Seize the day

di DadaOttantotto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Seize the day prologo
Seize the day or die regretting the time you lost
(Seize the day - Avenged Sevenfold)
  • Prologo

Brian si passò una mano tra i lunghi capelli neri, pregando chiunque potesse sentirlo di dargli la forza di fare quello per cui era uscito di casa in fretta e furia.
- Merda, merda, merda! - esclamò, battendo il palmo sul volante della sua auto.
Guardò la vetrina della pizzeria. Doveva entrare, non aveva altra scelta. Doveva affrontare Matt, spiegargli quello che era successo e sperare che la notizia non lo uccidesse. Sì, lo doveva fare. Per lui, per se stesso, per Alice.
Quando scese dalla macchina, la pioggia lo investì, rendendolo più zuppo di un biscotto pucciato nel latte.
Dio, che paragone del cazzo. Sei un genio, Sanderson, davvero.
Eppure Alice amava fare certe similitudini senza senso, che avevano come unico risultato quello di far ridere tutti i presenti. Alice amava ridere. Alice amava un sacco di cose.
Scosse la testa, come a voler far uscire qualunque cosa vi fosse all'interno.
Entrò nel piccolo locale con la stessa faccia di chi sta varcando la soglia dell'inferno. Nemmeno il calore che quelle pareti bianche gli avevano sempre trasmesso sembrava fare effetto.
- Ehi, Brian! - lo salutò il proprietario, un omone italiano di circa sessant'anni.
- Salve, signor Tacconi - replicò senza entusiasmo - Ho bisogno del nostro pizzaiolo preferito, posso distoglierlo un attimo dal suo importantissimo lavoro?
L'altro annuì, serio. Aveva capito che qualcosa non andava. Lo aveva capito appena aveva visto il volto del ragazzo.
- Sì, certo. Ma vedi di non sgocciolarmi in cucina, altrimenti diventerai il condimento per la prossima pizza!
Brian non gli diede risposta, considerando addirittura fastidiosa la leggera nota di sarcasmo che aveva avvertito nella frase di Tacconi.
La prima cosa che notò entrando in cucina fu il sorriso di Matt. Lui era nel suo mondo: farina, pomodori e tutto quello che poteva mettere su quell'affare rotondo. Un mondo che lui stava per distruggere.
Perche è successo? Perchè? Perchè noi e non qualcun altro?
- Terra chiama Brian, Terra chiama Brian... rispondi, Brian!
Si riscosse dai suoi pensieri e riaprì gli occhi, trovandosi davanti il viso dell'amico.
- Oh, ciao, Matt.
- Oh, ciao? Tutto qui? - chiese il ragazzo, perplesso - Sei venuto per salutarmi? Va bene l'amicizia, ma mi sarebbe bastato anche una telefonata...
- No... cioè, scusa... volevo dire...
Come faceva a dargli una notizia così pesante se non riusciva nemmeno a trovare le parole per introdurre l'argomento?
Sussultò quando Matt posò le mani sulle sue spalle.
- B, ascolta... mi sembri piuttosto agitato. Va tutto bene?
No, non va bene niente. E' tutto così ingiusto, così sbagliato, così... irreale.
- C'è un posto dove possiamo parlare in privato? - chiese, gettando un'occhiata alle altre persone presenti.
Matt lo condusse nel retro, in una piccola stanza adibita a magazzino. Brian si sentiva soffocare tra quegli scaffali altissimi, pieni di scatolette che sembravano venirgli sempre più vicine. Trasse un profondo respiro.
- Forse è meglio che ti siedi.
- No - replicò Matt - Prima mi dici che è successo. Non ti ho mai visto così!
- Beeman, fidati. E' meglio che ti siedi.
Quando l'amico lo accontentò, Brian gli si inginocchiò davanti, portando i loro visi alla stessa altezza. Cercò di raccogliere tutto il coraggio che pensava di possedere, ma probabilmente non era molto, visto il tremore che lo aveva preso alle mani. Per quanto quel compito fosse gravoso, però, lui si era preso la responsabilità di portarlo a termine. E lo avrebbe fatto, a qualunque costo.
- Ti ricordi di Chris? - fece.
Matthew annuì.
- E' il tuo amico, quello che lavora all'obitorio, giusto?
- Già. Stamattina mi ha chiamato.
La sua mano passò di nuovo tra i capelli, spettinandoli più di quanto già non fossero.
- E?
Ok, era il momento. Il primo passo è sempre il più difficile, ma lui ormai lo aveva fatto. Ora doveva trovare il coraggio per andare avanti.
- Matt, promettimi che non farei niente di avventato.
Eh, no! Non ne poteva proprio più! Il comportamento dell'amico si faceva sempre più strano, e Matt non sarebbe riuscito a sopportare oltre.
Si alzò di scatto, prendendo Brian per il colletto della camicia e piantando lo sguardo nel suo.
- B, cazzo! Ti decidi a dirmi cosa è successo?
Sentì il corpo dell'amico irrigidirsi, gli occhi presero a fissare un punto indefinito del pavimento.
- Si tratta di Alice... lei è... è...
- Lei è cosa?
Finalmente ritrovò le forze per sostenere lo sguardo del ragazzo moro che aveva davanti.
- E' morta, Matthew. Alice se n'è andata.

Eh, sì... sono di nuovo io. So di avere una quantità assurda di storie aperte, ma quando il Prologo Compulsivo chiama, è impossibile non rispondere! Allora, questa storia nasce grazie al video di Seize the day, canzone degli Avenged Sevenfold. Questo, mischiato al mio cervello bacato, ha fatto uscire questa schifezzuola...
Non vi assicuro aggiornamenti rapidi, con me bisogna avere parecchia pazienza...
Che dire, spero che il prologo vi abbia incuriosito!! :)
Alla prossima!
Baci8

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Seize the day cap 1
  • Capitolo 1

Matt lasciò la presa sulla camicia dell'amico, sgranando gli occhi e indietreggiando di qualche passo.
- Mi stai prendendo per il culo, B.
Non era una domanda, la sua. Era una semplice constatazione, il massimo a cui era disposto a credere.
- Non sai quanto vorrei che questo fosse tutto uno scherzo. Invece è vero. Chris mi ha avvisato non appena si è visto arrivare il corpo in obitorio. Ho pensato che preferissi saperlo da me.
Osservò l'amico barcollare, appoggiarsi agli scaffali e cadere in avanti. Brian riuscì ad afferrarlo sotto le braccia e lo sorresse, evitandogli una facciata contro il freddo pavimento.
- Non è possibile - lo sentii mormorare, il viso schiacciato contro la sua spalla - Alice... il nostro bambino...
Si era aspettato di vederlo piangere, urlare o qualsiasi altra cosa lo avesse aiutato a sfogarsi. Era pronto ad aiutarlo, a sostenerlo, qualunque fosse stata la sua reazione. Ma Matt non smetteva mai di stupirlo. Nonostante lo conoscesse praticamente da sempre, alcuni lati di quel ragazzone di un metro e novanta gli erano ancora oscuri.
Difatti, l'amico lo spinse via, prendendolo alla sprovvista e facendolo finire con il sedere per terra. Poi attraversò di corsa la stanza, afferrò giaccone e casco, e uscì dalla pizzeria senza degnare nessuno di uno sguardo. Una volta all'esterno, salì sulla sua moto e partì.
Brian non era riuscito a fermarlo, nonostante ci avesse provato. Gli si era messo davanti più volte, col solo risultato di essere spostato quasi di peso ed invitato ben poco cordialmente a levarsi dai piedi.
Non potè fare altro che assecondarlo, per poi seguirlo con la macchina fino all'ospedale.

- E' lì dentro?
La madre di Alice annuì impercettibilmente. Si coprì il volto con le mani, accasciandosi su una delle sedie di plastica della sala d'attesa. Il marito le fu subito accanto, l'abbracciò e cercò di consolarla come poteva.
Non si era mai sentito così simile a qualcuno come in quel momento. Quelle due persone avevano perso una figlia, come lui aveva perso una fidanzata. E un figlio nemmeno ancora nato. Aveva perso tutto.
A malapena percepì la mano di Brian posarsi sulla sua spalla.
- Vuoi che venga con te?
Matt scosse la testa. Apprezzava l'aiuto che l'amico gli stava offrendo, ma, allo stesso tempo, gli dava fastidio. Chi era per intromettersi in faccende che non gli competevano? Alice era la sua fidanzata, la donna che lui amava, la madre di suo figlio.... in un attimo si rese conto di quanto fosse stupido. Brian gli stava offrendo la sua amicizia. E, al momento, era tutto quello che gli era rimasto.
- Ti ringrazio, ma devo farlo da solo - replicò, cercando di non cedere.
Si fece guidare dal medico fino al corpo di Alice. Quando il dottore tolse il lenzuolo che la ricopriva, però, le sue difese crollarono. Represse a stento la tentazione di stringerla tra le braccia, urlare il suo nome, cercare di svegliarla. Voleva che lei aprisse gli occhi, ne aveva un dannato bisogno. Si aspettava che, da un momento all'altro, Alice si alzasse e lo rimproverasse per aver lasciato il lavoro. Ma non era così, lo sapeva. Non lo sarebbe mai più stato.
Non riusciva a muoversi, a parlare. Se ne stava lì a fissarla, come se questo potesse farla tornare in vita.
Cazzo, Alice, svegliati... per favore...
- Se ha bisogno di me, sono qui fuori.
Probabilmente il dottore prese il suo silenzio come un assenso, perchè uscì senza aggiungere altro.
Si guardò attorno, facendo scorrere lo sguardo per tutta la lunghezza della stanza. Quando fu certo di essere completamente solo, si lasciò cadere sulle ginocchia e pianse fino a non avere più lacrime.

Osservò per qualche istante la bottiglia di birra che teneva in mano, guardandoci poi attraverso.
Da questo vetro scuro, pensò, il mondo non sembra poi così brutto...
- Dio santo, Matthew! Apri questa stramaledetta porta!
Brian. Di nuovo.
Da quando aveva iniziato a bussare, all'incirca un'ora prima, il suo amico pareva essere diventato un distributore automatico di bestemmie. Non ne aveva saltato nemmeno una di quelle che conosceva; anzi, ne aveva persino inventato di nuove.
- Ascolta, Beeman... hai chiesto di rimanere da solo, e sei stato accontentato. Hai chiesto del tempo per metabolizzare la situazione, e lo hai avuto. Ma adesso sono due settimane che non esci di casa!
Due settimane? Solo? A lui sembrava passata un'eternità da quel giorno. O forse era che, senza Alice, il tempo trascorreva più lento del normale.
Aveva passato quindici giorni a bere, sprofondato nel divano del salotto. Ma non era ubriaco, era Alice quella che non reggeva l'alcol.
- Matthew, apri questa porta o ti giuro che la sfondo.
Non lo avrebbe mai fatto, ne era sicuro. Brian non era un tipo violento. Un po' troppo irascibile, forse, ma mai violento.
- Guarda che non scherzo! Se non mi fai entrare, chiamo CIA, FBI, la squadra speciale e chiunque riesca a contattare!
Ma perchè non se ne andava? Perchè non lo lasciava solo con la sua sofferenza? Perchè diavolo non gli permetteva di struggersi in santa pace?
- Ah, dimenticavo - continuò Brian imperterrito - Naturalmente chiamerò anche tua madre.
Quella sì che era una minaccia. Matt ricordava benissimo l'ultima volta che aveva incontrato quella donna, e quel pensiero gli metteva i brividi.
L'immagine della signora Beeman che irrompeva in casa sua, con la seria intenzione di scombussolargli la vita, lo convinse ad alzarsi dal divano ed andare incontro alla paternale dell'amico.
- Funziona sempre, eh? - esclamò Brian, entrando nell'appartamento.
- Già - ammise l'altro - La cara e dolce Laureen fa ancora tanta paura al piccolo Matty.
Brian avrebbe riso a quella battuta se non fosse stato troppo impegnato a tapparsi il naso con due dita e reprimere un conato di vomito. Il tanfo in quella stanza, se così si poteva chiamare, era insopportabile. Sembrava di stare in una discarica, spazzatura compresa. Cercò di farsi largo tra l'infinità di bottiglie sparse per il pavimento e raggiunse la finestra, scostando le tende e spalancandola con un gesto secco.
- Hai deciso di annegare il dolore nell'alcol o nella puzza? - chiese, voltandosi - Perchè qui di sicuro non si resp...
La frase gli morì in gola. Ora che il sole illuminava completamente il salotto, anche la figura del suo amico gli era perfettemente chiara.
- Dio, Matt... come ti sei ridotto...
Contemplò il suo viso scarno, le guance ricoperte da una barba lasciata crescere per troppo tempo; aveva sicuramente perso parecchi chili, probabile conseguenza di un digiuno prolungato.
- Da quanto non mangi?
- Da un po'.
- Non è una risposta.
- Accontentati.
Brian sgranò leggermente gli occhi, sorpreso. Cos'era quel tono rassegnato, quell'aspetto trascurato... che ne era del suo amico?
- So cosa stai pensando - la voce di Matt lo costrinse a riportare l'attenzione su di lui - Ma non posso farci niente.
Si lasciò cadere nuovamente sul divano.
- Sì che puoi. Adesso ti fai una doccia, ti cambi e...
- Non hai capito - lo interruppe l'altro, sollevando lo sguardo e piantandolo nel suo - Non riesco ad andare avanti. La mia vita non ha più senso senza Alice.
Si sentiva così abbattuto... la sua intera esistenza era andata in frantumi nel giro di pochi minuti.
Alice se n'è andata.
Parole che rimbalzavano come impazzite nella sua testa. Alice non poteva essere morta, non era possibile. Aveva solo 24 anni...
- Dimmi perchè, B. Perchè è successo?
Brian scosse la testa sconsolato, poi si sedette accanto all'amico, stringendogli leggermente un braccio.
- Non lo so - ammise - Ma non ti posso vedere così, Matt. Devi reagire. Anche lei lo vorrebbe.
- Reagire. Sembra facile detta così.
- Purtroppo non lo è, ne sono consapevole. Ma...
- Ho preso una decisione - lo interruppe l'amico - Me ne vado.
- Vai... dove?
Lo sguardo di Matthew si fissò su un punto indefinito della parete, evitando volutamente quello del suo interlocutore.
- Qualsiasi dove che sia abbastanza lontano da qui. Ho troppi ricordi in questa casa, in questa città...
L'altro scattò in piedi, scontrando una delle bottiglie e facendole urtare il tavolino di legno.
- Il tempo di fare le valigie e qualche telefonata...
- Non posso chiederti una cosa del genere, B. Non ne ho il diritto.
Inclinò la testa e sorrise.
- Non me lo hai chiesto - anche Matt si alzò, facendo in modo che si ritrovassero faccia a faccia - Diciamo che mi sono autoinvitato.
- Sei sicuro? Voglio dire, è una decisione importante...
- Mai stato più sicuro in vita mia. Ora lavati, io non viaggio con la gente che puzza!
Incassò sorridendo il "Va al diavolo, io non puzzo" dell'amico. Poi se ne andò, con la ferma convinzione che, da quel momento in poi, le cose sarebbero potute solo migliorare.

"Raccomandiamo ai signori passeggeri di rimanere seduti al proprio posto e di allacciare bene le cinture di sicurezza. L'aereo atterrerà a Los Angeles tra qualche minuto"


Ok, so di aver detto che gli aggiornamenti sarebbero stati lenti, e poi posto un nuovo capitolo dopo pochi giorni... non vi ci abituate! :)
E' che ne avevo già scritto metà.....
Ringrazio le mie care "aficionados" shasha5 ed e r a t o per le loro recensioni!! Vi adoro, ragazze!!!
E grazie anche a shasha5 per aver inserito la storia tra le seguite e le preferite e a e r a t o per averla inserita tra le seguite!!
Alla prossima!
Baci8

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Seize the day cap 2
  • Capitolo 2

Un anno dopo...

Lo scampanellio segnalò l'ingresso di una persona nella grande pizzeria. Troppo presto perché potesse essere un cliente, troppo tardi per uno qualsiasi dei fornitori.
Il proprietario del locale sorrise al nuovo arrivato, poi mise le mani a coppa davanti alla bocca e prese un bel respiro.
- Beeman! C'è il tuo amico! - urlò, facendo tremare persino i vetri delle finestre.
In cucina, Matt afferrò un bicchiere prima che potesse cadere e frantumarsi a terra. Ogni volta che il signor Wilkins gridava in quel modo, qualcosa andava distrutto, vetro o ceramica che fosse. Fortuna che non dava la colpa a lui o agli altri dipendenti...
- E chi se ne frega! - rispose, alzando a sua volta la voce di modo che tutto il locale potesse sentirlo - Tanto viene a trovarmi solo per avere una scusa per vedere Kate!
Sorrise, sentendo l'amico borbottare e immaginando il suo volto diventare porpora; poco dopo, la cameriera in questione gli tirò un sonoro calcio negli stinchi, facendogli scappare una bestemmia.
- Katerine, questo non è un comportamento che si addice ad una signorina - borbottò lui, massaggiandosi la parte dolorante.
Soprattutto con una forza del genere.
La ragazza inclinò leggermente la testa, guardandolo con aria rassegnata.
- Dovresti smetterla, Beeman - sentenziò - Non sei simpatico. E prima o poi troverai qualcuno che ti rimetterà al tuo posto.
- Vorresti essere tu? - replicò lui con un sorrisetto sarcastico stampato in volto.
- Potrei essere io, invece, visto che questa storia comincia ad infastidirmi.
Un secondo calcio, anche se un po' meno potente del precedente, lo colpì all'altra gamba.
Matt assunse un'espressione contrariata, trattenendosi dall'imprecare nuovamente, poi si voltò verso il suo amico.
- Che fai da queste parti, B?
L'altro si avvicino al bancone dove Matt era solito impastare, si sollevò sulle braccia e vi si sedette sopra.
- Volevo parlarti di una cosa - dichiarò - In privato - aggiunse poi, lanciando un'occhiata furtiva a Kate.
La cameriera si strinse nelle spalle.
- Andrò in sala a preparare i tavoli. Ma fate una cosa veloce, prima o poi dovrò tornare qua.
Matthew la seguì con lo sguardo, lo stesso che poi puntò su Brian. Non gli piaceva l'espressione che l'amico aveva assunto. Soprattutto perché, ne era quasi certo, già sapeva qual era l'argomento della prossima conversazione.
- Allora, Beeman... come stai?
- Non girarci intorno, B - ribatté - Dì quello che devi dire.
Brian resistette alla tentazione di passarsi una mano fra i capelli, suo solito tic nervoso, poi sospirò. Era davvero una tortura per lui starsene seduto lì, rivangare il passato doloroso, fare del male al suo migliore amico. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non dover tirare fuori quella vecchia storia.
- Matthew, domani è quel giorno.
- Lo so.
Aveva bisogno di distogliere l'attenzione, come se il semplice fatto di non guardare in faccia quel ragazzo potesse alleviare la sua sofferenza. Aprì quindi il forno a legna, fingendo di controllare qualcosa.
- Cosa intendi fare?
- Io lavoro domani. Te ne sei dimenticato?
- Non vuoi tornare.
Colpito. La cosa che detestava maggiormente di Brian era che lo conosceva talmente bene da poterlo affondare con poche parole. Come quelle tre. "Non vuoi tornare". Cristo, certo che non voleva tornare! Non voleva prendere un dannato volo per tornare in quella dannata città e dover fare nuovamente i conti con quello che era successo. Non voleva incontrare i genitori e il fratello di Alice, ricevere abbracci o pacche sulle spalle. Non voleva dover rendersi conto che erano passati già 365 giorni dalla morte della donna che amava.
Non voleva. Non poteva. Non lo avrebbe fatto.
- Tu dovresti tornare - disse, posando nuovamente lo sguardo sull'amico - Hai una famiglia, una sorella che ti aspetta...
- E tu lasciali aspettare - Brian scese dal bancone con un balzo - Voglio dire, mi mancano, certo. Ma sanno che ho un lavoro e che questo non è il momento adatto. Piuttosto, c'è da andare a pagare l'affitto.
Matt si ritrovò a pensare a quanto erano stati fortunati. Avevano trovato casa, ad un prezzo talmente basso che si era chiesto se non fosse tutto uno scherzo, e lavoro due giorni dopo essere atterrati a Los Angeles.
La loro padrona di casa, poi, era una donna straordinaria. Una simpatica signora di ottant'anni, con un unico difetto: amava sapere tutto di tutti. non si faceva problemi a fare domande, e, se non otteneva risposte esaurienti, continuava tranquillamente ad insistere. Non sempre Brian era dell'umore adatto per sopportare una tale intromissione nella sua vita privata; la maggior parte delle volte toccava a lui subire il terzo grado, il tutto corredato da tè e qualche pasticcino.
- Ci vado io, non ti preoccupare - disse.
- Grazie - ribatté Brian, sospirando - Non avrei resistito ad uno dei suoi interrogatori stile poliziotto.
Matt si ritrovò a sorridere senza quasi accorgersene. La battuta dell'amico era servita ad allontanare per un po' la tristezza che il ricordo di Alice gli aveva procurato, ma sapeva che non sarebbe durato a lungo. Prima o poi il passato sarebbe tornato a fargli visita, e allora lui avrebbe dovuto affrontarlo. Che lo volesse o meno.
- Adesso vai, prima che Kate torni. Sai, non credo che tu le vada molto a genio...
- A quella non va a genio nessuno, te lo dico io.
- Voi due cretini no, poco ma sicuro! - esclamò la ragazza dall'altra sala.
I due ragazzi si guardarono per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Poi, tra i borbottii della cameriera, Brian uscì, lasciando Matthew al suo importantissimo lavoro.

Aveva davvero bisogno di una passeggiata. Chiuse gli occhi, lasciando che il vento gli accarezzasse il volto, e sorrise.
Los Angeles era stata la sua salvezza, l'unica cosa che gli aveva impedito di impazzire. Perché, ne era sicuro, se fosse rimasto chiuso in quel buco del suo appartamento ancora a lungo sarebbe diventato matto. L'assenza di Alice lo avrebbe schiacciato, e lui non avrebbe resistito, avrebbe ceduto al dolore. Naturalmente doveva ringraziare anche Brian. Aveva lasciato casa, famiglia e lavoro per stargli accanto. Un amico come lui non si trovava tanto spesso, ne era consapevole.
La casa della signora Greenway era un piccolo edificio con i muri color mattone, composto da due piani e con un ampio giardino tutt'intorno. Era impossibile non notarlo: una miriade di colori catturava lo sguardo di chiunque passasse da quelle parti, costringendolo ad ammirare la distesa di fiori e piante che popolava quel pezzo di terreno. E non c'era giorno in cui la padrona di casa non se ne prendesse cura.
- Matthew, ragazzo, sei tu?
La vide seduta sotto il portico con una tazza di porcellana tra le mani. La vitalità di quella donna era sorprendente: riusciva a fare qualsiasi cosa, persino cucire, benché fosse quasi cieca. Cosa ancora più strana, riusciva a riconoscerlo. Sempre. Non lo scambiava mai per Brian o per qualcun altro, e così succedeva per ogni suo visitatore.
- Sì, signora Greenway - replicò, aprendo il piccolo cancello di legno verniciato e incamminandosi lungo il vialetto - Sono venuto a pagare l'affitto.
L'anziana signora si alzò sulle gambe malferme; quando poi riuscì a trovare la stabilità necessaria, fece qualche passo verso di lui, un sorriso radioso ad illuminarle il volto.
- Vieni dentro, caro. Lo vuoi un po' di tè? E i pasticcini?
Come rifiutare? Matt non si sarebbe mai permesso, per questo la seguì all'interno e prese posto al grande tavolo rotondo che occupava gran parte della sala da pranzo.
- Allora, Matthew - iniziò la donna, posando con cura sulla tovaglia di cotone un piattino colmo di dolcetti - Come stai?
Male. Distrutto. La vecchia ferita era stata riaperta e ora sanguinava copiosamente.
- Sto bene, grazie - mentì, cercando di mantenere la voce il più ferma possibile.
- E il tuo amico?
- Anche lui. Mi ha chiesto di portarle i suoi saluti, signora Greenway.
- E' parecchio che non si fa vedere, quel benedetto ragazzo - sentenziò lei - Non abbiamo più potuto parlare di quella ragazza... come si chiamava? Ah, ora ricordo: Kate. Il suo nome era Kate.
Per un attimo Matt temette di aver sentito male. Brian aveva parlato di Kate alla loro padrona di casa? Per quale motivo? E perché con lui non ne aveva mai fatto parola?
Margareth Greenway sorseggiava lentamente il suo tè, aspettando una risposta. Quando capì che questa non sarebbe mai arrivata, decise di partire all'attacco con un'altra domanda.
- E tu, Matthew? Non hai una fidanzata?
Lo sentì irrigidirsi e trattenere il fiato. Lo vedeva, a modo suo, e comprese di aver toccato un tasto dolente.
Matt si alzò di scatto, rischiando di rovesciare piattino e tazza; poi mise la mano nella tasca della giacca e estrasse l'assegno che consegnò all'anziana donna.
- Mi dispiace, signora Greenway. Ora devo proprio andare.
Non era pronto per parlarne, tantomeno per sopportare un interrogatorio sull'argomento.
Non era pronto. Non ancora.

Perché diavolo non riusciva a ubriacarsi? Perché tra tutte le qualità esistenti Dio gli aveva dato proprio quella di reggere l'alcol alla perfezione? Neanche la possibilità di bere per dimenticare aveva.
Afferrò il cavatappi e stappò la sesta birra della serata.
In quell'ultimo anno aveva creduto di poter rincominciare da zero, superando la morte di Alice e cercando di vivere al meglio la sua nuova vita a Los Angeles.
Ma lei era lì, sempre presente nei suoi pensieri, nel suo cuore. Non riusciva, non poteva non pensarci. Ogni volta che ci provava, tutti i bei momenti passati con Alice gli tornavano in mente, passandogli davanti agli occhi come un lungo film in bianco e nero.
Si trascinò in camera e si buttò a letto ancora vestito. Rimase quasi un'ora a fissare il soffitto prima di riuscire ad addormentarsi. E anche allora, nei suoi sogni, la vide.
Non sentì Brian rientrare, quella notte. Ma al mattino, quando entrò nella piccola cucina per fare colazione, si rese conto che tutto il casino che aveva lasciato la sera prima era stato sistemato.

Ecco il nuovo capitolo che tutti stavate aspettando! Sì, era una battuta.
Non sto neanche a dirvi da quanto non aggiornavo, anche perché me ne vergogno *__*
Un grazie di cuore va a kira90, sasha5, e ardiarsun per le graditissime recensioni, chi ha inserito la storia in una delle tre liste e, naturalmente, a chi si limita a leggere!
Alla prossima! :)
Baci8

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Seize the day cap 3
  • Capitolo 3
"Mamma, vado via."
"Via dove, Matthew?"
"Non lo so ancora. Ti chiamo quando ci arrivo, ok?"
"Ma non c'è bisogno che te ne vada, tesoro. Puoi venire a vivere qui, con me. Affronteremo la cosa insieme e..."
"Non posso restare, mi dispiace."

Laureen Beeman lanciò l'ennesima occhiata al telefono, nella vana speranza che questo cominciasse a suonare.
I primi tempi suo figlio la chiamava almeno tre volte alla settimana, chiedendole notizie su quella parte di mondo che aveva deciso di abbandonare. Ma ormai era passato un anno, le telefonate si erano fatte più rade e così i tentativi di convincerlo a tornare a casa.
Si alzò dal divano sospirando e si spostò in cucina per preparare la cena.
Forse poteva contattarlo lei. Una madre ha diritto a sentire un figlio come e quando le pare, no? Ci aveva provato, ma non c'era mai riuscita. Dopo aver cercato il numero in rubrica si bloccava, il dito sospeso a pochissimi centimetri dal tasto verde. E ogni volta imprecava contro sè stessa per quella mancanza di coraggio.
Laureen aveva paura di non rivedere più suo figlio. Era dalla morte di Alice che ci pensava. E se fosse successo a lui? Se quel giorno, in quella macchina, ci fosse stato Matt? Se a Los Angeles gli fosse accaduto qualcosa?
Non sarebbe mai riuscita a convivere con un tale dolore. Non le sarebbe stato possibile sopportare di nuovo quello che aveva provato dopo l'infarto che le aveva portato via il marito.
Doveva chiamarlo. O Brian, magari.
Forse un giorno ce l'avrebbe fatta. Forse quel giorno sarebbe stato troppo tardi.

Quando si alzò, la mattina dopo, Brian stava ancora dormendo. Lo poteva dire con sicurezza, anche senza entrare nella sua stanza: il russare dell'amico si sentiva persino da fuori casa.
Infilò il casco e salì sulla moto.
Un anno.
Non riusciva a non pensarci. Non poteva semplicemente accantonare il pensiero, relegandolo in un angolino della propria mente.
E' passato un anno dalla morte di Alice.
Accelerò, inconsapevolmente. La moto percorreva le affollate strade di Los Angeles, passava tra macchine ferme in coda e automobilisti non particolarmente allegri.
Avrebbe voluto poter chiudere gli occhi e dimenticare tutto. Alice, il bambino mai nato... tutto. Avrebbe voluto... magari se non fosse partito sarebbe stato meglio. O forse no. Forse avrebbe finito con il diventare pazzo, o, ancora peggio, farsi del male.
Fermo al semaforo, Matt si ritrovò a pensare a Brian. Era un anno che non vedeva la sua famiglia, ma non lo aveva mai sentito lamentarsi. Eppure, lo sapeva, non vedeva l'ora di tornare a casa.
Gli avrebbe parlato. Gli avrebbe detto che era libero, che non doveva sentirsi in obbligo e restare solo perché il suo migliore amico era un mezzo depresso. Non aveva alcun diritto di rovinare anche la sua, di vita.

Non chiudere gli occhi, Jess. Non farlo.
Si passò entrambe le mani sul viso, nel vano tentativo di eliminare così la stanchezza che le gravava sulle spalle. Aveva ventiquattro anni e si sentiva come una donna di ottanta. Forse era davvero arrivato il momento di trovare un lavoro che le permettesse di dormire un po' di più.
- Va tutto bene? - le chiese una delle mamme in attesa.
Jess annuì, tornando a guardare il grande cancello dell'asilo. Era arrivata prima del solito, quella mattina, e aveva trovato tutto ancora chiuso. Ma Christopher non vedeva l'ora di raggiungere i suoi compagni per mostrare loro la nuova macchinina che la nonna gli aveva regalato.
Pensò di chiedere al suo capo una settimana di ferie. In fondo, se lo meritava. Lavorava sei sere a settimana nel pub, dall'apertura fino all'ora di chiusura, poco prima delle cinque di mattina. Poi doveva tornare a casa, farsi una doccia, svegliare Chris, preparargli la colazione e portarlo all'asilo. Riusciva giusto a concedersi quell'oretta di riposo sul divano per evitare di crollare.
Più volte sua nonna, quella che anche Chris chiamava 'nonna', si era proposta come sostituta. Ma era anziana, e Jess non voleva che si stancasse troppo. Per tranquillizzarla, comunque, si era trasferita a vivere da lei, insieme al figlio.
Aprì gli occhi, di botto. Neanche si era accorta di averli chiusi. Santo cielo, stava seriamente peggiorando. Doveva rimanere vigile, controllare... un attimo. Dov'era Christopher?
Cercò il figlio con lo sguardo, tra la moltitudine di adulti e bambini che aspettavano di fronte al cancello.
- Chris? - chiamò, ma senza ottenere risposta.
Il sonno era svanito di colpo, lasciando il posto ad un'immensa preoccupazione.
- Christopher?
Fu allora che lo vide.
Giocando con gli amichetti, la macchinina era finita sulla strada e il piccolo stava andando a recuperarla. Jess cercò di raggiungerlo, spintonando chiunque le ostruisse il passaggio. Chris era già sceso dal marciapiede. La ragazza si rese conto che non sarebbe riuscita ad arrivare in tempo.
- Christopher, torna qui!
Il bambino era ormai in strada, esposto al pericolo. Una macchina lo scansò all'ultimo momento, suonando a lungo il clacson.
Jess si sentiva il cuore di piombo. Ma perché nessuno faceva qualcosa? Per quale motivo non prendevano Chris e lo toglievano dalla strada?
Passò tra due madri che fissavano incredule la scena, spingendole via. Ancora pochi metri...
Quel suono sarebbe rimasto impresso nella mente di Jess per tutta la vita.
La grossa moto nera, che fino a qualche secondo prima puntava dritta sul bambino, quasi il guidatore fosse completamente cieco, aveva sterzato a destra all'ultimo momento, finendo contro i bidoni dell'immondizia.
Quando finalmente lo raggiunse, Jess prese Christopher tra le braccia e lo riportò sul marciapiede.
- Stai bene? - gli chiese, toccando ogni parte di lui per sincerarsi che fosse tutto intero. - Chris, stai bene?
- Sì, mamma, sto bene.
- Sto bene anche io, grazie per l'interessamento.
Jess si girò di scatto. Quello che doveva essere il conducente della moto si era avvicinato e, una volta tolto il casco, li guardava serio.
- Vuole sapere la verità? Non me ne importa un accidente di come sta lei.
- Lo immaginavo - rispose lui. - Il bambino come sta?
- Sta bene, grazie - sbottò la ragazza.
- Menomale.
Detto ciò, il ragazzo si girò, salutandoli con un gesto della mano, e si incamminò.
- Ehi, aspetti! - esclamò Jess, facendolo nuovamente voltare. - Grazie. Per non averlo... per aver preferito i bidoni a mio figlio.
Lui rispose con un sorriso; poi tornò alla sua moto, la avviò e ripartì come se non fosse successo niente.

Lo so, è un pessimo capitolo. Soprattutto dato che vi ho fatto aspettare più di un anno. Ma abbiate pazienza, Madame Ispirazione non si è fatta vedere per un bel po'.
Un grazie di cuore a Kira90 che, nonostante tutto, continua a seguire la storia.
E lo so che lo dico sempre, ma spero di riuscire ad aggiornare in meno tempo la prossima volta.
A presto, si spera! :)
Baci8

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