parte). E' quasi tutto frutto della mia mente malata, quindi mi scuso se a tratti sembrerà OOC.
Inoltre, la scelta dei primi due pezzi in terza persona e dell'ultimo in prima è motivata.
Spero non vi disturbi.



 

Quel maggiordomo, nascita.

 
La pioggia scrosciante bagnava il corpo esanime di una donna, distesa in modo scomposto sul terreno umido. I suoi arti parevano piegati in posizioni impossibili, sicuramente spezzati, ma le dita della mano ancora sembravano volersi muovere.
Deglutì a fatica, cercando di chiedere aiuto.
Non per se stessa, poco le importava di morire, ma per il piccolo che aveva appena dato alla luce.
C’era qualcosa di innaturale in quel bambino, ma.. beh, non sarebbe potuto essere altrimenti.
Lui la guardava con occhi maligni, furbi, ma la donna non riusciva a provare ribrezzo per quella creatura.
Nonostante sapesse cosa fosse e da chi provenisse.
Alcune lacrime le bagnarono il viso.
Come ho potuto, pensava. Come ho potuto metterlo al mondo?
Ma non aveva avuto scelta.
Arriverà tra poco.
Arriverà a prenderselo.
La creatura si mise in piedi, inclinando il capo per osservare meglio la donna che l’aveva generato.
Era piccola, debole, inutile.
Ora che aveva compiuto il suo dovere, lasciarla vivere sarebbe stato uno spreco.
Le si avvicinò, sorridendo. Il suo corpo cambiava sotto lo sguardo impaurito della sua creatrice, crescendo e plasmandosi.
Si inginocchiò al suo fianco, scostandole una ciocca di capelli bagnati dal volto madido di sporco, sudore e lacrime. «Ti ringrazio, umana. Hai svolto alla perfezione l’incarico che ti era stato assegnato».
La donna sgranò gli occhi, il battito del suo cuore che si faceva incontrollabile. Come poteva quella creatura, quella che aveva fatto nascere solo pochi minuti prima, essere cresciuta tanto ed essere in grado di parlare?
Abominio.
L’istinto di protezione che fino a pochi attimi prima aveva cercato di sopraffarla si diradò immediatamente, avvertendo la freddezza del suo tocco. La paura, al contrario, iniziava a farsi strada nel suo cuore.
Mi ucciderà.
«Sì, lo farò», rispose lui, incrociando gli occhi scuri e terrorizzati dell’umana. «E senza provare nemmeno un briciolo di compassione, madre».
Quella parola, quella parola così pura e bella, pronunciata dalle sue labbra sembrava il più perfido degli insulti.
Non posso essere la madre di questa.. cosa.
«Hai firmato un contratto, ricordi? Il tuo grembo in cambio dell’oro che tanto bramavi. E cosa ti è rimasto? Cosa te ne farai dell’oro, quando sarai sotto terra?».
La creatura si alzò, guardando quel misero essere con disprezzo.
Ecco cos’era il genere umano, quello di cui tanto aveva sentito parlare. Un concentrato dei peggiori sentimenti, capaci di peccare con un solo pensiero.
Dovreste morire tutti.
Posò un piede sul suo petto, voltandola a pancia in su.
Il suo corpo era squartato, immerso in una pozza di sangue, le sue ossa rotte, la carne strappata.
«Cosa si prova ad aver messo al mondo il figlio di Satana?».
Quel tono di scherno, quel tono che già una volta aveva udito.
Il tono dell’angelo che l’aveva sedotta.
«Tu, la più viscida tra le donne, la più corrotta e sporca. Dovresti sentirti onorata, ma tutto ciò a cui riesci a pensare è il non poter usufruire delle tue ricchezze. Non sei degna nemmeno di essere uccisa da me».
La donna sgranò gli occhi, ritraendo il braccio dolorante. «Sta’ lontano da me, demone».
Lui ghignò, muovendo il braccio nudo e ormai completamente sviluppato. Il suo aspetto era quello di un uomo maturo, i capelli corvini che gli ricadevano davanti agli occhi color del sangue. Si leccò le labbra, richiamando un cane completamente nero.
«Come il peggiore dei parassiti, morirai per mano di un animale».
La donna urlò, ma nessuno l’avrebbe sentita. I suoi resti si sarebbero decomposti tra le fauci di una bestia.
E il demone le diede le spalle, allontanandosi lentamente. Il pallore della sua pelle in netto contrasto con il nero che portava dentro.
Ghignò, beandosi degli ultimi gemiti di dolore provenienti dal corpo mutilato di colei che l’aveva messo al mondo.
Non temere, padre. Non ti deluderò.
Questo è solo l’inizio.

 

Quel maggiordomo, vita.

 
Quel demone aveva passato i successivi mille anni a sterminare interi villaggi, non curandosi minimamente della qualità delle anime ingerite. Qualsiasi cosa andava bene, ma quasi nulla riusciva ormai a soddisfarlo.
Seduto a gambe divaricate sull’enorme trono vichingo in pietra, nelle profondità dell’inferno, era circondato da ogni tipo di peccato.
Una demone femmina gli si avvicinò, strusciando la guancia contro l’interno della sua coscia.
Tutti volevano un po’ della sua attenzione.
In fondo, era il figlio del più splendente tra gli angeli e del più oscuro fra i demoni.
L’unico ad essere stato concepito e partorito da grembo materno.
L’unico ad avere un’anima, nascosta da qualche parte.
L’unico che conservava in sé quel pizzico di umanità che lo portava a disprezzare tutto ciò che aveva intorno.
Afferrò la donna demone dai capelli, scaraventandola giù dalle scale con un gesto secco. «Non toccarmi».
Piaceri carnali di cui aveva goduto a sufficienza e in ogni modo possibile, avevano perso il qualsivoglia interesse per lui.
Tutto ciò che gli altri demoni ricercavano e apprezzavano, lui lo disgustava.
Perfino l’anima umana, ormai.
«Principe», sussurrò un sottoposto, incrociando il suo sguardo.
Il demone non aveva un nome, nessuno glielo aveva mai dato e a lui non interessava averne uno. «Cosa vuoi?».
«Lucifero vuole..-».
Si alzò, rovesciando sul pavimento in pietra il calice di vino e sangue che fino a quel momento aveva stretto tra le dita affusolate. «Dov’è?».
«Ai cancelli».
Il demone si avviò verso il posto indicatogli senza fare altre domande, con lo sguardo serio e impassibile.
Suo padre lo aspettava nella forma spirituale – era raro che assumesse forma umana. Poteva solo fissare i suoi occhi screziati di rosso fissarlo come divertiti.
«Perché qui?», domandò atono.
«Ho qualcosa per te. Sei così annoiato di recente, figliolo».
Serrò la mascella. «Se è la distruzione di un altro villaggio, non m’interessa».
Lucifero ghignò. «Niente di tutto ciò. Più che altro un test».
Il demone inclinò il capo. «Non ti seguo».
«Sono sicuro che non ti sei mai nutrito di un’anima pura».
«Ovviamente», rispose il demone. «Le anime pure non stringono contratti».
«Questo non è del tutto vero», sussurrò Lucifero. «Stringono contratti in modo diverso. Per salvare dalla morte qualcuno a loro caro, per il bene di un amico o di un parente, per poter donare la gioia di un figlio che non arriva alla propria moglie..».
«Non ho mai conosciuto gente di questo tipo».
«Perché ti sei sempre accontentato della prima vita capitata a tiro. Non conosci nemmeno il gusto di un’anima più raffinata».
«Gli umani sono tutti uguali», ammise sprezzante il demone. «Non vale la pena perdere tempo con loro».
«Oh, figliolo, non sai quanto ti sbagli. Ed è per questo che ti propongo questo test, o sfida».
L’altro rimase in silenzio, in attesa. Lucifero affilò lo sguardo, compiaciuto.
«Dovrai nutrirti delle anime più pure per cinquecento anni. Se alla scadenza di questi non avrai cambiato idea sul genere umano, avrai il mio posto e il mio titolo. Ma se dovessi cedere, se dovessi provare affetto per un’anima anche solo per un istante..».
«Non succederà».
«Sembri maledettamente convinto, e mi fa piacere. Ma se dovesse succedere, sappi che ti toglierò la vita con le mie stesse mani».
Il demone ghignò, incrociando lo sguardo del padre. «Mi credi così debole?».
«Non ha importanza quanto tu sia forte, davanti alla purezza di un’anima».
«Nessun’anima è davvero pura».
Silenzio.
«Allora, accetti?».
Il demone annuì. «Giuro sul mio sangue che diventerò il re dell’inferno».
Provare affetto per un umano, che cosa ridicola.
Le anime sono tutte uguali, nessuna merita la salvezza.
Nessuno riuscirà a portare a galla gli sprazzi di bianco della mia anima dannata.
Vincerò la sfida.
 

Quel maggiordomo, morte.

 

14 dicembre 1885.
 
La sfida lanciatami da Lucifero non era stata una passeggiata come inizialmente avevo creduto. Alcune anime, con mia sorpresa, si erano rivelate degne.
Ma non degne del mio affetto, non degne di continuare a vivere.
Degne, rispetto all’impurità del genere umano in sé.
Pochi giorni e sarebbe scaduto il termine ultimo postomi dal padre. Pochi giorni e sarei stato in grado di esercitare un nuovo potere. La mia intera esistenza, forse, sarebbe diventata meno noiosa.
In cinquecento anni, mi ero nutrito solo di anime scelte, selezionate con estrema accortezza dopo attenta analisi. E il mio palato si era assuefatto a quel gusto ricercato, più dolce e invitante rispetto a quello delle anime di cui ero abituato a nutrirmi in precedenza.
Non sarei mai riuscito a tornare ai miei soliti pasti.
Inoltre, sporcare un’anima inizialmente bianca, era più eccitante del trovarla già macchiata dei peccati più disgustosi. Deturpare l’ingenuità, assaporare la rottura.
La mia fame era rinata con un nuovo aspetto.
 
Quella notte ci sarebbe stata un’evocazione.
Una setta mi avrebbe invocato, sacrificando a me l’anima pura di un fanciullo. L’avrei accettata di buon grado, accontentando le loro misere richieste.
Cosa spingesse un uomo a togliere la vita ad un infante non lo avrei mai capito. Quella razza di vermi meritava lo sterminio, ma non mi sarei sporcato le mani con delle anime tanto sudice.
Non ci volle molto prima che, piantando un pugnale al centro esatto del petto di quel pargolo dalla pelle candida, pronunciassero le parole che mi avrebbero trasportato lì.
L’altare era sporco di sangue e sperma, quella era feccia della peggior specie. Il solo essere stato evocato da loro era un disonore.
Li ucciderò in ogni caso,pensai. Magari nello stesso modo in cui loro hanno sacrificato quell’anima.
Un ghigno si dipinse sul mio volto mentre constatavo quanto fattibile fosse la cosa.
Ma fu in quel momento che qualcosa accadde.
Qualcosa che mai mi sarei aspettato.
«Ehi tu, demone».
Chiusi gli occhi, quella non era una voce reale.
L’anima del bambino sacrificato mi stava parlando.
«Sono stato io ad invocarti, fammi tornare in vita. Stringi un patto con me».
Rimasi interdetto per un attimo.
Era la prima volta che un’anima di quel tipo chiedeva spontaneamente di stringere un contratto. Mi leccai le labbra, degustando il sapore di quella purezza che avrei rubato.
«Non m’importa cosa vuoi in cambio, prenditi pure la mia anima se ci tieni. Ma solo dopo avermi aiutato a scoprire chi ha ucciso i miei genitori. Fino a quel momento, mi farai da maggiordomo».
Alzai un sopracciglio.
Maggiordomo?
 «Essia. D’ora in poi sarò il suo fedele servitore, bocchan. Qual è il suo primo ordine?».
«Riportami in vita. E uccidi tutti quelli presenti in questa stanza».
Sorrisi, tendendogli la mano spirituale che lui afferrò senza esitazioni, ritrascinandolo nel mondo dei vivi.
«Sono il conte Ciel Phantomhive del Casato Phantomhive, e giuro sul mio onore che vendicherò la morte dei miei genitori».
Eccitante.
Un’anima che anche davanti alla promessa di vendetta, sembra voler rimanere pulita e circondata dall’innocenza.
Che cosa insolita.
Le sue gambe tremavano, ed era sporco e troppo magro. Si stringeva addosso quel pezzo di stoffa che gli serviva a coprirsi, nonostante fosse macchiato di sangue e di tutte le atrocità che aveva subito.
«Cosa vuole che faccia adesso, bocchan?».
Lui deglutì a vuoto, guardandosi intorno.
«Per farmi da maggiordomo, devi apparire. Assumi un aspetto umano. Devi servirmi e prenderti cura di me. Non devi mentirmi o tradirmi mai, voglio potermi fidare di te».
Aggrottai la fronte.
Che richieste assurde per qualcuno che aveva stretto un contratto con un diavolo.
«Se volevi una balia, ce ne sono tante e a buon prezzo».
«No», rispose brusco lui. «Non è solo quello. Voglio la forza, il potere. Voglio la vendetta».
Ghignai.
Beh, almeno si iniziava a ragionare.
Apparsi davanti a lui, facendo un mezzo inchino. «Sì, mio signore».
Nell’istante in cui pronunciai quelle parole, sulla mia mano e nel suo occhio apparve il sigillo faustiano che avrebbe legato le nostre anime per sempre.
Sarà una passeggiata, pensai. Poi potrò tornare all’inferno.
Ma non ci misi molto a rendermi conto che non sarebbe andata così.
Che i miei progetti erano tutti sbagliati.
Che quel bambino, quell’infante dall’anima più pura che avessi mai incontrato, mi avrebbe cambiato radicalmente.
Una piccola mano mi afferrò la coda del frac, bloccandomi. «Ho detto già qual è il mio nome, ma il tuo qual è?».
Nessuno me l’aveva mai chiesto, prima dall’allora.
Tum tum.
Cos’è questa strana sensazione?
«Non ho un nome», borbottai, abbassando lo sguardo.
«Bene, allora», mormorò il bambino, lasciando andare la mia giacca. «Vorrà dire che ti chiamerò Sebastian. Ti piace?».
Se-Sebastian?
Mi sforzai di sorridere.
«È perfetto, bocchan».
Lui si strinse nelle spalle. «Era il nome del mio cane».
Maledetto moccioso.
 
Ma da quel momento in poi, ogni cosa sarebbe cambiata.
E quel bambino avrebbe sancito la mia condanna a morte.


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Sgranai gli occhi, il corpo di Ciel era disteso inerme tra le mie braccia.
«Bo.. Ciel? Ciel?», lo scossi. «Maledizione, moccioso, apri gli occhi!».
Ma, in fondo, sapevo che non c’era nulla da fare.
Era morto, di nuovo.
Si era sacrificato, donandomi la sua anima per salvarmi.
Mi aveva salvato sul serio?
Qualcosa, dentro di me, si ruppe.
Come se sentimenti assopiti volessero tornare violentemente in superficie ed io non potessi far nulla per fermarli.
Amore, sofferenza, brama di vendetta.
Quei sentimenti umani che fin dalla mia nascita avevo tentato di seppellire.
Era una maledizione, la mia. Essere nato da un grembo materno, possedere un’anima.
Lucifero lo aveva sempre saputo.
Ma non m’importava più di possedere l’inferno, di vivere o morire.
In quel momento, volevo solo salvare il mio piccolo bocchan.
Qualcosa di caldo iniziò a scorrere nelle mie vene.
Più caldo del sangue, più caldo dell’ira.
Era la forza scaturita dall’amare qualcuno.
Mi alzai di scatto, digrignando i denti a causa di un dolore allucinante all’altezza delle scapole.
Ma durò solo un attimo, facendo posto ad una determinazione che mai prima d’allora avevo provato.
Ghignai, fissando con sguardo colmo d’ira il mio obiettivo.
Me l’avrebbe pagata cara.
Non ero più un demone, creatura incapace di provare sentimenti.
Ero un angelo vendicatore.









TO BE CONTINUED:
Eheheh, ho aggiornato puntuale questa settimana. Vado abbastanza fiera di questo capitolo, spiegare la storia di Sebastian mi ha sempre tentato e ora, in qualche modo, l'ho fatto. Spero sia di vostro gradimento!
Vorrei tanto che recensiate, facendomi sapere cosa ne pensate delle stupidaggini che scrivo. Ma vi amerò anche se non lo farete.
Vi ringrazio per le visualizzazioni, l'inserimento nei preferiti e tutto il resto. Senza il vostro supporto, avrei abbandonato già da un po'.
Ma, suvvia, non fatemi perdere in stupidi cliché.
Alla prossima! *u*

 

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Capitolo 16
*** Quel maggiordomo, riunione. ***


Undertaker e Grell Sutcliffe mi guardavano ad occhi sgranati, le labbra dischiuse in un’espressione di puro stupore. Ad un certo punto, il rosso alzò lentamente un braccio, puntando il dito nella mia direzione.
«Che cosa ti è successo?».
Ma non avevo tempo per cose del genere. Non avevo il tempo di mettermi a cercare uno specchio per poter placare la curiosità dello shinigami. 
Abbassai lo sguardo.
Il corpo di Ciel Phantomhive era tra le mie braccia, quasi come avvinghiato.
Nessuno si chiedeva cosa ne fosse stato di lui, nessuno si domandava cosa fosse successo.
Ciel era davvero morto? Si era davvero sacrificato per me?
Serrai la mascella, avvicinando a me quel corpicino con possessività. Il suo viso era pallido, ma i lineamenti non erano affatto tesi: gli angoli delle labbra erano piegati all’insù in un insolito accenno di sorriso.
Sorrisi d’istinto, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte.
Ciel Phantomhive, in quel lasso di tempo, mi aveva radicalmente cambiato l’esistenza. Aveva fatto in modo che perdessi la scommessa fatta con mio padre, facendomi trasformare in qualcosa di più puro rispetto a ciò che ero stato fino a prima di entrare nella sua vita.
Un demone, un mostro senza sentimenti o rispetto per la vita umana.
Quanto può influire la purezza di un’anima su qualcuno che pensava di essere perduto?
Lui, pur perseguendo un obbiettivo che avrebbe portato chiunque sul bordo del baratro, è riuscito a rimanere intatto, seguendo il suo percorso senza mettere da parte i valori, il motivo per cui agiva in quel determinato modo.  
Restare indifferente nei confronti di quel bambino, quel bambino che avevo visto cadere e rialzarsi così tante volte, sarebbe stato impossibile: nonostante tutti i miei svariati tentativi di rimanere indifferente a ciò che era, di limitarmi a svolgere il mio incarico per poi cibarmi di quell’anima così apparentemente gustosa, avevo finito per provare reale affetto per lui.
E questo mi aveva cambiato.
Deglutii a vuoto, sollevando gli occhi e incrociando lo sguardo di Alaister, che era rimasto a guardare con espressione esterrefatta.
Quasi certamente non gli era mai capitato di vedere nulla del genere.
O, più probabilmente, aveva capito chi io realmente fossi.
«Tu sei il principe, il demone senza nome. Il figlio di Satana». La sua voce si udì a malapena. Era nervoso, spaventato. Fece istintivamente un passo indietro. «Come ho potuto non accorgermene? Come ho potuto..».
Il mio disgusto per quell’essere cresceva ogni secondo di più. Troppo codardo per continuare a battersi, forse pensava di avere un qualche tipo di possibilità di darsela a gambe.
Ma aveva fatto male i suoi calcoli.
Lasciai il corpo del mio padroncino sul pavimento, carezzandogli la fronte. Avrei pensato a lui dopo aver sconfitto il nemico.
In fondo, sapevo bene cosa fare per riportarlo in vita.
Il demone biondo, cadde sulle ginocchia. «Imploro il suo perdono, maestà. Io non potevo sapere..».
Feci un passo verso di lui, accorgendomi solo in quel momento che il mio corpo era davvero cambiato: adesso, dalle scapole nude, fuoriuscivano grosse e piumate ali nere, che proiettavano la loro ombra sulla superficie di pietra e alimentavano la paura nel cuore nemico.
«E tu saresti il comandante del terzo settore di demoni? Quello che si dice essere il più crudele?», sorrisi appena, inclinando il capo. «Mi dai il voltastomaco. Ti prostri ai miei piedi pur di non essere schiacciato. Sei davvero ridicolo, insulso. Non meriti di vivere».
Lui serrò i pugni, chinando il capo e digrignando i denti. «Non ho paura della morte, ma mettersi contro di lei è vietato, non lo sa? Per quanto vorrei ucciderla, e non senza provare una certa soddisfazione, ho le mani legate. Se anche solo si venisse a sapere, lui si arrabbierebbe molto. Ed è di lui che ho paura».
Serrai le labbra.
«Di chi stai parlando?».
«Ovviamente di Lucifero», sputò con un tono che voleva essere carico di ovvietà. «Quando lei è andato via, ha deciso di stabilire una regola: qualunque demone avesse cercato di sfiorarla anche solo con un dito, avrebbe provato su se stesso l’umiliazione di essere punito e sottomesso».
Alzai un sopracciglio. «E perché mai avrebbe dovuto fare questo? Perché mai altri demoni avrebbero voluto provare a sfidarmi?».
Alaister ci mise un po’ a rispondere, ma quando lo fece il suo sguardo era cupo.
«Per l’anima di quel bambino, ovviamente».
Cosa c’entrava l’anima di Ciel Phantomhive in tutto quello? «Spiegati meglio».
«Non sono io la persona adatta a farlo. Io, che ho collegato tutto solo ora.. Avevo sentito dire in giro che il principe aveva trovato l’anima, ma non pensavo che questo moccioso..».
Gli rivolse un’occhiata di disgusto e mi trattenni dall’ucciderlo in quel momento solo perché mi interessava sapere ciò che aveva da dire. «Continua».
Sbuffò. «Ero interessato a quel bambino perché avevo capito che in lui c’era qualcosa di diverso, ma non pensavo che lui fosse l’anima. L’anima che Lucifero, segretamente, cerca da quando lei è venuto al mondo».
Ma che diavolo sta dicendo?
La mia espressione era probabilmente rivelatrice di ciò che stavo provando: confusione estrema, rabbia crescente, impazienza e irritazione. Così, senza che io lo spronassi a farlo, lui continuò a parlare.
«Non ne so molto, come ho già detto. Ma quando lei ha stretto il contratto con Phantomhive, molte casate di demoni si sono messe in allerta e Lucifero stesso ha indagato molto sulla faccenda. Alcune voci sull’anima circolavano anche prima, ma si è avuta la certezza che fosse quella giusta soltanto quando Satana stesso l’ha detto, dichiarando che avrebbe fatto fuori chiunque avesse osato recidere il vostro contratto. Non poteva permettersi di perdere di vista quell’anima».
Aggrottai la fronte. «Ma Claude Faustus e Hann-».
«Sono stati uccisi prima ancora di giungere all’inferno. Lucifero ha ridotto la loro essenza vitale in polvere, mentre l’anima di quel moccioso biondo è confinata qui da qualche parte».
«Non riesco ancora a capire il perché di tutto ciò. Perché Lucifero desidera così tanto l’anima di Ciel?».
Alaister sussultò, alzando il capo di scatto. «Lei non lo sa».
Cosa c’è da sapere?
C’era davvero qualcosa che non sapevo del mio bocchan? Qualcosa che, probabilmente, neanche lui sapeva?
«Parla».
Il mio tono non ammetteva repliche.
Ma il demone non sembrava essere intenzionato a spiccicare parola. «I-io..».
In uno scatto d’ira, lo afferrai dal collo e lo tirai su. «Parla o ti uccido adesso».
«Se dovessi parlare sarebbelui ad uccidermi, questo vuol dire che morirò in entrambi i casi. E, se permette, preferirei soffrire meno. Quindi mi uccida pure adesso».
Un grugnito animalesco mi diede la forza di ficcargli la mano al centro esatto del petto, stringendo tra le mani il fulcro dell’essenza demoniaca, l’equivalente di un cuore umano. «Credi che io non sappia essere altrettanto crudele? Morirai dolorosamente anche per mano mia. Quindi ti conviene sbrigarti».
Sentivo la durezza del suo punto vitale venire meno, mentre iniziava a sbriciolarsi sotto la mia presa ferrea.
Lui tossì, mentre la sua immagine si faceva meno nitida: sarebbe diventato polvere a breve, se avessi continuato a fare pressione.
Mi guardò in cagnesco, serrando le labbra. Era davvero intenzionato a morire pur di non parlare?
Ringhiai. «Bene allora, hai fatto la tua scelta».
Lui mi sorrise amaramente. «Spero che tu scopra nel modo più doloroso possibile il segreto che si cela dietro i Phantomhive».
Ma non avrei ascoltato altro, non dalla sua bocca. Aumentai la pressione del pugno, sentendo la mano serrata intorno alla sua gola svuotarsi.
Il qualche secondo, di lui non rimase che il ricordo.
Eppure, la sua ultima frase riecheggiava ancora nell’aria.
«È.. finita?». La voce di Grell mi riportò alla realtà.
«Io credo.. credo di sì».
L’avevo detto, sì, ma qualcosa mi diceva che mi sbagliavo di grosso. Qualcosa mi diceva che quello era solo l’inizio.
Lo shinigami, senza troppe cerimonie, mi si fiondò tra le braccia.
«Oh, Sebas-chan, ero così in ansia per te! Ho avuto paura che tu morissi prima che io potessi dirti quanto sei bello con le ali e il petto nudo, oh, non pensavo potessi evolverti e trasformarti in qualcosa di ancora più hot!».
Rimasi immobile, senza ricambiare il suo abbraccio, ma qualcosa era cambiato rispetto alle altre volte, in cui quel tocco mi dava solo noia.
Era come se, in fondo, ne fossi felice.
Come se mi facesse piacere avere il sostegno di qualcuno.
Come se avessi imparato ad affezionarmi a Grell Sutcliffe.
Scossi piano la testa, sorridendo a malapena. «Io invece, ho sperato per tutto il tempo che qualcuno ti rovinasse la faccia», lo presi in giro.
Ma mi defilai prima che potesse dire qualcosa, tornando a stringere tra le braccia il corpo del mio piccolo conte.
C’era qualcosa che aveva reso la sua anima degna di nota per Satana in persona, e dovevo scoprire a tutti i costi cosa fosse.
Cosa nasconde il tuo casato, bocchan?
«Dobbiamo andare subito via di qui», dissi in tono monocorde, rivolgendomi anche ad Undertaker.
Non era tornato quello di sempre, forse non lo avrebbe fatto mai.
«Non voglio che arrivi qualcun altro a darci noie e grattacapi. Voi, shinigami, sapete come uscire dall’inferno?».
Grell scosse la testa, Undertaker invece annuì.
Stavo per dire al rosso di andare con il becchino e che ci saremmo ritrovati nel suo negozio, ma il sentore di una presenza in arrivo mi fece voltare di scatto verso la grande porta in pietra e legno.
No, non può essere.
«Tutti dietro di me!», urlai, avvertendo l’insano impulso di voler proteggere quegli strambi dei della morte dall’incombente pericolo.
I passi si facevano sempre più vicini, la presenza più pressante.
Non ce l’avremmo fatta a scappare.
E, in meno di un secondo, la porta si aprì.
Un ragazzo fece il suo ingresso nella stanza, facendo restare tutti a bocca aperta, soprattutto Grell.
Se non avesse capito da tempo il suo ruolo in tutto quello, probabilmente gli sarebbe saltato addosso.
Il ragazzo – il suo aspetto non gli conferiva più di diciassette anni – aveva dei lunghi capelli di un colore più chiaro del biondo, più luminoso. Li portava mossi, lunghi fino alla vita.
Il suo viso era pallido e simile a quello di una bambola, solo le iridi rosse tradivano ciò che altrimenti sarebbe stato definito innocente e sicuro.
Il suo sorriso metteva i brividi. «Sebastian – finalmente hai un nome – da quanto tempo. Mi fa piacere vederti».
Alzai il mento, facendo automaticamente un passo indietro.
Non mi andava di stare al suo gioco, di fargli credere che non lo considerassi un nemico.
Come se mosso da un moto istintivo, posai la mano sul capo di Ciel, stringendolo a me.
«Salve, Padre».
Lucifero sorrise ancora, e alle mie spalle qualcuno – Grell – sussultò.
Non saremmo riusciti ad uscire facilmente da quella situazione.










TO BE CONTINUED:
Eccoci con un altro capitolo che io definirei di "passaggio", anche se c'è finalmente una morte.. o forse due? In effetti, non sappiamo bene che fine abbia fatto Ciel!
Bene, spero che la mia storia continui ad appassionarvi, soprattutto ora che siamo vicini alla fine.. >.<
A domenica prossima demoni!


P.S. indovinate chi ha fatto il cosplay di Kuroshitsuji? ù_ù
Tra loro c'è anche AntonellaMars, spero che leggiate le sue storie su EFP perché è bravissima ù_ù
Indovinate chi sono io u.u

 

  


 

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Capitolo 17
*** Quel maggiordomo, la fine? ***


«È proprio una sorpresa trovare te.. qui. Ed io che pensavo che avrei dovuto rincorrerti per l’intero globo».
Lucifero sorrise, un sorriso che mi fece venire i brividi. La sua voce cristallina s’infrangeva contro le pareti, disperdendosi ma restando sempre udibile. Come se ci fossero dei ripetitori che si preoccupassero di far arrivare il messaggio dritto nel mio cervello.
Aspettava noi. Vuol dire che non ci lascerà andare tanto facilmente.. maledizione!
Fece un passo in avanti, i capelli biondi che lo avvolgevano come fossero un mantello di luce, e tese le braccia verso di me. «Mostramelo».
Serrai la mascella.
Non gli avrei permesso di toccare il bocchan, a costo della mia stessa vita. Non avrei permesso che le sue luride mani si posassero su di lui. Rimasi immobile, fissando lo sguardo in quello cremisi del mio consanguineo.
«Cosa vuoi, padre? Esprimi chiaramente le tue intenzioni, non ho tempo da perdere. Se vuoi combattere, io..».
La sua risata cristallina fece sussultare tutto il gruppo.
«Figliolo, come potrei combattere contro di te? L’unico mio erede, il mio soldato più fedele. Oh, no. Non è questo che ho in programma. Non adesso, almeno».
Assottigliai lo sguardo. «Cosa vuoi dire?».
«Beh, ecco. Spero tu non abbia dimenticato il contratto».
Certo che non l’ho dimenticato. «Cosa c’entra?».
«Il tempo a tua disposizione è quasi terminato, non te ne sei reso conto? Pochi mesi mancano alla sua fine ed io voglio proporti.. un’alternativa».
«Cosa.. cosa intendi per alternativa?».
Lucifero rimase in silenzio per qualche istante, smaterializzandosi per poi riapparire a pochi centimetri da me. Mi fissò gelido, inclinando il capo, per poi abbassare lo sguardo sul piccolo Phantomhive.
«Avevo chiesto la tua vita in caso di fallimento, ma adesso.. adesso ho deciso che non voglio che tu muoia. Al posto tuo, voglio lui».
Cosa?
«Se non riuscirai a cibarti della sua anima entro un anno..», fece una pausa, senza interrompere il contatto visivo. «Lui apparterrà a me per sempre».
Un.. anno?
«Non accetto».
Sorrise ancora. «Non mi sembra di aver chiesto che tu accettassi, Sebastian».
Digrignai i denti, pronto a scattare. Ma una mano, alle mie spalle, mi afferrò il polso.
Grell mi fissava con gli occhi che parlavano. “Non compiere gesti d’impulso. Abbiamo un anno, un anno per pensare ad una soluzione”.
Aveva ragione.
Tornai a guardare il re degli inferi, nonché mio padre. «E cosa succederà nell’arco di questo anno? Se dovessi nutrirmi dell’anima?».
Assunse un’espressione mortalmente seria. «Non lo farai, non riuscirai a farlo. Non dopo che avrai scoperto cosa si cela dietro il nome del suo casato..».
Ancora con quella storia.
«Voglio saperlo».
«Tempo al tempo, figliolo. Ci arriverai da solo».
Non riuscivo a capire.
Quale sarebbe potuto essere questo segreto? Un segreto così grande da rendere interessante quell’anima per Satana in persona. Un segreto che avrebbe impedito a chiunque di divorarla, me incluso.
Non l’avrei fatto, comunque. Non più.
Non avrei obbligato il bocchan a esistere rinchiuso nel mio corpo.
Ma non avrei neanche lasciato che Lucifero se ne appropriasse..
Dovevo trovare una soluzione.
«Quindi adesso.. ci lascerai andare?».
Lui allargò le braccia con un sorriso. «Ma certamente. Siete liberi di andare e tornare a vostro piacimento. Tra un anno, però..».
«Ho capito». Lo bloccai subito, rifiutandomi di pensarci in quel momento. «Però voglio che tu liberi la sua anima dal limbo. Voglio che lui ritorni umano».
L’altro inclinò il capo. «Oh, non ti sei accorto che è già successo? Quando lui ti ha dato quel casto bacio, la sua anima è stata liberata e te ne ha donato un pezzetto».
Quello era solo un pezzodella sua anima?
Tutta quella potenza sprigionata era solo una parte?
«Quindi sarà umano quando torneremo sulla Terra?».
«Certo, sarà umano. Ma le cose potrebbero non essere così semplici come credi, Sebastian. Un’inaspettata sorpresa ti metterà in difficoltà..».
Strinsi i denti. «Che vuoi dire?».
E poi capii.
Collegai.
Il suo sorriso la diceva lunga.
«No». Sgranai gli occhi, mentre il braccio libero mi ricadeva lungo il fianco. «Non può essere».
Un anno non mi sarebbe bastato.
Non sarei stato in grado di trovare una soluzione.
L’avrei perso di nuovo.
«Tu, figlio di-».
«A-a-a! La colpa non è di certo mia, ragazzo. Non stavolta. Ma perché non spieghi ai tuoi amici come stanno le cose?».
 Serrai le palpebre, voltandomi verso di loro. Ero così scosso, arrabbiato e preoccupato che non sapevo come dirglielo.
«Siamo qui da molto tempo..».
«Beh», iniziò Grell, privo di quel brio che lo caratterizzava. La presenza di Lucifero influiva sul suo umore. «N-non così tanto. Saranno due giorni al massimo, anche se mi sono sembrate solo poche ore».
Sospirai, e in un moto involontario avvicinai il viso del bocchan alla mia pelle.
Dovevo approfittare del tempo che mi rimaneva.
«Qui all’inferno..», chinai il capo, schioccando la lingua. «Qui all’inferno, il tempo passa più lentamente che sulla Terra. Molto più lentamente. Questo vuol dire che quando torneremo..».
«..Saranno passati anni?», domandò Grell, interrompendomi.
Undertaker, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, alzò lo sguardo per incrociare il mio.
Anche lui aveva capito.
«No, Grell. Non saranno passati anni. Sulla Terra.. sulla Terra saranno passati due secoli».
Due secoli.
Dirlo ad alta voce era anche peggio.
Lo shinigami dai capelli cremisi alzò le sopracciglia. «Beh, che sarà mai. Tanto noi siamo immorta-».
Si bloccò.
Ci arrivò.
La consapevolezza si fece strada sul suo volto, che diventava più cupo al passare di ogni secondo. «Oh no».
Lucifero ruppe il silenzio con una risata. «Ci siete arrivati, vero? Ormai, Sebastian, puoi dire addio ad ogni possibilità di vincere».
Perché Ciel sarebbe stato morto comunque.
E, essendo la sua anima legata in qualche modo alla terra, si sarebbe reincarnato.
«Non riuscirai mai a scovare quell’anima in un anno. Niente più ti lega a lei, ormai».
Con rammarico, posai il corpo del bocchan sul pavimento. Quel corpo era  ormai privo di ogni valore od utilità.
Ne avrebbe avuto un altro.
Avrebbe vissuto in un’altra epoca.
Sotto un altro nome.
E ogni collegamento con la famiglia Phantomhive sarebbe andato distrutto.
Non ce l’avrei mai fatta.
Ma dovevo tentare.
«Allora è meglio non perdere altro tempo, non credi?».
Lucifero affilò lo sguardo, poi si aprì in un ghigno crudele. «Ci vediamo tra un anno, figliolo. Non potrai scappare».
 
Al fianco di Undertaker e Grell, mi preparai a tornare sulla Terra. Una Terra nuova, che non avrei riconosciuto. Una terra dove Ciel non era più Ciel, non era più il mio bocchan.
Ma esisteva.
E questo bastava.

 
Ti troverò, bocchan.
Aspettami.

 
 

Fine.
 

TO BE CONTINUED..?

 

Sì, so che probabilmente mi odiate perché ci ho messo un mese ad aggiornare e poi l'ho fatta finire così. Ne sono consapevole.
Ma mi sono accorta che, per quanto io amassi questa storia, scriverla era una faticaccia. Sarà che il mio stile è cambiato? Può essere. Sarà che non è più seguita come una volta? Anche.
Avevo deciso di concluderla in questo ultimo capitolo e chiuderla definitivamente.
Ma c'era qualcosa.. no, non potevo farlo. Troppe cose non dette, troppe faccende lasciate in sospeso.. sarebbe stato non professionale.
Così, mi è venuta l'idea.
L'idea di un sequel ambientato nei giorni nostri.
Che ve ne pare?
Spero che ci sia ancora qualcuno che segue la storia e che possa darmi un'opinione.
In ogni caso, ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito con costanza, recensendo e incitandomi. E' grazie a voi che non ho mollato tutto, quindi GRAZIE.
Per essere la mia prima long-fic, sono abbastanza soddisfatta ed è tutto merito vostro.

Che altro dire? Aspetto i vostri pareri sulla storia e sull'idea di un sequel.
E' stato un piacere scrivere per voi, piccoli demoni!

- Mery-chan.

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