Seize the day di DadaOttantotto (/viewuser.php?uid=75651)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Seize the day prologo
Seize the day or die regretting
the time you lost
(Seize the day - Avenged Sevenfold)
Brian
si passò una mano tra i lunghi capelli neri, pregando
chiunque
potesse sentirlo di dargli la forza di fare quello per cui era uscito
di casa in fretta e furia.
- Merda, merda, merda! - esclamò, battendo il
palmo sul volante della sua auto.
Guardò la vetrina della
pizzeria. Doveva entrare, non aveva altra scelta. Doveva affrontare
Matt, spiegargli quello che era successo e sperare che la notizia non
lo uccidesse. Sì, lo doveva fare. Per lui, per se stesso,
per
Alice.
Quando scese dalla macchina, la pioggia lo
investì, rendendolo più zuppo di un biscotto
pucciato nel latte.
Dio, che
paragone del cazzo. Sei un genio, Sanderson, davvero.
Eppure Alice amava fare certe
similitudini senza senso, che avevano come unico risultato quello di
far ridere tutti i presenti. Alice amava ridere. Alice amava un sacco
di cose.
Scosse la testa, come a voler far uscire qualunque cosa vi
fosse all'interno.
Entrò nel piccolo locale
con la stessa faccia di chi sta varcando la soglia dell'inferno.
Nemmeno il calore che quelle pareti bianche gli avevano sempre
trasmesso sembrava fare effetto.
- Ehi, Brian! - lo salutò il proprietario, un
omone italiano di circa sessant'anni.
- Salve, signor Tacconi -
replicò senza entusiasmo - Ho bisogno del nostro pizzaiolo
preferito, posso distoglierlo un attimo dal suo importantissimo lavoro?
L'altro annuì, serio. Aveva capito che qualcosa
non andava. Lo aveva capito appena aveva visto il volto del ragazzo.
- Sì, certo. Ma vedi di non sgocciolarmi in
cucina, altrimenti diventerai il condimento per la prossima pizza!
Brian non gli diede risposta,
considerando addirittura fastidiosa la leggera nota di sarcasmo che
aveva avvertito nella frase di Tacconi.
La prima cosa che notò
entrando in cucina fu il sorriso di Matt. Lui era nel suo mondo:
farina, pomodori e tutto quello che poteva mettere su quell'affare
rotondo. Un mondo che lui stava per distruggere.
Perche è
successo? Perchè? Perchè noi e non qualcun altro?
- Terra chiama Brian, Terra chiama Brian... rispondi, Brian!
Si riscosse dai suoi pensieri e riaprì gli occhi,
trovandosi davanti il viso dell'amico.
- Oh, ciao, Matt.
- Oh, ciao? Tutto qui? - chiese
il ragazzo, perplesso - Sei venuto per salutarmi? Va bene l'amicizia,
ma mi sarebbe bastato anche una telefonata...
- No... cioè, scusa... volevo dire...
Come faceva a dargli una notizia così pesante se
non riusciva nemmeno a trovare le parole per introdurre l'argomento?
Sussultò quando Matt posò le mani
sulle sue spalle.
- B, ascolta... mi sembri piuttosto agitato. Va tutto bene?
No, non va bene niente.
E' tutto così ingiusto, così sbagliato,
così... irreale.
- C'è un posto dove possiamo parlare in privato?
- chiese, gettando un'occhiata alle altre persone presenti.
Matt lo condusse nel retro, in
una piccola stanza adibita a magazzino. Brian si sentiva soffocare tra
quegli scaffali altissimi, pieni di scatolette che sembravano venirgli
sempre più vicine. Trasse un profondo respiro.
- Forse è meglio che ti siedi.
- No - replicò Matt - Prima mi dici che
è successo. Non ti ho mai visto così!
- Beeman, fidati. E' meglio che ti siedi.
Quando l'amico lo
accontentò, Brian gli si inginocchiò davanti,
portando i
loro visi alla stessa altezza. Cercò di raccogliere tutto il
coraggio che pensava di possedere, ma probabilmente non era molto,
visto il tremore che lo aveva preso alle mani. Per quanto quel compito
fosse gravoso, però, lui si era preso la
responsabilità
di portarlo a termine. E lo avrebbe fatto, a qualunque costo.
- Ti ricordi di Chris? - fece.
Matthew annuì.
- E' il tuo amico, quello che lavora all'obitorio, giusto?
- Già. Stamattina mi ha chiamato.
La sua mano passò di nuovo tra i capelli,
spettinandoli più di quanto già non fossero.
- E?
Ok, era il momento. Il primo
passo è sempre il più difficile, ma lui ormai lo
aveva
fatto. Ora doveva trovare il coraggio per andare avanti.
- Matt, promettimi che non farei niente di avventato.
Eh, no! Non ne poteva proprio
più! Il comportamento dell'amico si faceva sempre
più
strano, e Matt non sarebbe riuscito a sopportare oltre.
Si alzò di scatto, prendendo Brian per il
colletto della camicia e piantando lo sguardo nel suo.
- B, cazzo! Ti decidi a dirmi cosa è successo?
Sentì il corpo dell'amico irrigidirsi, gli occhi
presero a fissare un punto indefinito del pavimento.
- Si tratta di Alice... lei è... è...
- Lei è cosa?
Finalmente ritrovò le forze per sostenere lo
sguardo del ragazzo moro che aveva davanti.
- E' morta, Matthew. Alice se n'è andata.
Eh,
sì... sono di nuovo io. So di avere una quantità
assurda
di storie aperte, ma quando il Prologo Compulsivo chiama, è
impossibile non rispondere! Allora, questa storia nasce grazie al video
di Seize
the day, canzone degli Avenged Sevenfold. Questo, mischiato
al mio cervello bacato, ha fatto uscire questa schifezzuola...
Non vi assicuro aggiornamenti rapidi, con me bisogna avere parecchia
pazienza...
Che dire, spero che il prologo vi abbia incuriosito!! :)
Alla prossima!
Baci8
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Seize the day cap 1
Matt lasciò la presa sulla camicia dell'amico, sgranando gli
occhi e indietreggiando di qualche passo.
- Mi stai prendendo per il culo, B.
Non era una domanda, la sua. Era una semplice constatazione, il massimo
a cui era disposto a credere.
- Non sai quanto vorrei che questo fosse tutto uno scherzo. Invece
è vero. Chris mi ha avvisato non appena si è
visto
arrivare il corpo in obitorio. Ho pensato che preferissi saperlo da me.
Osservò l'amico barcollare, appoggiarsi agli scaffali e
cadere
in avanti. Brian riuscì ad afferrarlo sotto le braccia e lo
sorresse, evitandogli una facciata contro il freddo pavimento.
- Non è possibile - lo sentii mormorare, il viso schiacciato
contro la sua spalla - Alice... il nostro bambino...
Si era aspettato di vederlo piangere, urlare o qualsiasi altra cosa lo
avesse aiutato a sfogarsi. Era pronto ad aiutarlo, a sostenerlo,
qualunque fosse stata la sua reazione. Ma Matt non smetteva mai di
stupirlo. Nonostante lo conoscesse praticamente da sempre, alcuni lati
di quel ragazzone di un metro e novanta gli erano ancora oscuri.
Difatti, l'amico lo spinse via, prendendolo alla sprovvista e facendolo
finire con il sedere per terra. Poi attraversò di corsa la
stanza, afferrò giaccone e casco, e uscì dalla
pizzeria
senza degnare nessuno di uno sguardo. Una volta all'esterno,
salì sulla sua moto e partì.
Brian non era riuscito a fermarlo, nonostante ci avesse provato. Gli si
era messo davanti più volte, col solo risultato di essere
spostato quasi di peso ed invitato ben poco cordialmente a levarsi dai
piedi.
Non potè fare altro che assecondarlo, per poi seguirlo con
la macchina fino all'ospedale.
- E' lì dentro?
La madre di Alice annuì impercettibilmente. Si
coprì il
volto con le mani, accasciandosi su una delle sedie di plastica della
sala d'attesa. Il marito le fu subito accanto, l'abbracciò e
cercò di consolarla come poteva.
Non si era mai sentito così simile a qualcuno come in quel
momento. Quelle due persone avevano perso una figlia, come lui aveva
perso una fidanzata. E un figlio nemmeno ancora nato. Aveva perso tutto.
A malapena percepì la mano di Brian posarsi sulla sua spalla.
- Vuoi che venga con te?
Matt scosse la testa. Apprezzava l'aiuto che l'amico gli stava
offrendo, ma, allo stesso tempo, gli dava fastidio. Chi era per
intromettersi in faccende che non gli competevano? Alice era la sua fidanzata, la
donna che lui
amava, la madre di suo
figlio.... in un attimo si rese conto di quanto fosse stupido. Brian
gli stava offrendo la sua amicizia. E, al momento, era tutto quello che
gli era rimasto.
- Ti ringrazio, ma devo farlo da solo - replicò, cercando di
non cedere.
Si fece guidare dal medico fino al corpo di Alice. Quando il dottore
tolse il lenzuolo che la ricopriva, però, le sue difese
crollarono. Represse a stento la tentazione di stringerla tra le
braccia, urlare il suo nome, cercare di svegliarla. Voleva che lei
aprisse gli occhi, ne aveva un dannato bisogno. Si aspettava che, da un
momento all'altro, Alice si alzasse e lo rimproverasse per aver
lasciato il lavoro. Ma non era così, lo sapeva. Non lo
sarebbe
mai più stato.
Non riusciva a muoversi, a parlare. Se ne stava lì a
fissarla, come se questo potesse farla tornare in vita.
Cazzo, Alice,
svegliati... per favore...
- Se ha bisogno di me, sono qui fuori.
Probabilmente il dottore prese il suo silenzio come un assenso,
perchè uscì senza aggiungere altro.
Si guardò attorno, facendo scorrere lo sguardo per tutta la
lunghezza della stanza. Quando fu certo di essere completamente solo,
si lasciò cadere sulle ginocchia e pianse fino a non avere
più lacrime.
Osservò per qualche istante la bottiglia di birra che teneva
in mano, guardandoci poi attraverso.
Da questo vetro scuro, pensò, il mondo non sembra poi
così brutto...
- Dio santo, Matthew! Apri questa stramaledetta porta!
Brian. Di nuovo.
Da quando aveva iniziato a bussare, all'incirca un'ora prima, il suo
amico pareva essere diventato un distributore automatico di bestemmie.
Non ne aveva saltato nemmeno una di quelle che conosceva; anzi, ne
aveva persino inventato di nuove.
- Ascolta, Beeman... hai chiesto di rimanere da solo, e sei stato
accontentato. Hai chiesto del tempo per metabolizzare la situazione, e
lo hai avuto. Ma adesso sono due settimane che non esci di casa!
Due settimane? Solo? A lui sembrava passata un'eternità da
quel
giorno. O forse era che, senza Alice, il tempo trascorreva
più
lento del normale.
Aveva passato quindici giorni a bere, sprofondato nel divano del
salotto. Ma non era ubriaco, era Alice quella che non reggeva l'alcol.
- Matthew, apri questa porta o ti giuro che la sfondo.
Non lo avrebbe mai fatto, ne era sicuro. Brian non era un tipo
violento. Un po' troppo irascibile, forse, ma mai violento.
- Guarda che non scherzo! Se non mi fai entrare, chiamo CIA, FBI, la
squadra speciale e chiunque riesca a contattare!
Ma perchè non se ne andava? Perchè non lo
lasciava solo
con la sua sofferenza? Perchè diavolo non gli permetteva di
struggersi in santa pace?
- Ah, dimenticavo - continuò Brian imperterrito -
Naturalmente chiamerò anche tua madre.
Quella sì che era una minaccia. Matt ricordava benissimo
l'ultima volta che aveva incontrato quella donna, e quel pensiero gli
metteva i brividi.
L'immagine della signora Beeman che irrompeva in casa sua, con la seria
intenzione di scombussolargli la vita, lo convinse ad alzarsi dal
divano ed andare incontro alla paternale dell'amico.
- Funziona sempre, eh? - esclamò Brian, entrando
nell'appartamento.
- Già - ammise l'altro - La cara e dolce Laureen fa ancora
tanta paura al piccolo Matty.
Brian avrebbe riso a quella battuta se non fosse stato troppo impegnato
a tapparsi il naso con due dita e reprimere un conato di vomito. Il
tanfo in quella stanza, se così si poteva chiamare, era
insopportabile. Sembrava di stare in una discarica, spazzatura
compresa. Cercò di farsi largo tra l'infinità di
bottiglie sparse per il pavimento e raggiunse la finestra, scostando le
tende e spalancandola con un gesto secco.
- Hai deciso di annegare il dolore nell'alcol o nella puzza? - chiese,
voltandosi - Perchè qui di sicuro non si resp...
La frase gli morì in gola. Ora che il sole illuminava
completamente il salotto, anche la figura del suo amico gli era
perfettemente chiara.
- Dio, Matt... come ti sei ridotto...
Contemplò il suo viso scarno, le guance ricoperte da una
barba
lasciata crescere per troppo tempo; aveva sicuramente perso parecchi
chili, probabile conseguenza di un digiuno prolungato.
- Da quanto non mangi?
- Da un po'.
- Non è una risposta.
- Accontentati.
Brian sgranò leggermente gli occhi, sorpreso. Cos'era quel
tono
rassegnato, quell'aspetto trascurato... che ne era del suo amico?
- So cosa stai pensando - la voce di Matt lo costrinse a riportare
l'attenzione su di lui - Ma non posso farci niente.
Si lasciò cadere nuovamente sul divano.
- Sì che puoi. Adesso ti fai una doccia, ti cambi e...
- Non hai capito - lo interruppe l'altro, sollevando lo sguardo e
piantandolo nel suo - Non riesco ad andare avanti. La mia vita non ha
più senso senza Alice.
Si sentiva così abbattuto... la sua intera esistenza era
andata in frantumi nel giro di pochi minuti.
Alice se n'è
andata.
Parole che rimbalzavano come impazzite nella sua testa. Alice non
poteva essere morta, non era possibile. Aveva solo 24 anni...
- Dimmi perchè, B. Perchè è successo?
Brian scosse la testa sconsolato, poi si sedette accanto all'amico,
stringendogli leggermente un braccio.
- Non lo so - ammise - Ma non ti posso vedere così, Matt.
Devi reagire. Anche lei lo vorrebbe.
- Reagire. Sembra facile detta così.
- Purtroppo non lo è, ne sono consapevole. Ma...
- Ho preso una decisione - lo interruppe l'amico - Me ne vado.
- Vai... dove?
Lo sguardo di Matthew si fissò su un punto indefinito della
parete, evitando volutamente quello del suo interlocutore.
- Qualsiasi dove che sia abbastanza lontano da qui. Ho troppi ricordi
in questa casa, in questa città...
L'altro scattò in piedi, scontrando una delle bottiglie e
facendole urtare il tavolino di legno.
- Il tempo di fare le valigie e qualche telefonata...
- Non posso chiederti una cosa del genere, B. Non ne ho il diritto.
Inclinò la testa e sorrise.
- Non me lo hai chiesto - anche Matt si alzò, facendo in
modo
che si ritrovassero faccia a faccia - Diciamo che mi sono autoinvitato.
- Sei sicuro? Voglio dire, è una decisione importante...
- Mai stato più sicuro in vita mia. Ora lavati, io non
viaggio con la gente che puzza!
Incassò sorridendo il "Va al diavolo, io non puzzo"
dell'amico.
Poi se ne andò, con la ferma convinzione che, da quel
momento in
poi, le cose sarebbero potute solo migliorare.
"Raccomandiamo
ai signori passeggeri di rimanere seduti al proprio posto e di
allacciare bene le cinture di sicurezza. L'aereo atterrerà a
Los
Angeles tra qualche minuto"
Ok,
so
di aver detto che gli aggiornamenti sarebbero stati lenti, e poi posto
un nuovo capitolo dopo pochi giorni... non vi ci abituate! :)
E' che ne avevo già scritto metà.....
Ringrazio le mie care "aficionados" shasha5 ed e r a t o per le loro recensioni!! Vi
adoro, ragazze!!!
E grazie anche a shasha5
per aver inserito la storia tra le seguite e le preferite e a e r a t o per
averla inserita tra le seguite!!
Alla prossima!
Baci8
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Seize the day cap 2
Un anno dopo...
Lo scampanellio segnalò l'ingresso di una persona nella
grande pizzeria. Troppo presto perché potesse essere un
cliente, troppo tardi per uno qualsiasi dei fornitori.
Il proprietario del locale sorrise al nuovo arrivato, poi mise le mani
a coppa davanti alla bocca e prese un bel respiro.
- Beeman! C'è il tuo amico! - urlò, facendo
tremare persino i vetri delle finestre.
In cucina, Matt afferrò un bicchiere prima che potesse
cadere e frantumarsi a terra. Ogni volta che il signor Wilkins gridava
in quel modo, qualcosa andava distrutto, vetro o ceramica che fosse.
Fortuna che non dava la colpa a lui o agli altri dipendenti...
- E chi se ne frega! - rispose, alzando a sua volta la voce di modo che
tutto il locale potesse sentirlo - Tanto viene a trovarmi solo per
avere una scusa per vedere Kate!
Sorrise, sentendo l'amico borbottare e immaginando il suo volto
diventare porpora; poco dopo, la cameriera in questione gli
tirò un sonoro calcio negli stinchi, facendogli scappare una
bestemmia.
- Katerine, questo non è un comportamento che si addice ad
una signorina - borbottò lui, massaggiandosi la parte
dolorante.
Soprattutto con una
forza del genere.
La ragazza inclinò leggermente la testa, guardandolo con
aria rassegnata.
- Dovresti smetterla, Beeman - sentenziò - Non sei
simpatico. E prima o poi troverai qualcuno che ti rimetterà
al tuo posto.
- Vorresti essere tu? - replicò lui con un sorrisetto
sarcastico stampato in volto.
- Potrei essere io, invece, visto che questa storia comincia ad
infastidirmi.
Un secondo calcio, anche se un po' meno potente del precedente, lo
colpì all'altra gamba.
Matt assunse un'espressione contrariata, trattenendosi dall'imprecare
nuovamente, poi si voltò verso il suo amico.
- Che fai da queste parti, B?
L'altro si avvicino al bancone dove Matt era solito impastare, si
sollevò sulle braccia e vi si sedette sopra.
- Volevo parlarti di una cosa - dichiarò - In privato -
aggiunse poi, lanciando un'occhiata furtiva a Kate.
La cameriera si strinse nelle spalle.
- Andrò in sala a preparare i tavoli. Ma fate una cosa
veloce, prima o poi dovrò tornare qua.
Matthew la seguì con lo sguardo, lo stesso che poi
puntò su Brian. Non gli piaceva l'espressione che l'amico
aveva assunto. Soprattutto perché, ne era quasi certo,
già sapeva qual era l'argomento della prossima conversazione.
- Allora, Beeman... come stai?
- Non girarci intorno, B - ribatté - Dì quello
che devi dire.
Brian resistette alla tentazione di passarsi una mano fra i capelli,
suo solito tic nervoso, poi sospirò. Era davvero una tortura
per lui starsene seduto lì, rivangare il passato doloroso,
fare del male al suo migliore amico. Avrebbe dato qualsiasi cosa per
non dover tirare fuori quella vecchia storia.
- Matthew, domani è quel
giorno.
- Lo so.
Aveva bisogno di distogliere l'attenzione, come se il semplice fatto di
non guardare in faccia quel ragazzo potesse alleviare la sua
sofferenza. Aprì quindi il forno a legna, fingendo di
controllare qualcosa.
- Cosa intendi fare?
- Io lavoro domani. Te ne sei dimenticato?
- Non vuoi tornare.
Colpito. La cosa che detestava maggiormente di Brian era che lo
conosceva talmente bene da poterlo affondare con poche parole. Come
quelle tre. "Non vuoi tornare". Cristo, certo che non voleva tornare!
Non voleva prendere un dannato volo per tornare in quella dannata
città e dover fare nuovamente i conti con quello che era
successo. Non voleva incontrare i genitori e il fratello di Alice,
ricevere abbracci o pacche sulle spalle. Non voleva dover rendersi
conto che erano passati già 365 giorni dalla morte della
donna che amava.
Non voleva. Non poteva. Non lo avrebbe fatto.
- Tu dovresti tornare - disse, posando nuovamente lo sguardo sull'amico
- Hai una famiglia, una sorella che ti aspetta...
- E tu lasciali aspettare - Brian scese dal bancone con un balzo -
Voglio dire, mi mancano, certo. Ma sanno che ho un lavoro e che questo
non è il momento adatto. Piuttosto, c'è da andare
a pagare l'affitto.
Matt si ritrovò a pensare a quanto erano stati fortunati.
Avevano trovato casa, ad un prezzo talmente basso che si era chiesto se
non fosse tutto uno scherzo, e lavoro due giorni dopo essere atterrati
a Los Angeles.
La loro padrona di casa, poi, era una donna straordinaria. Una
simpatica signora di ottant'anni, con un unico difetto: amava sapere
tutto di tutti. non si faceva problemi a fare domande, e, se non
otteneva risposte esaurienti, continuava tranquillamente ad insistere.
Non sempre Brian era dell'umore adatto per sopportare una tale
intromissione nella sua vita privata; la maggior parte delle volte
toccava a lui subire il terzo grado, il tutto corredato da
tè e qualche pasticcino.
- Ci vado io, non ti preoccupare - disse.
- Grazie - ribatté Brian, sospirando - Non avrei resistito
ad uno dei suoi interrogatori stile poliziotto.
Matt si ritrovò a sorridere senza quasi accorgersene. La
battuta dell'amico era servita ad allontanare per un po' la tristezza
che il ricordo di Alice gli aveva procurato, ma sapeva che non sarebbe
durato a lungo. Prima o poi il passato sarebbe tornato a fargli visita,
e allora lui avrebbe dovuto affrontarlo. Che lo volesse o meno.
- Adesso vai, prima che Kate torni. Sai, non credo che tu le vada molto
a genio...
- A quella non va a genio nessuno, te lo dico io.
- Voi due cretini no, poco ma sicuro! - esclamò la ragazza
dall'altra sala.
I due ragazzi si guardarono per qualche secondo prima di scoppiare a
ridere. Poi, tra i borbottii della cameriera, Brian uscì,
lasciando Matthew al suo importantissimo lavoro.
Aveva davvero bisogno di una passeggiata. Chiuse gli occhi, lasciando
che il vento gli accarezzasse il volto, e sorrise.
Los Angeles era stata la sua salvezza, l'unica cosa che gli aveva
impedito di impazzire. Perché, ne era sicuro, se fosse
rimasto chiuso in quel buco del suo appartamento ancora a lungo sarebbe
diventato matto. L'assenza di Alice lo avrebbe schiacciato, e lui non
avrebbe resistito, avrebbe ceduto al dolore. Naturalmente doveva
ringraziare anche Brian. Aveva lasciato casa, famiglia e lavoro per
stargli accanto. Un amico come lui non si trovava tanto spesso, ne era
consapevole.
La casa della signora Greenway era un piccolo edificio con i muri color
mattone, composto da due piani e con un ampio giardino tutt'intorno.
Era impossibile non notarlo: una miriade di colori catturava lo sguardo
di chiunque passasse da quelle parti, costringendolo ad ammirare la
distesa di fiori e piante che popolava quel pezzo di terreno. E non
c'era giorno in cui la padrona di casa non se ne prendesse cura.
- Matthew, ragazzo, sei tu?
La vide seduta sotto il portico con una tazza di porcellana tra le
mani. La vitalità di quella donna era sorprendente: riusciva
a fare qualsiasi cosa, persino cucire, benché fosse quasi
cieca. Cosa ancora più strana, riusciva a riconoscerlo.
Sempre. Non lo scambiava mai per Brian o per qualcun altro, e
così succedeva per ogni suo visitatore.
- Sì, signora Greenway - replicò, aprendo il
piccolo cancello di legno verniciato e incamminandosi lungo il vialetto
- Sono venuto a pagare l'affitto.
L'anziana signora si alzò sulle gambe malferme; quando poi
riuscì a trovare la stabilità necessaria, fece
qualche passo verso di lui, un sorriso radioso ad illuminarle il volto.
- Vieni dentro, caro. Lo vuoi un po' di tè? E i pasticcini?
Come rifiutare? Matt non si sarebbe mai permesso, per questo la
seguì all'interno e prese posto al grande tavolo rotondo che
occupava gran parte della sala da pranzo.
- Allora, Matthew - iniziò la donna, posando con cura sulla
tovaglia di cotone un piattino colmo di dolcetti - Come stai?
Male. Distrutto. La vecchia ferita era stata riaperta e ora sanguinava
copiosamente.
- Sto bene, grazie - mentì, cercando di mantenere la voce il
più ferma possibile.
- E il tuo amico?
- Anche lui. Mi ha chiesto di portarle i suoi saluti, signora Greenway.
- E' parecchio che non si fa vedere, quel benedetto ragazzo -
sentenziò lei - Non abbiamo più potuto parlare di
quella ragazza... come si chiamava? Ah, ora ricordo: Kate. Il suo nome
era Kate.
Per un attimo Matt temette di aver sentito male. Brian aveva parlato di
Kate alla loro padrona di casa? Per quale motivo? E perché
con lui non ne aveva mai fatto parola?
Margareth Greenway sorseggiava lentamente il suo tè,
aspettando una risposta. Quando capì che questa non sarebbe
mai arrivata, decise di partire all'attacco con un'altra domanda.
- E tu, Matthew? Non hai una fidanzata?
Lo sentì irrigidirsi e trattenere il fiato. Lo vedeva, a
modo suo, e comprese di aver toccato un tasto dolente.
Matt si alzò di scatto, rischiando di rovesciare piattino e
tazza; poi mise la mano nella tasca della giacca e estrasse l'assegno
che consegnò all'anziana donna.
- Mi dispiace, signora Greenway. Ora devo proprio andare.
Non era pronto per parlarne, tantomeno per sopportare un interrogatorio
sull'argomento.
Non era pronto. Non ancora.
Perché diavolo non riusciva a ubriacarsi? Perché
tra tutte le qualità esistenti Dio gli aveva dato proprio
quella di reggere l'alcol alla perfezione? Neanche la
possibilità di bere per dimenticare aveva.
Afferrò il cavatappi e stappò la sesta birra
della serata.
In quell'ultimo anno aveva creduto di poter rincominciare da zero,
superando la morte di Alice e cercando di vivere al meglio la sua nuova
vita a Los Angeles.
Ma lei era lì, sempre presente nei suoi pensieri, nel suo
cuore. Non riusciva, non poteva non pensarci. Ogni volta che ci
provava, tutti i bei momenti passati con Alice gli tornavano in mente,
passandogli davanti agli occhi come un lungo film in bianco e nero.
Si trascinò in camera e si buttò a letto ancora
vestito. Rimase quasi un'ora a fissare il soffitto prima di riuscire ad
addormentarsi. E anche allora, nei suoi sogni, la vide.
Non sentì Brian rientrare, quella notte. Ma al mattino,
quando entrò nella piccola cucina per fare colazione, si
rese conto che tutto il casino che aveva lasciato la sera prima era
stato sistemato.
Ecco
il nuovo capitolo che tutti stavate aspettando! Sì, era una
battuta.
Non sto neanche a dirvi da quanto non aggiornavo, anche
perché me ne vergogno *__*
Un grazie di cuore va a kira90, sasha5, e ardiarsun per
le graditissime recensioni, chi ha inserito la storia in una delle tre
liste e, naturalmente, a chi si limita a leggere!
Alla prossima! :)
Baci8
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Seize the day cap 3
"Mamma, vado via."
"Via dove, Matthew?"
"Non lo so ancora. Ti
chiamo quando ci arrivo, ok?"
"Ma non c'è
bisogno che te ne vada, tesoro. Puoi venire a vivere qui, con me.
Affronteremo la cosa insieme e..."
"Non posso restare, mi
dispiace."
Laureen Beeman lanciò l'ennesima occhiata al telefono, nella
vana speranza che questo cominciasse a suonare.
I primi tempi suo figlio la chiamava almeno tre volte alla settimana,
chiedendole notizie su quella parte di mondo che aveva deciso di
abbandonare. Ma ormai era passato un anno, le telefonate si erano fatte
più rade e così i tentativi di convincerlo a
tornare a casa.
Si alzò dal divano sospirando e si spostò in
cucina per preparare la cena.
Forse poteva contattarlo lei. Una madre ha diritto a sentire un figlio
come e quando le pare, no? Ci aveva provato, ma non c'era mai riuscita.
Dopo aver cercato il numero in rubrica si bloccava, il dito sospeso a
pochissimi centimetri dal tasto verde. E ogni volta imprecava contro
sè stessa per quella mancanza di coraggio.
Laureen aveva paura di non rivedere più suo figlio. Era
dalla morte di Alice che ci pensava. E se fosse successo a lui? Se quel
giorno, in quella macchina, ci fosse stato Matt? Se a Los Angeles gli
fosse accaduto qualcosa?
Non sarebbe mai riuscita a convivere con un tale dolore. Non le sarebbe
stato possibile sopportare di nuovo quello che aveva provato dopo
l'infarto che le aveva portato via il marito.
Doveva chiamarlo. O Brian, magari.
Forse un giorno ce l'avrebbe fatta. Forse quel giorno sarebbe stato
troppo tardi.
Quando si alzò, la mattina dopo, Brian stava ancora
dormendo. Lo poteva dire con sicurezza, anche senza entrare nella sua
stanza: il russare dell'amico si sentiva persino da fuori casa.
Infilò il casco e salì sulla moto.
Un anno.
Non riusciva a non pensarci. Non poteva semplicemente accantonare il
pensiero, relegandolo in un angolino della propria mente.
E' passato un anno dalla
morte di Alice.
Accelerò, inconsapevolmente. La moto percorreva le affollate
strade di Los Angeles, passava tra macchine ferme in coda e
automobilisti non particolarmente allegri.
Avrebbe voluto poter chiudere gli occhi e dimenticare tutto. Alice, il
bambino mai nato... tutto. Avrebbe voluto... magari se non fosse
partito sarebbe stato meglio. O forse no. Forse avrebbe finito con il
diventare pazzo, o, ancora peggio, farsi del male.
Fermo al semaforo, Matt si ritrovò a pensare a Brian. Era un
anno che non vedeva la sua famiglia, ma non lo aveva mai sentito
lamentarsi. Eppure, lo sapeva, non vedeva l'ora di tornare a casa.
Gli avrebbe parlato. Gli avrebbe detto che era libero, che non doveva
sentirsi in obbligo e restare solo perché il suo migliore
amico era un mezzo depresso. Non aveva alcun diritto di rovinare anche
la sua, di vita.
Non chiudere gli occhi,
Jess. Non farlo.
Si passò entrambe le mani sul viso, nel vano tentativo di
eliminare così la stanchezza che le gravava sulle spalle.
Aveva ventiquattro anni e si sentiva come una donna di ottanta. Forse
era davvero arrivato il momento di trovare un lavoro che le permettesse
di dormire un po' di più.
- Va tutto bene? - le chiese una delle mamme in attesa.
Jess annuì, tornando a guardare il grande cancello
dell'asilo. Era arrivata prima del solito, quella mattina, e aveva
trovato tutto ancora chiuso. Ma Christopher non vedeva l'ora di
raggiungere i suoi compagni per mostrare loro la nuova
macchinina che la nonna gli aveva regalato.
Pensò di chiedere al suo capo una settimana di ferie. In
fondo, se lo meritava. Lavorava sei sere a settimana nel pub,
dall'apertura fino all'ora di chiusura, poco prima delle cinque di
mattina. Poi doveva tornare a casa, farsi una doccia, svegliare Chris,
preparargli la colazione e portarlo all'asilo. Riusciva giusto a
concedersi quell'oretta di riposo sul divano per evitare di crollare.
Più volte sua nonna, quella che anche Chris chiamava
'nonna', si era proposta come sostituta. Ma era anziana, e Jess non
voleva che si stancasse troppo. Per tranquillizzarla, comunque, si era
trasferita a vivere da lei, insieme al figlio.
Aprì gli occhi, di botto. Neanche si era accorta di averli
chiusi. Santo cielo, stava seriamente peggiorando. Doveva rimanere
vigile, controllare... un attimo. Dov'era Christopher?
Cercò il figlio con lo sguardo, tra la moltitudine di adulti
e bambini che aspettavano di fronte al cancello.
- Chris? - chiamò, ma senza ottenere risposta.
Il sonno era svanito di colpo, lasciando il posto ad un'immensa
preoccupazione.
- Christopher?
Fu allora che lo vide.
Giocando con gli amichetti, la macchinina era finita sulla strada e il
piccolo stava andando a recuperarla. Jess cercò di
raggiungerlo, spintonando chiunque le ostruisse il passaggio. Chris era
già sceso dal marciapiede. La ragazza si rese conto che non
sarebbe riuscita ad arrivare in tempo.
- Christopher, torna qui!
Il bambino era ormai in strada, esposto al pericolo. Una macchina lo
scansò all'ultimo momento, suonando a lungo il clacson.
Jess si sentiva il cuore di piombo. Ma perché nessuno faceva
qualcosa? Per quale motivo non prendevano Chris e lo toglievano dalla
strada?
Passò tra due madri che fissavano incredule la scena,
spingendole via. Ancora pochi metri...
Quel suono sarebbe rimasto impresso nella mente di Jess per tutta la
vita.
La grossa moto nera, che fino a qualche secondo prima puntava dritta
sul bambino, quasi il guidatore fosse completamente cieco, aveva
sterzato a destra all'ultimo momento, finendo contro i bidoni
dell'immondizia.
Quando finalmente lo raggiunse, Jess prese Christopher tra le braccia e
lo riportò sul marciapiede.
- Stai bene? - gli chiese, toccando ogni parte di lui per sincerarsi
che fosse tutto intero. - Chris, stai bene?
- Sì, mamma, sto bene.
- Sto bene anche io, grazie per l'interessamento.
Jess si girò di scatto. Quello che doveva essere il
conducente della moto si era avvicinato e, una volta tolto il casco, li
guardava serio.
- Vuole sapere la verità? Non me ne importa un accidente di
come sta lei.
- Lo immaginavo - rispose lui. - Il bambino come sta?
- Sta bene, grazie - sbottò la ragazza.
- Menomale.
Detto ciò, il ragazzo si girò, salutandoli con un
gesto della mano, e si incamminò.
- Ehi, aspetti! - esclamò Jess, facendolo nuovamente
voltare. - Grazie. Per non averlo... per aver preferito i bidoni a mio
figlio.
Lui rispose con un sorriso; poi tornò alla sua moto, la
avviò e ripartì come se non fosse successo niente.
Lo so, è un
pessimo capitolo. Soprattutto dato che vi ho fatto aspettare
più di un anno. Ma abbiate pazienza, Madame Ispirazione non
si è fatta vedere per un bel po'.
Un grazie di cuore a Kira90
che, nonostante tutto, continua a seguire la storia.
E lo so che lo dico sempre, ma spero di riuscire ad aggiornare in meno
tempo la prossima volta.
A presto, si spera! :)
Baci8
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