Comunque pirati

di metaldolphin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***
Capitolo 8: *** Otto ***
Capitolo 9: *** Nove ***
Capitolo 10: *** Dieci ***
Capitolo 11: *** Undici ***
Capitolo 12: *** Dodici ***
Capitolo 13: *** Tredici ***
Capitolo 14: *** Quattordici ***
Capitolo 15: *** Quindici ***



Capitolo 1
*** Uno ***


A differenza di quello che si legge sui libri, la realtà è molto diversa, sapete?
Forse chi scrive, non ha realmente mai vissuto certe situazioni, quindi non sa che, ad esempio, se dormite su di una spiaggia senza un riparo sopra, anche se è estate, la mattina dopo sarete doloranti e con gli occhi gonfi (a prescindere che vi siate sbronzati o meno…)
Certo, la fantasia sopperisce a tante mancanze, ma alcuni particolari non dovrebbero essere trascurati, a mio parere; ad esempio, sapevate che, dopo essere stati in navigazione per un certo periodo, quando si rimette piede a terra si ha comunque la sensazione di oscillare?
E su quest'ultimo punto rifletteva Ronoroa Zoro, guardando la navigatrice sbarcare sull’isola a cui erano appena approdati, in cima a tacchi vertiginosi, ma con passo eccezionalmente fermo. “Ma come ci riesce?” pensava, alquanto perplesso.
Fu distratto dalla folata di vento provocata dal capitano che, scendendo di corsa, si precipitava gioioso sulla terraferma al grido di:
-Si mangiaaaaaaaa!!!!!
-…. Come se fino ad ora avesse fatto altro… -mormorò il cuoco, avviandosi anche lui per la stessa strada verso il molo. Si voltò verso lo spadaccino, immancabile la sigaretta tra le labbra.
-Sono scesi tutti, resti tu di guardia ?
-Umpf...sì…-  mormorò senza nemmeno guardarlo.
-Ti serve qualcosa?- chiese il biondino, espirando un anello di fumo.
Quella premura non era usuale, tra loro: ma Zoro era ancora convalescente da ferite quasi mortali che si era procurato nell’ultimo scontro con la Marina, giunto improvviso ed inaspettato mentre erano intenti a festeggiare il compleanno di Nami.
Sanji, al pari degli altri, si era preoccupato al punto che aveva desistito nel punzecchiarlo come di solito.
-E non chiedermi alcool, che ti è vietato per almeno un mese!- aggiunse con un ghigno che non era riuscito a celare.
-No, non mi serve niente, cuocastro.- rispose, tetro.
Non era difficile capire il perché del suo cattivo umore: “Per un mese niente esercizi, niente alcool, riposo assoluto e basta” aveva sentenziato Chopper, ancora scosso per il difficile intervento che lo spadaccino aveva dovuto subire per mano sua: gli aveva salvato la vita a malapena, dopo avergli estratto dodici pallottole dal corpo.
Era anche questo il motivo per cui rimaneva sulla nave: lo stare di guardia era puramente un modo di dire, su quell’isoletta piccola, sperduta e pacifica: niente li minacciava. La verità era che la debolezza gli impediva di andare in giro ed era un modo gentile, anche se non molto velato, per farlo stare a riposo senza farglielo pesare troppo.
Si stava facendo sera, ma erano in navigazione da tanto e occorreva rifornire sia la cambusa che l’infermeria. Sembrava che cibo e bende, su quella nave di scalmanati, non bastassero mai: il primo ad opera di Rufy, le seconde per Zoro.
Si sentiva stanco, Zoro, nel corpo e nello spirito; tutto l’equipaggio aveva subito danni, ma avevano trascurato le loro ferite, per vegliarlo, tutti, nessuno escluso.
Aveva lottato spesso contro la morte, ma stavolta era diverso: sapeva che anche il migliore spadaccino poco poteva con tante armi da fuoco scaricate contemporaneamente da più parti, ma aveva ugualmente l’impressione di essersi allontanato dal suo obbiettivo; gli sembrava anche che l’attenzione del resto della ciurma fosse esagerata: lo mettevano a disagio tutte queste premure. Sapeva bene che lo facevano perché gli volevano bene, ma cosa poteva farci se non era abituato a tutte queste dimostrazioni di affetto?
Alzò lo sguardo al cielo.
Ormai era buio e le stelle splendevano: l’inquinamento luminoso era pressoché nullo e si provò a ricordare i nomi delle stelle e delle costellazioni che in quelle sere di riposo forzato (ed insonne) la navigatrice provava ad insegnargli pazientemente.
Nami aveva dimostrato una calma, nel farlo, che nemmeno lei sapeva di possedere; certo, un ottimo promemoria erano i fitti bendaggi che coprivano torace ed addome dell’uomo … se stava per perdere la pazienza, bastavano a ricordarle le terribili ore passate dopo la battaglia, quando ancora non sapevano se Zoro sarebbe sopravvissuto alle molteplici ferite.
Erano passati solo quattro giorni e, a differenza di altre volte, era riuscito ad alzarsi in piedi solo quella mattina, gradualmente.
Le piccole luci notturne non gli erano mai parse così belle … forse nemmeno lui pensava che le avrebbe riviste di nuovo.
Focalizzò lo sguardo dell’unico occhio verso un astro particolarmente brillante di cui non ricordava l’esistenza: non era bravo coi nomi, è vero, ma se esistessero o meno, quello, ormai, lo sapeva! La cosa strana era che sembrava spostarsi … no, più che altro dava l’impressione che crescesse … possibile?
Dov’era Nami quando aveva bisogno di lei?
Era anche vero, che, ultimamente sentiva la necessità di averla vicino più spesso...ogni motivo sembrava che fosse giusto!
Scosse la testa, lo spadaccino: era solo una stella un po’ strana, non c’era mica la necessità che lei fosse lì con lui!!!
Alzò nuovamente il viso, ghignando sulla propria debolezza … e sbiancò, quando vide l’astro ingigantirsi e dirigersi, in una scia di fuoco, poco lontano dalla nave, in mare, dove si spense con un inquietante silenzio.


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Capitolo 2
*** Due ***


Lo Space Wolf era ormai ingovernabile; rimanevano attivi solo i sistemi di supporto vitale, ridotti peraltro al minimo: aria e controllo della temperatura …
Potevano considerarsi fortunati: combattere il gelo dello spazio siderale era altrettanto importante che riuscire a respirare.
Non sapeva se dar credito alla strumentazione, che affermava di risentire di una lieve attrazione gravitazionale...nell’incertezza, dato che gli schermi visivi erano danneggiati e quindi bui, prese una decisione, con la sua consueta calma, che altri avrebbero definito “drastica”;
ma se era verso un pianeta che erano diretti, doveva assicurarle almeno una chance di sopravvivenza.
La assicurò al seggiolino eiettabile, controllò che le cinghie fossero ben salde e, dopo una lieve carezza ai capelli biondi, le sigillò il casco.
“O la va o la spacca.” pensò, cupo.
Una vibrazione, dapprima lieve, poi sempre più forte, scosse la navetta e lui pregò che la compagna non riprendesse i sensi, in quel frangente che sembrava diventare sempre più pericoloso … preferiva risparmiarle quella situazione così angosciosa.
La sua lunga esperienza gli fece capire con che tempi agire: stavano sicuramente precipitando, ma non poteva azionare il meccanismo nel momento sbagliato; troppo presto o un secondo più tardi e sarebbe stata la morte.
-Perdonami, Yuki- mormorò, quindi azionò la leva di espulsione.
Il sibilo dell’aria che usciva dall’abitacolo si mescolò a quello, più forte, dell’atmosfera che bruciava intorno a loro, e si portò via l’eco di quelle poche parole pronunciate con un tono di pesante rammarico.

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Capitolo 3
*** Tre ***


Non erano ancora tornati …
Conoscendoli bene, Zoro sapeva bene che non si sarebbero fatti vivi prima di aver sfogato la voglia di terraferma che tanto era mancata loro; ciò stava a significare che li avrebbe visti solo a notte fonda.
Non era arrabbiato con loro, però: dopo tutto quello che avevano passato negli ultimi giorni, un po’ di svago se lo meritavano tutti davvero.
Ma gli prudevano le mani, sia per la forzata inattività che per la curiosità che lo spingeva ad indagare sullo strano fenomeno a cui aveva assistito.
“Mica può farmi male una passeggiata sulla spiaggia” pensò.
Prese una sola Katana, quella cui teneva di più, quella di Kuina, per non appesantirsi troppo e per avere un po’ di compagnia.
Era come avere un’amica al fianco per lui ... così scese dalla Sunny e si incamminò, piano, sulla spiaggia che iniziava accanto al molo a cui avevano ormeggiato la nave, diretto verso l’area che aveva visto spegnersi la scia luminosa.
Non aveva intenzione di remare, anche se una barca sarebbe stata più utile; inoltre sapeva benissimo che le forze a sua disposizione erano davvero esigue. Gli bastava, per ora, avvicinarsi e dare un’occhiata.
Stava sorgendo una bella luna piena, che gli illuminò e rese più facile il cammino.
Il mare si infrangeva placido e cristallino sulla battigia. Ogni tanto, un bagliore luminoso rivelava la presenza di un qualche organismo bioluminescente. Era una serata tranquilla e non tirava un filo di vento.
Si stava proprio bene …. Se solo ci fosse stata una certa ragazza al suo fianco….
Si impose di pensare ad altro, ma era inutile negare che gli bruciava il fatto che anche lei fosse scesa con gli altri senza degnarlo di uno sguardo.
Eppure l’aveva sentita così vicina  in quei giorni di dolore…. Era solo la compassione, allora, che la spingeva ad assisterlo così intensamente? E le ultime sere, quando lo portavano fuori a prendere un po’ d’aria con la barella e insieme osservavano il cielo … anche quella era pietà per uno spadaccino malandato?
Non lo sapeva e non lo capiva; non riusciva nemmeno a pensare di chiederlo apertamente: un rifiuto  sarebbe stato più doloroso di qualsiasi ferita... meglio lasciare le cose come stavano, davvero.
Certo che era difficile capire le ragazze. Forse doveva fare come il cuoco e corteggiarla a cuor leggero come se niente fosse? Naa, non era nella sua natura, proprio no.
Era un uomo dai principi ben saldi, lui.
Tirò un lungo sospiro e gli fece male la ferita al polmone … cioè, gli fece più male quella più grave delle altre due, quella che andava a combaciare con la ferita che aveva già sul petto, quella che gli aveva fatto Mihawk.
Forse non era stata una brillante idea, quella della passeggiata. Si apprestò a tornare indietro … non si era reso conto, ma aveva fatto un bel tratto di strada.
Non seppe mai cosa lo spinse a dare un’ultima occhiata alle sue spalle;  rimase il fatto che lo fece …. e che vide qualcosa.
Tornò nuovamente indietro e si avvicinò a quella cosa che galleggiava su una vasta superficie d’acqua, occupandola tutta; sembrava stoffa … forse la vela perduta da qualche veliero?
Si aiutò con la spada per avvicinarla a sé; non voleva bagnarsi troppo: le ferite erano troppo fresche e avrebbe soltanto raggiunto il risultato di ammorbidirle, col rischio che si riaprissero e di sentire ulteriore dolore a contatto con l’acqua salata.
Non era proprio il caso.
Riuscì a raggiungerne un lembo con la Katana (avrebbe dovuto pulirla ben bene dalla salsedine, dopo) e tirò la stoffa a se’.
La consistenza non era quella di una vela, proprio no… era più sottile. . . e morbida… chiara ed…. enorme!
Fece finta di non sentire il dolore e la fatica mentre la tirava a sè.
Ma l’istinto lo spingeva a continuare con una certa urgenza.
Quando l’ebbe radunata quasi tutta ai suoi piedi, si accorse che qualcosa faceva resistenza, nell’ultimo tratto, e la luce delle luna non era abbastanza per  vedere meglio.
Fece appello a tutte la sue forze e diede un fermo strattone; qualcosa cedette, avvicinandosi, scorse una massa informe. Entrò in acqua fino a metà coscia, stringendo i denti per l’acqua salata che bagnava il foro di proiettile al polpaccio, ansimando ancora per lo sforzo recente.    
Per fortuna non c’era nessuno a vederlo in quello stato pietoso, ansimante e sudato per un movimento così banale.
Portò a riva, sulla sabbia asciutta, quell’ oggetto informe e si chinò per osservarlo meglio.
A quella massa setosa era assicurata quella che sembrava una qualche specie di poltroncina … e sopra c’era seduto qualcuno! Zoro arrossì: qualcuna, a giudicare da quel poco che nascondeva un’aderentissima tutina rossa e nera.
Si aiutò con la spada, per recidere le cinghie che la tenevano ferma: il corpo era inerte e la testa era nascosta da una specie di casco sferico.    
Non rifletté nemmeno un secondo, la prese tra le braccia e, ansimando per il fiato corto che lo sforzo gli procurava, tornò alla nave.
Era arrivato sotto lo scafo familiare, quando sentì un allegro vociare… Nami rideva allegra.
-Ehi, Zoro! Sono tornata solo per te! Guarda cosa ti ho portato! Nella mia immensa generosità ti ho preso dei biscotti! Chopper dice che puoi ….–  Si voltò e lo vide, e il sorriso le morì dalle labbra, mentre un pacchetto di carta cadeva sul molo, ignorato da tutti.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


Franky e Usopp erano appena tornati reggendo quegli strani oggetti descritti da Zoro e confermando, così, la sua versione di quella storia. Chopper era in infermeria con quella che, una volta tolto il casco che le celava il volto, si era rivelata una bella e giovane ragazza bionda.
Appena Sanji l’aveva vista era impazzito dalla gioia: era così delicata e fragile… Per Rufy era assodato, ormai, che si era aggiunto un nuovo membro all’equipaggio della Sunny.
-È una pirata come noi… porta il Jolly Roger, no? Quindi fa parte delle famiglia!- aveva sentenziato filosoficamente con un dito nel naso, indicando il disegno sul colletto dell’aderente tuta.
Era vero, le insegne della bionda sembravano inequivocabili; era anche corretto, però, affermare che non era bene fidarsi, come affermato con serietà da Robin, spalleggiata da una stranamente taciturna Nami.
Almeno, non prima di avere appurato chi sia, da dove venga e se faccia già parte di una ciurma- aveva precisato, saggiamente, la mora dagli occhi chiari.
Fuori dall’infermeria, aspettavano notizie dal piccolo medico che, dopo la sfuriata a Zoro per non aver rispettato il riposo imposto, si era dedicato alla nuova arrivata che ancora non aveva ripreso conoscenza.
-Eppure non sembrava ferita,- intervenne Brook.
I presenti si strinsero nelle spalle: solo Chopper poteva dare un parere valido.
Zoro era andato in camera sua, a recuperare un rotolo di bende dalla sua “riserva personale”, per non disturbare il lavoro che si svolgeva in infermeria; doveva assolutamente cambiare la fasciatura alla gamba, ancora fradicia per il bagno imprevisto di poco prima. Mentre toglieva quella bagnata, rosea del sangue che aveva ripreso a filtrare, sentì avvicinarsi dei passi. Un paio di scarpe  si materializzò nel suo campo visivo, scarpe arancioni dal tacco che, a suo dire, avrebbe dovuto essere messo fuorilegge.
Nami.
–Dai qua, faccio io– disse, porgendo il palmo aperto, emettendo un suono a metà tra uno sbuffo ed un sospiro.
Sollevò lo sguardo e, fissandola negli occhi, le mise il rotolo di stoffa pulita in mano. Non disse una parola, mentre la osservava, abile, cambiargli la medicazione. Ripensava a ciò che era successo quando l’aveva trovato sul molo, quella donna svenuta tra le braccia, col fiatone ed un leggero tremore diffuso a causa dello sforzo.
Gli altri li avevano raggiunti pochi minuti dopo, erano ancora immobili l’uno di fronte all’altra, lei con gli occhi sbarrati e uno splendido sorriso che non c’era più. Franky gli aveva tolto quel corpo inerte dalle braccia e aveva seguito Chopper in infermeria, assieme agli altri, curiosi della novità
Robin l’aveva sollecitata a seguirla, poggiandole una mano sul braccio, mentre lo scheletro lo aiutava a salire a sua volta.
A Zoro era parsa una reazione eccessiva, quella della navigatrice ...era rimasta impietrita a guardarlo, nemmeno lo avesse trovato in atteggiamenti equivoci !
Avvolgendo gli ultimi decimetri di benda, sembrava che stesse per prendere la parola, quando fu interrotta dalla voce di Chopper:
-Robin! Presto! Puoi venire, per favore?- il tono urgente.
La mora si avviò veloce verso l’infermeria, varcandone la soglia con passo deciso.

A quanto pare,la ragazza sconosciuta aveva ripreso i sensi. Era insorta una nuova difficoltà: sembrava non parlasse la loro stessa lingua ed era pressochè impossibile capirla o farsi capire.
Una cosa sembrava certa: era agitatissima e sul punto di scoppiare in lacrime.
stava seduta sul lettino, le gambe magre fuori dal materasso, il capo chino. A Robin strinse il cuore, ma nemmeno lei, aveva mai sentito quel linguaggio.  Le poggiò entrambe le mani sulle spalle, cercando di calmarla, con il suo tono di voce pacato. L’altra alzò lo sguardo e accennò un timido sorriso. Improvvisamente si dette una pacca sulla fronte e rise nervosa. Sembrava essersi ricordata improvvisamente di qualcosa di importante; armeggiò con quello strano congegno che aveva alla cintura e, con un sorriso un poco più rilassato, parlò con voce limpida e chiara
-Scusatemi, avrei dovuto attivare prima il traduttore… mi chiamo Yuki Key. . Dove mi trovo?
Guardò perplessa la piccola renna, che non sapeva essere il medico, e si rivolse direttamente alle mora che le stava di fronte e che sembrava così gentile e premurosa. Quella, seppure sorpresa da quello strano, piccolo miracolo, pensò bene di risponderle, prima di indagare troppo: non voleva intimidirla eccessivamente.
 -Piacere, Yuki Key, io sono Nico Robin e sei a bordo della nostra nave.
Yuki sgranò gli occhi…
- Avete problemi di navigazione? Perché la vostra astronave si muove così tanto? Lo stabilizzatore è fuori uso?
Era la volta di Robin di mostrarsi stupita…
-Astro… che? No, la Sunny non ha nessun problema… e nemmeno uno stabilizzatore, che io sappia! Non mi pare che si muova tanto, il mare non è agitato e siamo ancorati al molo!- rispose candidamente.
-Mare? Molo? Esclamò la biondina, agitandosi vistosamente. . . Si portò le umani ai capelli, confusa e chiaramente spaventata. Intervenne Chopper e quella si paralizzò a vedere l’animaletto che parlava.
-Signorina, la prego, non faccia così- le disse con gli occhioni lucidi - ad un primo esame non sembra che lei stia male, si calmi e mi dica se sente dolore da qualche parte...
Robin la vide disorientata e intervenne:- Lui è Chopper, il nostro impagabile medico di bordo: se ha bisogno di qualcosa, non esiti a parlare con lui!
-No, sto bene, sto bene– affermò con stupore, guardando l’animaletto. Com’era carino! L’universo non finiva mai di stupirla… ora però doveva appurare come era finita in quel luogo così strano, se qualcun altro dell’equipaggio era nei paraggi ... e… perché era così difficile ricordare cosa era successo? Lei era sullo Space Wolf con ...
-Mio Dio! Harlock!- si portò le mani alla bocca e la voce le morì in gola.
-Il Capitano… dov’è?- esclamò agitata.
Robin sorrise: -Aspetti, lo chiamo-
Yuki si sentì togliere un macigno dal cuore: stava bene! Harlock stava bene!
Rimase interdetta, quando vide entrare un ragazzino dai bermuda sfrangiati, un gran sorriso ed un cappello di paglia in testa….

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Dopo aver appreso come era stata trovata e che per capitano, quella strana ciurma, aveva quel singolare ragazzino coi capelli neri dai modi un po’ sopra le righe, a Yuki si colmarono gli occhi di lacrime: lei cercava il “suo” di Capitano!
Cosa poteva essere successo ad Harlock?
A giudicare dalla poltroncina della navetta e dal paracadute, era stata ejettata via dall’abitacolo mentre precipitavano.
Lui era riuscito a salvarla, ancora una volta, ma era sopravvissuto allo schianto?
Doveva farsi guidare da quell’uomo dall’aria imponente, ma che sembrava essere stato gravemente ferito di recente: aveva raccontato di aver visto cadere la navetta, di aver osservato la scia infuocata, provocata dall’attrito dello Space Wolf con l’atmosfera di quello strano pianeta.
Sarebbe riuscito a portarla sul luogo dell’impatto?
Vedendola sul punto di piangere, Sanji le si inginocchiò davanti e le prese le mani, portandosele al cuore.
-Ti prego, mia Dea! Non piangere! Potrei annegare nel nero oceano delle tue lacrime! - le disse, col suo tono drammatico.
- Se fosse, se fosse …- mormorò Zoro, mentre alzava gli occhi al soffitto di legno.
La ragazza venuta dallo spazio non riuscì a trattenere un sorriso: era abituata a convivere con un equipaggio alquanto singolare, ma anche questo non scherzava!
Guardò Sanji esultare per il risultato raggiunto, mentre volava, letteralmente, verso la cucina a prepararle qualcosa di speciale.
Sperò vivamente che, come cuoco, se la cavasse meglio della signora Masu, anche se la bisbetica donnina le mancava: chissà dov’era, anche lei....
Erano riuniti tutti nel soggiorno sovrastato da un grande acquario lungo tutta una parete; mancava soltanto la ragazza formosa dai fluenti capelli ramati, l’avevano presentata come la navigatrice della nave su cui si era venuta a trovare.
Yuki si decise a prendere la parola:- Quindi, signor Ronoroa, se la sente di guidarmi sul luogo dell’impatto?
L‘altro, con un ghigno, annuì. Avrebbe remato Franky, cosa gli costava? E poi era curioso: pirati che viaggiavano nello spazio tra le stelle? Doveva crederci? Certo, le attrezzature che avevano trovato con la bionda erano avanti persino per quel cyborg dei capelli blu, a cui splendevano gli occhi al solo guardarle … forse ancora non aveva trovato il coraggio di chiedere se poteva dare un’occhiata.
 -Guidarti? Lui? Non troverebbe una balena in una vasca da bagno!- si intromise Nami, con tono ironico, rientrando.  -Ha un senso dell’orientamento che farebbe schifo ad una talpa cieca!
-Zitta, tu! - ribattè lui - da quando ti interessa quel che faccio?
Yuki li osservò, interdetta, mentre lei gli si parava davanti, i pugni chiusi.
-Buzzurro! Come osi … - iniziò a rimproverarlo.
Litigavano? Harlock forse era morto e loro stavano a perder tempo con le discussioni?
Si alzò in piedi, furibonda e, a passo deciso, uscì fuori. Ma dove era capitata?
Che razza di nave e che sorta di equipaggio! Non si sarebbe lamentata mai più di quello dell’Arcadia!… sempre che fosse riuscita a rivederli … le venne di nuovo da piangere, al pensiero che si potesse verificare questo evento.
-Stai tranquilla, ti aiuteremo - disse il ragazzino col cappello, serio, mentre si avvicinava - Franky è già sceso a preparare la barca - aggiunse a trentadue denti.
Yuki avrebbe giurato che fosse di gomma, vista l’estensione che la sua bocca riusciva a raggiungere, e sorrise a lui e a quel suo pensiero strambo.
-Com’è il tuo Capitano?- le chiese, improvvisamente.
Lei si sentì smarrita: come faceva a parlare di Harlock, quando nemmeno lei l’aveva ancora compreso appieno? Sospirando, si provò a raccontarglielo.
-Lui è...bhè, Lui!- rise di sé stessa - Scusami, Rufy è difficile da descrivere … È un uomo orgoglioso, testardo, di poche parole. Sembra che, quando parli, lo faccia solo per dire qualcosa di memorabile - erano a prora della Sunny e lei si voltò a guardare il mare. - Ed è immenso, come questo mare e come gli spazi che ogni giorno percorriamo. E ama, tutti, anche se poi dice che non lo meritano. Ed è vero: ha rischiato così tante volte la sua vita per l’umanità, ed essa l’ha sempre ripagato con dolore e morte. Rischierebbe, darebbe la sua vita anche, e soprattutto, per ogni singolo membro del suo equipaggio…. Ed è solo, così solo… anche se ha tutti noi che l’adoriamo … nemmeno il suo migliore amico morto l’ha mai lasciato davvero: la sua anima pulsa e gli parla dal cuore dell’astronave che lui stesso costruì al mio Capitano….
Il sole stava per sorgere sul mare, illuminando i volti stanchi per la strana notte appena trascorsa.
Illuminò anche il sorriso sincero di Rufy
-Yuki, tu lo ami, vero?- le chiese, con un’innocenza che spiazzava.
Lei sgranò gli occhi… quel ragazzino aveva capito quello che non era riuscita a confessare neanche a sè stessa.
Che fosse anche lui un tipo speciale non c’era dubbio!  
Annuì, con gli occhi bassi per pudore e lui sorrise ancora di più, se era possibile.
-Lo troveremo, non preoccuparti, lo troveremo, Yuki: non posso permettere che ti lasci sola!- la rassicurò.
Come faceva a promettere cose che erano al di là di ogni potere umano? Lo vide allontanarsi verso la sala comune con le mani intrecciate dietro la testa, ridendo.
-Faresti bene a credergli Yuki.- si voltò: Robin era poco distante e guardava il mare che si tingeva di rosso col sorgere del disco solare.
-Rufy riesce sempre a fare ciò che decide: non chiedermi come, ma ci riesce!- e andò via con il suo enigmatico sorriso.
“Lo spero, lo spero davvero Robin”, pensava e sperava in cuor suo l’astronauta dall’aspetto fragile.

Franky aveva preparato la barca per un primo sopralluogo: Zoro e Yuki erano già a bordo.
Dal parapetto della Sunny gli altri guardavano, curiosi … tranne Nami, ancora arrabbiata per gli ultimi eventi, che si era appartata tra i suoi mandarini.
Robin le si fece vicino: -Non essere gelosa dello spadaccino: Yuki ha il cuore solo per il suo capitano spaziale... Zoro va’ solo a darle una mano a ritrovarlo!
“ Come faceva, quella, a leggerle così bene dentro? “ pensò, sgomenta, la rossa. Scosse la testa, arrendendosi di fronte alle spiccata empatia dell’amica e si affacciò, anche lei, ad osservare la barca che si allontanava.
Una chioma blu, una verde ed una gialla si scorgevano già a malapena, grazie alle poderose braccia di Franky.

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Capitolo 6
*** Sei ***


Il mare aveva continuato ad essere placido come lo era stato per tutta la notte. Il sole era appena sorto e Zoro si sarebbe goduto la “gita” in barca, se il motivo del suo svolgimento non fosse stato così serio.
Qualcuno era precipitato, forse, anzi probabilmente, era morto, e lui poteva leggere nello sguardo disperato della biondina tutto l’orrore che provava al pensiero di perdere l’amato capitano.
Prima di partire alla ricerca della navetta caduta, Rufy, infatti, l’aveva preso a parte e gli aveva spiegato l’importanza di trovare quell’uomo vivo: era un giusto come pochi e quella ragazza ne era profondamente innamorata.  Ebbe un brivido, al pensiero di un nefasto responso della loro ricerca. Come l’avrebbe presa, Yuki, se fosse rimasta sola?
Lei se ne accorse e pensò che quel tremito fosse dovuto alle molteplici ferite che mostrava. –Ti senti bene, Zoro?- gli chiese, premurosa, guardandolo da dietro le lunghissime ciglia che aveva.
Lo spadaccino annuì, senza dire niente. Le sembrava così fragile, col corpo esile coperto dalla tuta rossa e nera; non aveva voluto cambiarsi, fino a quel momento: il suo unico pensiero era per l’uomo disperso in mare.
Per un istante provò una certa invidia, per esso: cosa avrebbe dato per essere visto, con occhi così, anche lui, da Nami! Poi si riscosse: per la miseria! Forse quell’uomo aveva perso la vita, e lui pensava a cose così futili?…
“Mi sa tanto che il cuoco maniaco aveva ragione” rifletteva, in silenzio: gli stava, forse, andando il cervello in pappa?
 
Quando tornarono alla Sunny, il sole era ormai alto nel cielo.
Avevano un pessimo umore: la ricerca di superficie non aveva dato alcun esito. Quando furono sul ponte, non ci fu bisogno di parole.
Erano dispiaciuti per Yuki e non sapevano cosa fare per lei.
Inaspettatamente, con immensa sorpresa di tutti, fu Nami a prendere per prima la parola.
-Franky, prepara il sottomarino: vi porterò io alla meta, stavolta. Ho calcolato, da quanto riferito dal buzzurro dalla testa verde, cioè dal possibile angolo di discesa, e dalla distanza, le coordinate più probabili del luogo in cui si trova la navetta.
La biondina, con una nuova speranza nell’animo, corse ad abbracciarla … -Grazie, oh, grazie, Nami!
La navigatrice, un po’ imbarazzata, rispose all’abbraccio con malcelata timidezza.
-Però pongo delle condizioni…. -  affermò, seria.
I compagni di ciurma rabbrividirono: cosa avrebbe preteso, in cambio, quella esosa ragazza? Che figuraccia avrebbero fatto, davanti a ospiti che erano, addirittura, di un altro pianeta?
-Dimmi …- le rispose Yuki, perplessa.
-Nel lasso di tempo che il nostro Franky preparerà quello che ci serve, tu mangerai qualcosa, dato che Sanji ha preparato il pranzo. Poi andrai nella mia cabina e riposerai un po'. Quando lo troveremo, il tuo Capitano non dovrà mica pensare che ti abbiamo maltrattata! Con l’impegno che ci ha messo per farti arrivare sana e salva qui, non vorrai mica farti trovare sciupata!  Anzi, già che ci sei, fai una doccia e ti cambi: Robin ti farà vedere dove sono la mia camera e l’armadio; prendi ciò che ti fa stare a tuo agio. -  concluse, sorridendole con calore.
Nessuno ebbe il coraggio di battere ciglio, mentre Nami parlava.
Era davvero lei che pronunciava quelle parole?
Yuki si arrese a quelle argomentazioni così convincenti e seguì Robin sotto coperta.
Nessun’altro si mosse: con gli occhi sbarrati erano rimasti a fissare la loro navigatrice.
Cosa era successo? Da dove veniva tutta quella generosità?
 -ORA BASTA!- che avete da fissare?- urlò la rossa con quanto fiato aveva in gola.
Spaventati, i membri dell’equipaggio della Sunny fuggirono dal ponte, lontano da lei. Ci aveva messo davvero poco a tornare normale....
Nami rimase da sola e si avviò verso il suo mandarineto. Sospirò, mentre si sedeva sull’erba. Non si accorse della presenza che si era avvicinata, fino a quando parlò, facendola trasalire.
Il timbro era basso e serio. Zoro.
-Perché l’hai fatto?- chiese, sedendole a fianco.
Lei si strinse nelle spalle, senza rispondergli veramente e senza guardarlo.
-Nami, ti ho fatto una domanda - rimarcò l’uomo.
La rossa scosse la testa, piano.
-Ora non posso essere gentile?- gli rispose, col tono piccato.
-Nami, ripeto, perché? Perché l’hai fatto? Tu non sei gentile, senza un tornaconto. Ti conosciamo, ti conosco. Non l’hai mai fatto.
Nami rise, amara, e si voltò verso di lui, fissandolo dritto negli occhi.
Miele e liquirizia si incontrarono, ma di dolce c’era ben poco.
-Mmmmh, che bella opinione hai di me, testa di muschio. Dovrei picchiarti per ciò che hai detto. Oppure aumentare quel fottuto debito che, da troppi anni, hai nei miei confronti. O, ancora meglio, esigere di averlo saldato, ora, in questo momento. -  rispose, e il suo tono era ironico, ma lo sguardo era profondamente triste.
Prese aria con un grosso sospiro, prima di continuare.  Non sapeva se sarebbe riuscita ad esprimere pienamente ciò che stava per dire.
-Vuoi la verità, Zoro? La vuoi davvero? Anche se potrebbe cambiare qualcosa nella nostra vita? Non guardarmi spaventato, ora: dopo aver insistito tanto, ora ascoltami... Sono stata gentile con quella ragazza perché so ciò che prova. So cosa vuol dire credere di aver perso una persona cara, molto cara: Zoro, cinque giorni fa, non una settimana o un mese o un anno, solo cinque giorni fa, credevo che saresti morto!
-No, non interrompermi: stà zitto e lasciami finire, ti ho detto!
-Sei testardo e buzzurro e non hai il minimo senso dell’orientamento; sei uno squattrinato senza speranza e un idiota dalla testa di verza. Non hai delicatezza e non mi hai mai mostrato affetto. Ma solo cinque giorni fa ti ho raccolto da una pozza di sangue, del tuo sangue, praticamente morto…. - prese un altro respiro profondo, mentre continuavano a fissarsi - Chopper, il povero Chopper, era disperato, non capiva nemmeno de dove iniziare, per salvarti la vita! Abbiamo strappato le lenzuola, perché le bende non bastavano a contenere il sangue delle tue ferite, e adesso mi chiedi come mai la tratto così bene? 
-È vero, all’inizio, quando non sapevo, quando non avevo capito cosa ci fosse dietro, non mi era simpatica: dopotutto ti avevo trovato con lei tra le braccia, quando ti credevo a riposo qui... Ma, a bordo di questa nave, ora, solo io so come si sente Yuki. Solo io. E adesso lasciami pace, Zoro, vattene via!- concluse, girandosi a guardare il mare, per non fargli vedere gli occhi gonfi di lacrime.
Silenzio.
Solo la voce dei gabbiani interrompeva lo sciacquìo delle onde basse sullo scafo della nave, che dondolava piano sul mare placido.
In cielo non c’era una nuvola, ma Nami sentì un’ombra possente toglierle il tepore del sole.
Due braccia forti la strinsero dalle spalle senza farle male; le donarono un tepore diverso da quello che poteva offrirle l’astro splendente del giorno, ma questo a lei non importava: il loro calore era di poco inferiore a quello che le donarono le parole che udì piano al suo orecchio, pronunciate da un timbro basso e serio.
-Perdonami, Nami.  Perdonami. Io…-  Zoro non riuscì a finire la frase: non sapeva che cosa dirle... era un uomo d’azione e non sapeva fare grandi discorsi, quindi si limitò a farla voltare e baciarla, mentre il cuore gli esplodeva in petto dall’emozione.

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Capitolo 7
*** Sette ***


Le mani di Zoro erano calde, mentre le stringevano il viso, mentre la legavano al suo volto, alle sue labbra. . . Mentre la baciava.
La baciava.
Ansimando alla ricerca dell’aria che quel contatto del tutto inaspettato le aveva tolto, Nami si allontanò un attimo da lui e lo fissò, sconvolta; poi socchiuse gli occhi, mentre un sorriso sincero e caldo le ornava il viso, contagiando anche lui.
Simultaneamente, appoggiarono l’una con l’altro le fronti, appena sudate per l’emozione.
La cosa li fece ridere ancora. Di nuovo si avvicinarono per assaporarsi meglio, per aspirare con più calma i profumi che, per troppo tempo, avevano cercato da lontano.
In quel primo vero contatto, nessuno dei due osò passare oltre: non si conoscevano ancora abbastanza in quel frangente. Era naturale che avessero entrambi un minimo di esperienza, ma quel genere di sensazioni non le avevano mai condivise.
E poi c’era anche altro a cui pensare: la ricerca che stavano per intraprendere e le reazioni che la loro unione avrebbe potuto scatenare nell’equipaggio della Sunny.
Zoro pensava che solo quella mattina avrebbe pagato chissà cosa, per essere solo guardato in un certo modo da Nami, senza accorgersi che, in quei giorni, era già stato così.
Come aveva fatto a non capire? Come aveva potuto pensare che quella fosse solo pietà?
Dal canto suo, Nami non riusciva a credere di aver pronunciato parole così forti; ancora meno credeva al fatto che quello spadaccino così scostante, potesse ricambiare i suoi sentimenti.
A parlare per primo, fu lui, stavolta.
-Nami, io… grazie ...e scusami, non avevo capito, davvero.
-Shh, non dire niente, Zoro, non dire niente. Ora andiamo anche noi a sgranocchiare un po’ di cibo, ammesso che ci abbiano lasciato qualcosa…
Si avviarono alla sala dove gli altri stavano già pranzando, fianco a fianco, le braccia che si sfioravano appena.

Yuki, ripulita e rifocillata, si sdraiò sul soffice letto di Nami.
Aveva ancora la forte speranza nel cuore, di trovare vivo Harlock.  Era quello, il suo problema principale, per ora.
Dopo, insieme, averebbero pensato a come riunirsi all’equipaggio dell’Arcadia.
“Una cosa alla volta” pensava, mentre gli occhi le si chiudevano per la stanchezza. “Una cosa alla volta”.

Robin, dalla sedia sul ponte su cui stava leggendo, osservò la sagoma del capitano col cappello di paglia avvicinarsi. Aveva un’aria decisamente perplessa. Era stato, fino a quel momento, dopo aver pranzato naturalmente, da solo, nella sua solita postazione  a prora.
Se avesse continuato a scervellarsi in quella maniera, gli avrebbero sicuramente visto uscire un filo di fumo dalle orecchie … la mora ci avrebbe giurato.
-Rufy… cosa c’è?- gli chiese, senza sollevare gli occhi chiari dalle pagine consunte.
Il ragazzo sorrise: l’archeologa sapeva sempre quando aveva qualcosa che gli frullava per il cervello.
-È che non capisco Nami, sai? Prima, intendo … non che mi dispiaccia vederla fare una gentilezza verso qualcuno, ma avevo avuto l’impressione che Yuki non le stesse tanto simpatica sai?
Robin sapeva già che il suo capitano era lì per quel motivo. Si voltò a guardarlo e gli fece segno di accomodarsi vicino a lei, quindi chiuse il libro, non prima di aver posto un semplice segnalibri, una piuma di gabbiano, alla pagina cui era giunta.
-Rufy, hai un’idea del perché Nami abbia avuto quella reazione?- Avrebbe fatto in modo che lui lo capisse da sé.
L’altro scosse il capo. Se l’avesse capito, mica si sarebbe scervellato tanto, no?
Lei, allora, riprese, pazientemente, a spiegare.
-Allora... quando ci ha attaccato la Marina e Zoro stato ferito a quel modo, tutti ne abbiamo sofferto, no?  
-Era logico, stava per morire!-  asserì.
-Appunto… e, secondo te, Rufy, qualcuno ne ha patito più degli altri?
Il capitano si allargò in un sorriso dei suoi, caloroso e sincero. Gli piaceva il modo che aveva la mora di fargli capire le cose… C’era riuscita anche questa volta.
 -Nami… lei era quella che stava peggio. Non ha quasi dormito per quattro giorni. E non è nemmeno la prima volta, ora che ci penso. Pensi che tenga particolarmente a lui?
L’archeologa annuì. -Lei sa bene come si sente quella ragazza. Tu hai capito che Yuki è particolarmente affezionata al suo capitano da come te ne ha parlato, ma Nami difficilmente esprime ciò che prova per gli altri. Anche se, devo dire, mi è parso che lei e il nostro spadaccino abbiano avuto modo di chiarire- disse, indicando con lo sguardo i due che parlavano, in disparte, nei pressi degli alberi di lei.
-Ed era pure ora, vero? -le chiese il ragazzo col cappello di paglia -Forse ora litigheranno meno… anche se Franky, mi sa, dovrà fare qualche modifica alle camere della Sunny: ci vorrà una doppia, ora!
Risero insieme e Robin non volle illuderlo sul primo punto: -Che non litighino più ci credo poco, col carattere che si ritrovano; l’altra tesi, invece, te la appoggio in pieno! “E non sarebbe una cattiva idea nemmeno quella di farne qualcuna in più, di quelle doppie” aggiunse tra sé,  guardando con altri occhi il ragazzo che le stava accanto.

Franky, intanto, era quasi al termine, coi preparativi.
-Super!- esclamò. Il Submerge Shark III è al vostro servizio!
Il sommergibile a forma di squalo poteva imbarcare solo tre occupanti: con il cyborg sarebbero andate solo Nami e Yuki, per ovvi motivi: la prima per guidarli alle coordinate previste, la seconda… inutile stare a spiegarlo.
Come supporto di superficie, avevano preparato la Mini Merry II, con a bordo Usop e Chopper (un medico poteva essere utile, in quel frangente), ben equipaggiato con la sua attrezzatura  medica portatile.
La manovra di immersione durò pochi minuti.
Mentre il resto dell’equipaggio osservava la sagome scura sotto il pelo dell’acqua e la Mini Merry allontanarsi, il silenzio fu padrone della scena per un lungo lasso di tempo; poi, ognuno tornò alle proprie occupazioni,  tranne Zoro, che si andò a piazzare davanti al lumacofono che lo avrebbe tenuto in contatto con lo Shark III.

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Capitolo 8
*** Otto ***


Come al solito, i calcoli di Nami si erano rivelati esatti: avevano trovato lo Space Wolf di Harlock e Yuki, nemmeno un’ora dopo.
Aveva un aspetto abbastanza integro, tutto sommato. Ammarando in quel modo così violento, aveva devastato una bella porzione di fondale, scendendo fino alla considerevole profondità di quasi quattrocento metri.
-Non che lo Shark III abbia problemi– assicurò alle ragazze Franky – possiamo scendere fino a dieci volte tento! E' super!
Ma Yuki non lo udì nemmeno: avevano trovato la navetta dell’ Arcadia.
Harlock? Che ne era stato?
Stavano per scoprirlo e la biondina era nervosa. Sentì Nami che le stringeva un braccio, come a confortarla, e le sorrise mesta in risposta.

La navigatrice, accostatosi al  lumacofono, comunicò la notizia a Zoro, in attesa sulla Sunny.
-Ci apprestiamo a controllare l’interno - aggiunse, osservando Yuki con la coda dell’occhio.
-D’accordo - comunicò lo spadaccino. -Prestate la massima attenzione, mi raccomando.
-Come sempre - gli rispose lei. -A presto buzzurro.
Zoro sospirò,  scuotendo la testa.
-Resti sempre una mocciosa….
Sanji gli si avvicinò, accendendo una delle sue sigarette.
-Come procede la ricerca?- chiese.
Zoro lo vide emettere una nuvoletta di fumo.
-Hanno trovato la navetta. Non sanno ancora se Harlock sia all’interno e se sia ancora in vita. Non potevo parlare troppo: mi è parso che l’atmosfera fosse già abbastanza tesa, lì sotto.
-E da quando hai acquistato tutta questa saggezza, marimo?- Sogghignò il cuoco biondo.
-Sanji. . .-  lo ammonì Zoro. Non aveva né la voglia e nemmeno la forza per litigare e, fortunatamente, l’altro lo capì, lasciando cadere il discorso.
Si voltò, prese due bicchieri e della limonata e li portò al tavolo, offrendone uno all’altro uomo.
Quello lo ringraziò con un cenno della testa.
Non gli aveva fatto pesare la mancanza dell’alcool, bevendo anche lui la stessa cosa;  doveva essere ridotto proprio male, per ricevere tutte quelle attenzioni dal cuoco, pensò Zoro, sorseggiando la bevanda fresca.
Le sue riflessioni furono interrotte, dopo un po’, dal lumacofono e si affrettò a rispondere.
Nami aveva un tono alquanto contrito. Niente di buono. Preferì saggiamente, rimandare gli approfondimenti a quando fossero tornati a bordo, poche decine di minuti ancora.
La testa di Sanji crollò, avendo capito che le notizie erano infauste, e il cuoco si alzò per dirigersi fuori. Zoro lo seguì: ci sarebbe voluto molto coraggio per affrontare la piccola astronauta.
Tornò solo il sottomarino: Usop e Chopper avevano deciso di rimanere fuori a perlustrare la costa; infatti, tutti erano concordi col fatto che, se a bordo dello Space Wolf non c’era nessuno, il pilota poteva anche essere riuscito raggiungere la terraferma.
Robin sorrideva a Yuki, mentre le porgeva qualcosa di fresco da bere -Forza, non tutto è perduto e noi non ci arrendiamo facilmente: siamo gente testarda, sai?
La ragazza fu confortata da quelle parole e, prendendo il bicchiere, annui: dopotutto potevano anche aver ragione e lei sapeva bene quanto fosse duro riuscire  a sconfiggere il suo Capitano.
-E se scendessimo anche noi a dare un’occhiata sull’isola?- propose Sanji - potremmo battere a tappeto la zona boschiva, nel caso in cui Harlock sia riuscito a raggiungerla: il marimo può restare sulla nave nel caso in cui gli altri dovessero tornare.
Rufy balzò in piedi: -D’accordo! Abbiamo ancora molte ore di luce ancora! E se non dovesse bastare, useremo le torce!
Contagiati dall’entusiasmo di Rufy, tutti si precipitarono sul molo, pronti per la ricerca.
Yuki stentava a credere: era stata molto fortunata ad imbattersi in quegli straordinari ragazzi.
Erano forti, generosi ed altruisti, proprio come quelli che le stavano a fianco nello spazio; un abisso di cose li dividevano, eppure… sentiva che poteva continuare a fidarsi, come aveva fatto dal primo momento, come se fosse parte del loro equipaggio. Stavano mettendo in campo tutte le loro forze e risorse, eppure tutti loro portavano  addosso i segni di un recente scontro: chi più, chi meno, le bende facevano quasi moda, su quella nave!
Certo, il primato restava sempre a Zoro: le avevano raccontato ciò che era accaduto, di come quel pazzo aveva affrontato (come suo solito, oltretutto!) uomini con armi da fuoco con le sole spade.
Che matti che erano!

Il pomeriggio passava e Zoro, solo sulla nave, era impaziente per la mancanza di notizie.
Si alzava, percorreva il ponte, tornava in salone, poi andava a poppa, al punto di osservazione; sembrava proprio un’anima in pena.
Era così assorto nei suoi pensieri, che non si era accorto dell’ aumentare dello sciabordìo dell’ acqua sotto lo scafo della nave.  
Sarà stata colpa della debolezza e dello stress emotivo accumulati in quegli ultimi giorni, ma non si rendeva conto di quanto i suoi sensi fossero appannati.
O, meglio, non se ne rese conto fino a quando sentì una presenza alle sue spalle… e fu troppo tardi: qualcosa lo colpì alla nuca e l’orizzonte luminoso del tramonto si dissolse in una informe macchia nera.
Si accasciò sul ponte, svenuto, e non percepì minimamente due braccia forti che lo afferravano da sotto le ascelle per trascinarlo via.

Il tramonto aveva ceduto alla notte, quando la ciurma era tornata alla nave pirata. C’era troppo silenzio: abbattuti dall’infruttuosa ricerca, non avevano voglia di parlare.
Neanche Chopper e Usop avevano trovato la minima traccia del disperso. Erano arrivati praticamente in contemporanea alla Sunny.
La piccola renna medico era corsa verso Rufy, allarmato: teneva inerme,  Yuki tra le braccia… aveva avuto un crollo nervoso, quando si era resa conto che non l’avrebbero trovato, la fece portare in infermeria.
Di Harlock non c’era traccia, né in mare né sulla terraferma.
Neanche al minuscolo paesino, dove avevano indagato Robin e Nami, nessuno aveva visto o udito di altri stranieri in giro, oltre loro.
Una folata di vento gelido fece voltare la navigatrice versol’orizzonte lontano. “Ci mancava solo questa”, pensò.
-Tempesta in arrivo!- annunciò, dando i dovuti ordini del caso: era necessario sgomberare il ponte da tutto ciò che avrebbe potuto essere spazzato via dalla furia degli elementi.
Inoltre, dato che il porticciolo che li ospitava era davvero minuscolo, e quindi insufficiente a proteggere la nave, decisero che era meglio portarla al largo per permetterle di muoversi, libera di assecondare il mare senza sbattere sul molo, dove avrebbe potuto procurarsi seri danni allo scafo.
Come al solito, Nami aveva messo in riga tutti, sbraitando a destra e a manca.
Solo allora si accorse che qualcuno mancava all’appello.
“Zoro”.
Quel fannullone, nonostante le ferite, avrebbe potuto, almeno, dare una mano, per quanto possibile. Scese, alquanto nervosa, sottocoperta, alla sua ricerca, convinta che stesse dormendo da qualche parte, come suo solito.
Passò in rassegna, la camera dei ragazzi, le sua e di Robin, il salone, la cucina, la sala comune, i bagni, senza trovarne traccia…
“Dove si sarà cacciato?” rifletteva, la sua rabbia ormai sbollita, dato che aveva lasciato posto alla curiosità. In palestra non riusciva ancora a salire, le sartie non offrivano una via abbastanza comoda al suo fisico ancora dolorante, inutile contollare.
Non era nemmeno nelle officine… Nami corse di sopra, verso l’infermeria ma trovò solo Chopper e una Yuki che riposava, sedata.
Quella povera ragazza aveva avuto un cedimento, ed era compensibile: anche lei c’era andata vicina, qualche giorno prima.
Si rivolse al medico: -Chopper, hai visto Zoro, per caso?
-No Nami, perché?- le chiese, a sua volta.
-Niente, non preoccuparti, ora devo andare via.
Non voleva allarmarlo, per il momento. Ma dove si era cacciato, quell’idiota? Sembrava proprio che sulla nave non ci fosse.
Dall’aumentato beccheggio della nave, anche se al chiuso, Nami capì che ormai erano lontani dalla costa e che la tempesta si era omai avvicinata… se Zoro fosse sceso a terra mentre loro erano assenti, avrebbe dovuto arrangiarsi per tutta la durata del maltempo.
-E che si arrangi, quel deficiente!- gridò al corridoio vuoto.

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Capitolo 9
*** Nove ***


Come nella migliore tradizione dei libri gialli, dove la vittima tramortita si sveglia legata, al buio e senza capire dove si trovi, Zoro scosse la testa per schiarirsi le idee.
Per essere legato, non c’erano dubbi: lo era, e pure saldamente.
Non ci vedeva ad un palmo di naso, anche il buio era secondo le regole.
Ma, come raramente in vita sua, dato lo scarso senso dell’orientamento che aveva, questa volta sapeva bene dove si trovava.
Dal movimento capì che era ancora a bordo della Sunny: non una nave qualsiasi... era casa sua e ne conosceva bene l’odore familiare.  
A giudicare dallo spazio angusto, però, non era in uno degli ampi spazi di soggiorno. La sua ampia schiena, infatti, era poggiata a quella che sembrava una fredda paratia e i suoi piedi ne toccavano un’altra… si trascinò a saggiarla con la spalla: era proprio ciò che pensava. Riflettè per cercare di capire meglio che luogo fosse, ma l’indolenzimento che provava in tutti i muscoli non lo aiutava.
Gli sembrava, addirittura, di percepire il vago odore di agrumi di Nami, nell’aria. . . Forse era andato di testa, la sentiva ovunque, rise di sé stesso.
Era definitivamente cotto.
Un attimo… posto angusto, profumo di Nami. . . era sullo Shark! Lei c’era stata giusto quella mattina!
La rivelazione era arrivata improvvisa e portava con sé altri interrogativi che svegliavano la sua ira: chi lo aveva tramortito, legato e rinchiuso sul sottomarino nel Soldier Dock System?
Era inutile gridare, il suo aggressore lo aveva capito: da quel posto così ben protetto, era inutile, non lo avrebbe sentito mai nessuno, infatti il suo avversario non l’aveva nemmeno imbavagliato. Oltretutto, raramente quel mezzo veniva usato: chi lo avrebbe mai cercato lì? L’unica soluzione era quella di cercare di spezzare i legami che gli fermavano i polsi dietro la schiena.
Poco dopo si arrese: le forze gli mancavano ancora, non permettendogli di riuscire nel suo intento  e un moto di rabbia lo scosse.
Il suo mondo era capovolto… non poteva contare sulla sua forza, era dolorante, prigioniero, lontano dalle sue Katana. Lontano dai compagni e da Nami.
Non seppe quanto tempo fosse passato quando, dalla dormiveglia in cui era caduto, si riscosse percependo del movimento vicino a sé.  
Rimase immobile: a lui veniva facile far finta di dormire, lo faceva spesso, quando voleva guardare la rossa senza destare sospetti che avrebbero avuto dolorose conseguenze.
La voce che gli parlò era controllata e pacata. Autoritaria, anche se il termine più esatto, forse, sarebbe stato autorevole.
Il timbro basso sembrava non tradire alcuna emozione.
-Fai parte di questa nave.- era un’affermazione, non certo una domanda.
Zoro rispose con un grugnito.
-Tieni, ti ho portato qualcosa da mangiare.-  Gli sciolse i nodi che lo tenevano immobilizzato e gli porse in involto. Pane e tonno in scatola, a giudicare dall’odore. Non era il massimo, ma poteva anche andare.
-Non tentare scherzi: hai un’arma puntata al cranio che non avrò paura di usare, se solo accenni a muoverti.-  lo minacciò.
Lo spadaccino gradì molto quel  piccolo pasto, un po’ meno l’arma puntata addosso.
Si rifocillò velocemente, poi fu costretto a sottomettersi di nuovo all’umiliante pratica della legatura dei polsi
-Tu sei, Harlock, giusto?- chiese, improvvisamente, mentre l’altro strattonava l’ultimo nodo.
L’ombra si bloccò, esitando solo per un attimo, prima di rispondere.
-Ci conosciamo, forse?
-Conosco la tua amica, Yuki. Lei ci ha parlato di te. La abbiamo aiutata a cercarti… dove eri finito?
-Perché la tenete prigioniera?
-Prigioniera? Ma cosa hai capito? Guarda che l’ho solo ripescata in mare…- Zoro era stupito “E poi dicono a me che sono lento a capire le cose”.
-Se stai dicendo la verità?
-Portami di sopra e parla con lei se vuoi essere sicuro di quel che ho detto… o hai paura?-  Insinuo’ Zoro. Pessima idea: scorse il bagliore di una lama vicina al petto.
-Non so cosa sia la paura. Harlock non fugge davanti a nessuno.- Affermò l’altro. -Bene, andiamo, allora.
Il pirata dello spazio aiutò Zoro a tirarsi su.
Camminarono nella penombra fino al corridoio, dove quest’ ultimo, finalmente alla luce, si girò a guardare l’uomo che lo teneva in pugno.
A parte la sua stessa spada che lo teneva sotto tiro, quel suo strano collega spaziale aveva una tuta aderente, nera, del tutto simile a quella rossa indossata dalla biondina; portava le stesse insegne piratesche ed un ciuffo ribelle castano gli copriva metà del volto. L’altra metà era contrassegnata da una lunga cicatrice.
Zoro ghignò.
-A quanto pare abbiamo qualcosa in comune…- ironizzò, riferendosi ad occhio e cicatrice
Inaspettatamente, Harlock scoppiò a ridere.
Era una risata cordiale e piena di calore: Zoro vi si unì subito, spontaneamente.
Lo aveva guidato alla sala comune, da dove proveniva un gran vociare: molto probabilmente la ciurma era a cena.
Si affacciò alla porta, le mani sempre dieta schiena. Sembravano abbastanza tranquilli (per i normali cenoni della Sunny, s’intende)  ed a Zoro venne un sospetto “Sono sparito da ore, ma nessuno sembra avermi cercato…” era deluso, soprattutto da Nami, che vide ridere con gli altri verso Yuki, probabilmente per tirarla su di morale.
-Guardate chi ho trovato!- esclamò, con tono ironico, alla sala.
Il vociare cessò immediatamente, tutti si voltarono a guardarlo, perplessi.
Rufy gli diede il colpo di grazia:-A me pare che ti abbia trovato lui…- biascicò, masticando, riferendosi al fatto che Zoro era legato e tenuto sotto tiro..
Mentre gli altri scoppiavano a ridere, il volto di Yuki si limitò ad imporporarsi e sorridere -Harlock!-mormorò. Quindi si alzo’ e gli corse incontro. Si fermò, rigida, davanti a lui e fece il saluto che contraddistingueva l’equipaggio dell’Arcadia.
-Capitano, ai suoi ordini!- esclamò, felice.
Vedendola illesa e libera di muoversi, Harlock lasciò cadere la bianca spada di Zoro (che, conseguentemente, diventò blu dalla rabbia) e le si fece vicino.
-Basta formalità, Yuki.- le disse, piano; poi, non riuscendo a trattenere un irrefrenabile impulso, annullò la distanza tra loro e la strinse a sé.
La ciurma  della Sunny esplose in un incredibile urlo  fatto da un mosaico di voci diverse e festanti:
-Yohohohoho!
-Suuuuupeeer!!!
-Evvvaaai!
-Shishishishiii!
-Siiii!

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Capitolo 10
*** Dieci ***


Era bello potersi stringere nel silenzio della cabina, cullati dal rollìo che la Sunny subiva dal temporale in corso.
I lampi illuminavano la notte, la luce entrava dall’oblò e, per un istante, mostrava le mani che si cercavano, che frugavano la pelle nuda, che carezzavano e stringevano.
Il respiro si confondeva nei sospiri di entrambi, l’aria veniva a mancare nella foga dei baci passionali senza che, però, a loro desse fastidio: l’uno per l’altra erano essi stessi aria vitale, qualcosa di cui, ormai, non avrebbero potuto più fare a meno.
Erano stati fianco a fianco per tanto tempo, cercando, inconsapevolmente e reciprocamente, la scia di un profumo desiderato, un contatto fugace, uno sguardo profondo.
Si trovarono così ad esplorarsi a vicenda, tra le lenzuola fruscianti, sudati, nonostante la temperatura si fosse abbassata a causa della pioggia che aveva rinfrescato l’aria.Mai sazi, continuavano ad assaporarsi con baci a lungo bramati, la pelle contro la pelle che bruciava e spingeva al contatto più intimo che un uomo ed una donna possano condividere.
Si contesero il controllo di quella danza, ridendosi in bocca, appoggiando la fronte contro l’altra fronte, nello stupore di un’intesa appena sperimentata e già così perfetta. Ebbri di felicità e piacere, rimasero abbracciati ancora a lungo, mentre si riprendevano dalle fatiche dell’amore.
Lei si fermò a passare, piano, le dita sulla cicatrice del volto di lui, in una carezza dolce come, forse inaspettatamente, dolce e premuroso era stato il compagno, solitamente scostante e serio, in quella condivisione totale da tanto sognata.
Lui godette l’amore e la serenità che quel contatto gli donava: pacificava le tracce delle battaglie che negli anni aveva affrontato, come se quella pelle morbida e chiara avesse in sé la capacità di sanare lo spirito ed il corpo. Ricambiò quella premura carezzandole i capelli morbidi e setosi, facendola rilassare ulteriormente sul cuscino che condividevano.

La notte, nel profondo del suo vegliare, li vide ripetere nuovamente quei gesti, questa volta con meno fretta, in modo più misurato e riflessivo, ugualmente passionale, ma senza l’urgenza della prima volta. Era un’esperienza, se possibile, ancora più intima e profonda, lenta e dolce, che dava un appagamento pieno e prolungato.
L’alba li vide dormire felici, ancora stretti l’uno tra le braccia dell’altra, e, mentre il sole sorgeva tra le ultime nuvole del temporale che si disperdevano all’orizzonte, i sogni li portarono ancora più lontano dalle preoccupazioni che il giorno avrebbe portato.
Furono svegliati dal vociare che, pian piano, andava animando la Sunny.
Sorridendo, si augurarono un dolce “Buongiorno”, quindi si apprestarono a riunirsi agli altri: la giornata sarebbe stata abbastanza complessa e piena di cose da fare.

Al suo solito posto sulla prua della nave, Rufy osservava, stupefatto, un grande arcobaleno che spiccava in cielo su uno sfondo di nuvole color piombo.
Era così assorto da non sentire Robin che si era avvicinata.
-Molto bello, vero?- gli chiese con un gran sorriso.
Senza riuscire a voltarsi per non farle notare il rossore che sentiva essersi diffuso sul volto, il capitano dal cappello di paglia annuì.
Ripreso l’uso della voce, specificò: -Sai, prima era più bello -  disse, indicando il meraviglioso spettacolo che dava la natura - ora sta sparendo, sembra quasi l’ombra di ciò che era prima…  peccato tu non l’abbia visto.
Robin rimase un po’ interdetta dalle parole che lui aveva appena pronunciato, ma, dopo avergli risposto, rimase ancora più stupita per ciò che si lasciò sfuggire: -Avrei voluto ammirarlo con te…”
Lui si voltò, le sorrise e le prese la mano. Lei lo lasciò fare.

Quasi contemporaneamente, due coppie erano comparse sul ponte; Nami, appesa alle sartie, aiutava Zoro a scendere dalla palestra, dove avevano passato la notte, mentre, più in basso, Harlock guidava Yuki tenendola per mano.
Alla vista dei compagni di ciurma in atteggiamento così intimo, Sanji, uscito dalla cucina per annunciare che la colazione era in tavola, alzò al cielo un ululato di dolore. Mentre i due pirati spaziali lo guardavano stupiti, Zoro tirò fuori un ghigno soddisfatto.
Il cuoco, dopo aver visto Harlock, aveva smesso di far la corte alla bella Yuki: sembrava un tipo temibile e spietato. “Meglio averlo come amico che come nemico.” aveva pensato. Non sapeva ancora quanto avesse ragione, benedetto istinto!
Ne avevano fatto conoscenza la sera prima, quando Zoro l’aveva guidato alla sala comune.
Si erano chiarite le incomprensioni, dato che Harlock, diffidando dell’umanità tutta, credeva che Yuki fosse tenuta a bordo contro la propria volontà ed era salito sulla Sunny dal mare, prendendo Zoro alle spalle. Il fatto che lo spadaccino non potesse usare tutte le sue forze a causa delle lesioni, era stato, naturalmente, un punto a favore del pirata spaziale.
Aveva raccontato, inoltre, che solo per un fortuito caso era sopravvissuto all’impatto e, riuscito a venire fuori dalla navetta, grazie alla tenuta spaziale, era riemerso in superficie da quella grande profondità;  passate le prime ore in stato semi-confusionale, nella macchia boschiva che cresceva in prossimità della spiaggia su cui era approdato, si era dato alla ricerca della sua compagna. Saperla in pericolo lo faceva star male.
Piacevolmente sorpreso dal fatto che su quel pianeta erano ancora alti gli ideali che facevano di un essere umano un uomo,  Harlock aveva osservato e studiato quella ciurma strana e non molto diversa dalla sua, pur non lasciando il fianco della sua Vice.
Che fossero in giro per la desolata ed infinita distesa dello spazio o per mari altrettanto vasti ed impetuosi, loro erano e sarebbero stati sempre comunque pirati.



P.S.: Non amo molto mettere note a fine capitolo, ma data la natura dello stesso, volevo fare giusto un paio di precisazioni.
La prima, naturalmente, riguarda le effusioni descritte tra una  non meglio specificata coppia.
 Possono essere Harlock e Yuki o Zoro e Nami; o entrambi, se preferite.
Trovo, infatti, che stia bene ad entrambe.
La seconda precisazione richiama all'ultima frase, che, chiaramente, dà il titolo alla storia: Come ho già precisato da qualche parte, credo, il cuore di un pirata obbedisce sempre alla stessa legge, non importa che sia sul mare, in cielo o nello spazio profondo...

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Capitolo 11
*** Undici ***


La giornata era cominciata bene, ogni componente della ciurma di Cappello di Paglia era a svolgere il solito proprio compito.
Harlock e Yuki, affacciati a prora, contemplavano il mare; dopo la tempesta notturna, l’aria era limpida e consentiva di spingere lo sguardo molto lontano.
Lui abbassò lo sguardo per guardarla. Raramente aveva visto la sua vice con abiti differenti dell’uniforme che era solita portare. Dall’armadio di Nami aveva preso una semplice camicia bianca annodata sotto al seno ed un paio di shorts ricavati da un vecchio jeans.
La biondina, ricambiandolo occhi negli occhi, fissandolo con le iridi del colore del cielo, lo trovava strano in pantaloni neri e camicia blu di Sanji: senza gli abituali guanti di pelle, i cinturoni col teschio e le tibie e l’immancabile mantello rosso e nero, acquistava un fascino particolare, sottolineato della cicatrice, che gli  aveva rubato l’occhio destro e deturpato il viso a quel modo.
Ad una prima apparenza, sembrava troppo magro, ma lei sapeva bene che quel fisico asciutto era anche forte, perfettamente adeguato all’animo, temprato dallo spazio che abitava.
Era riuscita a frenare anche un brivido di gelosia, quando aveva visto le altre due ragazze a bordo guardare con occhi affascinati l’uomo che le stava accanto.
Ma come biasimarle?
Harlock era Harlock e, sebbene si rendesse conto che il suo giudizio era falsato dall’amore che provava per lui, sapeva benissimo che, agli occhi dell’universo femminile non passava inosservato, anzi….
Solo fino a poche ore prima, quello stesso uomo dall’aspetto fiero e saldo, aveva vacillato, prima di ricongiungersi al suo secondo. Da molto, moltissimo tempo, non provava qualcosa di così forte per qualcuno che non fosse la piccola Mayu, la figlia del suo Amico, di cui era tutore.
Forse, ora che aveva chiarito i suoi sentimenti verso Yuki, avrebbe potuto tornare sulla Terra, prenderla con sé e non soffrire più per la sua
mancanza; sapeva bene, anche, che alla sua bionda compagna la cosa non sarebbe dispiaciuta: anche lei amava molto la piccola…
-Ci troveranno, Harlock? la sua voce interruppe il flusso di quei pensieri per lui inusuali,  e si accorse che era velata da una certa inquietudine.
Le sorrise.
Le rare volte che lo faceva, lo sguardo gli si illuminava di una luce nuova, lasciando intravedere l’animo buono che si celava dietro al temuto pirata dello spazio, un animo che aveva imparato ad amare sotto tutti gli aspetti, adesso anche quelli sconosciuti a tutto il resto dell’Universo, ma non a lei.
Era la sola che poteva vantare il primato di conoscerne quel lato così nascosto, la dolcezza che nessuno avrebbe mai attribuito al suo sguardo ed alle sue mani. Rabbrividì di piacere al solo pensare a quella realtà così grande e nuova.  
Si riscosse da quei pensieri per  ascoltare risposta del suo Capitano.
-Il mio Amico ci troverà. Lui sa sempre dove sono. Anche se il tracciatore dello Space Wolf non fosse rotto, il mio Amico avrebbe  comunque saputo cosa fare per recuperarci e lotterebbe, se fosse necessario, per riaverci. Ne sono certo - la rassicurò.
Credeva fermamente in ciò che diceva.
Il suo Amico sarebbe tornato a prenderli.

In infermeria, Chopper aveva preferito uscire. Non capiva cosa potesse essere successo tra quei due: anziché litigare, ora si tenevano per mano e sussurravano, piano, tra loro. Dopo aver sopportato abbastanza tutto quello strano bisbigliare e l’odore di una inconfondibile tensione sessuale che percepiva tra loro, con una scusa banale uscì, lasciando che fosse Nami a cambiare le medicazioni di Zoro.
Lui sentiva le mani che, delicate, lavoravano sulle ferite che si aprivano, ancora dolorose, un po’ ovunque, tra il torace il ventre; un paio anche sugli arti.
Chinando ed inclinando il volto, scrutò quello della compagna: si faceva sempre più tesa, man mano che le bende sporche venivano messe via, scoprendo le lesioni. Il loro aspetto continuava a non essere incoraggiante, ma lo sguardo della compagna, ora, era davvero affranto.  
Poté vederlo fino a quando lei lasciò che i lunghi capelli le scivolassero davanti, uno schermo che gli impediva di leggere la sua espressione. Sapeva bene che il ricordo di quel giorno era ancora pesante nel cuore di Nami.
Era stato un compleanno che difficilmente avrebbe dimenticato.
Ne fu certo quando la senti tirare su col naso.
Piangeva, in silenzio, mentre finiva di disinfettare e si apprestava a ricoprire il tutto con le fasce pulite.
Zoro sospirò, lasciò che finisse, quindi con una mano le sollevò il mento, mentre con l’altra apriva la cortina di capelli ramati e li scostava dal volto di lei.
Come previsto, aveva pianto, le guance completamente bagnate da quella sofferenza muta. -Nami…- sussurrò il suo nome con una dolcezza impensabile per un uomo definito “Demone”.
-Guardami. Sono qui con te, vivo… Respiro, il mio cuore batte e posso toccarti, parlarti.
Nami annuì, ma non riusciva ancora a parlare: era troppo grande il nodo che le stringeva la gola, faticava anche a respirare. Che ne sarebbe stato di lei se fosse morto? Anche solo immaginarlo  faceva male…
Se la strinse addosso, sperando che riuscisse, finalmente, a sfogare in modo tangibile, quel groviglio di sentimenti  che le gravavano sull’anima.
Come rispondendo ad un segnale di partenza, la navigatrice esplose in un pianto liberatorio e rumoroso, fatto di urla, lacrime, lamenti, singhiozzi e pugni, che lui incassò senza fiatare.
Non durò molto, ma alla fine, improvvisa e misericordiosa, arrivò la pace.
Per tutto il tempo l’aveva tenuta forte a sé.
Ora, dopo averla adagiata sul lettino, si limitò a starle vicino. La fatica si sciolse in un sonno ristoratore, per entrambi.
Fuori dalla alla porta, in corridoio, Sanji, con gli occhi lucidi, tornò in cucina.

Come da copione, il momento tranquillo non durò molto.  Dopo solo un paio d’ore, Usop, dalla coffa, urlò:
-La Marinaaaa!
Corsero  sul ponte, tutti avevano l’aria alquanto disfatta: credevano di essere al sicuro, in quel posto sperduto, di avere abbastanza tempo per recuperare le forze e guarire dalle ferite … Sarebbe stato difficile ingaggiare nuovamente battaglia, nelle condizioni in cui versavano.
Si guardarono l’uno con l’altro, muti, raccogliendo le forze, preparandosi al tutto per tutto, ognuno con le proprie armi in pugno.
Anche Nami era intervenuta, Clima-Tact tra le mani, gli occhi ancora arrossati per il precedente sfogo. Avrebbe difeso le cose che per lei erano importanti davvero: la sua famiglia, il suo uomo.

Chiesta ed ottenuta una spada, anche Harlock si era schierato al fianco della ciurma di Rufy, mentre Yuki avrebbe dato chissà che per avere una delle sue pistole, dato che doveva accontentarsi di ciò che le avevano dato quei colleghi del mare: una pistola con proiettili… avrebbe dovuto fare attenzione al rinculo dell’arma.

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Capitolo 12
*** Dodici ***


I cannoni avevano iniziato subito il confronto.
Fino ad ora nessuna delle due navi era riuscita a colpire l’avversaria, ma entrambe c’erano andate molto vicino.
-È il caso di usare il Cannone Gaon?-  Chiese Usopp.
Franky scosse il capo: Non abbiamo abbastanza cola, mi dispiace…- il suo tono era davvero affranto e ci mancava poco si mettesse a piangere.  
Yuki guardava fin dal primo momento quel cyborg incuriosita, anche se era di fronte a Brook che era rimasta proprio basita. Ma nello spazio non era troppo diverso che a bordo di quella nave strampalata: di cose assurde ne avevano sempre viste tante e qui non c’era differenza. 
Era dispiaciuta per quei ragazzi, ma a quanto pare, nell’universo, le cose si ripetevano uguali… se avessero avuto, almeno, il tempo di riprendersi!
Li scrutò, uno per uno.
Il cuoco, Sanji, sembrava tranquillo, fumava, osservando la nave nemica che si avvicinava, aveva raccontato di usare solo i calci, per lottare.
A lato stava Rufy, quello strano Capitano-bambino, col suo cappello ben saldo sulla testa: personaggio davvero indecifrabile,  non era neanche armato: che sperare di fare? Non volendo mancare di rispetto ad un Capitano, non aveva fatto domande...
Subito dietro di lui, stava la colta ed algida Robin… erano proprio uno strano duetto, più diversi di così non li avrebbe trovati nemmeno nella più sperduta nebulosa.  Eppure le piacevano. Lei sembrava così protettiva…”chissà cosa ci trova in lui”, pensò; si era accorta, infatti, di un certo feeling  tra i due.
Il piccolo e tenero Chopper doveva essere rimasto in infermeria, conscio che , probabilmente, presto sarebbe servito il suo contributo.
Nami e Zoro li sentiva vicini: aveva saputo che solo da poco avevano scoperto di amarsi e che lui era stato tra la vita e la morte, di recente… somigliavano tanto a lei ed Harlock. Stavano  praticamente attaccati, lui con due spade, una per mano, la terza ancora al fianco. Le avevano detto che l’avrebbe usata con… la bocca!  La navigatrice, invece, aveva uno strano bastone blu, che aveva assemblato rapida.
Brook era salito sulla coffa, mentre Usopp, da bravo cannoniere, curava di centrare il bersaglio.
Ci riuscì, facendo zittire l’altro. I suoi compagni esultarono.
Ora, solo un corpo a corpo avrebbe deciso le sorti della battaglia.
Lei si girò per guardare il suo, di Capitano, che essendo alla sua destra, non si accorse di essere osservato: era nel suo punto cieco. Le si strinse il cuore: aveva perso quell'occhio cercando di proteggere, tanto tempo prima, ancora prima di conoscere lei, Maya, la donna amata, senza riuscirvi e l'aveva persa per sempre.
Era morta e lui ne aveva sofferto.
Calmo e serio come sua abitudine, fissava l’orizzonte oltre la nave della Marina.
Cosa aveva visto? Provò anche lei a guardare nella stessa direzione, ma non riuscì a scorgere nulla. Per quanto si sforzasse, oltre le nuvole che si erano riaddensate nel cielo, spesse e cupe, non c’era segno di vita.
Eppure, lui si ostinava a fissare proprio in quel punto.
Ad un tratto, vide che anche Rufy aveva preso a fissare nella stessa direzione..
La bionda pirata dello spazio si strinse nelle spalle e tornò a concentrarsi sulla nave antagonista, che si era fatta particolarmente e pericolosamente vicina.
Alla battaglia mancava poco e la tensione era palpabile. Sentì sfiorarsi la spalla dal braccio di Harlock che le si era avvicinato.
Le navi cozzarono, fiancata contro fiancata, e lo scontro vero e proprio ebbe inizio.
Urla, spari e colpi di spada riempirono l’aria, quando, al di sopra di tutto, si udì: -Pugno Gom Gom!- e vide Rufy allungarsi all’inverosimile...era davvero fatto di gomma!
Una selva di mani comparve intorno al marine che aveva di fronte Yuki, basita, non aveva sparato nemmeno un colpo, cercando di spiegarsi quegli strani fenomeni.
Si riscosse solo quando vide Harlock ferito, seppur di striscio, ad un braccio. Prese a sparare anche lei.
Non c’era da stare allegri… erano in netta minoranza.
-Per fortuna è una sola nave - sentì gridare a Zoro. Lo vide mettersi la spada bianca tra i denti, aveva già spostato la bandana nera dal braccio alla testa; quell’insolito copricapo era molto usato dagli uomini dell’Arcadia, ma su di lui aveva un effetto davvero inquietante!
Gli uomini dell’Arcadia… quanto le mancavano: erano quarantuno, compresi lei ed Harlock.
Quarantuno… più uno.
Chissà come avrebbe potuto spiegare una cosa come questa, agli uomini della Sunny!
Immersa in questi singolari pensieri, la Primo Ufficiale dell’astronave, che era anche la sua casa, continuava a battersi a fianco di una ciurma di cui non era parte. Certo, era loro grata per averla salvata, ma lei aveva già un Capitano per cui e con cui combattere!
Si guardò rapidamente intorno. Stavano avendo la peggio, non erano nemmeno riusciti a mettere piede sul ponte avversario… Sanji era bloccato da una decina di uomini, Nami non si vedeva, ma si riuscivano a sentire le scariche del suo bastone, intravide Usop in manette e Robin in difficoltà. Cominciò a disperare.
Sguardo indecifrabile, Harlock non si era fermato un attimo e affermava la sua fama di abile schermidore.
Fu distratta da un puntino nero nel cielo. Veniva verso di loro, dalla direzione che aveva distratto i due capitani. Era possibile? Strinse gli occhi cercando di metterlo meglio a fuoco.
Sorrise, sollevata. Erano salvi!
Il nero uccellaccio dal lungo becco giallo volò verso Harlock e gli si posò su una spalla, facendo sorridere anche lui.
-Tori-san!

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Capitolo 13
*** Tredici ***


Il mare, che fino a quel momento era stato calmo e liscio come l’olio, iniziò ad incresparsi in maniera strana, mentre l’aria si riempiva di una vibrazione bassa e profonda; un rombo, come di tuono, la permeava da tutte le direzioni e cresceva, gradualmente, ma con una certa velocità, fino a sovrastare i rumori della battaglia.
Tutti, pirati e marine, si bloccarono, alzando lo sguardo verso le nuvole spesse.
E da esse vennero fuori, tra soffici volute di quel grigio vapore acqueo, ben quattrocento metri di acciaio blu, muniti di cannoni e torrette lanciamissili su cui spiccava, netto, il teschio bianco con le tibie incrociate del Jolly Roger.
Era arrivata l’Arcadia!
Occhi sgranati e respiro assente, gli uomini sulle navi (cha al cospetto di quell’apparizione si sentirono insignificanti), videro la mostruosa prua armarsi di una immensa lama dalla punta ricurva….
“Stanno per speronare” pensò Harlock, doppiamente sollevato da quella vista.
Guardò la sua vice: loro due erano gli unici a sorridere tra tutti: sapevano bene cosa stava per accadere!
-Craaa!- salutò l’astronave Tori-san, ben saldo sulla spalla del Capitano dello spazio.
Harlock gridò alla ciurma di Rufy:- Tenetevi forte!- e corse verso Yuki, stringendola per assicurarsi che non si facesse male.
Fece appena in tempo: la nave della Marina, presa in pieno dallo spaventoso rostro dell’Arcadia, venne sollevata e tranciata in due per poi affondare velocemente.
Ora i marine superstiti avevano altro cui pensare…
L’equipaggio della Sunny, grazie al contraccolpo che ricevette da quella manovra inaspettata, si riscosse e si liberò facilmente dei nemici ancora a bordo.
Quando ormai avevano temuto che fosse finita, grazie a quell’aiuto insperato, avevano vinto.

Non avendo uno spazio idoneo all’atterraggio sull’isoletta vicina, la grande astronave si adagiò, più delicatamente che poté, sul mare. Nonostante ciò, l’onda che ne risultò investì la Sunny e costrinse i suoi occupanti a reggersi accuratamente, per non essere scagliati in acqua.
L’arrivo dell’equipaggio di Harlock era stato provvidenziale, certo, ma li aveva lasciati esterrefatti.
Le due ciurme si incontrarono, quando le due navi, quella del mare e quella dello spazio, furono vicine.
Il Capitano e la sua Vice furono lieti di riabbracciare i primi scesi, Yattaran e Tadashi.
Subito dopo le dovute presentazioni, il dottor Zero aiutò Chopper con i feriti, dato che praticamente tutti avevano bisogno di almeno qualche punto di sutura da qualche parte...
Davanti alle cicatrici, recenti e non, di Zoro, il medico dell’astronave si complimentò vivamente con la piccola renna, che era riuscito a mantenerlo in vita, poi si interessò non poco agli effetti dei frutti del mare, novità tutta da studiare per il medico dell’astronave.
Harlock scoprì, con un certo stupore,che mancava quasi tutto l’equipaggio alla sua Arcadia;
-Eravamo in attesa che tu e Yuki tornaste sul nostro satellite… gli uomini erano quasi tutti fuori, quando l’astronave ha acceso i motori ed è decollata, senza aspettare nessuno!- aveva spiegato Yattaran. -Nemmeno Meeme era con noi- si riferiva all’aliena salvata da Harlock quando il suo pianeta era andato distrutto, che grata per quel gesto, aveva preso a seguirlo dedicandogli tutte le sue attenzioni.
Il Capitano sorrise: il suo Amico lo aveva salvato ancora una volta!
Intanto, il povero Sanji era alle prese con la signora Masu, la bisbetica cuoca dell’Arcadia che, coltellacci alla mano, cercava di imporre il proprio, improbabile, modo di cucinare, al cuoco della Sunny.
“Sembra quasi quella testa di verza, con un coltello per mano” pensava il biondino “speriamo non lo abbia visto combattere: sarebbe capace di cogliere l’idea e metterne un altro nella dentiera!”
Rufy, felice per l’esito della battaglia e per l’arrivo dei nuovi ospiti, pregustava già doppi festeggiamenti e saltellava un po’ ovunque come un bambino felice. Robin lo guardava da lontano, meditando chissà cosa.
Nami aveva trovato una certa affinità con un membro dell’Arcadia: seduta sotto i suoi mandarini, coccolava Mii, la micetta rossa tigrata del dottor zero. Aspettava che i due medici finissero di spulciare “il caso Zoro”.
-Ti somiglia, sai?- una voce bassa alle sue spalle la fece voltare. Era Harlock.
Gli rispose con un caldo sorriso e gli fece cenno di avvicinarsi.
Lei vide che aveva cambiato abito: dalla sua cabina si era fatto portare la consueta uniforme, con cinturoni, stivali e un imponente mantello nero, foderato di rosso e bordato da un filo d’oro. Nami lo squadrò e concluse che non avrebbe mai pensato che poteva essere ancora più affascinante di come lo aveva visto fino a quel momento… e che si era sbagliata di grosso: era proprio bello, in quelle vesti!
L’uomo si sedette vicino a lei e accolse la piccola Mii, che gli era affezionata ed era sgusciata via dalle braccia della navigatrice per reclamare una strusciata e qualche grattino sulla testa, dal Capitano.
Quello, dopo averla accontentata, la sollevò e la porse di nuovo alla donna, che la tenne in grembo beandosi delle fusa del felino.
Nami sorrise: -Perché?
-Siete due ragazze sinuose, eleganti, all’occorrenza aggressive; se serve, anche un po’ ladre, ma, se trattate come piace a voi, sapete essere carine e dispensare calorose fusa - affermò l’altro.
Nami, ora, rideva più forte.
-Hai parlato di me con Zoro, vero? Ma manca un particolare fondamentale, Capitano delle stelle - gli rispose.
Lui assunse un’aria interrogativa.
-Abbiamo lo stesso colore di pelo!- aggiunse lei, ridendo ed avvicinando una ciocca di capelli al manto della micia.
Era riuscita a farlo ridere con le lacrime agli occhi e, forse, per lui era la prima volta.
Quando si riprese, Harlock affermò: -Se il dottor Zero ti avesse conosciuta prima, credo che l’avrebbe chiamata Nami, anziché Mii!
Lei annuì allegra, poi si sporse a prendere qualcosa da un cesto che aveva al fianco e gli porse uno splendido mandarino
-Tieni.- Poi, rispondendo alla muta domanda del suo sguardo, spiegò:-Sono alcuni alberi che erano di mia madre. Lei è morta per me e mia sorella e adesso li porto con me in suo ricordo.
Harlock non disse niente; la vita era dura in ogni angolo dell’universo, ma questi ragazzi avevano coraggio e forza per affrontarla in un modo così esemplare che pochissime volte aveva osservato in degli esseri umani.
Si limitò ad un breve sorriso, abbassò lo sguardo sul frutto arancione, lo sbucciò con attenzione e lo mangiò con gusto.
-Mocciosa! A me niente?
Era arrivato Zoro, sfuggito, esasperato, dalle attenzioni della scienza medica.
Nami osservò quella specie di mummia ambulante coi capelli verdi e scosse la testa.
-Te lo scordi, Marimo! Che avrei in cambio?
L’imponente figura dello spadaccino si avvicinò e la baciò.
-Questo andava bene?- chiese.
-Come anticipo era passabile - commentò la rossa.
Sentendosi di troppo, il pirata dal lungo mantello, salutatoli con un cenno del capo, si allontanò, lasciandoli alla loro privacy.
Zoro lo seguì con lo sguardo, poi, fatta mente locale, alzò un sopracciglio e indicò l’altro uomo con la testa.
-E lui, come ti ha pagata?- chiese, guardandola sospettoso.
Nami si strinse nelle spalle e, con fintissima indifferenza rispose, innocente: -Lui non ha bisogno di pagare un bel niente: è troooppo bello! Basta guardarlo - e tirò una maliziosa linguaccia allo spadaccino.
Quello non se lo fece dire due volte: afferratola, facendo fuggire a zampe levate la povera Mii, la sollevò e se la issò in spalla.
-E’ così? Ora ti faccio vedere io!- esclamò, fingendosi geloso ed arrabbiato.
Incurante per le proteste di lei, che scalciava e gli tempestava di pugni la schiena, Zoro attraversò il ponte, sotto lo sguardo divertito di tutti e si diresse in cabina.
Seguendoli con lo sguardo, il dottor Zero esclamò: -Benedetti giovani! Per quello non sentono dolore o fatica!
A quelle parole, Chopper arrossì e celò lo sguardo all’ombra del cappello.

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Capitolo 14
*** Quattordici ***


A Franky brillavano gli occhi, davanti a quella meraviglia dell’ingegno umano.
È tutto davvero Suuuper!-  esclamava continuamente, suscitando l’ilarità generale con le sue pose strane.
Quando il giro dell’Arcadia fu concluso, i pirati di Rufy erano quasi spauriti, davanti a quell’immensità che sapeva volare tra le stelle.
Erano stati ospiti, quel giorno, di Harlock e della sua Nave. Certo, era semi-deserta, ma anche così rendeva bene l’idea di forza e magnificenza che suscitava in chi la vedeva.
Avrebbero voluto fare altre mille domande, i pirati del mare, ma ormai il giorno era finito ed ogni equipaggio doveva tornare alle sue mansioni, l’indomani.
Il giorno successivo, infatti, l’Arcadia sarebbe dovuta ripartire e l’equipaggio della Sunny doveva lasciare la tranquillità dell’isoletta, dove avevano già abbastanza attirato l’attenzione e non volevano che altre navi della Marina potessero accorrere per cercare di catturarli..
L’astronave, con la sua poppa che ricordava tanto un galeone, gli somigliava ancora di più, ferma a galleggiare sul mare placido.
La sua enorme stazza, però, assicurava una stabilità che, di certo, la più piccola Sunny non aveva  e sembrava quasi immobile, tra le onde che le si infrangevano contro..
La ciurma di Rufy, appena scesa, la guardava ancora, ammirata, in silenzio.
Avevano avuto anche l’onore di essere presentati al computer dell’astronave. Yuki aveva confidato loro che Tochiro, il migliore amico di Harlock e costruttore geniale di quel mezzo, vi aveva trasferito la sua essenza in punto di morte. Era un concetto difficile da far capire a quei ragazzi, ma dovette ricredersi: avevano accettato quella realtà senza battere ciglio e per essi era logico che l’astronave si fosse mossa da sola alla ricerca del suo Capitano…

Nella tranquillità della sua stanza dall’aspetto così caldo, dovuto al legno che la arredava, in netto contrasto con l’acciaio del resto della nave, Harlock guardava il cielo serale, ormai sgombro dalle nuvole, che mostrava lo spettacolo unico delle stelle che brillavano su un tappeto nero di velluto.
Beveva tranquillo un calice di vino rosso. Era successo tutto così in fretta… il viaggio verso la terra con lo Space Wolf, seguito da Yuki, che gli doveva far da consigliera per la scelta di un regalo per Mayu. Ormai si avviava ed essere una brava signorina, quindi un parere femminile era d’obbligo per riempire le ovvie lacune che un solitario pirata aveva nel suddetto campo.
Poi, erano stati attaccati dalle forze terrestri… dopo tutto ciò che aveva fatto per loro!
Strinse i denti in una smorfia feroce, a quel pensiero.
Con il conseguente guasto alla strumentazione dello space wolf, avevano viaggiato alla cieca, rischiando la vita, senza cibo e pochissima acqua per giorni. La povera Yuki aveva perso i sensi, per l’inedia, ancor prima di precipitare verso quello strano pianeta.
Appoggiò le mani sul tavolo rotondo e vi scaricò, almeno idealmente, il peso che gli gravava addosso.
Sospirò.
Mai, come allora, aveva temuto di perderla.
Yuki Kei, la ragazzina trovata rinchiusa in una cella d’astronave abbordata nello spazio, prigioniera e indifesa contro avvenimenti tanto più grandi di lei, ora era una donna, ormai, e gestiva con sicurezza le situazioni più disparate, sul ponte di comando dell’Arcadia stessa.
Come gestiva da donna anche altre situazioni, come aveva potuto appurare le due notti precedenti, prima sulla Sunny e dopo, in quella stessa cabina.
Tra le sue braccia la aveva vista diventarlo davvero,  donna, solo per lui, tra il sudore delle lenzuola e il dondolio di una nave pirata, nella tempesta di un pianeta alieno. Non avrebbe mai scordato le sue guance imporporarsi per l’emozione ed un malcelato imbarazzo, mentre si scoprivano completamente l’una all’altro.
Il giorno in cui aveva pensato di esserle sopravvissuto aveva quasi perso il senno… la disperazione lo aveva colto anche quando Raflesia aveva rapito Mayu; ma allora c’era stato il suo Amico a condividere il dolore ed a prendere la decisione definitiva.
Cosa avrebbe fatto senza lei? Ripensando a tutto quel tempo, passato fianco a fianco, sprecato senza dimostrarle per davvero ciò che provava  … quante volte avevano rischiato la vita e lui, coraggioso nelle situazioni più estreme, mai era riuscito a parlarle dei suoi veri sentimenti?
Alzò lo sguardo, udendo l’avvicinarsi dei suoi passi. Li conosceva bene, dopo tutto quel tempo. Aprì le porte e le andò incontro, per aiutarla con le cose che trasportava: le aveva chiesto di trasferirsi nella sua cabina, tanto di spazio ce ne era più che a sufficienza.
Sperava solo che non la trasformasse in modo troppo femminile, con trine e merletti.
Scosse la testa. No, non correva questo rischio: conosceva Yuki, era un tipo pratico, non avrebbe fatto nulla di ciò
Piuttosto, chissà come l’avrebbe detto a Meeme, se non lo avesse capito da sola, che da quel momento, non sempre la sua presenza sarebbe stata opportuna…
Quasi gli dispiaceva andare via; le persone che aveva incontrato gli piacevano, niente a che vedere con l’insulsa popolazione della Terra!
Erano capaci, quei ragazzi, di rischiare la vita gli uni per gli altri, pur di concretizzare i propri sogni.
-A cosa pensi?- chiese lei, avvicinandosi.
 -Mmmmh… a tutto e a niente in linea generale- le rispose.
Capì di aver sbagliato, quando le vide una smorfia corrucciata in volto. Forse avrebbe dovuto dirle qualcosa di più carino,del tipo: “penso a te”, o qualcosa di simile...in segno di pace, riempì due calici di vino e gliene porse uno.
Brindarono con un cenno della mano che reggeva il bicchiere e sorseggiarono, gustandola, la bevanda.
-Andremo via domani,- le disse. -Ho paura che Sanji non riesca a tener testa alla signora Masu. Se non sopravvivesse, Rufy non me la perdonerebbe mai.-
Risero insieme.
-Già!- confermò la biondina, -Che personaggi! Però hanno davvero un cuore grande e sono disposti a sacrificare si stessi, per i loro amici.
Ti hanno raccontato di come si sia sacrificato Zoro? Di come abbia sopportato il dolore del suo Capitano? Viene quasi voglia di aggregarsi alla loro ciurma! No, Harlock, non fare quella faccia, non lascerei mai l’Arcadia, lo sai, non  ci sono riuscita, anni fa… adesso  mi sarebbe impossibile, non ora che ho te….- lo rassicurò, vedendolo fargli una smorfia strana.
-Forse faremmo prima a prenderli a bordo noi, allora…
-No, non chiederesti mai ad un uomo di abbandonare la ricerca della propria felicità: Rufy e gli altri hanno obiettivi ben precisi da raggiungere.- rispose lei.
Lo conosceva bene, allora. Inutile dire che quella ragazza non aveva ancora finito di sorprenderlo.
Un pensiero gli passò fulmineo per la mente: doveva aspettarsi pizzi e merletti, allora?
Come se fosse capace di leggere nella sua mente, lei, guardandosi intorno, disse, un po’ maliziosamente:
-Non preoccuparti, per l’arredamento: non sposterò nulla, forse aggiungerò solo un vaso di fiori… trine e merletti te li farò vedere solo sotto gli abiti!
Quella era davvero la sua Yuki? Stentava a riconoscerla. Con una mano sul viso, il pirata tirò un sospiro di sollievo, poi un’idea lo illuminò.
“Credo che la vicinanza di Nami le abbia fatto bene, dopotutto.” pensò.
-Dammene una prova- le rispose, chiudendo le porte della cabina -fammi vedere cosa nascondi lì sotto- indicò l’aderente tuta che indossava.
-Agli ordini, Capitano…- fece lei,  sorridendo e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con una mano, mentre con l’altra slacciava il cinturone.
Si avvicinarono.
Dietro di loro, dalle vetrate la luna sorgeva a rischiarare il cielo e ad illuminare il mare calmo, di mille riflessi.

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Capitolo 15
*** Quindici ***


Quella mattina, le due ciurme si  erano separate, non senza un velo di tristezza.
Harlock era ridisceso dall’astronave giusto un attimo prima di partire.
Sul ponte della Sunny, di fronte a Rufy e Zoro, aveva detto solo poche parole: -Sono orgoglioso di avere amici come Voi… continuate a lottare per i vostri ideali e siate fieri di voi stessi.
Si rivolse all’altro Capitano, mise la mano destra sulla sua spalla e ne indicò il cappello: - Hai già un simbolo profondo del tuo essere responsabile di questo equipaggio… posso far sì che anche il tuo vice possa ricordare di essere un membro fondamentale per la ciurma?
Gli altri guardavano senza capire, ma Rufy, sorridendo come solo la sua faccia di gomma sapeva fare, annuì..
-Bene.- Si voltò verso Zoro con un gran sorriso, quindi portò le mani guantate al collo del mantello, ne aprì la fibbia a forma di teschio e lo tolse, quindi lo poggiò sulle spalle dello spadaccino. Quello, con gli occhi sgranati e rosso come un pomodoro, non riuscì a parlare, solo a guardarlo fisso.
- Zoro, grazie per aver salvato Yuki. Continua a proteggere questa nave e il suo equipaggio. Non riuscirai a diventare il migliore, perché lo sei già, non scordarlo mai. E se un giorno ti batterai col tuo rivale, sarà solo un pro-forma,  perché la tua promessa l’hai già mantenuta.
Senza attendere risposta dall’altro, fece loro il suo saluto con la mano.
-Ci vediamo, amici!- quindi si voltò e, salito sulla sua nave stellare, la fece decollare verso il cielo infinito.
In pochi secondi l’Arcadia era sparita alla loro vista, ma non dal loro cuore.

Gli uomini e le donne sul ponte della Sunny rimasero a guardare il cielo, muti, ancora increduli per l’avventura vissuta.
Zoro aveva ancora il mantello nero sulle spalle, che ondeggiava alla brezza marina.
-Ti sta proprio bene, sai?- affermò la navigatrice, sorridendogli.
Lui si riscosse e le sorrise a sua volta.
-Hai ragione, Nami, Shishishishi!- Confermò Rufy. -Ti dà un’aria importante!
-Super, fratello!- rimarcò Franky, ed era l’opinione di tutta la ciurma
-Non darti tante arie, Marimo!- apostrofò Sanji, fingendosi geloso, mentre tornava in cucina, accendendosi una sigaretta e sorridendo senza farsi vedere.

Gli uomini dell’Arcadia avevano recuperato il relitto dello Space Wolf: non volevano lasciare che la raffinata, e potenzialmente pericolosa, tecnologia di Tochiro potesse cadere nelle mani sbagliate; avevano però dato qualche dritta al cyborg di bordo, per migliorarne i sistemi tecnologici. Ora era nel suo laboratorio a sviluppare le nuove idee.

Sanji, invece, era depresso: doveva rimettere in ordine la cucina, dopo il passaggio di Masu.
-Quella vecchia bisbetica!- mormorava, masticando la sigaretta, nervoso. Guardò la lama dei suoi coltelli. -Però… non erano mai stati così efficientemente affilati!- ammise. Almeno in qualcosa era stata utile!

Nami sospirò e, preso per mano il suo compagno, si avviò a calcolare la nuova rotta per riprendere la navigazione.
Non potevano tornare sull’isolotto: dopo gli avvenimenti di quei giorni la popolazione si era barricata in casa e non voleva avere contatti con nessuno… come biasimarli? Fortunatamente, le stive dell’Arcadia erano riuscite a rifornirli di un po’ di tutto e non avevano bisogno di altro.
Il log-pose era a posto, magnetizzato per la prossima isola, potevano ripartire.
Chiamò Rufy: - Capitano! Possiamo riprendere la navigazione.

Seduto sul suo abituale posto di prua, ma con Robin vicino, il ragazzo di gomma allungò il braccio verso l’orizzonte lontano: -Andiamo!- esclamò
-Levate le ancore! Direzionate le vele! Si parte!- esclamò la rossa.
La Sunny prese a muoversi, acquistando velocità man mano che prendeva il largo.

La ricerca dello One Piece era ricominciata.

Brook strimpellava un motivetto nuovo:
-Un pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel
ha cambiato in astronave il suo velier
Yohohoho!
il suo teschio e' una bandiera che vuol dire liberta'
vola all'arrembaggio pero' un cuore grande ha
Yohohoho!
fammi rubare Capitano un'avventura
dove io son l'eroe che combatte accanto a te
Yohohoho!
fammi volare Capitan senza una meta
tra i pianeti sconosciuti per rubare a chi ha di piu'
Yohohoho!

-Bella, Brook!,  insegnacela, cantiamo insieme!- propose Usop.

E, mentre, si preparavano a riprendere il loro viaggio verso la meta che si erano prefissati, un coro stonato ripeteva le parole di una nuova canzone.
Per non dimenticare mai più che i veri pirati non erano solo in mare, ma che, se avessero alzato lo sguardo al cielo, avrebbero potuto intravedere un Jolly Roger sventolare con orgoglio, anche per loro.





P.S.: Visto che vari lettori hanno equivocato (in effetti i più giovani non possono conoscerla, mea culpa), tengo a precisare che la canzoncina alla fine del capitolo è il testo della sigla italiana delle puntate di "Capitan Harlock", adattato dalla sottoscritta col caratteristico "Yohohoho" dello scheletro canterino della Ciurma di "Cappello di Paglia". Non me ne prendo, quindi, il merito di averla scritta (non son mica così brava! XD).
Grazie ancora per aver avuto la pazienza di aver seguito sin qui.
Metaldolphin

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