Inspiration

di Cali F Jones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rondo alla Turca ***
Capitolo 2: *** Toccata e Fuga in Re Minore ***
Capitolo 3: *** Adagio in Sol Minore ***
Capitolo 4: *** Notturno Opera 9 No. 1 ***
Capitolo 5: *** Humoresque No. 7 ***



Capitolo 1
*** Rondo alla Turca ***


"Musica, il più grande bene che i mortali conoscano. E tutto ciò che del paradiso noi abbiamo quaggiù."
J. Addison

 

Rondo alla Turca



Personaggi: Danimarca/Mathias Køhler; Norvegia/Lukas Thomassen Bondevik
Genere: Slice of Life
Ambientazione: Moderna
Musica: Rondo alla Turca di Wolfgang Amadeus Mozart

Si consiglia l'ascolto della musica durante la lettura.
 

Per Anna,
la mia illibata (ancora per poco lol) Nor, compagna di sclero,
nonché un sacco di altre cose non ben definite.
Perché ormai siamo in fissa con i Nordici
e una DenNor idiota ci stava.

 

L’allegra musica risuonò nella stanza come un fulmine a cielo sereno, facendo sobbalzare il norvegese, assorto nella lettura di un vecchio libro ritrovato qualche giorno prima in mezzo al disordine degli scaffali più alti. Che diavolo aveva in mente quando aveva messo “Rondo alla Turca” come suoneria? Si passò una mano sul volto esausto, per poi prendere in mano il cellulare e controllare il nome sul display. Den. Prese un respiro ancora più profondo del primo, sprofondando nella poltrona. Che cosa voleva quell’idiota? Nemmeno nel suo giorno libero riusciva a lasciarlo in pace?
«Pronto?» bofonchiò a mezza voce.
«Oi, Nor!»
La voce squillante del danese gli rimbombò nel cranio, cozzando contro le pareti del suo povero cervello ormai completamente frastornato.
«Den, ti sento benissimo, non c’è bisogno che urli»
«Eh? Ah sì, hai ragione! Ahahahah!»
Quella risata. Dio mio, ma non riusciva a rimanere serio per neanche cinque minuti?
«Hey, Nor, sei libero oggi?»
Il norvegese roteò gli occhi, per poi puntarli su un moscerino sul soffitto intento a descrivere piccoli cerchi concentrici. Tutto ad un tratto, persino osservare quell’insetto nella sua monotonia era diventata un’attività più piacevole che stare ad ascoltare i discorsi del danese.
«Che ne dici di venire a casa mia? Ti preparo qualcosa per pranzo e poi possiamo passare il pomeriggio insieme, che dici? Eh? Va bene, vero? Magari possiamo giocare a scopa…se sai cosa intendo ahahahah!»
Danimarca continuò a parlare per qualche altro secondo, del tutto ignaro dell’espressione carica di vergogna che aveva assunto il norvegese all’altro capo del telefono.
«Nor, Nor, hey, Nor! Ma ci sei? Mi sembra di parlare da solo!»
«Ci sono, ci sono! Ma non dire queste cose al telefono!»
«Eh? Perché no? Stiamo insieme, giusto?»
Dall’altro capo nessuna risposta.
«Giusto?» ripeté Danimarca.
«Sì! Giusto!»
Sul viso del danese si dipinse un ampio sorriso. Un sorriso che Norvegia non poteva vedere, ma poteva chiaramente percepire attraverso la cornetta. Ma come aveva fatto a mettersi insieme a quello? Sembrava che quella domanda fosse destinata a fare la fine di quella della suoneria. Perché aveva messo "Rondo alla Turca" come suoneria? Così, nessuna apparente ragione. Perché si era messo insieme a Danimarca? Così, nessuna apparente ragione. Semplicemente amava Mozart. Semplicemente amava...
«Allora ti aspetto, dammi il tempo di mettermi qualcosa addosso…»
«Sei ancora in mutande?»
«Ah, sì, mi sono appena alzato dal letto…se preferisci rimango in mutande, Norge!» la seconda parte della frase venne pronunciata con un tono suadente e malizioso, per poi essere seguita dall’ennesima risata.
«Vestiti»
«Sicuro, Norge?»
«Vestiti»
«Mi sto infilando i pantaloni, è la tua ultima possibilità per fermarmi!»
«Vestiti…e non dimenticare la cravatta»
«Oh, così puoi tirarmi a te e baciarmi?»
«No, così posso strozzarti»
Il norvegese accennò un sorrisetto sadico, mentre dall’altro capo del telefono provenivano mugugni e lamenti di vario genere.
«Sarò da te tra mezz’ora»
«Ti aspetto!»
E, senza dare modo di salutare, riattaccò. “Stupido” pensò Norvegia, tornando a concentrarsi sulla sua lettura. Sospirò. Non sarebbe stata una giornata facile. Passare un intero pomeriggio con Danimarca sarebbe stato a dir poco estenuante. Avrebbe dovuto sopportare le sue chiacchiere senza senso, le sue battutine squallide, le sua canzoncine idiote, le sue auto acclamazioni, il suo sorriso. Sì, avrebbe dovuto sopportare il suo sorriso così dannatamente sincero, la sua esuberanza contagiosa, il suo perenne buonumore e la sua immancabile capacità di farlo sentire unico, speciale e veramente felice, come nessuno mai era stato in grado di fare in tutti quei secoli.
Forse quello che si profilava non era poi un pomeriggio così terribile.

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Capitolo 2
*** Toccata e Fuga in Re Minore ***


Toccata e Fuga in Re Minore



Personaggi: Russia/Ivan Braginski
Genere: Storico
Ambientazione: Rivoluzione Russa
Musica: Toccata e Fuga in Re Minore di Johann Sebastian Bach

Si consiglia l'ascolto della musica durante la lettura.

Per Ele,
una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto,
nonché mia dispensatrice ufficiale di bestemmie
che mi ha convertito con i biscottini al lato oscuro della Rusame.



Nella cattedrale risuonarono imponenti le meste note dell'organo. Ivan, inginocchiato ai piedi dell'altare, sollevò il capo con infinita lentezza, puntando le sue grandi iridi violacee sulla figura del sacerdote. Nella strada si levarono alte grida di rabbia, frustrazione. Grida di un popolo stanco, oppresso, ardente nella fiamma del desiderio. Un popolo ansioso di liberarsi, non di essere liberato. Guerra. Rivoluzione. Non vi è alcun modo di cambiare la propria vita e la propria condizione sociale se non staccarsi con violenza dal proprio passato, come un bambino che nasce a cui viene tagliato il cordone che lo lega alla madre.
Il russo si alzò, tenendo gli occhi fissi sull'anziano. Questi rimaneva fieramente dritto in piedi, lo sguardo alto lasciava intravedere una fermezza d'animo unica, gli occhi infuocati di chi si batte per un credo o per l'altro.
«Non posso lasciarVi distruggere questa chiesa, signor Ivan».
L'uomo sorrise. Quanto testardo, in quanta futile resistenza aveva ancora intenzione di perseverare?
«Non sentite le urla nella strada? L'ora della Rivoluzione è giunta. Loro mi libereranno. Io mi libererò. Lasciatemi distruggere questo tempio, emblema del dispotismo».
Il russo parlò. La sua voce fredda e piatta riecheggiò contro le pareti riccamente decorate della cattedrale. In sottofondo ancora le grida in strada. In sottofondo ancora l'organo che proseguiva a suonare quella melodia.
«Le sento, le urla, signor Ivan» disse il sacerdote «Sento anche le Vostre urla. Questa non è la Chiesa di Sua Maestà lo Zar di Tutte le Russie. Questa è la Chiesa di Russia. La Vostra Chiesa. Non è un simbolo dello Zar. È il Vostro simbolo. Quanto di Voi stesso, signor Ivan, siete disposto a sacrificare per quella che Voi chiamate libertà?»
L'imponente nazione tacque. I bolscevichi gli avevano promesso la libertà. Sarebbe diventato forte, grande, temuto dalle altre nazioni di tutto il mondo. Nessuno avrebbe mai osato sfidare la grande Madre Russia. Era un promessa che gli era stata fatta. Eppure sapeva. Sapeva. Aveva visto secoli e secoli di storia bruciare, i più grandi Imperi crollare davanti ai suoi occhi. Tutto per loro. Loro, gli uomini. Loro che credevano, ingenuamente, nei loro stupidi e vacui ideali. Tutti avevano sbagliato. Nessuno di loro aveva mai capito. Mai capito nulla di tutto quel mondo, mai avevano cercato di capire che il potere, per non essere corrotto, doveva essere nelle mani di tutti, nelle mani del popolo.
Ivan abbozzò un sorriso sornione. Si voltò, facendo vistosamente sventolare la lunga giacca grigia e si incamminò lungo la navata, diretto al portone d'ingresso.
«Signor Ivan» lo richiamò il sacerdote. L'uomo si fermò.
«Se il potere è di tutti, di chi è veramente? Di coloro che ne avrebbero diritto o del primo che se lo prende? La storia insegna, signor Ivan».
Ancora una volta egli sorrise. Alzò lo sguardo. Sul balcone l'organista ancora suonava.
«Come si chiama questa melodia?» chiese Russia.
«Toccata e Fuga in Re Minore di Johann Sebastian Bach, signore» rispose l'organista.
Un sorriso infantile, quasi giocondo si dipinse sul volto della nazione. «È molto bella. Vi prego, continuate».
Così dicendo, accompagnato dalle note in crescendo, se ne andò.
Le fiamme si alzarono. La pioggia cadde. L'organo bruciò e la musica di Bach si perse, infine, come cenere al vento, come lancinanti grida di dolore avvolte dal fuoco.
Quella notte, un rosso ardente bagnò il cielo di Russia.

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Capitolo 3
*** Adagio in Sol Minore ***


Adagio in Sol Minore



Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy; America/Alfred F. Jones
Genere: Erotico
Ambientazione: Guerra d'Indipendenza Americana
Musica: Adagio in Sol Minore di Tomaso Albinoni

Si consiglia l'ascolto della musica durante la lettura.

Per Hina,
la mia palpatrice di culi ufficiale, ovvero la mia Furansu.
Perché litigare per uno sgorbio come Inghilterra?
Ti avrei scritto una Spamerica se non fosse
che non avevo ispirazione, perciò accontentati.
FrUseggiamo in allegria ♥



Il coro dei loro respiri spezzati si diffuse nella stanza silenziosa. I loro corpi nudi scivolavano languidamente l'uno sull'altro. Il francese accarezzava delicatamente il petto del giovane sotto di lui, posandovi caldi baci, mentre la pelle dell'altro fremeva al contatto con le sue labbra esperte.
America chiuse gli occhi, cercando i trattenere i gemiti che, prepotentemente, si facevano strada per sfociare dalle sue labbra. La sua mente era, in quel momento, completamente obnubilata, persa in un'infinità di sensazioni. Il piacere cresceva ad ogni tocco, ad ogni bacio, ad ogni sguardo incrociato, smarrito e ritrovato negli specchi cerulei del francese.
Trattenne il fiato qualche istante, quando due dita lunghe e affusolate si insinuarono in lui. Inarcò la schiena, facendo cozzare i loro corpi frementi, mentre un brivido freddo gli attraversò la spina dorsale. Il suo cuore batacchiava nel petto, irregolare, quasi indeciso su colui a cui donarsi veramente.
Con le mani chiuse a pugno strinse le lenzuola sotto di sè ed un alto gemito gli sfuggì quando la punta dell'erezione del francese toccò la sua apertura.
«A-aspetta...Francis...» farfugliò, dimenandosi appena, come a volersi sottrarre a quella successiva unione dei loro corpi ormai turgidi.
L'altro posò l'indice sulle sue labbra, scendendo indi a baciarle con infinita lentezza ed assaporando a pieno il loro sapore così dolce e mielato. Si scostò appena, riprendendo fiato da quel bacio, mentre cautamente il proprio sesso lo penetrava.
America. Cosa, esattamente, di quel ragazzo lo aveva fatto invaghire? Francis si fermò qualche istante, contemplando con muta ammirazione il corpo caldo e scosso da fremiti di piacere del giovane. Dio, dio, quanto era bello! Nessuna cicatrice, segno indelebile di guerre e dolore, lo scalfiva. I suoi occhi erano sconfinate porzioni di cielo in grado di sedurre l'animo del sognatore ardente di libertà. Erano il firmamento e l'empireo, quanto di più bello e angelico potesse esistere quaggiù sulla Terra. I suoi capelli avevano la stessa tonalità delle spighe di grano che, baciate dal sole, erano scosse da un delicato fiato di venticello estivo che portava con sè gli effluvi esotici di terre lontane.
Un nuovo gemito lasciò le labbra del più giovane, quando il compagno prese a muoversi in lui. Le spinte si fecero più vigorose e i loro bacini si mossero all'unisono in quella danza sensuale che faceva trepidare i loro corpi eccitati. I loro fiati ansimanti risuonarono alti contro le pareti della stanza e, come il più perfetto e sacro dei legami, il piacere supremo dell'orgasmo li colse all'unisono.
Nessuno dei due parlò per qualche istante. Ancora riecheggiava l'eco dei loro respiri.
Il francese si avvicinò all'orecchio di Alfred. «Je t'aime, Amerique» bisbigliò.
Un nuovo brivido fece fremere il più giovane a sentire l'alito caldo di Francis contro il suo orecchio a sussurrargli quelle parole. Schiuse le labbra, ma nessun suono ne uscì. Istintivamente, gettò le braccia al collo del francese, stringendolo fortemente a sè. Chi era, veramente, Francia, per lui? Lo stava aiutando, gli stava salvando la vita ogni giorno in quella stupida e dannata guerra contro Inghilterra. Già, Inghilterra. Era inutile negarlo, nella sua testa c'era solo lui, nel suo cuore solo lui. America lo sapeva. Francia lo sapeva. Eppure ancora lo amava. Lo avrebbe mai perdonato?
Alcune lacrime fredde presero a rigare il viso dell'americano. Si nascose il volto con i palmi e scoppiò in un pianto carico di profonda amarezza.
«I-I love...you».
Con quell'ultima menzogna, vendette l'anima al diavolo.

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Capitolo 4
*** Notturno Opera 9 No. 1 ***


Notturno Opera 9 No. 1



Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy; Nuovo Personaggio
Genere: Drammatico, Triste
Ambientazione: Moderna/Indefinita
Musica: Notturno Opera 9 No. 1 di Fryderyk Franciszek Chopin

Si consiglia l'ascolto della musica durante la lettura.

Per Greta,
un'amica sulla quale so di poter sempre contare,
anche se si fa sempre troppi film mentali.
E comunque sia, Ellino sarà mio! Muahahahahah!



I piedi scalzi affondano nella sabbia morbida. In lontananza, un pianoforte suona una lenta e dolceamara melodia che si perde nello scrosciare incessante dell'acqua. Le deboli onde che giungono a riva si trasformano in schiuma, trascinando con sè memorie e rimpianti di un passato lontano.
C'è una casa in riva al mare, ove una giovane dai lunghi capelli lucenti come raggi del sole suona quelle note che si disperdono nell'aria, spinte dalla brezza estiva. Arrivano sino ai cancelli perlacei del paradiso. E gli angeli in Cielo si affacciano al mondo per scorgere la bellezza di quel volto, dei suoi occhi socchiusi, delle sue mani leggere e delicate che scivolano magistralmente sui tasti neri e bianchi.
«Buongiorno, Francis».
Un uomo siede sulla sabbia. Il suo sguardo è perso all'orizzonte ed ammira. Ammira la stella più bella di tutte che va lentamente calando, riflettendosi nelle acque cristalline del mare di Francia. A sentire chiamare il suo nome, l'uomo si volta e sorride alla figura minuta della ragazzetta nel suo abito candido.
«Buongiorno, Angélique».
La giovane si siede accanto all'uomo. Un alito di vento le soffia via il cappello di paglia che porta sulla testa. Vola per qualche secondo nell'aria, per poi posarsi poco lontano, ove la spiaggia termina e comincia la vasta distesa di mare. Rimane lì, a fluttuare avanti e indietro, sospinto appena dalle onde. Infine, l'acqua lo sommerge e lo trascina via con sè. Galleggia il cappello di paglia in quel limpido mare di Francia.
«Sei venuto a sentirmi suonare anche oggi?» domanda la ragazza, rigirandosi le mani in grembo.
«Non mi perdo mai una tua esibizione, lo sai, Angélique».
Rimangono in silenzio ancora qualche istante. Il profumo pungente dell'acqua stuzzica le loro narici e in lontananza non si ode più nulla se non lo stridio dei gabbiani che piangono un'ultima volta il sole calante.
La ragazza abbassa lo sguardo. Le sue dita lunghe ed affusolate giocano nella sabbia che scivola dalle sue mani come in una clessidra, lenta ed inesorabile scanditrice del tempo. È nata, Angélique, in una fresca mattina di primavera. È cresciuta, Angélique, in quella terra sì generosa e bella. Morirà, Angélique. Una purezza che solo il Cielo potrà accogliere.
«Francis,» domanda, insicura «tu chi sei esattamente?»
L'uomo sospira, guardando lontano.
«Ho visto tante persone come te, mia cara. Donne, uomini, bambini. Li ho visti per secoli e per secoli li ho amati. Continuerò a vederli e ad amarli. E pochi di voi sapranno che io esisto. Ho conosciuto re deceduti da millenni, ho amato una donzella mandata da Dio, ho combattuto contro la monarchia e al fianco di imperatori. Sono stato dominatore e dominato. Ancora piango per ogni vita che si spegne sulla mia terra».
L'uomo sussurra e la giovane ascolta.
«Tu esisti davvero?»
«Sono sempre esistito...»
«...E vivrai in eterno».
Egli sorride pacatamente, socchiudendo gli occhi cerulei e lasciandosi cullare dall'infinità di sensazioni che quella leggiadra brezza gli infonde.
«È questo» mormora «il dramma dell'essere nazioni».
La ragazza volta il capo, donandogli un mesto sorriso. Alla finestra della casa compare una donna di mezz'età che chiama a gran voce la sua piccola Angélique.
Ella si alza e si allontana a passi leggeri sulla sabbia. Si ferma e si volta.
«Francis...»
L'uomo si rigira verso di lei.
«Quando morirò, non dimenticarmi».
C'era una casa in riva al mare. Una giovane suonava il pianoforte. Un uomo, lì fuori, ascoltava. Un cappello di paglia volteggiò nel vento.
Lacrime nella sabbia tutto ciò che rimane.

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Capitolo 5
*** Humoresque No. 7 ***


Humoresque No. 7



Personaggi: America/Alfred F. Jones; Inghilterra/Arthur Kirkland
Genere: Fluff, Romantico
Ambientazione: Moderna
Musica: Humoresque No. 7 di Antonín Leopold Dvořák

Si consiglia l'ascolto della musica durante la lettura.

Per Ama,
che adesso sta studiando e ha bisogno di qualcosa che le risollevi il morale.
Per la storia ho preso ispirazione dalla volta in cui sei venuta a Verona
e io ti ho portato in fumetteria, ma non alla Casa di Giulietta.
Ahahahahah! Ti prometto che la prossima volta ti ci porto! Parola di eroe!
Comunque, non so veramente come fare ad esprimere in queste poche righe
tutto il bene che ti voglio. Mi sei stata di sostegno durante i periodi difficili,
con te mi sento veramente libera di parlare di tutto, di confidarmi e di ridere.
Sei una delle amiche migliori che potessi trovare e in cui potessi sperare.
Grazie di tutto. Ti voglio un mondo di bene ♥



«No, Alfred! Non voglio andare da nessuna parte! Lasciami!»
L'inglese tentava invano di svincolarsi dalla presa ferrea che l'americano deteneva sul suo avambraccio. Ma quanto era forte quell'idiota?
«Vuoi darmi retta per una volta e fidarti di me?»
«Dopo il modo in cui mi hai trattato questo pomeriggio, no! E lasciami, mi fai male, deficiente!»
Alfred allentò progressivamente la presa, lasciandola, indi, andare del tutto. L'inglese incrociò le braccia al petto e lo guardò in cagnesco. Ebbene sì, avevano litigato ancora una volta. Ma, d'altronde, cosa poteva aspettarsi da uno stupido come Alfred? Comprensione? Romanticismo? Sensibilità? Il solo pensare il nome "Alfred" e una qualsiasi di queste parole nella stessa frase poteva spingerlo alle più matte ed irritate risate.
Era la prima volta che Arthur visitava l'Italia. Non che ci tenesse particolarmente, d'altro canto, lui rimaneva sempre quello che si suole definire un pantofolaio, metodico ed ordinato, e lo stress di un viaggio non faceva decisamente del bene ai suoi poveri nervi. Ma perché aveva lasciato la sua amata e pacifica casetta nella campagna inglese? Tuttavia, doveva ammettere che il viaggio attraverso la penisola, in compagnia dell'americano, era stato più piacevole del previsto. Almeno fino a quel momento.
Sarebbero rimasti a Verona solamente un paio di giorni, era la loro ultima tappa e, ben presto, sarebbero rientrati in patria. Quel pomeriggio, l'ultimo che avrebbero trascorso nel Bel Paese, Arthur, da bravo amante di Shakespeare, aveva insistito per visitare la Casa di Giulietta.
«La Casa di Giulietta? Ma fa schifo!» aveva commentato "l'esperto" americano, prima di costringere l'altro ad una giornata massacrante a spulciare pile di albi polverosi in tutte le fumetterie del centro.
Così era, infine, giunta la sera, con un Arthur ancora profondamente arrabbiato ed offeso e un Alfred munito di nove nuovi numeri di Batman, quattro di Superman e tre di Capitan America.
«Hey, sto cercando di farmi perdonare!»
«Idiot! Potevi farti perdonare questo pomeriggio!» sbottò, oltremodo indispettito, l'inglese «Se per te conto meno dei tuoi amati fumetti, puoi anche dirmelo!»
L'americano sbuffò, girando gli occhi al cielo. Possibile che dovesse sempre finire a quel modo? Si era accorto quasi subito delle occhiate feroci che il compagno gli aveva lanciato per tutto il pomeriggio; per questo motivo, quella sera, si era premurato di preparare una piccola sorpresa.
Gli servirono un'altra ventina di minuti di snervanti insistenze, prima che Arthur accettasse di seguirlo.
Raggiunsero in breve tempo il centro. Una leggera brezza soffiava quella sera di marzo e nel cielo, del tutto pulito dalle nuvole, splendeva la luna che, silenziosa, si specchiava nelle acque pacate dell'Adige.
Percorsero la via principale, sino a quando non giunsero davanti ad un cancello che Arthur riconobbe immediatamente. La voce gli morì in gola, mentre boccheggiava alla disperata ricerca di qualcosa da dire. Alfred sorrise e ruppe il silenzio: «Ci tenevi a vederla, no? Meglio così che non piena di turisti».
Così dicendo, si avvicinò al cancello e ne aprì appena un'anta, invitando l'inglese a seguirlo.
La famosa Casa di Giulietta si presentava come un piccolo cortile in acciottolato, illuminato da due flebili luci di lampioni medievali. Una statua in bronzo della donzella shakespeariana si ergeva appena sotto il suo balcone, dal quale era solita sporgersi per poter incontrare segretamente il suo amato. Un'alta edera rampicante percorreva tutta una parete, coprendo parte dei graffiti disegnati nel corso degli anni dalle coppiette innamorate. Arthur varcò la soglia che conduceva all'interno e, salendo una piccola e stretta scala, uscì sul balcone. Sotto di lui Alfred sorrideva radioso. Le guance dell'inglese si imporporarono leggermente; certe volte quell'americano rozzo, rumoroso e insensibile riusciva davvero a lasciarlo senza parole. Il suo cuore fece un balzo nel petto, quando lo vide arrampicarsi sull'edera ed arrivare sino al balcone. I loro visi vicini, quasi potevano sentire il fiato dell'altro sulle labbra.
«Chissà» cominciò Alfred «se Romeo rischiava l'osso del collo ogni volta solo per baciare Giulietta».
Arthur sorrise teneramente, prese il volto del più giovane tra le mani e posò le labbra sulle sue. Rimasero così qualche istante, con le menti totalmente immerse ed obnubilate da quel bacio. Un bacio che, come per magia, cancellava di colpo tutti i battibecchi, le discussioni e i litigi in quella dolce notte del cielo di Verona. Con infinita lentezza si separarono e l'inglese aiutò l'altro a raggiungerlo sul balcone, per poi cingergli con le braccia il torace in un caldo abbraccio ed appoggiare delicatamente la testa sul suo petto, lasciandosi cullare dal battito regolare del suo cuore.
«Avevi ragione, bloody git. Questo posto è veramente terribile» sussurrò Arthur, accennando una risata.
E rimase lì, stretto tra le braccia del suo Romeo, a pensare a quel pomeriggio, quando aveva rimpianto il suo errore. Ed allora capì che sposare quell'idiota e partire per quel romantico viaggio di nozze era stato l'errore più dolce che avesse mai potuto commettere.

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