Non ho paura di morire, ma non vorrei essere lì quando succede

di TeddySoyaMonkey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ambarabà Ciccì Coccò ***
Capitolo 2: *** Eyelyner e Coco- Distretto 1 ***
Capitolo 3: *** Del e James- Distretto 2 ***
Capitolo 4: *** Edgy e Chip- Distretto 3 ***
Capitolo 5: *** Deianira e Nathan- Distretto 4 ***
Capitolo 6: *** Mide e Jared- Distretto 5 ***
Capitolo 7: *** London e Klaus- Distretto 6 ***
Capitolo 8: *** Persephone e Ted- Distretto 7 ***
Capitolo 9: *** Piccoli assassini crescono: D'1>D'7 ***
Capitolo 10: *** Meredith e Inglès- Distretto 8 ***
Capitolo 11: *** Evangeline ed Helle- Distretto 9 ***
Capitolo 12: *** Elen e Soar- Distretto 10 ***
Capitolo 13: *** Ailanda e Justin- Distretto 11 ***
Capitolo 14: *** Georgie e Gunnar- Distretto 12 ***
Capitolo 15: *** Piccoli assassini crescono: D'8>D'12 ***
Capitolo 16: *** Quando arriverà la loro ora saranno morti da un pezzo. ***
Capitolo 17: *** Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare ***
Capitolo 18: *** Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare II ***
Capitolo 19: *** Come on you stranger, you legend, you martyr and shine. Pt. I ***



Capitolo 1
*** Ambarabà Ciccì Coccò ***


 

Prologo

 

Ambarabà ciccì coccò
Un tributo mi schiattò,
era in vita da troppe ore
e di funghi avvelenati mangiò le spore.
La fine degli Hunger Games decretò,
ambarabà ciccì coccò.-

Proclamò Caesar Flickerman, ridendo con la sua voce profonda e suadente da presentatore.
-E sulle note di questa composizione,- Aggiunse poi, gonfiando il petto fino a sembrare un grosso gallo. - Dichiaro aperta la nuova edizione degli Hunger Games!-


Angolo di Ted:
Ebbene sì, questa è un'interattiva e Caesar dovrebbe smetterla di storpiare filastrocche.
Se volete partecipare prenotate il tributo nelle recensioni.
Spero che commentiate in numerosi,
Teddy 
Dedico la storia all'Orologia, che mi ha messo in testa l'idea.

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Capitolo 2
*** Eyelyner e Coco- Distretto 1 ***



Distretto 1

Eyelyner
 


Dopo che le truccatrici e i parrucchieri ebbero finito di sistemare la pettinatura di Caesar Flickermann, che quell'anno sfoggiava una sfumatura di rosa particolarmente accesa, il presentatore si posizionò sulla piccola "X" rossa al centro del palco e mentre il pubblico già iniziava ad applaudire lanciò uno sguardo di sottecchi al cameraman che con le dita gli fece segno che sarebbero andati in onda tra tre... due... uno... un sorriso illuminò il volto del presentatore che aprì le braccia come a voler abbracciare tutta Panem.
Il pubblico urlava ed applaudiva per l'eccitazione che le interviste davano. Avevano già conosciuto i tributi ma le interviste erano il momento che, apparte i giochi veri e propri, preferivano.
-Grazie, grazie!- Esclamò il conduttore facendo cenno agli spettatori perchè si calmassero. Quando gli applausi si fecero abbastanza flebili da permettere di parlare Caesar aggiunse:- Benvenuti, benvenuti! Sono felice di avervi qui questa sera... e sono convinto che anche i meravigliosi tributi di quest'anno lo saranno!- Un altro scroscio di applausi.
-Cosa dite, li chiamiamo subito sul palco?- Le ovazioni dal pubblico non poterono che essere affermative.
Caesar sorrise, come se quella fosse una grande ed inaspettata sorpresa, quindi esclamò:- Facciamo entrare il primo Tributo. Viene dal distretto uno ed è la sola, unica e meravigliosa... Eyelyner Millerh!-
Altri applausi ed una ragazza, bella da mozzare il fiato, avvolta in un vestito rosso ed attillato piuttosto semplice ma che slanciava la sua figura perfetta entrò in scena, camminando a testa alta. Aveva occhi magnetici, di un azzurro che passava al verde acqua quando rifletteva le luci intense del palco.
Proseguì verso Caesar che l'aspettava con una mano protesa verso di lei, un gentile invito ad accomodarsi su una delle due poltrone appena dietro di lui.
La ragazza gli si avvicinò, gli strinse la mano e lo baciò sulle guance con espressione altera, quindi si sedette con un movimento sinuoso sulla poltrona, scostando un ciuffo di capelli biondi strategicamente lasciato fuori dalla crocchia morbida in cui i capelli erano legati. A quel gesto tutta Panem sembrò trattenere il fiato.
-Be',- Esordì Caesar, sedendosi a sua volta sulla poltrona. Guardò la ragazza con un'espressione di stupore calcolato e poi ammiccò in camera. -direi che siamo davvero stupendi questa sera.-
-Grazie.- Rispose Eyelyner, il tono gelido che aveva usato non scalfì l'umore di Capitol City, che già l'idolatrava.
-Bene, Eyelyner...-
-Lyn.- Lo interruppe lei. -Preferisco Lyn.-
Caesar sorrise. -Lyn... il tuo è un bellissimo nome, è stato tuo padre a dartelo?-
La ragazza puntò il suo sguardo freddo sul presentatore:- No,- Disse con una naturalezza stentata che quasi sembrava tradire qualcosa di strano, di celato. -Il nome me l'ha dato mia madre.-
-Una donna meravigliosa, immagino. Ma il vero fulcro, per così dire, è il signor Millerh, il vincitore della cinquantott'esima edizione. Vuoi parlarci di come ha reagito alla tua nomina?-
La ragazza si mosse un po' a disagio sulla poltrona ed iniziò:- Come sapete tutti mi sono offerta volontaria, alla Mietitura.- Disse, poi individuò una telecamera poco dietro a Caesar e rivolse gli occhi verso di lei, come suo padre- e mentore- le aveva detto di fare:-Mio padre è un grand'uomo. Ha vinto la sua edizione con onore, ed è stato forte. Ovviamente io non posso essere da meno. Ho lui come mentore e, be', sono forte e sveglia.-
-Non lo metto in dubbio!- Caesar rise e Capitol City gli fece eco, la camera staccò dal primo piano della ragazza per mostrare a Panem il pubblico sconquassato dalle risate. Anche Lyn sorrideva, ma sentiva la cicatrice che, ben nascosta dal vestito e dalle doti dei suoi truccatori che non erano comunque riusciti ad eliminarla del tutto, prudeva, rendendo la pelle dalla spalla alla clavicola formicolante. Ricordava ancora come suo padre era sbottato, nella grande cucina della loro bella casa, del coltello da cucina, della madre che urlava. -Sei troppo debole!- Aveva detto. -Troppo debole per venire scelta!- E l'aveva colpita. Da quel momento il lungo segno che portava era il costante ricordo di come non fosse stata selezionata per rappresentare il suo distretto, esattamente un anno prima di avere fortuna.
-Ma andiamo avanti!- Esclamò Caesar poi, protraendosi un po' verso Lyn che lo guardò con fare leggermente sprezzante.
-Parliamo ora dei giochi... tu sei molto bella, credi che questa dote ti penalizzi o ti avvantaggi rispetto ai tuoi avversari?-
Lyn scrollò le spalle, facendo ondeggiare le giocche bionde intorno al viso. -Non saprei, ma di certo sono una da tenere d'occhio.- Fece un sorriso sghembo, un po' crudele ma insieme involontariamente ammiccante. -Mi definirei... letale.-
A quelle parole gli spettatori andarono in estasi, esultando come pazzi.
-Meraviglioso!- Esclamò Caesar, ridendo con aria ammirata. -Quel che di definisce una femme fatale!- Lyn smise di sorridere per assumere un'espressione leggermente dubbiosa, non capendo se quella reazione era data dalle sue parole o per tutta l'azione che, di fatto, aveva promesso definendosi letale.
Quando gli spettatori si furono ripresi Lyn tornò a fissare il conduttore, in attesa.
-Parliamo del tuo distretto, l'uno, è davvero magnifico, vero? Ti piaceva vivere lì?-
Lyn scrollò le spalle. -È un bel posto, molto ricco, sì, ma non ho mai avuto molto tempo per la sua bellezza.- Disse, sottolineando quel "sua" come a voler dire che la propria, di bellezza, bastava e avanzava. -In fondo ho passato molto tempo ad allenarmi, sai.-
-Eri molto desiderata all'accademia, immagino.-
-Effettivamente sì, ma vuoi sapere un segreto, Caesar?- Disse mentre la folla a stento si tratteneva. Il presentatore fece un'espressione d'assendo e le si accostò un altro po'.
-Non ho ancora trovato- Disse infine Lyn, inclinando la testa da una parte. -un ragazzo che sia all'altezza per me.-
La folla scoppiò come se credesse che quel "ragazzo all'altezza" si nascondesse proprio tra di loro.
Un po' tutti i ragazzi di Capitol City si identificarono nelle parole di Lyn che riuscì perfettamente nell'intento di crearsi la fama di bellezza impossibile che aveva stabilito col padre.
-Sono certo che prima o poi arriverà qualcuno che ti farà battere il cuore.- Le disse Caesar. Lyn, in tutta risposta alzò le spalle e sospirò, un po' strafottente, come a dire che stava aspettando quel qualcuno, ma che, in fondo, al suo cuore di ghiaccio non importava granchè. La reazione sconquassò ulteriormente il pubblico e quando si riprese Caesar tornò ad appoggiarsi alla poltrona.
- Ancora una domanda.- Disse. -Cosa hai provato durante la mietitura?-
-Ero... eccitata. Pronta.- Rivolse lo sguardo alla telecamera. -Quando ho alzato la mano per offrirmi volontaria ho sentito l'adrenalina scorrermi nelle vene e...- Si interruppe, come temendo di poter rivelare troppo. Ovviamente era tutto studiato.
-E...?- La esortò Caesar.
-Ed è stato allora- Continuò Lyn, aguzzando lo sguardo verso la camera. -che ho capito che avrei vinto.-
Altre ovazioni, quella volta faticarono particolarmente ad estinguersi e Lyn sorrise raggiante, sapendo che quella che aveva appena infiocchettato in bella forma era la verità: lei avrebbe vinto.

 Coco

-Che ragazza meravigliosa!- Esclamò Caesar qualche minuto dopo, Mentre la figura leggiadra di
Eyelyner spariva dal palco. -Ma senza indugiare oltre, presentiamo il prossimo tributo.- La folla tacque in attesa, come se non sapesse chi sarebbe stato chiamato di lì a breve. Il conduttore sorrise, spalancò le braccia e annunciò:
-Diamo il benvenuto a Coco, dal distretto uno!- E di nuovo la folla scoppiò in un applauso fragoroso. Coco, che in quel momento stava entrando si chiese se a fine trasmissione avessero le mani arrossate a furia di applaudire. Mani arrossate... per un terribile momento gli sembrò di rivedere le escoriazioni che un tempo gli avevano coperto la pelle e che avevano bruciato tanto mentre le persone cattive col camice gli iniettavano sostanze ed elettrodi che gli davano scosse quando aveva le reazioni sbagliate per qualche nuovo farmaco.
-Ehi, calmati.- Si sentì dire da qualcuno appena dietro di lui, di vicino e di gentile. Capì che si trattava di Juliet. -Calmati, è tutto a posto.-
Intanto, sul palco, uno stranito Caesar che non capiva come mai nessun tributo fosse ancora apparso. Così, facendo un plaeale gesto di invito, ripetè: -Ecco a voi... Coco!-
-Ora vai.- Disse a quel punto la ragazza. -È il tuo momento.-
-Ho paura.- Sussurrò a denti stretti il ragazzo.
-Non devi averne, ci sono io con te.- La carezza sui capelli che Juliet avrebbe voluto dargli non arrivò perchè in quel momento Coco venne spinto sul palco da un addetto alla sicurezza, o forse da un tecnico scocciato. La folla scoppiò in ovazioni e Caesar gli rivolse un sorriso gentile, ma l'unica cosa che desiderava in quel momento il ragazzo era scappare. I riflettori erano accecanti e le urla insoportabili e fu solo grazie a Juliet che Coco riuscì ad avanzare fino alla poltrona, sulla quale si abbandonò.
-Direi che ti piace farti attendere.- Gli disse Caesar in tono scherzoso, sedendosi con molta più grazia. Coco si mosse, a disagio, il suo mentore gli aveva detto di apparire "a posto", ma in quel momento non riusciva a capire cosa volesse dire. La giacca di pelle viola che indossava stridette contro la poltrona lucida e quel suono sembrò riscuoterlo, fissò il conduttore e disse:- Ho avuto... qualche problema tecnico.-
-Oh, ma è normale, è normale.- Sorrise Caesar e Coco provò a imitarlo, ma quando la folla di capitolini applaudì come incoraggiamento le labbra del ragazzo tornarono ad essere una linea dritta e piena. Notando quel cambiamento d'espressione Caesar si affrettò a chiedere:- Allora, Coco, parliamo della mietitura... cos'hai provato quando ti sei offerto?-
Il ragazzo di affondò le unghie nel palmo della mano e mosse le scarpe, troppo grandi per i suoi piedi, sul pavimento del palco, interdetto. La voce di Juliet sembrò sovrastare quelle del pubblico agitato:- Menti.- Disse.
Coco allora capì di non poter dire che era stata proprio la ragazza a dirgli di alzare la mano per offrirsi volontario. Anzi no, non glielo aveva detto, gliel'aveva ordinato... Voleva che Coco in qualche modo si ribellasse a Capitol City e Coco l'avrebbe fatto.
-Io... ero felice.- Disse, guardandosi i pantaloni, anch'essi in pelle viola. -Volevo offrirmi da... da tantissimo.-
-E finalmente hai avuto la tua occasione, congratulazioni.- Gli disse il conduttore. -I tuoi genitori come l'hanno presa?-
-Io non vivo con i miei genitori.- Replicò subito, la sua questione familiare era, per così dire, l'unica cosa che aveva di sicuro nella vita. -Vivo con Marcus, lui è... mio fratello.- Continuò poi, quasi intenerito
-Oh, da come ne parli devi volergli molto bene. Ti è venuto a salutare dopo la mietitura?-
-Sì, lui...- Le lacrime gli salirono agli occhi. Cosa poteva dire di Marcus? Che gli aveva promesso di raggiungerlo a Capitol City? Che la sua faccia cinerea l'aveva fatto piangere come una ragazzina? Fu Juliet a venirgli, di nuovo, in aiuto:- Menti.-
-Lui era felice che mi fossi offerto.- Disse, poi si portò la mano al collo dove la targhetta di Marcus, quella che gli aveva dato alla visita e che da allora Coco non si toglieva mai, si nascondeva sotto la camicia scura. Il ragazzo l'afferrò e la mostrò a Caesar: -Mi ha anche regalato questa.-
Il conduttore la osservò con interesse e proprio nel momento in cui l'uomo aprì la bocca per parlare Coco capì di aver fatto un terribile errore:- Una targhetta da pacificatore?- Chiese quello.
Il ragazzo trasalì. Si diede mentalmente dello stupido. Già gli sembrava di sentire Juliet sgridarlo; con quel gesto aveva rivelato molto, troppo, di sè e di Marcus.
-Mio... nostro nonno lo era.- Mentì. -Lui l'ha passata a Marcus prima di... di morire.-
Un attimo di silenzio invase il palco e Coco non capì se fosse un silenzio sospettoso o solidale nei confrotni del nonno morto, e solo quando il conduttore gli mise una mano sulla spalla come a consolarlo il ragazzo si rilassò un po'.
Il pericolo era scampato e per il momento nessuno intuiva la verità, o almeno così sperava. Il suo passato era ancora al sicuro, ma di certo Juliet si sarebbe arrabbiata per la sua distrazione.
-Sono certo che tuo nonno sarebbe fiero di te, essere volontari è un grande onore.- Caesar interruppe così i suoi pensieri, annuendo con convinzione. -Rivelami una cosa, però, sei nervoso di entrare nell'Arena? Sono certo che i nostri amici- Indicò la platea.- sapranno tenere un segreto simile.-
Coco deglutì, mentre il pubblico che fino a quel momento non era stato particolarmente esaltato, sentendosi chiamato in causa, scoppiò in un vociare assordante. Avrebbe dovuto essere grato a
Caesar, che stava cercando di incoraggiarlo con una terapia di applausi, ma quel tentativo sortì l'effetto contrario e Coco, intimidito, decise di alzare intorno a sè una sorta di armatura che lo spinse a rispondere in tono duro:- No, per niente.- Quasi ringhiò. Con Juliet aveva deciso di non mostrarsi una minaccia per gli altri tributi e per non far cadere quella facciata invece di dire quant'era bravo con le armi disse:- Quel che deve succedere succederà.-
Il pubblico applaudì e Coco resistette all'impulso di coprirsi le orecchie con le mani. Avrebbe ceduto se Caesar non avesse posto fine alle domande alzandosi in piedi e facendo cenno al ragazzo di imitarlo. Gli afferrò la mano e la strinse in modo vigoroso accompagnando il gesto da una fraterna pacca sulla spalla.
-Ti ringrazio, Coco.- Disse, poi si rivolse al pubblico e urlò:- E possa la buona sorte essere sempre a favore di questo tributo!-
In seguito all'ennesimo scroscio di applausi un tecnico fece cenno a Coco di uscire di scena e, molto più velocemente di com'era entrato, il ragazzo si affrettò fuori dal palco.
Non appena i riflettori smisero di accecarlo il ragazzo sentì Juliet sospirare:- Tutto sommato è andata bene.- Disse, prima di inziare, come Coco aveva sospettato, a riprenderlo per aver parlato della piastrina da pacificatore di Marcus, ma ora, lontano dagli sguardi dei capitolini che, solo ora se ne rendeva davvero conto, gli ricordavano quelli che aveva ricevuto nel suo travagliato passato, si sentiva al sicuro.

 

Angolo di Ted:

Sì, ho saltato la mietitura, sì, ho saltato le visite e sì, ho saltato anche la sfilata. Ora potete giustiziarmi.
L'ho fatto perchè in primis non volevo scopiazzare le altre interattive e poi perchè quello che salto lo aggiungerò come flash-back. Inoltre non voglio togliere spettacolo ai veri e propri giochi, ma mi serviva far conoscere i tributi.
Ah, e tutto ciò non ve l'ho detto prima perchè sono masochista e voglio riuscire battere il mio record di bandierine rosse in una storia.
Detto questo, c'è un gruppo di questa interattiva su fb, che non linkerò per questioni di privacy. Se qualcuno non è stato aggiunto me lo dica e si provvederà.
Odiosamente vostra,
Teddy
Ps. Mi scuso con tutti quelli che hanno avuto problemi per le prenotazioni dei tributi, ma sono tremendamente svampita.

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Capitolo 3
*** Del e James- Distretto 2 ***


 

 Distretto 2

 

Del

 
Caesar, dopo aver salutato Coco che spariva velocemente dietro le quinte, rivolse lo sguardo verso la camera, si sistemò il bevero della giacca e ammiccò a Capitol City.
-Davvero meravigliosi i tributi del distretto uno, non è vero?-
Un grande applauso si levò dalla folla, che tentava di scandire a tempo i nomi di Eyelyner e Coco, ma con pochi risultati visto tutta l'eccitazione e l'attesa per gli altri che li faceva scoppiare in grandi latrati e risolini isterici. Caesar ridacchiò per quei tentativi e la telecamera, che nel frattempo aveva ripreso i capitolini esaltati, tornò su di lui.
-Scommetto però che il distretto due non sarà da meno!- Disse quindi, poi sorrise. -Facciamo entrare il suo primo tributo: Oleand...- Iniziò, ma una ragazzina bassa, dalla pelle olivastra, avvolta in un vestito leggero di seta verde e lucida lo interruppe, entrando a passo di marcia sul palco per puntare il dito al petto del conduttore e strillare:- Non chiamarmi Oleander! Io sono Del!-
Caesar guardò l'espressione arrabbiata della ragazzina, indeciso tra scoppiare in una sonora risata o chiamare la sicurezza. Invece di fare una di queste cose, però, indietreggiò di un passo, si voltò verso la telecamera e, suo malgrado, sorrise:- Del, dal distretto due!- Annunciò indicando la ragazza senza aggiungere altro, come se quella scena fosse bastata a descriverla.
Del si reputò soddisfatta della presentazione, guardò il pubblico e fece un sorriso soddisfatto, prima di lasciarsi cadere sulla poltrona con le gambe incrociate e un'espressione sfacciata, come se volesse sfidare i tecnici a dirle che non poteva tenere le scarpe sulla pelle bianca delle poltrone.
-Be', confesso che sono un tantino spaventato.- Disse Caesar, sedendosi a sua volta, ma in modo molto più composto.
La ragazza ghignò:- Nah, non ti farò del male, Sissy, non voglio sporcare di sangue questo bel palco.-
Il pubblico rise e il conduttore dovette aspettare diversi secondi prima che si calmasse.
-Ehm.- Fece l'uomo, interdetto. -Chi è Sissy?-
-Sei tu, ovvio.- Rispose Del, poi si sentì di aggiungere, a mo' di spiegazione:-Mi piace dare soprannomi alla gente. Tu sei Sissy, il presidente Snow è Rollo.-
Caesar rise e il pubblico lo imitò:- Oh, ti ringrazio.- Disse. -E cos'altro ti piace fare nel tempo libero?- Aggiunse poi, cercando di incanalare il discorso sull'intervista e soffocando un sospiro: certe volte capitavano tributi che rendevano il suo lavoro particolarmente difficile.
-In linea di massima mi alleno a uccidere.- Rispose la ragazza, con un piccolo ghigno.
-Non ne dubito, ma è il tuo solo passatempo?-
-A dire il vero no, Sissy. So anche ballare.-
-Davvero? Che genere di danza?- Fece Caesar, con tono curioso.
Del ridacchiò. -Danza classica.- Disse, pungente e sarcastica. -Secondo te cosa potrei ballare?-
Senza aspettare una risposta si alzò in piedi e fece qualche passo avanti, sul palco, quindi alzò la stoffa del vestito verde appuntandolo nell'elastico delle mutande a fiorellini che indossava, liberando così le gambe magre e muscolose, poi con un movimento fluido, sotto gli sguardi insieme scandalizzati e stupiti di Caesar e di Capitol City si gettò sul pavimento e puntellandosi sulle braccia ruotò in aria le gambe nude per sei volte, descrivendo ampie figure di break dance.
Poi, con un colpo di reni si tirò in piedi e guardò sfacciatamente il pubblico, con il viso arrossato e soddisfatto della performance.
Cosa potevano fare i Capitolini se non scoppiare in una lunga e forte ovazione?
Del annuì, contenta, si tirò i capelli scopigliati dietro le orecchie e fece ricadere la stoffa leggera del vestito sulle ginocchia, quindi tornò a sedersi sfrontatamente sulla poltrona, appoggiando una gamba sul bracciolo.
-Ma è stato fantastico!- Tubò Caesar, incantato.
-Lo so, Sissy.-
-Come hai imparato?- Le chiese il conduttore, cercando ancora una volta di non lasciarsi incantare e non divagare dall'intervista.
-Me l'ha insegnato Ismael lui...- Le gote di Del si arrossarono vagamente e la platea trattenne il fiato, immaginando cosa stesse per aggiungere; i Capitolini apprezzavano sempre una sana dose di love story. -Noi stiamo insieme.- Concluse infine la ragazza.
Caesar si chiese distrattamente chi fosse quella povera anima disposta a sopportare quella tributa sfrontata, ma non esternò i suoi dubbi, invece chiese:- E lui come ha preso la tua partenza per gli Hunger Games?-
Del fa spallucce. -Sapeva che mi sarei offerta volontaria prima o poi e comunque sa che non deve preoccuparsi dato che sarò io a vincere.-
Il pubblico applaudì, come a confermare con convinzione le sue parole e Caesar sorrise di nuovo:- Ti sei offerta volontaria, vero? Vuoi parlarcene?-
-Vedi, Sissy,- Iniziò la ragazza, appoggiando il gomito all'altro bracciolo della poltona, in una posa rilassata. -non avevo intenzione di offrirmi volontaria alla Mietitura, ma era stata estratta una delle ragazze dell'Accademia, una diciottenne, nemmeno tanto brava. Vedi, da noi tutti odiano i diciottenni perchè si danno troppe arie, persino tra di loro si odiano! E, be', io volevo solo cancellare l'espressione arrogante dalla faccia di quell'ochetta viziata.-
Caesar le sorrise, mentre il pubblico applaudiva con rispetto, come se apprezzasse la scelta impulsiva fatta da Del.
-Be', sono sicuro che porterai molta più gloria di lei al tuo distretto. A proposito, vuoi rivelarci qualcosa sulla tua strategia per vincere?-
Del fece spallucce. -Cosa c'è da dire? Sono stata addestrata per questo da quando ho imparato a camminare, non ho bisogno di ideare una strategia per far fuori gli altri ventitrè idioti.-
Caesar ridacchiò:- Ne sono certo... Perchè allora non ci parli delle tue abilità?-
Del si riscosse dalla sua posizione stravaccata per mettersi a sedere, con lo sguardo pieno di aspettativa:- Se mi dai un coltello ti faccio un' altra dimostrazione.-
Il pubblico applaudì, scosso dalle risate e Del sorrise. Non si era preparata nessun discorso per l'intervista ma era lieta di vedere che comunque stava andando dannatamente bene comunque.
Caesar si passò una mano sulla nuca rosa, fingendosi timoroso:- Ti credo sulla parola, ti credo sulla parola!-
Ora fu il turno della ragazza di sogghignare:- Be', meglio per te Sissy, perchè potrei ucciderti anche con il corpo a corpo o con qualsiasi altra arma.-
Il conduttore guardò verso i tecnici, con aria spaventata e gli spettatori si aprirono ancora una volta in una grande ovazione.
-Be', allora è meglio concludere l' intervista prima che passi a miglior vita!- Disse, sorridendo alla camera.
Quindi si alzò in piedi e Del lo imitò di mala voglia; anche se non l'avrebbe mai detto, quell'intervista la stava divertendo.
-Facciamo un applauso a Del, dal distretto due!-
Le urla estasiate dei Capitolini fecero da leit-motiv all'uscita di scena della ragazza.

 

 James

 Quando la sua compagna di distretto uscì di scena e Caesar si fu ripreso abbastanza dalle minacce di morte da presentarlo adeguatamente, James entrò sul palco sgranando gli occhi alla vista degli spettatori capitolini, che apparivano come un mare brulicante di ombre scure dietro i riflettori del palco che illuminavano la sua figura muscolosa, ma asciutta. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri opportunamente ingellati dal suo stilista e, felice che la camicia turchese che indossava facesse risaltare i suoi occhi si avvicinò a Caesar. Il presentatore, segretamente felice che questo tributo fosse meno esuberante della terrificante Del, lasciò che il pubblico applaudisse il ragazzo, prima di sorridergli e accomodarsi sulla poltrona.
-Allora, James,- Esordì Caesar quando anche il ragazzo si fu seduto. -Come ti trovi a Capitol City?-
-Bene, direi, anche se secondo il mio piano non avrei dovuto essere qui prima dell'anno prossimo. Non mi lameno, comunque.-
Caesar fece un sorriso, divertito e curioso insieme, che in qualche modo rispecchiava l'umore del pubblico.
-Il tuo piano? I miei amici qui- Fece un gesto vago verso gli spettatori.- ed io siamo curiosi di saperene di più.-
James scrollò le spalle e fece un sorriso disarmante alle telecamere. -Contavo di offrirmi volontario alla Mietitura dell'anno prossimo, ma sono stato sorteggiato quest'anno, il piano consisteva in questo, principalmente.-
-Capisco, quindi ti sei visto costretto ad anticipare tutte le tue mosse?-
-Be', sì, ma la loro efficacia ovviamente rimarrà invariata.- James sorrise e Caesar fece lo stesso. Il pubblico era rimasto vagamente interdetto per quel discorso; erano rare le volte in cui un tributo parlava davvero di strategie, e la faccenda finiva inevitabilmente e velocemente per annoiare, così Caesar si affrettò a parare il colpo per far fare bella figura al ragazzo:
-Sembri davvero carico.- Commentò.
-Oh, lo sono. Panem vedrà scintille quando entrerò nell'arena.-
Gli spattatori allora si sentirono liberi di lasciarsi andare alle consuete ovazioni.
-Ne sono certo. So che anche tuo padre fece scintille durante i giochi, a suo tempo.-
-Già, lui è uno dei vincitori del distretto.- Confermò il ragazzo.
-Quindi si presume che i tuoi allenamenti siano stati mirati apposta per l'Arena.-
-Proprio così, Caesar.- Confermò James, sorridendo e ruotando il busto fasciato nella camicia attillata per rivolgersi al pubblico, come a mostrare il suo fisico perfetto. -Direi che è piuttosto evidente.-
Capitol City, e soprattutto le donne della città, esternarono tutto il loro apprezzamento. James, tuttavia, aggrottò le sopracciglia: non voleva essere ricordato per la sua bellezza, ma per la sua forza, quindi aggiunse:- Oltre a tutto ciò però sono anche forte, micidiale... cattivo.- Sorrise, soddisfatto.
-Quale tipo di armi prediligi?- Gli chiese Caesar, portandosi una mano al mento, curioso.
James fece un gesto vago con la mano:-Nessuna in particolare, sono esperto in tutto, dalle spade, alle asce, ai coltelli.- Un altro sorriso. -Una volta feci una scommessa con una compagna, all'Accademia, al riguardo.-
Caesar parve piuttosto divertito:- Perchè non ce ne parli?-
-Questa ragazza mi sfidò dicendo che non sarei mai riuscito a tagliare la gola a qualcuno con una delle sue forcine per capelli.-
-E com'è finita?- Si informò il conduttore.
-Ho talgiato la gola di un manichino per gli allenamenti con il suo stupido fermacapelli e poi... be', lei ha detto che il manichino era diverso da una persona, così... ho tagliato la sua, di gola, e lei è finita all'ospedale.- Ghignò e il pubblico applaudì, un po' interdetto. Caesar pensò che quel ragazzo era particolarmente ambiguo. Certo, tutti i tributi del distretto due erano crudeli, ma solitamente conservavano le memorie e i dettagli più sanguinolenti della loro vita per l'Arena. Fortunatamente quel ragazzo aveva la fortuna di avere un bel faccino; avrebbe dovuto puntare su quello.
-Be', wow.- Fu il suo unico commento.
James, in tutta risposta arricciò il naso in una smorfietta vagamente arrogante. -L'ho già detto e lo ribadisco, Caesar- Annunciò il tributo, individuando una telecamera e guardandola fisso:- Nell'Arena vedrete scintille!-


 

 

Angolo di Ted:

Caesar ha avuto il suo bel da fare con questi tributi, devo dire. La prima è completamente svalvolata e il secondo è stato accompagnato da una descrizione un pochettino corta.
Io, comunque, non me la sentivo di rompere le scatole all'ideatrice per chiedere qualcosa in più e non me la sentirò in futuro se la cosa si ripeterà, quindi se non so che scrivere mi invento le cose come ho fatto con James. Non vi va bene? Avreste dovuto allungare la descrizione. :)
Detto questo, fatemi sapere che ne pensate,
-Teddy
Ps. Io so che le mutandine di Del faranno furore, ma a mia discolpa dico che era espressamente scritto che quella piccola belva non ha pudore.

 

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Capitolo 4
*** Edgy e Chip- Distretto 3 ***


 

Distretto 3

 

Edgy

 Quando anche quell'ambiguo ragazzo in camicia azzurra scomparve dietro le quinte Caesar si lisciò la massa cotonata di capelli color rosa cicca e si sistemò il bevero della giacca scintillante un po' per riprendersi dall'intervista terrificante appena sostenuta e un po' per dare a Capitol City una vista della sua meravigliosa figura.
Infine, quando si fu caricato di nuovo entusiasmo per il tributo che, di certo, non poteva essere terribile come quelli del distretto due, guardò in camera intensamente e ammiccò.
Il pubblico scoppiò in un applauso, ansioso di conoscere gli altri partecipanti e Caesar si affrettò ad annunciare:- Ed ora, la favolosa ragazza dal distretto tre!- Dopo una breve pausa modulò la voce in un crescendo d'effetto:- Edgy Ramses!-
Il pubblico ululò quando da dietro il palco apparve una sagoma alta e flessuosa, in un abito argenteo e scintillante, che le metteva in risalto le spalle delicate e le gambe lunghe.
La ragazza era perfettamente truccata, ma la sua espressione timorosa contrastava con lo scintillio dell'abito e dell'acconciatura piena di brillantini. I pensieri di Edgy mentre attraversava il palco erano infatti unicamente devolti alle scarpe col tacco alto e alla ruota ingombrante che il vestito formava sopra le sue ginocchia; l'ultima cosa che voleva era inciampare all'intervista e veder sfumare la possibilità di avere degli sponsor.
Mentre il pubblico esultava per la sorpresa di vedere un tributo del distretto tre che apparisse così bello ed elegante, Edgy riuscì a muovere qualche passo e, dopo aver vacillato parecchie volte, quasi cadde addosso a Caesar, che si affrettò a reggerla per le braccia prima che ruzzolasse sul palco portando con sè il conduttore stesso e le poltrone.
-Attenzione!- Ridacchiò l'uomo, e quando fu certo che la ragazza sarebbe rimasta in piedi si accomodò sulla pelle bianca con un sorriso, che Edgy corrispose con le guance arrossate sopra le adorabili fossette che le sue labbra erano solite formare.
-Be', un'entrata ad effetto.- Commentò Caesar sorridendo di nuovo e più dolcemente alla ragazza per non metterla in imbarazzo.
-Puoi ben dirlo.- Replicò lei, iniziando a passarsi le dita tra i capelli che presto si riempirono dei brillantini dell'acconciatura. Lo fece diverse volte fino a che il presentatore non la interruppe:
-Il tuo stilista sarà disperato.- Disse Caesar, indicando con un gesto vago l'impalcatura dei capelli di Edgy che iniziava a vacillare.
-Oh, credo che ormai si sia rassegnato.- Rispose lei, ma smise di tormentarsi le ciocche castane mentre il pubblico rideva per lo scambio di battute. La ragazza dovette impegnarsi molto per frenare l'impulso di iniziare a sgranocchiarsi le unghie, e per impedirselo al meglio, nascose le mani sotto le gambe e fece un sorrisetto a Caesar, che colse al volo l'occasione di farle un'altra domanda:
-Allora, Edgy, apparte i brillantini del tuo stilista, cosa ti piace di Capitol City?-
-Be',- Iniziò la ragazza, -il suo sistema di illuminazione è un capolavoro di elettricismo simbiotico, il perfetto esempio di dualismo di ioni e...-
-Ehi, ehi.- La interruppe Causar, ridacchiando, mentre Edgy iniziava a mangiarsi le parole per la fretta di descrivere qualcosa che i comuni spettatori non potevano- e non volevano- comprendere. -Qui non siamo tutti cervelloni come voi del distretto tre.-
La ragazza ridacchiò, imitata dal pubblico. - A dire il vero non è poi così difficile da spiegare.-
-Per te no di certo, ma dimmi, mia cara, anche la tua famiglia è intelligente come te?-
-Oh, certamente. Loro lo sono anche di più. Mio fratello maggiore, Luke, è un vero genio, è lui che mi ha insegnato quasi tutto quello che so.-
-Ti prendo in parola, parlaci di lui... come ha preso la tua estrazione?- Incalzò Caesar, sporgendosi verso la ragazza.
-Oh, be', lui...- Edgy esitò e senza riuscire a trattenersi prese a tormentarsi le unghie tra una parola e l'altra:- è un fratello fantastico e tutto ma... ha avuto un incidente qualche tempo fa e... ed è... paralizzato.- Terminò, sbattendo le palpebre per impedire alle lacrime di cadere. Diede la colpa di quella voglia di piangere improvvisa alle luci troppo forti; non si capacitava del fatto che avesse scelto proprio quel momento per mostrarsi debole.
-Mi dispiace molto.- Le disse Caesar mettendole una mano sulla spalla. -Te la senti di dirci com'è successo?-
Edgy si chiese distrattamente perchè mai Caesar Flickerman fosse così sadico, ma rispose comunque, ingoiando i singhiozzi:- Fulminato... fulminato da un meccanismo elettrico.-
-Molto triste, davvero.-
La ragazza sospirò e tentò un debole sorriso:- È il fratello che preferisco.-
Caesar vide tra le sue domande un'occasione per cambiare discorso; presto le lacrime stancavano Capitol City e la sua missione era far fare bella figura ai tributi.
-Hai altri fratelli?- Chiese quindi.
-Due sorelle, Alyha e Zipper.- Fece un sorrisetto ricordando le risate con Alyha, la più piccola, e le litigate con la più grande, Zipper. Si sorprese a constatare che anche quelle le mancavano.
-Intelligenti anche loro, presumo.- Ammiccò il conduttore.
-Ovviamente.- Sorrise.
Il pubblico fece un moderato applauso, al termine del quale Caesar esordì:- Ma dimmi, Edgy, quale strategia pensi di adottare nell'Arena? Sono certo che una ragazza arguta come te saprà come farsi rispettare.-
-Oh, per quello ho un paio di idee, ma non sarebbe una bella mossa rivelare tutto e subito.- Disse, facendo un occhiolino alla telecamera che fece applaudire gli spettatori. Edgy ebbe così il tempo di ripensare agli allenamenti segreti suoi e dei fratelli che l'avevano resa così brava con lancia e coltello. Caesar non le chiese in cosa fosse brava, pensando forse all'incapacità di maneggiare le armi del distretto tre, e la ragazza si infastidì; per vincere le serviva il favore dei favoriti e non poteva ottenerlo se passava per la ragazzina goffa e piagnucolosa che non era, così quando gli applausi di furono spenti aggiunse:- Be', Caesar, se proprio vuoi un'indiscrezione ti confesso che le mie trappole elettriche erano le migliori al distretto e inoltre credo che gli altri tributi rimarranno sorpresi nell'osservare le mie... doti nascoste.-
Non appena ebbe finito di parlare Edgy si chiese se le sue parole avrebbero potuto essere fraintese in modi... be', sessualmente ambigui, ma quando il pubblico scoppiò nell'ennesima ovazione smise di preoccuparsi.
-Non c'è dubbio che quest'edizione ci riserverà molte sorprese.- Ridacchiò Caesar.
-Lo credo bene.- Replicò Edgy, imitando il conduttore che si alzò in piedi per salutarla.
Si scambiarono una stretta di mano e solo mentre la ragazza passava oltre l'uomo per dirigersi dietro le quinte si rese conto di quanta tensione avesse accumulato durante l'intervista. Era così concentrata su quella sensazione che non capì mai come, d'un tratto, si era ritrovata con il sedere per terra.


 

Chip
 


Quando le risate per il ruzzolone di Edgy Ramses si spensero e Caesar ebbe tranquillizzato il pubblico dicendo che l'osso sacro della ragazza non aveva subito alcun danno, finalmente fu il turno del ragazzo del distretto tre.
Dopo che il presentatore ebbe annunciato: -Chip Skyreck!- e il pubblico fu scoppiato nel consueto applauso, un ragazzo raggiunse il palco con passo spedito. Il fatto che avesse i capelli castani leggermente scompigliati che gli ricadevano sugli occhi in modo distratto e indossasse un vestito nero molto semplice un po' aperto sul petto, risultava in qualche modo originale se confrontato con lo sfarzo degli altri tributi.
Il ragazzo non era davvero nulla di speciale, magro, ma non mingherlino nè troppo muscoloso, alto ma non allampanato o ben piazzato, eppure la sua semplicità spiccava.
Quando Caesar gli strinse la mano si sorprese nel constatare tutto ciò.
-Benvenuto, benvenuto.- Gli disse, sedendosi mentre il pubblico terminava di applaudire.
Il ragazzo gli rivolse, da sotto i ciuffi di capelli, uno sguardo che nella sua inespressività riusciva ad essere arguto e calcolatore.
-Grazie.- Disse solamente, incrociando gambe e braccia sulla poltrona.
Caesar increspò le labbra, ricordando a se stesso che i tributi melliflui come quel ragazzo spesso erano i peggiori da intervistare. Poi però si aprì in un sorriso e disse:- Allora, Chip, come ti trovi qui in città?-
Il ragazzo si prese tutto il tempo per rispondere, calcolando adeguatamente le parole da usare, che decise infine quasi di sputare in tono tagliente:
-Sono stato sbattuto su un treno, coperto di led luminosi, sottoposto più volte a quella forma di tortura che chiamate "ceretta alle ascelle" e obbligato a prendere a cazzotti manichini di gomma, secondo te come mi trovo?-
Il pubblico scoppiò in una grassa risata, incurante del tono pungente che Chip aveva usato.
Anche Caesar ignorò la freddezza per ridacchiare:- Be', la ceretta alle ascelle è un male essenziale.-
Il ragazzo non rispose limitandosi ad osservare le ombre scure del pubblico dietro ai forti riflettori del palco, come se sperasse di fulminare ogni singolo spettatore con lo sguardo. La cosa strana del suo atteggiamento era che Chip non aveva nulla contro Capitol City, nessuna particolare sete di vendetta, come era capitato invece ad alcuni tributi nel corso delle edizioni, ma molto spesso il cinismo con cui guardava il mondo lo portava a crearsi un grande involucro di antipatia.
Ed in quel momento gli parve parecchio strano suscitare reazioni di simile ilarità.
-Be',- Esordì Caesar quando le risate si furono spente, asciugandosi una lacrima all'angolo dell'occhio per il troppo sogghignare. -Ascelle a parte, sembri un ragazzo molto... serio, cosa pensi che ti riserverà l'Arena?-
-Qualunque cosa sarà osserverò la situazione e mi preparerò. È tutta una questione di logica.-
-Hai indubbiamente uno stile particolare di vedere le cose, perchè non ci parli delle tue abilità?-
-Mio padre costruisce armi elettriche ed esplosive, gli davo una mano prima di esser spedito qui.- Rispose Chip.
-Suppongo che ti piacesse aiutarlo, avevi un bel rapporto con la tua famiglia?-
-Sarebbe stato migliore se non fossi stato sorteggiato.-
Il pubblico ridacchiò ancora, ma meno convinto di prima, e Caesar capì che il tono freddo di Chip stava iniziando ad infastidirlo, così si affrettò a portare il discorso su un piano più strategico per far sì che il ragazzo potesse beneficiare almeno un po' dell'intervista.
-Be', direi che il tuo stile di vita ti potrà comodamente portare a vincere se giochi bene le tue carte. I tuoi parenti non hanno motivo di preoccuparsi.-
-Su questo hai ragione. Ormai sono in ballo e mi tocca ballare, no?-
Un applauso educato dal pubblico sembrò concordare con lui.
-Esattamente, gli Hunger Games sono simbolo di gloria per i distretti, devi essere fiero di rappresentare il tuo.-
Chip fece una smorfia disinteressata a quelle parole, ma poi annuì solo perchè la situazione sembrava richiederlo.
-Ne sarò più fiero se riuscirò a tornare a casa vivo.-
Caesar gli sorrise calorosamente, appoggiandogli una mano sulla spalla:- Sono certo che ce la farai.- Disse, poi si scostò e si alzò, subito imitato dal ragazzo.
Il conduttore fece un sorriso alle telecamere, poi prese la mano di Chip e la alzò in alto sopra le loro teste.
-Signori e signore, Chip Skyreck!- Gridò, sperando che almeno una conclusione in grande stile bastasse a non far sì che il carattere freddo di quel tributo gli si ritorcesse contro.
Chip prese gli applausi, incurante delle reazioni suscitate in Capitol City, ma quando Caesar gli lasciò la mano e lo lasciò andare al sicuro, lontano dal palco, non potè fare a meno di pensare che al suo mentore non sarebbe piaciuto come aveva affrontato le domande del presentatore.
-Poco importa.- Si disse, mentre si faceva togliere gli apparecchi dei microfoni dai tecnici. -Non mi servono amici per tornare a casa.-

 

Angolo di Ted:

Caesar si sta chiedendo perchè i maschi siano sempre così difficili da scrivere, Coco escluso (Mr. Flickerman ama quel ragazzo).
Comunque... volevo comunicare ufficialmente che se l'ideatrice della femmina del 5 non si fa viva entro un paio di giorni renderò libera la tributa.
Apparte questo, ditemi cosa pensate del distretto 3,
un bacio,
Teddy

 

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Capitolo 5
*** Deianira e Nathan- Distretto 4 ***


 

Distretto 4

 

Deianira

 

Una volta che Chip Skyreck se ne fu andato, Caesar tornò a sorridere alle telecamere, fece le consuete presentazioni e, senza indugiare, presentò il tributo del distretto quattro.
Una ragazza molto minuta,quasi esile, si fece largo sul palco.
Nel suo vestito rosa sembrava una bambola di porcellana delicata e impalpabile.
-Signori e signore, l'adorabile Deianira Reef dal distretto quattro!- Tuonò Caesar indicandola con una mano.
La ragazza gli andò in contro con le labbra appena increspate da un sorriso ermetico, che non raggiungeva gli occhi sovrastati da sorpacciglia aggrottate che rendevano il suo viso incredibilmente particolare.
Deianira si avvicinò al presentatore con passo cadenzato osservando distrattamente la platea che la applaudiva e quando gli venne davanti, Caesar le prese la mano e se la portò alle labbra, intenerito dall'aspetto innocente di quel tributo.
-Benvenuta!- Le disse quindi, sedendosi.
Deianira allargò di poco il suo sorriso in tutta risposta, soffocando il moto di fastidio che la scenetta le aveva provocato e si accomodò, pensando distrattamente a quanto la sua stilista fosse stata insistente e odiosa nel farle indossare quell'abito da bambola che era l'esatto opposto del suo carattere.
-Allora,- Esordì Caesar, sorridendole dolcemente. -sembri molto giovane, quanti anni hai, cara?-
E quello era esattamente il tipo di commenti che avrebbe voluto evitare; era minuta ed esile, non si poteva negare, ma non era una bambinetta indifesa, dannazione, anche se il pizzo e l'organza rosa sembravano confermare il contrario.
-Ne ho quindici, Caesar.- Disse, arricciando il naso in una smorfia tagliente. -E li dimostrerei anxhe se la mia stilista non fosse una completa idiota.-
Il pubblico rise e il conduttore fece un sorriso di scuse.
-Ti chiedo perdono.- Le disse, chinando un poco la testa. -Ma effettivamente sembri più piccola.-
Deianira fece un gesto scocciato con la mano. -Il mio mentore dice che dovrei puntare sull'innocenza, ma non riesco a fingere... insomma, so squartare un pesce di sedici chili vivo in meno di sette secondi e non è cosa da tutti.- Replicò, e gli spettatori risero di nuovo.
-Sei molto forte.- Commentò Caesar, felice che quella di quel tributo fosse un'intervista facile, di quelle che hanno bisogno solo di poche indicazioni per finire per il meglio.
-Ci puoi giurare, al distretto quattro lavoravo nella pescheria di un amico di famiglia e, be', talvolta capitava di dover scacciare i pesci più grossi che si avvicinavano all'allevamento.- Sorrise. -Mi sono tenuta in forma.-
Caesar rispose al sorriso. -E l'hai fatto in vista della mietitura?-
-E come avrei potuto? Sono stata estratta. Semplicemente Cole, il mio capo, mi abbassa lo stipendio se il numero di pesci dell'allevamento diminuisce durante il mio turno.-
Altre risate scossero la folla e Caesar fu felice di aver trovato un tributo che fosse tanto divertente nel suo odio per il mondo.
-È vero,- Incalzò. -quest'anno il tuo distretto non ha avuto volontari femminili, come hai preso questa piccola botta di fortuna?-
-Be', se sia una botta di fortuna non saprei esattamente dirlo, comunque non si può dire che venire a macellare ragazzi per degli spettatori assetati di sangue fosse in cima alla mia lista delle priorità.- Fece una pausa. Rendendosi conto del viso vagamente attonito di Caesar accompagnato dal silenzio di Capitol City che non sembravano promettere nulla di buono, si grattò la testa e fece un piccolo risolino. -Scusate, suonava più divertente nella mia testa.-
Il conduttore ridacchiò sommessamente, imitato dal pubblico.
Deianira concesse un sorriso sghembo, come a scusarsi, vagamente consapevole di essersi salvata per un pelo da conseguenze alquanto terribili.
Caesar sembrò pensare la stessa cosa, perchè portò l'intervista lontano da Capitol City, più precisamente nel distretto quattro.
-E la tua famiglia? Come ha preso la tua partenza?- Chiese.
-Oh, Amyas, mio fratello, era piuttosto dispiaciuto. Credo che non volesse restare solo.- Rispose la ragazza con leggerezza, felice di poter allontanarsi dalla zona di allarme rosso in cui era incappata. -Sai, siamo orfani... più o meno.-
-Più o meno?- Incalzò Caesar, sorpreso dal tono spensierato usato dalla ragazza.
-Oh, sì, mio padre è un bastardo, dopo la morte di mamma è sparito e Amyas ha dovuto occuparsi di me da solo.-
-Mi dispiace davvero mol...- Iniziò il presentatore, sincero, ma Deianira lo interruppre:
-Oh, non dispiacerti per me. Fallo per quel maledetto di mio padre. Giuro che se dovessi uscire viva dall'arena e dovessi incontrarlo...-
Fece rimanere la frase in sospeso, lasciando alla fantasia del pubblico la tortura che gli avrebbe inflitto.
Caesar annuì con comprensione e mentre gli spettatori applaudivano per la combattività di Deianira non potè fare a meno di pensare a come quel tributo fosse stranamente sincero e costituisse così una nota di originalità innata in mezzo al susseguirsi di discorsi provati e riprovati degli altri. Caesar seppe subito che la ragazza avrebbe avuto successo proprio per via della sua spontaneità.
-Be', prima di cercarlo dovrai affrontare l'arena. Siamo tutti sicuri che potrai vincere, ma come pensi di farlo per l'esattezza?-
-Oh, non saprei. Di certo avrò molti sponsor, credo che i favoriti siano interessati a stringere un'alleanza, ma deciderò nell'arena.-
Rispose.
-Sembri molto sicura di te.- Commentò il conduttore.
-Che motivo c'è di fare della falsa modestia?- Deianira fece spallucce; aveva sempre pensato che la modestia fosse inutile, insomma, non c'era motivo di sminuirsi solo per non far soffrire gli altri. Negli Hunger Games, poi, dove la gente moriva, la cosa era doppiamente stupida.
Caesar annuì, come se intuisse i suoi pensieri, poi si rivolse al pubblico con un largo sorriso.
-Non la trovate straordinaria?- Chiese, indicando la ragazza.
La platea si lasciò andare a numerose ovazioni e Deianira incurvò un angolo delle labbra, mentre imitava Caesar che si stava alzando in piedi per salutarla.
Si strinsero la mano e questa volta il presentatore non le fece nessuna moina, limitandosi alla stretta virile che la ragazza gli aveva visto offrire anche al colosso del distretto due.
Soddisfatta, stritolò di rimando le dita di Caesar e uscì di scena salutando Capitol City con la mano e vedendo l'intervista appena sostenuta come l'ennesimo passo che l'avrebbe riportata a casa.

 

Nathan

 

Quando Nathan sentì Caesar ululare il suo nome si passò la mano tra i capelli castani e roteò il collo, come a scacciare la patina di tensione che l'attesa per l'intervista aveva suscitato. La sua ansia non era nata dal fatto che fosse agitato per le domande del presentatore, ovviamente, ma perchè mentre aspettava il suo turno, guardando i tributi degli altri distretti sfilare davanti e dietro le quinte, aveva constatato che quello non era altro che l'ennesimo, logorante modo che Capitol City aveva di tendere i suoi tentacoli intorno al suo collo tentando per l'ennesima volta di soffocarlo.
La sensazione, in definitiva, non era dissimile da quella che aveva provato innumerevoli volte nel suo angolo di pace del distretto quattro, ovvero lo sperone di roccia su il quale si sdraiava a guardare il cielo e i gabbiani, sperando che la libertà degli uccelli gli venisse trasmessa. Cosa che, puntualmente, non accadeva.
-Ehm...- La voce di Caesar gli arrivò esitante dal palco, interrompendo il flusso dei suoi ricordi appena prima che un tecnico esasperato lo spingesse sul palco. -Nathan Lawood...?-
Il ragazzo per poco non si ritrovò per terra e, infuriato per la figuraccia che stava per fare, si raddrizzò, scoccò un'occhiataccia al tecnico e si aggiustò il bevero della giacca attillata che metteva in risalto il suo fisico possente ma slanciato.
Passò sotto i riflettori per dirigersi verso Caesar che, impaziente, stava facendo battute sui ritardatari, e gli giunse davanti, stringendogli vigorosamente la mano.
-Ben arrivato, finalmente.- Gli disse con un sorriso il conduttore.
Nathan si sedette sulla poltrona, con l'eleganza innata che il suo fisico scattante aveva sempre posseduto.
-Mi piace farmi attendere.- Disse, rivolgendo un sorriso indecifrabile alla telecamera dietro di lui, mentre il pubblico applaudiva per il suo tono mellifluo e l'espressione intensa dei suoi occhi cerulei e stupendi.
Il fatto che fosse schifato dalla situazione di prigionia nella quale era invischiato insieme a tutta Panem non comprometteva il fatto che avrebbe voluto restare in vita, per farlo doveva vincere gli Hunger Games e per vincerli gli occorrevano sponsor, che arrivavano, tra le altre cose, con l'intervista.
-Sono sicuro che molti sono felici di aspettare un po' per avere la tua compagnia.- Ammiccò Caesar, che nel corpo perfetto, valorizzato dalla tenuta elegante e nello sguardo perso e incupito del ragazzo vide un'ottima opportunità per far sì che molti sponsor femminili optassero per appoggiarlo.
-Molte, per l'esattezza, al femminile.- Replicò con un ghigno appena accennato Nathan, confermando la teoria del presentatore. Teoria con un fondo di verità, in effetti, perchè l'aura di pensatore maledetto che lo attorniava faceva impazzire le ragazze del suo distretto e, be', lui era pur sempre un adolescente.
Il pubblico ridacchiò e la sua malizia sembrò attorniare il palco, creando un'atmosfera molto particolare.
-Devo intuire che suscitiamo molto scalpore nel distretto quattro, eh?- Incalzò Caesar, facendo l'occhiolino al pubblico.
-Direi di sì.- Rispose Nathan, -ma nulla di serio.- Aggiunse poi, pensando di dare una possibilità alle capitoline smaniose di avere un suo assaggio, incurante di tutti i cuori che aveva infranto a casa con quelle parole.
-Sei quello che si dice uno spirito libero.- Ridacchiò Caesar, imitato dal pubblico.
Nathan si limitò ad inarcare un sopracciglio, guardando gli spettatori di sottecchi, con l'espressione più maliziosa di cui era capace.
Si sorprese nel constatare che la conversazione che stava intavolando non era null'altro che la leggera esagerazione di come appariva anche nel distretto: un diciassettenne bello, con molte ragazze fra i piedi tra cui ne sceglieva occasionalmente una per un'avventura fugace. Che poi dietro a quel viso ben casellato e ai muscoli scolpiti ci fosse un mondo di pensieri complessi e articolati a nessuno importava davvero.
-Bene, molto bene.- Esordì Caesar quando i risolini delle donne del pubblico si furono calmati abbastanza da consentirgli di parlare.
-Parliamo di faccende più serie... quale approccio userai nell'arena?-
-Credo che sarò abbastanza spietato, esattamente come tutti gli altri.- Disse e si sorprese nel constatare che era la verità; se voleva rimanere vivo per essere libero doveva sottostare alle regole dei giochi, anche se la cosa gli faceva venire la nausea.
Per uno che agognava la libertà come lui, quei giochi erano stati uno sputo in faccia da parte dell'universo.
Il pubblico applaudì, perchè se c'era una cosa che amava era vedere un tributo bello che era anche sanguinario.
-Hai qualche tipo di talento?- Incalzò Caesar, di nuovo.
-Sono davvero molto abile con il tridente.- Disse Nathan, poi dalle labbra gli spuntò un sorrisetto. -In più di un senso, direi.-
Il pubblico esplose letteralmente, sghignazzando a più non posso mentre il ragazzo offriva ancora una volta il suo cipiglio intenso e sensuale, sentendosi soddisfatto per come l'intervista stava procedendo.
-Esilarante... esilarante davvero.- Sospirò il conduttore tra una risata e l'altra, asciugandosi una lacrima all'angolo dell'occhio per il troppo ridere. -Direi che nell'arena avrai strada spianata.-
-Lo spero.- Rispose il ragazzo con un altro ghigno malizioso.
In quell'istante, Nathan sentì che davvero sarebbe potuta andare secondo le previsioni di Caesar; in fondo avrebbe potuto andare tutto bene, nell'arena, e lui sarebbe potuto tornare a casa facilmente.
Se lo sarebbe meritato, dopo tutto, visto cosa gli era successo in passato.
Si chiese se un breve scorcio sulla sua storia avrebbe aumentato l'attrazione che i Capitolini già nutivano nei suoi confronti, dopo un attimo di riflessione però decise che non voleva che un altro pezzo di lui fosse alla mercè di Capitol City, quindi tacque, notando poi che, comunque, il suo tempo era quasi terminato.
Ne ebbe ulteriore conferma quando Caesar si alzò e lo salutò calorosamente, prima di lasciarlo uscire dal piccolo mondo frivolo in cui aveva passato quei tre, fruttuosi, minuti.

 

 

 

Angolo di Ted:

Direi che questi tributi piacciono molto a Caesar, e anche a me.
Soprattutto quando si parla di tridenti ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate,
Ted
ps. Non so se l'ho comunicato qui, ma ogni recensione fatta ai capitoli (intro esclusa) vale tre punti, che serviranno per sponsorizzare i tributi nell'arena. Sappiatelo.

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Capitolo 6
*** Mide e Jared- Distretto 5 ***


 

Distretto 5
 

Mide

 Quando il palco fu di nuovo libero e Caesar ebbe annunciato l'ennesimo tributo, finalmente Mide potè uscire dalle quinte per sorridere al conduttore. Non che fosse particolarmente ansiosa di farsi intervistare, ma voleva togliersi il pensiero e l'ansia dal volto, e quale modo migliore di farlo con un sorriso? Sarebbe piaciuto a Capitol City, al suo distretto e, be', anche a lei stessa.
Per questo, quando la ragazza avanzò verso le poltrone, Caesar capì per la prima volta cosa intendeva il suo chirurgo plastico dicendo che il sorriso è l'accessorio migliore di una persona.
La ragazza, avvolta in una lucida stoffa color del cielo fece una piroetta mentre attraversava il palco, ridacchiando in modo radioso per l'applauso del pubblico.
Quando finalmente raggiunse il conduttore si strinsero la mano e si sedettero sulle poltrone. Mide incrociò le gambe come la sua accompagnatrice le aveva insegnato a fare e si scostò dal viso una ciocca di capelli mossi e castani della lunga capigliatura sciolta, che il suo stilista aveva modellato con mani esperte per incorniciare il suo sorriso stupendo. Stesso sorriso che venne esibito ancora una volta davanti alla telecamera che aveva seguito la sua breve sfilata lungo il palcoscenico.
-Be', abbiamo avuto molti tributi attraenti questa sera, ma tu sei raggiante, mia cara!- Esclamò Caesar, complimentandosi.
-Oh, è tutto merito dei preparatori.- Ridacchiò Mide accompagnando le parole con un gesto della mano. -Non sarei mai stata così carina senza le loro mani magiche.-
-Ed invece sono certo del contrario e credo che anche i nostri amici la pensino come me.- Replicò il conduttore, mentre uno scroscio di applausi d'assenso percosse la folla.
Mide rivolse loro un altro sorriso, che accrebbe l'applauso.
Per un fugace attimo immaginò il viso di suo fratello Apollo che scuoteva il capo, costernato; non era mai riuscito a capire come la sorella facesse ad essere così solare e spensierata. Quel pensiero la riscaldò un po', preparandola ad affrontare l'intervista appena iniziata.
-Ma bando alle ciance,- Disse Caesar, riportando l'attenzione alle domane con un sorriso, pregustando già l'eccitazione che il pubblico avrebbe provato nel sentire l'argomento che stavano per affrontare e che, da quando i tributi erano stati sorteggiati, aveva colpito tutta Panem. -passiamo alle domande serie, Artemide cara.-
-Preferisco Mide.- Lo corresse la ragazza.
-Bene, Mide, come ben sai dopo la tua partenza è stata rilasciata un'intervista al tuo mentore, sotto sua richiesta, e, be', ce ne puoi parlare?-
Per un attimo il sorriso della ragazza vacillò al pensiero di quelle dichiarazioni. Il pubblico conosceva già tutta la storia, ma era ovvio che voleva sentire la notizia da parte sua, che era la diretta interessata. La cosa non le piaceva un granchè, così decise di sfruttare le buone reazioni che aveva precedentemente scatenato sorridendo per scuotere la testa.
-A dire il vero non credo di poterlo fare, per me è stato un duro colpo.-
Caesar annuì comprensivo:- Lo immagino, lo immagino, ma perchè non sfrutti quest'occasione per dire come ti senti? Sono sicuro che ti aiuterà.-
Mide sospirò e, dopo qualche attimo, annuì, pensando che, forse, parlare l'avrebbe aiutata se non a riprendersi almeno con gli sponsor.
-Quando è giunto il tempo dei saluti non credevo che parlasse sul serio, il mio mentore, intendo. Insomma, aveva ignorato me e mio fratello per ben diciassette anni e poi, nel momento in cui ci sentivamo più spaventati, è apparso, dicendoci che ci voleva bene e che ci avrebbe riconosciuti come suoi figli, finalmente. Io però non gli ho creduto.-
La ragazza si morse il labbro costringendosi a non piangere per non rovinare lo stupendo lavoro che i suoi preparatori avevano fatto.
Caesar le mise una mano sulla spalla, in modo confortante. -Ma alla fine vi ha riconosciuto per davvero con quell'intervista.- Le disse dolcemente.
Mide annuì. -Sì, lo so, ma è ancora tutto così strano.-
-Ti capisco, mia cara, ti capisco.-
La ragazza tentò un piccolo sorriso che sciolse il cuore degli spettatori e che si esibirono in parecchi sospiri per quella povera ragazza, figlia di una puttana del distretto e di un vincitore pomposo, che, restio a riconoscere lei e il fratello, aveva spedito i bambini in un istituto dove erano stati più i giorni che passavano dal riprendersi dai lividi inflittogli che quelli a vivere come bambini spensierati come conveniva loro.
Caesar lasciò che il pubblico e la ragazza si riprendessero, prima di continuare con le sue domande.
-Perchè non parliamo di qualcosa di più leggero? Tuo fratello, per esempio, sappiamo che gli sei molto legata.-
Mide si riaggiustò i capelli e tornò a sorridere, facendo sospirare di nuovo il pubblico, intristito per la sua storia.
-Sì, gli voglio molto bene. È sempre stato il mio unico amico ed è molto strano considerando che il suo carattere è l'opposto del mio.-
-Cosa intendi?-
-Be', Apollo è molto... chiuso rispetto alle altre persone. È scorbutico e antipatico, un po' attaccabrighe, anche, ma mai con me.-
Caesar annuì. -E come ha preso la tua estrazione alla mietitura? Era felice o...?-
Mide sospirò al ricordo:- Era arrabbiato, molto arrabbiato. I pacificatori non volevano nemmeno permettergli di venirmi a salutare; credo che abbia fatto un po' di... danni, al Palazzo di Giustizia.- Rispose, ridacchiando, o malgrado, alla buffa scena di suo fratello che lanciava oggetti contro chiunque osasse avvicinarglisi e che, al momento di separarsi da lei dopo i saluti, aveva spinto un pacificatore invasivo contro una mensola piena di vasi, che gli si erano rovesciati addosso.
-Be', sembra davvero la tua antitesi.- Commentò Caesar. -Mi viene da pensare che vi completiate a vicenda.-
La ragazza sorrise:- È esattamente così.-
Caesar annuì, poi si portò una mano sotto il mento e inclinò leggermente la testa, assumendo un aria pensierosa. -Come credi che reagirebbe se fosse al tuo posto, nell'arena.-
-Molto male.- Rispose semplicemente Mide, intristita. Non voleva nemmeno immaginare suo fratello nelle stesse condizioni in cui si era ritrovata lei, ma per fortuna Caesar aveva pronta una domanda, per distrarla:
-E tu? Come reagirai all'arena?-
Mide ci pensò per un po'; aveva pensato spesso a cosa fare a giochi iniziati, ma per qualce motivo ognuna delle ipotesi che aveva avanzato le sembrarono sbagliate, così decise di dire la pura verità:
-Non lo so. Credo che cercherò qualche alleato valido e poi... be', chi vivrà vedrà.- Fece una pausa per aprirsi in un sorriso dalle sfumature ironiche. -E sinceramente io spero di vivere.-
Caesar rise, subito imitato dal pubblico.
-Sono certo che ce la farai, che vincerai e che tornerai a casa felice.-
Mide annuì: -Ci proverò con tutta me stessa.-
-E noi faremo il tifo per te.- Aggiunse Caesar, prima di alzarsi in piedi e lasciare che Mide concludesse l'intervista esibendo ancora una volta quel sorriso che l'aveva sempre accompagnata come un amico fedele, malgrado la tristezza della sua vita.

 Jared

 Quando anche l'ultimo scintillio della stoffa azzurra del vestito di Mide si fu dileguato oltre le quinte, quello dorato della giacca di Jared lo rimpiazzò, scatenando un sacco di Ooh e di Aaah di circostanza da parte del pubblico.
Quel capo di vestiario che, ad un occhio esperto sarebbe risultato pacchiano, per gli spettatori, che adoravano il genere, risultò spettacolare e quando Jared si avvicinò a Caesar per stringergli la mano già sulla fronte sembrava che gli fosse stato applicato il marchio di indimenticabile.
Quando entrambi si sedettero Caesar attese qualche secondo prima di fare domande, per lasciare che il pubblico potesse apprezzare l'abilità dello stilista del ragazzo.
-Be',- Commentò infine, quando i mormorii si furono estinti. -direi che quando finiamo qui ti chiederò il biglietto da visita del tuo stilista.-
Jared si limitò ad alzare le spalle come se la cosa gli importasse poco, nascondendo con vera maestria tutta l'irritazione che provava in quel momento. Aveva odiato il suo stilista, così grosso, stupido e pacchiano, dal primo momento in cui aveva proteso i suoi artigli su di lui.
E quella giacca, così come il costume con le pale eoliche sul dorso che gli era stato fatto indossare per la sfilata, era l'esatto opposto di come Jared avrebbe voluto apparire.
Non era un tipo vezzoso, per niente, e nemmeno appariva in tal modo con quei suoi occhi neri sempre vuoti, che non lasciavano trasparire nemmeno una delle emozioni forti di rabbia, ansia e nervosismo che si ritrovava a provare, e di conseguenza a trattenere, troppo spesso.
-Non sembra che ti piaccia molto.- Notò Caesar, inclinando la testa e chiedendosi come un simile capo potesse non colpire, perchè quel ragazzo sembrava davvero indifferente, e non solo alla giacca, ma anche all'intervista, al pubblico e a tutto il resto.
Jared arricciò il naso e il conduttore non seppe se intrpretare quella smorfia come un assenso al commento precedentemente fatto o come l'ennesimo gesto menefreghista.
Si ritrovò a pensare che, probabilmente, lo stilista di Jared si era rivelato molto intelligente confezionando quella giacca così appariscente che, almeno inizialmente, distoglieva l'attenzione dall'aura grigia che attorniava il ragazzo.
Caesar, cui quel tipo di tributi erano sempre risultati molto scomodi, decise di passare subito a parlare di strategia che, solitamente, riusciva a strappare qualche parola persino alla figura più tenacemente silenziosa.
-Non sei molto loquace, da quel che ho il piacere di notare, ma i nostri spettatori sono ansiosi di sapere qualcosa su di te, e su come agirai nell'arena.- Disse, sorridendo.
Jared venne invaso da un nuovo moto di disgusto alla vista delle labbra di quel rosa così acceso e innaturale, incurvate in modo lugubre, così gli ci volle tutta la sua forza di volontà che possedeva per non incrinare la propia maschera di indifferenza.
Dopo qualche secondo in cui riuscì a distogliere lo sgaurdo dal viso di Caesar e a riprendersi, fece un sospiro che suonò molto scocciato e disse, semplicemente:- Ucciderò.-
Caesar lo guardò di rimando, come se aspettasse che aggiungesse altro, ma quando fu chiaro che così non arebbe stato scoppiò in una risata squillante, cercando di far passare l'unica parola pronunciata dal tributo come qualcosa di divertente. Il pubblico lo imitò incerto, ma smise subito notando che l'espressione di Jared non si era nemmeno lasciata andare al più timido accenno di simpatia.
-Stai pensando a degli alleati?- Tentò Caesar, cercando di recuperare la situazione.
Jared alzò le spalle di nuovo, ma alla fine decise di rispondere a quella domanda.
-Poi dovrei ucciderli. Quindi non avrebbe senso.-
Di nuovo Caesar fece passare la risposta per una battuta, ma il pubblico non lo imitò e il presentatore sembrò risultare ben poco sano di mente. Quando se ne accorse, persino sotto lo spesso strato si trucco bianco che aveva sul viso si intravide il rossore delle guance.
-Ehm, molto bene.- Disse quindi in evidente difficoltà, grattandosi la capigliatura accesa. -È evidente che non vuoi rivelare nulla sulla tua strategia, perchè non ci parli del tuo distretto, allora?-
Jared fece roteare gli occhi, lasciando trasparire l'esasperazione che quelle domande gli provocavano; non voleva parlare, perchè Caesar doveva insistere tanto perchè lo facesse? Non era meglio farla finita subito?
-Produciamo energia.- Rispose, con un lungo sospiro.
-E ti manca il tuo distretto?- Incalzò Caesar, lieto di vedere che, anche se in minima parte, Jared cominciava a collaborare.
Subito, però, venne smentito da un'altra alzata di spalle.
-E i tuoi famigliari? Loro ti mancheranno di certo.-
In tutta risposta gli giunse lo stesso, medesimo, gesto.
L'uomo per un attimo pensò di prendere quel tributo antipatico per le braccia e scuoterlo come una bambola di pezza, per sfogare la frustrazione che quell'intervista gli stava suscitando.
Tuttavia, nella sua lunga carriera di presentatore, Caesar aveva imparato a controllarsi, così si ricompose brevemente in un sorriso e guardò di sfuggita i tecnici che gli facevano cenno di resistere ancora per poco prima che il tempo a disposizione di Jared finisse.
Il resto dei minuti a loro disposizione passò con i tentativi del conduttore di far parlare il tributo, che riuscirono ad avere successo solo quando, finalmente, Caesar si alzò in piedi e porse la mano al ragazzo affinchè la stringesse.
-Be', allora buona fortuna.- Gli disse, augurandosi tuttavia di non doverlo affrontare sul palco dopo un'eventuale vittoria.
Jared fece l'ennesima smorfia indifferente, e senza preoccuparsi di stringergli la mano, mosse qualche passo per uscire dal palco, ma prima di farlo si fermò, si tolse la giacca dorata e la lanciò a Caesar che la prese al volo.
-Visto che ti piaceva tanto.- Disse il ragazzo a mo' di spiegazione in tono sprezzante, prima di voltare i tacchi.
Mentre spariva tra le quinte si maledisse mentalmente per aver ceduto alla rabbia, si morse il labbro e si concesse un pugno al muro di cemento dietro al palco che in pochi notarono, o fecero finta di non notare per non incappare nella sua ira che, pochi secondi dopo, tornò ad essere faticosamente trattenuta.

 

Angolo di Ted:
Voglio una giacca dorata.
-Teddy

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Capitolo 7
*** London e Klaus- Distretto 6 ***


 

Distretto 6

 

London

 Dopo aver osservato la giacca dorata lasciatagli da Jared e, dopo qualche secondo, averla indossata tra lo scoppio di ilarità del pubblico Caesar Flickerman fece l'occhiolino alla telecamera.
-Ed ora, madame e messieurs, -esordì -Accogliamo il distretto sei, con la meravigliosa.... London Bridge!-
Puntualmente dalle quinte uscì una ragazza dalla bellezza e dal portamento singolare: una figura alta e slanciata, con le spalle diritte e i lineamenti del viso armoniosi sopra la carnagione chiarissima, tutt'uno con la cascata di capelli bianchi che le pendeva in una complicata acconciatura lungo la schina.
Il vestito lungo ed elegante che insossava, con il suo verde pallido faceva spiccare il colore dei suoi occhi, un grigio intenso intervallato da screziature del colore dell'erba bagnata di rugiada.
Mentre il pubblico tratteneva il fiato ed applaudiva estasiato, London avanzò con passo fermo verso la poltrona delle interviste, sulla quale si sedette con grazia dopo aver scambiato i consueti saluti con il conduttore che, meravigliato, le fece fare una piroetta come se volesse esibire la bellezza esotica di quel tributo a sponsor e spettatori.
-Semplicemente meravigliosa.- Commentò Caesar, imitando la ragazza e sedendosi sulla pelle bianca.
-Grazie.- Gli rispose quella.
-Direi che sei il primo tributo nella storia degli Hunger Games ad aver sperimentato la tinta.- Continuò il presentatore con un'sorriso d'intesa. -Quel colore ti dona, comunque.-
-Non è una tinta.- Disse London, aggrottando vagamente le sopracciglia e prendendo tra le dita una ciocca bianca per esaminarla. -Questo è il mio colore naturale.-
-Be', sei stupenda davvero, mia cara.- Commentò, nascondendo la smorfia che era stata in procinto di arrivargli alla bocca; era l'unico ad esser nato con un infelicissimo color castano topo che l'aveva obbligato a tingersi i capelli innumerevoli volte? Il mondo era un posto molto ingiusto.
-Nel complesso si può dire che tu abbia un aspetto davvero leggiadro.- Aggiunse poi.
London stava per commentare che probabilmente era merito del suo retaggio; i suoi avi provenivano infatti dall'entroterra d'oltre oceano, dove costituivano una delle più importanti casate dell'aristocrazia locale. La sua famiglia era stata obbligata a fuggire a Panem, nel distretto sei, dove viveva attorniata dagli usi e costumi europei contrastanti con la vita locale, in seguito ad uno scandalo che aveva coinvolto una manciata di signorotti d'alto rango di Londra, la capitale europea di cui portava il nome.
Ovviamente tutto questo non poteva essere detto in diretta nazionale, a meno di non volere che Snow (o come tutti sembravano chiamarlo in quel periodo, Rollo) oscurasse gli schermi facendo sfumare le sue probabilità di avere sponsor decenti. Fu per questo che London si limitò ad inclinare leggermente la testa con un vago sorriso.
-Merito dei geni famigliari.- Disse quindi.
Caesar ridacchiò. -A sentirti parlare sembri venire dal distretto dieci, comunque non credo che possa esistere qualcuno di più... singolarmente bello di te.-
Il pubblico fece un applauso d'assenso e a London parve quasi di vedere il fumo uscire dalle orecchie della bionda dell'uno che aveva puntato tutto sulla sua aria da reginetta di bellezza letale. La cosa le piacque enormemente; non tanto per la gelosia della ragazza, quanto per il mero gusto di primeggiare. Ovviamente non lo disse a Caesar, ma coltivò dentro lo stomaco quel piccolo germoglio di felicità indotta dalla superiorità che spesso si ritrovava a provare quando insisteva per avere l'ultima parola ma che, in un contesto come quello dell'intervista, avrebbe dovuto nascondere sotto la sua consueta maschera di brava bambina.
E quale miglior modo di risultare tale che incanalare una sana dose di innocenza nel discorso?
-Oh, lo credi davvero?- Disse sgranando gli occhi con aria innocente.
Il pubblico esplose davanti alla sua umiltà, non capendo la finzione che vi si celava dietro.
-Ma certo!- Tuonò il conduttore.
Lasciò che lo scroscio di applausi inteneriti continuasse per un discreto lasso di tempo prima di portare- finalmente- la conversazione su piani più seri.
-Ma passiamo oltre, ti va?- Esordì. -Cosa ci puoi dire di te? Quali sono le tue passioni, le tue abilità?-
London si chiese brevemente come rispondere a quella domanda. Aveva scoperto un'innata predilezione per trappole e armi pesanti durante l'addestramento, ma non era sicura di voler rivelare quel talento che aveva conservato in segreto*, quindi si limitò ad incurvare leggermente le labbra in un sorriso ermetico e, a suo modo, innocente.
-So suonare il violoncello.- Disse. Non era vero, ma sperò che quelle parole ingannassero tanto gli altri tributi quanto gli spettatori che sarebbero stati di certo sorpresi nel constatare, a giochi iniziati, che le sue abilità erano ben altre.
Caesar scoppiò in una risata, imitato subito dal pubblico. London continuò nella sua piccola recita stringendosi nelle spalle con aria imbarazzata ma pur sempre composta, come se non capisse il motivo di tutta quell'ilarità.
-Quindi ci dobbiamo aspettare che nell'arena tu inizi a fare strage suonando?- Le chiese Caesar con un sorriso gentile, quand'ebbe finito di ridacchiare.
London sgranò gli occhi, come se ci stesse pensando davvero:-Be', perchè no?-
Altre risate impazzarono mentre la ragazza faceva vagare i suoi occhi fintamente innocenti sulla platea complimentandosi con se stessa per aver passato a pieni voti l'intervista come si era prefissata.

 

*Sembra contraddittorio, ma verrà spiegato in seguito, abbiate fede.

 

Klaus

 

-Ottima performance.- Disse, sarcastico, a London con una smorfia strafottente e arricciando l'angolo del sottile labbro superiore in un atteggiamento quasi schifato quando la ragazza gli passò accanto con un sorrisetto soddisfatto dopo essere uscita di scena. Nel sentire quelle parole London si voltò brevemente verso il compagno, lo guardò dolcemente e chinò il capo in una riverenza mentre al contempo alzava elegantemente il dito medio.
-Muori, Klaus.- Gli disse, prima di voltargli le spalle per raggiungere la loro accompagnatrice. La donna alzò i pollici come segno di incoraggiamento per il suo tributo, che non la degnò di risposta e si voltò verso le luci del palco, infastidito anche solo dalla presenza di quella stupida capitolina.
Presto Caesar pronunciò la sua battuta d'entrata e Klaus si ritrovò ad avanzare con passo lento e austero, quasi da predatore, aggiungendovi il suo solito cipiglio strafottente che, insieme all'accenno di barba dei suoi diciassette anni e dei capelli scuri un po' lunghi legati sulla nuca, completava la sua immagine.
Se London aveva optato per indossare la sua eterna maschera da signorinella per bene, Klaus aveva deciso di fare il contrario; sarebbe stato se stesso.
-Ben arrivato!- Esordì il presentatore stringendogli la mano e dandogli una pacca sulla spalla, che il ragazzo ricambiò inarcando appena il sopracciglio, come a commentare in modo pungente quel gesto entusiastico. Se Caesar avava notato tutto ciò e ne era infastidito non lo diede a vedere e ben presto entrambi si accomodarono sulle poltrone.
-Bene! Iniziamo con le domande, Klaus, ti va?- Esordì dunque, sempre con quell'eccesso di entusiasmo che il ragazzo odiava.
-Posso fare altrimenti?- Biascicò, facendo ridacchiare il pubblico fin da subito, il che non era male considerando che aveva in mente di fare un commento cattivo.
-Be', effettivamente no.- Ridacchiò. -Perchè non ci parli di te, del tuo distretto, della tua famiglia?-
Klaus sospirò:-Ti pagano per intervistarmi, Flickerman, non per farmi fare un monologo.- Disse ed altre risate scossero la folla. Era bello vedere che qualcuno apprezzava il suo umorsmo (se fare osservazioni maligne poteva essere considerato tale).
Caesar ridacchiò ancora, nascondendo il fatto che fosse palesemente scocciato dall'arroganza dei tributi di quell'edizione.
-Bene, partiamo dalla tua famiglia.- Replicò quindi, sperando che il tono usato non fosse troppo rude. -Come hanno preso la tua estrazione alla mietitura?-
Klaus decise di evitare un'altra delle sue battute acide di repertorio per rispondere in modo crudelmente veritiero, in barba al fatto che i signori Wreisht- i suoi- avrebbero subìto le occhiate orripilate di tutto il distretto:
-Oh, piuttosto bene in verità. Si sono premurati solo di ordinarmi di vincere e di ammazzare la mia compagna di distretto.- Si interruppe per sporgersi un po' verso Caesar come se stesse per rivelargli un grosso segreto. -Sai, le nostre famiglie sono molto opportuniste.-
A quel commento Caesar assunse un'aria interrogativa -Intendi dire che sono rivali?-
-No, proprio opportuniste. Vedi, quando avevamo otto anni io e quella... sì, insomma, quella lì, siamo stati promessi. E alle visite poi i miei mi hanno detto di ucciderla e, be', sono certo che anche i Bridge avranno fatto lo stesso; si sa che in verità non si sono mai sopportati, i nostri genitori. Come ti sembra questa cosa?-
Caesar che, come tutto il resto di Panem, era rimasto interdetto da quelle parole scosse la testa, come a schiarirsi le idee.
-Be', è davvero terribile.- Commentò.
Klaus guardò brevemente il pubblico con un sopracciglio inarcato, immensamente felice nel constatare che aveva appena gettato fango sulla reputazione dei suoi. Tuttavia tenendo il discorso su quel piano rischiava di non concludere nulla per gli sponsor, così si limitò a ribattere alle parole di Caesar con un:- Detto da uno che indossa una cazzo* di parrucca rosa è tutto dire.-
La battuta strappò qualche risatina e ben presto il clima di ilarità iniziale tornò ad avvolgere il palco.
-Devo dedurre che tu e London non siate in ottimi rapporti.- Disse quindi Caesar, ignorando la frase a suo discapito.
-Decisamente no. Quella ragazza è una lurida puttana.- Affermò convinto Klaus.
Quelle parole strapparono mormorii scandalizzati e straniti dal pubblico ed anche Caesar turbò la sua perenne aura di sensibilità per lasciarsi andare ad uno sguardo scandalizzato.
-Come prego?-
-Ma sì, una puttana, una troia, una zoccola. Come le chiamate qui a Capitol City?-
Caesar lasciò cadere una mascella. In quel momento capì di aver visto tutto nella sua carriera di presentatore.
-Noi a Capitol City non...- Si bloccò con un sospiro; aveva la sensazione che cercare di spiegare a quel tributo che non poteva usare quel linguaggio in diretta non fosse possibile, così si limitò a fare il suo lavoro alla meno peggio. -Perchè dici così?- Chiese quindi.
-Diciamo pure che si è scopata il fratello.-
-Il tuo?-
-No, no, il suo.-
Nei secondi successivi il pubblico andò in delirio, sperticandosi in commenti che Klaus bevve avidamente con un sorriso soddisfatto stampato in faccia. Era così lieto di osservare le reazioni dei Capitolini e di Caesar, che tentava di calmarli, che non si curò della percentuale sempre più bassa di sponsor che stavano valutando il suo caso e nemmeno del fatto che qualcuno era riuscito a passare oltre la sorveglianza per dirigersi lungo il palco con il viso rosso di rabbia e un vestito verde svolazzante. Almeno fu così fino a quando London non gli si parò davanti, sotto lo sconcerto di conduttore, pubblico e membri della sicurezza, per afferrare Klaus per la collottola, alzarlo dalla sedia e rifilargli un violentissimo calcio nel basso ventre che lo lasciò senza fiato e dopo un secondo lo fece cadere in ginocchio e quindi di lato, sul pavimento, respirando a fatica.
Per buona misura London gli diede anche un calcio sulla testa e, soddisfatta della sua opera lasciò quindi che la sicurezza la trascinasse via e i tecnici sgomberassero il palco da quella feccia sotto lo sguardo completamente basito di Panem.
Avrebbero passato guai seri, quei due, ma era inutile dire che l'unica cosa che importava loro era la reciproca vendetta.

 

*Inserimento di volgarità per volere dell'ideatrice, se avete problemi con la cosa sono cavoli vostri.

 

 

 

 

Angolo di Ted:

Probbailmente l'avrete notato ma la seconda intervista completa la prima, in un certo senso. Be', volevo provare a sviluppare la cosa in questo modo.
Detto questo, quanto amo 'sti due? Troppo, davvero troppo.
Ditemi se la pensate come me,
Teddy

 

 

 

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Capitolo 8
*** Persephone e Ted- Distretto 7 ***


 

Distretto 7
 

Persephone


Quando Caesar la attirò a sè per baciarla sulla guancia il viso di Persephone si contrasse in una smorfia, il viso le si arrossò e le unghie, che i suoi preparatori avevano fatto tanto per curare, le si conficcarono nei palmi delle mani, mentre cercava di trattenersi dal reagire in modo violento a quel contatto. Se c'era qualcosa che proprio non poteva sopportare, infatti, era la dolcezza, quel modo stucchevole e zuccheroso di finire le frasi con un cipiglio compassionevole, di prendere la mano delle persone, di abbracciarle e salutarle con un bacio. Si trovava terribilmente a disagio ogni volta che tutto ciò accadeva, e quando si trovava a disagio si arrabbiava, e quando si arrabbiava diventava violenta.
E non sarebbe stata una bella mossa strangolare Caesar Flickerman durante la sua intervista. Anzi, magari lo sarebbe stato, perchè sarebbe passata come quei favoriti cattivi del due, ma il palco era appena stato sgombrato dai tributi rissosi del sei e un altro scoppio di rabbia non sarebbe stato molto originale.
Fu per questo che Persephone si limitò a scostarsi dal conduttore il più velocemente possibile per lasciarsi cadere sulla pelle bianca della poltrona. Sentì tendersi su di sè gli sguardi di pubblico e telecamere, sguardi che la fecero sentire inquieta e che le fecero assottigliare gli occhi quando guardò verso Caesar, in attesa di rispondere alle sue domande.
-Spero che quei... ehm, piccoli problemi tecnici non ti abbiano fatto pesare troppo l'attesa.- Esordì Caesar, riferendosi a quanto successo tra i tributi del distretto precedente.
Persephone si scostò i capelli castano chiaro dal viso, facendo una smorfia infastidita quando le maniche del vestito nero e attillato che le avevano fatto indossare per mettere in mostra le sue curve le resero impossibile portare in alto il braccio.
-Non proprio.- Rispose, a dire il vero la scena di quei tributi che si malmenavano l'aveva fatta sorridere, anzi, l'aveva fatta ghignare; come il suo mentore le aveva fatto notare, lei non era capace di sorridere, ghignava e basta.
-Be', molto bene, molto bene. Inziamo allora.- Disse Caesar battendo una volta le mani, come se con il suo entusiasmo volesse disperatamente far dimenticare al pubblico il pandemonio appena accaduto. -Come ti trovi a Capitol City?-
-Bene.- Rispose seccamente Persephone. -È molto più ricca del distretto sette.-
Il tono di accusa nella sua voce non venne percepito dai capitolini, che annuirono, provando un moto di dispiacere per quella ragazza che veniva da tanta povertà. Notando tutto ciò, Persephone si morse un labbro, trattenendosi a stento dall'urlare; doveva trattenersi, almeno solo per l'inervista.
Caesar che, notando l'espressione in quegli occhi nocciola così difficili da guardare, aveva intuito l'indignazione del tributo si affrettò a cercare un'altra domanda cui farle dare una risposta che non avrebbe portato ad un altro spargimento di sangue.
-E degli allenamenti cosa ci dici?- La indicò con un gesto della mano, come a sottolineare il profilo
dei muscoli scattanti sotto la stoffa del vestito. -Qual'è la tua specialità?-
-Armi da taglio.- Replicò Persephone, felice di potersi distrarre. -Coltelli, soprattutto. E, be', non credo che rivelarvi il resto sia una mossa saggia.-
Caesar le sorrise con aria comprensiva. -Sembri molto allenata, comunque. Qual'era la tua occupazione, nel distretto sette?-
Prima di rispondere a quella domanda esitò:- Vado...andavo a scuola, come tutti.- Disse, infine, con tono quasi cauto.
-E la tua famiglia?- Incalzò l'altro di rimando.
-Vivevo con mia madre, Abèlle. Noi siamo... eravamo felici.-
Rispose, sentendosi d'un tratto terribilmente arrabbiata; stava davvero parlando di sua madre mentre tutta Capitol City ascoltava? Stava davvero condividendo una parte così importante di se stessa con le persone che l'avrebbero guardata morire? Digrignò i denti e strinse le mani a pugno, lasciando che l'ira la invadesse e sperando che passasse oltre.
Caesar, notando la sua reazione, fece qualche battuta che lei non sentì, tutta concentrata a trattenersi com'era, ma che fece ridere il pubblico e le diede il tempo per riprendersi quel tanto che le permise di tornare ad ascoltare le domande del presentatore. Decise, comunque, che se quell'uomo avesse voluto indagare sul suo passato, su di lei, su sua madre e su tutto quello che era venuto prima, l'avrebbe ucciso sul posto, in barba alle regole, ai tributi del sei, e agli sponsor.
Caesar, comunque, quando gli occhi nocciola di Persephone persero la scintilla animale, si tenne ben lontano dal discorso famiglia, spulciando nel suo vasto repertorio di domande per evitare qualcosa che potesse far infiammare l'intervistata.
-Perchè non ci dici qualcosa sull'Arena? Cosa ti aspetti da questi giochi?-
Come tanti altri tributi Persephone aveva riflettuto a lungo su quale scenario le si sarebbe potuto presentare davanti, una volta che la sua piattaforma di lancio l'avesse portata davanti alla Cornucopia, ma non sapeva dire cosa veramente si era aspettata.
-Di tutto.- Rispose quindi. -Mi aspetto di tutto.-
-Quale scenario sarebbe quello più... confortevole, per te?- Caesar, felice di essere riuscito a distrarre la ragazza dai suoi istinti probabilmente omicidi, riuscì anche a farle un sorriso di incoraggiamento.
-Ovviamente mi piacerebbe un bosco, come quelli del sette. Per Ted e me sarebbe facile sopravvivere lì.- Rispose Persephone con le sopracciglia aggrottate e l'aria meditabonda; sì, un bosco avrebbe proprio fatto a caso suo.
-Per Ted e te?- Chiese Caesar. Quando la ragazza alzò il suo cipiglio corrucciato, trovando un' espressione stranita eppure in qualche modo divertita sul viso di Caesar, non potè evitare di innervosirsi per quello che l'uomo sembrava supporre.
-Sì, Ted, il mio compagno di distretto, ed io abbiamo intenzione di allearci. È un reato?- Replicò, aggressiva, quasi sputando le parole.
-No, no.- Si affrettò a dire l'altro, inarcando leggermente la schiena all'indietro, come a mettere distanza tra sè e la ragazza, vagamente deluso dal fatto di non poter inculcare anche una storia d'amore in quel set di interviste.
-Sarà meglio.- Borbottò Persephone, tornando ad appoggiarsi allo schienale della poltrona con una nuova smorfia sulle labbra nel sentire il vestito tirarle sull'addome a quel gesto.
Fortunatamente, prima che Caesar potesse pensare ad un'altra domanda che non facesse scoppiare d'ira il tributo, un tecnico gli fece segno di porre fine all'intervista.
Allora il conduttore si alzò, porgendo la mano alla ragazza perchè facesse lo stesso. Persephone accettò l'aiuto, solo perchè non sapeva bene quanti movimenti sarebbe riuscita a fare strizzata dalla stoffa nera, comunque, per vendicarsi di Caesar e dal fatto che l'intervista l'aveva innervosita, si premurò di salutarlo con una stretta di mano che lasciò al conduttore le dita doloranti per parecchi minuti.

Ted

 A Persephone successe il già citato Ted, un ragazzo alto e robusto, con una carnagione chiara, che risultava quasi pallida in contrasto con i capelli neri e le pozze scure degli occhi. Malgrado avesse un aspetto quasi austero, quando Caesar lo vide entrare non potè fare a meno di trovarlo... insolito; con quell'espressione rilassata e l'abito verde acceso ricamato finemente ad alberelli dorati sembrava il personaggio di una qualche vecchia storia andata perduta.
-Che piacere!- Disse Caesar, dando una pacca sulla spalla del ragazzo ed evitando di stringergli la mano per via delle dita lasciate indolenzite da Persephone.
-Piacere mio.- Replicò l'altro, con un sorriso, prima di sedersi.
Caesar fece lo stesso, sorridendo, felice che quel tributo- abiti a parte- sembrasse una persona normale.
-Allora, Ted,- Esordì quindi. -Parlaci di te, come hai vissuto l'emozione di essere sorteggiato?-
Il ragazzo inclinò la testa all'indietro e ridacchiò. Caesar si scoprì davvero felice che la sua reazione fosse positiva, dopo tutti quei tributi nervosi.
-Direi molto bene, insomma, non capita tutti i giorni di essere sorteggiati per un gioco nel quale o ammazzi la gente o vieni ammazzato, no?-
Caesar rise, imitato dal pubblico, troppo contento per il carattere mite di Ted per notare il sarcasmo, anche se era palese.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio e socchiuse le labbra, nella sua tipica espressione di quando non capiva qualcosa; si era aspettato qualche risatina dubbiosa, di certo non lo scroscio di ilarità suscitato.
Con un'alzata di spalle scosse la testa e si passò la mano tra i capelli neri, scompigliandoli.
-Sei molto divertente, ragazzo.- Concesse Caesar, facendo un respiro profondo alla fine della risata.
-Ehm, grazie.- Replicò Ted, con un piccolo ghigno; non poteva credere che Capitol City avesse davvero preso quello che aveva detto come una battuta innocente.
-Ma passiamo a discorsi più seri.- Caesar assunse un'espressione molto penetrante. -Come pensi di comportarti nell'Arena?-
Ted liquidò la questione con tono noncurante, chiedendosi perchè il presentatore si ostinasse a fare domande sulla strategia dei giochi dato che nessuno rispondeva mai in modo dettagliato.
-Oh, mi inventerò qualcosa quando ci sarò dentro.- Rispose quindi.
-Persephone, la tua compagna del sette, sostiene che sarete alleati.- Commentò il presentatore, che ancora sperava di veder sbocciare l'amore tra qualche tributo; dopo la rissa tra quelli del sei ci sarebbe stato proprio bene.
-Oh, sì.- Rispose il ragazzo con un piccolo sorriso. -Percy ed io abbiamo deciso che in due si vivrà di più.-
Caesar inarcò un sopracciglio. -Percy?- Chiese. -È una specie di nomignolo o...?-
Ted ridacchiò. -Oh, no, nulla di simile. È solo che lei lo odia ed io mi diverto a vederla arrabbiata.-
L'uomo fece un sorriso incerto:- Sei abbastanza masochista, Ted.-
Il pubblico rise e il ragazzo fece lo stesso, annuendo.
-Ma passiamo oltre, ti va?- Continuò Caesar quando gli applausi si furono spenti. -Perchè non ci parli del distretto sette? Ti manca?-
Ted scrollò le spalle. -Per niente, in fondo lì ho solo lasciato la mia famiglia che probabilmente non rivedrò più. Che vuoi che sia?- Fece una smorfia quando sentì il tono sarcastico cedere sulle ultime parole, facendo trapelare quel velo di tristezza che accompagnava i tributi e che Ted era parso non possedere fino a poco prima, dato il suo modo di fare spensierato.
Il pubblico scoppiò in un applauso dispiaciuto e al ragazzo sembrò abbastanza da ipocriti, considerando che erano stati proprio loro ad allontanarlo da casa.
Quando infine Caesar gli posò una mano sul ginocchio, in un gesto compassionevole, Ted trasalì, rendendosi d'un tratto conto di qual'era l'impressione che stava dando ai suoi eventuali sponsor: non voleva passare per il tributo nostalgico e molliccio di turno, quindi ritrasse gentilmente, ma con fermezza, la gamba alla presa di Caesar e cambiò discorso.
-A proposito del mio distretto, sai per cosa mi tornerà utile esser nato nel sette?-
Il conduttore scosse la testa. -No, per cosa?-
-Per le piante. Nell'arena ci sono sempre piante, ed io so riconoscerle. Nella scorsa edizione sono morti un sacco di tributi per aver mangiato quei frutti velenosi che ti gonfiano la lingua fino a soffocarti e, be', a me non succederà la stessa cosa, a differenza degli altri.-
-Vero.- Commentò l'altro. -Potrebbe tornare a tuo vantaggio.-
-Oh, lo farà di sicuro.- Riprese Ted, dopo aver riflettuto un attimo aggiunse, quasi a compensare il momento di "debolezza" in cui era caduto appena prima. -Anzi, sai che ti dico? Potrei anche arrivare a vincere.-
-Potresti?- il conduttore fece una risata. -Io ne sono sicuro!-
Ted sorrise, perchè, anche se Caesar lo diceva a tutti i tributi, la possibilità gli sembrò reale e forse avrebbe potuto mantenere la promessa fatta alla sua famiglia prima di partire per Capitol City: sarebbe tornato.

 

Angolo di Ted (Ted io e non Ted lui):

Allora, questo capitolo è stato un vero travaglio, soprattutto per quel beneamato ragazzo.
Spero che sia piaciuto alle ideatrici, perchè la prima versione era abbastanza penosa. Sono abbastanza in ansia di sentire che ne pensano.
E poi era da un po' che non finivo con una frase sulla vittoria ed io adoro le frasi sulla vittoria.
-Teddy
Ps. Da notare Sissy che shippa Percy e Ted.

 

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Capitolo 9
*** Piccoli assassini crescono: D'1>D'7 ***


 

Piccoli assassini crescono

da D' 1 a D'7

 

Parte I
I favoriti e la "Questione-Coco" 

Eyelyner aveva capito che Coco non sarebbe stato un suo alleato fin da quando l'aveva affiancata durante la mietitura.
Quel ragazzo era strano e si era capito dallo sguardo terrorizzato dei suoi occhi mentre saliva di sua spontanea voltontà sul il palco dopo essersi offerto volontario. Insomma, se ti offri come tributo per gli Hunger Games puoi essere emozionato, eccitato, entusiasta, magari un po' preoccupato ma non impaurito. Se ti offri volontario sei tutto meno che impaurito, soprattutto se vieni dal distretto uno.
La prima impressione che Coco aveva fatto a Lyn non era stata delle migliori, e se poi ci aggiungiamo la seconda impressione, ovvero quella in cui le urla del ragazzo si erano fatte sentire fin nella stanza dove la ragazza attendieva i saluti, ed una terza, durante la quale Lyn e suo padre-uno dei mentori del distretto uno- avevano osservato con una smorfia di disgusto gli occhi rossi di pianto e il naso sporco di moccio di Coco, è facile intuire che il loro rapporto non andasse oltre alla condivisione del numero ricamato sulla tuta dell'allenamento.
Lyn lo sapeva bene, al contrario di James, Del, Nathan e Deianira, gli altri favoriti, che, malgrado le parole della ragazza, avevano voluto fare la conoscenza di quello strano soggetto che era Coco.
I ventiquattro tributi di quell'edizione erano sparsi per la grande sala che ospitava gli allenamenti. Se i numeri che portavano su petto e schiena non fossero bastati a capire chi aveva probabilità di vincere rispetto a chi non ne aveva, sarebbe bastato osservare le postazioni che quel manipolo sconclusionato di ragazzi occupava.
I perdenti, quelli che sarebbero rimasti uccisi nel bagno di sangue, si erano rintanati nelle postazioni di mimetizzazione, nodi e tutte le altre cose inutili che non servivano ai forti, raggruppati intorno alla parete d' arrampicata o alle postazioni per le prove delle armi, e men che meno a loro, ai favoriti, che, circondati da una piccola corte di manichini, si divertivano un mondo a trafiggerne il lattice, litigando di tanto in tanto tra loro per il colpo migliore, ben attenti a non sfociare mai sullo scontro fisico come il regolamento imponeva.
Lyn era, come ci si aspettava da lei, una di quei favoriti. Stava cercando di capire se la sua lancia potesse trapassare completamente il petto del suo avversario di lattice, sempre attenta a squotere i capelli nel giusto modo per far sì che gli strateghi che presenziavano all'allenamento si ricordassero di lei, quando James, il colosso del due, le si avvicinò alle spalle con espressione arrogante per lanciare un coltello dritto al centro della testa del manichino sfiorandole di qualche centimetro l'orecchio destro.
-Ehi!- Protestò Eyelyner, voltandosi di scatto e lasciando penzolare la lancia dal torace della vittima. -Qui mi sto allenando io.-
James le diede una gomitata che la spostò di lato. -Non più.- Ghignò, estraendo un secondo coltello che venne velocemente spedito a far compagnia al primo.
Lyn digrignò i denti, affondandosi le unghie curate nei palmi delle mani per evitare di saltare addosso a James e ucciderlo sul posto.
Era ovvio che non poteva mostrare debolezza e cercarsi semplicemente un altro manichino, così decise di vedere quanto tempo ci avrebbe messo James a capire che doveva sloggiare, estraendo con un solo colpo la lancia dal lattice, per tornare subito dopo a colpire lo stesso punto, incurante dei coltelli che le volavano a poca distanza dalla testa.
-Sei venuto qui perchè volevi qualcosa di particolare o semplicemente per vedere quanta idiozia riesco a sopportare?- Gli chiese, usando un tono dolce e ammaliante che, seppur contrastando con le parole appena pronunciate, Lyn era certa che la facesse sembrare ugualmente cattiva e bella.
James le rispose con una smorfia indifferente. -Mi chiedevo come mai il distretto uno facesse così pena quest'anno.-
Lyn prese quella risposta come un'offesa molto pesante; le stava forse dicendo che era una pessima combattente? Solo quando il ragazzo indicò con la lama di un coltello la postazione per accendere il fuoco, dove un solitario Coco sfregava insieme due legnetti senza produrre il minimo sentore di fumo, comprese che l'offesa non era riferita a lei. Non del tutto almeno.
-È meglio lasciarlo perdere.- Disse, con una smorfia, al ricordo dello strano atteggiamento che il suo compagno aveva assunto ogni volta che era stata costretta a stargli vicino.
-Secondo me vuoi solo liberarti di lui per avere tutta la gloria.- Commentò James. -Anche Del e Nathan insistono per chiedergli se...-
-Oh, certo, perchè sembra davvero minacciare la mia brafura.- Roteò gli occhi e aggiunse:- Ma se vuoi andare lì e presentarti come il più penoso degli sfigati fai pure.- Lo interruppe l'altra in modo altezzoso.
-Bella stronza.- Mugugnò James in tutta risposta prima di lanciare l'ennesimo coltello.
Lyn fece finta di non aver sentito e dopo aver fatto roteare gli occhi di nuovo puntò il piede sul manichino e fece leva per estrarre nuovamente la lancia.
-Comunque,- Replicò infine, inclinando la testa da un lato e sbattendo le ciglia. -Se Del e Nathan riescono a far diventare favorito quel tipo giuro che risparmierò loro la fatica di tentare di uccidermi e mi farò saltare in aria davanti alla cornucopia.-
Detto questo girò i tacchi e si incamminò ancheggiando lievemente verso il manichino che Deianira, l'unica favorita non menzionata da James, stava infilzando per vedere se, nel gruppo dei favoriti, c'era qualcuno con un minimo di buon senso che le prestava attenzione.

-Allora?- Chiese Del, non appena James fece ritorno da lei e Nathan, che stavano colpendo due manichini vicini rispettivamente con spada e tridente. -Che ha detto la biondona laggiù?-
Il ragazzo ignorò le parole della compagna per rivolgersi a Nathan, che fissava con un ghigno leggero le ferite appena inferte al manichino, nascondendo con abilità quelli che erano i suoi reali pensieri. -Non so se essere più colpito dal suo caratteraccio o dalle sue...-
-Ehm ehm.- Intervenne Del, schiarendosi in fretta la gola e grattandosi imbarazzata la tempia con la punta della spada. -Possiamo evitare questo tipo di commenti in mia presenza?-
-Ha parlato quella che ha fatto la sfilata senza costume.- Borbottò James, al ricordo.-
Del arrossì di rabbia, pronta a spiegare che non aveva nessuna intenzione di presenziare a commenti a sfondo sessuale sulle doti di Eyelyner, ma Nathan la battè sul tempo.
-Comunque,- Disse. -che ha detto sul ragazzo dell'uno?-
-Niente che non avesse detto ieri a pranzo.- James fece una smorfia. -Che è inutile e che con noi favoriti non centra nulla.-
-Io rimango del parere che abbia paura che le rubi la scena. Voglio dire, è una cosa che mi aspetto dai tributi come lei. Vedrete che non appena saremo nell'arena cercherà di fare la stessa cosa con noi.- Disse Del, rifilando un colpo svogliato al manichino che, comunque, riportò una ferita sulla clavicola che se fosse stata inflitta a un tributo l'avrebbe di certo ucciso.
James ci pensò un secondo, indeciso.
-Non saprei... è stronza, ma non così tanto da bruciarsi un'alleanza come la nostra in partenza. Insomma, sarebbe il primo anno in cui i favoriti si separano...-
-Se mai è lei a separarsi.- Del aggrottò le sopracciglia. -Chi altri la imiterebbe?-
Per tutta risposta James indicò Deianira, che giusto in quel momento stava annuendo con convinzione a qualcosa detto da Lyn, che la affiancava. Anche da quella distanza la si poteva vedere con un piccolo ghigno sulle labbra rosse.
-Deianira?- Fece Del con una smorfia. Non credeva possibile che qualcuno si alleasse da solo con Eyelyner. Per lo meno lei non lo avrebbe mai fatto, probabilmente perchè sarebbe stato un suicidio: Lyn era quel pericoloso tipo di tributi che tendono a rubare la scena, e se qualcuno ti ruba la scena durante gli Hunger Games, be', gli sponsor si disnteressano e tu sei finito.
-Non è un problema, quella.- Intervenne allora Nathan.
Si era limitato a scambiare poche parole con i compagni da quando si erano seduti vicini al tavolo per il pranzo e molto spesso i suoi alleati del due dimenticavano che anche lui poteva avere un parere riguardo agli argomenti trattati. Probabilmente era solo questo aspetto che lo salvava dal venir reputato una minaccia pari a quella di Eyelyner, considerando che anch'egli era di aspetto a dir poco piacevole.
-Perchè?- Volle sapere Del.
Nathan si limitò ad incurvare le labbra in un sorriso ermetico. -Fidatevi di me.-
James scambiò uno sguardo confuso con la compagna. "Fidarsi" era una parola poco contemplata durante i giochi, ma entrambi furono concordi sul fatto che, anche volendo, non potevano affrontare la questione davanti a Nathan.
-Quindi con Coco come ci comportiamo?- Chiese quindi James.
-Facciamo come dice Lyn e lasciamolo perdere.- Propose l'altro. -In fondo, guardatelo, passa tutto il suo tempo ad accendere fuochi, quando può essere bravo?-
James e Del non poterono che acconsentire.

Parte II
Edgy e Mide, aspiranti favorite.

Se c'era un'antitesi perfetta ai favoriti quella era costituita da Edgy e Artemide, tributi femminili rispettivamente del distretto tre e del cinque. Malgrado ciò, però, quella coppia di tributi, benchè separata da una discreta quantità di postazioni, aveva un obiettivo comune: fare colpo, e non su un gruppetto sparuto di tributi mal organizzato e senza sponsor, ma sui favoriti. Entrambe, per fare ciò, avevano ideato dei veri e propri piani: Edgy, si era caparbiamente limitata a fare nodi e trappole alle omonime postazioni, timorosa di inciampare vicino ai poligoni di tiro con l'arco e finire come bersaglio per i favoriti con cui sperava di allearsi.
Per Edgy pensare a questo genere di tragicomici scenari era del tutto normale considerando che era tutta la vita che conviveva con una coordinazione occhio-mano, occhio-piede ed occhio-qualsiasi altra parte del corpo praticamente nulla.
Aveva così pensato di esibire il suo miglior arsenale di trappole, sperando che qualche favorito buttasse l'occhio nella direzione della postazione e rimanesse tanto sorpreso dalla sua abilità da avvicinarlesi e chiederle un'alleanza. Cosa che, ovviamene, non era successa.
Perchè Edgy voleva allearsi proprio con il manipolo di colossi e miss di turno rimaneva un mistero che, comunque, a pensarci bene, poteva essere semplicemente risolto considerando che un'alleanza con i favoriti era il modo più facile e veloce per arrivare tra gli ultimi otto. Era anche il più pericoloso, ma la mente di Edgy era ben oltre questo.
Nella sua testa già si era prefissata una lista di obbiettivi da portare a termine per quell'alleanza. Come memorizzare il maggior numero di erbe commestibili e trucchi per accendere il fuoco, sperando che, se i favoriti fossero rimasti senza viveri dalla cornucopia, lei avrebbe potuto salvarli con le sue doti e conquistarsi la loro fiducia. In quel frangente si era ampiamente impegnata il giorno precedente, mentre ora si dedicava al secondo punto: tentare di impressionarli. Per il momento non stava funzionando, ma comunque quello non era un punto essenziale al compimento del suo scopo. Tutto il resto dei punti che si era prefissata avevano bisogno dell'arena, come scenario, quindi per il momento non poteva fare molto di più di quello che già faceva.
Con un sospiro alzò gli occhi dall'ennesimo nodo che le sue mani abili avevano prodotto, sperando di incrociare quelli aitanti dei tributi della pesca o di quella dell'uno, oppure quelli spietati del gigante del due o, ancora, quelli vagamente crudeli della compagna di quest'ultimo.
Ovviamente, non ottenne risposta.
Per Mide fu la stessa identica cosa, anche se la ragazza si era limitata a scoccare frecce ai bersagli per tutta la durata degli allenamenti.
La sua strategia per far colpo era molto diversa da quella pacata di Edgy; Mide aveva intenzione di rimanere nell'ombra fino all'inizio dei giochi, nei quali avrebbe preso vivacemente parte al bagno di sangue, uccidendo chiunque si avvicinasse ai favoriti, che, in qualche modo, avrebbero dovuto ringraziarla. Se le andava bene quel "grazie" sarebbe arrivato sotto forma di alleanza, se le andava male avrebbe costituito qualche secondo di vantaggio per scappare prima che i favoriti iniziassero a rincorrerla.
In quest'ultimo caso Artemide aveva pensato di essere abbastanza veloce da scappare, ma a dire il vero, circondata dalla sua aura di ottimismo roseo non aveva preso davvero in considerazione la cosa, anzi, era abbastanza sicura che le sarebbe bastato aiutare i favoriti alla cornucopia per entrare a far parte del club.
Aveva preso vagamente in considerazione l'ipotesi che uno di quei ragazzi cercasse di ucciderla prima che avesse occasione di aiutarlo, ma la cosa, nella sua testa almeno, si era risolta con lei che sorrideva al favorito di turno e gli spiegava quanto le sarebbe piaciuto aiutarlo.
Nel complesso era un piano molto infantile, quasi sciocco, ma Mide contava sul fatto che fosse proprio la sua semplicità disarmante ad aiutarla, descrivendo una strategia che i favoriti si sarebbero fermati ad interpretare e, nel tempo che ci avrebbero messo per interpretare le sue azioni, l'avrebbero accettata.
Le era sembrato un ottimo piano ed era ancora di quel parere mentre centrava il bersaglio con l'ennesima freccia, osservando i suoi futuri alleati con la coda dell'occhio.
Per fortuna, o sfortuna a seconda dei punti di vista, Mide attirò l'attenzione di un altro tributo, un tributo con un otto sulla schiena.

Parte III
London, Klaus e tanto odio reciproco.

 -Fai schifo, Klaus.-
-Senti chi parla.-
-Io so cos'è un bersaglio.-
-Vai in bagno e affogati nell'acqua del gabinetto, è quello il tuo ambiente naturale, putrida zoccola.-
Per un attimo gli sguardi di entrambi saettarono sulla pedana di tiro che condividevano accanto a quella di Mide. Klaus imbracciava un arco con una smorfia accigliata negli occhi scuri; non si poteva certo dire che fosse la sua arma quella e London non aveva potuto non farglielo gentilmente notare. Per questo aveva contrastato la distanza abissale- sia emotiva che fisica- che condivideva con l'altro per andarlo ad insultare dalla parte opposta della palestra dove si stava allenando.
-Sei pessimo.- Aggiuse dopo un po', ignorando l'offesa subita e portandosi dietro le orecchie i capelli bianchi. -Ora levati.- Aggiunse poi, scansando il ragazzo con una gomitata violenta nelle costole e strappandogli l'arco di mano, prima di incoccare velocemente una freccia e mirare al bersaglio. -Ti faccio vedere come si tira.-
Tese la corda, chiuse un occhio, fece un respiro profondo e mollò la presa sulla freccia.
-Oh, tu sì che sai un'esperta.- Gongolò Kalus, quando il dardo si conficcò a diversi centimetri lontano dal centro cui London aveva mirato.
La ragazza fece una smorfia e arricciò il naso, scagliando l'arco da una parte della pedana, completamente dimentica dei modi composti che aveva adottato quando gli strateghi erano venuti a vedere come se la cavava durante uno dei loro sopraluoghi.
-La corda è lenta.- Borbottò. Un arco con la corda lenta era un problema e poichè quando c'era un problema che la riguardasse la colpa era sempre di Klaus si voltò verso di lui con sguardo furente, digrignando i denti. -L'hai allentata tu quando hai tirato!- Urlò.
Klaus roteò gli occhi e diede una spinta leggera al busto della ragazza, i cui denti sembravano troppo vicini alla sua gola. -Sei davvero così stupida come sembri, Bidge?-
Per tutta risposta la ragazza cercò di colpirlo agli stinchi, ma l'altro schivò agilmente il colpo.
-Lenta, fiacca e stupida.-Commentò. -Non vedo l'ora di vederti morta, puttana.-
London dovette fare uno sforzo immane per trattenersi dallo staccargli la testa a suon di ceffoni, e preservare così la strategia che aveva studiato, basata sulla maschera di dolce ragazzina che era tanto abituata ad indossare a casa. Ovviamente in un altro contesto- uno senza Klaus- ci sarebbe riuscita alla perfezione, ma quel megalomane odioso del suo compagno di distretto nonchè suo ormai ex-futuro marito, rendeva ogni suo piano impossibile. Per sfortuna, infatti, il ragazzo aveva presenziato ad ogni discorso che London aveva fatto con con i loro mentori, ben decisi a tenere le loro strategie alla mercè dell'altro, nella speranza di veder nascere un'alleanza che li avrebbe, secondo loro, fatti durare più a lungo. Di conseguenza il suo più acerrimo nemico conosceva la sua strategia contorta che, immancabilmente e senza che i mentori se ne accorgessero, cercava di boicottare.
-Non sai quanto ti odio.- Gli disse, scoccandogli uno sguardo carico d'odio prima di scendere dalla pedana.
-La cosa è reciproca, troietta.- Gli sussurrò Klaus in risposta, quando poi notò due strateghi passare lì accanto aggiunse, a voce molto alta:- Ehi, London Bridge dal distretto sei! Quando vuoi puoi insegnarmi come fare trappole visto che sei così tanto brava!-
London sgranò gli occhi, incapacitata dall'occhiata incuriosita che gli strateghi le avevano lanciato. Velocemente indossò la maschera della ragazzina innocente e si affretto a replicare, con un sorriso dolce:- Oh, non sono poi così brava.-
Gli strateghi, sapendo che la modestia non è sinonimo di "buon tributo", passarono oltre e solo allora London si azzardò a riprendere la sua espressione arcigna e a sillabare a Klaus un:-Ti ucciderò.- Prima di voltare i tacchi e dirigersi alla postazione dei tridenti, con i quali era altrettanto pessima.

Parte IV
Jared e Chip:-Sai una cosa, amico?-

 Il ghiaccio sembrava andare di moda in quell'edizione considerando che ben due tributi su ventiquattro ne portavano un grosso impacco, rispettivamente su polso e caviglia. Ad entrambi quell'accorgimento aveva smesso di recare sollievo da un po', ottenendo solamente una porzione di pelle arrossata ed insensibile per il freddo che, sommata al dolore per i traumi riscontrati, aumentava il cattivo umore di ambedue i tributi.
-Sai una cosa, amico?- Esordì freddamente Chip, rivolto al ragazzo che lo fiancheggiava mentre, seduto sotto la balconata degli strateghi, si riprendeva dalla caduta. -La prossima volta o ti assicuri che il coltello che lanci sia quello giusto o se la tua vittima non muore, finirai male.-
Dopo aver constatato che quella aveva tutta l'aria di essere una minaccia, Jared fece saettare uno sguardo astioso alla volta dell'altro tributo, soffocando dentro di sè lo scoppio d'ira che quelle parole avevano provocato per esibire l'impacco freddo sul polso e rispondere:- Mi sono fatto male anche io, in caso non lo avessi notato... amico.-
Chip arricciò il naso, ma non rispose. Non vedeva come si potesse paragonare una frattura alla caviglia con una semplice distorsione del polso.
Certo, i medici di Capitol City avrebbero risistemato magicamente le ferite in un colpo solo, ma entrambi i tributi erano stati abbastanza infastiditi da quanto successo.
La scena aveva avuto un che di comico; insomma, un tributo che, lanciando un coltello fatto per i tiri in diagonale per colpire un bersaglio davanti a sè si torceva il polso e andava a colpire per sbaglio la corda su cui un altro si stava arrampicando, facendolo precipitare, non è cosa da tutti i giorni.
Quando poi i soggetti di quella tragicomica scenetta erano due tra i tributi più taciturni e astiosi tutta la faccenda assumeva sfumature ironiche.
La parte in cui Jared cercava di scusarsi in modo davvero molto poco convinto con un Chip urlante aveva fatto ridere non solo gli altri ragazzi, ma anche gli istruttori e gli strateghi. Questo aveva comportato l'inevitabile conseguenza che pochi li avrebbero presi in considerazione, se non per ridacchiare ricordando l'avvenimento.
Ovviamente questo non faceva altro che far imbesialire quei due soggetti così freddi che, costretti con un impacco ghiacciato sugli arti, cercavano di ingoiare il fastidio per offrire agli sguardi canzonatori degli altri tributi un'immagine di serena strafottenza.

-Sai una cosa, amico?- Esordì Jared dopo che la ragazza del quattro, Deianira, gli passò davanti con un ghigno mal celato. -Nell'arena mi terrò lontano dai coltelli, ma puoi star certo che le mie vittime non rimarranno vive per molto.-
Detto questo guardò con aria di sfida Chip, invitandolo a ribattere, quindi scaraventò l'impacco freddo per terra, ignorò i consigli di Atala sul fatto che dovesse tenere il polso a riposo e riprese ad allenarsi, ignorando il dolore e lasciando Chip, impossibilitato da una ferita più grave, a rosicare con la promessa che sarebbe stato quel Jared a non rimanere vivo a lungo, nell'arena.

 Parte V
Ted e Percy, quasi galeotto fu l'ascensore.

 -Ehi, Percy!-
A quel suono la ragazza si voltò verso le porte dell'ascensore in procinto di chiudersi, riservando un'occhiataccia al ragazzo che, col viso arrossato per la corsa si infilava tra le porte per affiancarla.
-Ti ho detto di non...- Iniziò Persephone in tono astioso, lanciando un'occhiata al tributo appoggiato alla parete lucida accanto a lei.
-Chiamarti Percy, lo so.- Ted si passò una mano tra i capelli neri, scompigliandoli, prima di rivolgere un sorriso leggero alla ragazza.-Lo so, scusa.-
-Lascia perdere, tanto lo rifarai.- Commentò Percy, serrando le braccia al petto e guardando ostinatamente nella direzione opposta a quella di Ted, come se volesse incenerire con lo sguardo la parete dell'ascensore che aveva iniziato a salire lentamente verso il settimo piano. Le sarebbe tanto piaciuto sbottare contro il compagno, giusto per scaricare la tensione, ma non ne aveva la forza in quel momento; quel giorno gli allenamenti erano stati particolarmente estenuanti per entrambi i tributi del distretto, che, rimpiangendo di essersi dedicati unicamente alle tecniche di sopravvivenza il giorno precedente, avevano dovuto subire la tortura degli esercizi di agilità come l'arrampicata su parete, su rete, su corda, la corsa a ostacoli e la corsa a ostacoli con arrampicata. Inutile dire che in quel momento erano tremendamente stanchi e sudati, malgrado entrambi avessero una discreta dose di allenamento alle spalle.
Ted guardò Persephone e soffermandosi sulla coda scompigliata e un po' sciatta in cui aveva raccolto i capelli e sugli occhi nocciola come sempre dardeggianti, pensò a quanto un silenzio potesse diventare pesante in così poco tempo.
Passò qualche attimo a chiedersi cosa mai avrebbe potuto dire in quel frangente e, dopo un po', optò per qualcosa che voleva sapere da un po'.
-Perchè sei così?- Chiese, appoggiando il piede alla parete vibrante dell'ascensore.
Persephone voltò la testa di scatto verso di lui, stringendo ancora di più le braccia sotto il seno e portando avanti il mento in segno di sfida. -Così come?-
-Così perennemente astiosa.- Aggiunse il ragazzo, assumendo un'aria quasi mesta a quelle parole, come se in qualche sconosciuto modo intuisse il motivo dell'atteggiamento della compagna e ne fosse sinceramente dispiaciuto.
-Non credo siano affari tuoi!- Ringhiò l'altra, facendo mezzo passo verso l'altro e sputandogli le parole in faccia.
Ted appoggiò la testa alla parete e scrollò le spalle. -È solo che oggi abbiamo passato insieme parecchio tempo e non hai mai smesso di guardarmi come se ti avessi ucciso la nonna.-
-Scusa tanto se il mio modo di fare ha urtato i tuoi sentimenti!- Replicò in un sibilo iracondo Percy, sciogliendo l'intreccio delle braccia per portarsele ai fianchi e fissare trucemente il compagno. -Mi dispiace molto che la mia compagnia non ti aggradi, ma sai, a breve dovremo ucciderci, quindi non è che mi importi molto!- Aggiunse, per poi appoggiarsi di peso sulla parete dell'ascensore opposta a quella di Ted.
Il ragazzo si limitò a sopportare lo sfogo di Persephone a bocca chiusa, per poi commentare in modo placido:-Mi piace. La tua compagnia, intendo, e poi non dovremo per forza ucciderci. Per quanto riguarda i sentimenti...- Si portò una mano al petto con un'ironica espressione triste. -Sì, mi hai ferito nel profondo.-
Persephone gettò la testa all'indietro per scoppiare in una risata secca e cattiva. -Siamo agli Hunger Games, stupido! Sai cosa vuol dire? Che non c'è molto spazio per promettere che non sarai tu a piantarmi un coltello nella schiena.-
-Be', se ci alleiamo dovrebbe risultare piuttosto improbabile, no?- Commentò l'altro inarcando le sopracciglia alla volta della ragazza, come se fosse ovvio quanto detto.
Persephone aprì la bocca per ringhiare qualcosa in risposta ma, con enorme sorpresa di entrambi, non trovò parole cattive da rivolgere al compagno e alla sua logica, così tornò ad incrociare le braccia, infastidita dall'esser stata zittita.
Pochi sencondi dopo lo scampanellio registrato del meccanismo annunciò la fine dell'ascesa dell'ascensore e per i ragazzi fu come risvegliarsi da uno strano sogno quando, con mosse meccaniche, misero piede nell'atrio del piano che condividevano.
Quando le porte metalliche si richiusero alle loro spalle entrambi si fissarono per un attimo, prima di avviarsi verso una più che meritata doccia.
Persephone si era già incamminata, in preda a controversi pensieri su quanto proposto dal compagno quando si voltò, aggrottò le sopracciglia così tanto che parvero unirsi, e rivolse un enorme carico di astio a Ted che gli fece pensare che nell'arena sarebbe stato il primo che la ragazza avrebbe cercato di uccidere.
-Va bene!- Sbottò infine.
-Va bene cosa?- Chiese Ted, stranito dal tono dell'altra.
-Per l'alleanza. Va bene.-
-Oh!- Esclamò il ragazzo, sinceramente sorpreso. -Oh, bene.-
Quando, dopo quelle parole, Persephone vide Ted aprirsi in un piccolo sorriso per la confessione non potè fare a meno di rivolgergli un altro sguardo che voleva essere cattivo come il primo, ma che non riuscì nel suo intento, sfociando in uno dei suoi ghigni.
Il motivo? Forse quell'accordo faceva piacere anche a lei.

 

 

 

 

Angolo di Ted :

Habemus capitolum!
Grazie a Loony per il titolo.
-Teddy
Ps. L'esigue apparizioni di Coco e Dieanira fanno parte del mio piano. (Nemici dell'autrice temete.)

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Capitolo 10
*** Meredith e Inglès- Distretto 8 ***


 

Distretto otto 

Meredith

 -Ed ora, dal distretto otto, Meredith Harvey! Diamole il benvenuto!-
Un applauso scoppiò alle parole di Caesar che, decisamente tranquillizzato dall'ottima riuscita della precedente intervista, attendeva in piedi l'entrata del nuovo tributo.
Non dovette attendere molto che dalle quinte uscì una ragazza alta, con un'elaborata acconciatura di trecce scure sulla testa e un lungo vestito di un intenso viola.
Camminò a testa alta, facendo saettare il suo sguardo verde oltre le potenti luci dei riflettori, verso il pubblico, come se volesse trapassare con lo sguardo ogni singolo spettatore. Quando raggiunse Caesar non aveva ancora staccato lo sguardo della platea, che ancora applautiva, quasi ipnotizzata dagli occhi verdi della ragazza.
-Benvenuta, Meredith.- Disse il conduttore, porgendole la mano affinchè la stringesse.
La ragazza spostò gli occhi su Caesar con una lentezza calcolata e quasi estenuante, prima di incurvare le labbra in un sorriso glaciale e stringere la mano dell'uomo con una stretta vigorosa.
-Grazie.- Disse, prima di sedersi sulla poltrona con un movimento fluido.
Caesar la imitò, ma prima di parlare si prese un attimo per guardarla: era una bella ragazza, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che non era normale. Prima che potesse chiedersi di cosa si trattasse Meredith spostò lo sguardo verso il presentatore, senza tradire alcuna emozione, in un'aspettativa che aveva un che di mellifluo nel modo in cui venne avanzata.
-Allora...- Si decise quindi ad iniziare Caesar. -Ti sei offerta volontaria alla tua mietitura, vero?- La ragazza annuì. -È un evento singolare che un ragazzo dai distretti periferici si offra, cosa ti ha portato a questa scelta?-
Meredith inclinò la testa di lato per guardare il presentatore, ad occhi sgranati, come se non capisse il perchè di quella domanda.
-Sapevo che un giorno mi avrebbero estratta. E ho diciassette anni, quindi ho solo anticipato l'inevitabile.-
Caesar assottigliò lo sguardo. -Sapevi che ti avrebbero estratta?- Chiede.
La ragazza annuì con lentezza calcolata e il presentatore non potè fare a meno di pensare che sembrava un grosso gatto che scuote la coda. "No, non un gatto." Si disse l'uomo. "Qualcosa di più letale, una pantera".
-Certo che lo sapevo.- Replicò Meredith, aprendosi in un sorriso tanto ampio quanto glaciale. -Io so.-
Caesar annuì come se sapesse di cosa la ragazza stesse parlando. Di tanto in tanto gli capitavano tributi eccentrici e non poteva mai fare a meno di rimanere affascinato dal loro modo di pensare così singolare.
Il pubblico applaudì, rapito dalle parole di Meredith come un serpente davanti al flauto del fachiro e Caesar lasciò che la ragazza puntasse il suo sguardo magnetico sul pubblico e si godesse le reazioni di esso prima di passare alla seconda domanda.
-Suppongo quindi che tu sia allenata.- Disse e Meredith annuì.
-Ovviamente. Sapendo di partecipare ai giochi mi sono preparata. Chi non l'avrebbe fatto?-
Caesar si sporse verso la ragazza, portandosi una mano al mento in un atteggiamento incuriosito. -Quando dici che lo sapevi... cosa intendi?-
Meredith scrollò le spalle, facendo ondeggiare le trecce della capigliatura.
-Una sensazione che mi ha sempre seguito, direi. Mi capita di continuo.-
Caesar annuì. -Capisco.- Disse. -Di certo questo ti aiuterà nell'Arena.-
Meredith si scostò dal viso una ciocca strategicamente sfuggita alla capigliatura. -Probabile.-
-Ne deduco che questa tua dote ti avvantaggerà rispetto le mosse degli altri tributi. Ma dimmi, cosa pensi di loro?-
La ragazza ci pensò un po' su, facendo vagare lo sguardo in un punto imprecisato sopra la testa di Caesar. Il suo ermetismo risultava quasi straziante per il conduttore che, eppure, non poteva fare a meno di rimanere ammaliato dalle sue movenze e dal suono vellutato e freddo della sua voce, così come tutta Capitol City.
-Trovo che siano forti, alcuni.- Rispose infine l'altra. -Deboli altri.-
Caesar si rese distrattamente conto del fatto che quella risposta, pronunciata da un qualsiasi altro tributo, sarebbe risultata ridicola, ma che, accompagnata da quello sguardo surreale appariva come qualcosa di mistico.
-Ma sai, Caesar,- Aggiunse poi Meredith -Non credo che abbiano molta speranza se ci sono io nell'Arena.-
-Non ne dubito.-
La ragazza si aprì in un nuovo sorriso freddo e il pubblico applaudì con vigore a quel tono convinto.
-Ma passiamo oltre,- Continuò Caesar quando tornò di nuovo il silenzio. -hai detto di essere allenata, preferisci un'arma in particolare?-
Meredith alzò il mento, in un'espressione altera di sfida. -Sono abile con i coltelli e sono veloce e precisa.- Sorrise e il pubblico non potè fare a meno di trovare qualcosa di ambiguo in quellla movenza, soprattutto quando la ragazza aggiunse:- Sono forte, sono una predatrice.-
Ovviamente, però, a quella dichiarazione nessuno le sottrasse un applauso.
Le mani stavano ancora battendo quando la ragazza si passò un dito nello scollo dell'abito per estrarne un pezzo di corda che fino a quel momento era nascosto tra le pieghe e da cui pendeva un ciondolo d'argento a forma d'aquila.
-Io sono così.- Concluse infine, esibendo il portafortuna.
Ora il pubblico si sperticò in qualche esclamazione e le telecamere zoommarono sul ciondolo affinchè anche da casa se ne potesse apprezzare la fattura.
Caesar si sporse verso Meredith prendendo delicatamente il pendente tra le dita. -Molto bello.- Commentò. -Viene dal tuo distretto, vero?-
Meredith annuì. -Non lo tolgo mai, è il mio portafortuna.- Sorrise e per la prima volta il suo volto parve umano, privo della luce quasi magica di cui era stato illuminato fino a quel momento.- Un regalo di Thomas.-
Caesar lasciò il ciondolo, per riappoggiare la schiena alla poltrona.
-Thomas?- Chiese.
La ragazza annuì, gli occhi le si fecero distanti e l'espressione ammaliatrice e gelida riapparve. -Un amico. Il mio migliore amico.-
-Dovevi essergli molto legata.- Commentò l'uomo. -Come ha preso la tua scelta di offrirti volontaria?-
-Gli avevo detto che sarebbe successo, era preparato.- Emise un sospiro che riuscì ad essere insieme triste, nostalgico e in qualche modo emblematico. -Thomas è proprio come me, sai? Quindi ha capito cosa dovessi fare. Al contrario del resto del mondo, lui capisce.-
Caesar le posò una mano sul braccio, in un gesto di conforto.
-Forse è vero.- Commentò. -Forse il tuo amico è l'unico che ti può capire, ma senza dubbio.- Fece una pausa ad effetto per sorriderle. -Noi scommetteremo su di te.-
Quindi si alzò in piedi e Meredith lo imitò, lasciando le l'uomo le portasse una mano verso il soffitto dello studio per esibirla un'ultima volta, mentre proclamava un:- E che la fortuna possa essere sempre a tuo favore!-

Inglès

 Inglès fece scivolare l'indie sotto il bordo della plastica che gli copriva l'occhio, grattandosi il lembo di pelle che vi si nascondeva al di sotto.
La sua stilista gli aveva detto che grattarsi avrebbe peggiorato il fastidio, ma Inglès non riusciva a trattenersi. Non aveva mai portato nulla sul viso e quella maschera dai riflessi perlacei che gli copriva tutta la parte sinistra del viso con l'unico scopo di celare alle telecamere la carne escoriata, di un perenne rosso vivo e il cavo nero e vuoto dove un tempo il gemello dell'occhio destro aveva fatto capolino.
Dopo che il suo staff di preparatori l'aveva portato al livello di bellezza zero la sua condizione era migliorata, le cicatrici più piccole erano sparite e quelle più grandi si erano fatte quasi invisibili, ma nemmeno le misteriose miscele della capitale avevano potuto fare qualcosa per il suo viso.
Con un sospiro abbassò le mani, affondandole nelle tasche dell'abito bianco a rifiniture azzurre che gli era stato fatto indossare.
Il suo mentore, lo stilista e tutti coloro che l'avevano visto avevano concordato sul definirlo angelico. Solo angelico.
E Inglès l'aveva apprezzato davvero.
Quando poi Caesar annunciò il suo nome e, una volta che il ragazzo ebbe messo piede sul palco, alla sua vista il pubblico fu scoppiato in un'ovazione pari a quella riscontrata dalla bella favorita dell'uno, Inglès si sentì bene. Malgrado tutta Panem avesse già visto il suo volto butterato alla mietitura quella maschera irritante si era rivelata il perfetto espediente per far sì che l'Angelo Sfregiato del distretto otto fosse visto semplicemente come l'Angelo delle Interviste.
Osservandolo arrivare Caesar fu invaso dagli stessi pensieri, perchè sì, con quei capelli biondi e i tratti da cherubino, benchè metà fossero disegnati dalla maschera, Inglès sembrava davvero una creatura ultraterrena.
-Inglès!- Esordì quindi Caesar, posandogli una mano sulla schiena e sorridendogli calorosamente. -Che piacere!-
-Il piacere è mio.- Disse il ragazzo, sorridendo all'uomo per poi accomodarsi sulla poltrona. -Sono felice di essere qui.- Aggiunse. Ed era vero, perchè era la prima volta da anni che qualcuno che non fosse Aya, Colina o qualche altro membro della sua famiglia gli rivolgeva un sorriso. Un sorriso vero e non velato di disgusto.
-E noi siamo felici di accoglierti.- Gli disse il conduttore, accomodandosi e facendo cenno al ragazzo di fare lo stesso.
-E direi che siamo anche piuttosto ansiosi di sentir parlare di te.- Continuò l'uomo. -Nell'intervista che Theta Rollus, la tua accompagnatrice, ha rilasciato per dare una spiegazione al tuo... uhm, aspetto inusuale, vieni definito "Angelo Sfregiato". Te la senti di parlarcene?-
Inglès sorrise, ignorando il moto di fastidio che quella richiesta gli aveva suscitato; aveva davvero creduto di poter sorpassare incolume l'intervista senza rivivere i momenti dolorosi del suo passato?
-Come ha detto Theta, tutti nel mio distretto sono abituati a me. E sì, è vero che vengo chiamato "Angelo Sfregiato", e il perchè di tutto questo... - Esitò, chiedendosi se parlare gli avrebbe portato vantaggi. Ovviamente la sua storia avrebbe attirato sponsor e sarebbe anche stata una sorta di vendetta mediatica nei confronti di quel mostro, anche se, ovviamente, quel mostro era morto. Eppure Inglès esitava; raccontare la sua storia per la prima volta a qualcuno che non l'avesse vissuta come la sua famiglia era difficile, ma farlo davanti ad una platea di Capitol City che lo stava mandando incontro alla morte era anche peggio.
Caesar, leggendogli in faccia quelle emozioni, gli appoggiò una mano sulla spalla e con aria comprensiva iniziò:- Se non te la senti...-
Per un qualche strano motivo, a quelle parole, il ragazzo si scostò delicatamente dalla presa del presentatore e stringendosi le braccia al petto, invece, iniziò a raccontare, scoprendo che la difficoltà stava sono nell'iniziare e che dopo aver pronunciato la prima frase parlare di quel che gli era capitato veniva in modo naturale.
-Nessuno sa il mio cognome perchè non ne ho mai avuto uno.- Disse con gli occhi, sia quello castano che la sagoma modellata sulla maschera, fissi in un punto lontano mentre le telecamere, beandosi di quell'espressione singolare e assorta, stringevano su di lui. -Sono cresciuto nel distretto sette. Be', a dire il vero ci ho passato parte della mia infanzia. Non ricordo di aver mai avuto genitori. I miei primi ricordi sono solo una catena di scene in cui chiedo elemosina che mi viene rifiutata.-
-Oh.- Commentò Caesar, fissando mesto il tributo.
Inglès chiuse l'occhio e le sue labbra tremarono, eppure non versò una lacrima quando disse:- Si chiamava Alfred. Era ben vestito e sorridente e aveva un'aria affidabile quando mi disse che poteva- che voleva- aiutarmi. Mi portò con sè, in una bella casa, nei boschi del distretto. Ma non riuscii a godermela.- Prese un respiro sibilante per calmare il tremore del petto, quindi aprì gli occhi, li puntò su una telecamera e continuò:- Non ho mai capito chi fosse davvero, perchè facesse quello che faceva, ma sta di fatto che mi ritrovai in una cantina, circondato da altre persone. Tutte erano maltrattate, sporche, coperte da cicatrici orrende. C'era anche una bambina più piccola di me, con il corpo deturpato.- Al ricordo dell'aspetto di Colina strinse le mani a pugno e puntò l'occhio su Caesar. -Faceva esperimenti su di noi. Alfred, intendo. Per provare l'efficacia delle medicine che si creava, penso.- Fece una pausa per inumidirsi le labbra e riprese, più velocemente di prima:
-Passai lì un sacco di tempo. Su di me sperimentò un vaccino contro le malattie all'apparato respiratorio che funzionò, ma non fece in tempo a provarlo davanti a qualche medico di Capitol City che, con l'aiuto di sua figlia, le sue altre cavie ed io scappammo, arrivammo nel distretto otto e ci salvammo. Loro sono la mia famiglia, ora.-
Concluse il racconto abbassando lo sguardo. Aveva taciuto diversi particolari cruenti come le mutilazioni che gli erano state inferte, come il fatto che quel pazzo avesse avuto intenzione di usare Aya, sua figlia, per un esperimento per mancanza di cavie in salute e, infine, la morte di quell'uomo. Si trattenne a stento dal sorridere al ricordo della sega, la sega che aveva usato ignorando la paura per cavargli l'occhio sinistro esattamente come era stato fatto a lui. E poi le torture, le urla e la dolcezza di quel momento immensamente felice in cui tutta la rabbia che aveva accumulato fino a quel momento era esplosa, concretizzandosi in tutte le ferite tremende che aveva inferto al suo aguzzino.
-Oh, cielo.- Caesar lo riportò bruscamente alla realtà e quando Inglès alzò lo sguardo verso il presentatore, senza nemmeno accorgersi, il folle che aveva animato i suoi ricordi era stato seppellito sotto l'Angelo Sfregiato che ora offriva alle telecamere il suo profilo migliore.
-Già.- Commentò il ragazzo. Alzò lo sguardo verso il pubblico, curioso di scoprirne le reazioni. Molti erano a bocca aperta, altri scuotevano la testa e altri ancora sembravano sinceramente tristi.
Caesar seguì il suo sguardo e, convinto che la pietà e la compassione fossero le migliori armi di quel tributo, si azzardò a chiedere:
-Saresti disposto a... mostrarci quello che ti ha fatto?-
Inglès annuì, dicendosi che, in fondo, Panem aveva già visto le sue cicatrici e che quelle avrebbero potuto solamente aiutarlo nella strategia che, senza volerlo, aveva finito con l'adottare.
Sospirò, si portò un dito al disotto della plastica bianca e un attimo dopo l'angelo delle interviste, quello che non
suscitava disgusto, era di nuovo l'Angelo Sfregiato del distretto otto, quello da cui i bambini scappavano.

Facendo vagare lo sguardo sulla platea degli spettatori, le cui reazioni sempre esagerate si espressero in pianti e urla di dolore, Inglès provò un sacco di emozioni contrastanti. C'era sollievo, per aver finalmente condiviso la sua storia, dolore, per averla ricordata, insicurezza, per essersi esposto ed anche determinazione, nel constatare che in quel momento, con il numero di sponsor che probabilmente stava aumentando a dismisura, aveva una speranza di
tornare a casa.

 

Angolo di Ted:

Sì, il look dell'Angelo Sfregiato (diamine se vado fiera di questo soprannome) è molto in stile Phantom of the Opera.
Adoro Inglès, davvero.
Di Meredith ho cambiato di qualche virgola l'idea originale per non farla identica a Eyelyner, l'avrei comunicato all'ideatrice se avessi saputo dove cercarla.
-Teddy

 

 

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Capitolo 11
*** Evangeline ed Helle- Distretto 9 ***


   

Distretto 9

 

Evangeline

 Non ci furono dubbi sul fatto che quell'edizione non vedesse come bellezza protagonista unicamente la ragazza dell'uno.
Dopo Meredith e il suo fascino surreale, infatti, ora toccò a Evangeline.
A diciotto anni vantava un corpo slanciato e snello, pieno unicamente nei punti giusti, praticamente perfetto. Le sue forme definivano una siluette armoniosa messa in risalto dall'abito che indossava. O, meglio, non indossava.
Già, perchè la mente sapiente del suo stilista non aveva dovuto mettere molto all'opera le mani considerando che il corpo di Meredith si presentava completamente nudo. Dipinto con strani intrecci di pittura densa dai colori freddi e caldi a constrasto, sì, ma chiaramente nudo.
I capelli le ricadevano sciolti sulle spalle, lunghi fino alla vita e neri come la pece, intrecciati quà e là con piume di pavone e perline i cui colori riprendevano quelli della pittura che le copriva il corpo.
Quando Caesar Flickerman la chiamò e la ragazza entrò con passo cadenzato e sinuoso persino lui, che prima di essere presentatore era uomo, dovette trattenersi dallo strabuzzare gli occhi e lasciar cadere la mascella. A quella vista non potè però fare a meno di sbattere ripetutamente le palpebre truccate, come per schiarirsi il cervello e ricomporsi prima di offrire l'aria professionale che, almeno di solito, lo rendeva immune alle provocazioni stilistiche dei tributi che intervistava.
-Evangeline Darshein,- Commentò mentre il tributo gli si avvicinava, ancheggiando in modo provocante, come se il modo in cui si presentava non bastasse a identificare lche tipo di persona fosse. -è un vero piacere!-
La ragazza posò i suoi occhi azzurri sull'uomo, mentre le sue labbra si incurvavano in un ghigno nel sentire con quanto entusiasmo veniva accolta, non solo da parte di Caesar ma anche dal pubblico che, dopo lo sbigottimento iniziale, iniziò ad applaudirla fragorosamente.
Evangeline guardò verso la platea e sorrise ancora di più, sventolando la mano in segno di saluto, soprattutto quando alcuni uomini si alzarono in piedi, sotto lo sguardo offeso delle mogli, per applaudirla più forte.
-Be',- Esordì Caesar alla ragazza, ignorando la folla ancora scalpitante per iniziare l'intervista. -accomodati.-
Le fece gesto di sedersi, chiedendosi distrattamente se le poltrone si sarebbero macchiate con la pittura, quindi si lasciò cadere sulla pelle bianca un po' più pesantemente di come avrebbe fatto normalmente; se la situazione era migliorata con i precedenti tre tributi ora era degenerata del tutto.
Evangeline osservò Caesar con un ghigno, gongolando della sua frustrazione, poi lanciò uno sguardo alla poltrona e alla platea e riflettè brevemente: c'era una sola differenza tra un tributo che sarebbe rimasto vivo e un tributo che era già praticamente morto, ovvero la possibilità di avere sponsor. Ovviammente già ne aveva guadagnati a bizzeffe grazie al suo stilista, ma se voleva essere ricordata serviva ben altro di un look azzeccato.
Tornò così ad osservare la poltrona per poi scrollare la chioma scura e ignorarla del tutto per andare a posizionarsi sulle ginocchia di Caesar.
-Oh!- Fece l'uomo, sorpreso. Mentre la componente maschile folla, letteralmente, scoppiava in un tripudio di urla e grida, quasi sperasse che Evangeline saltasse giù da Caesar per andarsi a posare sulle loro gambe.
Evangeline gettò indietro il capo e rise. -Imbarazzato, Sissy?- Chiese, utilizzando il nomignolo che aveva spopolato in quell'edizione.
Suo malgrado, il conduttore arrossì. Se c'era una cosa che non poteva permettersi di fare in quel momento era pensare a quel soprannome e alla ragazza che l'aveva coniato.*
-Giusto un po'.- Ammise quindi, spostando l'attenzione su Evangeline e allontanandola cautamente con la punta delle dita, nel tentativo di toccarla il meno possibile.
La ragazza rise di nuovo e scuotendo nuovamente la lunga chioma si alzò, sedendosi sulla poltrona che le era destinata per poi sporgersi nuovamente verso Caesar e spazzolargli dai pantaloni le tracce di colore che aveva lasciato, tra le ovazioni del pubblico.
Caesar osservò, sbalordito, ogni movimento della ragazza cercando di concentrarsi su dettagli insignificanti come le scarpe troppo strette che portava o sulla pancia sporgente del tecnico del suono che sporgeva dalle quinte da qualche intervista.
Evangeline lo osservò, compiaciuta dell'effetto che aveva riscontrato, quindi appoggiò la schiena alla poltrona, inarcando i fianchi in una posa provocante.
-Allora, questa intervista?- Chiese quindi in tono suadente, ravvivandosi i capelli.
Caesar deglutì e cercò di allentarsi il colletto, d'un tratto troppo stretto; quell'intervista rasentava il ridicolo. Mai in tutta la sua carriera si era cacciato in una simile situazione.
-Be', vediamo...- Iniziò, incespicando. -Come... come ti trovi qui in c-città?- Riuscì a dire infine.
-Un po' male, a dire il vero.- Sospirò la ragazza. -Mi sento molto sola, soprattutto in camera da letto.-
Lo disse anche se non era del tutto vero. Certo, i suoi passatempi notturni al distretto le mancavano, ma con il susseguirsi di allenamenti, Brick, strategie, Brick e di nuovo Brick era stata più occupata di quanto si era aspettata.
-Mi dispiace.- Riuscì a dire Caesar.
-Anche a me.- Replicò lei, atteggiando le labbra a broncio mentre ogni singolo uomo presente nello studio applaudiva più forte, quasi volesse offrirsi volontario per tenere compagnia alla ragazza durante l'ultima notte prima dell'arena.
Evangeline, consapevole di ciò, riservò uno sguardo mesto alla platea, come se avesse voluto davvero poter accogliere tutti nel suo letto.
Per un certo verso era davvero così e ciò la esaltò non poco, soprattutto quando si immaginò Brick, il suo mentore, scuotere la testa davanti a quell'intervista e, soprattutto, quando si immaginò i suoi, inorriditi davanti allo schermo. Loro sapevano del passatempo della figlia e, anzi, erano felici delle entrate che procurava loro, ma Evangeline era certa che non si sarebbero mai aspettati che durante l'intervista riscontrasse un successo simile proprio per quel tipo di hobby.
Sorridendo a quei pensieri tornò a rivolgere l'attenzione a Caesar, in attesa di una nuova domanda. Una breve occhiata bastò però a confermare che il cervello dell'uomo era ancora in vacanza in qualche punto più in basso della testa per esserle d'aiuto con gli sponsor, così la ragazza puntò lo sguardo in telecamera e assunse una nuova posa provocante.
-Poi, vediamo, altre cose su di me...- Iniziò, mordendosi il labbro. -Sono brava con le armi, soprattutto con quelle lunghe.- Ammiccò all'evidente doppio senso, nascondendo che, in verità l'unica cosidetta "arma lunga" con cui era brava era la falce, che era abituata ad usare fin da piccola. Sua madre, che aveva allenato i suoi fratelli e lei fin da piccoli, le aveva poi inculcato un po' di amore per i coltelli, ma la sua arma preferita era comunque la falce.
-Apparte questo,- Riprese poi. -sono allenata negli scontri molto fisici, corpi a corpo e simili.-
Il pubblico applaudì con convinzione ed Evangeline si sentì libera di concludere con un:- Insomma, sono pericolosa... in tutti i sensi.-
Le ovazioni scoppiarono, più alte che mai, riempiendo lo studio di quel frastuono insistente che si fece così alto da riuscire persino a risvegliare Caesar dalla sorta di trance in cui era caduto.
L'uomo fece scivolare lo sguardo oltre il tributo per rivolgere uno sguardo implorante ai tecnici, che gli fecero segno di concludere pure.
Immensamente sollevato, Caesar scattò in piedi, invitando sbrigativamente la ragazza ad imitarlo.
Evangeline, che era solo a metà dell'arringa su quanto fosse brava, lo guardò scocciata, ma decise di non protestare e si alzò, con lentezza, fino a fronteggiarlo.
-Grazie di essere stata con noi!- Esclamò l'uomo, in fretta, ansioso di dimenticare quell'intervista, porgendo la mano perchè la ragazza la stringesse.
Evangeline guardò le dita curate di Caesar con una smorfia, quindi lanciò un bacio alla platea prima di fare lo stesso con il conduttore. Se però il primo era un bacetto volante puramente platonico, il secondo era qualcosa per il quale molte madri di Panem topparono gli occhi ai bambini.
Quando finalmente si staccò Caesar ne uscì parecchio scombussolato, con tanto di parrucca storta, viso sporco di rossetto e vestiti macchiati del colore del corpo di Evangeline.
Stessa Evangeline che, ancora meno coperta di com'era entrata, uscì lanciando un ultimo saluto ai suoi fan.
Quando arrivò dietro le quinte con sua enorme gioia, trovò Brick ad aspettarla, con una giacca, la sua probabilmente, ripiegata sotto braccio.
-Non è stato completamente un fiasco.- Le disse, andandole incontro a passo svelto e mettendole la giacca sulle spalle. Ormai per loro quel gesto era una sorta di rito, considerando che la ragazza era perennemente scoperta e che l'altro non sopportava di vederla con meno stoffa del necessario addosso.
-Il lavoro di lingua era eccessivo, però.- Commentò infine il mentore.
-Geloso?- Chiese Evangeline, provocante come sempre. Brick si limitò a roteare gli occhi e la ragazza sorrise.
Sapeva che dovevano apparire come una coppia, date le gentilezze che il suo giovane e aitante mentore le aveva rivolto e se ne compiaceva, ignorando palesemente il fatto che per lui non fosse altro che un tributo da far uscire vivo dall'arena.
Evangeline sorrise ancora, non era innamorata di Brick- lei non lo era mai stata di nessun uomo- ma se non altro tornare viva dai giochi- come di certo avrebbe fatto- le avrebbe dato modo di approfondire il loro rapporto.

 

*Sì, è un accenno di DelxSissy, quello.

Helle

 

Perchè i bollenti spiriti della componente maschile del pubblico e di Caesar si calamassero ci volle parecchio tempo che i tecnici riempirono strategicamente con uno spettacolo di luci esclusivo che aveva l'unico scopo di dare tempo al presentatore di ricomporsi e agli addetti di cercare di eliminare le tracce di colore dalle poltrone.
Quando, dopo un tripudio finale di luci colorate, gli spettatori applaudirono educatamente e Caesar si sentì abbastanza in sè da sorridere alle telecamere finalmente venne annunciato il nome del nuovo tributo.
Così, una volta che Dee Landson venne invitato sul palco Helle si armò di coraggio e sfilò verso Caesar.
Perchè sì, lui non era Dee Landson, bensì suo fratello gemello Helle, il tredicenne forte e dai capelli rossicci che aveva preso tacitamente il posto sul palco dell'altro ragazzo con i capelli altrettanto rossi ma drasticamente più debole.
Mossa coraggiosa, vero, ma che era anche stata premeditata con un certo preavviso in un patto fraterno che i due gemelli si erano trovati a fare dopo la morte della madre.
Helle raggiunse Caesar con un sorriso sul viso. Sorriso non abbastanza aperto da risultare davvero caloroso, ma nemmno abbastanza freddo da apparire come un ghigno. Era un sorriso, quello, che passava inosservato e, avvolto in una stoffa di un grigio intenso, Helle faceva lo stesso.
-Dee!- Trillò Caesar, sollevato come non mai dall'aspetto rassicurante del ragazzino che gli era venuto incontro. -Benvenuto.-
-Grazie.- Rispose educatamente l'altro, stringendo la mano del presentatore e sedendosi sulla poltrona.
Durante i giorni che aveva passato a Capitol City si era abituato a sentirsi chiamare come il fratello, ma in quel momento, con la cosapevolezza che il vero Dee lo stava osservando, Helle non potè fare a meno di sentirsi spiazzato dalla situazione.
-Allora,- iniziò Caesar, -la tua è stata una delle mietiture più commoventi e struggenti. Scommetto che tutta Panem è curiosa di saperne di più.-
Helle sospirò; se lo aspettava. Quando il nome di Dee era stato estratto e il gemello aveva capito che Helle avrebbe mantenuto fede al patto aveva dato fondo a tutto il suo repertorio di lamenti isterici. La capitolina che presenziava alla mietitura aveva dovuto richiedere persino che venisse allontanato, per continuare la cerimonia. Ovviamente tutto il distretto aveva pensato che quelle fossero solo urla di empatia, ma così non era stato.
-Mio fratello.- Sospirò quindi Helle, per rispondere alla domanda. -Eravamo molto legati.-
-Capisco,- Disse Caesar. -dev'essere rimasto sconvolto.-
Helle si strinse nelle spalle. -Siamo gemelli, il nostro è un rapporto molto... particolare, senza dubbio il nostro legame è potente, però.-
-Lo immagino.- Il presentatore sospirò tristemente, nascondendo la felicità. Insomma, era molto più facile gestire una storia strappalacrime che una donzella nuda e provocante.
-E il resto della tua famiglia, Dee?- Continuò. -Loro come hanno preso la tua estrazione?-
Helle scosse sconsolato la testa. -Male. Le mie sorelle, altre gemelle come noi, hanno pianto per tutta la durata della visita. Mentre mio padre...- Lasciò la frase in sospeso, come se parlarne fosse troppo doloroso e, a dire il vero, era così.
Caesar annuì, comprensivo. -E tua madre?- Chiese gentilmente.
-Morta.- Rispose Helle, interrompendosi per fare un sospiro. -Morta dando alla luce Indigo e Julchen, le mie sorelle.-
L'uomo emise un gemito di tristezza e battè la mano sul ginocchio del ragazzo, come a confortarlo.
-Mi dispiace molto, Dee.-
Helle annuì, mesto, come se fosse abituato ad affrontare quel discorso.
-Affrontiamo discorsi più leggeri, che ne dici?- Propose Caesar, ritrovando l'entusiasmo. -Parlaci di cosa ti aspetti dai giochi.-
Helle ridacchiò in modo amaro. -Oh,- Disse. -di sicuro gli strateghi ci sorprenderanno, ma penso di essere preparato.-
-Sì?- Fece Caesar, sinceramente interessato. Dopo tutto erano più rari che pochi i tributi giovani che credevano di avere qualche speranza.
Helle si strinse nelle spalle. Parlare gli era costato molto, considerando che il suo era un carattere estremamente insicuro e, a dire il vero, non era granchè sicuro di riuscire a sopravvivere a lungo nell'arena, malgrado si fosse discretamente allenato per diletto personale, negli anni. Ovviamente, però, il suo mentore era stato categorico riguardo alla sicurezza che avrebbe dovuto far trasparire dall'intervista.
-Sono allenato.- Continuò quindi. -So usare la falce, come tutti nel distretto nove, so lanciare i coltelli, anche. So correre veloce e a lungo, non sono da sottovalutare, ecco.-
Caesar ridacchiò. -Ne sono sicuro!- Esclamò. Lanciò uno sguardo al tributo, che lo fissò di rimando. Helle, o come Caesar lo conosceva, Dee, era bello, con i capelli di fuoco e gli occhi di un verde brillante e smeraldino. Se poi sapeva realmente fare la metà delle cose che aveva elencato non avrebbe avuto problemi a trovare sponsor e sopravvivere.
Fu per questo che, in tono del tutto sicnero, il presentatore gli mise una mano sulla spalla e disse:- Tornerai a casa da tuo fratello. Ne sono certo.-
Helle sospirò. -Lo spero.- Commentò quindi.
Caesar sorrise, senza poter sapere che, da qualche parte, molto più lontano, un ragazzo stava facendo lo stesso, anche se in modo infinitamente più triste.
-Io lo so.- Sussurrò Dee, il vero Dee, sfiorando con le dita lo schermo. -Ne sono certo.-

 

 

Angolo di Ted:

Ora capisco cosa intendeva dire il mondo con "Ari e i suoi tributi complicati". Cioè, non che Helle sia stato difficile da trattare, ma ho avuto molte difficoltà a estirpare le informazioni essenziali dalla scheda. Spero di averlo reso bene.
Per quanto riguarda quell'adorabile puellula (sì, è davvero il diminutivo di puella, dal latino) di Evangeline la adoro e mi sono lasciata trasportare dal suo modo di fare ignroando la sua storia che, tranquilli, affronterò durante arena e allenamenti.
Concludo questo lugno angolo con un saluto: ciao ciao,
Teddy
Ps. Quasi dimenticavo, ricordate le scommesse!

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Capitolo 12
*** Elen e Soar- Distretto 10 ***


 

Angolo di Ted:

 [Niente buona Pasqua da me perchè non credo nè nel vostro Dio nè nelle uova di cioccolato.]
Io l'avevo già detto: scheda corta uguale Teddy si inventa le cose. Di solito se mi invento le cose va a finire che qualcuno muore, ma questa volta- sarà perchè rimarrò zitella e sfogo la mia frustrazione ormonale con sogni sconci su amici gay- ci ho voluto inserire una caramellosa storia d'amore. (Non parlo della mentore/tributo, ma della mucca/tributo.)
E poi c'è Bisteccone, e Bisteccone è tutto anche se mi è venuta una tremenda crisi da pagina bianca quanto è toccato a lui.
Ad un tratto parlo di un certo personaggio, un tale "paladino delle mucche"... comprendetemi, il mio animo vegano doveva inserirlo. (Ciao Jack dell'interattiva di J. -Mors tua, vita mea, per inciso-)
-Teddy
ps. So che sono già un paio di capitoli che stravolgo i tributi, ma capitemi, voglio delle vittime varie, da uccidere, altrimenti non ci trovo gusto.

 

Distretto 10

 

Elen 

La coda di cavallo di Elen, perchè se si parlava di Elen c'era sempre in mezzo una coda di cavallo, dondolava placidamente ogni volta che scuoteva la testa, ansiosa, in attesa di essere chiamata sul palco.
-Andrà bene.- Le sussurrò Kevan, massaggiandole le spalle, per tranquillizzarla.
-Parli facile tu, queste cose le hai già passate.- Rispose la ragazza voltandosi verso l'altro per guardarlo in viso, occhi verdi- così insoliti per il distretto dieci- in occhi castani -così comuni, ma altrettanto belli.
Kevan guardò la ragazza esile che gli stava di fronte con le sopracciglia aggrottate, posandole le mani sulle spalle.
-Tra qualche settimana sarà storia vecchia anche per te.-
Elen rise, amara. -Credi davvero, Kev?- Chiese.
-Ne sono certo.- Rispose convinto l'altro, stringendo la presa sulle ossa fragili della ragazza. Ossa fragili. D'un tratto la figura snella di Elen gli sembrò troppo magra e ogni centimetro del suo corpo troppo poco muscoloso. Straziante, ecco cos'era per Kevan sapere che avrebbe potuto essere proprio per colpa di quella fragilità che la sua Elen sarebbe potuta morire.
Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro quella di lei con un sospiro.
Elen invece tenne gli occhi aperti, fissi sul viso del ragazzo che, a diciassette anni, era novizio al ruolo di mentore tanto quanto lei lo era a quello del tributo.
Con un gemito frustrato gli posò le mani sul petto per scostarlo da sè:- Andrà bene.- Gli promise. -Andrà come dici tu e tra qualche mese torneremo a far pascolare Annachiara nei campi.-
Kevan ridacchiò. -Proposta non molto carina, direi.- Commentò, ricordando quanto Annachiara, la mucca di Elen, lo odiasse e cercasse puntualmente di ucciderlo per sottrargli le attenzioni della padrona, con la quale aveva un raporto saffico e tutt'altro che platonico considerando le grattatine tra le mammelle che le piaceva ricevere.
Elen fece per replicare qualcosa, ma Caesar la battè sul tempo.
-Accogliamo Elen Deelan, dal distretto dieci!- Venne annunciato e la ragazza si ritrovò a guardare ansiosa, l'innamorato.
-Andrà bene.- Le sussurrò di rimando quello, schioccandole un bacio veloce sulle labbra prima di sospingerla verso il palco.
Elen si incamminò, cauta, sotto i riflettori, costringendosi con difficoltà a tenere la testa alta e a non voltarsi verso Kevan per un ultimo sguardo.
Una volta che le luci la accolsero sul palco alla ragazza sembrò di essere in tutto un altro mondo rispetto a quello perfetto che aveva trovato tra le braccia del suo mentore e fidanzato.
-Elen!- La incoraggiò Caesar, tendendo una mano verso di lei che ancora avanzava, vacillante sui tacchi vertiginosi, verso le poltrone. -Benvenuta!-
-Grazie.- Rispose gentilmente lei, stringendo la mano che il presentatore le offriva, prima di sedersi sulla pelle bianca e, solo allora, arrischiare uno sguardo veloce verso Kevan, che esibì due pollici all'insù nel tentativo di rassicurarla, anche se la sua espressione concitata sembrava dirle nel suo tono più strategico:" Rircorda, El, dolcezza e carineria con Caesar, sangue e coltelli con i tributi."
-Allora,- Il presentatore la riscosse dai suoi pensieri, riportando l'attenzione su di sè e sull'intervista imminente, immensamente felice di osservare il lungo e, soprattutto, casto abito azzurro cielo della ragazza. -Parliamo di te, ok? Distretto dieci... è stato un bel cambiamento da casa alla capitale?-
Elen sorrise dolcemente, ingoiando il groppo che aveva in gola e che, solitamente, la portava a chiudersi in un silezio solitario rotto unicamente dai commenti acidi (perchè sì, sapeva essere davvero acida, se voleva) che di certo non le avrebbero portato gli sponsor che Kevan ed ella stessa avevano tanto sperato di guadagnare.
-Molto bene, grazie Caesar.- Rispose. -Qui è molto più bello che a casa. È tutto così colorato, così grande e sfarzoso...-
L'uomo ridacchiò in modo gentile. -Anche il distretto dieci ha il suo fascino, con le distese verdi e le mucche al pascolo. Dimmi, ti maca?-
Per un attimo il sorriso di Elen si gelò. Mucche al pascolo? C'era un solo posto per far pascolare le mucche, fuori dalla recinzione, dove soltanto suo fratello, Kevan e pochissimi altri erano così temerari da andare. Annachiara era probabilmente l'unica mucca tanto provilegiata da non starsene in un allevamento intensivo in condizioni disumane, a mangiare sbobba fatta di sale e ormoni.
La ragazza lanciò un'occhiata supplichevole in direzione del mentore, che le fece cenno con una mano di proseguire con la loro politica di dolcezza.
-Sì,- Rispose quindi, ignorando il fastidio. -mi manca molto.-
Non che Elen fosse vegetariana o chissà che altro, ma la condizione delle mucche l'aveva sempre scioccata, soprattutto da quando quel ragazzo strano- il "paladino delle vacche", lo chiamavano- aveva iniziato la sua propaganda animalista, facendo precipitare meteore bovine come Annachiara sotto il tetto di chi era anche solo disposto ad ascoltarlo.
-Immagino.- Commentò l'uomo. -Ma parliamo di domani. Cosa ti aspetti dai giochi, Elen?
La ragazza rivolse uno sguardo al presentatore. -Ventitrè ragazzi morti?- Chiese, i suoi occhi erano sconsolati ma i capitolini trovarono, più o meno inconsciamente, comodo interpretare le sue parole come una battuta, alla quale ridacchiarono.
Caesar fece lo stesso, seppur comprendendo la ragazza, per quanto Caesar Flickerman potesse capire- capire davvero- un tributo.
-E le tue abilità?- Chiese allora, cercando di cambiare discorso.
-Sono brava con le lame. Coltelli, soprattutto di grossa misura, cose del genere. E so correre.- Si interruppe per lanciare un'occhiata a Kevan. -Nei pascoli del distretto correvo spesso.-
Caesar seguì brevemente il suo sguardo e alla vista del sorriso mesto del giovane mentore del dieci le rivolse un sorriso complice.
-Sono sicuro che non avrai problemi.- Le disse ed Elen si sorprese del tono gentile dell'uomo, non riuscendo quindi a negargli un piccolo sorriso che scaldò il cuore della platea.

Soar 

-Allacciati quella camicia, Bisteccone, non tutti vogliono vedere il tuo ombelico.-
Soar roteò gli occhi e incurvò le labbra in un ghigno di scherno, lanciando un'occhiata eloquente alla mentore che gli stava accanto.
Era bassa, tozza e piuttosto brutta, con i capelli lunghi e stopposi di un castano grigiastro e dallo sguardo sempre arcigno e severo. Tutto l'opposto del fisico da divinità greca e dei capelli color mogano del ragazzo.
Notando che la donna lo fissava il ghigno di Soar si aprì ancora di più, mentre appaiava asole e bottoni; era divertente vedere che anche quella vincitrice zitella non era immune al suo fascino.
-Secondo me lo vogliono vedere, il mio ombelico.- Disse, puntando gli occhi nocciola sulla donna. -Vogliono vedere tutto, di me.-
-E io voglio che i miei tributi siano decorosi, quindi non osare spogliarti su quel palco o mangerò bistecche fresche questa sera e i tributi alla Cornucopia, domani saranno ventitrè anzichè ventiquattro, Bisteccone.-
Soar roteò gli occhi, ma il ghigno non gli si cancellò dal viso. Guardò la mentore e aprì la bocca per consigliarle quale parte assaggiare per prima che l'uscita di scena della sua compagna di distretto e la conseguente chiamata del suo nome lo strapparono alle battute.
Si voltò verso il palco dove Caesar attendeva il suo arrivo, quindi si slacciò in tutta fretta un bottone appena appaiato, giusto per provocare la mentore, e sfilò a passo deciso sul palco.
-Soar Cheek!- Esclamò Caesar vedendolo arrivare. -Benvenuto!-
-È un piacere, Sissy.- Ribattè l'altro ammiccando alle telecamere, prima di stringere la mano al conduttore e accomodarsi sulla poltrona, subito imitato dal presentatore che nel sentirsi appellare a quel modo aveva cercato di mascherare l'imbarazzo con una risatina.
-Anche tu hai conosciuto il mio soprannome?- Domandò, ridacchiando.
-Ovviamente.-
Caesar fissò il ghigno del tributo, sentendosi d'un tratto imbarazzato. Quel nomignolo sarebbe stato la sua rovina e il merito di ciò era solo di quella scapestrata del due. Se l'innegabile attrazione che provava per Del, sommata ad anni di interviste non lo avessero reso un tipo così paziente e mite Caesar sarebbe stato tentato di scommettere contro di lei, durante i giochi.
Soar fissò il conduttore e il suo evidente imbarazzo e decise di intervenire, non tanto per sollevare il morale di
Caesar, quanto per il fatto che dargli una mano l'avrebbe fatto ricordare come il tributo gentile, oltre che al tributo bello- perchè era bello-, al tributo forte e ad ogni altro tipo di qualità che era sicuro di riuscre a far trasparire dall'intervista.

-Oh, tranquillo Sissy.- Disse quindi. -Persino io ho un soprannome.-
-Davvero?- Chiese l'altro, sorpreso dal fatto che era forse la prima volta nella storia della sua carriera che un tributo lo aiutava e non il contrario.
-Già,- Fece un sorriso, volontariamente pudico e che eppure sapeva sarebbe risultato seducente. -la mia mentore ha deciso di chiamarmi Bisteccone.-
A Caesar non potè che sfuggire una risata.
-Bisteccone?-
-Bisteccone.- Confermò Soar. -Perchè dice che sono "succulento come una lombata di manzo appena sfornata".-
Il pubblico rise e così il presentatore, menre Soar si ritrovò ad ammiccare alla telecamera. Non era vero che quella zitellona acida della sua mentore lo appellava a quel modo, ma era la prima cosa che gli era passata per la testa e, comunque, il risultato non era stato male, date le reazioni della platea.
-Comunque- Aggiunse poi quando le risate si furono calmate abbastanza da lasciarlo parlare. -ha ragione.- Si alzò in piedi, aprendo le braccia in modo che la camicia bianca che indossava gli si aprisse sul petto mettendo in evidenza il bottone lasciato aperto di troppo e, ovviamente, quello che vi stava sotto. -Chi non vorrebbe dare un assaggio?-
Il pubblico scoppiò di nuovo e Soar tornò a sedersi sulla poltrona con un ghigno di trionfo sulle labbra.
Caesar aspettò che il pubblico finisse di applaudire, per mostrare agli sponsor quanto fosse esilarante, quindi si asciugò una lacrima all'angolo dell'occhio dovuta al troppo ridere e guardò Soar.
-Bello e simpatico, ma quante qualità ha questo tributo?-
Soar ammiccò in direzione del pubblico. -Molte di più della semplice bellezza e della simpatia, Sissy.-
-Immagino che tu sia anche forte.- Commentò quindi l'uomo, incrociando le gambe e facendosi d'un tratto serio e pronto a parlare di strategia.
Al contrario, Soar non perse quella scintilla di malizia:- Che ci vuoi fare, sono perfetto.-
Il pubblico ridacchiò.
-Ovviamente.- Convenne Caesar, abbandonando l'aria seria per impostare quell'intervista sulle battute. -Se torni vivo dall'Arena ti presenterò mia figlia. A proposito, a quale geniale strategia hai pensato per vincere?-
Soar inclinò la testa all'indietro ed esplose in una risata. -Oh, Caesar, ti pare che uno come me abbia bisogno addirittura di pensare a una strategia per vincere? Avrò strada spianata!-
Il pubblico applaudì in conferma.
Ovviamente Soar non era così stupido da credere davvero che gli Hunger Games sarebbero stati un gioco da ragazzi, ma non era nemmeno così completamente idiota da rivelare la sua strategia, perchè sì, ne aveva una. Quello era stato semplicemente un ottimo modo per corredare l'aria da sbruffone che si era creato. Un po' di quel modo di fare proveniva dal suo vero carattere, certo, ma Soar più che sbruffon era un vincente e, come tale, convinto e conscio delle proprie capacità.
-Comunque,- Aggiunse dopo l'applauso, per buona misura. -state certi che chi uscirà da quell'arena sarà il sottoscritto.-
Caesar rise. -Dirò a mia figlia di tenere libera l'agenda.-
Soar lo guardò con un sopracciglio inarcato e con l'ombra dell'ennesimo ghigno sulle labbra.
-Spero che fare file non la annoi troppo.-
Detto questo guardò il pubblico e ammiccò, dando così l'illusione alle donne dello studio che ognuna di loro avrebbe avuto un posto avanti alla piccola Flickerman nella coda, a patto che una piccola Flickerman esistesse davvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Ailanda e Justin- Distretto 11 ***


 

Distretto 11

 


Ailanda

 Ailanda smise di lottare contro il mentore del suo distretto e sopportò con una smorfia furente sulle labbra che Caravan, il suo stilista, le appuntasse sul capo quella stramaledettissima cosa.
Una visiera di trenta centimetri buoni di un intenso viola le ricadde sul volto, mentre le spalle si ritrovarono a reggere i quindici chili che l'avvoltoio impagliato che covava tranquillo sul cappello che le stavano infilando.
-Vi odio.- Sibilò la ragazza cercando di sottrarsi alla stretta del mentore. -Vi odio profondamente.-
L'uomo aumentò la presa intorno al suo tributo e Ailanda non riuscì a lottare. Malgrado fosse una ragazza forte, dal fisico temprato dalle fatiche quotidiane del distretto e dal resto, c'era un limite alla forza che i suoi quarantasette chili potevano avere, soprattutto contro il centinaio formato da muscoli d'acciaio dell'uomo che la teneva ferma.
Quando Caravan finì di appuntare l'ultima forcina sotto la tesa del cappello fece cenno al mentore di lasciare Ailanda giusto un attimo prima che, dal palco, Caesar invitasse la ragazza dell'undici ad entrare in scena.
Ailanda capì che era il suo momento, così si girò di scatto verso l'uomo che avrebbe dovuto aiutarla a salvarsi la vita, facendo barcollare pericolosamente l'avvoltoio, e gli piantò un poderoso calcio nell'inguine che lo fece stramazzare a terra, quindi si voltò verso il suo stilista e afferrandolo per il bevero avvicinò il volto a quello di lui così tanto che i loro nasi quasi si sfiorarono.
-Ora,- Sussurrò la ragazza, furente. -mi togli quest'oscenità dalla testa.-
-Ma...- Iniziò Caravan, interdetto.
Ailanda aumentò la presa sulla camicia decorata dell'uomo, scrollandolo.
-Toglimelo!- Urlò, poi indicò con un cenno stizzito del mento il mentore ancora a terra, scosso dai gemiti. -O farai la sua stessa fine. Se non peggio.-
Caravan deglutì e si accinse a togliere velocemente le forcine dell'impalcatura, mentre dal palco la voce di Caesar iniziava già a coprire l'attesa con qualche battuta sul fascino dei ritardatari.
Ailanda fece una smorfia nel sentire quelle parole e le conseguenti risate del pubblico. Era patetico. Tutta quella scenata di finta compassione da parte del presentatore, la corrente di sentimenti che invadeva il pubblico, la voglia di apparire al meglio dei tributi e tutto il sistema di sponsor era solo una farsa. Un motivo per dare speranza a ragazzi che non avevano chance.
-Fatto.- Pigolò lo stilista, togliendo delicatamente il cappello dal capo della ragazza.
-Bene!- Grugnì quella, prima di strappare l'avvoltoio dalle mani dell'altro e incamminarsi rabbiosamente verso il palco, barcollando sui tacchi alti che le avevano legato ai piedi per mezzo di una trentina di cinturini di cuoio che, oltre a tenerla incollata alle suole, costituivano la principale decorazione del capo.
Quando finalmente sbucò da dietro le quinte l'espressione pimpante di Caesar la accolse. -Meglio tardi che mai!- Disse, solare, prima che la vista di Ailanda non gli cancellasse il sorriso dalle labbra.
Con i capelli corti e ricci, sparati in tutte le direzioni in una massa selvaggia ed indomabile, un avvoltoio impagliato tra le mani e l'espressione furente accentuata dalla cicatrice a forma di "X" che le tagliava il viso in quattro metà simmetriche Ailanda era il perfetto prototipo di tributo che incuteva terrore al povero Flickerman.
Da parte sua la ragazza lanciò uno sguardo gelido e penetrante al conduttore, quindi si rivolse al pubblico e un moto di disgusto la scosse, facendole tremare i muscoli in un eccesso di adrenalina mentre afferrava il cappello con entrambe le mani e lo scaraventava lontano dal palco, verso gli spettatori.
Tutto lo studio trattenne il fiato, sorpreso e spaventato da quella reazione. Ailanda, pur notando lo stupore delle persone intorno a lei, non se ne curò, si lasciò cadere sul pavimento e con un ringhio si strappò i cinturini delle scarpe dai piedi prima di scagliarle contro Caesar con tutta la forza che aveva. Il presentatore schivò la prima scarpa, mentre la seconda prese di striscio la sua parrucca rosa che, per la forza dell'impatto, cadde a terra, rivelando una lucida pelata contornata da qualche ciuffo di un castano topo striato di grigio.
-Oh, porca...- Gementte Caesar cercando di arrivare alla parrucca per riposizionarla sul capo e nascondere il vero aspetto della sua testa.
Ailanda guardò la scena con il suo consueto sguardo furente, serrando le mani a pugno e respirando affannosamente più per l'eccesso di adrenalina che per la fatica.
Sarebbe stato semplice spiegare la sua reazione dicendo che era pazza, che aveva flippato per qualche problema al cervello o cose del genere, ma non era così.
Ailanda non aveva premeditato quella scena, col suo carattere impulsivo era impossibile che premeditasse qualcosa, ma aveva saputo, fin dal momento in cui la sua accompagnatriche aveva estratto il nome "Ailanda Unknow" dall'urna delle ragazze che avrebbe affrontato i suoi Hunger Games in quel modo.
Perchè se c'era una cosa che Ailanda non avrebbe mai fatto sarebbe stata piegarsi a Capitol City, alla sua assurda politica e agli Hunger Games.
A diciotto anni non aveva niente da perdere. Non un parente, non un amico, nulla. Erano anni che c'era soltanto lei e il suo sguardo di ghiaccio infuocato, lei e i segni delle frustate sulla schiena e sul volto, lei e la sua ribellione.
Sfidò ogni singolo presente dello studio, tenendo la testa alta e fiera e fissando ogni singolo spettatrore spaventato con il suo sguardo selvaggio, gelido eppure divampante di rabbia, fino a che non le sembrò che Capitol City ebbe recepito il messaggio che lei non era una pedina. A quel punto attraversò il palco a passi decisi e rapidi, sentendo lo scalpiccio dei piedi nudi risuonare nel silenzio attonito dello studio, una volta arrivata davanti alla poltrona sulla avrebbe dovuto essere intervistata con un unico balzo vi salì sopra in piedi e portando le braccia al soffitto urlò:- Sono Ailanda Unknow e lascerò il segno nel vostro mondo marcio!-
Detto questo balzò giù dalla poltrona e corse verso gli alloggi dei tributi prima che qualche membro della sicurezza o il suo mentore potessero ucciderla ancora prima dei giochi.

 

Justin

 Per tranquillizzare pubblico e presentatore fu necessario un altro spettacolo di luci. Era la prima volta che nella storia degli Hunger Games servivano tali espedienti per far sì che le interviste continuassero in relativa tranquillità.
Justin Hummer, il ragazzo del distretto undici che avrebbe dovuto essere intervistato dopo Ailanda, era contento di avere un altro po' di tempo per prepararsi all'intervista.
Non che fosse particolarmente nervoso o agitato, ma era bello avere ancora un attimo di respiro prima di arrivare sul palco e presentarsi a tutta Panem.
Sospirò, pensando a cosa gli avrebbe detto Darren se fosse stato con lui:" Andrà benone". Gli avrebbe accarezzato una guancia pallida che sarebbe arrossita sotto il suo tocco. "Non puoi non piacere agli altri, Just."
Justin sorrise; sarebbe andata proprio così e quel pensiero lo calmò del tutto.
Così, quando lo spettacolo di luci terminò con una pioggia di lampi dorati e Caesar, la cui orrenda calvizie era stata nuovamente coperta dalla parrucca rosa, lo invitò a salire sul palco Justin si raddrizzò la giacca fucsia e il cravattino tempestato di ametiste e brillanti, e mise piede sul palco. Appena entrato si aprì in un grande sorriso e pubblico e presentatore lo ricambiarono rispettivamente con un applauso e con un sorriso sollevato nel constatare che, abiti troppo colorati a parte, sembrava per lo meno ben disposto nei loro confronti.
-Justin,- Disse Caesar quando il ragazzo gli fu di fronte. -benvenuto!-
-È un piacere.- Replicò il tributo con un largo sorriso al quale l'uomo non potè che rispondere, sebbene il ricordo di Ailanda e delle scarpe che gli aveva tirato contro fosse ancora tanto nitido da spaventarlo.
-Accomodati pure.- Lo invitò quindi, con un gesto della mano.
Justin si accomodò, accavallando le gambe e incrociando le dita sopra le ginocchia per poi osservare Caesar accomodarsi in modo più virile del suo.
-Bene,- Esordì quindi il conduttore. -iniziamo, ti va?-
-Non vedo l'ora.-
Caesar lo osservò con aria d'evidente approvazione, soffermandosi sugli occhi verdi, i capelli castani e la pelle chiara.
-Non sembri dell'undici.- Commentò infine, sorridendo gentilmente.
-Be', lo sono.- Replicò l'altro, tranquillo. -Ho parenti albini, alla lontana, questo spiega la carnagione. Ma posso assicurarti che vengo dall'undici tanto quanto tu vieni da Capitol City.-
Caesar colse la palla al balzo:-A proposito di Capitol City, come ti è sembrata la città? È molto diversa dall'undici, non è vero?-
Justin annuì. -Davvero molto diversa, ma più bella a mio parere. Qui c'è sempre da mangiare e, be', nessuno ti giudica troppo quando sei come me.-
Caesar, sarà perchè l'atteggiamento effemminato del ragazzo a Capitol City era comune, lo fissò interdetto:- Perchè? Come sei tu?-
Justin inarcò un sopracciglio, indicandosi il cravattino tempestato di pietre preziose come se fosse una spiegazione evidente. -Sono gay, Sissy.-
Caesar ignorò, suo malgrado, il soprannome per rivolgergli uno sguardo comprensivo. -Oh, capisco.- Disse. -In effetti in un posto, passami il termine, arretrato come il tuo distretto non dev'essere facile.-
Justin a quelle parole non potè evitare di rivivere gli ultimi tre anni della sua vita, passati tra lo scherno degli altri, le prese in giro, le urla di frocio e finocchio lanciate a scuola, per la strada e nei frutteti. Ripensò al suo atteggiamento remissivo e a Darren, a come si scaldasse e a quanto fosse brutto cercare di calmarlo quando era davvero arrabbiato.
-Già.- Sussurrò Justin, perdendo per un attimo il suo sorriso contagioso. -Non è facile per niente.-
Caesar gli rivolse uno sguardo mesto e, intuendo quello che il ragazzo aveva passato a casa sua dalla sua espressione, gli posò una mano sulla spalla.
-Sai che ti dico, Justin? Quando vincerai gli Hunger Games, perchè un ragazzo adorabile come te non può non vincere, tutti quelli che ti hanno dato il tormento dovranno solo tenere la bocca chiusa.-
Justin alzò lo sguardo fino a incrociare quello di Caesar, quindi sorrise e gli occhi gli si illuminarono mentre annuiva. -Sempre se un ragazzo adorabile come me non rimane ucciso prima della fine.-
La sua voleva essere una battuta ma la voce gli si incrinò un poco e la mano di Caesar scattò nuovamente verso la sua spalla.
-Sai maneggiare qualche arma?- Gli chiese.
-Coltelli, in prevalenza, li usavamo al distretto per tagliare i tralci e i rovi.-
-Allora ce la farai di sicuro.- Fece una pausa per osservare il fisico alto e asciutto del ragazzo. -E poi sembri abbastanza agile, non c'è motivo per cui tu non ce la debba fare.-
Justin fece un piccolo sorriso, annuendo. Un motivo per cui non ce l'avrenne fatta di certo c'era: non avrebbe mai avuto abbastanza coraggio da uccidere qualcuno. Anzi, forse lo avrebbe avuto, ed era questo a spaventarlo.
Non faceva altro che pensare a Darren e a tutte le volte che gli aveva detto che si era innamorato di lui per la sua dolcezza e la simpatia. Uccidere qualcuno, anche se quel qualcuno voleva uccidere te, non sarebbe stato dolce e, a meno di non venire dal due, nemmeno simpatico.
-C'è qualcosa che ti turba?- Gli chiese Caesar gentilmente, dopo quel lungo silenzio.
Justin si affrettò a scavare nella sua testa per trovare qualcosa che non rivelasse la sua debolezza, e, subito dopo l'usuale paura che attanagliava i tributi, trovò Darren.
-Ho un ragazzo, al distretto.- Disse così, a mo' di spiegazione. -Certe volte mi manca così tanto che mi perdo nei ricordi e...-
Venne interrotto da un coro di "oooh" inteneriti da parte del pubblico.
-Capisco.- Disse Caesar senza dargli modo di terminare la frase. -Ma tornerai da lui, ne sono certo.-
Justin sorrise e il suo sorriso illuminò lo studio più dei giochi di luci passati da poco; era bello sentirsi così compresi, per una volta.
-Lo vorrei tanto.- Sussurrò e in quell'istante gli parve di vedere quasi concretamente il bel viso di Darren asciugarsi una lacrima all'angolo dell'occhio; anche lui, di certo, lo voleva. Solo in quel momento, a quel pensiero preciso, Justin capì che sarebbe stato disposto a rinnegare il suo animo pur di tornare a casa.



Angolo di Ted:

Vi risparmio la storia sul perchè sto postando anche se mi ero presa una "settimana sabbatica" e vi lascio al coro di angeli che cantano nel vedere l'undici che esce alla luce del sole.
Su questo capitolo devo dire tre cose:
1- Notate il cappello di Ailanda.
2- Notate Ailanda, per farmela spedire ho dovuto dar fondo al mio repertorio di minacce e di freddezza.
3- Non voglio andare incontro a litigate da fan ma il nome di Justin mi sembra molto azzeccato per il suo ruolo (e chi vuole intendere intenda, pace e amore.)
-Teddy
Ps. Dedico questa cosa a Lena Mayfleet, che troverà qualcosa che non le andrà bene di Ailanda. Tanto amore, L.

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Capitolo 14
*** Georgie e Gunnar- Distretto 12 ***


 NB. Si consiglia l'ascolto di "Geordie" di De Andrè durante la prima parte.



Distretto 12

 

Georgie
 

Georgie era sempre stata una ragazza coraggiosa, ma in quel momento aveva fame. Quel tipo di fame che senti solo in modo leggero, con una minuscola parte della tua consapevolezza. La fame dovuta allo stomaco troppo chiuso per poter mangiare, una terrribile fame.
La fame che associava a quei momenti in cui si sentiva persa.
Era la terza volta che le capitava una cosa simile.
La prima era stata qualche mese prima, davanti ad una corda dorata e la seconda quando era stato pescato il suo nome.
E ora capitava di nuovo.
Georgie deglutì e rivolse lo sguardo al palco, dove Caesar dava l'ultimo saluto allo sfavillante Justin Hummer. A breve sarebbe stato il suo turno e la fame aumentava sempre di più. Anche se avesse chiamato Hamburger, la sua accompagnatrice, chiedendole qualcosa da mangiare non sarebbe riuscita ad inghiottire un solo boccone.
Era sinceramente patetico che proprio il tributo del dodici, il distretto che pativa di più la mancanza di cibo, manifestanse l'ansia con borbottii allo stomaco che nemmeno le succulente pietanze di Capitol City potevano mettere a tacere.
Sospirò, mentre Justin usciva di scena e Caesar sorrideva al pubblico, pronto a chiamare il suo nome.
Georgie chiuse gli occhi, in attesa, le mani streette a pugno lungo i fianchi e i pensieri che vertevano unicamente su quanto quell'intervista sarebbe stata sprecata.
Perchè parlare di lei significava parlare di lui e parlare di lui davanti a Capitol City le era impossibile.
Perchè quello che i Capitolini volevano dagli Hunger Games era quello che volevano tutti i ricchi di Panem, anche i pochissimi che vivevano nel dodici. Era quello che voleva anche l'uomo che un tempo aveva chiamato "papà".
Per un attimo davanti alle palpebre chiuse le passò il bagliore dorato della corda, che ormai era diventata il simbolo dell'odio che nutriva verso i suoi genitori, così li riaprì di scatto.
Georgie non riuscì a fare in tempo a ricomporsi che la voce calda di Caesar la invitò sul palco.
Con un sospiro si decise ad avanzare, muovendo le gambe come un automa e senza fermarsi ad osservare la platea che la stava applaudendo in quel momento si avvicinò a Caesar, gli strinse la mano, e gli si accomodò davanti.
Subito il conduttore la imitò sorpreso e abbastanza basito dall'aria rassegnata della ragazza.
Per questo la prima cosa che le disse fu:-Sembri preoccupata, mia cara.-
Georgie alzò lo sguardo sul viso di Caesar, un viso dolce, maturo e goffo data la parrucca storta e scompigliata che portava in testa, un viso di cui era facile fidarsi.
-Lo sono.- Ammise, pensando comunque che niente le avrebbe fatto raccontare la sua storia.
-E perchè mai?- Le chiese l'altro. -Siamo tutti amici qui.-
Il pubblico applaudì in conferma e Georgie sospirò, sconsolata.
Il distretto dodici aveva avuto un solo vincitore, che ovviamente non si sprecava per far vincere i poveri e malnutriti ragazzi estratti, di conseguenza Georgie non aveva nemmeno pensato a che strategia usare nell'intervista.
Tale consapevolezza non fece che aumentare la sensazione, che ormai da quasi un anno la invadeva sempre più spesso, che a nessuno importasse di lei, e la cosa la intristì fin quasi a portarla alle lacrime.
Georgie voleva vivere, per farlo le servivano sponsor e per avere sponsor doveva raccontare la sua storia e muovere a pietà gli animi dei Capitolini.
Ma non poteva farlo.
Guardò Caesar, combattuta, mentre l'altro le restituiva uno sguardo interrogativo.
La ragazza sospirò, abbassò la testa in modo che i lunghi capelli scuri le cadessero ai lati del viso, nascondendolo alle telecamere e fissò la stoffa scintillante dell'abito che indossava.
No, non poteva parlarne... ma poteva cantare.
In un attimo quella consapevolezza le fece alzare il viso, mentre le lacrime iniziavano a inumidirle occhi e guance al solo pensiero della canzone.
Non l'aveva mai cantata, eppure l'aveva sentita così tante volte nel distretto che la conosceva a memoria. Ogni parola le si era impressa nella testa come un marchio dolorosamente indelebile.
Si scostò i capelli dal viso, sospirò e, ignorando il ricordo delle bambine che cantavano quegli stessi versi, ignare che la protagonista fosse a poca distanza da loro, intonò con voce incerta:
-Geordie non rubò mai neppure per me
un frutto o un fiore raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro. -
Fece una pausa, per guardare il volto stupito di Caesar. Non osò ancora fare lo stesso col pubblico e soffocando il pianto che quelle note le provocavano riprese con un altro verso.
-Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso,
non ha vent'anni ancora
cadrà l'inverno anche sopra il suo viso,
potrete impiccarlo allora.-
Chiuse gli occhi, perchè le lacrime avevano preso a rigarle le guance.
La veridicità della canzone era sorprendente. Un piccolo singhiozzo interruppe la melodia quando Georgie si trovò a ricordare le labbra di lui, sempre incurvate in quel sorriso spensierato anche quando tornava stanco dalla caccia e trovava la casa sporca perchè lei, Georgie, non aveva idea di come si rassettasse.
Le mani iniziarono a tremarle, ma continuò imperterrita:
-Né il cuore degli abitanti né lo scettro del re
G-Geordie potran salvare,
anche se piangeran con te
la legge non può cambiare.-
Le lacrime ormai scendevano copiose, al nome di lui la voce le si ruppe e la fine della strofa venne conclusa in modo sibilante.
Caesar fece per dire qualcosa, ma Georgie lo fermò alzando la mano ancora scossa da tremori convulsi.
Quindi raccolse tutta la sua forza e tutta la sua voce e concluse:
-Così lo impiccheranno con una corda d'oro,
è un privilegio raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.-
Di nuovo il bagliore dorato le passò dietro le palpebre chiuse e Georgie venne attaversata da un brivido che la costrinse ad aprire gli occhi. La prima cosa che vide fu il viso triste di Caesar, poi finalmente si voltò verso il pubblico e lo trovò piangente. La cosa la sorprese così tanto che le sue lacrime si arrestarono, mentre lo stupore le si fece largo sul viso e nella testa.
Osò pensare che, forse, se era riuscita a impietosire i Capitolini anche suo padre si sarebbe pentito di quanto aveva fatto.
Certo, non che le interessasse dal momento che era stato lui a fornire la corda d'oro di cui parlava la canzone e alla quale il corpo inerme di Geordie era penzolato per un intero giorno come monito per tutti coloro che avrebbero osato varcare la recinzione del distretto.
Prima che la ragazza potesse lasciarsi andare in balìa di quel ricordo logorante Caesar intervenne:-Molto triste.- Commentò piano.
Georgie annuì. -Parla di me.- Si limitò a dire.
-Lo amavi molto.- Replicò l'altro. Non era una domanda, ma il tributo annuì comunque.
Prima che chiunque potesse dire qualcosa le labbra di Georgie si schiusero e proferirono parole con autonomia propria:
-Voglio vivere.- Disse. -Per lui, per Geordie, per il suo ricordo.-
Caesar annuì. -Vivrai.-
Detto questo le cinse la spalla e la aiutò ad alzarsi. Si sfilò il fazzoletto da taschino che aveva appuntato sulla giacca e lo porse alla ragazza perchè si asciugasse le lacrime.
E mentre il pubblico già aveva preso ad applaudire Caesar portò in alto la mano stretta a quella di Geordie, che si ritrovò ad urlare sopra il frastuono della platea:- Per Geordie!-

Gunnar 

Gunnar fece un sorrisetto arrogante, nel vedere la ragazza in lacrime che usciva dal palco. L'eco del nome del ragazzo che diceva di aver amato ancora si perdeva per lo studio.
Ma era ovvio che Gunnar non si era fatto abbindolare da quella che riteneva essere solo una strategia.
Perchè Gunnar era così: insensibile.
L'unica cosa che si limitò a fare nel vedere la ragazza in lacrime fu dispiacersi perchè non poteva più giocare la carta della pietà per la quale, da ragazzo di Giacimento quale era, sarebbe stato facile optare.
Certo, non che con il suo fisico muscoloso e temprato dai lavori in miniera potesse fare lo stesso effetto della ragazza bassina e dalle curve dolci che andava dicendo di essere la protagonista della canzone del distretto, ma la pietà è comunque pietà.
Così, quando Caesar lo invitò sul palco aveva deciso di optare per una storia che lo facesse apparire forte e coraggioso.
Ovviamente per Gunnar Barthold raccontare la nuda e cruda verità era fuori discussione. Non lo chiamavano "il bugiardo del dodici" per niente.
Attraversò il palco con passo deciso flettendo impercettibilmente i muscoli in modo che i Capitolini potessero ammirarli sotto la stoffa attillata della camicia bianca che indossava e quando arrivò davanti a Caesar gli strinse la mano, scuotendola vigorosamente prima di lasciarsi cadere con un sorriso arrogante sulla poltrona.
-Benvenuto.- Gli disse l'uomo, sedendosi a sua volta e fissando con un sopracciglio inarcato il ragazzo, come a voler chiedere tacite spiegazioni dell'esibizione di tutti quei muscoli che da un tributo del dodici non ci si sarebbe mai aspettati. Che quel ragazzo avesse ingurgitato una delle magiche pillole che, girava la voce, incrementassero la massa muscolare?
-Grazie, Sissy.- Rispose il ragazzo, appoggiando i gomiti alle ginocchia in modo da far tendere i muscoli della schiena.
A dire il vero non gli importava così tanto esibire il suo fisico, ma tutto faceva parte della bugia che avrebbe raccontato.
Perchè sì, Gunnar raccontava fandonie con la stessa frequenza di quando si cambiava calzini. Questo, insieme alla disarmante insensibilità di cui si circondava contribuiva a definire i tratti salienti del suo carattere.
-Bene, Gunnar.- Esordì quindi il conduttore ignorando per l'ennesima volta il nomignolo. -Perchè non ci parli un po' di te? Vieni dal distretto dodici, dalle miniere, è stato difficile ambientarsi qui in città?-
Sì, lo era stato: questa era la verità. Perchè Gunnar non solo si era allontanato dal carbone del suo distretto, ma anche da tutti quelle sfaccettature della sua vita che, per quanto piccole, lo avevano reso felice. Come la banda scalmanata con cui si ritrovava dopo il lavoro. Con loro era facile dimenticare una mina esplosa sotto terra, i genitori che non riuscivano a tirare avanti e le mietiture incombenti; loro conoscevano Gunnar per quello che era davvero e non per il bugiardo losco e insensibile che tutti- il ragazzo stesso compreso- pensavano che fosse.
Dire questo, tuttavia, non avrebbe certo giovato alla sua ennesima bugia, per questo alzò le spalle come se gli importasse poco e, finalmente, rispose alla domanda:
-A dire il vero non molto.- Disse. -La gente mi idolatra qui come mi idolatrava al dodici.-
Caesar annuì, poco convinto. Era ovvio che quel tributo stesse raccontando fandonie; era già tanto se gli abitanti del dodici non svenivano sul palco per la fame o la polmonite, figuarsi se trovavano la forza di adorare qualcuno come succedeva nel due con i favoriti.
-Ne deduco che tu abbia molte abilità.- Commentò comunque; malgrado quanto raccontava quel tributo Caesar era troppo buono per volere che la sua intervista andasse sprecata.
Gunnar, senza capire la reticenza che comunque era trasparita dal presentatore continuò imperterrito nella sua arringa:-Sono molto forte, tanto basta.-
Questo era vero, perchè il lavoro in miniera finiva per uccidere i più deboli e rafforzare ulteriormente chi aveva già un minimo di propensione all'essere robusto.
Caesar, non potendolo sapere, si costrinse a non roteare gli occhi. Si chiese a cosa mai fosse dovuta tutta la voglia di quel ragazzo di raccontare bugie; era di bell'aspetto, eccetto la cicatrice che aveva vicino al sopracciglio, e magari se fosse stato se stesso avrebbe potuto ottenere qualche sponsor con quella pelle scura e le labbra carnose, ma così facendo, invece, si stava tirando la mazza sui piedi.

 -Il bugiardo del distretto ha colpito ancora.- Sussurrò Dereck, davanti allo schermo. Con tutte le persone radunate in piazza per assistere ai giochi nello schermo gigante il giacimento era molto silenzioso, eccetto per una banda di ragazzini radunati in una delle tante catapecchie. Probabilmente erano gli unici ad assistere ai giochi da casa, tutti gli altri erano in piazza, alla disperata ricerca di una spalla su cui piangere i tributi del loro distretto o, molto più probabilmente, qualcuno che accettasse scommesse.
-Non chiamarlo così.- Lo rimbeccò Ophelia, lanciando uno sguardo al televisore. -Non è bugiardo.-
Amelì sospirò appoggiando la mano al ginocchio della sorella:-Con noi non lo è, ma con Capitol sta facendo la figura del racconta palle...- Sussurrò.
Ophelia gemette piano, guardò Dereck e Amelì e si sentì in dovere di giustificare il comportamento di Gunnar, anche se con il resto della banda, che lo conosceva quanto lei, non ce n'era bisogno. -Credo che lo faccia perchè è fragile, lui...-
-Lo sappiamo.- Le disse Dereck, triste, indicando poi con un cenno del mento lo schermo. -Ma loro no.-

 

 

Angolo di Ted:

YEAH! Interviste finite! Mi sento realizzata.
Ho sonno, problemi da donna e mal di pancia quindi sarò breve:
Georgie mi ha fatto piangere, Gunnar per me è meraviglioso.
Ciau,
Teddy
ps. -1 alla morte di otto tributi!

 

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Capitolo 15
*** Piccoli assassini crescono: D'8>D'12 ***


 

 

Piccoli assassini crescono
D'8>D'12

 

Parte I
Helle e Georgie: tra convenienza e pietà.

 

Helle aveva più che intenzione di infilarsi nella postazione dei nodi, appiattirsi alla parete e rimanere lì fino alla fine dell'addestramento.
Aveva già percorso a passo svelto tutto il perimetro della palestra ed era in procinto di scegliere una corda e sistemarsi a intrecciarla e annodarla, ma il suo piano non andò a buon fine.
Mentre infatti si chinava per osservare meglio le qualità delle corde ai suoi piedi che l'addestratore aveva preso ad elencare con entusiasmo uno strillo acuto l'aveva fatto voltare.
A pochi metri di distanza, sulla pedana per il lancio dei coltelli, una ragazza dai capelli scuri raccolti in una crocchia alla base della testa se ne stava in ginocchio, con le lacrime agli occhi, reggendosi la mano destra con la sinistra, che ormai si era sporcata di un vischioso liquido rosso. Helle riconobbe il dodici appuntato sulla sua maglietta, cercò di associare il numero ad un nome, ma non gli venne in mente e, comunque, non ebbe molto tempo di riflettervi.
Proprio in quel momento, infatti, l'istruttrice che controllava le postazioni delle armi da taglio e che in quel momento stava elogiando i favoriti percorse la distanza che separava i manichini di lattice dalla postazione di lancio dei coltelli per soccorrere la ragazza, palesemente infastidita che una sciocca incapace del dodici avesse distolto la sua attenzione dagli assassini esperti dell'uno, del due e del quattro.
Helle vide con chiarezza le lacrime sul viso del tributo e la sua tuta coperta di sangue mentre la donna la portava in un angolo della palestra per medicarla, ma la cosa che gli rimase più impressa fu l'espressione gelida sul viso degli strateghi che, dopo aver raggiunto la ragazza ferita, avevano preso a scribacchiare sulle loro cartelline qualcosa che di sicuro non poteva essere positivo.
-Be'...- L'istruttore dei nodi lo costrinse a voltarsi, porgendogli un pezzo di corda parecchio ruvida. -direi che puoi iniziare ad esercitarti con questa, ragazzo.-
Helle afferrò lo strumento che gli era porto, ma prima di sedersi e iniziare ad annodarlo lanciò un altra occhiata alla palestra alla ricerca della ragazza del dodici.
L'istruttore, seguendo il suo sguardo, gli rivolse un sorriso mesto.
-Non ti conviene provare pena per lei.- Gli disse.
Helle lo guardò, con un sopracciglio inarcato.
-Non dovrei dare consigli in merito ai tributi, ma evita quella ragazza. Provare pena non aiuta, qui.- Continuò l'uomo.
Helle pensò a diverse risposte da dargli, non tutte gentili; era ovvio che gli Hunger Games non erano un gioco di pietà, ma non si poteva chiedere ai tributi di smettere di essere umani. Certo, da quando era arrivato a Capitol City quell'uomo era probabilmente stato l'unico a parlare così francamente al ragazzino rosso del nove, e Helle non se la sentì di rispondergli per le rime, così si limitò ad annuire e a sedersi per intrecciare la sua corda.
Rimase alla postazione per parecchio tempo, imparò a fare diversi nodi scorsoi, qualche cappio e persino un lazo in miniatura. L'istruttore si rivelò molto soddisfatto.
-Impari in fretta, Dee.- Gli disse ed Helle trasalì nel sentirsi chiamare come il gemello; ancora non si era abituato del tutto. -Se ti dedichi a qualche arma e ti applichi come per i nodi hai buone possibilità di sopravvivere.-
Il ragazzo si sforzò di sorridergli. -Lo farò.- Gli rispose e si allontanò in direzione del poligono di tiro con l'arco.
Non aveva davvero intenzione di dedicarsi alle frecce, ma quella era la postazione più lontana da quella dei nodi e voleva dare l'impressione al suo nuovo amico di seguire i suoi consigli, e poi proprio lì accanto c'erano le panche su cui l'addestratrice delle armi da taglio aveva lasciato la ragazza del dodici a riprendersi.
Così Helle ignorò le faretre piene e si diresse verso il tributo, che ormai aveva smesso di piangere, ma ancora si reggeva la mano, ora avvolta in un panno bianco sporco di sangue.
Le si avvicinò lentamente, per darle il tempo di vederlo arrivare. La ragazza alzò lo sguardo su di lui quando ormai era abbastanza vicino da tenderle la mano e aspettare che lei la stringesse.
-Ciao.- Le disse quindi, compiendo il gesto. -Io sono Helle.-
L'altra alzò lo sguardo sul viso del ragazzino, poi, esitante, gli afferrò la mano con la sinistra, che evidentemente doveva essere stata lavata considerando che era pulita.
-Georgie.- Rispose, poi un lampo di dubbio le attraversò il viso. -Non ricordo di aver sentito il tuo nome in TV.-
Helle sorrise. -Lo so.-

Parte II
Storia di come il ciclone Ailanda interruppe i peccaminosi Bisteccone ed Evangeline e minacciò il povero, piccolo Justin 

-Ehi, Bisteccone, secondo me la principessina laggiù ci sta provando.-
Evangeline fece una risatina seducente, appoggiando il mento alla spalla di Soar per osservare Justin che, qualche metro più in là, davanti alla fila, stava aspettando il suo turno di arrampicarsi, e lanciava, di tanto in tanto occhiare al ragazzo del dieci, soffermandosi sui muscoli del petto che quello esibiva.
Soar osservò il ragazzo con un sorrisetto provocante, prima di voltarsi e cingere i fianchi di Evangeline per stringersela al petto nudo e sudato, giusto per deridere la vena speranzosa che era così palese nello sguardo di Justin.
Contro il suo petto Evangeline iniziò a fare le fusa come un gatto, iniziando a strusciare il bacino contro quello di Soar.
-Mmh, fai così per la principessina o saresti capace di concludere la cosa solo tra me e te? Stasera al nono piano, magari?-
Il ragazzo le sorrise, ammiccante, solitamente preferiva ragazza semplici, dolci e con molta fibra morale da far "passare al lato oscuro", per così dire, ma in quel caso si sarebbe potuto accontentare di una come Evangeline.
Stava per intimarle qualche accenno a quanto sarebbe successo quella sera, quando una piccola furia li travolse, separandoli e facendo finire Eve a gambe all'aria.
-Ma che diamine...?!- Sbottò quella, fulminando con lo sguardo la ragazza che li aveva appena divisi.
Soar lanciò a sua volta un'occhiataccia alla ragazza ma quella non lo degnò di uno sguardo, passò avanti e si diresse a passo rapido e deciso verso la parete d'arrampicata, scansando Justin appena più gentilmente di come aveva fatto con Soar ed Evangeline.
Si avvicinò alla parete, posizionò il piede sul primo punto cavo che trovò e solo allora si voltò per guardare il compagno di distretto, con un'espressione furibonda sul viso.
-Li hai sentiti, perchè so che li hai sentiti.- Ringhiò, gli occhi lampeggianti e la cicatrice a forma di "X" che si contorceva sul viso fino a renderla selvaggia e quasi mostruosa. -E se non li ammazzi appena entri in quella fottutissima Arena come si meritano...-
Lasciò la minaccia in sospeso, prima di cominciare ad inerpicarsi agilmente su per la parete, lasciando basiti tutti i tributi che vi stavano al di sotto.

Parte III
Helen e Gunnar, bugiardo alla seconda 

-Avevamo una mucca, al dieci, sai?-
Elen fece un piccolo sorriso al ricordo di Annachiara e smise per un secondo di sfregare le selci che aveva in mano nel tentativo di accendere un mucchietto di sterpaglie.
-Anche io ne avevo una.- Disse Gunnar. -Ne avevo un sacco, un allevamento intero.-
Elen lo guardò con un sopracciglio inarcato. -Un allevamento di mucche? Al dodici?-
Nelle scuole del distretto insegnavano unicamente le basi dell'economia del dieci, ma Elen era sicura che il dodici si occupasse di carbone e che non ci fossero molti animali.
Gunnar fece spallucce. -Certo, mio padre è un ricco uomo d'affari che viaggia spesso per i distretti per ordine di Snow in persona e si occupa di macellazione di mucche.-
-Oh, capisco.- Replicò Elen. Non sapeva bene se credere a quanto diceva quel ragazzo. A dire il vero era poco saggio parlargli considerando che da lì a qualche giorno sarebbero stati nemici mortali.
Gli lanciò un'occhiata, soffermandosi sulla carnagione scura e sulla cicatrice vicino al sopracciglio.
Chi se ne importa, Si disse. conoscerlo meglio non può che aiutarmi a... eliminarlo.
Non avrebbe mai voluto pensare una cosa del genere, ma doveva tornare a casa come vincitrice e vivere in pace con Kevan, per farlo doveva uccidere, anche se odiava quel pensiero.
Ovviamente non aveva messo in conto che era praticamente impossibile conoscere il bugiardo del dodici.
Gunnar strofinò un paio di volte due legnetti e grazie alla sua forza e a quella innata e strana abilità che aveva nell'appiccare fuoco alle cose presto il suo mucchietto di paglia prese fuoco.
Elen osservò le fiamme zampillare sempre più alte e quindi spostò lo sguardo su Gunnar.
-Che c'è?- Le chiese il ragazzo, sentendosi osservato.
Elen scrollò le spalle e tornò alle sue selci. -Niente, pensavo solo che mi piacerebbe averti come alleato.- ...così da averti vicino e farti fuori alla prima occasione.
Gunnar sorrise e disse:- Pensavo la stessa cosa.-
Ma, ovviamente, anche lui mentiva.

Parte IV
Meredith e le profezie discordanti

 

Meredith fissò per un attimo la palestra che le stava al di sotto: c'erano istruttori che spiegavano, strateghi che scrivevano e giudicavano e tributi che si preparavano a morire, non sapendo che qualcuno che non era loro avrebbe vinto, che lei avrebbe vinto.
Sarebbe tornata al distretto otto e avrebbe continuato la sua vita.
Lo percepiva con una forza tale da rimanere tranquilla anche quando la belloccia dell'uno dallo sguardo assassino le lanciò un'occhiataccia, dal basso, evidentemente infastidita dal dover aspettare di fare il suo giro sulla parete delle arrampicate. Probabilmente quello era uno sguardo che diceva:"Ti ucciderò perchè mi stai facendo aspettare per niente", ma Meredith non ne fu preoccupata.
Quella povera, piccola illusa sarebbe morta e lei avrebbe vinto.
Era così stupito da parte di quella ragazzina credere il contrario, la figura che faceva agli occhi di Meredith era patetica.
Fu per questo che rivolse a Eyeliner un'occhiata di superiorità.

 -Ma che...?- Fece Lyn, stranita, osservando la ragazza in preda ad un misto di rabbia e stupore, senza riuscire ad assumere le sue solite movenze fredde ma sinuose.
-Che succede?- Le chiese James con finta innocenza, materializzandosi quasi magicamente al suo fianco. Era ovvio che aveva osservato quello scambio d'occhiate, perchè disse:- Una stupida lavandaia dell'otto di mette i piedi in testa?-
Eyeliner dovette dar fondo a tutta la sua scorta di autocontrollo per fare un sorrisetto e guardare James, arrotolandosi una ciocca bionda tra le dita.
-Tranquillo, la ucciderò appena prima di fare lo stesso con te, così porterai all'inferno il ricordo che Eyeliner Millerh non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.-
James rise e scosse la testa, prima di lanciare un'occhiata in direzione di Meredith, ancora acciambellata in cima alla parete, che lo osservava con uno sguardo sereno, sicuro di sè fino all'inverosimile.
Il fatto lasciò James interdetto, facendo sì che si ritrovasse a chiedersi se Lyn sarebbe davvero riuscita a ucciderla per prima.

Parte V
Inglès e la sorriso-dipendenza

 Inglès aveva passato tutta la durata degli allenamenti ad osservarla.
Non si era mai allontanata dalla postazione del tiro dell'arco fino alla fine, facendo un centro dopo l'altro, un centro dopo l'altro senza mai smettere di sorridere.
Era una reazione strana, insolita, da parte di un tributo, eppure piacevole. Sembrava quasi che la ragazza del cinque fosse felice, e non felice nel modo sadico in cui lo erano i favoriti, ma felice nel modo più ingenuo e sincero in cui lo si può essere.
E ad Inglès piaceva la felicità; nella sua vita al distretto otto ce n'era stata così poca che non poteva fare a meno di essere attratto da quella ragazza.
Ora che gli allenamenti erano finiti e Artemide aveva riposto arco e frecce per dirigersi verso la porta, Inglès non potè fare a meno di seguirla.
La raggiunse, camminò per qualche secondo appena dietro di lei e alzò la mano per scrollarle la spalla, farla voltare e poi presentarsi, magari.
Ma proprio quando le sue dita stavano per sfiorare la stoffa elastica e scura della tuta della ragazza, si fermò.
Perchè? Perchè non ebbe il cuore di intaccare quel sorriso felice con l'orrore della sua vita.
Emise un sospiro, in fondo stava per morire, che senso poteva avere sperare di assaggiare la felicità che quel tributo gli sembrava promettere? Aveva passato tredici anni come una persona triste, poteva durare un altro paio di giorni.

 

 

Angolo di Ted:

Sono stata piuttosto veloce con gli aggiornamenti oggi (e per questo ho snobbato i compiti, ma tanto domani ho intenzione di balzare allegramente, quindi...)
Non ho molto da dire, se non che adoro gli strusciamenti di Eve, i ringhi di Ail e l'istruttore della postazione dei nodi.
-Teddy
Ps. Mmmh, chissà a che capitolo toccherà mai adesso.

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Capitolo 16
*** Quando arriverà la loro ora saranno morti da un pezzo. ***


 

 

Il Bagno di Sangue:
quando arriverà la loro ora saranno morti da un pezzo.

 

Parte I
Trenta secondi per (re)agire. 

Del inclinò la testa all'indietro e rise, sovrastando anche lo scandire dei secondi che avrebbe annunciato il via die giochi.
-Davvero?- Chiese al cielo, di un'intensa sfumatura rosa.
Ventitrè paia di occhi la osservarono, sorpresi eppure in un certo qual modo contenti che qualcuno avesse avuto il coraggio di chiedere spiegazioni per una cosa simile.
-Un'arena... di zucchero?-
Del allargò le braccia, come a indicare ogni singolo filo d'erba che profumava di menta e ogni singolo bastoncino di zucchero e di liquirizia che si stagliava per l'arena come fosse un albero.
Dal cielo non giunse alcuna risposta e, soprendentemente, la piattaforma di Del non saltò in aria e la ragazza si limitò a scrollare le spalle; qualunque fosse stata l'arena avrebbe ammazzato gli altri ventitrè in ogni caso.
Così la pensavano James e Eyeliner che, a soli quindici secondi dal gong si scambiarono uno sguardo, come muta promessa che da lì a qualche attimo avrebbero fatto scintille come promesso, malgrado tutte le incomprensioni che c'erano state tra loro. Perchè se c'era una cosa che spingeva i favoriti a mettere da parte le divergenze era la morte altrui.
Anche Deianira, l'altra favorita, pensava alla morte. Ora che se ne stava lì, sulla pedana, pronta a scattare, sentiva che nulla sarebbe potuto andare storto. Mancavano dieci secondi.
Deianira abbassò il mento, portò il peso del corpo in avanti e si preparò a scattare. Fece vagare lo sguardo verso le altre postazioni, distrattamente, soffermandosi solo sui dettagli dell'arena che avrebbero potuto rappresentare una difficoltà o un aiuto, come le grandi meringhe che sarebbero potute servire ai più deboli per nascondersi. Erano parecchie. Fece una smorfia, pensando al fatto che sarebbe toccato a lei e agli altri perlustrare il territorio una volta che la ressa del bagno di sangue fosse terminata.
Con un sospiro scocciato lanciò un breve sguardo verso la cornucopia che, nella luce del sole rosa dell'arena quasi abbagliava. Così come le armi. Le sue armi, e degli altri favoriti, ovvio.
Tra poco le avrebbe raggiunte, avrebbe ucciso i più inutili e la vittoria sarebbe stata più vicina.
Perfetto, era tutto perfetto.
Ancora cinque secondi. Sorrise e fece scorrere lo sguardo sui tributi, tutti pronti a correre, tutti vittime che avrebbe mietuto. Guardò ogni ragazzo, soffermandosi appena su quelli che le pareva di ricordare meglio.
Come quel Jared, dal distretto cinque. Per qualche motivo, per qualche assurdo motivo, l'aveva colpita, all'intervista, con quel suo silenzio.
Lo guardò osservare con intensità le armi davanti alla cornucopia. Era ovvio che aveva intenzione di combattere.
Ma il povero illuso non aveva speranza ed era un peccato; sarebbe stato bello giocare al gatto e al topo con lui per l'arena.

Sospirò e, sentendo crescere l'adrenalina dentro di sè, non appena si arrivò al ventitreesimo rintocco, spostò lo sguardo su un altro tributo.
Nathan ricambiò l'occhiata. Anche dalla distanza che li separava, Deianira notò il sorriso del ragazzo. Un sorriso... un sorriso strano.
Un sorriso che le ricordava qualcosa. Dapprima erano solo immagini sparse, ma poi una strana inquietudine l'avvolse e il ricordo la colpì come uno schiaffo in pieno viso.
Dolore. Umiliazione.
Una mano grande e forte intorno al collo, l'altra che imprigionava entrambi i suoi polsi in una morsa ferrea. Il peso di un corpo sul suo, ancora dolore.
Deianira aveva urlato, ma, nel piano deserto dedicato al distretto quattro nessuno l'aveva sentita. Aveva tirato calci e pugni, aveva morso e graffiato, ma quei venti chili in più di muscoli che il ragazzo possedeva erano serviti a tenerla più o meno sotto controllo.
O almeno fino a quando non era riuscita a liberare le mani.
Era bastato un attimo e, con un colpo preciso, aveva mirato agli occhi.
Nathan aveva urlato, l'aveva guardata, sorpreso che fosse riuscita a reagire. E poi si era arrabbiato.
Deianira aveva cercato di colpirlo di nuovo, ma lui era stato più veloce. L'aveva presa per la gola e aveva attirato la testa verso la sua. L'aveva baciata con violenza, velocemente, per poi sbatterle la nuca con forza contro il muro a cui l'aveva intrappolata.
Lo fece con tanta brutalità che poi tutto si era fatto buio e l'ultima cosa che Deianira aveva visto era il sorriso di Nathan mentre approfittava di lei.
E solo in quel momento, davanti a quello stesso sorriso, se ne ricordava.
Il peso del corpo di Deianira era in avanti, pronto a scattare, e quando il ricordo appena rinvenuto di quanto successo la fece barcollare... Deianira cadde.
Mancavano due secondi.
Un'esplosione scosse l'arena e sciolse lo zucchero dell'erba.
Nathan sorrise.
Sì, si era proprio occupato bene della sua compagna di distretto.
Anzi, ex-compagna.


Parte II
La causa prima dell'angoscia è l'impossibilità di realizzare l'azione gratificante, e sottrarsi a una sofferenza con la fuga o la lotta è anch'esso un modo di gratificarsi, quindi di sfuggire all'angoscia.

  La sirena suonò e i tributi scattarono, ignorando il punto annerito dove il primo di loro era morto.
Ted era veloce, sapeva di potercela fare. Doveva farcela.
Non gli importava delle armi, o degli zaini, o di qualsiasi altra cosa. Il suo obiettivo era un altro.
L'avrebbe raggiunta e sarebbero scappati, solo questo importava.
Non ci mise molto ad individuare Percy tra la folla e lei non ci mise molto ad individuare lui. Si scambiarono un'occhiata veloce. Ted fece un cenno verso la direzione opposta alla cornucopia; era la scelta più sensata considerando che presto un'esitazione come quella che stavano avendo avrebbe potuto costar loro la vita dato che, a pochi metri di distanza, i favoriti già iniziavano ad armarsi.
Persephone lanciò un'occhiata alle armi, in particolare ad un grosso set di coltelli. Distava... quanto? Cinque metri?
Forse anche di meno. Avrebbe potuto colmare quella distanza in pochissimo tempo, nemmeno i favoriti si sarebbero accorti di lei.

-Percy!- Le urlò Ted, notando che il suo sguardo d'un tratto si era fatto determinato. Subito dopo, però, il ragazzo rimpianse di aver urlato perchè l'attenzione degli altri tributi si catalizzò su di lui.
Subito qualcuno iniziò a corrergli incontro. Ted tenne lo sguardo fissso su Percy, iniziò a correre verso di lei a tutta velocità, le agguantò un braccio e iniziò a trascinarla lontano dalla cornucopia.
Ma ormai era ovvio che la vittima designata sarebbe stata lui.
James, il colosso del due, lo aveva puntato come un mastino punta una bistecca. Non aveva fatto in tempo ad armarsi con qualcosa di più sostanzioso di un coltello, ma non gli serviva altro per far fuori quel moscerino.
In un lampo gli fu addosso. Si lanciò con tutto il suo peso sul ragazzo, schiacciandolo a terra. Anche Percy venne spinta a terra dall'impatto, urlò di sorpresa facendo eco alle grida di gioia di James.
Ted si divincolò, cercò di scappare ma il peso dell'avversario era semplicemente troppo. Il favorito prese a menare fendenti con il coltello nel tentativo di colpirlo e diversi colpi andarono a segno ma entrambi si dimenavano così velocemente che era difficile capire quanto fossero gravi.
Percy guardò la scena ad occhi sganati e non tardò ad arrivare in soccorso del compagno. Seguendo l'istinto strappò una manciata d'erba appiccicosa e zuccherina e la scagliò in faccia a James, disorentandolo quel poco che bastava da rallentarlo abbastanza così che quando gli si scagliò contro di peso, riuscì a evitare la traiettoria del coltello.
Grazie all'espediente Ted riuscì a sgattaiolare dalla presa del ragazzo, a prendere fiato per un attimo e a scagliarsi nuovamente contro James, ma non per colpire. Il sangue, copioso, gli annebbiava la vista, ma non importava, con un movimento brusco riuscì ad artigliare le spalle di Percy e a sottrarla violentemente alla rissa. La ragazza emise un gemito strozzato, di sorpresa, mentre James mugugnava di frustrazione.
-Ne arriveranno altri!- Urlò Ted, alla ragazza, incitandola a correre.
Senza esitazione, senza aspettare un altro secondo i due si lanciarono in una corsa disperata lontano dalla cornucopia.
Ma James era ancora lì. Si rimise in piedi con un colpo di reni, agguantò il coltello per la lama e si preparò a lanciare. Si prese qualche istante per decidere a quale schiena mirare, e lanciò. Il colpo andò a segno e ci fu un altro morto.
James emise un grugnito frustrato quando il corpo di Georgie cadde a terra con un tonfo, un coltello piantato nel petto e le labbra ancora schiuse sul sussurro di qualcosa.
Si era messa in mezzo, la stupida.
James le si avvicinò, inginocchiandosi lì accanto. Afferrò il coltello e provò a estrarlo, ma si era conficcato in profondità così dovette prenderlo con due mani e puntare il piede sulla faccia della ragazza per estrarlo.
Sentì le ossa del cadavere frantumarsi sotto il suo scarpone, ma non ci badò. Una volta riappropriatosi del coltello lo pulì sui pantaloni della ragazza e alzò lo sguardo alla ricerca della sua prossima vittima, chiedendosi distrattamente perchè la ragazza del dodici si era interposta tra lui e il moscerino del sette.
"Perchè io non posso più provare cos'è l'amore." Gli avrebbe risposto Georgie. "Ma loro sì."

 Artemide fu fortunata per due motivi. Innazi tutto la sua piattaforma si trovava alla fine della schiera, vicinissima al canneto di bastoncini di zucchero rossi e bianchi immersi nel fiume di cioccolato, e poi c'era Inglès, nella postazione accanto alla sua.
Che, non appena la sirena squillò, si gettò su di lei senza alcuna esitazione, placcandola e inchiodandola a terra e impedendole di puntare verso i favoriti come era ovvio, considerando la sua intervista, che voleva fare.
Inglès aveva passato la notte a pensarci.
Si reputava ossessionato dalla ragazza, e ovviamente aveva accettato la cosa da tempo, così aveva passato la notte in bianco a immaginare tutti gli scenari possibili in cui avrebbe potuto salvarle la pelle dal destino che si stava andando a cercare.
In effetti il rimuginare di quella notte l'aveva aiutato.
Ben lungi dall'essere stanco per via dell'adrenalina, il ragazzo era scattato prontamente verso Mide, l'aveva inchiodata a terra e, ancora prima che potesse fare qualcosa di più che emettere un breve strillo di sorpresa le stava già sussurrando all'orecchio.
-Fidati.- Disse semplicemente. -Non c'è tempo, fidati e vieni con me.-
Mide si divincolò dalla stretta lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite e lanciò uno sguardo in direzione della cornucopia, dove Del, Eyeliner e Nathan avevano iniziato a colpire chiunque si avvicinasse troppo mentre James era partito alla rincorsa di un paio di tributi.
-Ti uccideran...- Iniziò Inglès, ma bastò un'occhiata alla ragazza per capire che non lo stava ascoltando.
Non seppe esattamente cosa fosse scattato nella testa di Mide, ma un secondo prima era per terra, accanto a lui e un secondo dopo l'aveva scansato con violenza ed era partita in direzione della cornucopia con uno sguardo determinato sul volto.
La prima reazione di Inglès fu la delusione nel constatare che se n'era andata così, senza degnarlo di uno sguardo in più, poi un lieve senso di panico gli scosse i muscoli delle gambe; era fermo davanti alla cornucopia, ancora pochi secondi e sarebbe morto.
Le gambe iniziarono ad indietreggiare con autonomia propria, ma il viso sfregiato di Inglès, rimaneva puntato verso Mide che stava correndo a tutta birra verso i favoriti.
Il ragazzo non osò chiamarla, per evitare di attirare l'attenzione, e proprio mentre prendeva la decisione di voltarsi e scappare Artemide si fermò di colpo.
Confuso da un arresto così repentino Inglès staccò gli occhi dalla ragazza per guardare più avanti.
La chioma bionda di Eyeliner riluceva nella luce rosa del sole dell'arena così come la spada che impugnava, ora macchiata di sangue ed infilata fino all'elsa nello stomaco di una ragazza.
Inglès riconobbe Edgy, la cervellona del tre, quella che aveva detto di volersi alleare con i favoriti.
Dalla bocca le uscivano fiotti rossi e densi, che macchiarono il bel viso della ragazza dell'uno.
Anche a quella distanza Inglès la sentì sussurrare al cadavere:- Il rosso ti dona, tesoro.-

 

Gli occhi di Edgy erano fuori dalle orbite, l'ottimismo che di sicuro l'aveva pervasa fino a trenta secondi prima non sfiorava nemmeno lontanamente i suoi lineamenti contorti, sporchi e mostruosi.
Con un ultimo sorriso Lyn sfilò la spada dal corpo della ragazza, si leccò le labbra sporche di sangue e con l'espressione più dolce del mondo si voltò verso Mide.
-Ora è il tuo turno, dolcezza.- Le disse, prima di iniziare a correre.
L'altra fece lo stesso, girò sui tacchi e si lanciò verso Inglès.
Lo guardò, tese una mano in gesto d'aiuto.
Interdetto, il ragazzo guardò la scena. Scappare e salvarsi o difendere l'oggetto della sua ossessione e, molto probabilmente, morire con lei?
La risposta arrivò da sola.
Fu un attimo, questione di un secondo, e un turbinio di capelli neri si intromise tra Eyeliner e Mide.
Quest'ultima non si voltò neanche indietro, raggiunse Inglès, gli afferrò la mano e lo trascinò verso il canneto.
Mentre fuggivano, mano nella mano, allontanandosi sempre più dal bagno, Inglès raggiunse la consapevolezza che, se quel colpo di fortuna non fosse piovuto dal cielo, avrebbe scelto di soccorrere la ragazza.
Infondo era già l'Angelo Sfregiato, che gli poteva costare diventare l'Angelo custode Sfregiato?

Meredith aveva avuto quella sensazione di nuovo, mentre correva verso la Cornucopia alla ricerca di un'arma da usare.
Aveva visto la ragazza dell'uno, quella con cui aveva discusso durante gli allenamenti e aveva percepito che il momento di ucciderla era giunto.
Perchè Meredith l'avrebbe uccisa, lo sapeva perchè lo sentiva e le sue sensazioni non sbagliavano mai.
Lyn, con il viso sporco di sangue, stava rincorrendo la ragazzina del cinque, quella con il viso dolce, a Meredith non importava della sua vita; l'unca cosa che ora era vitale era uccidere Eyeliner come la sua preveggenza le aveva detto di fare.
Così ignorò le armi che si era sporta per prendere e si gettò sulla favorita con tutto il suo peso. Lyn cadde a terra, mugugnò di sorpresa per essere stata colpita e quindi di rabbia nel constatare che la sua vittima era ormai lontana e che Meredith le stava davanti.
Si squadrarono per un attimo e il fantasma della discussione avvenuta durante l'addestramento parve aleggiare tra loro. L'attimo dopo, con un colpo di reni, Eyeliner si tirò in piedi, brandì la spada e fronteggiò Meredith che, a mani nude, non si fece scoraggiare e assottigliò lo sguardo.
-Sei convinta che riuscirai ad uccidermi, carina?- Chiese dolcemente Lyn, scuotendo la chioma bionda.
Meredith non rispose, si limitò ad osservarla per un altro secondo e a fare un passo avanti per colpire.
Eyeliner aveva semplicemente fatto la stessa cosa, ma con la spada in mano.
La lama tagliò la carne come fosse burro, le viscere si lacerarono e Meredith cadde a terra con la spada nello stomaco, gli occhi sgaranati e la bocca storta in un'espressione mostruosa.
Non seppe cosa pensare, la sua sicurezza sparì di colpo, ogni sincola particella del suo corpo e della sua mente si chiese come la sua preveggenza avesse potuto tradirla.
E solo in quell'attimo capì che quella sensazione era stata tutto in gioco della sua mente, che non era mai esistita e, soprattutto, che la vita è danntamente bella e crudele.
Bella e crudele come Eyeliner, che estrasse la spada dal suo ventre.
Con le ultime forze che aveva, Meredith si portò le mani allo stomaco per far sì che l'intestino non uscisse. Il taglio era comunque troppo grave per essere guarito ed entrambe le ragazze lo sapevano.
Meredith iniziò a vomitare sangue e Lyn le si inginocchiò davanti. Con sguardo dolce le scostò una ciocca di capelli dal viso e le sorrise.
L'ultima cosa che l'altra vide fu il viso della sua assassina trionfante.

 -Scommetto un coltello che non riesci a colpire il ragazzo del cinque da qui con l'arco.- Disse Del, accaldata, scostandosi i capelli dal viso per fissare il compagno. Ai loro piedi l'ennesimo tributo che aveva sperato di poter prendere un'arma e fuggire incolume li fissava senza vederli davvero, un tridente piantato in una coscia e un coltello in mezzo alla fronte.
Nathan lanciò uno sguardo nella direzione indicatagli, dove un ragazzo con un grosso zaino da trekking stava correndo a tutta birra verso il fiume di cioccolato.
-Allora hai perso un coltello.- Ridacchiò Nathan, sottrasse l'arco dalla presa del tributo del dodici e lo puntò cinquanta metri più avanti, prese la mira e lanciò.
Meglio che uccidere la gente a sangue freddo, in ogni caso. Non era una mammola, ma mettersi a guardare negli occhi la morte non era il suo passatempo preferito. Premeditare tutto e vederlo realizzare per mezzo di espedienti com'era successo con Deianira era più nel suo stile.
Scoccò la freccia in direzione del collo del tributo, l'unico punto vitale scoperto dall'enorme zaino.
Il tiro era pulito e preciso, ma all'ultimo secondo, quasi avesse percepito l'arrivo della freccia, Jared- il tributo- si scansò e il dardo si perse da qualche parte davanti a lui.
Nathan fece una smorfia.
-Direi che mi prendo questo.- Soggiunse allora Del, scegliendo un pugnale da lancio dall'assortimento che Nathan portava legato alla cintura.
Il ragazzo sbuffò sonoramente. -Scommetto lo stesso coltello che non riesci a prendere... mmh, vediamo... quello!-
Indicò un ragazzino dai capelli rossi che proprio in quel momento aveva iniziato a correre nella stessa direzione di Jared. Era molto più vicino, ma si muoveva a zig zag e prendere la mia per colpirlo era difficile.
Del, comunque, non demorse, incoccò una freccia e mirò senza esitazione verso il ragazzo.
-Credo che sia quello che viene dal nove.- Borbottò Nathan sovrappensiero, giusto nel tentativo di distrarre un po' la ragazza. -Bee, credo si chiami. O forse Dee.-
Del non si lasciò abbindolare, prese la mira per qualche altro secondo e scoccò la freccia che centrò il bersaglio.
Sorprendentemente, però, quello non stramazzò a terra, anzi, rallentò appena ma continuò a correre. Del rimase troppo sbigottita per scagliare subito un'altra freccia, e presto il ragazzino fu fuori dalla sua portata.
-Maledizione.- Sbottò Del, battendo il piede sul terreno. Non aveva ancora ucciso nessuno da sola da quando era arrivata nell'arena e la cosa non le piaceva per niente.
Notandolo Nathan le battè una mano sulla spalla. -Due su tre, se riesci a prendere questo ti puoi tenere il coltello.-

 

Parte III
La causa prima dell'angoscia è l'impossibilità di realizzare l'azione gratificante, e sottrarsi a una sofferenza con la fuga o la lotta è anch'esso un modo di gratificarsi, quindi di sfuggire all'angoscia.

 Ora devi correre, Coco! Gli gridò Juliette, tanto forte da assordargli i timpani. Corri, corri, corri!
E Coco corse. Non aveva preso nemmeno in considerazione l'idea di andare verso la Cornucopia. Era dalla fine dell'intervista che Juliette gli raccomandava di fuggire via subito e lui non aveva osato andarle contro.
Così aveva passato i trenta secondi che precedevano l'inizio dei giochi dando le spalle al grosso corno dorato, senza curarsi di nulla, nemmeno dell'esplosione che aveva fatto tremare la postazione accanto alla sua. Aveva tenuto il viso rivolto a quello che gli stava davanti: una palude tanto acquitrinosa quanto cioccolatosa, con tanto di fronde che anche da quella distanza sembravano appiccicaticce come caramello.
Così una volta che la sirena aveva suonato si era gettato a capofitto verso quella zona dell'arena ancora prima che gli altri tributi iniziassero a correre.
Ed era andato tutto bene.
Si era addentrato per la palude, lasciando che il cioccolato gli inzuppasse i pantaloni fino alla vita e che i capelli si impiastricciassero con il caramello che gocciolava dalle fronde.
Juliette gli disse di non mangiare nulla, perchè in un'arena reperire del cibo non poteva essere così facile e di sicuro c'era qualche tranello. E Coco ubbidì, senza però resistere a leccarsi le labbra di tanto in tanto dopo essersi sporcato il viso di cioccolato mentre, casualmente, si asciugava il sudore.
Juliette gli disse anche di continuare a muoversi e così fece Coco: continuò a camminare.
E proprio quando iniziava a chiedersi perchè i cannoni non avessero già sparato per segnalare i morti, proprio nel momento in cui dava per scontato che non sarebbe stato tra quelli, un rumore gli arrivò alle orecchie.
Qualcuno che sguazzava, dietro di lui, che arrancava nella palude.
Si voltò di scatto, giusto in tempo per veder comparire due ghigni sulle labbra dei ragazzi che dovevano averlo seguito.
-Credo che abbiamo trovato la nostra prima vittima.- Disse il ragazzo, Coco lo riconobbe come il tributo del dieci.
La ragazza, quella che si era presentata nuda all'intervista, passò all'altro quello che aveva tutta l'aria di essere un pugnale. -A te l'onore.- Disse.
Corri! Strillò Juliette, con ancora più urgenza che quando gli aveva ordinato di scappare dalla cornucopia.
Coco non se lo fece ripetere due volte, arrancò a più non posso tra il cioccolato, cercando di non incespicare.
Sentiva dietro di sè gli altri due seguirlo, ma non si voltò, continuò ad avanzare.
Presto! Urlava Juliette Presto!
Ma come c'era d'aspettarsi la fortuna non poteva essere sempre a suo favore. Inciampò in una liana appiccicosa e cadde, fino ad immergersi fino al collo in quel fango zuccherino.
-Preso!- Strillò la ragazza, prima di raggiungerlo e gettarglisi addosso con entusiasmo, probabilmente nel tentativo di bloccarlo.
Coco tentò di afferrarla per i polsi e spingerla via ma l'impatto gli spinse la testa sotto il "fango", riempiendogli le narici di cioccolato. Con un colpo di tosse riemerse, cercando di liberarsi gli occhi senza mollare la presa sulle braccia di Evangeline, che teneva ancora bloccate.
Combatti! Ordinò Juliette, inutilmente. Coco avrebbe voluto risponderle che lo stava già facendo, ma non ne ebbe il tempo, perchè la ragazza non era sola e subito anche il suo compagno gli fu addosso.
Lo prese per i capelli, rispingendolo sotto. Coco non riuscì a mantenere la presa sui polsi di Evangeline, ma mentre veniva spinto sotto riuscì ad afferrarle la giacca e a tiarla, in modo da farla cadere con sè.
Quella emise un ringhio frustrato e si affrettò a rialzarsi, premurandosi di far leva sulle spalle di Coco in modo che finisse ancora più in basso.
Sotto il fango, l'aria mancava, i polmoni bruciavano e Juliette urlava.
Coco tentava disperatamente di riemergere, annaspava alla ricerca d'aria, sentiva le palpebre chiudersi, era tentato di inspirare e proprio mentre la forza lo stava per abbandonare Soar lo riportò in superficie, prendendolo per i capelli.
Gli ghignò dritto in viso, con scherno, probabilmente voleva che la sua prima uccisione fosse un bello spettacolo per Capitol City.
Ma aveva sottovalutato Coco. Dopo aver rantolato e ripreso fiato, con una gomitata violenta riuscì a spingere indietro Soar, a togliersi il cioccolato dagli occhi quel tanto che bastava per riuscire a scorgere qualcosa, e rivolgere la sua attenzione a Evangeline, che non sprecò un minuto e gli si scagliò contro a mani nude.
Lei gli afferrò i capelli e lui cercò di colpirla allo stomaco, il primo pugno venne schivato, ma il secondo la colpì in pancia, facendola piegare in due per una frazione di secondo sufficiente a far sì che Coco potesse prenderla per la nuca e spingerla sotto il fango.
Evangeline si dibattè a più non posso, ma la presa di Coco era ferrea, stava vincendo quella battaglia. Juliette esultava, si complimentava, era entusiasta e poi...
di colpo il suono della sua voce tacque, Coco sentì sapore di ruggine in bocca e, senza che lo volesse, le gambe gli cedettero e la presa sulla ragazza si allentò per fargli portare le mani alla gola squarciata mentre gli occhi spalancati si annebbiavano.
Soar si pulì il pugnale sulla felpa e guardò Evangeline rialzarsi, completamente coperta di cioccolato.
-Potrei pensare di farmi ringraziare con un assaggio.- Ammiccò il ragazzo.
L'altra gli fece l'occhiolino, leccandosi le labbra in modo provocante e soffocando l'ondata di fastidio che aveva provato nell'essere quasi stata uccisa da Coco.
-Quando vuoi, Bisteccone. Ma prima sarà meglio pensare a qualcosa di pratico. Vediamo se il nostro amichetto qui ha qualcosa che ci può servire.-
Soar acconsentì, afferrò il cadavere di Coco e lo issò contro un arbuso abbastanza spesso e così coperto di caramello che il corpo del ragazzo vi rimase appiccicato.
-Vuoi fare tu?- Fece Soar, indicando con un cenno malizioso il cadavere con la gola squarciata che aspettava di essere perquisito. Evangeline fece una smorfia disgustata.
-Non sono una necrofila, mio caro. Mi piace sentire le cose vive e palpitanti in mezzo alle...-
-I dettagli me li spiegherai in modo pratico più tardi.-
Con un sospiro Soar incominciò la perquisizione, ma quell'inutile tributo non aveva con sè nemmeno un laccio per le scarpe. Tastò le tasche dei pantaloni e della giacca, ma non trovò nulla.
-Nien...- Iniziò, ma proprio in quell'attimo qualcosa catturò la sua attenzione. Guardò il cadavere ad occhi sgranati, scosse la testa, e spalncò la bocca.
-Ehi, che ti prende?- Fece Evangeline, ma lui non le diede retta e con un colpo secco delle braccia squarciò sia la giacca che la maglietta del ragazzo. -Non è che sei tu ad essere attratto dai cadaveri? Potrei vedere di rendere la cosa eccitante e...-
Soar roteò gli occhi, per la prima volta spazientito dal modo di fare della compagna e indicò il corpo del morto.
Anzi, della morta.

London se l'era filata a tutta velocità dalla parte opposta della palude, verso il punto in cui zucchero e liquirizia si facevano più fitti, fino a formare una sorta di bosco. Non si era fermata nemmeno per prendere uno zaino, aveva iniziato a correre e non aveva mai rallentato.
O, meglio, non lo aveva fatto fino al momento in cui il ciclone che, da sempre, sconvolgeva la sua vita non le era arrivato addosso.
Probabilmente non fu una cosa premeditata perchè quando London alzò lo sguardo, confusa, verso Klaus, quello era per terra e si guardava attorno circospetto, il petto che si alzava e abbassava velocemente per via della corsa.
London assottigliò lo sguardo e non appena il ragazzo si rese conto di chi aveva davanti fece lo stesso.
Ci misero un istante a scattare l'uno verso l'altra per ottenere la resa dei conti che aspettavano da quando erano bambini e un istante ancora a separarsi quando la prima freccia venne scagliata contro di loro.
London emise un suono strozzato, spaventato e nervoso al tempo stesso, mentre si guardava intorno alla ricerca della fonte delle frecce.
Era mai possibile che il momento di gloria in cui avrebbe ucciso Klaus fosse stato rovinato dall'attacco di un qualche tributo?
Klaus pensò di approfittare di quella distrazione per saltarle addosso, ma l'ennesima freccia lo fermò.
Ci mise un attimo a trovarne la fonte: un ragazzo che aggrappato ad un bastoncino di liquirizia con le gambe tirava frecce, prendendo la mira goffamente, intralciato sia dall'inabilità, sia dalla liquirizia stessa che si frapponeva tra l'arco e i bersagli.
Quando Justin incoccò una nuova freccia, però, la testa bianca di London si trovò ad un'angolazione tale che anche per le mani insesperte di Justin sarebbe stato facile colpirla.
A Klaus venne da sorridere; e così, quella era la fine di London Bridge.
Una fine senza onore, una fine veloce, mentre ancora cercava di capire da dove venisse chi cercava di ucciderla, una fine che non sarebbe arrivata da lui.
Ancora prima di rendersi conto che la cosa lo infastidiva il ragazzo l'aveva afferrata per un braccio, attirandola verso di sè, esattamente il secondo prima che Justin scoccasse la freccia, che si conficcò nel terreno.
Con il cuore in gola, London si ritrovò tra le braccia del suo odiato promesso sposo che, per qualche strano motivo, non la stava stringendo per ucciderla, ma per... proteggerla? Il fatto le suonò incredibilmente losco, spinse via il ragazzo con una spinta e iniziò a correre lontano sia dalle frecce che da Klaus.
Justin non si preoccupò che una delle sue potenziali prime vittime se la stava filando, ma rivolse la sua attenzione a Klaus che, distratto dalla fuga di London non si accorse della freccia fino a quando non ne fu colpito.
Un urlo strozzato gli uscì dalla bocca prima che lo potesse fermare quando il dolore alla spalla lo colpì con tanta violenza da farlo contorcere.
London, nel sentirlo, si bloccò, si voltò lentamente verso Klaus ad occhi sgranati, sorpresa che stesse morendo.
Era successo dopo così poco tempo, così improvvisamente.
London cercò di convincersi che il dispiacere che iniziava a sentire non era dovuto a quell'atto di pietà che Klaus gli aveva rivolto poco prima, ma al fatto che si rammaricava di non poterlo uccidere con le sue stesse mani.
Per sua fortuna, però, Klaus non era ancora morto.
Justin aveva già incoccato la freccia successiva quando lui si era alzato ed aveva iniziato ad arrancare goffamente ma velocemente verso London rivolgendole uno sguardo che voleva dire "aiutami, me lo devi. Prima ti ho salvato e ora mi devi lo stesso trattamento."
London pensò di fregarsene di quello strano patto e andarsene, ma non lo fece. Spinta da Dio solo sa che impulso, corse indietro verso Klaus, lo sorresse e insieme arrancarono a tutta velocità lontano da Justin e dai suoi dardi che già non riuscivano più a farsi strada tra la vegetazione zuccherina.
Ma malgrado l'aiuto reciproco entrambi sapevano che nelle loro vite si erano inferti troppo dolore a vicenda per considerarsi davvero alleati.

 Ailanda si era chiesta, fin dal primo rintocco del conto alla rovescia cosa potesse fare di sovversivo ora che conosceva la cornucopia.
 Ed ora che aveva trovato quel qualcosa si reputava abbastanza soddisfatta.
Certo, era rischioso, lento e faticoso, ma era l'unica cosa che le era venuta in mente per far vedere a Capitol City che non era una sua dannata pedina.
Si inginocchiò accanto ai due corpi che si era trascinata dietro dalla cornucopia, gli unici che era riuscita a recuperare, affondò le dita nella terra appiccicosa e iniziò a scavare più in fretta che poteva, come un cane che fa una buca per sotterrare l'osso, con fare animalesco e senza curarsi di quanto fosse esposta.
Man mano che andava avanti le braccia le dolevano sempre di più, la terra si faceva sempre più dura e le unghie si spezzavano, ma ad Ailanda non importava. Pur di andare contro Capitol City avrebbe fatto di tutto.
Continuò imperterrita a scavare, senza fermarsi.
Non demorse, continuò a ritmo rapido a togliere terra anche quando i cannoni spararono otto volte, facendo apparire nel cielo i volti dei morti: Coco, Edgy, Chip, Deianira, Meredith, Elen, Georgie e Gunnar.
Guardandoli con la coda dell'occhio la ragazza si sorprese nel constatare che ricordava tutti i loro nomi.
E solo quando il sole rosa che illuminava l'arena tramontò, facendo sorgere una luna verde, che baluginava sopra lo scintillio dello zucchero sulle meringhe, Ailanda si fermò.
Afferrò i corpi di Elen e Chip, più delicatamente di quanto avesse fatto in tutta la sua vita con i vivi, e li depose nella fossa, prendendosi del tempo per accarezzare i loro volti, scostar loro i capelli dagli occhi e far vedere a Capitol City che lei non avrebbe preso parte al suo folle gioco di morte.
Dopo aver deposto i cadaveri nella buca, li sotterrò con cura. Il procedimento fu più veloce di quando aveva scavato, ma finì comunque dopo qualche ora, quando la ragazza si alzò,rivolse la faccia alla luna e si aprì in un ghigno animalesco ma che era anche, in quel momento, il più umano del mondo.

 

(Lungo) angolo di Ted:
Capitolo dedicato ad Ari, perchè è il suo non-compleanno e perchè credo che abbia fatto un qualche saggio di una qualche cosa.
Ho accantonato l'idea di ispirarmi a TIW, perchè usciva una cosa troppo artificiosa e non ve l'ho detto perchè mi piace farvi pensare che accadranno cose che in realtà non accadono.
A parte questo: l'arena. Faccio un appello a tutti coloro che pensano che sia una brutta idea (sì, J, sto parlando con te): avevo accantonato la cosa perchè in effetti mi sembrava che lo zucchero cozzasse troppo con il sangue e le morti e bla bla bla, ma poi ho visto Death Note, Elle è morto ed io dovevo onorarlo in qualche modo. In pratica, vi sto dicendo che l'arena è in onore di un personaggio di un anime.
Per le sponsorizzazioni: avevo in mente un finale diverso, dove tutti i tributi erano accasati e voi potevate vedere cosa gli servisse, ma avevo parecchia fretta così dovrete andare a intuito. (Le sponsorizzazioni me le prenotate OR-DI-NA-TA-MEN-TE sul gruppo, se no vado in palla e tutto sarà un incasinato cumulo di richieste che non riuscirò a prendere in considerazione).

Ora, mie care, parliamo dei tributi che ho ucciso:
Deianira: sono stata piuttosto felice quando ho estratto il suo biglietto, perchè era una di quelli che avrei potuto strapazzare di più in quanto la sua mentore è anche la mentore di Jared e, di conseguenza, possiede due tributi ed è "avvantaggiata" rispetto agli altri.
Georgie: credo che sia la morte per cui mi è dispiaciuto di più, per questo ho cercato di renderle onore e farla morire in modo nobile. Nella mia testa Georgie si era accorta della... uhm, amicizia particolare, di Ted e Percy e ha voluto salvarli perchè in loro rivedeva lei e Geordie.
Edgy: lei e Mide avevano l'intenzione di andare dai favoriti, presentarsi e allearsi con loro ed era ovvio fin da subito che questi piani non avrebbero funzionato. Quindi, siccome Edgy era stata estratta, ho voluto usarla come monito per far capire a Mide che stava facendo una cazzata.
Meredith: ci ho trollato troppo nell'accopparla. Insomma, lei è così convinta di riuscire ad uccidere Lyn e poi viene amazzata in modo così semplice. Mentre scrivevo ero tipo "LOL!"
Coco: dopo Georgie, è quello per cui mi è dispiaciuto di più. Era così originale! Non ho molto da dire sulla sua morte, più che altro voglio sprecare due paroline a parlare della sorpresina finale. Che ne pensate? Ve lo aspettavate? Siate sincere. Credo che più avanti parlerò più accuratamente della storia di Coco, se Mito non lo fa prima con una OS.
Gunnar, Elen e Chip: Renderò giustizia alle loro morti più avanti, parola di scout. Non ho parlato di loro perchè volevo postare in fretta e tutto (capitemi, voi e le vostre 31 notifiche siete parecchio brave a rompere le palle).
Nel complesso, mi dispiace così tanto per averli uccisi. Uhm, no, questa era una balla.
Potete iniziare con le bandierine rosse,
Teddy
In the next chapter... i tributi cui ho solo accennato avranno più rilevanza rispetto agli altri, le alleanze che mancano verrano sancite e altra gente morirà (muahahahah).

 

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Capitolo 17
*** Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare ***


 Angolo di Ted:
È solo metà capitolo, perché non volevo rimandare ancora di una settimana. Scusate comunque l’attesa.
Non ho molto da dire, quindi… pigna, pizzicotto, manicotto, tigre e ciao.
Teddy

 

Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare.
Parte I

Gelatina alla frutta 

Justin pensò di aver avuto una fortuna spropositata.
Si lasciò cadere sulla massa gelatinosa e ondeggiante di un intenso rosso ciliegia, ridacchiando sommessamente mentre quella ondeggiava sotto il suo peso. In tutta l’arena, aveva trovato il letto perfetto.
Certo, la scarpinata per il bosco gli era costata parecchia fatica, ma era certo che riposare su quel letto d’occasione l’avrebbe rifocillato a dovere.
All’undici dormiva sul pavimento o su un giaciglio di paglia, non aveva cibo e i dolci se li poteva solo sognare: pensò quasi che gli sarebbe piaciuto vivere in quell’arena, se altre ventitré persone non avessero cercato di ucciderlo.
“Meno di ventitré persone.” Si corresse mentalmente. “Ne sono morte parecchie al bagno di sangue.”
Quasi a confermare i suoi pensieri, nel cielo rosato sopra la sua testa risuonò l’inno di Panem, con un tempismo perfetto.
Justin si affrettò a posare l’arco e la faretra accanto alla gelatina e a sistemarvisi al di sopra, così che quando apparve il volto di Coco, il maschio dell’Uno, era già comodo.
Il ragazzo dell’undici fissò le labbra piene e gli occhi azzurri e tristi del ragazzo, arricciando le labbra: era carino, ma aveva tratti troppo fini per i suoi gusti. Se non avesse avuto le sopracciglia così cespugliose e un fisico così privo di forme Justin avrebbe scommesso tutte le unghie dei piedi che quel Coco era una ragazza.
Seguì il volto della ragazza del tre, così fiducioso e pieno di speranza, e quello del ragazzo dello stesso distretto. Quel Chip dallo sguardo freddo e indagatore. E dire che durante l’allenamento l’aveva trovato attraente.
Scosse la testa, sospirando; dopo tutto gli Hunger Games rimanevano qualcosa di infinitamente triste.
Rimase a commentare i volti di tutti i ragazzi morti nella mente, giustificandosi semplicemente dicendo che pur di distrarsi dai giochi era davvero disposto a criticare o elogiare l’aspetto dei tributi morti, non accorgendosi che, presto gli avrebbe fatto compagnia.
 
Quando il cannone sparò, il corpo di Justin, il tributo maschile del distretto undici, era immerso nella gelatina alla ciliegia e soffocato da essa. Quando l’hovercraft lo prelevò, il ragazzo aveva gli occhi fuori dalle orbite, coperti da una patina rossa e gommosa, così come le membra ancora rigide, mentre le vie respiratorie: bocca e naso, così come la maggior parte dei polmoni, erano invase dalla stessa materia.
 
 
 
 
 
 

Non ti scordar di me all’anice

 
Jared vagava da solo per l’arena. Era calata da poco la notte, che lì nell’arena aveva assunto una strana sfumatura rosata che gettava una strana luce sullo zucchero, facendolo sembrare ancora più luccicante e appetitoso. Sulle persone, però, sembrava che quella luce facesse uscire il loro lato più mostruoso.
Jared decise di accamparsi ai piedi di un salice che sembrava fatto di impasto per biscotti al cioccolato, tra le cui radici si stendeva un fazzoletto d’erba che profumava di menta piperita. Era un posto che sembrava tanto riparato- grazie al largo tronco- tanto confortevole.
Era un giorno che vagava per l’arena, cercando di combattere l’istinto di assaggiare qualcosa, così dopo essersi tolto dalle spalle il pesante zaino, si lasciò cadere ai piedi del tronco.
Chiuse gli occhi, appoggiò la testa all’impasto, non curandosi dei capelli che gli si impiastricciavano e stese le gambe davanti a sé, le mani lasciate a penzoloni sull’erba.
Fu allora che li notò. Erano piccoli, ma la loro consistenza era ben diversa da quella dell’erba. Sembravano piccole gemme, lisce e dure. Ne prese una tra il pollice e l’indice e tirò, così che tra le mani vide un piccolo fiore di zucchero trasparente. Era più pesante di un fiore normale e più lucido, ma Jared vi riconobbe un non ti scordar di me.
D’un tratto si ritrovò a chiedersi di che cosa sapesse. Vicino la centrale eolica, al distretto cinque, c’erano dei fiori così e una volta, per scommessa, li aveva mangiati. Chissà se il sapore era lo stesso e poi, un dolcetto così piccolo avrebbe potuto nuocergli ben poco, ammesso che davvero nuocesse.
Si mise il fiore in bocca, facendo schioccare la lingua contro il palato. Non appena lo zucchero si sciolse la bocca gli si riempì del sapore dell’anice. Arricciò il naso, ma continuò a succhiare la caramella; avrebbe preferito sentire il più fedele sapore del fiore, ma l’anice non era poi tanto male.
Ingoiò il dolce e si appoggiò meglio al tronco, poi si mise lo zaino sulle ginocchia e iniziò a frugarvi all’interno, ignorando l’acqua, il cibo e l’arma che gli sponsor gli avevano mandato,  alla ricerca della corda che vi aveva trovato durante la prima ispezione, per costruirvi una trappola da mettere intorno al salice. Tuttavia non fece in tempo ad aprire le cinghie del grosso zaino che la testa iniziò a ciondolare e il capo gli si chinò sul petto.
Gli occhi rimasero aperti e vacui, come se fosse morto.
Eppure il cannone non sparò.
 
Passarono ore prima che qualcosa nella sua situazione cambiò, e comunque successe per caso quando Ailanda lo trovò in quello stato comatoso.
La ragazza passava di lì per caso. Dopo aver seppellito i morti cercava un punto in cui accamparsi che fosse abbastanza lontano dalle tombe, in modo da far perdere le sue tracce ad eventuali inseguitori.
Quando vide Jared dapprima si mise sull’attenti, piegando le dita a mo’ di artigli, pronta a scappare, ma quando vide che il suo avversario dormiva si rilassò, per quanto una come lei potesse rilassarsi in generale.
Gli si avvicinò, con le sopracciglia aggrottate, sorprendendosi del fatto che non si fosse svegliato sentendola arrivare; insomma, era vero che magra com’era non aveva un passo pesante, ma non era nemmeno stata attenta a passare inosservata. Comunque, anche quando si avvicinò al ragazzo, quello non si mosse. Ailanda pensò che fosse morto e le spalle le cedettero, dato che quello avrebbe voluto dire seppellire un altro tributo. Poi però realizzò di non aver sentito alcun cannone sparare e di conseguenza quel tipo- che riconobbe come il ragazzo del cinque- aveva il sonno più pesante del mondo.
Avvicinandosi ancora notò che sulle gambe, aveva uno zaino nero parecchio grosso, che di sicuro conteneva un bel po’ di roba, sarebbe stato così facile ucciderlo e rubare lo zaino… ma non poteva farlo.
Se voleva andare contro Capitol City non doveva uccidere. Certo, quel ragazzo aveva un sonno così pesante che le sembrò un gioco da ragazzi rubare lo zaino e scappare prima che quello si fosse del tutto ripreso.
Si schiarì la voce e saltò sul posto un paio di volte, pronta a scattare in qualsiasi momento, giusto per vedere se il ragazzo si svegliava, ma nulla.
In un lampo decise di avvicinarsi, così fece un balzo, agguantò lo zaino e poi commise un errore fatale: lo guardò negli occhi e li trovò aperti, sgranati e vacui. Si spaventò così tanto di quegli occhi da morto che perse l’equilibrio e cercò con la mano un punto d’appoggio sul terreno d’erba verde e non ti scordar di me.
Strinse tra le dita l’erba e con un ringhio basso scattò in dietro, pronta a gettarla in faccia al suo inquietante assalitore che, di sicuro, doveva essersi svegliato.
Quello, però, era ancora addormentato. Ailanda capì che c’era sotto qualcosa di strano. Si grattò una tempia, appena sotto all’estremo della cicatrice a forma di “X” che aveva sul viso, con la mano che ancora stringeva l’erba. Quasi avesse avuto un’illuminazione, aprì di scatto la mano e ne osservò il contenuto: Oltre all’erba alla menta che, dato quant’era popolare nell’arena doveva essere innocua, c’erano anche dei piccoli fiori blu.
Sapeva che sapore avesse un sonnifero e come ulteriore prova ne prese uno e gli diede una leccata veloce, prima di prendere la borraccia d’acqua dal paracadute ripiegato che usava a mo’ di zaino, inviatale- con sua sorpresa- dagli sponsor insieme a del pane dal distretto tre per sciacquarsi la bocca da ogni eventuale miscela sonnifera.
Non fece in tempo a capire che il fiore sapeva di anice che le gambe incominciarono a cederle e mentre cadeva addormentata al fianco del ragazzo riuscì solo a pensare che i sonniferi di Capitol City erano davvero troppo forti.
 
 

 
 

Marshmellows
 

James passò la scatola di riso e polpette di carne a Nathan e tornò a guardare i marshmellows che, lentamente, si annerivano sulla punta di una freccia.
Il fuoco scoppiettava, illuminando i volti soddisfatti dei favoriti che, alla fine del loro primo giorno in arena si godevano una cena sostanziosa, con tanto di dolce. Certo, data l’arena, era piuttosto difficile non lasciarsi andare alla tentazione di evitare il dolce. Tuttavia i favoriti si erano limitati a qualche marshmellows, temendo che le cose che facevano più gola- come i fiori di marzapane e i tronchi di cioccolato- fossero avvelenati.
Nathan ingoiò un paio di cucchiaiate dalla scatola e la passò ad Eyelyner, senza dire una parola.
Dopo il bagno di sangue si erano limitati a raccogliere le armi, metterle al sicuro all’interno della cornucopia, e a preparare il campo davanti alla bocca del corno. Stendendo i sacchi a pelo intorno ad un falò che, lentamente, aveva sciolto lo zucchero fino a scavare una piccola fossa.
Non avevano parlato molto, eccetto che per organizzarsi, e Nathan ne era rimasto sorpreso; durante il bagno aveva scherzato e riso con Del, ma quando tutti i tributi erano morti o fuggiti, la ragazza aveva smesso di rivolgergli la parola e, osservandola, Nathan intuì che stava sondando il terreno.
Aveva fatto qualche commento sul seno (secondo lei rifatto) di Lyn, e lì si era fermata. Era strano da parte sua, ma Nathan sospettava che stesse sondando il comportamento degli altri. Anche il suo.
La cosa, doveva equivalere per gli altri due, dal momento che, a parte un piccolo litigio sul dove posizionare le scorte di cibo, si erano a stento rivolti la parola malgrado fino a quel momento, non avevano mai perso occasione di battibeccare.
A Nathan non importava nulla di tutto ciò. Era troppo presto per preoccuparsi di un tradimento o di un uno contro tutti e il fatto che gli altri non lo avessero ancora capito lo divertiva, lo faceva sentire superiore.
Tolse la freccia dal fuoco e la porse a Del, tenendola per il retro così che la punta incandescente puntò verso la ragazza, che trasalì nel vedersi un’arma puntata contro e fece per afferrare il braccio del ragazzo. Tuttavia, quando capì che si trattava di Nathan si rilassò.
-Marshmellow?- Chiese questi, con un piccolo ghigno sulle labbra: quello che era appena successo significava solo una cosa: Del si fidava di lui, che l’avesse capito o meno.
La ragazza afferrò la freccia e strappò con un morso il primo dolcetto, guardando Nathan di sottecchi, con le sopracciglia aggrottate:- Perché quel sorriso ebete?- Chiese, masticando a bocca aperta.
Il ghigno di Nathan si aprì ancora di più:- Mi piacciono i dolci.- Disse.
L’altra gli lanciò uno sguardo sospettoso ma decise di non indagare oltre, ingoiò il marshmellow e passò la freccia a James, facendo una smorfia a Lyn, giusto per far notare che il fatto che non l’avesse passata per prima a lei- che le stava di fianco- non era un caso.
Eyelyner rispose scuotendo la chioma bionda con aria altezzosa, ma non disse nulla.
James mangiò il marshmellow ridacchiando sotto i baffi per quel piccolo bisticcio: vedere le ragazze litigare lo divertiva, inoltre sperava che prima o poi l’antipatia delle due sfociasse in una lotta... Gli sarebbe tanto piaciuto vedere la ragazza dell’uno reduce da una battaglia con una sua degna rivale, con i capelli arruffati, i vestiti strappati e il resto. In quel caso per il suo bel faccino avrebbe anche potuto ignorare quanto era fastidiosa.
Con un ghigno ancora più ampio le passò la freccia, ma lei rifiutò con un gesto della mano. Del non si fece perdere un’occasione così ghiotta di infastidirla:- Cos’è, Bambolina? Troppi grassi saturi per te?-
Eyelyner storse il naso:- Quando sarete delle palle di ciccia e combatterete rotolando ne riparleremo.- Da come lo disse parve una battuta, e nessuno, nemmeno Del, sospettò che, in realtà, era proprio quella la sua strategia: aspettare che gli altri tributi si lasciassero prendere dalla gola e che diventassero fiacchi in modo che lei potesse ucciderli senza sforzo. In fondo, se c’era qualcosa che insegnavano al distretto uno, quella era mantenere la linea.
La freccia finì a Nathan, che prese l’ultimo dolce prima di prenderne altri dal mucchio che aveva formato lì a fianco.
Non aveva ancora rimesso la freccia sul fuoco quando Del parlò:- Caesar Flickerman.-
-Cosa?- Fece, voltandosi a guardarla. Era seduta a gambe incrociate come poco prima, ma ora la schiena era dritta e rigida come una tavola di legno. Il viso, invece aveva un’espressione sorpresa, come se la ragazza non si aspettasse di star pronunciando quelle parole.
-Caesar Flickerman.- Ripeté. –Mi sono…-
Del si portò di scatto le mani alla bocca, toppandosela.
-Ma che ti prende?- Le chiese James, completamente basito.
Del non se ne curò: la sua bocca sembrava avere vita propria: senza volerlo aprì le mascelle e si morse con forza un dito. Mentre abbassava le mani di scatto, non riuscì nemmeno a emettere un gemito di dolore che la sua bocca aveva ripreso a parlare:- Mi sono spogliata davanti a Caesar Flickerman!- Strillò.
Gli altri ragazzi la guardavano straniti. Nemmeno James, che la conosceva di vista all’Accademia le aveva mai visto in faccia un’espressione così sgomenta.
-Dopo le interviste sono andata in camera sua. Era buio, lui parlava al telefono… è stato così facile spingerlo sul letto, lui non ha opposto resistenza e…- Del fece una smorfia, come se stesse combattendo contro la propria bocca, ma evidentemente alla fine perse, perché continuò:- mi sono spogliata, lui mi ha afferrato, mi ha baciato e poi… gli ho tirato un calcio lì e sono scappata.-
Il silenzio cadde tra i favoriti. Nessuno, tanto meno Del, riusciva a credere che avesse per davvero detto quelle cose.
La prima a rompere il silenzio fu Lyn:- Hai capito che sgualdrina la nostra Oleander!-
Del però la ignorò:-Ma che…- Sussurrò, portandosi una mano alle labbra, quasi timidamente. –che diamine…?- Storse la bocca, come a provarla, ma sembrava tornata in sé.
L’attenzione era ancora sulla ragazza del due quando fu il turno del suo compagno di distretto: James si irrigidì tutto d’un colpo e, esattamente com’era successo a Del, quando la sua bocca si aprì lo fece non controllata dal suo cervello.
-Ho pensato ad Lyn nuda. Ho avuto fantasie su Lyn nuda. In questo momento vorrei vedere la…- Non fece in tempo a finire la frase che un pugno lo colpì in pieno viso. No, non un pugno, il proprio pungo.
James iniziò a tirarsi ceffoni da solo, nel tentativo di non parlare e stava più o meno funzionando, dato che ora parlava a tratti, come una radio piena di interferenze:- Lyn… le sue… io…-
Gli altri favoriti osservarono circospetti il loro alleato che stava picchiando se stesso violentemente, chi divertita e dimentica che la cosa era appena accaduta a lei come Del, chi, suo malgrado, lusingato come Lyn e chi, come Nathan preoccupato del fatto che, a rigor di logica, presto sarebbe toccato a lui.
Quando i pugni cessarono, James perdeva sangue dal naso, era certo di aver perso un paio di molari e sentiva già la faccia rossa per l’imbarazzo e gonfia di lividi, ma, per lo meno, la bocca era tornata sotto il suo controllo.
Ci fu un secondo di pausa, il ragazzo del due sputò il sangue che aveva sulla lingua all’interno del falò e riuscì a dire:- I marshmellows… sono quei dannati marshmellows!-
La sua teoria venne confermata quando fu Nathan a perdere il controllo, al posto di Lyn, che sembrava immune a quella strana cosa, anche se piuttosto divertita.
Nathan si sentì stringere la gola e mentre passava in rassegna quello che avrebbe potuto rivelare, la lingua cessò di essere sotto il suo controllo.
Aprì la bocca e quello che disse sembrò essere la spiegazione all’unico punto di domanda irrisolto che, anche se per un momento, aveva sorpreso tutti i tributi, durante il bagno di sangue.
-Deianira.- Disse. –L’ho uccisa io.-
-Impossibile.- Disse Lyn con aria altezzosa. –La scema è semplicemente caduta dalla…-
-Non era una scema.- La interruppe Nathan. La sua bocca si muoveva ma i suoi occhi guardavano ostinatamente il cielo notturno, eppure rosato, dell’arena. –Era stata stuprata.-
Passarono alcuni secondi di silenzio, poi la bocca di Nathan aggiunse, in modo pacato:- Da me. Durante l’addestramento. Lei stava cercando il bagno ed io l’ho fatto. Avevo detto che me ne sarei occupato. Alla fine è svenuta e dato il suo comportamento dei giorni seguenti credo che avesse dimenticato tutto… fino a questa mattina.-
-Cosa?- Esplose Del, stranita, a metà tra il disgusto e l’ammirato.
Nathan non rispose. Sentì la lingua tornare sua e, sotto lo sguardo sconcertato die suoi compagni e dell’intera Capitol City prese i marshmellows rimanenti e li gettò nel fuoco.
-Questa roba- Concluse. –è solo merda.-
James, ancora intontito dalla rissa contro se stesso, non capì se il ragazzo del quattro si riferisse ai dolcetti o agli Hunger Games in generale. Siccome Nathan era un favorito, decise di credere alla prima ipotesi.
 

Cioccolatini al liquore

 
Quando si svegliò Evangeline era ancora completamente nuda, ma , al contrario della notte prima, durante la quale si era data silenziosamente ma con grande piacere, alla pazza gioia con Soar, era sola.
Difatti il ragazzo mancava all’appello. Il sacco a pelo che avevano condiviso, stretti l’uno all’altra, tanto vicini da non poter fare altro che rimanere appiccicati come le due estremità di un sandwich incollate dalla maionese, era tutto per lei.
Lo spiazzo di caramello solido e appiccicoso su cui avevano steso il sacco a pelo era illuminato dai raggi del sole rosa del primo mattino. Evangeline si stiracchiò le braccia, scostandosi i lunghi capelli scuri e impiastricciati di caramello dalle spalle, anche se accamparsi nella palude era stata la cosa più sicura da fare alla ragazza non era piaciuto granché passare la notte con quell’olezzo zuccheroso sotto il naso.
Sospirò, guardandosi intorno: accanto al sacco c’era il coltello che si erano portati dal bagno di sangue e tanto bastò a tranquillizzarla sul fatto che il suo prestante compagno non stesse architettando qualcosa per ucciderla.
Così, in tutta tranquillità si alzò, senza curarsi del fatto che tutta Panem la stesse guardando nuda, e raggiunse il mucchio di vestiti che avevano lasciato la notte prima. Indossò solo la biancheria; il resto dei vestiti era troppo pieno di caramello per essere utilizzato, e si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa da mangiare.
La scelta era piuttosto ampia: la palude era costituita da frondose liane caramellose, da un acquitrino di cioccolato e da una ricca gamma di vegetazione appetitosa: da dove si trovava Evangeline riusciva a vedere rampicanti di marzapane, canneti di zucchero, e una moltitudine di funghi colorati di diversa forma e materiale. La ragazza si avvicinò al gruppo più vicino, vi si inginocchiò accanto e si portò un dito alle labbra, indecisa.
Non le era passato nemmeno per la testa che i funghi potessero essere avvelenati; erano di zucchero e sarebbe stato troppo scontato da parte degli strateghi, optò per un piccolo funghetto dall’aria innocente del colore del cioccolato fondente.
Lo morse, senza pensarci e subito sentì il gusto familiare e bruciante dell’alchol. Dopo il primo morso ne venne un secondo, e poi un terzo e quando del fungo non rimase più nulla, Evangeline ne afferrò un altro della stessa specie.
“ Meraviglioso.” Pensò, sarcastica. “Una sbronza era proprio quello che mi ci voleva per sopravvivere a quest’inferno”. Eppure non riusciva più a smettere.
Si ingozzava, un fungo dietro l’altro, con sempre più appetito, sempre più acquolina e quando Soar tornò dal suo sopraluogo la trovò seduta sullo spiazzo, curva sui funghi, il viso sporco di cioccolato e una luce folle negli occhi.
Provò più volte a dissuaderla dal mangiare, a farla allontanare dai funghi, senza risultati. La ragazza gli ringhiò contro, lo minacciò con il coltello e gridò, pur di non farsi portare via con la forza dai suoi dolci.
E quando, dopo ore, Soar pose fine all’alleanza, lasciandola sola sullo spiazzo e ripetendole che non si poteva permettere un’alleata così volubile e stupida, Evangeline nemmeno se ne accorse.
-Sei praticamente già morta.- Furono le ultime parole del ragazzo. –Non mi servi più.-
Il tono della voce era quasi triste, a discapito della durezza delle sue parole; con lei si era divertito, dopo tutto, ma Evangeline non riuscì a sentirlo, mentre si strafogava.
 

 

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Capitolo 18
*** Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare II ***


 Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare
Parte II



Marmellata di arance

 

 
 “Raferonzolo è stata salvata dalla torre, ma chi tra voi è il principe? Smettila di fare la testa di cazzo, sei stata brava. –R”
London rilesse il biglietto per l’ennesima volta, scuotendo la testa e roteando gli occhi al cielo. Sarebbe stata anche divertita dalla battuta fatta dal suo mentore se l’ordine che vi era insito non avesse riguardato Klaus.
Stesso Klaus che ora giaceva supino e addormentato, con la spalla ferita stretta tra le bende mandate dagli sponsor.
London guardò le gallette che erano scese con il paracadute con un sospiro. Prese il pugnale che era arrivato a Klaus e aprì il pacco, rassegnata, combattendo la voglia di conficcare la lama nella ferita del compagno, solo per sentire le sue urla soffocate come la sera prima mentre gli stava pulendo la ferita con l’unguento degli sponsor.  Era stata così felice quando il suo compagno era riuscito a dire, tra i gemiti, quel “cazzo, brucia da far schifo!”.
Erano corsi a nascondersi in una macchia più fitta d’alberi che ricordavano gli abeti: lunghi tronchi di zucchero a bande bianche e rosse, aghi sottili alla menta e un’infinità di resina ambrata che colava dai rami e che ricordava… London ne prese un po’ dall’albero più vicino, servendosi del pugnale, per poi osservare da vicino quella sostanza: sì, era proprio marmellata alle arance, sembrava perfino di qualità ancora migliore di quella che il suo ricco padre importava in segreto dalle terre d’oltre oceano.
Sempre usando il pugnale di Klaus spalmò sulle gallette uno strato abbondante di marmellata e ne mise in bocca una, stando bene attenta a masticare senza che nulla le finisse in gola.
London cercò di non sorridere mentre si complimentava con se stessa per il piano che aveva velocemente ideato; di sicuro quella roba era avvelenata, e la London Bridge che si era presentata all’intervista era abbastanza stupida da non capirlo e da avvelenare accidentalmente il suo compagno. Così facendo non solo sarebbe passata per la povera piccola vittima che cercava solo di aiutare, ma si sarebbe anche comportata come Rafe voleva.
Sollevò un lembo della canottiera che indossava per pulirsi la bocca e stando bene attenta a coprirsi il viso con le mani, sputò tutto nella maglietta e avvicinò in fretta lo zaino a sé, apparentemente per cercare le strisce di carne secca che avevano inviato a Klaus, ma in realtà per coprire la macchia.
Quando finì di “mangiare” guardò Klaus, sospirò fintamente stizzita, a beneficio degli spettatori che sapevano quanto lei odiasse il ragazzo, e finalmente stese un altro strato di marmellata su una galletta e lo coprì con una striscia di carne ed infine si avvicinò all’alleato con il tutto tra le mani.
-Klaus.- Disse, gentilmente, inginocchiandoglisi accanto e scrollandolo delicatamente per la spalla sana, ma senza smettere di mostrare la smorfia che aveva in viso.
Il ragazzo borbottò, ma non si svegliò e London sbuffò. Lo scrollò ancora e questa volta il ragazzo sbottò in un:-Che vu…?-
Ma non fece in tempo a terminare la frase che la galletta gli finì in bocca.
Finalmente il ragazzo aprì gli occhi e quando vide il sorriso dolce di London trasalì, spaventato, indietreggiando velocemente, dimentico della spalla ferita che lo fece gemere appena l’istante successivo.
London lo vide tossire e battersi il pugno sul petto nel tentativo di ingoiare la colazione e solo infine, quando la galletta avvelenata gli scese nello stomaco, aggrottò le sopracciglia, pronto a dire qualcosa di maligno, ma lei decise di batterlo sul tempo:
-Buono?- Chiede, in tono dolce, con un grande sorriso sulle labbra.
Il ragazzo la guardò, circospetto, facendo scorrere lo sguardo dal suo viso cordiale alle mani sporche di marmellata.
-Da dove arriva quella roba?- Chiese –Che cosa mi hai dato?-
London sorrise e disse allegramente, indicando il paracadute:- Arriva dagli sponsor, no? E non l’ho avvelenata né ci ho sputato sopra.- Si sporse un poco verso l’altro e disse con foce più grave e drammatica, molto teatralmente:- Se ti avessi voluto uccidere per davvero ti avrei lasciato morire ieri, con la freccia nella spalla.-
Ma Klaus era troppo abituato alle sue maschere per cascarci davvero. Afferrò il polso di London con uno strattone e glielo alzò davanti agli occhi, in modo che anche lei potesse osservare le dita sporche e appiccicose.
-Gli sponsor hanno mandato anche…- Avvicinò il naso alla mano e la annusò, aggrottando le sopracciglia. –della marmellata?-
London lo guardò sbattendo innocentemente le ciglia. –Non essere sciocco, Klaus. Non hai sponsor tanto generosi.-
-Viene dall’arena, puttanella?- Replicò l’altro, in tono calmo, inarcando le sopracciglia in un’espressione gentile. Tuttavia il modo in cui stringeva il polso della compagna e l’insulto tradivano il suo nervosismo. –Perché, sai, c’è una minuscola probabilità che quello che vedi sia avvelenato.-
London ignorò la stretta e si portò la mano libera alle labbra, con una finta espressione innocente e preoccupata.
-Dici davvero?-
Quello per Klaus sembrò essere troppo. I suoi occhi scuri si infiammarono di una rabbia cieco e le labbra si alzarono a scoprire i denti in un ringhio quasi disumano. London fece in tempo solo a capire che non l’avrebbe passata liscia che Klaus le si gettò addosso con tutto il suo peso, fregandosene della spalla ferita.
-Stai cercando di uccidermi, Bridge?!- Le tirò un pugno nello stomaco con il braccio buono, al quale la ragazza gemette, prima di divincolarsi quel tanto che le bastò per liberare le mani e artigliare ogni parte di Klaus che riusciva a raggiungere.
Quando riuscì ad arrivare al viso e gli affondò le unghie nelle guance il ragazzo gridò, con uno scatto le afferrò entrambe le mani e gliele tenne ferme sopra la testa.
-Che vuoi fare, Klaus? -Chiese lei a quel punto,  immobilizzata, guardando i solchi sanguinanti che aveva lasciato con le sue unghie. –Uccidermi?
Per tutta risposta il ragazzo si spostò, afferrò i polsi di London con una mano sola e con l’altra le tirò una sberla sul viso così forte che la testa di lei si rivoltò dalla parte opposta.
London per tutta risposta gli riservò uno sguardo innocente; ci teneva a farlo passare per il cattivo fino alla fine. –Ti ho solo dato da mangiare la cosa sbagliata. È stato un errore!-
Klaus ringhiò, frustrato. Sapeva che il tempo a sua disposizione  stava per scadere, quindi doveva sbrigarsi a vendicarsi.  Fece vagare lo sguardo per l’accampamento, alla ricerca del pugnale e non appena lo vide, con uno scatto della spalla ferita che gli fece lacrimare gli occhi, afferrò l’arma e la puntò alla gola bianca di London. Poi però notò la lama sporca di marmellata e cambiò idea: Lasciò andare i polsi della ragazza per stringere la mano intorno alla sua gola, quindi le avvicinò il pugnale sporco alle labbra.
-Sei finita, puttana.- Le disse.
Gli occhi di London si spalancarono. Osservò la lama e poi Klaus, e mentre la prima le si avvicinava sempre di più al volto cercò di colpire il secondo con le mani, graffiando la mano che le stringeva la gola, il viso del suo assassino e ogni parte che di lui riusciva a raggiungere.
Ma inevitabilmente la lama le toccò le labbra, le tagliò e le schiuse, così che la marmellata le arrivò sulla lingua e in gola.
Klaus rise. –Ed ora aspettiamo la morte insieme come i bravi fidanzatini che i nostri genitori avrebbero voluto che fo...- La voce gli morì in gola con un rantolo e London sgranò gli occhi per osservare meglio la morte della persona che odiava di più al mondo.
Ma l’attimo successivo Klaus era ancora lì, sopra di lei, vivo. E in quell’istante London capì che la sua voce era stata l’unica cosa a morire, quella mattina.
 

Ragazze di zucchero 

 
Quando Helle si risvegliò, la prima cosa che vide fu il volto sporco e sudato della ragazza che lo teneva tra le braccia, come fosse un bambolotto.
Aveva gli occhi di un caldo color castano e l’espressione gentile, Helle pensò che fosse carina, malgrado la ferita che aveva sulla tempia e il cioccolato che le si era incrostato su una guancia.
-Finalmente ci siamo svegliati.- Gli disse.
Helle arricciò il naso,  aggrottò le sopracciglia e gemette per il dolore che sentiva alla spalla.
-Dove…?- Iniziò.
-Al sicuro.- Gli rispose in fretta la ragazza. –Sei un mio alleato, ora.-
-Nostro.- La corresse una voce, da qualche parte alla destra di Helle. Con uno sforzo il ragazzino si voltò in quella direzione, dove un ragazzo più grande, coperto di tagli, a dorso nudo, stava riavvolgendo delle bende.
-Sono Ted.- Disse quello, quando si accorse di essere osservato dal nuovo arrivato. –Distretto sette.-
-E io Persephone.- Aggiunse la ragazza. –Stesso distretto.-
Helle annuì, quindi provò a tirarsi a sedere e Persephone, a cui stava in braccio, lo aiutò.
-Io sono He… Dee.- Disse una volta che si fu rimesso seduto. –Dal nove.-
-Piacere.- Commentò Ted. Helle non potè fare a meno di notare che sembrava divertito. Molto divertito.
Anche Persephone sembrò notarlo, perché strappò una manciata d’erba alla menta dal terreno e la lanciò al compagno. –Piantala adesso.- Sbottò, in un tono così diverso da quello che aveva usato per rivolgersi ad Helle che il ragazzino ne rimase disorientato.
-Come vuoi, come vuoi.- Concesse l’altro, mettendo via la benda ormai arrotolata.  Poi accorgendosi che il rosso lo guardava stranito aggiunse:- Percy si è dimostrata molto…-  Fece una smorfia, come se volesse trattenere una risata. –dolce, oggi, e per lei è insolito.-
Come a volerlo dimostrare la ragazza si mise le mani sui fianchi e strillò:- Non sono dolce!-
Helle la guardò con un sopracciglio inarcato e ricordando come lo aveva tenuto stretto disse, in tono sarcastico. –No, non sei per niente dolce.-
-Cos’è? Fate comunella voi due, ora?- Chiese, stizzita.
Ted rise ed Helle lo imitò, come a sottolineare che sì, facevano comunella.
Persephone  rispose lanciando loro addosso un’altra manciata d’erba.
 
 

Liquore alla ciliegia

 
Era ormai calata la notte sull’arena quando Artemide e Inglès trovarono un posto abbastanza riparato dove passare la notte.
Era un piccolo anfratto burroso tra i rami di un’enorme quercia di pane allo zenzero imbevuto di uno di quei liquori appiccicosi aromatizzati alla ciliegia, tanto grande che i due riuscirono ad accovacciarvisi insieme comodamente.
Avevano camminato per tutto il giorno, cercando di allontanarsi abbastanza dalla cornucopia e dai Favoriti. Fortunatamente non si erano imbattuti né in altri tributi, né in ibridi, ma per i secondi probabilmente era ancora troppo presto.
Nel complesso i due potevano reputarsi soddisfatti di come le cose si stavano svolgendo per loro.  Artemide aveva trovato un compagno accorto, che sembrava sapere quello che stava facendo e che sapeva che l’avrebbe protetta, com’era successo alla cornucopia. Del perché lo facesse non le importava granché, invasa com’era dalla soddisfazione: in fondo non si era sbagliata, perché essere ottimista l’aveva salvata comunque.
Per quanto riguardava Inglès, invece, la soddisfazione derivava dal fatto di essere riuscito a salvare la pelle della ragazza come si era prefissato, ed avercela come alleata si stava rivelando piacevole, dato quant’era loquace.
E poi era così ingenua e fragile che gli ricordava tanto le bambine della sua famiglia, quelle che proteggeva da tutta la vita. Mide, oltre a scaldargli il cuore, lo faceva sentire a casa.
Nessuno dei due avrebbe mai pensato che trovarsi nell’arena sarebbe stato tanto piacevole. Certo, entrambi sapevano che la cosa non poteva durare a lungo, ma nel frattempo si godevano il momento.
La cosa doveva aver colpito Capitol City, perché mentre camminavano ben due paracaduti d’argento avevano colpito la testa di Inglès, facendo ridere Mide di gusto.
Quegli stessi paracadute avevano permesso ai due di poter consumare una cena a base di gallette e acqua. Con tutti quei dolci intorno era una tortura, ma mentre chiacchieravano entrambi se ne dimenticarono in fretta.
A cena finita Inglès fece il primo turno di guardia, mentre Mide si rannicchiò su un fianco, appoggiando la testa su una radice dell’albero e addormentandosi con l’odore della ciliegia nel naso.
Inglès rimase seduto con la schiena appoggiata al tronco, protetto dalle radici, a giocherellare con la terra e ad osservare la ragazza che dormiva, con un’espressione felice anche mentre dormiva in un’arena piena di pericoli mortali.
Ad un certo punto della notte, però, dovette addormentarsi, perché fece un sogno molto strano. Innanzitutto era vivido e realistico come nessun sogno può essere, e in secondo luogo si trattava di qualcosa che aveva a lungo cercato di chiudere negli anfratti più remoti del suo subconscio, perché rivivere quella scena lo faceva stare male, immensamente male.
L’incubo riguardava la sua vita, molti anni prima, quando aveva ancora entrambi gli occhi e poche e rare cicatrici sparse sul corpo.
Il buco umido e sporco in cui era rinchiuso puzzava, le mosche ronzavano e si gettavano sui corpi addormentati come avvoltoi su una carcassa morta. Era mattina, molto presto, ma il caldo esalava dalle pareti di cemento rendendo i corpi sudati e appiccicosi. Inglès si ritrovò ad osservare la scena da un punto esterno, come se fosse un semplice spettatore. Vide la sua famiglia, Coline, Maria, Naoko, erano tutte lì, vicine e tremanti nonostante il caldo, come se stessero facendo un brutto sogno.
Inglès le osservò, sorpreso, intristito, arrabbiato e del tutto spiazzato come lo era sempre quando riviveva quei momenti.
Poi arrivarono le urla.
Girò la testa di scatto verso la sua destra, il punto da cui arrivavano e vide Alfred, chino su un corpo. Il ronzio degli attrezzi che teneva tra le mani era assordante come lo ricordava, le urla della sua vittima di turno ancora di più e la loro familiarità lo spiazzava enormemente: non erano le grida di qualcuna delle ragazze, ma riconosceva il suono di quella voce con chiarezza, eppure non riuscì a capire di chi si trattasse fino a quando non si avvicinò. In quel momento vide se stesso, steso sul lettino che aveva ospitato così tanta sofferenza. Urlava e scalciava come se non ci fosse un domani. L’Inglès cosciente indietreggiò, spiazzato, gli occhi sgranati, mentre la testa iniziava a ronzare. Sentì il sangue defluirgli dal volto e la bocca seccarsi. Sentiva di star per crollare alla vista di Alfred, mentre lo torturava, straziava e mutilava, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo.
Dietro di lui Coline urlò qualcosa, ma Alfred non smise.
Quando il sangue sgorgò dal lettino e le braccia del se stesso del passato smisero di agitarsi e rimasero inerme e penzolanti dal telaio vuoto, Alfred si alzò. Inglès ricordava ogni particolare del suo volto straziato e sanguinante mentre attuava la sua vendetta, perché era così che lo aveva voluto ricordare, ma quell’Alfred pericoloso e forte era tutta un’altra storia.
Si girò verso il punto in cui era l’Inglès cosciente, e sorrise. I denti bianchi e splendenti brillavano minacciosi nella penombra della mattina, così come gli occhi, pericolosi come quelli di un rettile. Il ragazzo si sentì mancare, ma strinse i denti e tenne la testa alta, ricordandosi che, comunque, quel mostro era già stato sconfitto, quello era un sogno e Alfred non poteva fargli del male.
Poi, però, quando l’uomo portò indietro la mano e quindi scattò in avanti come se volesse lanciargli qualcosa e Inglès si ritrovò tra le mani qualcosa di umido e viscido che riconobbe come un occhio- il suo occhio- fu troppo. Cadde a terra e svenne, con il fetore dei corpi non lavati che si sovrapponeva all’aroma della ciliegia.
Si svegliò urlando a pieni polmoni, le mani gli sembravano ancora umide di sangue, la testa ronzava ancora e il cuore galoppava.
-Ehi, se non mi stordisci mi fai un favore, Angioletto.- La voce di una ragazza lo riscosse, Inglès pensò a Mide, ma quando alzò lo sguardo non era lei che si ritrovò davanti.
 
Angolo di Ted:
BAM! Colpo di scena finale. Volevo concludere tenendovi un po’ sulle spine.
Scusatemi se mi sono fatta attendere così tanto ma internet non dà segni di vita. Non so bene se sia colpa dell’ADSL non pagata o roba così. Comunque ora sono con la rete della mia adoratissima vicina, a cui dedico il capitolo. Ringraziatela, perché ho postato solo per un suo atto di misericordia.
Fatemi sapere come vi sembra,
Teddy

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Capitolo 19
*** Come on you stranger, you legend, you martyr and shine. Pt. I ***


Come on you stranger, you legend, you martyr and shine.
Parte I
 
Il festino era stato annunciato da ormai un'ora e ogni tributo dell'Arena stava valutando il da farsi.
Era strano, e Soar lo sapeva bene. Era troppo presto perchè qualche tributo avesse davvero il bisogno impellente di qualcosa che lo spingesse a presentarsi. Almeno, lui non aveva bisogno di nulla, ma se gli strateghi già avevano pensato alla cosa allora gli altri tributi erano già mezzi morti.
-Tanto meglio.- Disse fra sé e sé, stirando i muscoli tonici della schiena.
Eppure... per qualche motivo il festino lo attirava. Sapeva bene che era un suicidio e che i Favoriti non aspettavano altro che gettarsi nella mischia e sventrare qualche stomaco, tuttavia non gli sarebbe dispiaciuto porre fine a quella monotonia e sì, anche a quella noia inaspettata che l'aveva colpito. Gli era bastato arrampicarsi su un albero, cospargersi il petto nudo di cioccolato e fare qualche sollevamento di tanto in tanto perchè il cibo iniziasse a piovere con dei paracaduti argentati, insieme ad un paio di occhiali per la visione notturna che gli avevano concesso di scappare prima dell'arrivo degli altri tributi in più di un'occasione. All'inizio quella situazione di stallo gli aveva fatto comodo, gli era piaciuta, ma ora... no, malgrado fosse nella lista dei possibili vincitori, il non provare quanto valeva lo infastidiva. Certo, non gli sarebbe dispiaciuto vincere in quel modo subdolo, se si trattava di vincere, ma se vivere nell'arena era così facile perchè non provare a buttarsi nella mischia, sventrare qualcuno, passare per il bello e dannato di turno e tornare alla sua vita agiata?
Poi il pensiero tornò, come sempre più spesso in quei giorni, a Evangeline, la sua prima e unica alleata.
Magari al festino, se ne mostrava il desiderio, avrebbero messo qualcosa per farla staccare dai suoi dolcetti, in modo da permetterle di rinsavire e tornare ad occuparsi dei bisogni maschili di Soar.
Forse, pensò il ragazzo ricordando con quanta abilità il corpo sinuoso di lei si muoveva, ne valeva la pena.
Soar non sapeva ancora che Evangeline era ormai ben lungi dall'essere la ragazza sensuale e bellissima di pochi giorni prima. I funghi avevano dilatato la sua pelle fino allo stremo, riempiendola di grasso fino a renderla sgraziata e sformata, tanto che a stento si distinguevano gli arti dal tronco.
I denti, che erano stati dritti e bianchi erano ormai neri, piccoli e marci, degli occhi che fino a poco prima erano stati grandi e da gatta ora rimanevano solo due fessure appena visibili oltre le guance flaccide del volto.
Anche il cuore e i polmoni, da giovani e forti erano diventati ormai stanchi di battere e pompare aria. La sua morte era vicina e, ora, a differenza di quando si era gettata per la prima volta sui dolci, la consapevolezza di Evangeline si era acuita.
Era consapevole di com'era diventata, di cosa stesse succedendo al suo corpo e di non poter smettere di mangiare.
Era consapevole anche dell'umiliazione cui era sottoposta stando davanti alle telecamere in quel modo e facendosi usare come oggetto dai Favoriti, che l'avevano trovata e, invece che uccisa, fatta rotolare fino alla Cornucopia per usarla come… oggetto, consci di poterla uccidere in qualsiasi momento.
Se non altro questo le aveva concesso di captare alcune informazioni durante gli ultimi due giorni: avevano in mente un originalissimo agguato durante il festino, e nuove strategie per “sgamare quei pidocchietti.”, come disse la ragazzina del due.
Ovviamente a Evangeline la cosa non serviva granché considerando la situazione in cui si trovava e i favoriti, consci di questo, non si facevano remore a parlare davanti a lei. Per la verità non si facevano remore a fare nulla davanti, o sopra di lei.
Come quando James aveva pensato che divertirsi con Eyelyner sulla sua schiena sarebbe stato divertente. Da quel momento anche Del e Nathan l'avevano usata come divano, l'uno per pianificare la caccia e l'altra per avere un posto comodo dove affilare i coltelli.
Quella sera in particolare erano tutti attorno al corpo della ragazza, Del e Nathan da una parte e Lyn e James dall’altra, tutti e quattro concentrati sul piano che il ragazzo del quattro aveva disegnato sull’ampia schiena del loro mobilio d’occasione con il cioccolato piovuto durante i giorni precedenti. 
“Se gli strateghi hanno pensato al festino,” Ingiunse questi, “vuol dire che molti tributi avranno già bisogno di qualcosa e se è così ci possiamo aspettare che ci sarà parecchia gente qui intorno.”
Del roteò gli occhi alla volta di Nathan. “Grazie tante, capitan ovvio, passiamo alla parte del piano vero.”
Il ragazzo ignorò i commenti velenosi della compagna per indicare lo schema marrone sulla schiena di Evangeline. “Farci trovare qui sarebbe scontato e potrebbe essere uno svantaggio. Gli altri tributi potrebbero coalizzarsi contro di noi per poi uccidersi a vicenda. Quello che propongo è aspettarli nel bosco.”
-Intendi che dobbiamo dividerci?- Chiese Lyn, chinandosi e scostandosi una ciocca bionda e liscia dal volto per impedire che si sporcasse con la cioccolata sulla schiena del “tavolo”. 
-Bella e intelligente.- Commentò ironicamente James, cingendole i fianchi con un braccio per mitigare la battuta, gesto dal quale la ragazza si scostò, quasi disgustata; era ovvio che stava usando il compagno per un suo piano, piano che nessuno riusciva ancora a cogliere, ma che contribuiva a stillare il sospetto in tutti i favoriti, tranne che in James che ancora pareva ammaliato oppure aveva anch'egli un piano tutto suo.
-Sì, dovremmo dividerci.- Proseguì Nathan, premurandosi di lanciare un’occhiata sospettosa alla bionda. -Ognuno coprirà una zona di circa cento metri al limitare del prato.-
-Potremmo nasconderci dietro alle meringhe.- Fece Del, indicando con un cenno del pollice i grossi dolci bianchi sparsi per l’arena. 
Lyn scosse la testa:- Saremmo visibili da tutta la vegetazione che circonda l’arena, piccola stupida. Di certo gli altri idioti non saranno tanto tali da arrivare tutti insieme.-
In tutta risposta Del le fece la linguaccia, premurandosi anche di insultare il suo seno rifatto e diverse altre parti del suo corpo che definì “sfondate”.
-Bisognerà spostare le armi e le provviste in un posto più sicuro.- Intervenne James, fulminando Del con un’occhiataccia.
-Ci avevo pensato anche io. Pensavo di sistemarle vicino alla palude. Nessuno si avvicinerà lì.- Intervenne Nathan che, più di tutti, si stava sforzando di non provocare gli altri. Come Eyelyner pareva avere un piano tutto suo per il quale stava iniziando a tessere la tela.
Del, rendendosi conto della cosa e non avendo un piano definito stava pronta, sull’attenti in ogni momento. Sentiva che a breve le cose per loro si sarebbero messe male e per lei sarebbe stato il momento di infilare a tutti un coltello tra le scapole.
Ammesso e non concesso che di coltelli ne avrebbe avuti ancora.
Se c’erano dei tributi che infatti si stavano organizzando meglio dei favoriti quelli erano Inglès e Mide. La prima, che dall’ultimo incontro coi  tributi dell'uno, due e quattro ci aveva rimesso un occhio pareva decisa a vendicarsi del dolore subìto. Così che era toccato a Inglès, disposto a tutto pur di riuscire ad aprirsi un varco nel muro di pianti, dolore e sangue sul volto della compagna bendarle l’occhio come da anni faceva per sé, e progettare un piano per lei e la sua vendetta.
Era da quando si erano misericordiosamente salvati dalla morte che, ogni notte, dopo aver dato a Mide i piccoli non-ti-scordar-di-me che garantivano un sonno profondo, si addentrava per l’arena alla ricerca di aiuto.
-I favoriti sono la nostra principale minaccia-. Diceva a ogni tributo che incontrava mentre questi, armi alla mano minacciavano di ucciderlo. -senza di loro la vittoria è vicina e se ci uniamo tutti…-
Sorprendentemente, ogni tributo incontrato aveva qualcosa da guadagnarci in quella proposta e ognuno era stato disposto ad accettarla. 
Mide, che al risveglio si trovava sempre circondata da nuovi alleati, sempre più grata a Inglès, aveva iniziato a definire tutto il progetto “Alleanza dell’Occhio”. Mano a mano che nuovi tributi si erano aggiunti, poi, il sottile strato di rimorso al pensiero della vendetta che aveva invaso il suo animo gentile era andato dissipandosi, lasciando il posto al sentimento di fraternità e amicizia che si era instaurato tra tutti i membri dell’alleanza. Sentimento di fraternità e amicizia che ancora non si riusciva a capire quanto fosse reale e quanto fittizio.
I primi ad unirsi a quella inusuale iniziativa erano stati Jared e Ailanda.
Entrambi si erano svegliati subiltaneamente, quasi gli strateghi avessero volutamente fatto evaporare il sonnifero dal loro corpo per vederli combattere e uccidersi. 
Combattere e uccidere erano stati esattamente gli istinti che Ail aveva provato nel trovarsi accanto il ragazzo: non appena il corpo intorpidito glielo aveva concesso si era messa sull'attenti, acquattata, con le mani ad artiglio pronte a cavare gli occhi come fosse un animale. Aveva fissato il suo avversario con occhi spiritati che, a pochi passi da lei, ancora si stava destando.
Nel sentirsi tanto minacciato Jared aveva roteato il viso, gli occhi neri e freddi che non tradivano nessun barlume di paura o ansia e si contrapponevano in modo quasi paradossale a quelli di Ailanda, così accesi, famelici. Non appena i loro sguardi si incrociarono Jared trasalì, mettendosi subito sull'attenti, pronto a scattare. Osservò la posizione, l'espressione e l'evidente intenzione dell'avversaria e sentendosi a rischio si ritrovò a ragionare velocemente.
Ricordava la ragazza con la cicatrice dalla sfilata e dall'intervista; era quella che era uscita di scena in modo epocale, cercando di uccidere Caesar con le scarpe, quella che il mentore di Jared aveva definito “sovversiva e pericolosa per gli strateghi.”
Un sorriso increspò le labbra del ragazzo, senza provocare in Ailanda nessun cambio di espressione.
-Distretto undici, eh?- Chiese tranquillamente Jared, senza tradire un briciolo del suo nervosismo, malgrado la ragazza fosse evidentemente pronta a cavargli gli occhi. Un basso ringhio iniziò a formentare nella gola di lei in tutta risposta.
-Vuoi uccidermi, ma se lo fai...- Jared fece spallucce, indicò l'arena con un cenno del capo. -Oh, sappiamo entrambi che non vuoi darla vinta a loro.- 
Quelle erano probabilmente le uniche parole che avrebbero potuto far suonare un campanello d'allarme nella testa della ragazza.
-Niente alleati.- Sibilò, senza osare indietreggiare. Malgrado fosse inquietata dalle osservazioni del ragazzo non voleva fargli credere di esserne spaventata.
-Scappa allora.- Ingiunse Jared. -Ma se scappi come fai a sapere che non ti pianterò un coltello nella schiena? Io voglio solo uscire di qui, di fare il loro gioco non mi importa, ma...-
Ailanda lo fissò gelidamente e Jared, che aveva erroneamente creduto che lei fosse abbastanza incuriosita da intervenire in qualche modo, storse la bocca; doveva aspettarsi che la ragazza non avrebbe fatto neppure il suo di gioco, quindi riprese:- Ma potrei aiutarti.-
-Non ho bisogno di essere aiutata.- Replicò subito l'altra, con il petto compresso da una frustrazione sempre più crescente.
-D'altra parte non hai molta scelta.- 
Messa alle strette, proprio nel momento in cui stava per saltare addosso a Jared per legarlo al tronco dell'albero o chissà quale alternativa che le avrebbe permesso di scappare, un rumore nella vegetazione zuccherina l'aveva fatta sobbalzare. Poi era spuntato Inglès, che offriva l'alternativa migliore che le potesse capitare: i tributi uniti in una grande alleanza, che combattevano fianco a fianco e che, alla fine, rappresentavano quello che lei era troppo impulsiva e umorale per creare: un modo per sfidarli.
Jared, il quale era di mente molto più aperta ad eventuali svolte nel gioco si era invece ritrovato ad accettare quell'insolita proposta con atteggiamento critico, sperando che la cosa lo portasse a raggiungere prima il distretto cinque.
Solo in seguito a Mide, Inglès, Ailanda e Jared si erano uniti Ted, Persephone e quello che tutti credevano fosse Dee.
Era stato Ted ad impedire alla ragazza, che all'arrivo di Inglès era balzata davanti al piccolo rosso, di uccidere il nuovo arrivato. Era stato sempre Ted ad accoglierlo con professionalità, chiedergli gentilmente di ignorare la sua alleata e di scegliere tra una morte rapida e indolore che sporcasse il meno possibile o un paio di spiegazioni sul perchè fosse lì che avrebbero probabilmente preceduto una morte rapida che sporcasse comunque il meno possibile.
Davanti a quel senso dell'umorismo macabro, solo Pesephone aveva letto quanto il ragazzo fosse restio ad uccidere e aveva capito, sorprendendosi lei stessa di quante qualità iniziava a notare nell'altro, che parlando tanto stava dando un'occasione a Inglès di scappare.
Eppure Inglès era stato o dannatamente stupido o dannatamente coraggioso, perchè era rimasto fermo e con voce squillante aveva illustrato il suo piano.
-Non credo che...- Aveva iniziatò Percy, stringendo in mano il coltello, proprio nel momento in cui un Ted entusiasta se ne usciva con un:- Accettiamo!-
-Accettiamo?- Aveva chiesto la ragazza. -Così? Senza remore?-
Ted aveva annuito, fatto cenno a Inglès di precederli verso gli altri alleati cui aveva già accennato. Solo in seguito, durante il tragitto, si era avvicinato a Percy e, sottovoce, chinandosi verso il suo orecchio, le aveva spiegato che erano in tre contro uno e se davvero quel ragazzo avesse avuto degli alleati pronti a ucciderli avrebbero potuto prenderlo in ostaggio e riuscire a scappare. Senza contare che, se quell'alleanza si fosse dimostrata reale sarebbero stati al sicuro fino alla morte dei favoriti.
Persephone si era vista costretta ad ammettere che era una proposta sensata, così si era tenuta stretta al fianco Helle che, silenzioso si era aggrappato alla sua giacca, e aveva afferrato la mano di Ted, pronta a tirarlo indietro in caso d'agguato per lanciare il coltello dritto tra le scapole di Inglès.
Era dannatamente scomodo camminare così vicini ma se non altro il calore della mano del ragazzo era piuttosto piacevole, così come la sua stretta sicura era confortante.

Quando giunse l'ora del festino la nebbia era ormai calata attorno alla cornucopia vuota, rendendo a malapena visibile il tavolo sul quale gli zaini contenenti quello che serviva ai tributi prendevano posto.
Nel caso di London e Klaus il contenuto dello zaino a loro destinato era senz'ombra di dubbio l'antidoto per far tornar loro la voce. I due, senza poter più sopportare ore di silenzio ad osservarsi e gesticolare nel tentativo di capire come e quando l'uno o l'altro volesse dire qualcosa, erano stati i primi ad avvicinarsi alla Cornucopia.
Erano passati per la porzione di territorio che doveva essere controllata da Lyn, i cui piani, tuttavia, avevano ben altro scopo e così li aveva lasciati correre accanto a lei senza nemmeno puntarli con l'arco. Il colpo di fortuna inaspettato  fece incontrare i loro sguardi in un ancor più sorprendente secondo di complicità che li colse prima che la loro attenzione tornasse al loro scopo. Così, mano nella mano per non perdersi, corsero alla cieca tra la nebbia, muovendosi simultaneamente e il più velocemente possibile.
Furono i primi a cadere nella trappola degli strateghi.
Non appena la nebbia li inghiottì e il tavolo con gli zaini fu chiaro e nitido davanti a loro, in quel momento, proprio mentre London si staccava da Klaus per raggiungere il tanto agognato antidoto, il primo rumore interruppe il silenzio della loro vita nell'arena.
Era... il suono di un pianto acuto e familiare. Klaus si voltò a destra e a sinistra, alla ricerca della fonte del rumore, pronto a corprire le spalle all'alleata. La fonte rimaneva tuttavia sconosciuta.
I due si scambiarono uno sguardo eloquente, stranito, prima che il ragazzo facesse cenno a London di sbrigarsi e ritornasse in guardia.
Poi, un secondo gemito, più vicino, infinitamente più vicino, fece sobbalzare i due. London trasalì, spaventata, dimentica dell'antidoto, indietreggiando verso Klaus fino a sbattere contro la sua schiena per aggrapparvisi, pronta a usarlo come scudo.
Si scambiarono uno sguardo veloce, spaventato, prima che un movimento al di sotto del tavolo richiamasse la loro attenzione.
Ed ecco spuntare Ben, seguito da un'altra London. Entrambi acquattati, per terra, carponi, una dietro all'altro, attaccati irreparabilmente come se fossero una cosa sola. Ben, davanti, piangeva, raccogliendo erba e riempiendosene la bocca in modo vorace, così che quello che ingeriva e digeriva passava attraverso il suo corpo in quello di London attraverso i loro apparati digerenti irrimediabilmente cuciti insieme.
London, quella vera, si chiese quale mente malata avesse mai potuto concepire un mostro simile. E quello era il suo Ben! Suo fratello! Era lui, con gli stessi capelli chiari, lo stesso viso gentile ora storpiato dal dolore e dall'umiliazione, mentre quella dietro... quella dietro era lei. Fu questo a fermarla. Quella ragazza non poteva essere lei stessa, di consegenza era altamente probabile che quello davanti non fosse Ben. Le telecamere ripresero il sussegiursi di queste espressioni sul suo volto, e proprio mentre i fan dell'innocente ragazza del sei tiravano un sospiro di sollievo, quelli del suo irruente compagno trattennero il fiato: Klaus non arrivò a cogliere la stessa sottigliezza. Sfuggì dalle braccia della vera London con uno scatto repentino, ignorando tutto il resto per andare a gettarsi verso quella falsa, per strapparla alla condizione animalesca in cui gli strateghi l'avevano messa, per salvarla. 
Solo mentre il finto Ben e la finta London con uno scatto animale e repentino rivelavano la loro vera natura saltando alla gola di Klaus, la ragazza si ritrovò davanti ad una realtà inaspettata e del tutto nuova. Una realtà in cui il suo odiato promesso sposo, la persona che più detestava al mondo, quello che l'aveva umiliata, irritata ed insultata si faceva dilaniare dagli ibridi per salvare una sua immagine fittizia.
Mentre London si voltava per scappare del tutto dimentica dell'antidoto, sentì il cannone sparare, i gorgoglii della gola dilaniata di Klaus, il sapore amaro del dolore e quello salato delle lacrime.


Angolo di Ted:
Apprezzate il fatto che dopo mesi vi abbia deliziato con una sola morte. (RIP Klaus, bello di Teddy.) e santificate i Pink Floyd per il titolo.

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