Dulce mel.

di Odlisny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1. ***
Capitolo 2: *** Chapter 2. ***
Capitolo 3: *** Chapter 3. ***
Capitolo 4: *** Chapter 4. ***
Capitolo 5: *** Chapter 5. ***



Capitolo 1
*** Chapter 1. ***












Arrivare al centro di Londra era sempre stato difficile, soprattutto il lunedì mattina e io, presa dall'ansia, avevo già cominciato a mangiarmi le unghie, brutto difetto. L'ultima cosa che volevo era arrivare in ritardo il primo giorno di lavoro, un lavoro che per altro mi rendeva molto entusiasta, certo fare la commessa non era mai stato il mio sogno, ma fare la commessa in un negozio di Cd, dove avrei ascoltato sempre musica, e dove avrei potuto comprare dei dischi con lo sconto, non mi dispiaceva affatto.
Intanto però il mio taxi non si muoveva, così lasciando venti sterline sul sedile e ringraziando, scesi dalla macchina e cominciai a correre mentre sorrisetti mi scappavano sentendo l’autista imprecarmi alle spalle.
Per fortuna non avevo messo niente di scomodo e la mia borsa a tracollo non perdeva ancora niente, come spesso mi capitava quando correvo.
Corsi per quindici minuti buoni e lunghe ciocche rosse di capelli stavano cominciando a cadermi sul viso mentre la coda di cavallo si scioglieva.
Arrivai alle 9.10 con dieci minuti di ritardo, sudata come solo una donna della mia classe poteva essere.
All’entrata del negozio c’era un uomo alto, dalla pelle ambrata e folti capelli neri. Era Jack, quello che sarebbe dovuto diventare di lì a poco il mio capo, sempre se non mi avesse licenziata.
“Chirstabel, hai visto che ore sono?”  il suo tono era di rimprovero, e ontinuava a sbattere un piede al suolo, riuscendo a mettermi leggermente in ansia.
“Sì, scusi capo. E’ che c’era traffico e sono dovuta venire a piedi” Mi scusai io, cercando di fare una faccia da cucciolo mentre mi ricomponevo la coda di cavallo.
Per mia grande fortuna si limitò ad annuire per poi dirigersi all’interno del negozio. Appena entrammo mi diede velocemente alcune indicazioni su ciò che bisognava fare e, dopo avermi dato una magliette blu con su scritto 'Ray's', il nome del negozio,mi mandò a lavoro.
Il posto era carino, l’avevo visto la settimana prima quando ero entrata a chiedere informazioni per il lavoro. Non era grandissimo e nemmeno un posto in cui sarebbero entrati ricconi. Diciamo che era un posto in cui sarei entrata io però.

Ray's era aperto già da mezz'ora e i clienti erano neanche mezza dozzina. Oltre a me, a lavorare in questo posto, c'erano altri due ragazzi, Susan e Matt credo si chiamassero. Ma sinceramente, non avevo fatto attenzione a quando erano venuti da me a presentarsi, troppo strafonttenti per i miei gusti. Personalmente avevo il sospetto che stessero insieme, perché continuavano a mandarsi sguardi fastidiosamente dolci, mentre lavoravano.
Il caldo di luglio mi faceva soffocare e in questi giorni non aveva piovuto neanche un po’. Io intanto mi stavo occupando di alcuni cd, dovevo sistemare i nuovi arrivati e spostare quelli vecchi, insomma, cose abbastanza semplici, che mi facevano piacere ancora di più il mio lavoro.
La musica era sempre stata la mia passione e ogni tanto mi soffermavo più del dovuto a leggere i titoli delle canzoni di un album che magari mi sembrava familiare, beccandomi, a volte, delle sgridate da parte di Jack.
Speravo con tutta me stessa di stargli a genio, era un brav'uomo,sulla mezza età, gentile e con davvero un bel sorriso, che sfoggiava spesso. Aveva origini orientali, pakistane se non sbaglio che si potevano dedurre anche dalla sua carnagione.
La mia giornata di lavoro terminò alle 12.30 e dopo essermi rimessa i miei vestiti, salutato i ragazzi e Jack, e dopo aver comprato un paio di dischi uscii dal negozio.
Tornando a casa decisi di fermarmi in un bar dove presi un panino al tonno per mangiarlo lungo la strada, perché sarebbe stato inutile sperare che Michelle, la mia migliore amica, con la quale condividevo l'appartamento, avesse cucinato qualcosa.
Il mio panino era delizioso e io lo guardavo, sorridendo compiaciuta, prima di ogni singolo boccone, mentre la gente che mi passava accanto mi fissava con occhi in cui si poteva leggere quanta pena provassero per la ragazza che sorrideva ai panini.
"Cookie sono a casa!" Urlai mentre aprivo la porta del nostro appartamento. Non passarono nemmeno due secondi che mi investì una terribile puzza di bruciato proveniente dalla cucina, sicuramente di qualcosa che la mia dolce e cara migliore amica aveva bruciato mentre giocava a fare la cuoca.
"Miichh che hai fatto?" Strillai io, non che fossi sorpresa, faceva sempre bruciare il cibo, e dentro di me mi rallegrai di avere già lo stomaco pieno.
"Volevo fare la carina e cucinarti qualcosa per il tuo primo giorno di lavoro" Disse una vocina non lontana da me, e poco dopo vidi comparire da una nube di fumo una figura alta e snella con una carnagione scura e lunghi capelli folti e ricci che muoveva ripetutamente la mano davanti al viso per mandare via la puzza. Ecco la mia migliore amica, in tutto il suo splendore e, ancora in pigiama, se pigiama poteva essere chiamata una maglietta lunga e malandata che apparteneva a non so quale suo ex ragazzo.
“Che carina, la prossima volta evita però.”  Le dissi con tono scherzoso mentre toglievo la tracolla e la posavo per terra, per poi avvicinarmi a lei e scoccarle un bacio sulla guancia.
“Stronza” Mi sorrise, prima di allontanarsi da me e dirigersi verso camera sua con la camminata di chi non ha voglia di fare niente.
Io e Michelle abitavano insieme già da tre anni e ci conoscevamo da quando ne avevamo sette. I suoi genitori erano francesi e la sua pelle scura era dovuta alle origini africane del padre. Lei, al contrario di me però, non lavorava, era al terzo anno di università e studiava giurisprudenza. Con l’affitto era aiutata dai suoi genitori che, da alcuni anni, erano tornati in Francia.
Da piccole avevamo sognato di fare insieme l’università, ma al liceo il mio andamento scolastico divenne così disastroso che fu un miracolo il semplice fatto che lo abbia terminato prima dei vent’anni. Tutto ciò però non ci aveva fermate dal mantenere la promessa più grande che ci eravamo fatte, quella di abitare insieme. Anche in giorni come questi, in cui tentava di bruciare la nostra cucina, maledicevo quella promessa.
“Però io ho fame!” La sentii urlare mentre usciva dalla sua camera e si dirigeva verso di me con le braccia incrociate e un finto broncio. Si era vestita per uscire e aveva tra le mani le chiavi della sua macchina, e ciò annunciava, per mia grande gioia, che mi avrebbe invitato fuori a mangiare.
“Pure io” Mentii entusiasta, già pensando al cibo. Avevo già mangiato, ma era solo un panino, e di certo non l’avrei lasciata mangiare da sola. Che razza di amica sarei stata?




Saaalve bellezze! eccomi con la mia seconda ff.
il primo capitolo non dice niente, lo so, ma pubblicherò prestoil secondo
perchè ne ho gia pronti un po'. Beeene fatemi sapere se questo vi è piaciuto o almeno incuriosito,
ve ne sarei grata. Un bacione, josselyn.


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Capitolo 2
*** Chapter 2. ***










Il secondo giorno di lavoro procedeva come il primo, ed ebbi la conferma sui miei sospetti del giorno anteriore, Susan e Matt stavano davvero insieme e ora, oltre a mandarsi diabetici sguardi, si baciavano anche davanti a me. Come se avessi bisogno di qualcuno a ricordarmi che ero sola.

Già sola come un cane. Avevo ventitré anni, ed è normale che chiunque alla mia età avesse già avuto una storia seria, ma no, io no.
D’altronde non sono mai stata normale io, da piccola mi dicevano sempre che per colpa del mio brutto carattere non avrei mai trovato nessuno e non mi sarei mai sposata. Dicevano che nessun ragazzo avrebbe mai voluto uscire con una che invece di fare sport come danza classica praticava due arti marziali. Mi dicevano di continuo che ero un maschiaccio, la verità è che io non mi ero mai sentita meno femminile di quelle ragazze che pensavano solo a trucchi e vestiti e che praticavano quegli squallidi sport da femminucce.
Questo però non voleva dire che io mi vestissi da barbona o da maschio, tutto il contrario. Amavo i vestiti, amavo i vestitini e anche le gonne, i tacchi un po’ meno, per il semplice fatto che essendo io alta  1.73 mi era difficile trovare un ragazzo che, quando indossavo i tacchi, mi superasse, fatto che a volte trovavano più irritante loro di me stessa. Una volta infatti, un ragazzo mi aveva lasciato dicendomi che ero troppo alta e che gli facevo paura nei miei modi di fare quando ero arrabbiata, non che quel ragazzo mi importasse più di tanto, chiaro, ma la cosa mi lasciò sconcertata, tanto che stetti a pensare a quelle parole per le seguenti tre settimane, cosa che non mi capitava mai quando un ragazzo mi lasciava.
Ora erano cinque mesi che non uscivo con nessuno e intanto i due piccioncini continuavano a divertirsi e a farmi sentire ancora più sola. Io li guardavo di traverso, alzando gli occhi al cielo esasperata e cercando di imitarli con le facce più buffe che potevo sfoggiare, sotto lo sguardo divertito di Jack che nel mentre si era avvicinato a me.
“Bello fare il terzo incomodo vero?” Mi disse, beandosi della mia disperazione.
“Bello come un dito nel culo, capo” La mia battuta fece scoppiare Jack in una sonora risata sotto il mio sguardo trionfante.
“Se vuoi, puoi andare a sistemare il mio ufficio” Annunciò lui sfregandosi un occhio, con ancora lo sguardo divertito.
“Oh, tutto pur di non vedere ancora quei due baciarsi così spudoratamente, davanti a me.” Dissi a mo’ di ringraziamento, per poi precipitarmi nell’ufficio del mio salvatore.

Metà della giornata era già trascorsa e io ero impegnata a portare nel negozio quattro alte pile di cd che speravo con tutta me stessa di non far cadere.
Ero intenta a scendere il gradino d'ingresso quando sentii qualcuno arrivarmi addosso facendo crollare tutti i dischi, e insieme a loro, anche le speranze di tenermi quel lavoro a lungo.
"Cazzo! potresti stare più attento?" Esclamai mentre dentro di me mi ripetevo di stare calma e di tenere a bada il mio brutto carattere, però cazzo come si poteva essere così imbecilli?
Mi abbassai di fretta, sperando con tutta me stessa che niente si fosse rotto, senza nemmeno guardare in faccia il deficiente che si era accovacciato davanti a me per aiutarmi.
"Scusa babe, ma stavo parlando con lo zio e non ti avevo vista arrivare." Mi disse mettendo una pila di cd su quella che avevo già in mano, quando finalmente mi decisi ad alzare lo sguardo verso di lui, ed uno spettacolo comparve davanti ai miei occhi. Un ragazzo dai meravigliosi occhi del colore del miele, con pelle ambrata e tratti del viso angelicali. Forse il ragazzo più attraente che avessi mai visto –dopo Jonnhy Deep, chiaro-.
Lui, davanti alla mia faccia senza dubbio incantata, sorrise inclinando leggermente la testa di lato. Non riuscivo a pronunciare una sola parola –cosa che in vita mia non era mai successa- . E’ pura e semplice attrazione, mi dissi. Come se fosse possibile non essere attratta da un viso così spettacolare come quello e capelli neri striati di biondo in un modo dannatamente sexy.
"Allora? Mi perdoni?" Chiese, muovendo da destra a sinistra una mano davanti al mio viso.
"Emm.. sì, sì" Mi ripresi e tornai sulla terra, riuscendo in qualche modo a spostare i miei occhi dai suoi e, seguita da lui, ad alzarmi.
"Dovrei entrare" Dissi dopo essermi schiarita la voce.
"Tu lavori qui?" Ignorò del tutto la mia affermazione, senza pensare che magari dovevo entrare a posare tutti quei dischi, e che erano dannatamente pesanti.
“No, lavoro al bar qui di fronte, ma siccome c’era poca gente mi sono detta: hei perché non andiamo a dare una mano a quelli di fronte, il tutto naturalmente gratis!” Esclamai con sarcasmo mentre il bel visino davanti a me sembrava stranito dalla mia risposta.
“Certo che lavoro qua, ciuffo biondo” Quel nomignolo mi era venuto in quel momento e per qualche strano motivo mi sentii fiera di me. Ciuffetto intanto aveva alzato gli occhi in alto cercando di guardarsi i capelli, e qualcosa dentro di me, mi disse che poteva farlo talmente era alto quel ciuffo.
Dopo qualche secondo tornò su di me e allargò un irritante, ma pur sempre meraviglioso sorriso. "Ah wow, mio zio è il tuo capo allora, eh" Jack? Zio di questo ragazzo? Mi domandai io. In effetti a guardarlo bene le somiglianze c'erano, il ragazzo davanti a me però aveva la carnagione leggermente più chiara di quella del mio capo.
"Ah bene, ora però dovrei davvero passare" La verità era però che dentro di me volevo rimanere lì, a stuzzicare ancora un po’ quel ragazzo.
"Vuoi che ti aiuti?" disse il moro, allungando le mani verso di me e allargando ancora di più il suo sorriso.
"Sei sempre così premuroso?" Fui pronta a rispondergli mentre cercavo in tutti i modi di entrare.
"Con le belle ragazze sì" Già, il solito deficiente, qualcosa dentro di me però, non voleva assolutamente che ignorassi le avance di quel ragazzo.
"Tieni" Alla fine mi decisi, sarei stata al suo gioco, almeno per un pochino. Male non poteva fare, no? Appoggia quindi tutti i cd che avevo sulle mani che mi aveva allungato e gli feci segno di avanzare.
"Che cosa sta succedendo?" La voce di Jack tuonò nella stanza, e un lampo di sorpresa balenò nei suoi occhi quando vide il nipote carico di dozzine e dozzine di dischi camminare davanti a me.
"Zayn, che cosa fai?" Zayn, allora era quello il nome di quell’incantevole quanto stupido ragazzo.
"Niente zio, do una mano a-a...A proposito, come ti chiami?" Il moro si voltò verso di me con la fronte leggermente corrugata e grandi occhi curiosi contornati da lunghe ciglia nere. Dio, quanto erano incantevoli quegli occhi.
" Chirstabel.. " Lo guardai con noncuranza per poi spostare gli occhi su quelli del mio capo, incuriositi .
"Piacere Chirstabel, io sono Zayn.. La mano magari te la stringo dopo, eh" Mi rivolse un sorriso malizioso ammiccando, per poi rimanere compiaciuto a fissarmi mentre le mie guance si tingevano leggermente di rosso. Nessun ragazzo era mai riuscito a mettermi in soggezione in quel modo e ciò mi confondeva, non poco.
Era riuscito nel suo intento e lo sapeva bene, 0 a 1 per lui.
"Va bene, io non so cosa stia succedendo qui, ma non voglio averne a che fare. Vado a lavorare" Disse Jack alzando gli occhi al cielo per rivolgerci poi le sue larghe spalle e tornare a quello che stava facendo.
Zayn lo guardò divertito, e avanzò con un certo menefreghismo. Si guardava in giro, sicuro di se, e dopo essersi fermato alcuni secondi a ragionare, si diresse verso la destra del negozio seguito da me che non facevo che guardarlo con fare interrogativo.
"Come sapevi che era qui dove bisognava sistemarli?" Gli domandai alle sue spalle mentre lui poggiava i dischi su un bancone.
"Bisogna sistemarli, dobbiamo ancora farlo." Puntualizzò per poi voltarsi verso di me appoggiandosi a uno scaffale e donarmi un sorriso sornione. Era bello, ma non si poteva dire che era ‘bello come il sole’. Quel ragazzo era tutto ombre e misteri, misteri che probabilmente di lì a poco mi sarei trovata a voler svelare.
"Dobbiamo? Hai intenzione di aiutarmi?" Incrociai le braccia al petto con fare di sfida, e un lampo di divertimento balenò nei suoi occhi.
"Certo, a meno che, tu non voglia farlo da sola" Il suo tono era di scherzo misto a un pizzico di malizia e io in tutta risposta sfoggiai uno dei miei sguardi più altezzosi, dopo di che, gli diedi le spalle e mi misi a lavoro.



Eccomi qua, dopo neanche un'ora, a rompervi le palle
con il mio secondo capitolo. E' che ne ho pronti un po' e non ho resistito, lol. 
Comunque aspetterò che mi facciate sapere che ne pensate prima di pubblicare i prossimi
*si sente una riccattatrice*. Ah, e so che Zayn non ha più i capelli così, ma scrissi questo capitolo quando
ancora li aveva, perciò, ve li tenete. uu
Ora vado a fare latino, che domani è il mio compleanno e non voglio trovarmi a
fare i compiti, cwc. Un bacione, josselyn.

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Capitolo 3
*** Chapter 3. ***










Tenevo nervosamente il mio cellulare tra le mani, avevo controllato  il display almeno cento volte e avevo già cominciato a distruggere la mia manicure, mentre accanto a me Mich, si stava ingozzando di popcorn. Stavamo guardando ‘The ring’, per l’ennesima volta, ma lei si spaventava comunque, come una bambina di sei anni, quando invece ne aveva ventidue e sapeva quel film a memoria. 
Talmente grande era la sua concentrazione sul film che non si rendeva conto –o forse faceva finta di non accorgersene- che impaziente stavo attendendo una telefonata.

Quel pomeriggio infatti, prima di andarsene dal negozio, Zayn mi chiese il numero, che all’inizio non volli dargli tanto per vedere se avrebbe insistito. Lo fece, e circa al decimo tentativo decisi di cedere. Non avrei mai pensato però, che avrei atteso quella chiamata con così tanta urgenza. Non mi era ma capitato prima di quel momento, anzi molte volte ricevevo chiamate di ragazzi che nemmeno ricordavo più. La verità era però che non mi era mai capitato nemmeno di stare così bene con un ragazzo sin da subito, la verità era che quel ragazzo aveva un sorriso capace di fermare i cuori, anche il mio, forse più difficile di quello degli altri. La verità era che persino il suo modo di sistemare i dischi era irresistibile. Ma probabilmente la sensazione che stavo provando era semplicemente voglia di trascorrere un’altra bella giornata, niente di più. Così, cercai di tranquillizzarmi.
In quel moemento, un terribile urlo mi penetrò le orecchie, e io spaventata, balzai sul divano, stringendomi il cellulare al petto e guardando in cagnesco la mia migliore amica, mentre un desiderio di finire in galera per omicidio si impossessava di me.
“Christy, cerca di calmarti, è tutta la sera che ti vedo agitata!” Esclamò la mia migliore amica, mettendo pausa al film, per poi alzarsi dal divano, sicuramente a prendere altri popcorn.
“Calma? Stai calma?! Chi è quella che ha appena lanciato un urlo disumano?”  Le gridai mentre scendevo dal divano e ricontrollavo il display del mio iPhone, ormai quasi distrutto da tutte le cadute che gli avevo fatto fare.  
“Non sono io quella che sta urlando ora, però” disse lei con la bocca piena di popcorn mentre ritornava in salone “E smettila di fissare quel cellulare.” Si sistemò sul divano e mise i piedi sul tavolino davanti a lei, senza però rimettere play al film, segno che voleva delle spiegazioni, che naturalmente, non ero in grado di dare. Quando ero tornata dal lavoro le avevo raccontato che avevo conosciuto un ragazzo, ma niente di più. Non che parlassimo poco, ma se le avessi detto che ero stata bene quel giorno, e che probabilmente Zayn mi interessava già, lei avrebbe creduto che la sua migliore amica fosse stata rapita dagli alieni  e che accanto a sé, ora, avesse  un robot o qualche altro strano sperimento, dato che mai mi facevo prendere da un ragazzo così, sin da subito.
“Allora, ti decidi a parlare oppure devo pensare che mi hai mentito sul fatto che lavori in un negozio di dischi, e che invece lavori per la CIA e  ora stai aspettando una telefonata da cui dipende il destino della terra?” continuò lei, con finta voce seria accompagnata da occhi indagatori. Aveva reso il tutto più teatrale illuminando il mio viso con la torcia del suo cellulare che, mi stava accecando.
Infastidita le strappai il cellulare di mano e guardai davanti a me, incrociando le braccia e fingendomi arrabbiata. 
Lei non proferiva parola, aveva deciso di rimanere a fissarmi, irritandomi ancora di più.
“Sto aspettando una telefonata da un ragazzo, okay?” cedetti infine facendo roteare gli occhi per poi posare il cellulare sul tavolino, alzarmi, e dirigermi verso la cucina.
“Oddio, davvero? Un ragazzo? Racconta, racconta” Mich mi stava seguendo e batteva le mani come una bambina, mentre saltellava rendendo il tutto più infantile. Possibile che una ragazza di ventidue anni potesse essere così babbea?
“Sì, Zayn, quello che ho conosciuto oggi al lavoro, ma visto che sono le dieci passate non credo chiamerà.” Dissi alzando lo sguardo verso l’orologio mentre prendevo dal frigo una birra, per poi andare ad accomodarmi accanto a lei sul tavolo della cucina.
“Un ragazzo che hai conosciuto solo oggi? Di solito ci vuole un po’ perché tu ti interessi a un ragazzo, nel caso tu lo faccia, cosa che non succede sempre.”   I suoi occhi erano fissi suoi miei, incuriositi e leggermente straniti.
“Avrò imparato da te, ti fai prendere da un ragazzo subito tu, no?” Alzai leggermente le spalle prima di alzare la mia birra e scolarmene buona parte.
“Però io credo..” Mich non finì mai quella frase perché io la zittii con una mano, e abbassai in fretta la birra facendo gocciolare un po’ di contenuto dall’angolo della bocca. Avevo appena sentito squillare il mio cellulare, così, appoggiai la mia bevanda sul tavolo e mi precipitai in sala per rispondere.
“Pronto?” esordii dopo aver preso un profondo respiro.  Mich intanto era già sprofondata sul divano e mi fissava con fronte corrugata, di chi non si aspettava una simile reazione ad una semplice telefonata da parte di un quasi estraneo.
“Si pronto, sono Zayn, il ragazzo di oggi” Sentii la sua calda voce e penetrante, e mi morsi un labbro, mentre la mia migliore si divertiva a guardarmi.
“Ah sì, ciao” dopo l’emozione iniziale, che non riuscivo ancora a spiegarmi, tornai me stessa e decisi che lui era tale e quale a tutti gli altri, perché fino a prova contraria, lo era.
“Tutto bene? Cosa fai? Disturbo?” Domandò lui a raffica e io divertita mi accomodai sul divano, prendendo i popcorn e cominciando a mangiarli.
“Sì, guardo un film e no, non disturbi” gli risposi con la bocca piena, da vera signora.
“ Ah ok, no volevo soltanto chiederti se ti andasse di fare un giro e magari che so, prendere un gelato. Ti piacciono i gelati?” la sua voce era allegra e non c’era nessun rumore come sotto suono, segno che era a casa da solo.
“Sì, certo che mi piacciono.”
“Bene, allora esci con me, no?” Chiese con la voce di un bambino che chiedeva un nuovissimo e fantastico giocattolo, reazione che mi fece mordere il labbro ancora una volta.
“Non ho detto questo” proferii io, continuando a mangiare, prima di voltarmi a guardare la mia migliore amica, che stava facendo facce buffe, imitando teenagers innamorate, cosa che, non ero assolutamente.
“Come, non vuoi uscire con me?”  Nella sua voce percepii una nota di amarezza, ma non ci feci molta attenzione.
“Non ho detto nemmeno questo, se vuoi, ci vediamo domani pomeriggio dopo il mio turno da Ray’s.” Già, ero una ragazza, e come a tutte le ragazze mi piaceva comandare, e poi, non poteva decidere tutto lui, dovevo tirare fuori la vera Christabel, mi ero già comportata in modo fin troppo strano, e per niente da me, quel giorno.
“Perfetto! Ti passo a prendere io. A che ora finisci?” la sua voce era entusiasta e dall’altra parte del telefono sentii un letto scricchiolare, segno che ci si era appena buttato su.
“Alle 3, a domani” Chiusi la telefonata senza aspettare risposta, non so perché lo feci, semplicemente non volevo sembrare come una di quelle ragazzine che Mich stava imitando in quel momento.
“Smettila, stronza” Le urlai, buttandole la ciotola vuota dei popcorn, che la colpì dritta in testa, facendola urlare di dolore.
“Aia, pezza di merda! Mi hai fatto male!” Si lamentò a denti stretti, mentre mi seguiva in camera mia.
“Allora? Uscite insieme?” Domandò la mia migliore amica appoggiata allo stipite della porta e fregandosi ancora la testa in modo teatrale.
“Non mi pare tu abbia bisogno di amplifon, mi sembra che tu abbia sentito la nostra conversazione.”  mi misi in fretta il pigiama, senza guardarla in faccia. Mi metteva a disagio quella conversazione, e non ero mai a disagio quando parlavo con lei.
“Dai Christy, esci con un ragazzo, che male c’è? Non mi sembra nulla di strano e non è di certo una novità.”  Si sedette nel letto accanto a me mentre mi guardava con occhi accusatrici.
“Allora, cosa succede?” Alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto con l’aria di chi vuole risposte, subito. Sospirai profondamente, chiusi lentamente gli occhi per poi riaprirli e cominciare a parlare: “E’ che non lo so, tu mi conosci bene no? Sai che non do mai importanza ai ragazzi, soprattutto non appena li conosco. Molte volte succede che mi scordo totalmente di aver conosciuto o dato il mio numero ad un ragazzo, invece con lui.. non lo so, ci ho pensato tutto il giorno. Forse però, è semplicemente perché è un ragazzo davvero attraente.” Dissi ciò, tutto di un fiato, ma poi mi calmai. Alzai le spalle e spostai lo sguardo da lei per posarlo sul muro verde davanti a me. Ricordai il giorno in cui lo verniciammo, insieme, eravamo verdi da tutte le parti. Fu davvero una giornata bellissima.
“Chritabel, non mi sembra ti sia mai fatta coinvolgere così tanto dalla bellezza dei ragazzi. Ti ho vista mandare a fanculo tanti di quei ragazzi belli da poter essere modelli di Abercrombie, per esempio.. Liam. Ah menomale che mi hai dato il suo numero!”  Sorrise e guardò verso l’alto, al solo pensiero di Liam, il nuovo ragazzo con cui stava uscendo.
“Veramente, Liam non l’ho mai mandato a fanculo, semplicemente non era il mio tipo. Devo ammettere però che era dolcissimo. Già, appunto per questo non era il tipo adatto per me.”  Mi sdraiai sul letto e spinsi coi piedi l’enorme culo di Micth che non mi permetteva di stenderli, per poi raccogliere i miei lunghi capelli rossi in un’alta coda di cavallo, in modo che durante la  notte non si creassero nodi.
“Lo so benissimo, infatti è il mio tipo!” Esclamò, facendomi un occhiolino per poi alzarsi dal letto e borbottare un ‘notte’,  prima di uscire dalla mia camera e lasciarmi da sola.
Michelle usciva con Liam da due mesi ormai e forse, stava diventando una cosa seria, fatto strano anche per lei. In ogni caso, più seria di quanto lo era stata con me. Eravamo usciti solo tre settimane e poi, io gli dissi chiaramente che non era il mio tipo e che non volevo più uscire con lui. Lui, un po’ imbarazzato, aveva risposto che la cosa era abbastanza reciproca, scusandosi prima diverse volte per non offendermi. Non l’aveva assolutamente fatto,  rimanemmo diciamo amici, così lo presentai Mich e ora lei sembrava felice con lui.  Liam comunque l’ avevo visto solo altre due vote.  Il giorno in cui io e Michelle andammo a vivere insieme, infatti, ci eravamo promesse che non avremmo fatto passare a nessun ragazzo la notte in casa nostra, non sapevo bene il motivo di tale scommessa, ma fino a quel momento l’avevamo mantenuta.
Sbadigliai controllando sul cellulare l’ora. Le 23.09 ed ero già stanca morta, mi stiracchiai un po’ ed entrai sotto le coperte, prima di iniziare il mio solito viaggio mentale pre-dormita. Pensavo a tutto prima di addormentarmi: al presente, al futuro a quello che avevo fatto durante la giornata e a quello che avrei voluto fare. Quella sera pensai a quanto mi sentivo stupida per come stavo reagendo al mio incontro con quel ragazzo dagli occhi color miele, che mi avevano fatto venir voglia di affogarci dentro. Proprio io, che odiavo il miele.


Rieccomi qui, non sono morta.. quasi.lol
Devo dire che questo capitolo non mi piace quasi per niente, è
troppo di transizione per i miei gusti, ma va be'.. che ci possiamo fare, ci devono essere 
per forza, anche se a me non piacciono, cwc. Voi comunque fatemi sapere che ne pensate, anche se non 
sono commenti positivi, anche per dirmi che scrivo da cani (lo so. cwc), io accetto tutto... ben graditi anche tutti i tipi di 
consigli che mi possiate dare, eh... Bene io vado a fare una doccia, e ringrazio le quattro ragazze che  
hanno recensito questa storia e chi l'ha messa tra preferite e seguite, mi fate sentire 
apprezzata, grazie davvero. okay, vado sul serio, un bacione belle.
josselyn. 


twitter: @odlisny

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Capitolo 4
*** Chapter 4. ***


“Non penserai davvero di andare al lavoro così, vero?” Vidi Michelle entrare nella mia camera, i capelli ricci arruffati, la lunga maglia- che lei osava chiamare pigiama- stropicciata e gli occhi ancora assonnati. Si apoggiò allo stipite della porta e morse la rossa mela che aveva in mano, fissandomi, mentre io mi guardavo allo specchio. La sua voce era piatta, ma nei suoi occhi si poteva leggere una leggero filo di incredulità. Non credeva a quello che stavo facendo, e nemmeno io pensandoci su. Stavo decidendo come vestirmi per un appuntamento, e per quando possa suonare strano, io non l’avevo mai fatto prima di allora, e dato che, nel mio armadio non avevo vestiti che non mi piacessero, mi ero sempre vestita all’ultimo momento prima di uscire, senza pensarci molto.  Certo, sapevo che un giorno l’avrei fatto, ma avevo sempre pensato che l’avrei fatto per un uomo di successo, che mi invitava a cena in un ristorante di lusso, ad esempio. Invece mi ritrovavo a impazzire nel scegliere cosa mettere per uscire con un ragazzo con quattro anni meno di me, che si fa mantenere dallo zio e che al massimo mi avrebbe portato in una gelateria –non che io disdegnassi le gelaterie e i gelati, sia chiaro, io amo il gelato-.
“Buongiorno anche a te eh! Comunque, no, li porto in borsa e mi cambio al lavoro” Dissi togliendomi una gonna nera a vita alta, dal taglio alto davanti e lungo dietro e una camicetta bianca trasparente. Buttai tutto nella borsa e misi in fretta dei jeans ed una canottiera nera.
“Come hai detto che si chiama questo ragazzo?” Mi domando Mich, alzando un sopracciglio e appoggiando il torlo della mela sul comodino accanto al preziosissimo romanzo che avevo appena cominciato a leggere.
“Non l’ho detto, comunque Zayn. E butta quella cosa prima che sporchi il mio libro!” Le urlai mentre mettevo ai piedi dei sandali neri.
“Christy, ti stai comportando in modo strano, ci penserei un attimo su questo Zayn” finì così di parlare, prese il torsolo ed uscì dalla stanza borbottando un ‘buona giornata’.
Non feci caso a quello che aveva detto e presi le chiavi della macchina per affrettarmi ad uscire di casa prima di rischiare un altro ritardo.
Arrivai alle nove meno cinque sentendomi fiera di me stessa. Gli anticipi non erano mai stati il mio forte, e mai lo sarebbero stati. Spensi il motore della macchina, afferrai la  borsa ed uscii per avviarmi verso il mio posto di lavoro a pochi metri di distanza.
“Buuongiorno gente!” Esordii appena entrata nel negozio, e vidi Jack alzare lo sguardo su di me per rivolgermi uno dei suoi radiosi sorrisi. “Buongiorno Christabel” mi salutò, prima di continuare a leggere il suo giornale.
Gli altri due, al contrario, non mi degnarono nemmeno di uno sguardo, carini loro. Stavo cominciando davvero ad odiarli, soprattutto lei, con quella faccia quasi più pallida della mia che avrei tanto voluto spaccare con le mie stesse mani. Ma avevo deciso che finché non mi avessero dato problemi, io non li avrei dati a loro.
Passai la mia giornata lavorativa stranamente nervosa, sotto lo sguardo indagatore di Jack e con la solita fastidiosa commedia da innamorati dei miei colleghi.
A mezzo giorno andai a comprare il mio solito panino al tonno –io amavo il tonno- e tornai indietro con una crema al caffè e nocciole, cosa di cui ultimamente mi stavo drogando.
Alle 2.00 mi rimisi al lavoro, silenziosa, e con quella leggera ansia che non mi aveva lasciato tregua tutta la mattinata. Quel giorno, il pomeriggio, eravamo di turno solo io e Susan, e lei senza il suo Matt sembrava  quasi una depressa. Non faceva altro che sbuffare e lisciarsi con le mani quei capelli biondi ossigenati, ed era un tic che mi dava dannatamente fastidio, soprattutto se fatto da lei.
Il mio turno di lavoro stava per finire, una giornata abbastanza vuota, pochi clienti, al massimo una dozzina, avevano visitato il negozio e io avevo passato la maggior parte del mio tempo ad ascoltare canzoni di uno dei miei cantanti preferiti, Ed Sheeran, un poeta, non c’erano altre parole per definirlo, in più aveva i capelli rossi come me, impossibile non amarlo.
Alzai lo sguardo verso l’orologio, erano le 3.45 e non c’era nessuna traccia di clienti, così mi alzai dallo scomodo sgabello su cui mi trovavo e mi recai nella stanza in cui potevo cambiarmi, senza farmi notare dal mio capo e da quell’oca di Susan.
Mi misi frettolosamente i vestiti che avevo preparato e andai in bagno a sistemarmi i capelli. Sciolsi la coda di cavallo facendo ricadere la mia lunga chioma rossa sulle spalle e pettinandola un poco, e poi imasi un attimo a fissare la mia figura allo specchio: pelle chiara, chiarissima, viso leggermente squadrato, occhi verdi scuro, forse un po' troppo separati, e messi ancora più in risalto dai capelli. Non mi ero mai definita una bella ragazza, ma il mio aspetto non mi era comunque mai dispiaciuto, così come non era mai dispiaciuto alla maggior parte dei ragazzi che conoscevo.
Misi i miei rayban neri a mo’ di cerchietto e uscii dal bagno facendo attenzione che fossero già le quattro per poter andarmene.
Stavo per giungere alla mia metà, la porta, silenziosa e furtiva, quando la dura voce di Jack mi fermò : “Dove vai carissima Christabel ?” Domandò facendomi voltare verso di lui.
“Emm, Jack! Niente, esco.” Esclamai sorridendogli nervosamente,  non conoscevo il motivo, ma non volevo sapesse che uscivo con suo nipote.
“E ti sei cambiata così per..?”  Chiese lui, alzando un sopracciglio. Cavolo era il mio capo da pochi giorni ma già sembrava mio padre. Anche se sapevo la causa di quell’interrogatorio, sapevo dove voleva andare a parare.
“Devo uscire con Zayn.” Sbottai un po’ infastidita, sbattendo leggermente un piede sul pavimento e incrociando le braccia al petto.
“Mio nipote?” Domandando lui leggermente turbato, reazione che non riuscivo a capire. Ok, era suo nipote, ma era grande e vaccinato e non pensavo fosse geloso di lui.
“Sì Jack, è l’unico ragazzo che conosco che abbia quel nome, perciò sì, proprio lui” . Fissai l’orologio, le 4.04, Zayn avrebbe dovuto esser già arrivato.
“Ah, ok” Sciolse l’incrocio delle braccia diventando insolitamente serio, e continuò a scrutarmi pensieroso.
“Buongiorno bella gente” d’un tratto, la voce di Zayn ruppe l’imbarazzante silenzio che si era creato tra di noi e dentro di me ringraziai quell’attraente ciuffo biondo che era appena entrato. Mi voltai verso di lui, e lui nel vedermi spalancò leggermente gli occhi, quei meravigliosi occhi.
“Wow! Sei uno schianto, Christabel.” Esclamò il ragazzo, fissandomi con un sorriso allegro dipinto in viso.
“Grazie, e.. chiudi la bocca.” gli risposi decisa e divertita, ad un tratto però mi sentii leggermente strana e percepii le mie guance mentre a poco a poco cominciavano ad ardere. Stavo arrossendo, io Christabel Owen stavo arrossendo, non poteva essere possibile, non mi succedeva mai. Presi un profondo respiro e mi girai verso Jack, notando che stava guardando male suo nipote. Mi voltai ancora una volta verso Zayn, confusa, ma lui disse semplicemente: “Andiamo” fissando suo zio con sguardo serio. Io scrollai le spalle e dopo aver salutato il mio capo mi avviai verso l’uscita, seguita dal moro.
Mi guidò silenzioso fino alla sua macchina nera mentre io rispondevo ai messaggi di Mich che mi stava stressando perché le dicessi come stesse andando l’appuntamento, che peraltro, era appena cominciato.
Arrivammo davanti ad una macchina nera, ma invece di aprire il suo sportello si avviò verso il mio e lo aprì per me.
“Grazie dolcezza, però, riesco ad aprirmela anche da sola la portiera.” Gli feci un occhiolino e divertita, osservai il suo sguardo totalmente confuso. Sapevo che si aspettava che io cadessi ai suoi piedi dopo quella mossa, ma io non ero come tutte le altre ragazze che amano certe stupidaggini, anzi, a volte mi davano anche fastidio. Va bene la galanteria, ma non ero andicappata e non eravamo più nel ‘800.  Entrai in macchina e lui si accomodò nel posto di guida, ancora visibilmente confuso.
“Dove andiamo?” Domandai curiosa, e vidi ricomparire quel sorriso che cominciava a piacermi così tanto, sul volto del ragazzo che avevo accanto.
“Non te lo dico.”
Ok, amavo le sorprese e le cose intriganti in generale -come per esempio i suoi occhi- ma in quel momento volevo assolutamente sapere dove volesse portarmi.
“Dimmelo!” dissi in tono minaccioso, picchiettando le dita sullo schermo del mio cellulare.
“Non ho nessuna intenzione di faro. non è niente di che, eh, ma non te lo dico in ogni caso.”  Dichiarò Zayn soddisfatto, senza spostare lo sguardo dalla strada. Decisi di non insistere, sapevo quanto potevo diventare stressante quando lo facevo, e di certo, non volevo morire in un incidente automobilistico.
Arrivammo, dopo circa dieci minuti, in una piazzetta che non mi sembrava aver mi visitato, o che almeno, non ricordassi aver mai visitato.
Uscimmo dalla macchina e io, appoggiata alla portiera, mi guardai in giro, leggermente accigliata. Zayn mi raggiunse pochi secondi dopo, con ancora quel sorriso radioso dipinto sul viso, che riusciva a far sorridere anche me ogni volta.
“Dai seguimi.” Io annuii e lo seguì, mentre un terribile presentimento che un silenzio imbarazzante calasse su di noi  mi assaliva. Non ero il genere di persona che stava sempre zitta, e non  mi piaceva nemmeno rimanerlo a lungo.
Camminavamo uno accanto all’atro e io mi guardavo in giro: coppiette avanzavano prese per mano, sorridendosi, sfiorandosi. Io Zayn, invece, sembravamo due adolescenti al primo appuntamento, eppure, io non ero il tipo da imbarazzarsi in quel modo, e nemmeno lui lo sembrava.
“Allora, dove lavori?” Interruppi io il silenzio, e lui alzò lo sguardo su di me. Al sole i suoi occhi diventavano ancora più chiari, con diverse  sfumature di castano, mentre proprio intorno alla pupilla, erano puro miele. 
“Io?” chiese continuando sorridermi, un sorriso tenero misto a malizia, che stuzzicava i miei ormoni in una maniera dannatamente sproporzionata.
“No, il bambino che ci sta passando accanto” lo presi in giro, indicando un ragazzino che ci passava accanto mentre messaggiava al telefono. I bambini di otto anni d’ oggi, io a otto anni, avevo solo otto anni. 
“Come sei simpatica!”  Esclamò, infilandosi le mani in tasca, senza spostare  gli occhi da me.
“Grazie, lo so.. allora?”  Gli sorrisi, un sorriso malizioso, e anche leggermente di sfida.
“Non lavoro. Io vengo da bradford, ho appena finito la scuola là e sono venuto qui a cercare.. una nuova vita, diciamo”  si strinse nelle spalle e spostò lo sguardò da me, portandolo verso una piccola gelateria davanti alla quale ci eravamo fermati.
“Siamo arrivati! Sai, questa è la prima gelateria in cui venni appena arrivato a Londra, mio zio abita qui vicino” esclamò con voce allegra, e mi regalò l’ennesimo sorriso prima di entrare nella gelateria, seguito da me.
“Ti piaceva bradford?” Gli domandai mentre lui scrutava la vetrina, scegliendo attentamente i gusti del gelato che voleva prendere.
“mm prendo nocciola e vaniglia” Disse rispondendo alla domanda del gelataio, prima di voltarsi di nuovo verso di me.
“Sì , mi piaceva ma..”
“ma..?” chiesi inclinando la testa e fissandolo intensamente.
“Che gelato prendi?” continuò lui, ignorando la mia domanda. Ok, non voleva parlarne,  e in questi casi non mi piaceva insistere. Così, portai lo sguardo sui gusti dei gelati e comincia a scrutarli anche io, benché sapessi già ciò che volevo.
“mm fragola e..e…” sbarrai gli occhi scioccata davanti a quello che avevo visto, o meglio a ciò che non avevo visto.
“Qui non c’è il mango!” sbraitai in maniera teatrale, fingendomi –per modo di dire- davvero frustrata. Il mango, quel paradisiaco frutto non c’era, in estate, come poteva essere possibile?
“ No, basta andiamocene!” Dissi, continuando ad urlare per poi fulminare il gelataio -visibilmente sconcertato dalla mia scenata da bambina- e uscire velocemente da quel posto.
“Christabel, Christabel che fai?”   la sua voce, alle mie spalle, suonava davvero divertita, mentre mi seguiva.
“Il mondo sta diventando una sciagura, ecco cos’ho. Come è mai possibile che non ci sia il gusto al mango, in che razza di gelateria mi hai portato? Hai perso punti caro, sappilo.” Incrociai le braccia davanti al petto e misi un broncio che finto non era poi tanto. Tutto ciò era una vergogna, davvero.
“Tu sei pazza Christabel, fattelo dire!” esclamò lui scuotendo la testa e assaporando il suo gelato.
“Non sono pazza, l’unica pazzia è  non avere il gusto al mango in una gelateria”  urlai io, quasi disperata.
“Emm ok, Christabel… Christabel, non ti sembra troppo lungo il tuo nome?”  Domandò pensieroso.
“Non cambiare discorso ora! Comunque sì lo è, mi chiamano Christy di solito, infatti” proferii annuendo tra me e me.
“Secondo me, Chris è meglio, come.. Chris Brown” continuò a degustare il suo gelato, soddisfatto di ciò che aveva detto. Io mi battei una mano sulla fronte, scuotendo la testa senza guardarlo e fingendo un’espressione di disgusto.
“Chris Brown? Sei serio?” gli chiesi con voce scandalizzata.
“Sì, non ti piace?” domandò lui sbarrando gli occhi. Con che razza di persone ero andata a capitare? Lo sapevo io che uscire con ragazzi con quattro anni meno di me, non portava niente di buono.
“Certo che mi piace, ma cosa c'entra ora? Va be’, non importa, dove stiamo andando?” domandai alla fine, arrendendomi alla stupidità di quel ragazzo.
“Ad un parco in cui andavo a scrivere le canzoni la domenica mattina.” Ammise Zayn. Sembrava imbarazzato, dolcemente imbarazzato.                                                            
 “Tu scrivi?”  Chiesi curiosa. Amavo i musicisti, avevo un debole per loro.
“Ci provo.” Si strinse nelle spalle e guardò in basso continuando a camminare. Io gli sorrisi, sapevo che non poteva vedermi, ma lo feci lo stesso.
Arrivammo dopo poco, era un piccolo parco, con pochi bambini e tanti alberi. Il posto ideale per una come me, e a quanto pare, anche per uno come lui.
Ci sedemmo sull’erba, senza smettere di scherzare e di stuzzicarci. L’imbarazzo iniziale era totalmente sparito e mi sentivo più tranquilla, come era mio solito essere.

“Attento che ti prendo a pugni, eh!” lo minacciai, ad un tratto, dopo che aveva fatto una battuta maliziosa sul mio reggiseno chiaramente visibile dalla camicia quasi trasparente.
“Ma non farmi ridere” esclamò il moro, visibilmente divertito.
“Non sfidarmi, ciuffo biondo!” ribattei io con tono altezzoso, avvicinandomi ancora un po’ a lui.
“Ma smettila che non riusciresti a far male nemmeno ad una mosca.” Il suo tono era di sfida e io l’ accettai. Lo guardai allora in cagnesco e gli tirai un pugno dritto sul braccio – e se non fosse stato così bello, sarebbe di certo stato dritto in faccia- proprio nel punto in cui sapevo faceva male. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa e la sua bocca si lasciò sfuggire un lamento di dolore, mentre si affrettava a coprirsi il braccio con la sua mano – la sua grande, grandissima mano-.
“Mi hai fatto male!” Urlò, con una leggera espressione di dolore ancora dipinta sul viso, benché nei suoi occhi si potesse leggere divertimento e probabilmente anche una scintilla di eccitazione.
“Non avevi mica detto che non sono capace di fare del male nemmeno ad una mosca?” domandai altezzosa, incrociando le gambe davanti a lui. Sì, solo una ragazza con il mio pudore poteva mettersi seduta  a gambe incrociate sull’erba con una gonna indosso.
“Mi sorprendi Chris”  disse con voce calda ed eccitata, facendo percorrere il suo sguardo su tutto il mio corpo, con un sorriso, che ora, era pura malizia , “Però so sorprendere meglio io” esclamò lui subito prima di avventarsi su di me, leggero e con attenzione, come se fossi una bambola di porcellana, cosa che, chiaramente non ero. Mi fece cadere all’indietro, lui sopra di me, con le mani poggiate sull’erba a non farmi peso. Buona parte dei nostri corpi, ora poteva toccarsi e io riuscivo a sentire il suo respiro leggermente affannato, sul mio.
I suoi occhi si fermarono sui miei, seri e dolci. Magnificamente capaci di farmi sentire bene tanto quanto a disagio.
Si  avvicinò al mio viso, lento ma deciso. Non sapevo che dire, che fare, lo guardavo e basta. Tutto ciò mi dava una sensazione di gioia, ma volli scappare da quella gioia, come un bambino scappa da una stanza buia, non perché ci sia qualcosa di sbagliato dentro, ma semplicemente perché ha paura dell’ignoto, e per me quel ragazzo, in quel momento, rappresentava l’ignoto, un mondo di sensazioni per me in parte nuove.
Spostai il mio sguardo da lui  e portai le mie mani verso il suo addome, cominciando a solleticarlo animosamente.
Sentii i suoi addominali, forti, ben delineati sui polpastrelli delle mie dita, e mordendomi il labbro inferiore continuai a sfiorarli, dimenticandomi che lui fosse lì, sopra di me, che mi fissava.
“Ehi Chris, guarda che non soffro il solletico.. Chris, non lo soffro il solletico.” Mi interruppe ad un tratto Zayn guardandomi con occhi sempre più maliziosi e un sorriso divertito, senza muoversi di nemmeno un millimetro.
“Ah davvero?” chiesi io fingendo una voce disinteressata, e spostai le mie mani dal suo corpo.
“Sì, ma tu lo soffri!” Portò velocemente le mani verso la mia pancia, sedendosi, senza far troppo peso, sulle mie gambe per evitar di cadermi addosso, e iniziò a solleticarmi. Odiavo, che dico, detestavo, il solletico. Era un cosa orribile, non riuscivo a respirare, mi agitavo come una pazza e i miei capelli divenivano ancora più disordinati di quello che già erano.
“Smettila, dai smettila! Basta ti prego” queste, erano le uniche frasi che riuscivo a proferire tra un respiro e l’altro, ma lui non mollava la presa, qualunque fosse la mia supplica. Cercai così tutta la forza che avevo in corpo, lo spinsi di lato, e riuscendo nel mio intento, lo feci cadere al mio fianco. Rimasi sdraiata sull’erba, ansimante,  mentre cercavo di prendere respiri profondi prima di cominciare a prendere a pugni il deficiente sdraiato vicino a me.
“Cazzo Chris, sei forte” dichiarò il moro, dopo alcuni secondi, alzandosi dall’erba per porgermi poi una mano.
“Cazzo Zayn, sei un cretino! E grazie, riesco ad alzarmi da sola” gli spostai la mano spingendola con la mia e lo guardai il più male possibile. La mia eccelsa interpretazione, però, era rovinata da un largo sorriso che non voleva assolutamente sparire dal mio volto.
“Dove andiamo ora?” Mi chiese Zayn osservandomi, mentre prendevo la mia borsa.
“Mi porti a casa” risposi io sorridendogli allegra e strafottente, dopo essermi voltata verso di lui.
“Come, già a casa?” la sua voce suonò meno allegra di un momento prima e il sorriso che aveva avuto fino a quel momento divento una riga sottile.
“Suvvia, sei stato uno dei miei appuntamenti più lunghi, di solito invento subito una scusa per andare via.” lo guardai superba e incrociai le braccia al petto “sentiti onorato.” Conclusi prima di dargli le spalle e rivolgermi verso l’uscita del parco.
“Oh, lo sono.” Lo sentii esclamare alle mie spalle, prima di che cominciasse a seguirmi.



Saaalvee cente, rieccomi qua, dopo tanto tanto tempo.
Okay, comincio col dire alcune cosette.. allora, prima di tutto, so che zayn non ha
più il ciuffo biondo, ma come mi sembra di aver già detto, quando ho scritto il capitolo, lo aveva ancora.
Poi, so anche che non ha più diciannove, ma anche per questo vale il discorso di prima. Volevo solo chiarire 
queste cose, lol. beene, torniamo a noi, che ne pensate del capitolo? E soprattuto, che ne pensate della mia protagonista? 
come vi sembra? vi sta simpatica, antipatica? voglio sapere tutto, eh eh. A me piace, all'inizio, avevo pensato di farla simile a me, sia
per aspetto, che per carattere, ma poi mi sono chiesta: perché voglio così male a un mio personaggio? lol. perciò,
è nata Christabel, cavoli, vorrei essere come lei.. invece, non le somiglio per nulla. cc
Va bene, mi dileguo, spero di aggiornare il possimo capitolo presto, e 
scusate per il ritardo. Alla prossima, un bacione.

           josselyn.

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Capitolo 5
*** Chapter 5. ***








 

Arrivammo davanti alla porta del mio appartamento dopo circa venti minuti di macchina, venti minuti nei quali non avevamo fatto altro che stuzzicarci a vicenda e scherzare. Spaventammo persino un anziano sulle strisce pedonali, che appena ripresosi, ci inveì contro in tutte le lingue puntandoci addosso un bastone. Quale adorabile vecchietto.
Stavo cercando le chiavi nella mia enorme borsa, in cui davvero ci si poteva trovare di tutto, sotto gli occhi, sempre attenti, di Malik.
“Ecco le bastarde!”  Esclamai tirando su il mazzo di chiavi e mostrandogliele entusiasta. Lui rise scuotendo la testa e io, non capendo la causa di tanto divertimento, scrollai le spalle, prima di voltarmi e aprire la porta.
Una volta aperta, mi girai di nuovo verso di lui per poi cominciare a sorridergli beffarda.
“Beh, allora, grazie per la bella giornata.” Esordii io, senza far sparire il sorriso sornione dipinto sul mio viso.
“Di nulla, grazie a te. E..” Il moro parlava a me, ma guardava alle mie spalle.
“E?” Continuai io, e riportai a me la sua attenzione muovendo una mano davanti al suo viso.
“Non mi fai entrare?” Domandò lui guardandomi negli occhi malizioso.
“Certo.. che non ti faccio entrare” il mio sorriso si allargo ancora di più e vidi un piccolo lampo di sorpresa passare per i suoi occhi.
“Mi dispiace, è una specie di patto che abbiamo fatto io e la mia coinquilina. Non possiamo far entrare nessun ragazzo qui dentro, a meno che non sia un caso di vita o di morte, certo, ma tu non mi sembra che stia morendo.” Continuai io e nei suoi occhi ora vedevo un pizzico di incredulità.
“Stai scherzando, vero?” La sua voce era seria, e ogni traccia di divertimento era quasi sparita dal suo volto.
“No” Comincia a ridere, piegandomi leggermente in avanti, al solo pensiero delle illusioni del moro infrante. Lo so, quella specie di patto fra me è Michelle poteva sembrare stupido, ma fino a quel momento non ci aveva dato nessun problema, e non vedo perché avrebbe dovuto darmene ora.
“Io non ci trovo niente di divertente!” Esclamò prima di sedersi a gambe incrociate davanti alla mia porta.
“Cosa Fai?” Non riuscivo a smettere di ridere, e vederlo lì seduto, per terra, come un bambino capriccioso, non mi aiutava di certo.
“Rimango qui finché non mi fai entrare. Sai, non credo a quella balla del ‘patto con la mia coinquilina.’” Il moro imitò la mia voce, anche se più che la mia voce sembrava quella di una vecchia con la puzza sotto il naso, cosa che di certo non ero.
“umh.. Fai come vuoi”  scrollai le spalle, mi ricomposi, ed entrai nel mio appartamento, lasciando la porta socchiusa, per poi dirigermi verso la cucina. Presi due birre e un pacchetto di patatine, e tornai verso l’ ingresso principale, sperando fermamente che Zayn non se ne fosse già andato, perché mi sarei sentita una vera stupida, e forse, anche perché avevo piacere della sua compagnia. A quella sensazione, sentii un brivido salirmi su per la schiena, ma non ci feci molto caso. Arrivai davanti alla porta, e prima di aprirla, presi un piccolo respiro. A quel punto decisi di aspettare dieci minuti, se dopo quei dieci minuti fosse rimasto lì, seduto ad aspettarmi, forse ne sarebbe valsa la pena tutto quello che, da lì, sarebbe poi successo.
Feci marcia indietro e mi diressi verso la mia stanza, avevo dieci minuti e decisi perciò di andarmi a cambiare vestiti. Arrivai in camera, appoggiai birra e patatine sulla credenza, e mi sedetti a peso morto sul mio letto, prima di togliermi i sandali e massaggiarmi i piedi.
Presi la maglietta che mi aveva regalato mio fratello prima di partire, quella maglietta che mettevo sempre quando sentivo la sua mancanza o quando mi sentivo confusa e, in quel momento, lo ero. La maglietta mi copriva un quarto delle cosce, ma decisi di mettere lo stesso dei pantaloncini corti, tanto per non sentirmi troppo svergognata.
Ripresi il pacchetto di patatine, le due birre, e cercando di non farli cadere mi incamminai verso Zayn, sempre che fosse ancora lì ad aspettarmi.
Trovai la porta come l’avevo lasciata prima, leggermente socchiusa, e dato che avevo le mani occupate, cercai di aprirla con un piede. Ero abbastanza elastica e perciò arrivai facilmente col piede alla maniglia, l’unico problema era che con le dita dei piedi non era facilissimo tirarla, anzi, stavo solo spingendo la porta. Abbassai la gamba dato che cominciava a pesarmi, e in quel momento la porta cominciò a muoversi verso di me. Mi spostai per sbirciare fuori, era Zayn, che con una mano la spingeva. Quando mi vide, un sorriso gli comparì sul suo volto angelico e i suoi occhi, pieni di luce, percorsero il mio corpo da capo a piedi.
“Sei ancora qui, allora..” dalla mia voce era chiaro come la luce che fossi felice di vederlo, ma mi augurai che lui non se ne fosse accorto, non volevo stare troppo al suo gioco.
“Certo, ti ho detto che sarei rimasto qui finché non ti fossi decisa a farmi entrare, ed è quello che farò” anche lui era contento di vedermi, si vedeva dai suoi occhi, e dentro di me ne fui felice, magari non era come tutti gli altri lui, pensai. Il problema è che tutti i ragazzi mi hanno dimostrato di essere dannatamente uguali e stronzi, perché lui dovrebbe essere diverso? Solo perché è tremendamente bello e veste scandalosamente bene? No, non credo proprio.
“Allora rimarrai qui fuori per sempre, credo.” Gli sorrisi, mi sedetti a gambe incrociate davanti a lui e gli porsi una bottiglia di birra.
“Tu bevi la birra?” Domandò il moro sorseggiando la sua.
“Sì, perché?” Chiesi, e alzai anch’io la mia bibita.
“Le ragazze di solito preferiscono bere qualcos’altro, che so io, del vino..” mi rispose avvicinandosi leggermente a me.
“Ma che genere di ragazze frequenti tu? Tutte ragazze gne gne?” esclamai con una smorfia, subito prima di appoggiare la mia birra sul pavimento e afferrare le patatine. Ero affamata –come sempre d’altronde-  così le aprii velocemente, ne presi un pugno e me le infilai in bocca, come solo una signora della mia classe poteva fare. Zayn mi guardava, estremamente divertito, e con un sorrisetto allegro sul volto. Io lo guardai e gli sorrisi a mia volta con la bocca ancora piena e fui allegra del fatto che la cosa non sembrò irritarlo, come mi era già successo con altri. Allungai il braccio per offrirgli delle patatine, anche se, sinceramente, avrei preferito mangiarmele da sola, ma in quel momento volli sembrare gentile, fin troppo gentile. Lui ne prese quattro o cinque e cominciò a mangiarle in modo meno animalesco di quanto stessi facendo io.
“Allora? Fra quanto hai intenzione di farmi entrare?”  Chiese Zayn sollevando leggermente il capo.
“Non hai ancora capito, tu non entrerai in questa casa” Parlai ancora una volta masticando, e fui di nuovo felice nel non notare nessuna reazione infastidita in lui.
Lui mi guardò con aria di sfida, si alzò, e si andò a sedere proprio accanto a me, che ero sulla soglia.
“Ecco. ora, metà delle mie chiappe –chiappe meravigliose per altro- sono dentro casa tua.” Mi guardò ancora una volta e mi sorrise allegramente facendomi un occhiolino. Il suo viso era poco distante dal mio, i suoi occhi a pochi centimetri da me, che avevo ancora impressa quell’aria di sfida di poco prima. Gli tirai una gomitata colpendolo sul braccio e sentii di nuovo uscire lamenti da ragazzina dalla sua bocca.
“Sei proprio una femminuccia, sappilo.” Dissi io senza guardarlo, ma solo perché non vedesse che stavo sorridendo.
Rimisi una mano nel sacchetto di patatine e ne presi un altro pungo, ficcandomelo di nuovo tutto in bocca.
“Sei tu che picchi come un maschio, ragazza, controllati.” Si avvicinò ancora un poco a me, ora eravamo attaccati, seduti sulla soglia del mio appartamento, con le gambe che si sfioravano.
Mi guardò di nuovo, e mentre continuava a fissarmi, si spostò leggermente indietro col sedere, sorridendomi soddisfatto ancora una volta.
“Ora, tutte le mie perfette chiappe sono dentro casa tua, come la mettiamo?” Io lo guardai in cagnesco, decisa nel continuare a interpretare il mio ruolo, e lui mi rubò delle patatine dalle mani. Oh, ora sì che era guerra.
“Sei insistente eh?” Presi la mia birra e la finii tutta, mentre lui accanto a me afferrava la sua. Ne bevve un sorso e poi si alzò in piedi, battendoli sul pavimento –sul pavimento di casa mia- due volte.
“Zayn.. esci, muoviti.” Dissi io a denti stretti, fingendomi davvero arrabbiata.
“Altrimenti, che mi fai?” Mi fece un occhiolino, e fece due passi indietro, prima di guardarsi intorno.
“Carina questa casa.. quella è la cucina?” Domandò indicando alla sua sinistra.
“No, quello è il bagno, non vedi com’ è grande la vasca? è comodissima. Ora esci da casa mia!” Sbottai e mi alzai dal pavimento, prendendo bottiglia e sacchetto di patatine -ormai vuoti- e in pochi secondi gli fui davanti, a pochi centimetri di distanza.
“Vedi, te l’ho detto che sarei entrato.” Sussurrò Zayn, sorridendo, compiaciuto di sé stesso. Si guardava intorno, e io guardavo lui.  “Bene. ora, mi mostri la casa. Partiamo da.. camera tua se vuoi, io non mi offendo.” Fece un piccolo passo verso di me, ma tanto quanto bastava per far quasi sfiorare i nostri nasi. Riuscivo a sentire i nostri  respiri, per il momento tranquilli, e alzai lo sguardo ai suoi occhi. Lui divenne del tutto serio, era la prima volta che lo vedevo così, e mi sembrò ancora più bello. I suoi occhi color miele erano posati suoi miei, e io non capivo, non capivo perché non mi muovevo, non capivo perché non parlavo, non capivo perché non lo sbattevo fuori da casa mia, che era ciò che avrei dovuto fare. Ma soprattutto, non capivo perché ogni singola parte del mio corpo mi supplicasse di cadere tra le sue braccia. Mai prima di allora mi ero sentita così.


                                                      Okay, scusate scusate scusate. Non so con quale coraggio io mi presenti qui
                                            dopo quasi tre mesi, perdonatemi. L' importante è che ci sono però, vero? no.. eh. lol
                                        Cooomunque, non so chi legga ancora questa ff o: ma per i pochi che ci sono.. come vi è sembrato
                                             questo capitolo? a me, devo dire che non dispiace. Fatemi sapere, ve ne sarei davvero grata.
                                                        Da qui, credo che riaggiornerò appena finisce la scuola, chiedo perdono. 
                                                                        Ora devo andare, grazie a chi a letto. Un bacione. 
                                                                                                  Josselyn.


(scusate per eventuali errori, non ho riletto. vi aaamo, sciau.)

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