Once Upon A Time

di LadyBracknell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Imprevisto ***
Capitolo 2: *** II. Incontri ***
Capitolo 3: *** III. Gioco ***
Capitolo 4: *** IV. E' Tardi ***



Capitolo 1
*** I. Imprevisto ***


I.



Una pallottola si conficcò con precisione certosina nel muro, perforando la sottile carta da parati, piantandosi nell'occhio dello smile giallo che qualcuno si era divertito a disegnare con uno spray da quattro soldi.
Il detective si lasciò cadere sul divano, facendo dondolare la pistola fumante a pochi millimetri dal pavimento; lo sguardo stanco, contornato da occhiaie appena accennate, dichiarava una notte passata in bianco sul letto, a rimuginare su cosa scrivere di interessante. I lettori del suo blog ''The Science of Deduction'' attendevano con trepidazione novità scottanti, ma tutto quello che il consulente investigativo riusciva a donare loro erano solo qualche pagina su studi riguardo i differenti tipi di macchie lasciati sulla stoffa da svariate miscele di caffè.

Sollevò ancora la pistola, direzionandola verso la porta; lo sparo venne seguito da un'esclamazione spaventata.
Tre secondi di anticipo e quella pallottola sarebbe finita fra gli occhi del suo coinquilino. John Hamish Watson se l'era vista brutta in molti momenti, ma mai si sarebbe abituato alla costante tensione e rischio che pervadevano l'appartamento durante i giorni di noia.
Teste mozzate e pallottole volanti. Di sicuro non si poteva dire che la loro fosse una vita banale e piatta... Eppure ci voleva così poco per annoiare il grande Sherlock Holmes.


« Ma che diavolo stai facendo?! Sei impazzito?! Stavi quasi per ammazzarmi! »
« Beh, sei vivo. Non vedo quindi perché dovresti continuare a brontolare. »

Il dottore poggiò con un sospiro le buste della spesa sul tavolo, rinunciando a continuare quella che poi sarebbe sicuramente sfociata in una discussione sull'etica.
L'orologio segnava le cinque e mezza; aveva fatto tardi. Ovviamente la colpa era della cassa automatica. Ovviamente.


« Giornata fiacca? »
« Non ci sono più i criminali di una volta. »

John alzò un sopracciglio, sistemando con cura i cartoni del latte nel frigorifero; alcuni barattolini trasparenti imperavano fra lattine e verdure nel secondo ripiano Il dottore non era completamente sicuro di che cosa galleggiasse al loro interno.
Il detective continuava a battere i tasti sottili del portatile, trascrivendo i vari tipi di morsi lasciati dalle razze canine. Nulla di particolarmente interessante per un lettore iscritto con la speranza di ricevere informazioni macabre su un nuovo caso.
John se ne stava davanti al televisore con una tazza di tea fra le mani, costretto a leggere il labiale della presentatrice di un nuovo programma, perché l'altro aveva decretato ''Odio sentir parlare mentre lavoro'' ancor prima che le dita dell' ex-soldato andassero a sfiorare il telecomando.

Nessuna novità. Noia. Noia. Noia mortale.
Le dita bianche e lunghe del detective andarono ad affondare fra i ricci scuri, spettinandoli più di quanto non lo fossero già.
Quanto diamine ci metteva un criminale di tal fatta a mettere a punto un nuovo crimine e intrattenerlo un po'?
Erano già passati tre giorni e lui non si era ancora fatto vivo. Che razza di compagno di giochi si era trovato.
''Compagno di giochi''. Era tremendamente grottesco eppure era così per loro due.
Gli occhi di Sherlock si posarono sulla testa di John, seduto sul divano poco lontano dalla scrivania piena di scartoffie di chissà quale genere.
Quando si sarebbe decisa Mrs. Hudson a mettere tutto in ordine?
''Non sono la tua governante''.
Di sicuro lui non avrebbe mosso un dito.


La mattina seguente il celo non sembrava preannunciare nessun tipo di turbolenza, piccola o grande che fosse. Un tempo da sfatare quelle dicerie sulla costante pioggia londinese.
John aveva preparato la colazione già da un po' e se ne stava comodamente seduto a tavola, con la tazza piena di tea fumante in una mano e il giornale nell'altra, forse alla ricerca di un qualcosa che mettesse fine ai perpetui spari del consulente investigativo.
Finì la fetta biscottata con la marmellata di pesche, quando una piccola vibrazione fece spostare impercettibilmente il cellulare poggiato vicino al contenitore con lo zucchero.
Chi diamine poteva mandare i messaggi alle otto del mattino?
Con uno sbadiglio, il dottore prese il cellulare ancora illuminato, aggrottando le sopracciglia nel constatare che il numero era a lui sconosciuto.

| Spero che ti sia goduto questo anno di riposo. Ancora problemi con la fottuta gamba, signore?
SM |

SM?
Gamba?
Signore?
Il dottore alzò spropositatamente il sopracciglio destro, arricciando le labbra con fare pensieroso. Il bastone era poggiato nell'angolo della cucina da tempo, oramai; il dolore era sparito da quella sera e John era tacitamente in debito con quel pazzo genio che lo aveva trascinato in una corsa a perdifiato per le vie e i tetti di Londra.
SM.
Sorrise, gettando appena la testa all'indietro, al pensiero di dover dedurre di chi erano le dita che avevano composto quel breve messaggio mattutino. Sherlock lo avrebbe già compreso, gli avrebbe sputato in faccia il nome e lo avrebbe fatto sentire un perfetto idiota, come sempre.
Domandare chi fosse, magari spiegando che il numero non figurava nella rubrica? Facile, sì. Ma John non lo avrebbe certamente fatto, magari per evitare una figuraccia.

Il consulente investigativo si trascinò nella cucina, prendendo con noia il giornale e sfogliandolo ancor più svogliatamente, alla ricerca di qualche morto che o svegliasse da quel torpore dovuto alla mancanza di attività.


« Buongiorno. »
Il detective rispose con uno sbadiglio che la mano non si premurò a nascondere.
« C'è un caso aperto sull'omicidio di quella-- »
« Delitto amoroso. Il marito aveva un alibi convincente ma la colpa non è chiaramente del fratello di lei, come l'assassino voleva far credere. » lo interruppe bruscamente Sherlock, girando la pagina.

John annuì, con aria sarcastica, mettendo a lavare la propria tazza di caffè, macchiata di scuro dove aveva poggiato le labbra.
Continuò a lanciare occhiate al cellulare, rimuginando sulle iniziali. Non avrebbe chiesto aiuto a Sherlock, anche a costo di non dormirci la notte.
SM.
Fece spallucce, mettendosi il cellulare in tasca; strappò dal calendario il foglio vecchio, scoprendo la nuova data: mancava un giorno al suo compleanno. Non che ci tenesse particolarmente, ma era ben sicuro che Mrs. Hudson gli avrebbe preparato la sua torta preferita.


« Noia. Noia. Noia. NOIA!»
Sherlock si gettò supino sul divano, sotto lo sguardo del dottore che aveva dell'esasperato.
« Mi serve un caso. Un dannatissimo caso. Un caso! Nessuno qui si decide ad ammazzare una persona e commettere un omicidio, di quelli con la O maiuscola?! Tutti banali e piatti, dannazione! Mai qualcuno che abbia dell'inventiva! »

John si schiarì la voce, tornando a battere sui tasti del computer. Quattro giorni dal suo ultimo caso e già se la stava prendendo con la parete di casa... Non osava immaginare cosa sarebbe potuto accadere nei giorni seguenti.

Prese il cellulare e ritornò a leggere il messaggio di poche ore prima; se sapeva della gamba e si rivolgeva a lui come ''signore'' doveva essere sicuramente qualcuno che era al suo fianco durante la guerra in Afghanistan.

Che sciocco.
Soffocò un accenno di risata, scuotendo la testa.
Come aveva fatto a non venirgli in mente subito? Di sicuro il dormiveglia in cui era stato immerso per gran parte della mattinata non aveva aiutato il ragionamento.
Aprì un nuovo messaggio, incollando il numero nella parte riservata al destinatario.

| Sta bene, è tutto passato. Sentirti dopo così tanto tempo mi fa piacere, colonnello Moran.
JW. |

 

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Capitolo 2
*** II. Incontri ***


II.




John Watson poggiò sul tavolo pieno di briciole la tazza colma di cappuccino.
La schiuma gli si era poggiata sul labbro, facendogli apparire dei morbidi baffi biancastri che il dottore si affrettò a togliere con il tovagliolo di fine carta, stropicciandolo con una risata.
L'uomo che era davanti a lui non era affatto cambiato. Capelli scompigliati, un sorriso sghembo e il volto appena allungato incorniciavano con piccole rughe d'espressione la cicatrice che gli solcava il sopracciglio come una piccola bruciatura.
Era stato del filo spinato, se ben ricordava.
Raramente aveva avuto occasione di vederlo ridere così, durante le battaglie; il fango andava a coprirgli gran parte del volto e le mani avevano sempre qualche sfregio rosso sulle nocche bianche dallo sforzo.
Colonnello Sebastian Moran. Uno degli uomini più coraggiosi dell'intero esercito britannico. Il cecchino migliore del Regno Unito.

Erano le otto e mezza quando il dottore si stava infilando il fedele parka per poi andare alla ricerca delle chiavi.
Il suo compleanno gli aveva portato un invito per un caffè da un compagno che non vedeva da un anno e poco più. Che strana la vita! Riserva sempre un sacco di sorprese.
Il detective stava girando per il salotto, coperto malamente dal lenzuolo bianco che strusciava a terra, raccogliendo ogni tipo di acaro esistente su quel pavimento; sorseggiò la sua tazza di tea fumante, squadrando l'ex-soldato: capelli lavati da poco, camicia e maglione color crema, il suo preferito, scarpe lucidate. Non era una donna, quello che lo attendeva probabilmente a una pasticceria. O Starbucks?
Aveva assottigliato lo sguardo, concentrandosi su un particolare apparentemente sfuggitogli. Ah. Starbucks. Leicester Square, per l'esattezza.


« Torno per pranzo. Ho il cellulare dietro, se....»
« Perché mai dovrei aver bisogno di qualcosa? » Il detective fece scrocchiare le dita, sistemandosi di fronte al pc.
« Giustamente » aveva mormorato l'altro, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Si era chiesto che cosa avrebbe provato, trovandoselo nuovamente di fronte... Si era chiesto se l'avrebbe riconosciuto, senza divisa sporca e sudore in fronte.
Quando era entrato nel piccolo locale, aveva scrutato ogni tavolo, finché il suo sguardo non si era posato su un paio di larghe spalle, avvolte da una pesante maglia bianca, a maniche lunghe.
Lo aveva salutato alla maniera militare e l'altro aveva prontamente risposto.
Due cappuccini, un muffin e una porzione di torta di mele, quest'ultima per il dottore.

Poggiato che ebbe il tovagliolo macchiato di cappuccino, il dottore prese a tagliare un nuovo pezzetto del delizioso dolce, con il dorso della piccola forchetta.
Sebastian aveva aggiunto un solo cucchiaino di zucchero alla sua tazza e continuava a mescolare col cucchiaio bianco.

« Allora... » iniziò, dopo una lunga sorsata che andò a dimezzare il cappuccino. « ...Ora che non hai una brandina cigolante dove stai a dormire? »
Il dottore sorrise divertito. « Al 221B di Baker Street. Ho trovato un appartamento poco dopo il mio trasferimento qui. »
Il cecchino annuì, con una smorfia che aveva del sorpreso. Non si trovava facilmente un posto nel centro di Londra a poco prezzo.
« Abito con un altro uomo. » continuò, precedendo la domanda che stava per porgli il colonnello.
« Capisco...» un altro, lungo sorso. « E sarebbe? »
« Sherlock Holmes. » il dottore si portò alla bocca il pezzo di dolce, ma la domanda lasciò la forchetta e la piccola porzione a mezz'aria.
Sul volto dell'uomo si disegnò un'espressione curiosa e un poco sorpresa. « Il celeberrimo consulente investigativo? »
A John sembrò strano che Sebastian non conoscesse già simili particolari, ma probabilmente il colonnello non era uno dei 18.000 e passa lettori del suo blog.
« Esattamente.» annuì, gesticolando appena con la forchetta, rischiando così che il pezzetto di dolce alle mele cadesse sul tavolo.
« Ho letto qualcosa sui giornali...»
Il dottore strinse le labbra, annuendo nuovamente; portò la forchettina alla bocca, assaggiando quel dolce dall'aspetto invitante, forse reso ancora più buono dal fatto che avesse voluto pagare il cecchino. ''Per festeggiare due eventi importanti'' aveva detto, tirando fuori il portafogli.


Ore dieci e mezza a.m.
Il più grande detective dell'intera Gran Bretagna trovava diletto nell'analizzare al microscopio particelle di sostanze di cui solo lui poteva realmente conoscere l'esistenza; miscugli di elementi chimici, frammenti di legno, gocce di solventi.
Una macchia si mostrava scura sulla pelle di marmo, esperimento andato a vuoto. Il consulente investigativo stava chino sul marchingegno, aumentando e diminuendo il fuoco, con espressione corrucciata e in completo silenzio; non si sarebbe neanche accorto di uno sparo o un'esplosione, intento com'era ad osservare la strana danza delle molecole del suo composto.
Accanto a lui, un foglio pieno di scritte, annotate senza staccare gli occhi dal microscopio, con scrittura sicura e nera, perfettamente allineata nonostante la mancanza di righe o quadretti sulla carta.
Simboli. Legami. Miscele. Solventi.
Una cascata di segni scuri e appunti su chissà quale esperimento.
Davanti a lui, la tazza del tea, oramai fredda, aspettava di essere bevuta.

« Sherlock... » le dita di Mrs.Hudson gli porsero il cellulare. Un nuovo messaggio.
« Non adesso. Sono molto occupato. »

Continuò così, la mattinata.
Sullo schermo del cellulare andarono ad accumularsi tre sms che ebbero il loro culmine con una chiamata.

« Sherlock...» tentò nuovamente.
Il detective si voltò con un sospiro scocciato verso la donna. Un pungente odore di smalto proveniva dalle unghie perfettamente tagliate e stondate; il profumo di crema idratante alleviava quello del lucido trasparente che laccava con cura la tinta violacea.
Il tea era freddo da mezz'ora.
« E' stata a farsi la manicure alle nove e mezza. »
Le sopracciglia di lei si sollevarono, sorprese. Non fece nemmeno in tempo a chiedere delucidazioni su quella deduzione poiché il detective la interruppe al principio della frase.
« Mi dia pure. »
Il cellulare squillava insistentemente, illuminando il nome del D.I. di Scotland Yard.
Sherlock sospirò nuovamente, prima di premere con il pollice il tasto verde.
« Sherlock Holmes.»
« Sherlock, sono Lestrade.» la sua voce era un misto fra il preoccupato e il sorpreso.
« Ancora una volta i vostri dipendenti hanno dimostrato una tale incapacità da spingerti a chiamarmi in vostro soccorso?»
Dall'altra parte, si alzò una mezza risata sarcastica della durata di poco meno di un secondo.
« Non proprio. Ma è successa una cosa che potrebbe interessarti.»
Il detective alzò un sopracciglio, abbandonandosi allo schienale della sedia.

 

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Capitolo 3
*** III. Gioco ***


III.



Fuori dal finestrino Londra scorreva veloce ai suoi occhi come una vecchia pellicola di un film.
Stesse case, stesse persone. Una vita diversa per ognuno e lui avrebbe potuto raccontarla a menadito; la donna col cane era particolarmente raffinata, adultera, sempre con lo stesso uomo, padrone di uno yorkshire, mentre lei aveva un bellissimo barboncino bianco. Dall'altra parte della strada, le mani tremanti di un uomo reggevano dei fogli di carta prestampata, la valigetta era di pelle scura e il nodo alla cravatta rovinosamente allentato. Non avrebbe passato il colloquio.
Il rumore del motore procedeva lento e regolare, una nenia di frizione e cambio; avrebbe preferito fare la strada a piedi, ma le parole del D.I. lo avevano talmente incuriosito da spingerlo a prendere la prima macchina nera trovata per la strada.

Una volta sceso a Leicester Square si guardò attorno, alzando entrambe le sopracciglia nel constatare che, purtroppo, avrebbe dovuto mettere a tacere non solo il sergente Donovan, quella mattina.
Anderson stava parlando con Lestrade e uomini con la croce dell'ambulanza stavano verificando le condizioni delle persone dormienti sui tavoli.
I curiosi parlottavano con i presenti al momento dell'accaduto: li avevano visti addormentarsi uno a uno, dopo essersi lamentati di un improvviso formicolio alle gambe e alle mani. Ma i loro sorrisi erano sereni.

« E' arrivato lo strambo.» il labiale di Sally Donovan era uno dei più facili da leggere.
Lestrade uscì dallo Starbucks, mettendosi nuovamente gli occhiali, ma non erano i soliti con le lenti marroni.
« Un sonnifero, a quanto pare.»
« Fin qui c'ero arrivato.» rispose seccamente il detective, entrando dentro il piccolo bar.

Sembrava che avessero preso una batosta in testa: addormentati, degli angioletti, insomma.
I medici stavano controllando le loro condizioni, senza poter fare in effetti nulla di concreto se non attendere che si svegliassero.
Le quantità ingerite erano minime, ma non sapendo di quale farmaco si trattasse l'ora del risveglio sembrava assai sconosciuta.
E solo alcuni di loro erano stati drogati.

Il detective iniziò a girare fra i tavoli, raccogliendo con le dita le briciole dai tavoli e mormorando parole che rimasero adagiate sulle sue labbra appena socchiuse. Ogni elemento poteva essere la chiave, ogni briciola poteva raccontare qualcosa. Tutto era prezioso ai suoi occhi attenti e indagatori, che potevano stare ore a guardare un solo granello di polvere.
Sherlock annusava le bocce degli addormentati, noncurante delle proteste di quelli che erano i loro amici o parenti; continuò a cercare, annotare nella sua mente.
Scoprì che uno di loro era padrone di un gatto persiano, un'altra donna, al tavolo in fondo, nell'angolo, stava raccogliendo il coraggio di chiamare un certo Adam (probabilmente il marito, a giudicare dalla foto sulla rubrica accanto al nome), infine, un anziano signore voleva comprare la tazza con il simbolo verde per il nipote, che avrebbe compiuto gli anni proprio quel giorno.
A parte queste futili scoperte, nient'altro. Le uniche cose che andava scoprendo erano le sempre più numerose domande.
...Avrebbero potuto drogare i cappuccini, i muffin, le torte alle carote...
Perché proprio quel dolce?
E a che scopo?

« Allora?» la domanda del D.I. interruppe il suo ragionamento.
« Torta di mele.»
« Come Biancaneve?» la domanda ironica proveniva da Anderson.
Sherlock non lo calcolò affatto, continuando a cercare indizi.
« Semmai la Bella Addormentata.» lo corresse Donovan « E' in quella fiaba che si addormentano tutti.»
Un accenno di sorriso apparì sul volto di Sherlock. Avevano litigato, a quanto pare.
« Sembra il brutto scherzo di qualcuno.» commentò aspramente il Detective Ispettore, lanciando un'occhiata all'orologio.
Odiava quando dei fannulloni giocavano qualche brutto tiro, facendogli perdere tempo con un caso che non fosse veramente tale.
Sherlock apprezzava questo suo lato. Facevano di Lestrade una persona più seria di quegli idioti dei suoi colleghi.
Il moro si passò una mano fra le ciocche.
« I commessi non hanno visto niente?»
« Già interrogati. Dichiarano che tutto è andato come ogni mattina.»
... Quindi il sonnifero era già nella torta.
« Voglio scoprire cosa c'è dietro questo scherzo.» dichiarò a mezza voce.

Un tavolo era libero.
Ma un giacchetto era poggiato su una delle due sedie.
Sherlock si avvicinò, le sopracciglia aggrottate. Se avesse avuto orecchie canine, sarebbero state ritte e attente.
Profumava ancora di lavatrice, ma un sentore di gas di scarico e dolce lo portò a dedurre che era stato indossato quella mattina... E che aveva trovato il taxi solo dopo qualche metro a piedi.
Il propietario era maschio, basso, biondo, non più giovane; addosso aveva un maglioncino non ben asciugato: si poteva ben capire poiché all'interno del parka vi era ancora qualche traccia di umido e pelucchi di lana color crema.

... Lo sguardo di Sherlock si spalancò.
John.

« Novità?»
« Il propietario di questo parka.» Sherlock continuava a fissare il giacchetto dell'amico. L'adrenalina iniziava a farsi strada nel suo sangue.
« Lo avrà scordato qui.» Anderson lo guardò con entrambe le sopracciglia alzate. Quanto Sherlock odiasse quell'espressione, solo il Celo lo sapeva.
« Assolutamente no.» che soddisfazione, ogni volta, contraddirlo! « Il propietario è molto affezionato a questo parka, non l'avrebbe mai lasciato qui. Inoltre le briciole sul tavolo indicano che è uno di coloro che si era addormentato a causa della torta di mele.» entrambi il D.I. e Anderson dovettero prestare ancor più attenzione per stare dietro a quelle parole, dette come se viaggiassero su un treno di prima linea. Un passaggio perso non sarebbe mai stato recuperabile: Sherlock Holmes non ripeteva mai le cose due volte. « Beh, lo avranno scordato i medici che lo hanno portato via.» ribattè Anderson spazientito, come se quella fosse la cosa più ovvia.
Sherlock sospirò. « L'uomo è stato portato via, ma questo parka è rimasto qui appositamente.»
« Come fai a dirlo?» la voce incuriosita di Lestrade si fece avanti, interrompendo un'altra obiezione di Anderson sul nascere.
« Questo parka è di John Hamish Watson.» spiegò. « E John Hamish Watson non ha mai avuto un simile orologio da taschino.»

La mano di Sherlock si aprì, mostrando un piccolo orologio d'argento; una piccola incisione lo decorava con il disegno di un coniglio in panciotto.

 

 


Sentiva del caldo avvolgergli i fianchi.
Un torpore aveva in pugno le sue membra e un esercito di formiche sembrava camminargli sotto la pelle.

John captò qualche movimento attorno a lui.
Le parole aleggiavano in una bolla invisibile, lontane e indistinte.

Poi il buio.

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Capitolo 4
*** IV. E' Tardi ***


IV.

 


« Questo giochetto inizia a farsi interessante.» mormorò il detective.

Fra le sue dita, l'orologio argentato ticchettava la sua nenia meccanica, indicando con le eleganti lancette nere l'ora in numeri romani.
Il coniglio sul coperchio era anche all'interno, colorato: bianco con il panciotto carota, correva su un prato verde. Aveva un bastone sotto la zampa.
Lestrade prese l'orologio e lo rigirò fra le mani, aggrottando le sopracciglia. Era buffo: gente giaceva addormentata a causa di una torta di mele soporifera e poi spunta quell'orologio.
Tutto riconduceva a un elemento in comune.
Ma dov'era il trucco?
Lo sguardo si spostò verso il volto corrucciato del detective davanti a lui, chiuso nel suo cappotto nero dal colletto alzato, intento a picchiettare i polpastrelli di entrambe le mani gli uni contro gli altri, poggiati sulle labbra appena socchiuse. Mormorava parole inudibili. Era affascinante osservarlo pensare, quasi più che vederlo in azione.

« Vedi di capire da dove viene questo affare. »
Donovan prese l'orologio per la catenella d'argento e si avviò ancheggiando verso una delle volanti, mettendosi a scrivere con movimenti veloci e precisi al portatile.
« Allontanati.»
« Cosa?»
Sherlock sbuffò. « Devo entrare nel mio palazzo mentale. Allontanati.»
Lestrade fece per controbattere, ma l'occhiataccia del moro lo fece tacere ancor prima che potesse prendere fiato; appena il D.I. uscì, il detective inspirò ed espirò a fondo.

Mela avvelenata.
Forse? No. Via, allontanare quest'ipotesi.
Una strega, una mela.
No, la torta... Anzi, sì. Andava bene.
Eccola: capelli neri, fiocchetto rosso. Mormorò qualche nota.
Tutti addormentati. Forse non era quella giusta, di fiaba.
''E' lì che si addormentano tutti''.
Un patiche, quindi. Un patiche fiabesco. Ah, geniale!
Scacciò via con la mano una deduzione sbagliata, ne afferrò una seconda. Analizziamo: orologio.
Big Ben?
Sentì risuonare i rintocchi di quella mattina nella testa. Sbagliato. Via! La prese e la cacciò verso l'alto con entrambe le mani.
...No! Un attimo.
Riacciuffò l'immagine della Torre e aggrottò ancor di più la fronte.
Big Ben, Big Ben... Peter Pan?
Piegò impercettibilmente le dita verso i palmi, a trattenere la fugace immagine che gli tremava fra le mani.
Sull'orologio c'era un coniglio, non un coccodrillo.
Il-- Il coniglio!
Lanciò via l'Isola che non C'è e si focalizzò sul coniglio.
I dettagli. Pensa, Sherlock, pensa. Panciotto. Orologio. Bianco.
AH. Come aveva fatto a non pensarci subito?
Un sorriso gli distese il volto pallido e il moro dischiuse gli occhi con aria soddisfatta.
Alzò con un veloce movimento di polsi il colletto del cappotto scuro e si ficcò le mani in tasca.

« Lestrade!»
Il Detective Ispettore si voltò, andandogli incontro con il computer portatile; dietro di lui, Donovan e Anderson bisticciavano riguardo un profumo non particolarmente gradito al sergente.
« Abbiamo rintracciato il negozio.» Lestrade girò il portatile, mostrando la ricerca al detective.
« Come immaginavo.» Era la conferma della sua teoria: un ghigno soddisfatto si fece spazio sul volto. La finestra era aperta su un grazioso sito bianco e rosa, organizzato per storia, vendite e luogo; in alto, a sinistra, compariva la foto di un orologio da taschino: lo stesso che Donovan stava tenendo fra le mani coperte da guanti di lattice bianco.
... Una caccia al tesoro.
Finalmente qualcosa di divertente!

Sentì un forte senso di piacere invadergli ogni singola fibra del corpo. Si propagava velocemente, vibrante e calda: adrenalina.
Era stato sfidato. Niente di più eccitante per la sua mente geniale.
Qualcuno aveva ritagliato pagine invisibili dalle fiabe più famose e le aveva legate assieme con una luccicante catenella d'argento.
E come coronamento di un piano tanto geniale e intrigante, vi era stato posto un rapimento... Il rapimento.
John Hamish Watson era sparito.
Le mani erano percosse da scosse di frenesia.


« Partiamo immediatamente.»
Lestrade urlò qualcosa ai vari agenti sparpagliati fuori e dentro Starbucks e solo in quel momento si accorse di quanta gente si fosse accalcata là vicino.... I soliti curiosi che facevano perdere tempo prezioso.
« Manda i tuoi agenti a Scotland Yard.» Sherlock si agganciò la cintura, tornando ad unire le mani sotto il mento. «... Odio avere incompetenti che gironzolano attorno alla mia scena del crimine.»
Il D.I. mise in moto e sospirò, assecondando l'ordine del detective mandando un sms a Donovan, rinunciando in principio a controbattere ed evitando così una discussione certa dalla quale sarebbe uscito sicuramente perdente.

« … Quindi stiamo rincorrendo un coniglio nel Paese delle Meraviglie?»
« Precisamente.»
L'ispettore sorrise sarcastico. « E John chi è? Alice?»
Sherlock non gli badò. Si era fatto dare dal sergente Donovan il piccolo indizio d'argento e lo guardava, trasudando adrenalina.
« Sai che giorno è?»
Lestrade lo guardò confuso. « Il dieci Febbraio.»
Il detective gli mostrò l'orologio aperto: un piccolo riquadro accanto al Bianconiglio mostrava i numeri di una data.
Quattordici Febbraio.

Quando il Detective Ispettore comprese, il consulente investigativo sorrise in maniera quasi agghiacciante. 

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