Tied Tongues

di SmurfLuvsCookies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** M is for Matrimony ***
Capitolo 2: *** Y is for yo-yo ***
Capitolo 3: *** D is for Dancing ***
Capitolo 4: *** H is for Handcuffs: ***



Capitolo 1
*** M is for Matrimony ***


Note dell'autore: Questa raccolta è una traduzione, potrete trovare l'originale Qui.
Traduttrice: Jace
Ovviamente ho ottenuto il permesso dell'autrice tramite mp. :)
Ah, inutile dire che le recensioni sono sempre ben accette!


M is for Matrimony:
Magnus può o non può aver influenzato il verdetto di New York sul matrimonio gay.


Il fresco e buio appartamento di Magnus era un piacevole sollievo in quel soffocante pomeriggio di giugno. Alec prese un momento per scrogiolarsi sotto il vento dell’aria condizionata che accompagnava il residuo di fine polvere e glitter che pervadeva tutta la proprietà di Magnus. Si tolse gli stivali (il suo era un conservativo guardaroba monocromatico) ed esitante infilò la testa nella tana. Aveva imparato da tempo a non entrare in casa di Magnus impreparato. Tra le sue feste sfrenate, i suoi doveri come Sommo Stregone di Brooklyn e, in generale, il suo atteggiamento fiammeggiante, le indiscrezioni verificatesi tra quelle mura al neon erano assurde e vaste. Una volta Alec era entrato per poi trovare Magnus in piedi al centro di un pentagramma disegnato sul pavimento, completamente nudo, levitante a cinque piedi da terra. Dopo essersi ripreso, aveva fatto retro-front ed aveva mandato un’adorabile composizione floreale il mattino seguente.

Quel giorno, tuttavia, l’appartamento sembrava relativamente sicuro e privo di animali da fattoria. Magnus era spalmato sul divano, circondato da una montagna di cuscini, libri, coperte e lattine vuote di Monster Energy. Aveva sempre lo stesso pigiama, che consisteva in un kimono rosa pallido e un paio di vivaci pantaloni blu raffiguranti un pinguino. Quando si accorse di Alec, sorrise brillantemente e fece schioccare le dita. Le lattine vuote scomparirono. "Buongiorno, amore," lo salutò, tamburellando le dita sul posto vuoto accanto a sé.

“Sono le due del pomeriggio” gli fece notare Alec, sedendosi vicino a lui. Si accorse che i capelli dello stregone erano sparati in direzioni strane, come se ci avesse dormito sopra, e il suo eyeliner era colato. Inutilmente si chiese come il suo ragazzo potesse essere così scompigliato e allo stesso tempo magnifico.

“Davvero?” ponderò Magnus. “Beh, allora suppongo che sia prima di quanto pensassi”

Alec scosse la testa e rivolse la sua attenzione alla televisione, preferendo non commentare. Notò con leggero shock che Magnus stava guardando le notizie locali. Alec sapeva che Magnus non guardava la tv tanto per fare, a meno che non ci fossero quei reality show come Project Runway o America's Next Top Model. Ma il telegiornale? Era così… poco di moda. Così… mondano.

“Notizie mondane?”

“Oh, quello. Beh, solitamente gli insignificanti affari mondani non m’interessano, ma oggi trattano un argomento interessante” spiegò Magnus, facendo apparire una cola che porse ad Alec

“Quale?”

“Matrimonio omossessuale”

La risposta arrivò talmente inaspettata che Alec quasi soffocò con la sua soda. “Matrimonio! Che intendi con matrimonio?”

“Sai, il santo vincolo del matrimonio?” Magnus unì le mani volendo imitare un gesto simbolico. “L’unione di due persone che si amano e vogliono passare il resto della loro vita insieme? I tuoi genitori sono sposati, tesoro”

“So che cos’è il matrimonio” brontolò Alec. “Vorrei solo sapere perché sei tanto interessato a questa nuova variante gay”

“Perché io sono gay,” sottolineò Magnus. “Credevo che ormai te ne fossi accorto. Ad ogni modo, potrebbe essere qualcosa che c’interesserà in un prossimo futuro. Sto solo cercando di essere un responsabile, ben informato cittadino di questi quarantotto stati.”

Alec gli lanciò un’occhiata. “Noi non stiamo per sposarci. E gli stati sono cinquanta.”

“Oggi la legislatura approverà la legge che renderà il matrimonio dello stesso sesso ufficialmente legale” proseguì Magnus, come se Alec non avesse parlato.

“Come sai che l’approveranno?” chiese Alec con circospezione.

Magnus sorrise malignamente. “Diciamo solo che sono ben informato

“Non l’hai fatto.” Alec sentì il proprio viso acquistare colore.

“Cosa vuoi dire, Alec, caro?”

“Ti prego dimmi che non hai manipolato il voto o qualcosa del genere affinché venga approvato. Sono abbastanza sicuro che sia contro gli Accordi, e non voglio arrestarti.”

Magnus s’imbronciò. “Pensavo che saresti stato felice. Ma se ti fa sentire meglio, no, non ho manipolato niente.”

“Bene” Alec sospirò.

“Potrei averli influenzati un po’…”

Magnus!

“Cosa? Stavo solo scherzando. Non puoi stare allo scherzo, Alexander?”

Alec fu risparmiato dal dover rispondere in quanto ora una nuova voce proveniente dalla televisione attirò la sua attenzione. “Ebbene, il tanto atteso verdetto sul Marriage Equality Act è stato deciso. La legislatura di New York ha approvato la legge con un voto di 33-39. Il Governatore Cuomo ha già firmato questo disegno di legge. E’ ufficiale: il matrimonio fra persone dello stesso sesso non verrà riconosciuto solo nello stato di New York, ma…” La voce della donna sparì improvvisamente, quando Magnus decise di spegnere il gigantesco televisore a schermo piatto.

“Che posso dire?” disse con un sorriso malizioso. “La mia previsione era giusta. Questo sicuramente farà al caso nostro, non è vero?”

Alec aggrottò le ciglia. “Noi non stiamo per sposarci.”

“Che ne dici di fare colazione? Offro io”

Alec lo guardò in cagnesco, dal canto suo Magnus si alzò e iniziò a volteggiare per l’appartamento per poi andare in camera da letto dove presumibilmente aveva intenzione di preparare la sua cosiddetta “colazione”. Alec guardò l’ora (2.24 pm) e gemette quando sentì lo scorrere dell’acqua della doccia. Sembrava che avrebbero avuto pancakes per cena. Di nuovo.

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Capitolo 2
*** Y is for yo-yo ***


Y is for Yo-yo:
Un’adorabile bomboniera e un’arma mortale.


Magnus batté le palpebre quando un sottile raggio di sole mattutino finì dritto nei suoi occhi. Guardò irritato l’incriminante prodotto della natura, e con un molle gesto della mano fece sì che le tende glitterate nere ripristinassero l’ombra della stanza.

Era stato Alec ad avere scostato le tende, probabilmente la notte prima. Lo Shadowhunter sosteneva di non avere alcuna intenzione di diventare una creatura notturna come Magnus e faceva affidamento sui fastidiosi raggi del sole affinché lo svegliassero, ben sapendo che Magnus avrebbe disattivato ogni qual tipo di sveglia che sarebbe riuscito a scoprirgli (e ci riusciva sempre).

Magnus tentò di essere arrabbiato con il suo ragazzo per averlo svegliato indirettamente all’assurda ora delle 10,30 del mattino, ma fu un flebile tentativo. Come poteva essere così negativo quando, per tutta la notte, erano stati rannicchiati in quel modo? C’era un braccio intorno alla sua vita, e un altro braccio intorno alle sue spalle; poteva vedere la propria mano –completa di manicure- spuntare da dietro la testa di Alec. Non aveva alcuna intenzione di provare a distinguere quali gambe e piedi fossero di chi. Era difficile discernere dove l’uno iniziava e l’altro finiva. Magnus si sentiva stranamente un tutt’uno con il suo ragazzo. E questa unità non era affatto sgradita. Il Presidente Miao era l’unica seccatura: sonnecchiando sul cuscino abbandonato di Alec e sventolando distrattamente la sua coda avanti e indietro, di tanto in tanto picchiettava la faccia del suo padrone.

Alec russava leggermente, mentre dormiva con la testa poggiata sul petto di Magnus. Era un suono morbido, piacevole, anche se Magnus non apprezzava particolarmente la pozza di bava che usciva dalla bocca di Alec. Accattivante a modo suo, come tutto quello che riguardava Alec, ma disgustoso lo stesso.

A malincuore ammise a se stesso che, in parte, l’intensa stanchezza di Alec era colpa sua. Magnus sapeva che quando Alec si era trascinato nel suo appartamento era stanco morto, ma non si vedevano da giorni. Alec era stato occupato a sbrigare i suoi doveri da Nephilim quella settimana, a causa di un’orda di demoni che aveva divorato il povero stregone che li aveva chiamati da chissà dove. Era palesemente ovvio che non dormisse per bene da un po’, ma quella era una cosa che Magnus non poteva dargli dopo la sua prolungata assenza.

Perlomeno in quel momento lo stava lasciando dormire, che al suo disciplinato Shadowhunter piacesse o no. Se non stava attento, Alec sarebbe stato in poco tempo vittima dell’insonnia.

Magnus chiuse gli occhi e strofinò il naso nei capelli neri e disordinati di Alec.
Era sempre così soffice e semplice, ma bello per questo. Tutto riguardo Alec era bello, dai suoi perfetti occhi blu alle lunghe e pallide dita dei piedi. Solo che lui non lo sapeva.

Lo Stregone guarì distrattamente le ferite di Alec, mentre le sue dita tracciavano delicatamente i disegni sul corpo contrassegnato del Cacciatore. Magnus non aveva mai trovato la lingua angelica tanto affascinante. Lui non poteva manipolare le rune a proprio uso, quindi perché provare? Era indegno della Lingua Santa a causa del sangue contaminato che aveva dalla nascita e lo contraddistingueva come uno dei Figli di Lilith. Ma le cicatrici argentee sulla pelle di Alec raccontavano una storia, la sua storia, e per la prima volta nella sua esistenza Magnus si trovò sinceramente curioso sul funzionamento del Cielo.
I due avevano passato molte ore annodati insieme, stanchi e senza respiro o sonnolenti e sazi. Magnus avrebbe toccato una cicatrice con la punta delle dita e Alec avrebbe cercato di ricordare come se la fosse procurata, come e perché avesse usato quella runa. Spesso portavano avanti quel discorso fino a quando si addormentavano, o fino a quando un particolare tocco di pelle non accendeva in loro una fresca passione.

Proprio mentre stava finendo di guarire i tagli e i lividi di Alec (e la costola fratturata che lo Shadowhunter non avrebbe nemmeno notato se le torsioni della sera prima non gli avessero dato qualche indizio), suonò l’odioso campanello che poi risuonò per tutto l’appartamento. “BANE!” tuonò una voce, ma Magnus fece schioccare le dita e questa divenne muta. Chiunque fosse, poteva aspettare. Quello che stava facendo era molto più importante.

Gage Hartlee non era un uomo paziente. Aveva la tarchiata muscolatura di un giocatore di Football ed era tre volte più minaccioso con i suoi tatuaggi, le brutte cicatrici, e l’abbigliamento heavy-metal. Come alfa del più grande branco di licantropi a Brooklyn, perché avrebbe dovuto praticare piccole virtù come la pazienza? Emanava un’area di palpabile intimidazione e solitamente questo era sufficiente affinché ottenesse ciò che voleva. E in modo veloce.

Questo mezzo demone punk, Magnus Bane, aveva avuto il coraggio di farlo aspettare? Gage era a conoscenza della reputazione contraddittoria di Bane: era il migliore stregone che New York potesse offrire, ma sceglieva i suoi casi a piacimento e si faceva pagare abbondantemente per questi. A Gage non importava se Magnus-Fricchettone-Bane era il Sommo Stregone dell’intero fottuto mondo; lui eguagliava il piccolo fesso scintillante, avrebbe dovuto mostrargli rispetto e non avrebbe dovuto ignorarlo.

Completamente infuriato, Gage premette il campanello per la terza volta. “LO GIURO SU DIO, BANE, SE NON MI LASCI ENTRARE TI SQUARCERÒ LA GOLA CON I MIEI DENTI! APRI QUESTA FOTTUTA PORTA!”

Contò fino a dieci e fece un profondo respiro prima di premere il campanello ancora una volta. “Molto bene, Bane, sto arrivando, che ti piaccia o no.”

Non ci volle molta pressione per rompere la porta. Solo un calcio e fu dentro. Nessuno poteva tenere fuori i due metri di Gage Hartlee.

“BANE!” ruggì, mentre saliva le scale per l’appartamento dello stregone. Più che un lupo mannaro arrabbiato, sembrava che un un branco di elefanti stesse marciando sincronizzato su per le scale.

Gage si fermò al di fuori dell’appartamento che sapeva appartenere a Magnus Bane. Alzò un pugno per buttare giù la porta, quando questa si aprì quel giusto che bastava per far passare uno yo-yo giallo all’esterno. La porta si richiuse, lasciando solo Gage e il fluttuante yo-yo all’altezza dei suoi occhi.

“Ma che diavolo…?” mormorò, osservando con confusione il giocattolo di plastica. Lo strinse tra le dite e notò che sul lato vi era scritto qualcosa in un’elegante calligrafia fucsia.

Chiedo scusa per l’inconveniente, ma al momento non sono disponibile. Ritornate un’altra volta e vi darò udienza. Prendete questo adorabile aggeggio come una scusa.
Cordiali saluti,
M. Bane, Sommo Stregone di Brooklyn.


Gage batté le palpebre, stupito. Il suo volto era ormai diventato di un malsano color pulce –viola scuro-. Questo era inaccettabile. Il licantropo aprì la bocca per sbandierare le sue emozioni al vicinato, rumorosamente, quando le lettere sullo yo-yo si riorganizzarono e un nuovo messaggio apparve.

Andatevene immediatamente o sarete costretto a farlo. Per favore, cercate di non fare rumore mentre uscite.
Cordiali saluti,
M. Bane, Sommo Stregone di Brooklyn.


Questa era l’ultima goccia. Gage non aveva alcuna intenzione di andarsene con la coda tra le gambe a causa di qualche vana minaccia scritta su uno yo-yo. Esattamente Bane come aveva intenzione di buttarlo fuori di lì? Gli avrebbe fatto ingoiare glitter finché non avesse chiesto pietà?

Lo yo-yo si contrasse nel pugno di Gage. Tutto ad un tratto balzò fuori dalle sue dita e lo colpì violentemente sul naso. Il licantropo udì uno scricchiolio e sentì il sangue sgorgargli sul viso, con incandescente dolore. Gage ringhiò e cercò di agguantare lo yo-yo, ma questo era già schizzato via, sceso ai suoi piedi, e gli legò insieme le caviglie. Lui perse l’equilibrio e cadde con un tonfo sul pavimento. Prima che potesse rendersene conto, lo yo-yo gli lasciò le caviglie e gli avvolse il collo. Con una forza incredibile lo trascinò lungo il corridoio, quasi soffocandolo. Le dita di Gage erano troppo grandi per fare leva sulla cordicina; più agiva e più il dolore aumentava.

Il giocattolo posseduto lo tirò giù per le scale (una lunga e dolorosa processione di angoli retti) e non abbandonò la presa su di lui finché non furono in strada. Infine si sciolse e cadde a terra, tornando un normale e innocuo yo-yo con un altro messaggio.

Grazie, vi auguro una buona giornata.

La gente per strada fissava lo sconvolto e sanguinante uomo mentre, urlando e imprecando, si allontanava dallo yo-yo di un giallo vivace, poggiato sul marciapiede.

Più tardi, quel giorno, quando Magnus fece un commento casuale su come gli yo-yo fossero in realtà strumenti efficaci, dicendo che avrebbe dovuto iniziare a distribuirli come bomboniere, Alec decise di non commentare. Probabilmente non voleva sapere.

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Capitolo 3
*** D is for Dancing ***


D is for Dancing:
Alec ha un inaspettato talento.


Alec non era ancora sicuro di come fosse finito in quella situazione, ma comprese di non volervi avere niente a che fare non appena Magnus gli suggerì d’imparare a ballare.

“Non sono capace” fu l’immediata risposta.
Magnus gli lanciò un ‘occhiata. “Alec, tesoro, non sottovalutarti. Chiunque con un po’ di passione e un briciolo di coordinamento può imparare a ballare, tutto con il giusto partner”

“Perché lo sto facendo, di nuovo?”

“Se devo farti conoscere i miei amici, dobbiamo farlo con stile. Altrimenti non ha senso incontrarli”

“Tu hai amici?”

“Certo che sì!” gridò Magnus, offeso. “Chi pensi venga ai miei party?”

“Credevo fossero clienti. O persone prese a caso dalla strada. O amici del Presidente Miao” Alec guardò il gatto in questione, che blandamente li stava osservando steso su un cuscino. “Con tutte le feste di compleanno che hai indetto per lui, dev’essere vecchio come te”

“Non posso credere che tu stia insinuando che il mio gatto abbia più amici di me” lo schernì Magnus.

“Non ne ha?”

“Stiamo perdendo il filo del discorso!” sbottò Magnus, muovendo le mani con esasperazione.

“Hai assolutamente ragione” concordò Alec, tempestivo. “Sembra che non ci sia motivo di farmi conoscere i tuoi amici. Di chi è stata l’idea, comunque?”

“E’ stata tua! Non ricordi di avermi detto, “mi domando che aspetto abbiano i tuoi amici”? Ed io mi sono gentilmente offerto di darti l’opportunità di conoscerli, tutto quello che devi fare è ballare”

Ora che rifletteva, Alec ricordava di aver pensato al tipo di persone che Magnus frequentava al di fuori delle sue feste, ma in quel momento gli parve un’idea folle. Non aveva riflettuto, non aveva nemmeno realizzato di aver pronunciato quella domanda ad alta voce. Alec sospettava che fosse solo una scusa e che Magnus desiderasse farlo ballare più di ogni altra cosa, ma vedendo poi il suo sguardo implorante attraverso i diversi strati di eyeliner, decise che probabilmente glielo doveva. Dopo tutto, quante volte Magnus aveva assecondato i suoi desideri riguardo la sua famiglia e i suoi amici? Cos’era un semplice ballo in confronto al mantenere segreta la loro intera relazione?

E onestamente, Alec non poteva negare di essere un po’ curioso di vedere cosa lo stregone ardesse di mostrargli.

“Va bene” accettò, a malincuore.

Il viso di Magnus s’illuminò. “Davvero? Lo farai?”

“Sì, credo. Per te”

Magnus gli regalò uno sguardo che gli fece fermare il cuore un paio di secondi. “Grazie” mormorò, spostando i capelli dalla fronte di Alec. “Questo significa molto per me. E prometto che non te ne pentirai. Ti farò persino scegliere la danza, cosa ne pensi del tango?”

L’abbigliamento dello stregone cambiò da un paio di pantaloni in pelle scarlatta e una scintillante maglia tank-top ad un perfetto smoking nero, un cappello di feltro con una lunga piuma bianca, e una rosa rossa profumata. Bloccò la rosa tra i denti e fece schioccare le dita. Improvvisamente un vestito rosso senza maniche apparve nelle sue mani.

Alec si accigliò. “Diamine, no”

Magnus prese la rosa dalla bocca e la infilò nella tasca della giacca con un movimento fluido e grazioso. “Preferiresti condurre?”

“Giuro sull’Angelo, Magnus, che se uno di noi deve indossare quell’affare, me ne vado”

“Molto bene” entrambi i vestiti scomparvero. “Niente costumi. Per ora, comunque. Cerchiamo solo di cominciare con la pratica, d’accordo?”

Alec lasciò goffamente che Magnus prendesse le sue mani per metterle al posto giusto (“Non credo che la mia mano dovrebbe stare qui” fu una frase che si ripeté spesso) e, infine, con un’improvvisa e selvaggia musica spagnola, iniziò persino ad imparare i passi.

Magnus era un insegnante molto paziente, anche quando Alec inciampò sulle proprie gambe. Quest’ultimo non si era mai reso conto di quanto fossero grandi i suoi piedi, e quelli di Magnus anche. Sembrava che le dita dei piedi dello stregone apparissero sempre sotto le sue scarpe all’ultimo secondo. Magnus non trasalì, ma dopo diversi inciampi accidentali Alec si rese conto di sentirsi un po’ più leggero nei movimenti.

“Segui il corso della musica” suggerì Magnus, lasciando Alec per mostrarglielo. Fece un paio di passi in modo assolutamente grazioso e uno shimmy accattivante, strappando ad Alec un sorriso. Magnus apparve all’improvviso accanto al cacciatore e gli afferrò la mano, facendolo piroettare per poi tirarselo contro. Purtroppo Alec non si aspettava l’improvviso cambiamento di peso ed entrambi si schiantarono a terra.

Sbatté più volte le palpebre cacciando via le stelle e vide che Magnus era caduto sopra di lui. Lo stregone aveva un sorriso che partiva da un orecchio e finiva nell’altro, i suoi lunghi capelli colorati solleticavano il volto di Alec. “Suppongo che ci siano dei vantaggi ad insegnare a un dilettante” mormorò, sfiorando alcuni brillantini sulla guancia di Alec.

“Dovrebbe essere romantico o qualcosa del genere?” chiese Alec, ironicamente. Il sorriso di Magnus non fece altro che aumentare, facendolo somigliare allo Stregatto.

“Non ho mai promesso di essere romantico tutto il tempo, tesoro” per enfatizzare ciò, Magnus bruciacchiò giocosamente il naso di Alec, incitando un grido spaventato da parte della vittima.
Magnus si mise a sedere a cavalcioni su Alec, scosso dalle risate. L’ancora steso ballerino si alzò sui gomiti, il viso rosso incandescente. Era in momenti come questo che Alec odiava la sua carnagione chiara, odiava il fatto di non riuscire a nascondere il suo imbarazzo o rabbia o eccitazione al suo ragazzo. A Magnus, comunque, sembrava non importare.

“Vieni, continuiamo” sospirò lo stregone.

Alec alzò un sopracciglio. “Prima devi alzarti da me”

“Oh, beh, sì, credo che tu abbia ragione” Magnus strinse le labbra, chiaramente considerando i pro e i contro del continuare con la lezione. Evidentemente decise che avrebbero dovuto continuare perché, subito dopo, balzò rapidamente in piedi e offrì una mano ad Alec. Lo scontento (e un po’ deluso) Shadowhunter prese la mano e si lasciò rimettere in piedi. “Ora ricorda quello che ho detto a proposito della musica” lo istruì Magnus. “Lascia che la musica muova il tuo corpo”

Questo consiglio venne subito ritratto; era chiaro, infatti, che la musica provasse un certo rancore verso Alec e continuava a muovere il suo corpo in modo molto poco lusinghiero. “Dimentica la musica” sbuffò Magnus “Lascia che sia io la tua guida. Seguimi”

Il nuovo metodo funzionò meglio ed entrambi ne furono lieti. Alec iniziò a capire i passi, anche se il ritmo e l’ordine erano completamente persi su di lui. Era chiaro che ambedue cominciassero ad essere sempre più frustrati. Il Presidente Miao, nel frattempo, era fuggito, optando per distruggere il cuscino di Alec in camera da letto.

“No, no, no, no” esclamò Magnus per la miliardesima volta sopra il rombo della musica. “Alec, è avanti, destra, indietro, sinistra e non avanti, destra, sinistra, di nuovo!”

“Scusa” sbuffò Alec, asciugandosi il sudore dietro il collo. Stava iniziando a credere di essere un caso senza speranza quando si trattava di danza; ballare non faceva parte della cultura degli Shadowhunters ma, durante gli eventi importanti –balli, matrimoni e simili-, era importante e utile saperlo fare. Ad Alec non era mai stato insegnato. E chi mai avrebbe dovuto insegnargli come danzare? Di certo non il vecchio e goffo Hodge. E riguardo i suoi genitori, beh, avevano di meglio da fare.

Magnus percepì la diminuzione di entusiasmo da parte di Alec e cedette. “Va bene, facciamo una pausa”

“Non c’è una pozione, un incantesimo o qualsiasi altra cosa in grado di farmi diventare un ballerino migliore?” chiese nervosamente.

“Sono uno stregone” sospirò Magnus “Non faccio miracoli”

Molto incoraggiante”

“Forse non è stata una buona idea. Non immaginavo… Voglio dire, sei un Nephilim, pensavo avessi un miglior senso del ritmo…”

“Io vado a casa”

“Aspetta!” Magnus catturò Alec per le spalle. “Mi dispiace, stavo solo scherzando. Sono stato insensibile. Non andare”

Alec vacillò. “Mia madre si arrabbierà se mi presento in ritardo”

“Allora resta per la notte,” offrì Magnus, facendo scorrere i pollici attraverso i passanti dei jeans di Alec. “A Maryse andrà bene. So che non ti sei divertito, ma farò del mio meglio…”

Magnus spinse via i suoi pensieri riguardanti il ritorno a casa con una serie di brevi ma intensi baci. Alec chiuse gli occhi, assaporando quel momento. “…okay” disse tra un bacio e l’altro “Resto e… Magnus?”

“Mm?”

“Mi dispiace di non essere un ballerino migliore”

Magnus appoggiò la sua fronte contro quella di Alec. “Non c’è bisogno di scusarsi, amore. E sai, non sei stato poi così male”

“Stai scherzando, vero?” Alec alzò un sopracciglio. “Ho fatto schifo”

“Col tango, sì, ma come ho detto, chiunque può ballare se ha passione, un grammo di coordinamento e il partner giusto” Magnus prese le mani di Alec, portandole all’altezza delle sue spalle, poi mise le proprie sui fianchi del ragazzo. La musica divenne morbida e lenta. Magnus sorrise e ondeggiò di lato, guidando Alec per la vita. Lo Shadowhunter appoggiò la testa sulla spalla del suo partner di ballo. Amava l’odore di Magnus: di pelle, una specie di muschio dolce, e anche un po’ di zolfo, a dire il vero, ma era appena percepibile e Alec aveva la sensazione che Magnus non avrebbe apprezzato l’osservazione.

Continuarono a danzare in silenzio per qualche altro magico istante prima che Magnus sussurrasse “Lo vedi? Sei un ballerino meraviglioso”

“Sì, certo” lo schernì Alec. “Quindi era questa la danza che dovevo imparare?”

“Bel tentativo, ma non sperare di uscirne tanto facilmente, Alexander. Stavo giusto pensando che domani potremo provare il flamenco,” considerò Magnus, pensieroso. Una volta vista l’espressione mortificata di Alec, però, gli strizzò l’occhio. “Sto scherzando”

“Sadico bastardo” mormorò il cacciatore.

“Vero, ma non si può dire che questo non ti accenda” rispose Magnus, e quando Alec aprì la bocca per obiettare lo baciò così appassionatamente che gli fece scordare tutto quello che aveva da dire. Lo stregone lo spinse, poi, verso il divano, dove rimasero aggrovigliati per diverso tempo, abbandonando completamente qualsiasi cosa riguardante la danza.

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Capitolo 4
*** H is for Handcuffs: ***


H is for Handcuffs:
Quelle di Isabelle sono scomparse. .



Quando Isabelle entrò in cucina quell’allegra domenica mattina con lo sguardo scontento di qualcuno che cerca disperatamente qualcosa, Jace non si sorprese. La sorella era sempre alla ricerca di qualche accessorio (anche se non riusciva a capire come facesse a perderli visto che solitamente erano scandalosamente sgargianti, lucidi e quant’altro), che di solito saltava fuori dopo qualche ora, appena lei smetteva di cercarli. Jace aveva suggerito più volte che uno spirito terribile era solito possedere i suoi gioielli, ma in realtà era quasi convinto che il vero ladro fosse Church.

Jace sorrise tra sé, ricordando il momento in cui aveva condiviso la teoria del gatto-ladruncolo con Max e di quando il fantasioso ragazzino aveva ipotizzato che Church provasse i gioielli di Isabelle davanti allo specchio. Il ricordo era dolceamaro, ora, e il posto accanto al lavandino dove il più giovane dei Lightwood era solito bere il suo latte al cioccolato era ossessivamente vuoto.

“Per cosa stai sogghignando?” chiese duramente Isabelle, ormai completamente esasperata per la mancanza di risultati che la sua ricerca le aveva procurato. Evidentemente aveva deciso che Jace sarebbe stato un bersaglio facile su cui scaricare le proprie frustrazioni.

“Devo avere una licenza per sorridere, adesso?” ribatté Jace. “Di solito non è un problema in cucina, considerando come fai da mangiare”

“Non c’è niente di sbagliato in come cucino” scattò Isabelle.

“Hai ragione,” ammise Jace. “Senza di te, Tiki sarebbe probabilmente fallito da tempo”

“Che cosa vuoi, Jace?” chiese Isabelle, come se fosse stato lui a cominciare il battibecco per primo.

“Beh…” cominciò, ma Isabelle alzò una mano.

“Non importa, non rispondere” Subito ritornò alla sua ricerca, ignorando del tutto Jace. Lui la osservò divertito mentre finiva di mangiare i suoi Cheerios e bere il suo caffè. Alla fine la curiosità ebbe la meglio, così, mentre Isabelle cercava di spostare il frigo per dare un’occhiata dietro di esso, lui le chiese: “Cosa stai cercando?”

“Ho un appuntamento questa sera,” sospirò Isabelle. “E sto cercando le manette”

“Manette?” ripeté, completamente sbalordito. Vedere Jace così stupefatto era qualcosa di impressionante. “A che genere di appuntamento stai andando?”

Isabello lo guardò. “Non c’è da preoccuparsi”

“Sono offeso,” Jace tirò su col naso. “Praticamente sono tuo fratello, Izzy, e sono anche il Parabatai di tuo fratello maggiore. Immagina cosa accadrebbe se questa informazione raggiungesse le sue delicatissime orecchie, o anche quelle di Maryse…”

“Se lo vuoi sapere, al ragazzo con cui esco piacciono i cosplay” sbuffò Isabelle. “E io avevo intenzione di vestirmi da ufficiale di polizia sexy o qualcosa del genere, ma non posso senza le manette”

“Cosplay? Non è quando ci si veste da quei piccoli personaggi giapponesi?” osservò Jace. “Per quanto ne so, solo i mondani particolarmente idioti praticano il cosplay”

“Clary fa i cosplay”

“Amo i cosplay” Jace si fermò un attimo a prendere in considerazione Clary vestita da poliziotta sexy, effettivamente questi travestimenti non dovevano essere poi così male. “Il ragazzo con cui esci non sarà mica Simon…?”

“Questi non sono affari tuoi” disse Isabelle, muovendo il capo con superbia, ma Jace riuscì a scorgere le guance di lei prendere una tonalità più scura. Alzò gli occhi al cielo e si versò un’altra tazza di caffè. Da quando Simon era diventato un vampiro e aveva attirato l’attenzione di una certa ragazza lupo mannaro, Isabelle era sempre più desiderosa di provare cose nuove che, in qualsiasi altra circostanza, avrebbe sicuramente rifiutato. Secondo Jace avrebbe dovuto fare il contrario, ma sembrava che la tattica di Isabelle stesse funzionando. Dopo tutto, Simon aveva invitato Izzy a questa cosa del cosplay e non Maia, che probabilmente avrebbe apprezzato di più.

Alec si materializzò in cucina, indossando la sua giacca di pelle sopra i vestiti che per un occhio non allenato sarebbero parsi una uniforme, ma che per Isabelle e Jace erano ovviamente gli stessi vestiti, lo sbiadito maglione nero e i soliti jeans, del giorno prima. La sola differenza era quella domenica gli abiti del ragazzo erano ricoperti di glitter e sottili peli di gatto, cosa che rendeva piuttosto evidente il fatto che avesse avuto un appuntamento con Magnus. Jace, comunque, non riuscì a trattenersi dal chiedere. “Dove sei stato tutta la notte?”

“Da Magnus” disse semplicemente Alec. Jace era un po’ deluso, solo qualche settimana prima quella domanda avrebbe mandato in crisi il povero Alec, portandolo a dire qualche stupida bugia. Probabilmente si era reso conto che se voleva andare a letto con Magnus avrebbe dovuto ammettere ai genitori l’esistenza dello stregone nella sua vita. Tuttavia, in quel modo era meno divertente.

Jace, che si sentiva particolarmente fastidioso quella mattina, ritentò: “La nostra cara Isabelle questa sera ha un appuntamento e sta cercando le manette, Alec. Per caso ti sono capitate tra le mani?”

Isabelle lanciò uno sguardo furioso a Jace, ma Alec sembrò turbato da quella domanda. Infatti, subito dopo fece schioccare le dita lanciando una piccola esclamazione, e portò la mano dentro la tasca della giacca. La sua mano ne emerse con un paio di manette argentate, che lasciò cadere senza troppe cerimonie sul bancone. “Magnus ha perso le sue” spiegò. “ed era troppo ubriaco per evocarne un paio, così mi ha chiesto di portare queste. Scusa per non avertelo chiesto prima, ho pensato che non ti sarebbe importato.”

Jace e Isabelle non poterono far altro che restare in silenzio e guardarlo storditi, mentre Alec si versava del succo d’arancia in un bicchiere e prendeva una fetta di Poptart dalla dispensa, per poi dirigersi verso la sua stanza. I due si scambiarono uno sguardo inorridito prima che Isabelle prendesse un paio di pinze che, con cautela, usò per gettare le manette nel cestino.

“…io vado a chiamare Simon” mormorò dopo una lunga pausa. “Penso che preferirei indossare quell’orribile vestito nero da Shinigami piuttosto che vedere ancora un altro paio di manette”

Jace non disse nulla. Per una volta era senza parole.

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