Navar il Corvaccio

di Hinier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spirito umanistico ***
Capitolo 2: *** Il Diabolico Piano può aspettare ***
Capitolo 3: *** Falling Down ***
Capitolo 4: *** Debole ***
Capitolo 5: *** Verso Casa ***
Capitolo 6: *** Un Terribile Scacco ***
Capitolo 7: *** La Sua Visita ***
Capitolo 8: *** Primo Inganno ***
Capitolo 9: *** Fuga in Mare ***
Capitolo 10: *** Pioggia ***



Capitolo 1
*** Spirito umanistico ***


Raven

Capitolo I

Spirito Umanistico

Navar aspettò ancora un istante, prima di emergere da dietro il piedistallo di un’armatura. I passi di quello stupido di un Potter si stavano allontanando rapidamente. Via libera, pensò, mentre un sorrisetto scaltro gli illuminava il volto spigoloso. Aggirò silenziosamente l’armatura e si avvicinò alla parete bianca, dove l’unica porta era appena scomparsa. E’ entrato con il libro, ed è uscito senza, ricapitolò mentalmente Navar, perciò quello che cercava, ciò di cui aveva bisogno, era un luogo sicuro per nasconderlo. Elementare.

Chiuse gli occhi e fissò il proprio pensiero sul bisogno di nascondere un libro. Attese qualche secondo nell’oscurità della sua mente, quindi aprì nuovamente gli occhi: davanti a lui stava la porta della Stanza delle Necessità, ricavata da un legno solido e piacevolmente stagionato. Afferrò la maniglia d’ottone, lanciò rapidi sguardi lungo il corridoio, quindi con rapidità sorprendente aprì, entrò, richiuse e scomparve. La parete era di nuovo sgombra.

La cattedrale degli oggetti rubati, nascosti, dimenticati lo accolse facendo scintillare il marmo del pavimento. Sembrava di camminare su una distesa d’acqua al tramonto, quando la superficie diventa d’oro e d’argento, e specchia il cielo imitandone la grandiosità…

Navar scosse la testa, ritornando alla sua normale razionalità. La sua prodigiosa memoria visiva, e le tante ore trascorse fra quei giganteschi pilastri, ad esplorare ogni anfratto di quell’antichissima città, gli consentirono di individuare in pochi minuti quali oggetti non erano al proprio posto. Notò che il busto del vecchio mago era stato spostato (oltre che incerimoniosamente dotato di una parrucca e di un diadema annerito), e cercò lì attorno. Qualche altro minuto, poi il suo sguardo si posò su un vecchio armadio, ben chiuso. Lo raggiunse con calma, fissandolo con sospetto, quindi ne aprì delicatamente le ante ed estrasse ciò che cercava. La copertina scura era nuova di zecca, con il titolo Advanced Potion-Making ancora scintillante d’oro, ma appena lo aprì si accorse che le pagine erano di gran lunga più antiche. Cercò il nome del vecchio proprietario, e quasi immediatamente lo trovò: il Principe Mezzosangue. Esattamente il libro che cercava. Il suo sorriso astuto si allargò.

Navar Huinefin, detto il Corvaccio – o uccello del malaugurio, era allora un brillante stregone che frequentava la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Apparteneva, com’è facile intuire, alla Casa di Corvonero, ed era al sesto anno. I suoi voti erano prodigiosamente alti in tutte le materie che aveva scelto per i suoi NEWT, comprensive di Aritmanzia, Rune e Pozioni. Come trasfiguratore era un vero maestro, ed i suoi incantesimi erano eleganti e potenti. Comunque era risaputo che Navar passava le sue estati in cerca dei libri più strani per perfezionare la propria arte, perciò nessuno si stupiva che fosse così preparato.

Ma più che per la sua bravura strettamente scolastica, era temuto (o rispettato, a seconda dei casi), per la sua profonda conoscenza della magia nera. Le sue maledizioni erano semplicemente micidiali. La voce secondo cui irritarlo significa attirare su di sé la sventura era dovuta sostanzialmente a questi suoi anatemi, che tendeva a lanciare con eccessiva disinvoltura, ma il passo finale verso la coniazione del nomignolo “uccello del malaugurio” avvenne quando si scoprì che lui non possedeva né gufi, né topi, né rospi, bensì un grosso corvo imperiale che spesso lo seguiva dall’alto mentre si trovava fuori dal castello. Si aggiunga che vestiva sempre di scuro, preferibilmente nero, che era pallido come un cadavere, e che le sue lunghe dita ossute sembravano proprio degli artigli di corvo, ed ecco che Navar divenne il Corvaccio.

Ora, il simpatico Navar aveva udito dei successi di Potter nel campo dell’alchimia, e sebbene dapprima avesse ritenuto che fosse solo a causa del cambio di insegnante, quando poi il cretino cominciò ad abusare di incantesimi come il Levicorpus e il Muffliato (che lui, modestamente, aveva riconosciuto a colpo d’occhio), cominciò a sospettare che Potter fosse entrato in possesso di una qualche misteriosa fonte di sapere che a lui era sfuggita. Così un giorno decise di scoprire di cosa si trattasse intrufolandosi nella torre dei Grifondoro all’ora di pranzo.

Dopo essere passato per la Sala Grande per mettersi da parte un po’ di pane, acqua e formaggio, si era recato nel suo dormitorio, opportunamente deserto, da cui si vedeva la torre di Grifondoro. Si era trasfigurato nel suo animale preferito e quindi era comodamente svolazzato dentro la stanza dove dormiva Potter, anche questa sgombra di occhi indiscreti. Aveva frugato fra le sue cose, trovato il libro incriminato, quindi aveva perfettamente ricostruito la scena del delitto e si era tuffato giù dalla torre prima che i passi che aveva appena udito si trasformassero in quello stupido grassone di Neville. Che momento poco opportuno per tornare in camera! Da allora Navar lo odiò a morte, perché, pur essendo lui un grande mago, trasfigurarsi in caduta libera non è uno scherzo, ed il tetto sotto di lui sembrava pronto ad accogliere le sue spoglie.

Dopo il grazioso episodio, Navar aveva aspettato l’occasione più opportuna per mettere le mani su quell’insospettabile copia di Advanced Potion-Making, ed un giorno la sua incommensurabile e sfacciata fortuna lo fece passare proprio per quel corridoio dove il Sectumsempra venne lanciato.

Dopo aver udito il casino proveniente dal bagno, e gli strilli di Mirtilla Malcontenta (che, si appuntò mentalmente, un giorno o l’altro zittirò per sempre), si lanciò verso quella porta per vedere chi aveva avuto l’ardire di lanciare un simile anatema. Sbirciò dentro, e con sommo disappunto vide che era stato quell’idiota di Potter, che adesso sembrava anche pentito della sua prodezza. Tese le orecchie ed incasellato il rumore udito come potenzialmente dannoso, Navar ebbe l’accortezza di rendersi invisibile, per evitare che lo scattista Severus Piton lo vedesse nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Fatto questo, lo stregone si ritirò rispettosamente dalla soglia e lasciò che il suo professore preferito concludesse la sua grande performance svoltando dentro il bagno ed insultando a morte Potter.

Nevar rimase piacevolmente colpito nello scoprire che anche il buon Severus sospettava che Potter possedesse un libro fuori dal comune, perciò, non appena il Grand’Uomo di Silente si fu precipitato fuori dal luogo che a parere del Corvaccio era a lui più consono, lo seguì di corsa, riuscendo a tratti persino a superarlo. Attese pazientemente fuori dalla torre di Grifondoro che la sua preda tornasse indietro col malloppo, dopodichè lo seguì fino alla fatidica parete bianca. Il resto è, come si dice, storia.

Passarono i giorni. Dopo il fastidioso incidente per cui il buon vecchio Albus si era tuffato di testa dalla torre più alta del castello e si era sgretolato nell’erba, Navar si recò un’ultima volta nella Stanza delle Necessità per finire di trascrivere e commentare i preziosi appunti e le note a margine che ricoprivano le sacre pagine del sopraccitato libro. Quel lavoro aveva occupato gran parte delle sue ultime giornate ad Hogwarts, ma il risultato era di valore incalcolabile: praticamente aveva scritto di suo pugno due nuovi libri, uno intitolato Arti Oscure: i primi passi (Guida all’uso della magia nera + Compendio di anatemi originali), e l’altro Commenti al manuale di Pozioni Avanzate (Corso di perfezionamento delle arti alchemiche).

Ma proprio mentre vergava le ultime lettere del sottotitolo dei Commenti, un’ora o poco più prima dell’arrivo dell’Espresso di Hogwarts, ecco che la porta della Stanza delle Necessità si spalancò brutalmente e la Potter&Co. marciò decisa in direzione di Navar.

Il Corvaccio sollevò seccato la testa dal suo libro e guardò distrattamente l’attonito trio.

«Salve», disse Navar.

Trenta secondi dopo (un record, commentò fra sé Navar), Potter esplose con un frase banale tipo:

«E tu cosa ci fai qui?!»

«Analizzo, ricopio e commento questo importantissimo codice scritto dal Principe Mezzosangue», rispose sinceramente il Corvaccio.

Hermione fissava bramosa i Commenti, Ronald poveraccio non faceva niente come al solito, Potter lo fissava disgustato. Navar moriva dalla voglia di trinciargli la faccia con il Sectumsempra, ma per buona educazione si trattenne dal farlo prima di aver sentito quello che aveva da dire.

«Quel libro è malvagio! E’ stato scritto da Piton, quel brutto…», partì Potter, ma Navar si era già stancato di ascoltarlo.

Annotò soddisfatto sul suo taccuino: Si viene a sapere che il Principe Mezzosangue è Severus Piton. Contattarlo per chiedere i permessi di pubblicazione.

Minuti più tardi, però, Navar fu costretto a prestare attenzione ai suoi fastidiosi ospiti, perché Potter aveva estratto la bacchetta con espressione da paladino della giustizia e stava recitandogli contro un rosario che partiva dall’accusa di essere un Mangiamorte. Il Corvaccio scosse la testa: dopo il caso Malfoy sembrava che il poveraccio vedesse Mangiamorte anche fra i bambocci di undici anni che pasticciavano con le maledizioni.

Un po’ provato da questa nuova paranoia di Potter, Navar estrasse a sua volta la bacchetta (ebano, trenta centimetri, con un crine di Thestral). Subito gli allegri compagni dello Sfregiato fecero altrettanto, e a Navar arrivarono addosso due Expelliarmus e uno Stupeficium, ma il Protego del Corvaccio si rivelò ben più potente: Hermione restò Schiantata, gli altri due disarmati.

«Per cortesia!», esclamò sarcastico il Corvaccio, «Come sperate di poter anche solo sfiorare me, lo stregone più potente che Hogwarts abbia mai visto (beh, in realtà sono ancora in lizza col vecchio Tom, ma vedrete che alla fine risulterò io il migliore)?»

Potter era sul punto di partire con un’altra serie di improperi contro le arti oscure e Navar, quando un’illuminazione lo colse. Il Corvaccio guardò stupito la sua faccia rischiarata da un guizzo d’intelligenza.

«Ehi, perché non ci aiuti a combattere Voldemort? Sei il più bravo di tutti – a parte me – e senza un esperto di arti oscure non riuscirò mai a trovare gli altri Horcruxes! Che ne dici?»

Un grosso punto di domanda apparve al posto della faccia di Navar. Che Potter si fosse rimbecillito del tutto? Stava per rispondere: «Ma sei scemo?», quando però gli venne in mente un diabolico piano… Allora Navar gli sorrise ampiamente e disse:

«Con vero piacere.»

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Capitolo 2
*** Il Diabolico Piano può aspettare ***


Raven

Capitolo II

Il Diabolico Piano può aspettare

«Ma sei impazzito?!», esplose Hermione, mentre lei, Ronald e Potter scendevano la scalinata esterna di Hogwarts per raggiungere le carrozze, «Hai davvero chiesto aiuto a Navar, lo stregone più abile e malvagio di questa scuola??»

Potter alzò le spalle e scosse la testa come un mulo punzecchiato dalle mosche, già pentitosi di aver ragguagliato l’amica circa quanto era accaduto dopo che si era auto-schiantata.

«E’ abile, l’hai detto tu stessa. E di tutti i membri dell’ES non c’è praticamente nessuno che sia in grado di aiutarci in questa faccenda. Io credo che Navar in fondo non sia cattivo, forse ha solo dei seri problemi di integrazione e…»

Navar fece schioccare il becco irritato. In forma di corvo, stava beccando innocentemente fra l’erba per poter udire la loro conversazione senza destare sospetti, ma ora era tentato di lanciarsi contro Potter e strappargli gli occhi dalle orbite, anche se ciò non rientrava fra i comportamenti meno sospetti di un corvo.

«…e comunque Silente ha sempre dato a tutti un’opportunità di redimersi!», concluse impetuosamente Potter.

Ci mancava solo un applauso, pensò sardonico il corvo, fissandolo malevolo con gli occhi ambrati.

Hermione guardò l’amico come si guarda un povero pazzo, quindi cercò aiuto in Ronald ma… beh, cascò male, perché lo spilungone rosso aveva lo sguardo vacuo come sempre, e aveva la brutta tendenza a concordare sempre con il suo grande amico. Alla fine anche lei si arrese, spalancando le braccia e sbuffando al cielo nuvoloso, e i tre montarono in carrozza.

Navar attese che questa si mettesse in movimento, quindi spiccò il volo e la raggiunse in pochi battiti d’ala. Si posò sul tetto, vi piantò gli artigli acuminati, si pulì le penne remiganti primarie, quindi si mise nuovamente in ascolto. Non perché volesse sentire altri discorsi idioti, ma semplicemente perché in quel momento non aveva niente di meglio da fare.

Una volta arrivati in stazione, Navar ebbe cura di incappare casualmente nel trio, perché voleva cominciare fin da subito a strumentalizzare la grinfodosità di quei tre imbecilli, ed il viaggio di ritorno gli parve un’ottima occasione.

Per farsi invitare nello scompartimento di Potter, gli bastò posizionarsi in mezzo al corridoio con sguardo falsamente spaesato.

«Ciao Navar!», lo salutò gioviale Potter, «Se non sai dove metterti possiamo cercare uno scompartimento insieme. Tanto Ron e Hermione sono nella zona dei prefetti.»

Com’è prevedibile, pensò ironico il Corvaccio. Poi assunse un atteggiamento grato e compunto.

«Oh, grazie», disse flebile e falso come il più piccolo, insospettabile e velenoso dei rettili acquatici.

E seguì il raggiante buon samaritano verso uno scomparto vuoto in fondo al treno. Beh, vuoto per poco, perché non appena si furono accomodati vi piombarono dentro una tizia ancora più vacua di Ronald e anche, con supremo disappunto di Navar, quel grassone di Neville, che da solo occupava una parte ragguardevole dello scompartimento. Che è, la carrozza-bestiame del treno??, pensò irritato Navar, fissando la massa di lardo che si afflosciava sui sedili diametralmente opposti al suo (Neville non ebbe il coraggio di avvicinarsi ulteriormente ad un tipo dall’aria così pericolosa).

I tre cominciarono a chiacchierare amichevolmente, anche se ogni tanto si ricordavano di Albus e per qualche minuto diventavano tutti seri e disgustosamente piagnucolosi. Ma ad un certo punto venne superato il limite: venne rivolta la parola a Navar. Anzi, peggio! Gli venne fatta una domanda.

«Ehi, Navar, è vero che sai scagliare anatemi illegali?», chiese la tizia stramba, fissandolo con occhi tondi come palle da biliardo.

La risposta che a Navar pareva più naturale e convincente era estrarre la bacchetta ed ammazzare Neville con l’Avada Kedavra, ma poi pensò che a parole forse era meglio.

«Sì, perché?», rispose; gli parve appropriato rispondere ad una domanda con un’altra domanda, come ad un incantesimo con un altro incantesimo.

«Beh, così, tanto per sapere…», borbottò la ragazza, abbassando nuovamente lo sguardo sul suo giornale spiegazzato.

Che donna stupida, pensò accigliato Navar, scuotendo la testa.

A dir la verità Navar stava esitando. Lì seduto in un angolo, nell’ombra, il suo piano prendeva lentamente forma. Era già a buon punto, ma temeva fosse prematuro attaccare subito la mente di Potter.

Mentre lo stregone rimuginava nel suo angolo, dopo un paio d’ore dalla partenza, la porta dello scompartimento si aprì, ed entrarono Hermione e Ronald. Saluti vari, ed il chiacchiericcio s’intensificò fastidiosamente. Ronald non sembrò far caso all’ombra seduta in disparte, ma stranamente Hermione gli si sedette proprio davanti e lo salutò.

«Ciao Navar», azzardò timidamente la ragazza.

Ma Navar in quel momento stava svolgendo un importantissimo e difficilissimo calcolo per scoprire quante probabilità avesse il suo piano di riuscire, e quel saluto gli azzerò il buffer; il risultato, insomma, fu che gli saltarono i nervi, perciò faticò molto a rispondere con adeguata cortesia.

«Ciao.»

Sì, beh, che s’aspettava, un discorso in suo onore? E’ pur sempre una risposta quasi a tono.

«Mi chiedevo… so che tu hai studiato su un sacco di libri antichi…», cominciò lei.

Subito Navar si illuminò: quella ragazza aveva appena guadagnato un sacco di punti-apprezzamento.

«Vorresti consultarli anche tu?», chiese Navar, con autentica cortesia, fissandola con gli occhi che brillavano d’intelligenza e amore per i libri.

Hermione parve stupita che Navar le stesse offrendo di condividere le proprie fonti.

«Beh, ecco, in effetti sì», disse trepidante.

«Allora, se vuoi, quest’estate puoi venire nella mia biblioteca a dare un’occhiata. Ti lascio l’indirizzo», disse Navar, quindi prese una pergamena dalle sue tasche e vi batté sopra sette volte con la punta della bacchetta.

Il foglio rimase intonso, ma appena Hermione lo prese in mano vide apparire l’indirizzo. Per prova, lo appoggiò a terra, e subito la scritta scomparve.

«Una piccola precauzione. Solo tu puoi leggere l’indirizzo», spiegò Navar con una punta di soddisfazione, sfiorando orgoglioso la propria bacchetta.

Hermione rimase piacevolmente stupita. Da abile Legilimens che era, Navar percepì chiaramente la sua contentezza nel constatare che il Corvaccio era un mago brillante quanto lei. Le persone intelligenti tendono a sentirsi sole a questo mondo, e a ragione! Io lo so bene… pensò Navar, e sorrise compiaciuto.

In breve tempo i due si immersero in un’intensa conversazione sui più potenti incantesimi per il controllo del clima, e prima di arrivare alla stazione di King’s Cross avevano creato una nuova stregoneria per richiamare le nuvole e provocare un piovasco primaverile in qualsiasi periodo dell’anno.

Il mio diabolico piano può aspettare. L’anno prossimo avrò tutto il tempo che mi serve. Per adesso cercherò portare Hermione dalla mia parte, poi si vedrà, rifletté Navar, rilassato. Non c’era alcuna fretta, in effetti. La prospettiva di un’estate di studi con una luminare del calibro Hermione nella frescura della sua biblioteca segreta lo allettava tremendamente.

Certo, purché non mi chieda di unirmi al suo movimento di liberazione degli elfoidi ingobbiti, pensò ad un certo punto, ricordando le dicerie su questa sua fissazione, altrimenti sarò costretto ad abbatterla.

Ad un certo punto, qualche ora prima dell’arrivo, si presentò alla soglia Ginevra Weasley, che subito andò ad accoccolarsi di fianco a Potter, e stranamente fu accolta senza le riserve che una persona sensata si sarebbe potuta aspettare (tipo: dove accidenti sei stata finora??).

Navar sollevò un sopracciglio: un po’ in ritardo, per essere la sua fedele fidanzata, pensò sardonico, dopodichè gli sovvenne anche il termine corretto che definiva quel tipo di ragazze. Ma del resto, la cosa non lo interessava minimamente.

Improvvisamente, la finestra e tutta la parete esterna dello scompartimento esplosero in una fantasmagoria di cristalli e schegge volanti. Navar, colto alla sprovvista, fu investito in pieno dalle lame di vetro ma riuscì a respingerle quasi tutte con un Protego dell’ultimo istante. A causa della fretta, però, aveva evocato una barriera talmente grande da proteggere anche gli altri passeggeri che si trovavano dietro di lui, più lontani dalla parete esplosa. Era un’occasione irripetibile per liberarsi del grassone senza aver grane, pensò seccato un istante prima di accorgersi che stavano volando giù da un viadotto con tutta la carrozza. Il punto ideale per un attentato, rifletté Navar, approvando la tattica degli assalitori.

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Capitolo 3
*** Falling Down ***


Raven

Capitolo III

Falling Down

Navar agitò vagamente la bacchetta e ristabilì il proprio assetto mentre precipitava. La sensazione del volo gli era ormai tanto familiare che quella misera caduta di neanche cento metri lo lasciava piuttosto indifferente.

Tuttavia, notò, gli altri sembravano molto meno – come dire? – avvezzi a tali situazioni. Per lo più si agitavano convulsamente, roteando nella fresca brezza in modo molto scomposto, cosa che disgustò profondamente Navar: il volo era un’arte, necessitava di eleganza e autocontrollo; e quello spasmodico sguazzare era una grave offesa a tale arte.

Per fortuna, pensò rassicurato, entro poco tutti questi capponi starnazzanti si spappoleranno come meritano, ed io potrò planare elegantemente verso la mia dimora nascosta. Porterò pazienza…

Le robuste chiome del bosco, irte di aguzzi rami nascosti, pronte ad accogliere la stia precipitante, si stavano avvicinando con una certa sollecitudine, quando improvvisamente a Navar sovvenne un fastidioso pensiero: se Potter fosse morto prima del tempo, il suo diabolico piano non sarebbe più stato attuabile, e non si sarebbe potuto divertire come aveva programmato. Sbuffò. Seccato, con la bacchetta tracciò nell’aria linee color smeraldo, che si misero a roteargli intorno, quindi puntò la verga verso il basso: un poderoso raggio di un verde pieno e iridescente spaccò l’aria con un rombo di tuono e s’infranse sulle foglie frementi sotto di lui.

Il Corvaccio, comodamente seduto con le gambe pigramente accavallate sopra quello che sembrava un piccolo cespuglio, osservò con una punta di divertimento i suoi compagni di scompartimento, tutti proni sul tappeto di foglie, con la testa fra le mani e gli occhi dolorosamente sigillati. Certo che la paura della morte gioca dei brutti scherzi, pensò Navar, grattandosi il dorso della mano.

Dopo un po’, Hermione realizzò che non era ancora morta, e sollevò timidamente la testa, guardandosi in giro spaesata: non vedeva altro che cielo, pendici boscose e alti pilastri di pietra. Poi notò anche che Navar sedeva beato e indenne su un cespuglio.

«Navar… ma cosa…?», balbettò la ragazza, tirandosi in piedi e fissando interrogativa il Corvaccio.

«Verdigris. Ho rischiato di incrinare la struttura dello spazio-tempo, lanciandolo così avventatamente, ma credo ne sia valsa la pena», spiegò indifferente.

Hermione lo fissò esterrefatta, poi però si guardò meglio attorno e capì che Navar non stava scherzando: aveva davvero usato quell’incantesimo. Si sporse dall’isola di foglie e ne ebbe ulteriore conferma: un tronco grosso quasi quanto i pilastri del viadotto si ergeva per almeno ottanta metri al disopra del tetto del bosco, sostenendo quella piccola e morbida chioma dove erano atterrati.

«Chiedo scusa se hai subito qualche contusione, la caduta è stata comunque considerevole», disse Navar, «Forse si poteva evitare, con una maggiore tempestività.»

Ma Hermione riteneva che pochi secondi di esitazione prima di lanciare una stregoneria di quella potenza mentre si precipitava nel vuoto fossero da considerarsi la massima tempestività che si potesse chiedere.

«Hai fatto molto più di quanto fosse sperabile!», esplose Hermione, quasi rimproverandolo per aver chiesto scusa.

In effetti, considerò Navar, è più o meno vero. Ma il Corvaccio era un tipo piuttosto modesto, e tendeva a non vantarsi troppo spesso in pubblico. Abitudine, questa, molto utile anche per ingannare l’avversario, aggiunse fra sé, mentre un ghigno mentale gli si apriva, invisibile, dietro i lunghi capelli scossi dal vento.

Navar levò le mani in segno di resa, mentre Potter e gli altri cominciavano ad accettare l’idea di essere ancora vivi. Il Corvaccio scoccò uno sguardo di disappunto a Neville, che nella sua infinita stupidità rimaneva ancora caparbiamente accoccolato a terra: aveva sperato che il suo enorme peso sfondasse i rami e lo facesse precipitare molto più in basso.

Ore più tardi, dopo che finalmente gli intempestivi Auror avevano rabberciato il treno, raccolto i cadaveri e battuto inutilmente la zona in cerca di Mangiamorte burloni, l’Espresso di Hogwarts raggiunse la stazione di King’s Cross.

«Era ora!», borbottò il Corvaccio, scendendo dal treno seguito dal suo nero baule fluttuante.

Scarrozzare quell’armadio per cinque anni senza poter usare la magia era stato un vero supplizio, ed ora che finalmente poteva praticarla a suo piacimento non aveva certo intenzione di menar ancora le braccia.

Dopo il trascurabile incidente al viadotto, non potendo sopportare le isterie post-trauma della compagnia di Potter, si era trasferito nello scompartimento di alcuni suoi amici di Corvonero, dove aveva indulto ad una partita di scacchi magici (che, naturalmente, aveva vinto). Non aveva alcuna voglia di rivedere tanto presto la marmaglia Grinfondoro, quindi appena fu uscito dalla calca (montando sul baule, ovviamente; perché camminare quando si può essere portati?) si preparò a Smaterializzarsi.

Si concentrò profondamente: sbagliare di pochi metri poteva significare incappare in una della letali trappole anti-intrusione che aveva piazzato attorno e all’interno della sua dimora.

Tre, due, uno…

«Ehi, Navar!»

No!!

Quello che vide Hermione, mittente del fatale richiamo, fu il corpo di Navar che spariva con un piccolo botto e la sua gamba sinistra che cadeva per terra con un orrendo rumore.

«Ops…», mormorò la ragazza, facendosi piccola piccola.

Un istante più tardi Navar, mutilato, riapparve mezzo bruciacchiato, con la tunica nera ridotta in brandelli fumanti, il baule ulteriormente annerito. Aveva gli occhi chiusi e tremava di rabbia…

Alzò la bacchetta e la gamba tornò al suo posto, quindi fece una lunga pausa per recuperare l’autocontrollo, ed infine si rivolse a Hermione.

«Sì?», disse, che più o meno voleva dire (la ragazza lo interpretò bene): «Se non era una cosa di importanza vitale, ti apro in due.»

«Scusa», disse piano Hermione, abbassando la testa.

Sectumsempra! La testa della ragazza cadde a terra con un raccapricciante suono di ossa spezzate, poi rotolò via, mentre il resto del corpo cadeva in ginocchio ed infine si accasciava senza vita in un estremo inchino di fronte al Signore del Male…

Navar scacciò questo sadico pensiero dalla sua mente; del resto le sue scuse erano state adeguatamente composte, e se c’era una cosa che il Corvaccio amava e rispettava sinceramente era la cortesia.

«Non fa nulla. Dimmi pure», rispose Navar.

Hermione, sollevata, rialzò la testa.

«Ecco, io desideravo ringraziarti per quanto hai fatto prima. Ci hai salvato la vita.»

«Prego», disse Navar, accennando un leggero inchino.

«Purtroppo la maggior parte degli altri passeggeri della carrozza è m-morta… ma-ma naturalmente nessuno di incolpa di…»

«Impossibile salvarli tutti», l’interruppe Navar, «L’esplosione li aveva proiettatati in un’area troppo vasta anche per i miei incantesimi», asserì, ben poco angosciato dalla notizia.

Hermione lo fissò un po’ impaurita: il Corvaccio doveva essere davvero un mago tutto d’un pezzo, se riusciva a non colpevolizzarsi per quanto era accaduto; lui sapeva di aver fatto l’impossibile, e che non avrebbe potuto fare nulla di più… perché sentirsi in colpa, dunque? Inoltre, dalla sua risposta, era chiaro che in quel tragico momento aveva pensato a come salvarli tutti. Che mago nobile!

Navar la fissò un po’ perplesso… la Legilimanzia gli stava trasmettendo pensieri alquanto bizzarri in quel momento. Come fa a pensare cose del genere di me??, pensò irritato. Lui aveva fatto il minimo indispensabile, altro che l’impossibile! Falso, lo sapevi benissimo che non potevi farcela… Il Corvaccio respinse con violenza quest’ultimo, infido pensiero, e rifiutò categoricamente di riflettere un attimo di più sulla questione. Era un problema scabroso e anche molto, molto pericoloso. Sicuro che salvare il tuo diabolico piano non sia stato solo una scusa per salvare, magari…

Silenzio!!, sbottò dentro di sé.

Hermione vide Navar stringere i pugni e serrare gli occhi con violenza. La sua battaglia interiore rischiava di emergere da un momento all’altro. Molto pericoloso…

«Ehm… Navar?», azzardò la ragazza, guardandolo un po’ preoccupata.

Improvvisamente il Corvaccio sentì la testa che girava all’impazzata; barcollò, premendosi una mano ad artiglio contro la tempia destra, dove una vena pulsava furiosamente.

Sei veramente ridicolo, Navar…

«Lungi da me!», ruggì il Corvaccio, il volto color dell’osso, coperto di gelidi sudori.

Hermione si allontanò di qualche passo, atterrita. Navar era caduto in ginocchio; sugli arti ossuti si stavano aprendo profondi tagli…

E tu vorresti diventare il futuro Signore del Male? Ma per favore, Corvo! Sei solo uno stupido ragazzino come tanti altri che si è lasciato usare da…

«SILENZIO!», urlò Navar, mentre il mondo sfocato attorno a lui veniva inghiottito da nere ondate di tenebra.

…che ha potuto conservare la sua inutile vita sfruttando la tua arte…

Cosa sta accadendo, qualcuno me lo dica, vi imploro!, gridò il Corvaccio nella sua mente.

Ed infine, stremato, crollò al suolo e rimase immobile.

* * *

D'ora in poi l'elemento ironico si affievolirà, di tanto in tanto, per lasciare spazio ad una certa introspezione del protagonista. Non voglio anticipare altro, ma avverto che l'introduzione volge al termine... sta per cominciare la storia vera e propria.

Per sfizio ho abbozzato anche un'illustrazione su questa storia; la trovate all'indirizzo: http://digilander.libero.it/guymontag/ff/ff_navar1.htm

Per Senda: Grazie della recensione. La simpatia è importante, per un protagonista! Per curiosità sono andato a leggermi la tua fanfiction, e devo dire che è scritta davvero bene. Intendo recensirla, per ritornarti il favore, ma abbi pazienza, perché quarantaquattro capitoli non si leggono in un giorno :-)

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Capitolo 4
*** Debole ***


Capitolo IV

Debole

NdA: Questo ed il prossimo capitolo risulteranno più brevi del solito perché di collegamento. Non potevo ignorare questi passaggi essenziali della storia, nonostante il tono dimesso che comporta la situazione... Ho deciso che la vicenda può procedere ancora a lungo anche senza il Deathly Hallows, che stavo aspettando, ed il perché sarà prossimamente più chiaro (come anche il motivo per cui lo faccio notare…).



Quando Navar si svegliò, per prima cosa verificò le condizioni del proprio circuito magico. Il responso fu positivo: nessun danno. Solo allora aprì gli occhi.

Una piccola folla gli si accalcava intorno, stringendolo in un cerchio di voci terrorizzate. Con un gesto lento e quasi sperimentale estrasse la propria bacchetta e la agitò un paio di volte con scarsa convinzione. Ripeté l’operazione più volte, sempre rimanendo disteso a terra, sopra una discreta quantità di suo sangue che faceva scintillare in modo inquietante le fenditure fra i lastroni della banchina. Sbuffò, mentre con sforzo sferzava l’aria con più violenza, la bacchetta che cozzava spesso e volentieri con la pietra a causa della scarsa forza muscolare di cui disponeva in quel momento. Il movimento si fece quasi frenetico ed assunse una certa regolarità. Qualcuno stava gridando qualcosa, ma il collasso di Navar era ancora in corso, e perciò i suoni giungevano al suo orecchio troppo attutiti, quando non del tutto soppiantati da un inesistente fischio. Gli era impossibile cogliervi qualsivoglia significato. Tanto valeva ignorarli…

L’organismo di Navar si riattivò all’improvviso, e con lui il circuito magico, che tornò a regime in pochi istanti. Con un certo sforzo si rimise in piedi, profondamente urtato dalle grida che ora udiva in modo dolorosamente distinto.

«Navar!», strillò Hermione, impaurita.

Il Corvaccio si voltò pigramente a guardarla: aveva la bacchetta sfoderata. Probabilmente è stata lei ad aiutarmi, rifletté Navar, ripensando a quella scarica improvvisa che aveva ricevuto. Quindi realizzò le condizioni in cui versava la propria tunica e decise di tranquillizzare il vespaio umano facendo svanire tutto il sangue. Il suo sguardo scorse sui rumorosi spettatori, zittendoli. Gli bastò un gesto stizzito della bacchetta per far loro rammentare dei diversi importantissimi impegni che li avevano indotti a passare per la stazione.

Mentre la folla si disperdeva ed il brusio si rianimava per più futili ragioni, Navar si sedette sul suo baule abbrustolito, lanciando un’occhiata di sottecchi a Hermione, che lo fissava ancora terrorizzata a morte.

«Tutto bene?», azzardò lei dopo qualche minuto.

«Ho solo abusato di incantesimi istantanei molto potenti», spiegò lui, riprendendo fiato il più silenziosamente e compostamente possibile, «Dovrò solo stare a riposo qualche ora prima di poter ritentare una Smaterializzazione di così lunga portata in sicurezza. Nulla di grave...», soggiunse, suonando quasi ozioso.

Ma la ragazza non parve soddisfatta, perché rimase lì immobile a fissarlo. Quanti altri danni vuoi fare, in una sola giornata?, le domandò in silenzio, esasperato. Perché in realtà, Navar era completamente esausto. Non gli riusciva di ricordare quando fosse stato ridotto in condizioni peggiori, e questo semplicemente perché non gli era mai capitato. Era una situazione senza precedenti, completamente nuova per lui, quindi potenzialmente rischiosissima: era debole. Quando se ne rese conto, cominciò involontariamente a guardarsi attorno con timore e sospetto, mentre le ombre si allungavano sulla stazione e una fitta pioggerellina sfumava il cielo grigio oltre le grandi vetrate della stazione.

Inoltre, gli sovvenne, qualcosa di importante sembrava mancare all’equazione che avrebbe dovuto descrivere quegli ultimi minuti. Questo pensiero lo disturbò ancor di più, se possibile. Doveva pensare, e in fretta: non era il tipo di stregone che poteva permettersi il lusso di farsi trovare inerme, specie con i tempi che correvano…

«Se posso fare qualcosa…», riprese Hermione, «I miei genitori stanno arrivando e…»

Seccato per l’ennesima interruzione del proprio pensiero in un momento critico, Navar alzò la testa per rispondere stizzito, ma si fermò: Harry Potter e Ronald Weasley si stavano avvicinando. Erano venuti a cercarla, probabilmente convinti fosse stata rapita da una selva di Mangiamorte con cui avrebbero potuto duellare eroicamente. Li vide con la coda dell’occhio, e li indicò con rapido gesto della bacchetta alla premurosa ragazza. Sorpresa, lei si voltò, come previsto, e mentre chiamava i suoi amici, Navar ed il suo vecchio baule si Smaterializzarono.

Lascia perdere.

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Capitolo 5
*** Verso Casa ***


Capitolo V

Verso Casa


NdA: L’importanza dei dettagli in questa fase impone precisione e lungaggine descrittiva anche in questo secondo capitolo di collegamento.


Navar si stancò presto di fissare i piloni di cemento che gli sfrecciavano davanti agli occhi. La testa poggiata stancamente sul vetro, il Corvaccio si trovava su uno scomodo sedile babbano, sulla via di casa. Il treno gli avrebbe permesso di raggiungere la città più vicina alla sua dimora in poche ore, e di lì Smaterializzarsi a casa sarebbe stato decisamente più facile. Ad ogni modo, sarebbe stato anche più riposato…

Mentre lo sfiancato stregone faceva vagare la mente, un improvviso brusio interruppe il silenzio dello scompartimento.

«Buona! Mettiti qui», sussurrò una giovane donna alla figlioletta di al massimo otto anni, sospingendola dentro.

Sembrava molto preoccupata. Quasi furtiva. Navar ruotò lentamente la testa sul vetro per osservare i nuovi venuti; non volle nemmeno provare a scacciarli, tanto era stanco.

Lo stregone non era un grande esperto di moda babbana, ma non poté non sospettare che quegli abiti non fossero esattamente normali: erano consunti, in molti punti laceri e sporchi. Mentre la bambina si arrampicava sul sedile e si poggiava beata sullo schienale, la donna si accorse di Navar e lo fissò con paura, quasi implorante. Era terrorizzata all’idea che lui le scacciasse o chiamasse il controllore… probabilmente erano senza biglietto… La Legilimanzia era ormai per lui un’arte quasi passiva. La giovane chiuse la porta dietro di sé con cautela, accompagnandola con le mani scarne e frementi, quindi si sedette di fianco alla bambina tenendo gli occhi fissi a terra.

Il silenzio tornò ad essere totale, e Navar si dimenticò di loro, mentre la grigia vastità del fiume emergeva oltre il finestrino. Dopo un po’, la sua mente geniale cominciò a risvegliarsi, e riprese ad intessere il suo piano, valutando la complessità delle molte variabili umane coinvolte.

Tom Riddle era un genio, su questo Navar aveva pochi dubbi. Purtroppo, però, era un genio turbato da ideologie pericolose. Il solo fatto che fosse appartenuto alla Casa di Serpeverde aveva segnato il suo destino: secondo il Corvaccio, infatti, non c’erano state altre possibilità per lui sin dall’inizio. Lui, invece, era diverso. Era un genio puro, per quanto ciò possa essere possibile, nel senso che non era propenso a difendere altrui valori o ad assecondare liberamente i propri bassi istinti, come facevano appunto, rispettivamente, Grifondoro e Serpeverde, maghi del Ministero e Mangiamorte. Distanza ed equilibrio: i principi del volo. Tuttavia, in occasione del ritorno di Tom e della guerra che era scoppiata nel mondo magico, Navar aveva deciso di planare più in basso, e approfittare della situazione per cercare di dare una nuova rotta al suddetto mondo. Non era un’idea nuova, la sua, e lo studio della storia babbana lo aveva chiarito: in altre occasioni si era risolta in un pericoloso sbilanciamento da una parte o dall’altra, ed in nulla di fatto, infine, per gli opportunisti come lui. Ma questo perché loro erano deboli. E Navar non lo era affatto. Eccetto oggi, sbuffò, oscurando il paesaggio con l’improvvisa condensa.

Prima che quest’ultima considerazione entrasse nel suo calcolo e minacciasse di stravolgerlo completamente, la porta dello scompartimento si aprì di colpo, sbattendo a fine corsa. Navar sollevò la testa dal vetro, e vide un babbano in uniforme che teneva una strana pinza in mano e fissava severo la donna, che era sobbalzata all’improvviso rumore.

«Biglietto», disse annoiato l’uomo, con una punta di fastidio, rude come chiunque sarebbe se fosse stato costretto ad andare su e giù per le carrozze tutto il giorno per discutere rabbiosamente con evasori fiscali in miniatura (sì, Navar davvero non trascurava la cultura babbana – era affascinante in certe sue assurdità o ridicolaggini paurosamente simili a quelle che costellavano il mondo magico).

La donna però era in panico. Le sue mani si torsero nervosamente, mentre la bambina guardava perplessa lo strano sconosciuto.

Sì udì un leggero tocco sul sedile, quindi Navar allungò all’uomo tre biglietti senza dir nulla. Questi parve molto sorpreso.

«Ma, signore…», disse lui, stupito.

«Qualcosa non va con i biglietti?», chiese lo stregone con l’innocenza tipica dei maghi in incognito che si trovano a doversi districare fra le mille burocrazie babbane, e quindi facile da simulare (tanto più per un attore consumato come Navar).

«Ehm, no», borbottò l’uomo, punzonando meccanicamente i tre cartoncini con scarsa convinzione e restituendoglieli in fretta.

Adempiuto il suo compito, si defilò con la stessa celerità. Dopotutto, se volevano che facesse l’ispettore avrebbero dovuto pagarlo di conseguenza… A Navar scappò un mezzo sorriso bonario mentre i pensieri del controllore uscivano dal raggio d’azione della sua Legilimanzia. Che spasso d’uomo!

Controllore… Solo un termine tecnico, ma gli rammentò qualcosa di importante. L’elemento mancante della sua equazione sul suo incidente a King’s Cross era proprio…

Navar sobbalzò, quando la donna gli toccò il ginocchio e lo ringraziò con una sola parola. Sorrideva. Navar annuì rapidamente in silenzio e subito si voltò a fissare il paesaggio sempre più indistinto, imbarazzato. Signore del Male, eh?

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Capitolo 6
*** Un Terribile Scacco ***


Capitolo VI

Un Terribile Scacco

Solo quando superò la barriera magica più esterna della sua valle, il Corvaccio si sentì davvero al sicuro. Il maniero in cui abitava Navar risaliva al diciassettesimo secolo, ed era in sostanza un modesto edificio in pietra chiara che emergeva a stento sopra le chiome del vecchio, fitto e vasto bosco di frassini che riempiva la piccola valle. La suddetta valle era sotto la giurisdizione del Dipartimento Ambientale del Ministero della Magia, classificata come riserva naturale di discreta importanza, nonostante le sue ridotte dimensioni, e Navar era recentemente succeduto al proprio tutore come suo Custode. Il suo compito principale era accertarsi che la popolazione delle due o tre specie tripodi che vi albergavano rimanesse al di sopra di un certa soglia minima, in quanto tali preziosi animali erano oggetto di molti studi sugli effetti della stregoneria sulla biologia animale. O almeno, lo erano stati fino all’estate precedente, quando Tom aveva distratto la maggior parte degli studiosi d’Inghilterra da simili capziosità naturalistiche…

Ad ogni modo, se i maghi vestiti da esploratori vittoriani avevano disertato il luogo ormai da molti mesi, lo stesso non valeva per le sovrabbondanti protezioni magiche che metà per sfizio, metà per legge vi erano state erette trent’anni prima da una schiera di Auror in pensione (quando ancora alla pensione ci arrivavano, ed erano davvero degni di rispetto come incantatori). Perciò, di tutta la Gran Bretagna, Moorhouse Manor era uno dei luoghi più sicuri per l’apprezzabile combinazione di insospettabilità, discrezione e protezione magica.

Navar non era mai stato più felice di vedere le due snelle cariatidi che gli ammiccavano dall’alto, ai lati del portone principale: finalmente era a casa. Senza ulteriori indugi, aprì la porta ed entrò nel maniero preceduto dal suo baule fluttuante.

Appena il portone si fu richiuso alle sue spalle, lo stregone lasciò che il suo pesante bagaglio atterrasse rumorosamente sul pavimento lì dov’era, in mezzo alla sala, e quindi si accasciò sul comodo, vecchio divano nero davanti al camino vuoto. Nella frescura della notte, il familiare odore di polvere, muffa e pergamena lì ad accoglierlo, si addormentò in pochi istanti.

Navar si sentì subito rinfrancato, contemplando il masso da allenamento che aveva appena disintegrato e ricomposto in pochi istanti. Sperò vivamente che nessun geologo babbano vi incappasse mai, perché la sua struttura avrebbe potuto sconvolgere seriamente le corrette teorie formulate fino ad allora sulla formazione delle rocce.

Accertatosi di aver ormai recuperato quasi tutte le sue forze, lo stregone rientrò in casa per prepararsi la colazione con umore decisamente migliore rispetto alla faticosa notte del suo arrivo. Per festeggiare, si risolse a dedicare allo svago l’intera giornata, ed uscì nel bosco per un sano giro di controllo fra i tronchi pallidi dei vecchi frassini.

I tripodi sembravano sufficientemente numerosi e sani, ma non si soffermò molto presso le loro tane; li avrebbe controllati meglio un altro giorno. Piuttosto, risalì di buon passo il declivio nordorientale e s’inerpicò su un grosso e bianchissimo masso erratico a contemplare la sua piccola valle mormorante, racchiusa fra alte colline oltre le quali scintillavano molti laghi. Il forte vento che gli rapiva i lunghi capelli neri, tuttavia, gli impediva di oziare: gli imponeva in pensiero e l’azione…

Così, finalmente, per intercessione di quelle raffiche, riuscì a ripensare alle vicende di quel giorno ormai lontano. Qualcosa di profondamente errato, ecco cosa le accomunava, rifletté suo malgrado Navar, incupendosi all’improvviso nonostante la straordinaria intensità dell’azzurro nel vasto cielo sovrastante e l’abbacinante rifulgervi di gigantesche candide nubi.

Nessun Auror. A King’s Cross, dopo un attentato dei Mangiamorte. Suonava davvero ridicolo. Non era davvero possibile, né nemmeno vagamente plausibile, che nessuno fosse intervenuto per aiutarlo, che nessuno l’avesse interrogato…

Inquieto, cercò ristoro e consiglio nelle minuscole foglie scure e frementi del bosco, ma queste purtroppo si sentirono davvero in dovere di rispondergli: il sussurro che ottenne di rimando non gli piacque affatto. Artigliò la roccia con le dita, mentre un terribile sospetto gli attraversava la mente; le nocche ossee sbiancarono nella stretta feroce.

Per una volta, Navar pregò di aver torto, mentre si scagliava con un balzo giù dalla roccia e planava in forma di corvo verso la sua dimora. Se aveva ragione, però, esisteva comunque la possibilità che fosse stata commessa una preziosa leggerezza da chiunque fosse stato così folle da tentare di ingannarlo; pregò che almeno questa eventualità si rivelasse esatta, o davvero la situazione sarebbe precipitata a breve.

Irruppe con insolita violenza nella sua stanza ai piani superiori, frantumando i vetri della finestra mentre si ritrasmutava a mezz’aria; subito prese a far volare libri da tutte le parti con nervosi scatti della bacchetta. Finalmente ciò che cercava gli turbinò davanti agli occhi: afferrò Advanced Obliviator con un gesto rapidissimo, cominciando subito a sfogliarlo alacremente e lasciando cadere istantaneamente tutti gli altri tomi svolazzanti, che scrosciarono pesanti sulle assi del pavimento. Un istante più tardi, il suo pugno si abbatté fremente di rabbia sulla cinquecentonovantaduesima pagina. Era stato un idiota a non riconoscere subito quei contro-sintomi. Una leggerezza intollerabile, che poteva costargli molto cara, ma di cui innanzitutto andavano ricercate le concause; perché in condizioni normali il Corvaccio non poteva essere ingannato in questo modo. Il piano del suo misterioso avversario doveva essere molto più articolato e minuzioso di quanto il giovane stregone non stesse supponendo, per aver avuto un successo così inaspettatamente completo contro di lui, Navar Huinefin. L’unica sua speranza risiedeva in quell’errore per cui aveva pregato mentre volava giù dalle colline, ma sarebbe stato comunque arduo individuarlo: si trattava certamente di una particolare infinitesimo, o il diabolico piano altrui sarebbe fallito prima ancora di cominciare, di quelli che la memoria umana usa scartare un attimo dopo averli registrati. Un dettaglio su cui però si basava l’unica possibilità di salvezza del Corvaccio.

Navar crollò seduto sul letto, la testa far le mani: c’era qualcuno di molto scaltro, là fuori, e lo aveva preso di mira. Fissò atroce le assi scure del pavimento fra i suoi piedi, pensando più alacremente di quanto non avesse mai fatto. Il che era tutto dire…

Un dettaglio… ma quale?

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Capitolo 7
*** La Sua Visita ***


Capitolo VII

La Sua Visita



Ehm, gradirei molto sentire qualche opinione e critica sul mio lavoro, giusto per poterlo io stesso valutare in modo più oggettivo, e capire quali suoi aspetti risultino meglio riusciti (e/o quali falliti) agli occhi di un lettore imparziale.



Poche settimane più tardi, in una luminosissima tarda mattinata, qualcuno venne a bussare alla porta di Navar. Un evento raro. In quel momento lo stregone si trovava disteso sul vecchio divano del salotto con un pesante tomo di magia che gli fluttuava davanti agli occhi, perciò fece presto a raggiungere l’ingresso. Aprì con cautela, manualmente (azione che gli fece rammentare quanto i vecchi cardini necessitassero della sua attenzione).

«Ciao Navar!», lo salutò Hermione Granger, raggiante sul campo smeraldino del bosco vibrante d’oro e rochi belati di tripode.

«Ciao», rispose lo stregone, aprendo del tutto la porta e facendosi da parte, «Prego.»

La ragazza allungò la gamba oltre la soglia ed entrò, ringraziando. Navar richiuse subito la porta alle sue spalle. Il suo sguardo le perforò la nuca riccioluta.

«Dritti in biblioteca?», propose Navar, con studiata giovialità, mentre lei si voltava.

«Oh, beh, perché no?», rispose lei un attimo dopo, ridacchiando.

Troppo brusco? Lo stregone la guidò allora attraverso la fresca penombra ingombra d’oggetti della sala, e la fece entrare in una piccola stanza che aveva tutta l’aria di essere un ripostiglio. Un’espressione dubbiosa indugiò per un istante sul volto della ragazza. Lo stregone chiuse accuratamente anche quella porta, prima di mostrarle la biblioteca.

«Ma dove…?», domandò lei, vagamente preoccupata dall’inquietante serrarsi scricchiolante dell’unica uscita.

Navar indicò ai suoi piedi, facendole notare una grossa botola metallica. Le scappò un’esclamazione ammirata.

«Amo la discrezione», mormorò Navar con un mezzo sorriso sardonico.

Con un gesto della bacchetta, aprì la botola, rivelando una lunga scala a pioli di ferro che si perdeva nell’oscurità di un pozzo circolare.

«Dopo di te», l’invitò con un galante gesto.

La ragazza si calò nel pozzo con un sorriso, e mentre cominciava a scendere con agilità, facendo rintoccare il metallo come un enorme gong ad ogni passo, Navar continuava a fissarla, forse preoccupato, forse sottilmente impaurito… Sicuramente inusuale, per lui.

I due continuarono a scendere per diversi minuti, illuminati solo dai fuochi fatui che avevano evocato, poiché la botola si era rapidamente richiusa appena Navar aveva sceso i primi pioli. Infine, sbucarono in quella che nella fioca luce di cui disponevano poteva sembrare un’immensa grotta. Una volta messo piede a terra, comunque, lo stregone provvide immediatamente ad una migliore illuminazione, facendo erompere una luce violentissima da enormi gabbie metalliche che pendevano a intervalli regolari dal soffitto a volta: la biblioteca di cui tanto favoleggiava il Corvaccio apparve in tutta la sua vastità in un repentino sciabordare di gigantesche ombre nere e profonde.

«E’ davvero… enorme», commentò stupefatta Hermione, guardandosi attorno ammirata, mentre le ombre si placavano vibranti a formare colossali trapezi di buio sul pavimento a scacchiera, o risalendo le scaffalature opposte.

«Già, il mio grande vanto», asserì Navar, avanzando nella luminosa penombra.

Le fece strada attraverso un intrico di scaffali altissimi, fino ad ampio spiazzo ovale al cui centro stava una selva di tavolini delle fogge e delle dimensioni più varie, tutti indifferentemente carichi di libri, spesso aperti e strabordanti di segnalibri purpurei.

«Questa è quella che definirei la zona lettura», illustrò Navar, richiamando da chissà quali anfratti nascosti un paio di sedie antiche, che atterrarono con grazia vicino ai tavoli.

Non aveva nemmeno finito di parlare che le fattezze della ragazza avevano cominciato a ballonzolare eccitate attorno alle pile di libri, sollevandoli delicatamente e leggendone i titoli con una rapidità ed un’avidità apparentemente incompatibili con la sua grazia… Un’ombra di falena attorno alla lampada…

Lei fremette, mentre nascondeva il volto dietro uno spesso volume di Trasfigurazione. Navar alzò le spalle e, scuotendo vagamente la testa, andò a sedersi nella forte luce che investiva la sua zona lettura, mai prima visitata da altro essere umano. Forse avrebbe dovuto farle notare come la sua presenza in quel sacro luogo fosse un’eccezione per cui altri avrebbero ucciso

«Se è lecito chiedere, a quali studi supplementari ti sei dedicata, ultimamente?», chiese lo stregone con fare casuale, sfogliando l’ultimo libro su cui aveva studiato, un pesante tomo nero il cui titolo vergato in argento giaceva seminascosto sotto le sue dita ossute.

«Oh», fece Hermione, sollevandosi rapidamente da Advanced Enchanter XIV: Gwydwyk Method for Permanent Artefacts, «Difesa contro le Arti Oscure, naturalmente. Ho trovato il metodo Wasteffort estremamente efficace per incrementare l’efficienza ed il controllo dei contro-incantesimi.»

«Hm, sì, fa parte di quei fondamenti di Incantesimi che non possono mancare», asserì Navar, dimostrando una più che abbondante cognizione di causa.

Il sorriso di Hermione si incrinò leggermente. Ops…

«Capisco», mormorò lei, «Queste cose devono sembrarti giochi da bambini…»

Abbastanza, sì…

«Beh, ognuno ha i suoi campi di specializzazione», la rassicurò lui con discreta calma, «Sarebbe forse una buona idea cominciare a studiare insieme partendo quasi da zero… quindi qualcosa di cui sappiamo ben poco entrambi», suggerì.

Hermione divenne ancor più raggiante di prima. Aveva funzionato.

«Ma certo, è un’ottima idea!», esclamò allegra, «Ma esiste davvero un argomento di cui tu non sappia nulla?»

Navar ridacchio discretamente.

«Vediamo…», finse di sforzarsi, alzando per un attimo gli occhi alla grande lampada sopra di loro che esaltava la sua aria teatrale con un forte chiaroscuro, «L’Obliviomanzia, per esempio. Una materia che mi ha sempre affascinato, ma che non ho mai avuto modo di approfondire…»

Lo stregone scoccò uno sguardo di sottecchi alla ragazza, studiandone l’espressione.

«Interessante, ma… non è un po’ troppo – come dire? – avanzata, quest’arte?», insinuò lei, incerta.

Gli occhi di Navar si ridussero a fessure, per un breve attimo. Abbastanza per darle la sensazione di qualcosa di imprevisto e pericoloso, non altrettanto perché potesse essere certa di aver visto bene… si sa, le ombre guizzanti possono giocare strani scherzi all’occhio umano.

«Indubbiamente», concordò Navar, «Ma, dopotutto, siamo due fra i più brillanti studenti del sesto anno…»

«Ma… non esiste solo Hogwarts! Gli aspiranti Obliviator devono studiare ancora a lungo, dopo il diploma, prima di apprendere effettivamente quelle tecniche.», protestò lei.

«Ancora, i livelli scolastici ed extra- sono stabiliti basandosi sullo studente medio…», insistette con certezza argomentativa il Corvaccio, gesticolando lentamente.

«E, soprattutto, è una tecnica pericolosa… e se per errore ci dimenticassimo la nostra identità?», disse, cercando di mantenere la calma, ma in fondo completamente in panico.

Navar indulse qualche istante a riflettere su quell’interessante eventualità. Per qualche ragione l’argomento sembrava innervosirla profondamente…

«Potremmo sempre usare – che ne so? – degli elfi domestici come cavie», suggerì sorridendo ironico.

Lei ci pensò un attimo, quindi esplose in una raffica di scandalizzate accuse, sostituendo con la furia l’insicurezza e la paura di prima.

«Calma!», sbottò Navar ridendo, le braccia levate in segno di resa, «Stavo solo scherzando! Avevo sentito di quella tua organizzazione – CREPA, mi pare… non ho saputo resistere…»

Hermione, rossa in volto, gli scoccò uno sguardo offeso, mentre lo stregone recuperava con sforzo il suo contegno. Quando si fu quasi calmato, la fissò nuovamente, penetrando con irruenza il buio castano delle sue iridi.

Bene, guardia abbassata. Ed ora, ti farò fuori…

Navar sorrise ampiamente.

Tre, due, uno…

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Capitolo 8
*** Primo Inganno ***


Capitolo VIII

Primo Inganno


Eccomi di ritorno al concludersi del periodo di esami…


La destra di Navar scomparve pigramente nelle pieghe della sua tunica, oltre il bordo del tavolino, con fare estremamente casuale.

Hermione estrasse la bacchetta di scatto, puntandogliela alla testa con veemenza: un raggio dorato sprizzò furioso dalla sua punta.

Navar non si mosse. Continuò a sorridere sardonico, mentre la ragazza fissava implorante la propria bacchetta candida, inorridita all’idea di aver gettato al vento la sua unica possibilità di salvezza. Mentre tornava con lo sguardo sullo stregone, il suo volto si ricoprì di una lucida velatura di gelido sudore, sbiancando di terrore. Tremando incontrollabilmente, vedendo che Navar non accennava a muoversi, ritentò l’incantesimo.

Un nuovo poderoso raggio dardeggiò in direzione dello stregone, ma non lo raggiunse mai: cambiò bruscamente rotta e si scaricò con una grande scintilla contro una lontana parete immersa nell’oscurità.

Il ghigno di Navar si spense di colpo, facendole rizzare l’impercettibile peluria già gelida: una bacchetta nera apparve nella mano sinistra del Corvaccio, che con un solo, vago movimento la disarmò all’istante.

«La bacchetta invisibile è uno dei trucchi più vecchi del mondo, mia cara», le sibilò Navar, balzando in piedi e puntandogliela impietosamente contro, «E ora, parla.»

Ma la ragazza sembrava troppo terrorizzata per fare alcunché del genere. Navar rincarò la dose, facendo vibrare violentemente la propria bacchetta.

«Ora! O ti torchierò per mesi nelle mie segrete prima di…», ruggì Navar, ma fu inaspettatamente interrotto da un improvviso sgorgare di lacrime e singhiozzi.

Lo stregone rimase interdetto, quasi imbarazzato (inizialmente per lei, poi, ma solo per un fugace istante, anche per se stesso). Abbassò leggermente la bacchetta, perplesso e indeciso, un sopracciglio mezzo levato, mentre le ginocchia di lei cedevano sul pavimento di marmo e Advanced Enchanter XIV piombava sordamente poco distante.

«Ti prego…», singhiozzò la povera ragazza, il volto stravolto da lacrime e terrore, «Non uccidermi…»

Beh, l’idea era quella…

«Ehm, ma no, suvvia, perché dovrei?», tentò Navar, «Ho parlato solo di tortura…»

Per il momento, almeno. Stavo appunto per proseguire…

Per qualche ragione, però, la sua considerazione non parve sortire alcun effetto rassicurante. Con uno sbuffo seccato interiore, Navar decise di prendere un’altra strada.

«Dimmi solo quello che sai su questa storia, e io ti lascerò andare all’istante», disse sbrigativo, rigirandosi distrattamente la bacchetta fra le dita.

Lei alzò gli occhi arrossati sullo stregone, non troppo convinta, ma con la certezza di non avere tanta scelta.

«Sono… un’apprendista Auror», mormorò, fermando le lacrime con una certa decisione, «Mi è stato affidato l’incarico di tenerti sotto controllo, per verificare…»

«Qualsiasi cosa volessero verificare, al Ministero, avrebbero potuto farlo per vie ufficiali. Dopotutto sono un loro onorato dipendente…», la interruppe lui, incrociando le braccia sul petto e tamburellando nervosamente la bacchetta su una spalla.

«No, non è questo…», replicò arditamente lei, fissandolo dritto negli occhi, «Vogliono solo essere certi che tu non sia, beh…», il suo impeto si spense in un mormorio incomprensibile.

«Un Mangiamorte?», suggerì Navar, gli occhi lampeggianti per l’affronto.

La ragazza abbassò la testa di scatto, mormorando un assenso.

«A tuo personale beneficio», sibilò, cominciando a camminare avanti e indietro nella pozza di luce della zona di lettura, «Ti svelerò che non sono affatto una marionetta del signor Riddle. E aggiungo anche che io disprezzo quei fanatici mascherati molto più delle teste di legno del Ministero, per vostra somma fortuna!»

«Non è questo il punto, purtroppo…», echeggiò sinuosamente una voce sconosciuta.

Con un movimento rapidissimo, Navar scagliò un poderoso raggio d’energia oltre la propria spalla, prima di voltarsi con solerte grazia. Il flusso magico, d’una gelida luminosità grigiazzurra, fu deviato da una forza misteriosa a metà del suo percorso, ma con sommo stupore del misterioso intruso, recuperò in un attimo la propria direzione con un’armonica e subitanea flessione. Un enorme boato fece vibrare l’intera biblioteca e ondeggiare furiosamente le gabbie luminose sul soffitto; una di esse spezzò la catena e rovinò sul pavimento, producendo un frastuono quasi peggiore, e liberando una liquida ondata di fiamme biancastre che scivolarono rapidissime sul marmo a scacchi. Luci e ombre sembravano come impazzite.

«Chi siete?», sbottò Navar, scandagliando la biblioteca con rapidi movimenti della bacchetta; non lo percepiva distintamente.

Chiuse gli occhi. La sua mente scorreva febbrile tutte le casistiche su cui aveva riflettuto nei giorni precedenti. Il suo avversario, però, era passato all’attacco troppo in fretta.

Attimi più tardi, una serie di crepitii inquietanti attraversò il buio turbinoso del suo cervello, annunciando l’infrangersi delle barriere magiche poste a difesa della biblioteca. Il misterioso nemico non stava perdendo tempo… Se davvero c’era il Ministero dietro questa inquietantemente operazione, le conseguenze non avrebbero tardato a manifestarsi; poteva aspettarsi un plotone di Auror da un momento all’altro.

Decine di scoppiettii annunciarono quindi l’arrivo di altrettanti inattesi visitatori, confermando le sue infauste previsioni. Navar riaprì gli occhi, incontrando quelli della cerea infiltrata, che non aveva ardito muoversi d’un solo centimetro. Spostò lentamente il braccio teso finché non poté vedere la punta della propria bacchetta precisamente fra gli occhi di lei.

«Giù la bacchetta, signor Huinefin!», rombò un imponente mago barbuto mentre emergeva dall’ombra degli scaffali, tenendo sotto tiro il giovane stregone.

Gli occhi di Navar si strinsero astuti, senza distogliersi dagli occhi della ragazza, che non osò voltarsi verso i suoi salvatori; si rendeva conto di non essere ancora al sicuro. Finalmente…

«Prima mi si spieghi cosa sta accadendo», sibilò Navar, immobile, con la bacchetta ancora tesa nell’aria ora gelida.

«Expelliarmus!»

Una mezza dozzina di raggi purpurei esplose contro un’invisibile cupola a pochi metri dal suo bersaglio, rivelando la poderosa barriera magica. Quando le increspature di luce si furono dissolte, tornò del tutto trasparente.

«Davvero sorprendente… non credevo che avreste fatto così in fretta ad abbattere ben tre Ipermoënia», disse con voce studiatamente stentorea lo stregone, sempre rivolgendosi agli occhi di lei.

Già, sibilò qualcuno nella sua mente.

Navar raggelò, la sua immagine pietrificata che vibrava ad ogni battito delle di lei palpebre. Non poteva indugiare oltre.

Un boato fortissimo incrinò la barriera di Navar, che riverberò di rimando con altrettanta veemenza. Una goccia di sudore gli scorse lentamente lungo la tempia pulsante ed incavata…

Notevole, commentò l’intruso, il cui mezzo ghigno sarcastico lampeggiò per un attimo fra i bagliori delle possenti stregonerie che si scontravano. Non era un’immagine reale, solo la proiezione del suo misterioso avversario, perciò Navar la ignorò stoicamente: non poteva dirgli nulla. Molto, invece, gli diceva il flusso magico; su questo mago, sulla sua enorme riserva energetica, sulla solidità della sua tecnica, sulla sua genialità esecutiva. Ma lo stregone non volle rischiare oltre, in una battaglia così piena di incognite…

«Alla prossima!», ruggì Navar, assordato dall’onda d’urto che si dissipava con fatica.

La bacchetta nera si levò in alto, roteando brevemente, e un istante più tardi stregone e ragazza terrorizzata erano svaniti nel nulla.

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Capitolo 9
*** Fuga in Mare ***


Capitolo IX

Fuga in Mare


Navar e la giovane apprendista Auror si fracassarono sulle assi di un nero pontile, i cui sostegni sprofondavano per metri in una fonda melma grigiastra fumante di nebbia. A fatica, lo stregone si rialzò, stringendo saldamente la bacchetta, terrorizzato all’idea che svanisse nella palude costiera per un movimento maldestro. Mentre controllava la zona, perennemente nebbiosa, la ragazza si risollevò a sua volta, distendendo i palmi escoriati dalla caduta: contemplò per alcuni attimi le infinitesime goccioline rosso scuro che venivano rapidamente circondate da una spolverata di rugiada diamantina, quindi rimase in attesa, senza un suono, fissando lo stregone da dietro un ciuffo di riccioli scuriti dall’umidità con un’espressione che ricordava molto poco la signorina Granger. Una goccia cadde giù da un ricciolo, facendolo rimbalzare lievemente.

«Andiamo, non siamo ancora del tutto al sicuro», borbottò Navar, dedicandole nuovamente entrambi gli occhi.

Le fece cenno con la bacchetta di proseguire lungo il molo, nera striscia che in entrambe le direzioni svaniva nella foschia impedendo un qualsivoglia tipo di orientamento, e la ragazza cominciò a percorrerlo lentamente, quasi trasognata, muovendo piano le dita nel tentativo forse di dare sollievo alle mani indolenzite.

«No, no! Non abbiamo tutto il giorno!», sbottò sottovoce il Corvaccio, «Di corsa!»

Lo stregone dunque diede l’esempio cominciando a scattare in avanti, superandola, e lei lo seguì con buona andatura, evitando di metter in pratica futili tentativi di fuga. Navar le scoccò uno sguardo inquisitore da dietro la spalla; c’erano numerose domande che attendevano risposta, ma prima di tutto era imperativo raggiungere un rifugio sicuro. Navar ne aveva ipotizzati ed in parte progettati diversi, nelle settimane precedenti, e nei minimi dettagli; dopo i fatti della biblioteca, comunque, optò decisamente per la trovata più arguta. Il suo avversario avrebbe dovuto dimostrare molto più di una mera predisposizione all’alta magia, per scovarlo. Sogghignò nel grigio.

La corsa si protrasse per alcuni minuti, ed infine Navar si arrestò sul ciglio dell’ultima asse, che si sporgeva su un’acqua finalmente più fonda e pulita del mare. Laggiù anche la nebbia era meno pesante, ed i primi veri scintillii baluginarono sulle creste d’onda. Una piccola barchetta di legno era ormeggiata all’ultimo pilone di legno, gemendo piano e raspando contro il molo ad ogni incresparsi dell’acqua livida.

«Dopo di te», l’invitò come neanche un’ora prima aveva fatto all’ombra delle sue pregevoli cariatidi di marmo.

La ragazza si calò impacciata sull’imbarcazione, atterrando in malo modo sul fondo ricurvo e provocando un rumoroso sciabordio, ma dalla sua bocca tesa non uscì alcun suono. Lo stregone la seguì con poco maggior destrezza, e non appena il rollio si fu calmato un poco, comandò alla cima di slegarsi e di arrotolarsi ordinatamente sul fondo della barca. Colpì poi le sponde consunte e i remi si disposero sugli scalmi, cominciando a roteare lentamente ma con decisione, sospingendo rapidamente il piccolo vascello nel mare aperto.

Le ultime propaggini di nebbia si diradarono altrettanto celermente, mentre si allontanavano dalla costa, e ben presto un sole grigio ma luminoso riprese a battere con forza sui due fuggitivi, intirizziti dalle forti correnti d’aria fredda e umida che spiravano dall’oceano.

Passò forse una mezz’ora in totale silenzio, Navar che riposava quasi sdraiato contro la prora slanciata, le pagaie che remavano sicure, l’ostaggio rannicchiato a poppa. Ostaggio… sì, probabilmente questo è il termine che stavano usando in quel momento al Ministero, rifletté Navar, sollevando lo sguardo sulla figura tunicata d’un rosso scuro, che a sua volta fissava con scarsa convinzione le onde nella distanza.

«Secondo te», chiese lo stregone, rompendo il silenzio, «per quale motivo ho preso la via del mare?»

La ragazza esitò, poi parve intuire qualcosa e rispose.

«Perché il Ministero non può controllare il traffico marittimo babbano», mormorò.

Ora che aveva abbandonato i modi teatrali con cui era stata costretta ad interpretare Hermione Granger, la sua ospite gli suonò molto più calma e cortese. Improvvisamente si trovò a pensare a quando finalmente gli effetti della pozione Polisucco – o qualunque altro artificio avesse usato – avrebbero rivelato le vere fattezze di quell’insidiosa ragazza.

Navar scosse brevemente la testa, innervosito, quindi annuì al sagace ostaggio.

«Esatto», confermò fiero, «Fintanto che viaggeremo in mare, il monitoraggio rimarrà pressoché impossibile, purché non si pratichi magia della alte energie.»

«E poi?», chiese calma, scrutandolo.

«Ci nasconderemo per un po’», rispose vago e disinvolto Navar, «Secondo una tecnica che mi è poco familiare, peraltro: il mimetismo sociale.»

«Perché…», tentò di replicare l’ostaggio, ma evidentemente trovò la risposta da sè mentre pronunciava il quesito, «Per sviare il Ministero?»

«Già… per anni ho mostrato di preferire la solitudine e la protezione magica, non c’è motivo di sospettare che per l’occasione opterò per una soluzione così incoerente», spiegò soddisfatto lo stregone.

Sulla barca tornò a calare il silenzio ritmato dall’infrangersi della scintillante superficie marina sotto i lenti colpi di pagaia, gli sguardi bassi sul legno del fondo.

«E io?», domandò inaspettatamente la ragazza, sollevando la testa.

Navar la fissò intensamente prima di rispondere, pesando ogni singolo pensiero che si accingeva a tramutarsi in parola.

«L’eventualità che non riuscissi a completare il tuo… interrogatorio era in qualche modo prevista, per quanto si trattasse di un piano d’emergenza. Ho bisogno delle informazioni che tu possiedi, e non posso comunque più lasciarti andare.»

«Interrogami e poi usa l’obliviomanzia…», suggerì lei, aspra.

«No!», proruppe secco Navar, zittendola all’istante con un inedito sguardo di puro terrore, un flusso irruento che lo svelava ed instillava allo stesso tempo. La ragazza raggelò come se le stesse nuovamente puntando contro la bacchetta, cercando invano di evitarne gli occhi brucianti.

«Ti lascerò andare quando tutto sarà finito», continuò dopo una lunga pausa lo stregone, abbassando lo sguardo sul fondo della barca, «Ma non metterò mai mano alla tua mente, nemmeno se mi implorassi.»

La ragazza rimase in silenzio, stupita, interdetta, il gelo indeciso che lentamente sembrò abbandonare le sue membra e la sua pelle madida. Per un fulmineo istante lo stregone si compiacque silenziosamente, rifuggendo subito dopo quell’idea come se vi avesse scorto sopra del marcio.

«Nel frattempo, però, non potrò correre rischi», riprese inarrestabile Navar, deciso ad arrivare alla fine del suo discorso, «Perciò ti chiedo di accettare questa precauzione…»

Odiandosi mentre estraeva da una tasca nascosta la scatoletta di lucido legno intarsiato, si domandò per la prima volta se quella fosse la cosa giusta da fare. Probabilmente, no, pensò amaramente, porgendola alla ragazza.

Questa stese la mano e l’afferrò, con una punta d’esitazione, il nervosismo che traspariva nei nervi tesi sotto la sottile pelle del polso. Mentre l’apriva lentamente, la sua espressione mutò più volte in una sequenza di allucinante repentinità. Infine, ogni tremore svanì; la ragazza fissò l’oggetto nascosto nella scatola, inconcepibilmente calma, tanto da terrorizzare l’abile stregone; quindi, senza parlare, sollevò delicatamente un sottile nastro nero e ne valutò la lunghezza, legandoselo infine con eleganza al collo.

Non ha chiesto nulla!, impazzì Navar nell’inviolabilità della sua mente, contemplando con orrore l’armonica grazia con cui la sua più raccapricciante e pericolosa creazione veniva indossata da quella pallida apprendista, nella perfetta coscienza di cosa un simile gesto potesse significare. Era più di quanto Navar credette di poter sopportare.

Quando lei risollevò il capo, facendo ricadere nuovamente gli estranei riccioli sulla schiena, lo stregone fece l’ultima domanda di quel lungo viaggio:

«Qual è il tuo nome?»




Sono tre giorni che giro intorno a questo capitolo, e non ne sono ancora convinto… Il lato positivo è che ora so come andrà a finire la vicenda, e ciò significa che ho finalmente la certezza di poter concludere questo lavoro.

Doverosa la risposta all’accurata recensione di Dian Nefer: innanzitutto la ringrazio per l’apprezzamento – e allargo tale ringraziamento anche agli altri recensori – (ed il ‘lei’). Per quanto riguarda Severus, no, non mi sono esplicitamente ispirato a lui, nonostante sia palesemente fra i miei personaggi preferiti; il Corvaccio ha origini molto più bizzarre, che forse svelerò alla fine della vicenda (ma forse è meglio di no). I nomi inglesi, invece… dopo il quarto libro ho sempre letto esclusivamente la versione originale, perciò di fatto non ho neanche pensato a quale potesse essere stata la traduzione ufficiale (spesso infelice). Inoltre, danno un tocco di mimesi alla tecnica narrativa, allontanando la fastidiosa atmosfera familiarizzante delle traduzioni. Su Navar non dico una sola parola, perché la sua caratterizzazione permea implicitamente l’intera struttura del racconto…

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Capitolo 10
*** Pioggia ***


Capitolo X

Pioggia



All’alba del giorno successivo, la prua della barca incontrò nuovamente la terraferma. Risalì la piccola spiaggia naturale di ghiaia grigia per almeno un metro, prima di arrestarsi definitivamente. L’insenatura, poco più di una sbeccatura nella vasta scogliera a gradoni, era protetta da un piccolo boschetto di esili alberi nodosi sbiancati e bruciati dalla salsedine, propaggine più provata di una vasta e rigogliosa macchia di imponenti latifoglie che sibilava rumorosa al vento fra le rocce più elevate; sembrava quasi fosse parzialmente scivolata verso la spiaggia assieme alla franosa scogliera che la sorreggeva ad opera di un qualche antichissimo smottamento.

Navar smontò d’un balzo, atterrando morbidamente sullo spesso strato di pietrisco intriso d’invisibile acqua.

«Terra», mormorò soddisfatto, avanzando di qualche passo sulla battigia.

Quando udì alle sue spalle la ragazza sbarcare a sua volta, lo stregone si voltò lentamente e si preparò ad esporre il suo piano.

«Benvenuta nell’anonima terra dove prenderemo dimora per i prossimi giorni – o mesi, che siano», esordì Navar, vedendo tuttavia la sua punta d’entusiasmo infrangersi contro il volto affranto dell’intirizzita apprendista.

Il suo piano non poteva certo essere mandato all’aria da esigenze inessenziali come il benessere fisico, e lo stregone non aveva osato praticare un solo sortilegio da quando avevano lasciato il molo. Non che un semplice incantesimo termico potesse farlo scoprire – di questo era certo, ma il modo increscioso in cui era stato costretto alla fuga gli proibiva di favorire in alcun modo ulteriori incidenti.

«Dove ci troviamo?», balbettò lei qualche istante più tardi, quasi si fosse disabituata al linguaggio durante la lunga traversata.

«La prima precauzione che devo adottare, purtroppo, è appunto tenerti all’oscuro su questo punto», spiegò con il massimo tatto possibile lo stregone.

La ragazza non parve particolarmente scossa dalla notizia, e Navar temette di poter scorgere in lei i primi segni di una pericolosa rassegnazione. Da un lato, la sua conoscenza libraria parlava chiaro: i manuali per inquisitori chiarivano la fondamentale importanza che rivestivano l’isolamento e la spersonalizzazione nel piegare le più profonde resistenze degli inquisiti – tecnicamente il suo unico obiettivo, per quanto la concerneva: l’aveva condotta con sè appunto per ottenere informazioni preziose sul suo avversario, dopotutto; d’altro canto, Navar era orripilato dalla sola idea di attentare alla magnifica complessità di un’anima. Era il crimine supremo, ben oltre qualsiasi altro concepibile, per lo stregone. Non l’avrebbe commesso se non per salvare se stesso, e non dubitava che le conseguenze sul proprio equilibrio interiore sarebbero state ugualmente catastrofiche. Questo è il mio limite, pensò amaramente Navar, un limite che Tom ha evidentemente superato

«Dunque, a poche miglia da qui si trova una piccola cittadina babbana», espose lo stregone, «Un luogo molto discreto; una chiesa, un municipio, due dozzine di vecchie abitazioni, un insignificante porticciolo e nient’altro nel raggio di molte decine di miglia.»

La ragazza annuì meccanicamente, poggiandosi con discrezione alla barca; le sue gambe tremavano leggermente.

«Come avrai intuito, è un luogo un po’ particolare, troppo per le nostre esigenze», proseguì lui, muovendo qualche passo all’indietro, «Ed infatti non vi sosteremo a lungo. Ci servirà solo per recuperare l’equipaggiamento necessario ad una perfetta integrazione con il mondo non-magico senza destare eccessivi sospetti.»

Lei non replicò, contemplando assorta il propagarsi dell’acqua fra i minuscoli sassolini che formavano la spiaggia al sopraggiungere delle onde. Navar la fissò.

«Andiamo», sbottò infine, cominciando a risalire il lieve pendio sassoso che precedeva la boscaglia e sentendola procedere quieta alle sue spalle.

L’attraversamento della macchia, abbarbicata su grossi massi che solo a malincuore consentivano di superare il notevole dislivello, richiese parecchio tempo. Né l’uno né l’altra erano avvezzi a protrarre simili sforzi fisici tanto a lungo, ma Navar concesse solo un paio di brevi soste quando assolutamente indispensabili. Se fosse davvero necessario affrettarsi tanto, era aspro argomento di contesa nella mente di Navar.

Quando riemersero dal folto, il sole si era già sollevato, bianco e splendente oltre le spire di rapide nuvole sfaldate dalle correnti; enormi volute di vapore cominciarono ad ascendere maestose dalle scure fronde alle loro spalle. Davanti a loro, si estendeva una vasta piana d’un verde quasi troppo intenso, punteggiata da bianchi e solitari massi erratici depositati chissà quanti millenni prima dai grandi ghiacciai. Il villaggio era l’unico discreto segno della presenza dell’uomo sulla faccia della Terra che minacciava di turbare quel nulla così magnifico. Distava altri pochi chilometri, e non c’era strada, solo un tenue accenno di sentiero fra l’erba non troppo alta. Bellamente allo scoperto, constatò lo stregone, ma nessuna via alternativa avrebbe garantito una copertura significativa ed il rischio che occhi indiscreti potessero controllarlo in quella landa desolata era in ogni caso irrisorio; non osò tuttavia abbandonare del tutto la prudenza…

Lo stregone scrutò l’orizzonte, osservando con interesse un gigantesco fronte nuvoloso che muoveva rapido da occidente, spinto dalle forti correnti oceaniche. Lo indicò alla ragazza, decisa ad impedire che il suo respiro ansante giungesse alle orecchie dello stregone ma tradita dal sudore che le imperlava il volto – non più confondibile con la rugiada che trasudava dal fitto sottobosco appena attraversato.

«Aspetteremo che piova, prima di avvicinarci, così che il nostro abbigliamento possa passare per appropriato», disse Navar, toccando il proprio cappuccio, abbandonato sulla schiena.

In effetti, durante i suoi studi sulle abitudini babbane, aveva notato come il loro vestiario da intemperie tendesse a recuperare modelli relativamente antiquati, sicché anche un tabarro da mago poteva passare abbastanza tranquillamente per un più comune impermeabile.

Lo stregone, dunque, si accomodò su una piccola roccia sollevata dalle radici di un’inquietante frassino secolare, e lì attese. Timidamente, anche la ragazza si trovò un luogo comodo dove riposare, rispettosamente a distanza ma non fuori dal campo visivo del Corvaccio, che la controllava con la coda dell’occhio. Non appena si fu seduta, tuttavia, Navar si voltò verso di lei.

«Quale artificio ti lega alle sembianze della signorina Granger?», chiese interessato.

«Mero polisucco», mormorò lei senza guardarlo, quasi delusa di se stessa.

«E quanto dureranno ancora i suoi effetti?», insistette Navar.

«Forse meno di un’ora… non so che ore siano…»

La sua voce era poco più di un sussurro, a malapena udibile sopra lo scroscio del fogliame e lo spazzare incessante del vento dell’ovest. In effetti, era inspiegabile come le sue parole potessero essere intese…

Lo sguardo che finalmente posò su di lui fu poco più che istantaneo, ma innescò un moto profondo nell’animo di Navar; uno sguardo perduto.

«Basta», tuonò lo stregone senza alcun preavviso, forgiando un ineludibile contatto visivo con la ragazza, i cui occhi si dilatarono dalla paura.

Improvvisamente, capì di essere infuriato. Infuriato come non era mai stato da tempi immemori, forse mai scesi nella sua clessidra. Con un movimento inavvertibile nella sua fulmineità, puntò l’ebano contro la ragazza.

«Genie», la chiamò per la prima volta, con forza, assaporando un’inedita sensazione di contatto incorrotto, di sincerità indubitabile che aveva la certezza di condividere con la ragazza che si stagliava così fragile contro la distesa rutilante della nera foresta.

L’apprendista continuò a fissarlo, ma la paura era scomparsa dai suoi occhi. Una foglia stormì all’improvviso accanto ai suoi riccioli scuri, ma non ebbe il potere di incrinare quella comunione sospesa.

«Non hai nulla da temere da parte mia», mormorò infine Navar, abbassando lo sguardo e riponendo la bacchetta.

Quando lo risollevò, il tuono scuoteva i tronchi e la pioggia scendeva irruenta come una cascata. Si trascinò il cappuccio fin sopra il capo per pura abitudine.

«E’ l’ora», dichiarò lo stregone, sorridendo alla ragazza oltre le spesse cortine grigie della tempesta.

Lei ricambiò, tranquilla, sollevandosi con grazia fra gli schizzi del fango e scostando dal volto una chioma troppo lunga e scura per essere solo bagnata…




Chiedo perdono per il ritardo, ma avevo un paio di altre cose da fare… oltre naturalmente a leggere Deathly Hallows, che non commento per rispetto a coloro che ancora non l’hanno letto, ma che non ha potuto lasciarmi del tutto indifferente per la stesura del mio racconto.

Suppongo che ormai Derfel sia di ritorno ai nostri comuni lidi… probabilmente anche con una nuova scorta di idromele.

Per quanto concerne il consiglio conclusivo della recensione di Dian Nefer, il fatto stesso di pubblicare un capitolo mi proibisce sostanzialmente di rivederlo fino ad opera conclusa… motivo per cui ho scelto di pubblicare a puntate. Senza questo pretesto, non potrei mai andare avanti.

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