Firsts

di Demolition
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Firsts ***
Capitolo 2: *** School Days ***
Capitolo 3: *** Genderswap ***



Capitolo 1
*** Firsts ***


 


 

Il primo incontro.
 
Non gli piaceva quella scuola, di quello Hunter Clarington era sicuro. L’eleganza dei mobili in legno, l’imponenza dell’edificio, la pomposità delle divise che gli studenti erano costretti ad indossare: ogni cosa gli ricordava quanto lui fosse diverso. Fuori luogo.
I suoi capelli erano cresciuti durante l’estate ed ora, ogni mattina, Hunter era solito lottare con il gel affinché i ciuffi ribelli non gli ricadessero mollemente sul viso.
Il suo antico taglio da militare era solo un ricordo.
«Sei il nuovo ragazzo, giusto?» gli chiese il preside della Dalton, indicandogli una sedia dall’altro lato della scrivania.
«Hunter Clarington» disse il ragazzo, sedendosi ed osservando meglio il viso dell’uomo.
Un volto ordinario, un taglio di capelli banale, una cravatta allacciata rigorosamente su una camicia bianca, una giacca scura. Prese in mano alcuni fogli, consultandoli febbrilmente e inumidendosi le labbra ad intervalli regolari.
«Dunque Hunter, vieni dall’Accademia Militare e ti sei trasferito qui per aiutare gli Usignoli a vincere, giusto?» chiese il preside sbirciando il viso del ragazzo, sopra i numerosi fogli che teneva in mano. «Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di uno come te, in questo momento» aggiunse, senza aspettare una risposta.
«Sissignore» esclamò Hunter, muovendosi a disagio sulla sua sedia.
«Spero che ti comporterai meglio di Sebastian Smythe, ad ogni modo» borbottò il preside, posando i fogli sulla scrivania e osservando ansiosamente Hunter.
«Sebastian chi?» chiese il ragazzo, sollevando un sopracciglio.
«L’ex leader degli… oh, ecco, deve essere lui» esclamò, quando qualcuno bussò alla porta dell’ufficio «Avanti!»
Occhi verdi, mani eleganti, naso appuntito. La divisa della Dalton stropicciata e la cravatta allentata gli conferivano un aspetto intrigante, anziché sciatto.
«Mi ha fatto chiamare, signore?» chiese distrattamente Sebastian, affacciandosi alla porta e lasciando cadere il suo sguardo su Hunter. Le sue labbra rosse si incresparono in un ghigno che irritò profondamente sia il preside sia il nuovo arrivato.
«Volevo presentarti il ragazzo che ti sostituirà alla guida degli Usignoli, Clarington» spiegò il preside, indicandolo con un gesto della mano.
Il sorriso sul volto di Sebastian sparì, anche se il ragazzo strinse comunque la mano che Hunter gli porgeva.
«Sebastian Smythe» sibilò, guardandolo negli occhi.
«Hunter Clarington» rispose, stringendo la presa come se stesse tentando di spezzargli le dita.
 
 
 
Il primo litigio.
 
«Non lo farò» ribadì Sebastian per la terza volta, osservando nervosamente la quantità di boccette che Hunter teneva sul comodino.
«Tu lo farai o sarai fuori» disse il Capitano in tono perentorio, preparando una siringa e iniettandola lentamente sul suo braccio.  
«Non lo farò, Clarington, non prenderò quei dannati ormoni» esclamò il francese, sbattendo nervosamente una mano sul comodino.
Hunter non batté ciglio e non lo degnò di uno sguardo. Continuò ad armeggiare tra siringhe e farmaci, senza dire nulla. Sapeva che, alla fine, avrebbe ceduto. Tutti cedevano, alla fine.
«Gli altri saranno qui tra poco e tu dirai loro che questa idea è una puttanata e che non se ne farà nulla» continuò ad urlare Sebastian, senza riuscire a calmarsi.
«Non pensavo ti fossi così rammollito. Ti piace seguire le regole ora? Ti piace fare il bravo ragazzo?» lo schernì Hunter, ridendo di lui.
«Questa roba ci farà male, cazzo» urlò l’altro, afferrando il compagno di stanza per un lembo del blazer.
«Lasciami» gli intimò questo con voce sorprendentemente calma.
Sebastian ubbidì: era sempre difficile non ubbidirgli.
«Vuoi che dica al preside della granita col sale che ha quasi accecato Blaine Anderson? Vuoi farti espellere, Seb?» lo canzonò, mordendosi un labbro e guardandolo finalmente negli occhi.
La rabbia che fino a quel momento aveva regnato sul viso del francese lasciò il posto ad un’espressione di puro terrore.
«Come fai a saperlo?» sibilò, arrossendo vistosamente.
«Tutti abbiamo dei segreti, Sebastian. E c’è sempre qualcuno pronto a rivelarli» sussurrò Hunter, sorridendo maliziosamente.
 
 
Il primo bacio.
 
«Odio la matematica» urlò Sebastian, lanciando un quaderno contro il muro con forza.
«D’accordo» lo assecondò Hunter, seduto sul suo letto con le spalle appoggiate alla parete, senza sollevare gli occhi dal libro che stava leggendo.
Era abituato a quegli scoppi di rabbia, rabbia da steroidi.
«E odio il modo in cui mi parli, cazzo» continuò l’altro, afferrando un libro particolarmente voluminoso e lanciandolo contro la porta. Con un rumore tremendo il tomo si ruppe a metà e atterrò a terra.
«Lo so» ghignò Hunter, facendo spallucce.
«E odio il modo in cui mangi, è così disgustoso» esclamò Sebastian, cercando con gli occhi qualcosa da lanciare.
«Non provare a distruggere nessuno dei miei libri o te li farò mangiare uno ad uno. Sai che ne sarei capace» lo avvertì il Capitano, guardandolo con un misto di pena e disprezzo.
«Odio i tuoi capelli e il modo stupido in cui li sistemi col gel» urlò il francese, percorrendo con lunghi passi tutta la stanza.
«Ma ti sei mai visto allo specchio, Timon?» rimbeccò Hunter, tornando a dedicarsi alla sua lettura.
«Odio anche la tua bocca larga e i tuoi denti perfetti… ecco, i tuoi denti perfetti vorrei spaccarteli tutti» urlò Sebastian con rabbia, montando sul letto di Hunter senza troppi complimenti.
«Perfetti?» gli fece il verso questo, ridacchiando sommessamente.
«Odio quando mi prendi in giro» ringhiò Sebastian, serrando i pugni e avvicinandosi al viso di Hunter.
«Io lo amo» lo provocò questo, sfiorando il naso di Sebastian col suo.
«Odio le tue labbra. Soprattutto le tue labbra… quelle te le bacerei in continuazione» sussurrò, a pochi millimetri di distanza dal viso dell’altro.
«Nessuno ti vieta di farlo» lo provocò Hunter, con un ghigno malizioso.
Sapeva benissimo che Sebastian non avrebbe avuto bisogno di farselo ripetere una seconda volta.
Rabbia da steroidi, quanto la amava.
 
 
Il primo appuntamento.
 
«Non potresti semplicemente rilassarti?» si informò Sebastian, alzando un sopracciglio.
«Ti sembro nervoso?» rimbeccò Hunter, tormentandosi le mani e scuotendo la testa in continuazione come per controllare che fossero soli.
«Stiamo solo camminando. Non ci stiamo dando neanche la mano, cazzo» borbottò il francese, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni, come per rassicurare l’altro.
«A me non interessa cosa pensano gli altri» mentì Hunter, mordendosi nervosamente un labbro e continuando a camminare senza guardare Sebastian.
«Oh no che non ti interessa, ecco perché non sei voluto entrare in quel bar, ecco perché cammini a un metro di distanza da me, ecco perché neanche mi guardi» ribatté il ragazzo ironicamente.
Il loro primo appuntamento si stava rivelando un disastro, ecco tutto.
Cosa si era aspettato? Di trascorrere il pomeriggio più bello delle loro vite? Di passare le loro ore di libertà baciandosi tra la folla? Di camminare per le strade mano per la mano?
«Mi spiace, Bas… è solo che non posso, ancora…» cercò di scusarsi Hunter, lanciando un’occhiata all’altro.
Ma Sebastian non lo guardava, Sebastian era davanti a lui e camminava, camminava come se fosse solo e come se quello non fosse il loro primo appuntamento. Come se fossero estranei, come se non si piacessero. Come se entrambi non desiderassero intrecciare le loro dita in quell’istante.

 
La prima cena insieme.
 
Da: Bas
17.15
Vuoi venire a cena con me, stasera?
 
Da: Clarington
17.17
Sono improvvisamente diventato cieco e non posso leggere nulla di ciò che mi stai scrivendo.
 
Da: Bas
17.18
Alle sette al Bel Grissino, ciao.
 
Da: Clarington
17.19
Immagino che non ho scelta.
 
17.23
Sebastian?
 
17.32
Non ho scelta, ok. Vestito elegante?
 
Da: Bas
17.34
Tanto ti spoglierò comunque, a fine serata.
 
Da: Clarington
17.38
Sono di nuovo diventato cieco.
 
Da: Bas
17.41
Non da fastidio a me, se non da fastidio a te.
 

Il primo coming out.
 
«Ragazzi, sono gay e sto con Sebastian» esclamò Hunter, con un sorriso ebete in viso.
Lo specchio della sua camera rifletté la sua espressione stupida.
«No, ok, riproviamo» borbottò il ragazzo, sistemandosi la cravatta e osservando sé stesso. «Usignoli, volevo dirvi che io e Seb ci diamo dentro e… no, cazzo, sono un imbecille» esclamò, colpendosi la testa con una mano.
Lo specchio continuò a riflettere i suoi maldestri tentativi di coming out per almeno altri quindici minuti, fino a quando Sebastian non ebbe il buonsenso di intromettersi.
«Dovresti essere naturale, fare tutte queste prove non ti aiuterà» gli consigliò posandogli un bacio sulla tempia.
«Oh, certo, una cosa tranquilla e spontanea» esclamò ironicamente l’altro, posizionandosi nuovamente di fronte allo specchio. «Hey ragazzi avete sentito di quel film che uscirà al cinema la settimana prossima? No? Beh, io e Seb ci andremo, sapete ho scoperto di essere un fan delle zucchine, che ne dite?»
Sebastian scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Non sei obbligato a farlo… a me non importa se non lo fai.»
«No?» mormorò Hunter, passandogli una mano sul fianco e attirandolo a sé.
«No» ribadì Sebastian con un sorriso, prima di baciarlo. «No, perché per lo meno lo hai ammesso a te stesso, ora.»
«E’ questo che importa?» chiese timidamente Hunter, temendo di ferirlo.
«E’ questo che importa» confermò il francese, tornando a baciarlo delicatamente.
 

Il primo ti amo.
 
«Mi piace molto quando andiamo insieme a prendere il caffè» mormorò Hunter, posando dolcemente il capo sul petto di Sebastian.
«Io amo quando la smetti di fare l’ex militare mafioso e sei così dolce» ribatté il francese, accarezzando i capelli dell’altro.
«Amo anche quando dormiamo insieme sul tuo letto» rise Hunter, stringendosi all’amante.
«Tipo ora?» chiese Sebastian in un sussurro, cercando di non ridere per il solletico che i capelli di Hunter gli provocavano.
«Tipo ora» confermò Hunter, cercando la mano di Sebastian con la sua.
Le loro dita si intrecciarono sotto le lenzuola e i due ragazzi rimasero un po’ in silenzio, ascoltando i loro respiri profondi, aspettando di addormentarsi abbracciati.
«Stai dormendo?» chiese Sebastian ad un certo punto, alzando appena la testa per riuscire a lasciargli un bacio sulla guancia.
Ma il respiro ritmato del ragazzo non lasciava dubbi: Hunter si era addormentato da un po’.
Sebastian si prese alcuni secondi per osservare la sua figura nella penombra della stanza, il profilo regolare del viso appoggiato al suo petto, le braccia muscolose che lo cingevano.
«Ti amo, Hunt» sussurrò Sebastian, arrossendo nel buio della stanza.
«Lo so» ribatté il ragazzo con una risatina, aprendo gli occhi all’improvviso e alzandosi per guardare l’espressione sconvolta del suo ragazzo.
«Che stronzo, non dormivi» esclamò Sebastian, afferrando un cuscino e lanciandolo all’altro.
Hunter lo schivò per un pelo e si fiondò sul francese, abbracciandolo con forza e ridendo a crepapelle. Sebastian lottò per un po’ contro quella stretta, prima di lasciarsi andare e ricambiare l’abbraccio, anche se rigidamente.
«Perdonami, eri troppo dolce» ridacchiò Hunter, posandogli un bacio sul collo.
«Sì, beh, tu sei comunque stronzo» ribadì Sebastian, imbronciato.
«Quindi ti rimangi tutto?» si informò Hunter con un sorriso sincero, appoggiando la testa sulla spalla dell’altro.
Sebastian non rispose; per qualche secondo si limitò ad assaporare il profumo di Hunter accanto a lui, a bearsi del tocco leggero delle sue ciglia che, chiudendosi, gli solleticavano le spalla.
«No» rispose infine, arrossendo appena e benedicendo il buio della stanza.
«Benissimo, perché ti amo anche io» sorrise Hunter, stringendolo un po’ di più.
 

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Capitolo 2
*** School Days ***



 
«Ainsworth, C» annunciò il professor Sebastian Smythe, consegnando un foglio scarabocchiato con una penna rossa ad una ragazzina in prima fila. Lei, tremante, lo afferrò cercando di reprimere le lacrime.
«Perché invece di piangere non provi a studiare, Ainsworth?» chiese aspramente il professore, superandola e cercando di decifrare la calligrafia del compito successivo.
«Credo sia il mio, quello» borbottò un ragazzo dall’ultima fila, agitando distrattamente la mano in aria per farsi notare. 
«Sanders, anche tu una C» annunciò Sebastian, consegnandogli il compito corretto come se fosse qualcosa di rivoltante. «Trovate così difficile studiare per non farmi venire voglia di bocciarvi tutti?» aggiunse, rivolto alla classe.
Un ragazzo dall’aspetto sciatto sbadigliò vistosamente dal primo banco, senza darsi la pena di coprirsi la bocca con una mano.
«Leroy, invece di abbassare il QI della classe, vai a farti un giro di fuori» ringhiò Sebastian. «O ti strangolerò con le mie stesse mani» aggiunse solo mentalmente, osservando con disgusto il ragazzo dirigersi verso la porta dell’aula.
«Bene, continuiamo… Clarington, A-» esclamò senza riuscire a nascondere un sorriso soddisfatto. «Naturalmente sei stato il migliore della classe, come sempre.»
Hunter Clarington prese il foglio che il professore gli stava porgendo gentilmente, ma non diede segno di soddisfazione. Al contrario, lanciò un’occhiata collerica all’uomo, mentre scrutava quel voto scarabocchiato con la penna rossa in fondo al compito. 
«A-, seriamente?» gli sussurrò il compagno di  banco, osservandolo con ammirazione.
Proprio ciò che avrebbe voluto dire Hunter: A-, seriamente? Perché non A? Perché quel meno a ricordargli quanto fosse imperfetto, quanto non fosse abbastanza per Smythe?
Eppure Hunter non fiatò e si limitò ad osservare il suo compito. Il professore non aveva segnato neanche un errore, neppure uno. E allora perché non dargli un A, perché non renderlo perfetto?
«Hunter stai bene? Sei un po’ pallido» gli fece notare il prof, scuotendolo appena per la manica della felpa.
Avrebbe trovato un modo per prendere una A, una maledetta A. 
«Sto bene, scusi» borbottò il ragazzo, fissando gli occhi verdi e brillanti dell’insegnante.
Sebastian tornò alla cattedra, afferrando un gessetto spezzato e cominciando a scrivere alla lavagna i compiti a casa per la settimana successiva. In realtà la mente del professore vagava altrove e precisamente agli occhi delusi di Hunter Clarington, qualche metro dietro di lui. In realtà quel ragazzo lo aveva sempre colpito, non solo per la sua straordinaria bellezza, ma anche per la sua timidezza. Partecipava di rado alle lezioni, non alzava mai la mano per rispondere alle domande del professore anche se Sebastian era sicuro che Hunter conoscesse tutte le risposte. Raramente lo aveva sentito parlare, perché il ragazzo apriva bocca solo quando strettamente necessario; inoltre non lo aveva mai visto sorridere. Più volte, a fine lezione, Sebastian aveva notato quanto Hunter fosse solo: nessuno dei suoi compagni di classe lo aspettava mai per andare a pranzo, nessuno gli rivolgeva mai la parola, nessuno si dava mai la pena di scoprire perché quel ragazzo fosse così introverso. Cercando di strappargli un sorriso, Sebastian non aveva mai perso occasione per dargli buoni voti e lodarlo di fronte alla classe, ma neanche questo aveva mai aiutato Hunter ad uscire dal suo guscio.
Il flusso di pensieri dell’insegnante fu interrotto dal suono della campanella, che lo riportò alla realtà.
«Chi non si presenterà con i compiti a casa svolti si prenderà una C. Anche se alzerebbe la vostra media, probabilmente» esclamò, sprezzante, osservando gli studenti fare a gara per uscire dall’aula. 
Alla fine, come sempre, Hunter rimase l’ultimo nella stanza. Sebastian pensò disperatamente a qualcosa da dirgli per fermarlo lì con lui, ma non riuscì a trovare nessuna scusa sensata. Tuttavia, per quella volta, fu Hunter ad avvicinarsi alla sua cattedra. 
«Lei mi ha dato A- nel compito di francese, professore» mormorò, fissando gli occhi verdi e penetranti di Sebastian.
«Sì, il tuo tema era veramente ben fatto» rispose gentilmente il professore, raccogliendo i libri dalla cattedra e infilandoli nella valigetta in pelle.
«Ben fatto…. quanto ben fatto?» chiese Hunter, senza smettere di fissarlo.
«Come, scusa?» chiese Sebastian, sollevando lo sguardo e incontrando le iridi chiare di Hunter.
«Lei mi ha dato A-» rispose lo studente, in tono piatto. «Per quel meno? Perché non A e basta?»
Per un secondo Hunter fu certo di vedere le iridi verdi di Sebastian illuminarsi, ma un momento dopo non vide altro che un sorriso sulle labbra del professore.
«C’è sempre spazio per migliorare, Hunter, non preoccuparti» spiegò, afferrando la valigetta e alzandosi in piedi. «Ora scusami, ma ho un’ora libera e devo….»
«Quindi se io le mostrassi quanto sono perfetto… potrebbe darmi una A?» lo interruppe Hunter, con un sorrisino.
Il cuore di Sebastian si fermò, per un pericoloso secondo. Non solo Clarington stava sorridendo, no, lo stava facendo anche maliziosamente. 
«Mostrarmi… quanto…come, scusa?» balbettò il professore, sgranando gli occhi ed osservando l’espressione divertita di Hunter.
«Lo sa» sussurrò il ragazzo, avvicinandosi al volto di Sebastian e dischiudendo lentamente le labbra sottili.
«Hunter, credo ci sia un errore» mormorò debolmente il professore di francese, senza però riuscire a staccare gli occhi dalla lingua di Hunter, la lingua che il ragazzo stava facendo scorrere sulle labbra rosse, inumidendole. 
Sebastian impiegò alcuni lunghissimi minuti per decidere cosa fare. Scappare, forse? Afferrare la sua valigetta e darsela a gambe? Come avrebbe trattato Hunter per il resto dell’anno scolastico, poi? Oppure cedere? Baciare quelle labbra meravigliose, cingere quelle spalle muscolose, lasciare che il suo studente si prostituisse per uno stupido voto? E se li avessero scoperti? 
Fortunatamente per lui, i suoi dilemmi morali furono evitati da Emily Ainsworth che entrò nell’aula senza neanche bussare. 
Sebastian e Hunter sobbalzarono, allontanandosi di botto e fissando con rabbia la ragazzina.
«Scusi, prof, ho dimenticato un libro» spiegò lei in tono piatto. Non si era accorta di nulla, certo. 
Il professore lanciò un’occhiata veloce a Hunter che, di fronte a lui, non aveva perso quel sorriso malizioso. 
«Mi aspetto dei compiti perfetti, per la prossima settimana» tagliò corto Sebastian, alzandosi e recuperando i suoi effetti personali. Con un’ultima occhiata verso il suo studente preferito, se la svignò.
 
~
 
 
«Devi smetterla di provocarmi, Hunter» sussurrò Sebastian, baciandolo appassionatamente e mordendogli il labbro inferiore. 
Hunter si lasciò sfuggire un mugolio e sorrise sulle labbra del professore, afferrando le sue spalle magre e riprendendo a baciarlo. Erano in bilico su un banco abbandonato nel ripostiglio del secondo piano; avevano scelto quel luogo per i loro incontri, perché nessun bidello lo usava mai. Non c’era neanche da chiedersi perché: era un luogo sporco, tetro, con una montagna di oggetti inutili abbandonati sulla schiera di scaffali di ferro che ornavano la parete. 
«Non mi pare che si stia lamentando, professore» lo schernì il ragazzo, mordendogli il collo. Sulla pelle di Sebastian rimase un vistoso segno rosso, così simile a quei marchi che costellavano le spalle di Hunter, il suo petto, le sue cosce muscolose.
All’inizio Sebastian aveva provato dei sensi di colpa, aveva passato notti in bianco pensando che no, non poteva assolutamente continuare: Hunter era un suo studente e tale sarebbe dovuto rimanere. 
Gli aveva chiesto di smettere quegli incontri e l’alunno aveva accettato di malavoglia. Per premiarlo Sebastian aveva aggiunto un paio di A alla sua media scolastica, ma neanche quello era riuscito a ridare il sorriso ad Hunter, lo stesso sorriso che Sebastian gli aveva visto più volte, durante i loro incontri segreti. Era stato a quel punto che aveva capito che, in realtà, si erano spinti ben oltre: non erano le A a portare Hunter a lui, non più almeno. Erano le loro dita intrecciate di nascosto durante le assemblee di istituto, erano i sorrisi che Sebastian gli rivolgeva durante le sue lezioni, erano le loro ore passate a casa del professore, distesi sul divano a stringersi, a raccontarsi piccoli particolari delle loro vite.
«L’hai…l’hai detto a nessuno?» chiese il professore, staccandosi per un attimo dalle labbra di Hunter e fissandolo con apprensioni.
«Credi sia stupido, Sebastian?» esclamò Hunter, posandogli un bacio tra i capelli e sorridendo dolcemente.
Il cuore del francese perse un colpo. 
«Ripetilo» sussurrò,  lasciandogli un bacio leggero sulle labbra. 
«Cosa?» chiese timidamente Hunter, accarezzandogli una guancia.
«Il mio nome. Pronunciato da te… ti prego» disse Sebastian, posando la testa sulla spalla del ragazzo. 
«Sebastian» sussurrò Hunter, abbracciando l’uomo. «Sebastian, Sebastian, Sebastian» ripeté, con espressione divertita. 
Il professore chiuse gli occhi, beandosi di quel suono perfetto. 
«Non smetteremo mai, vero?» chiese, stringendosi di più al ragazzo.
«Sai che non me ne importa più niente delle A» borbottò Hunter, ridacchiando. 
«Ma all’inizio sì, vero?»
«All’inizio sì» ammise lo studente, baciando i capelli di Sebastian. 
«E poi?»
«Poi ho capito che sei l’unica persona con cui riesco ad aprirmi» ammise Hunter.
Sebastian sbuffò e scoppiò a ridere, lanciando un’occhiata maliziosa all’altro.
«Oh, non “aprirmi” in quel senso, brutto porco» rise Hunter, dando una pacca sulla spalla del professore. 
«Lo so, lo so» tossì Sebastian, cercando di reprimere le risate. 
«Beh, insomma… non amo parlare di me» spiegò Hunter, serio in viso, spostando il viso di Sebastian in modo da poterlo guardare negli occhi.
«E con me?»
«Con te sì» lo rassicurò Hunter, baciandolo dolcemente. 
 
~

 
«Non possono, Sebastian, non puoi permetterglielo» lo supplicò Hunter, cercando di baciargli il viso rigato di lacrime. 
Le sue parole risuonarono nell’aula di francese, vuota eccetto per loro due. 
«Possono invece, Clarington» disse duramente Sebastian, scansandolo in malo modo e asciugandosi il viso. 
Il ragazzo lo guardò come se non credesse ai suoi occhi, un dolore allo stomaco che si propagava velocemente.
«Sebastian…» mormorò dolcemente, cercando di prendergli la mano.
Dapprima il professore cercò di evitare quel contatto ma, infine, cedette e lasciò che le loro dita si intrecciassero per un’ultima volta.
«Hunter, ascoltami, ora» disse Sebastian, prendendo il viso del ragazzo tra le dita e sollevandolo, per guardarlo meglio negli occhi lucidi. «Non avremmo mai dovuto cominciare e non è neanche colpa tua… io sono l’adulto, io sono il professore e avrei dovuto fermarti subito quindi non prenderti colpe che non hai» sussurrò, raccogliendo una lacrima dal viso di Hunter.
«Io non volevo che ci scoprissero» mormorò il ragazzo, guardando addolorato l’uomo. Non aveva mai visto Sebastian piangere prima di allora. Non gliene aveva mai dato il motivo. Eppure erano stati così stupidi ad incontrarsi a casa di Hunter nel week-end, così ingenui. 
«I miei genitori non torneranno prima di mezzanotte» aveva detto il ragazzo e Sebastian aveva acconsentito. Eppure il professore non avrebbe mai dimenticato l’espressione sconvolta del signor Clarington quando li aveva trovati nudi sul divano del suo salotto. Né l’imbarazzante colloquio nell’ufficio del preside, dove il padre di Hunter aveva urlato per un’oretta buona, chiedendo a suo figlio se fosse stato costretto a concedersi al professore.
Hunter aveva negato fino allo sfinimento, ma neanche quello aveva impedito al preside di licenziare Sebastian. Di colpo l’uomo si era ritrovato senza lavoro, senza il suo amato francese e senza Hunter.  
«Potremo ancora vederci, Seb» mormorò il ragazzo, timidamente.  
«Non credo» rispose duramente l’uomo, infilando un libro nella sua valigetta. «Sarò chissà dove a cercare un nuovo lavoro.»
«Io ti chiamerò sempre» gli promise Hunter, cercando di reprimere una nuova ondata di lacrime. 
«Non credo sia il caso» rispose Sebastian, superandolo e uscendo dall’aula. 
 
 
~
 
 
Da: Hunter
15.03
Sebastian, ti prego rispondimi.
Sei un coglione, tanto per dire. 
RISPONDIMI, ORA.
 
Da: Hunter
09.20
Sono tre giorni che ti chiamo, imbecille. 
Sei ancora un imbecille. 
Dove sei?
Non risponderai neanche a questo, immagino.
 
Da: Hunter
13.47
Ancora il gioco del silenzio? 
A quanto pare sì. 
 
Da: Hunter
14.36
Ho preso A di francese, il nuovo professore è veramente carino.
D’accordo, era solo per ingelosirti, avrà sessantacinque anni. 
 
Da: prof. S. Smythe 
19.01
Non ha comunque funzionato.
Alle nove domani sera a casa mia?
 
Da: Hunter
19.03
Potrei seriamente odiarti. Cenetta romantica?
 
Da: prof. S. Smythe 
19.10
Pensavo più a delle ripetizioni di francese.
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Genderswap ***


I capelli castani raccolti in  una coda di cavallo che le sfiorava le spalle, la gonna abbastanza alzata da scoprire maliziosamente le ginocchia magre, un velo di lucidalabbra alla ciliegia: era  la classica brava ragazza ammirata da tutti, la figlia che tutti vorrebbero, un’atleta fantastica, una studentessa modello.
E Hanna Clarington lo era davvero, una studentessa modello. La prima del suo anno, cheerleader, presidentessa del Club della Castità, amatissima rappresentante di istituto, attiva contro il bullismo dilagante nei corridoi del liceo, era difficile non amarla. Alta, magra e di bell’aspetto, era molto amica delle due capo cheerleaders, nonché le ragazze più popolari della scuola: Jenny Sterling e Nickayla Duval.
Tutte le ragazze del liceo ammiravano le tre amiche, i giocatori di football facevano a gara per uscire con loro, le altre cheerleaders le adulavano; eppure Jenny, Nickayla e Hanna erano delle ragazze piuttosto tranquille, socievoli e gentili anche con gli studenti alla base della piramide sociale del liceo, i cosiddetti sfigati.
«Robert mi ha chiesto di uscire» annunciò Jenny a pranzo, infilzando distrattamente una patata e portandola alla bocca.
Al tavolo delle cheerleaders, Nickayla rischiò di strozzarsi con la sua insalata scondita.
«Vuoi dire quel Robert?» chiese, tossendo con forza e scuotendo i lunghi capelli corvini.
«Il quarterback, sì» ammise Jenny con un sorriso timido.
«Suppongo sia carino» si complimentò Hanna, arrossendo appena e guardando con preoccupazione il volto sconvolto di Nickayla. 
«Supponi? E’ tipo…. fighissimo» esclamò, guardando Hanna come se fosse pazza.
Jenny scoppiò a ridere, passando distrattamente una mano tra i capelli biondi.
«Sarai mica lesbica, Hanna?» chiese scherzosamente, dandole una pacca sulla schiena.
«Scherzi? E’ uscita con più ragazzi di me» si lagnò Nickayla, lasciando perdere la sua insalata.
«Non è una gara» ribatté Hanna, a disagio.
«Stavo solo scherzando» le rassicurò Jenny, alzandosi improvvisamente dal tavolo. «Scusate, devo andare…devo vedere Robert» buttò lì come scusa, con un occhiolino malizioso.
«Ci vediamo al Club della Castità?» chiese Hanna.
«Certo» la rassicurò Jenny con un sorriso.
Le due amiche osservarono la bionda allontanarsi, prima di ricominciare a chiacchierare.
«Credi che Robert chiederebbe a me di uscire?» bisbigliò Nickayla, con una vena di preoccupazione nella voce.
Hanna scoppiò a ridere e aprì la bocca per rispondere che no, Robert non avrebbe mai chiesto a una come Nickayla di uscire, ma un’immagine la fermò. Una ragazza, una bella ragazza con due grandi occhi verdi sottolineati da un’ abbondante dose di mascara e eyeliner. I capelli castani scuri erano tenuti sciolti disordinatamente sulle spalle coperte da una t-shirt scura. Portava una montagna di braccialetti su ciascun polso e l’attenzione di Hanna si posò su due belle gambe di una magrezza impressionante coperte a malapena da una minigonna scura. Il suo naso era piccolo e all’insù, i lineamenti delicati le conferivano un’eleganza notevole.
«Che c’è?» chiese Nickayla, notando la distrazione di Hanna.
«Chi è quella?» chiese la ragazza, indicando la ragazza dagli occhi verdi.
«Oh…. quella» sbuffò la mora, osservandola con espressione indecifrabile «E’ arrivata oggi, non so come si chiami.»
«Sebastienne» mormorò una cheerleader al fianco di Hanna.
«Come scusa?» chiese lei, confusa.
«Sebastienne, si chiama Sebastienne Smythe.»
 
 
 
«A me non piacciono le ragazze» sbiascicò ansimante, mentre Sebastienne le lasciava una scia di baci sul collo.
«No affatto» ghignò la ragazza ironicamente, accarezzandole le cosce sotto la divisa da cheerleader.
Hanna Clarington era una studentessa modello. O per lo meno lo sarebbe stata se non avesse incontrato Sebastienne Smythe.
Era successo così, un giorno, si erano sedute una accanto all’altra alla lezione di scienze. Sotto gli occhi sconvolti di Hanna, Sebastienne aveva tirato fuori dalla borsa una bottiglia di Courvoisier, bevendone dei grandi sorsi con nonchalance, come se non fosse nel bel mezzo di una complicata spiegazione sul sistema nervoso.
«Sei pazza?» le aveva chiesto Hanna, sgranando gli occhi.
«Quando ero in Francia me lo bevevo a colazione, principessina» le aveva risposto Sebastienne con un ghigno, prendendo un altro sorso dalla bottiglia.
«Se ti vede, ti espelle» la aveva ammonita Hanna, indicando il professor Lewis con un gesto vago della mano, ma continuando a guardare la compagna di banco con un sorriso incredulo.
«Non lo farà, mia madre pagherà e lui chiuderà un occhio» le aveva confidato la francesina, con un occhiolino malizioso.
Senza smettere di sorridere Hanna aveva sfilato la bottiglia dalle mani di Sebastienne e, senza farsi vedere dal professore, la aveva infilata nello zaino.
«Cosa…?» aveva balbettato la ragazzina, confusa.
«Dovresti fare la brava ragazza» la aveva provocata Hanna, giocando con una ciocca della sua coda di cavallo.
«Sai cos’altro facevo in Francia?» le aveva chiesto a quel punto Sebastienne, sfoderano un sorrisetto preoccupante.
Hanna aveva scosso la testa, tornando ad osservare il professor Lewis disegnare un neurone alla lavagna; ma quando si era ritrovata una mano di Sebastienne tra le cosce, era sobbalzata, arrossendo furiosamente.
«Sei pazza?» le aveva chiesto, allontanando quelle dita fredde dalle sue gambe.
Sebastienne si era limitata a sorridere, sorniona. Come se avesse letto nella mente di Hanna. Come se fosse consapevole di quanto quel tocco era piaciuto alla cheerleader.
E così i giorni seguenti si erano ritrovate compagne di banco in quasi tutti i corsi, corsi che Hanna non riusciva più a seguire, mentre arrossiva e stringeva con forza la sua divisa per non cedere alle provocazioni di Sebastienne.
Finché un giorno non si erano ritrovate nello stesso bagno, al primo piano.
«Ti rifai il trucco, principessina?» l’aveva provocata la francese con il solito ghigno.
Hanna non aveva fatto in tempo a risponderle a tono, ad allontanarla per l’ennesima volta, a ricordarle che non era affatto interessata a lei, a mentire per l’ennesima volta. Hanna non aveva fatto in tempo perché Sebastienne aveva chiuso la porta a chiave e si era voltata verso di lei, abbracciandola forte. Con enorme sollievo di Hanna, l’aveva baciata a lungo, accarezzandole dolcemente la schiena, sotto la divisa da cheerleader.
Le pause tra una lezione e l’altra erano diventate le loro preferite: Hanna inventava le scuse più fantasiose con Nickayla e Jenny e poi si fiondava nel loro bagno, dove Sebastienne la aspettava, col suo solito sorriso furbo sulle labbra rosse.
«Non mi piacciono le ragazze» ripeteva sempre Hanna come promemoria, mentre lasciava che le mani di Sebastienne esplorassero il suo corpo.  

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