stay with me forever

di itstheinfinity_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i'm liam, liam payne ***
Capitolo 2: *** open your eyes ***
Capitolo 3: *** a start of something beautiful ***
Capitolo 4: *** chocolate ***
Capitolo 5: *** tired ***



Capitolo 1
*** i'm liam, liam payne ***


Appena entro, corro nella mia classe, inciampando in almeno quindici ragazzi impazziti che scorrazzano qua e là. Mi siedo appena prima che l’amabile campanella pronunci il suo lunghissimo driiiiiiiiiiiiin. Mi giro verso il posto vuoto a fianco a me. Strano che Sara non sia ancora arrivata, abita a cinque minuti dalla scuola. Mi stringo nelle spalle, magari entrerà l’ora dopo. Osservo le ragazze ridacchiare con i ragazzi e mi sento sola, completamente sola. Sara è l’unica che riesce a capirmi nonostante il mio carattere un po’ emh.. forte. Devo solo stringere i denti, poi fra due anni mi cercherò un lavoro e me andrò da qua. Magari in Francia, o al nord, nei Paesi baltici, di cui sono profondamente affascinata. Sto ancora progettando il mio futuro a occhi aperti quando il professor Price, uomo di mezza età di letteratura inglese, entra sbattendo la porta col suo solito fare brusco, trascinandosi dietro un ragazzo mai visto prima. Tossisce, aspettando che ognuno si rimetta a proprio posto e presenta il tipo. ‘‘Lui è Liam Payne, ha sedici anni ed è nuovo, perciò diamogli un caloroso benvenuto okay? Facciamolo sentire a suo agio.’’ Va detto che i miei compagni sono le persone meno indicate a dare il benvenuto a nuovi compagni, figuriamoci me. La classe rimane in religioso silenzio, scrutando il nuovo arrivato. Spazientito, il prof indica a Liam la sua nuova sistemazione, ossia il banco vuoto vicino al mio. ‘’Ma professore’’ –scatto subito io- ‘’qua dovrebbe esserci Sara..’’ ‘’Ma siccome lei non c’è, qui ora ci viene lui, chiaro? Dal momento che mi sembri molto entusiasta della tua nuova sistemazione, avrai Liam di fianco per tutto l’anno, signorina Edwards io-sono-snob.’’ Ribollendo d’indignazione, mi risiedo, mentre il ragazzo deposita le proprie cosa sul banco della mia migliore amica, facendomi un sorriso a cui rispondo con una smorfia. ‘’Perfetto, ora aprite il libro a pagina 135 che continuiamo a studiare la vita di Joyce..’’ La classe sbuffa, ma a me letteratura piace moltissimo, è l’unica materia in cui ho il sette, mentre nelle altre.. in parole povere, faccio cagare. Liam apre il suo libro e si volta verso di me, di nuovo con quello stupido sorriso sulla faccia. ‘’Come ti chiami?’’ mi chiede un po’ timidamente. Ci metto qualche istante a rispondergli. ‘’Julie’’- rispondo a denti stretti, continuando intanto a prendere appunti. ‘’Bel nome Julie, mia zia si chiama così.’’- a quanto pare questo Liam non ha la minima voglia di seguire la lezione. ‘’Sono contenta nell’apprenderlo’’ – rispondo sarcasticamente, come mio solito. A quanto pare il ragazzo non coglie l’ironia e sorride ancora di più. ‘’Sai, a Wolverhamptom, da dove vengo, mia zia..’’ Un colpo mi colpisce al petto, perforandomi lo stomaco, ancora più su, raggiungendo il cuore. Wolverhamptom è la città dove mio padre nacque, la città in cui vivono tutti i miei parenti, che noi visitavamo ogni Natale. I ricordi si riversano nella mia mente, ricordi felici, le mani di mio padre, calde e protettive, la sua risata contagiosa, i profondi occhi scuri, identici ai miei.. Un laghetto dall’acqua cristallina, una zattera, un boschetto lussureggiante, il nostro nascondiglio segreto, nessuno lo conosceva all’infuori di noi. Wolverhamptom. Dopo la morte di mio padre, ci tornai una volta sola, chiudendo i rapporti con i nonni e gli zii. Mi manca il respiro,e annaspo, come un pesce fuor d’acqua. Se nominano la morte di mio padre direttamente, soffro, è vero, ma questa frase, detta casualmente dal mio compagno, mi riporta alla mente ricordi che per mesi ho celato ai margini della mente. ‘’Ehi, tutto bene?’’ – Liam preoccupato mi si avvicina, sfiorandomi la mano. ‘’Si, tutto ok, ho avuto solo un lieve giramento di testa, ho la pressione bassa, sai.’’ –mento sforzando un sorriso. ‘’Allora va bene, mi stavo preoccupando, eri davvero pallida. Comunque, io di cognome faccio Payne e sono qua da ieri sera, abito a pochi isolati da qua.’’ Cominci a venirmi il mal di testa, io sono una di poche parole e il mio nuovo compagno sta cominciando a stufarmi, coi suoi modi gentili ed educati. Grazie al cielo Price fulmina Liam con lo sguardo, e questo basta a zittirlo per tutta l’ora. Finalmente in pace, posso concentrarmi sulla lezione. Joyce mi piace moltissimo, è uno dei miei autori preferiti. Non credo possa dire lo stesso di Liam, che intento a disegnare aeroplani sul banco. Improvvisamente, non so bene perché, comincio ad osservarlo. Capelli castani, folte sopracciglia dello stesso colore dei capelli e occhi scuri. Alto, bel fisico, da sopra del colletto della camicia scozzese gli spunta una voglia nocciola, proprio sul collo. Devo ammettere che non è affatto un brutto ragazzo, ma non penso proprio sia il mio tipo. Lui gentile, chiacchierone e loquace, io aggressiva, sarcastica e sempre a corto delle parole giuste da dire. In fondo non mi interessa, è solo un compagno di banco. Però c’è qualcosa in lui, che non so ben definire, qualcosa che mi attrae.. Bah, sarà il mal di testa, la mancanza di sonno a farmi pensare queste cose. ‘’Tu mi stai fissando,’’ – fa Liam di colpo, guardandomi negli occhi. ‘’Invece non è vero,’’ – ribatto io sentendomi il sangue ribollire nelle vene. ‘’Certo che è vero, è più di dieci minuti che mi fissi, credi che non me ne accorga?’’ e di nuovo sorride, quello stupidissimo sorriso a trentadue denti. ‘’Sei davvero così arrogante da credere si essere al centro dei miei pensieri?’’ – gli rispondo di botto, con aggressività. Hola e benvenuta, alla parte migliore di me. Liam ride, una risata bella e cristallina, scuotendo la testa. ‘’Sei davvero spiritosa Julie. Neanche ti sei accorta di essere diventata tutta rossa. Sembri un peperone di quelli che si trovano ai supermercati.’’ E di nuovo ride, di certo la sua risata ha uno scopo crudele e maligno, ha già individuato il mio punto debole, così mi potrà colpire di nuovo. La campanella suona, tutti si alzano, il professore saluta, e io, io non so a cosa penso in quel momento, so solo di essere in imbarazzo, di certo quella cretina di Kate starà ridacchiando indicando il rossore sulle mie guance, magari ha assisto alla conversazione, ecco, ora parlano di me.. Così, di colpo, senza pensarci, tiro una sberla al mio nuovo vicino, una sberla forte, che gli lascia le cinque dita sul volto. Il ragazzo, stupito e ferito, mi fissa, in attesa di spiegazioni, che io però non do, perché esco dalla classe correndo, sentendo su di me le occhiate di tutti, le dita che mi indicano.. corro, attraverso le strade, fra macchine, donne, uomini, bambini, fino al grande campo che costeggia una fila di abitazioni lontane dal centro città, uno spiazzo verde solo per me. E lì mi butto a terra, tremando, cercando di trattenere le lacrime per l’ennesima volta.

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Capitolo 2
*** open your eyes ***


Beh eccomi qua. Sdraiata su un fottuto letto cercando di mettere insieme i pezzi del mio cuore, dopo l’ennesimo tradimento del mio ragazzo, Luke. Sorrido con amarezza, tracciando degli anelli di fumo con la bocca, aspirando l’odore della sigaretta, un appiglio sicuro, una roccia solida in mezzo alla tempesta… Do un’ occhiata alla mia sveglia, le cinque di mattina, perfetto. Fra tre ore comincia la scuola e il dolore al petto non accenna a diminuire. Tiro su col naso, levandomi una ciocca di capelli dagli occhi. Ciocche scure, color cioccolato, che ricadono scomposte sul mio viso, formando una tendina. Sorrido nuovamente, in fondo è grazie a mio padre se sono forte, lui mi ha insegnato a non piangere mai. “Julie – mi diceva sempre- se piangi mostri agli altri la tua debolezza, e la tua debolezza è la loro forza. Non devi piangere mi capisci? Mai.” Come mi manca papà, da quando è morto, la vita mi sembra spoglia, cruda, fredda. Voglio dire, ormai sono passati tre anni, ma talvolta il dolore è cosi forte che mi piego in due e a stento trattengo le urla. E’ dal giorno in cui una macchina lo prese in pieno che cominiciai a fumare. Avevo tredici anni, e ormai sarebbe impossibile smettere. Mia mamma non lo sopporta, e io non sopporto lei, nella vita non si può avere tutto. Nuovamente inspiro con forza, e butto fuori lentamente il fumo, assaporandolo lentamente. Mi volto verso il comodino, e mie occhi arrossati vedono subito la foto di me e Luke abbracciati, sette mesi prima, a Parigi. Come stavamo bene, allora, ero la ragazza più felice del pianeta con lui, era perfetto. Ma poi lui cominciò a bere, bere pesantemente, tanto, e spesso diventava violento, intrattabile, imprevedibile. Stava via settimane con ragazze incontrate in discoteca, mi picchiava, era orribile. Negli ultimi tempi qualcosa stava migliorando, era stato in clinica di riabilitazione, ma non era servito a niente, questa sera eravamo stati in discoteca, e io l’ho visto, l’ho visto mezzo fatto nei bagni con una biondina strafatta come lui. Le sue scuse patetiche mi sono scivolate addosso, non me ne frega più nulla di lui. Basta, storia chiusa, stop. Però ci sto male, soffro come un cane. Il mio telefono squilla improvvisamente, è Luke. Merda. Decido di non rispondergli e spengo il telefono con rabbia, ricadendo sul soffocante piumone invernale. Cerco di prendere sonno, così butto il pacchetto di sigarette e l’accendino a terra e chiudo gli occhi, sprofondando dopo pochi istanti in un sonno senza sogni. Mi risveglio due ore dopo dalla calda voce di John Lennon che si diffonde per la stanza. Senza alzarmi, resto qualche minuto sdraiata, con gli occhi chiusi, tranquilla. “Apri gli occhi Julie, devi andare a scuola, alza quelle tue chiappe e vestiti.” Con grande sforzo mi alzo, mi trascino in bagno, faccio una veloce doccia e asciugo i lunghi capelli scuri. Mi butto addosso una maglietta a righe e una felpa della Jack Willis, e un paio di converse a stelle e strisce consumate. Infine mi trucco, col mio amato mascara e la matita. Ecco fatto, Julie Edwards pronta per cominciare un’entusiasmante lunedì dopo che il suo ragazzo l’ha presa per il culo nuovamente. Devo ammettere che sto diventando troppo magra, troppo, il fumo, lo stress, la stanchezza giocano brutti scherzi. Credo che fra poco riuscirò a contarmi le costole. Mentre scruto la mia figura, i miei occhi castani mi osservano, viglili, attenti nonostante la nottataccia. Alla fine il mio viso non è male, ho dei bei occhi, labbra carnose e un naso piccolo. L’unica cosa di cui mi lamento sono i miei capelli, lunghi e costantemente aggrovigliati, una massa scura che ondeggia a ogni mio passo. Disgustata, me li lego in uno chignon, infilo un cappotto, la vecchia sciarpa di mio padre, di cui non mi separo mai e un cappellino grigio. Bene, sono pronta per uscire, mia madre starà già lavorando in quella scuola infernale. Una mamma maestra, che cosa deprimente, direi. Mi avvio verso la mia di scuola, un edificio piuttosto grande, abbastanza nuovo. Sì, non mi posso lamentare della mia scuola, è moderna e messa bene, e lì almeno qualcuno che tiene un po’ a me c’è. Sara. La mia migliore amica da tanto tempo ormai. Fu lei a salvarmi dal baratro, quando mio padre se ne andò. Fu lei che mi aiutò, che rimase con me, mentre mia madre stava immobile davanti alla finestra, insensibile a ciò che succedeva intorno a lei, tanto meno sua figlia. Credo sia per questo motivo che il nostro rapporto si è raffreddato sempre di più. Io avevo bisogno di lei, una tredicenne impaurita e addolorata, che cercò conforto nel fumo e in una ragazza italiana, che diventò la mia migliore amica. Afferro il cellulare dalla tasca, accendendolo. Otto chiamate perse di Luke. Siccome sono stufa di tutto ciò, gli scrivo un messaggio molto chiaro e lampante: è finita, caro, divertiti con la tipa, non cercami mai più. Adesso mi sento decisamente più soddisfatta. Mi trovo di fronte alla scuola, entro seguendo la massa di studenti con le classiche facce da lunedi. Q

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Capitolo 3
*** a start of something beautiful ***


Sono stesa a terra, ansimante, i pugni stretti, i denti serrati, in mezzo ad un grosso campo. Sola. Qua non passa molta gente, ed è per questo che mi piace. Ci sono delle abitazioni, in fondo, ma da a parte qualche vecchio che fa la spesa che passa di tanto in tanto regna la pace. Mi giro a pancia in su e osservo il cielo plumbeo e scuro, come del resto qualsiasi giorno invernale a Londra è così. Tetro e freddo, come me. Lo so, lo so di aver avuto una reazione esagerata, lo ammetto. Ma non sopporto essere messa in imbarazzo dinnanzi a tutta la classe, odio che la gente legga dentro di me. Liam mi sembrava un tipo gentile, invece con quella stupida battuta ho avuto tutti gli occhi della classe addosso.. che novità, comunque, quelli mi fissano sempre. Apro il pacchetto di sigarette che tengo sempre in tasca, ne porto una alla bocca e faccio scattare l’accendino, dando fuoco alla punta. Subito la nicotina entra in circolo e sospiro di piacere. All’inizio dell’anno, il primo giorno, ero appena entrata in classe, il professore non c’era, Sara era in ritardo. I due bulli della classe, Michael e Zayn, mi spinsero contro il muro, mentre Kate mi si avvicinava con aria maliziosa. Ero braccata da quei due giganti, contro il freddo muro della classe. – Julie, Julie, Julie.. – risate, occhi puntatati su di me. Kate sorrise. – Mia cara, come sta paparino? E’ da un po’ che non lo sento.. tutto bene? Sai, da quando quella macchina l’ha investito sei diventata così strana.. amore, sei sicura di stare bene? Cioè, se vuoi posso consigliarti uno psicologo… - la ragazza rise, tutti le fecero coro, Micheal mi tirò un pugno e Zayn mi strattonò ancora di più. Sentivo le lacrime che stavano per colare dagli occhi, e cercavo disperatamente di non cominciare a piangere. Kate si girò nuovamente verso di me. – Gioia, adesso non ti metterai mica a frignare? – in quel preciso istante una rabbia enorme s’impadronì di me, tirai un calcio a Zayn, sganciai un diretto sul viso di Micheal e spinsi a terra Kate, e velocemente scappai fuori, attraversai le strade fino ad arrivare in questo campo. Da quel giorno mi promisi che in caso di emergenza sarei scappata fino a qua. Sorrido, aspirando il fumo, e in quell’istante mi rendo conto che forse Liam aveva pronunciato quella frase per scherzare, non per farmi stare male... di colpo mi alzo da terra, disgustata da me stessa. Devo parlargli e chiedergli scusa, ammettere di essere stata stronza ed esagerata. Apro il cellulare e osservo l’ora. Perfetto, mancano venti minuti alle due. Alle due la scuola finisce, posso sempre parlargli mentre va a casa. Sbuffo, mentre mi metto in cammino, pensando che non è da me chiedere scusa alla gente. Dopotutto sono io la strana della classe, o no? Una che scappa per una battuta non si può definire sana di mente. Dopo un quarto d’ora di cammino, giungo finalmente davanti ai cancelli dell’edificio e nell’attesa fumo un’altra sigaretta, nervosa. Il portone si apre e centinaia di ragazzi si riversano fuori. Faccio un balzo verso uno in particolare, afferandolo per un braccio. Liam si gira verso di me con aria infastidita, ma appena si accorge chi sono la sua espressione cambia di colpo. – Julie, non sai quanto mi dispiace di aver detto quelle cose, - dice con aria triste. Rimango di stucco. Lui che chiede scusa a me? – Ascolta, io.. io ho sbagliato a tirarti quella sberla, non dovevo, solo che.. nah, lascia stare, non capiresti perché e mi prenderesti per pazza..- abbasso la testa, sconfortata. Il ragazzo sorride. – Che ne diresti di incamminarti con me? Così mi spieghi bene tutto.. Sento una nuova emozione impadronirsi di me, che non è rabbia o odio. Non so ancora dare un nome a questo sentimento, ma mi fa stare bene, tanto bene. Mentre ci allontaniamo dalla cara scuola, cerco di trovare le parole giuste per cominciare. – Vedi, - dico, torcendomi le mani – tre anni fa ho perso mio padre in un incidente automobilistico e da allora la classe mi deride, dicendo che sono strana, rabbiosa, cattiva, che sono una stronza. Io non volevo picchiarti e fuggire in quel modo, ma odio essere al centro dell’ attenzione e credevo che il tuo commento fosse mirato a ferirmi, anche se non era così, scusami. Ti chiedo scusa di essere fuggita via in quel modo, ma per anni sono stata oggetto di odio da parte di tutti senza un motivo preciso... – fisso un punto imprecisato a terra, come se il discorso sia troppo penoso per me. Prima che possa fare qualsiasi cosa, sento le braccia di Liam avvolgermi dolcemente. – Julie, non posso dirti quanto mi dispiaccia, davvero. Non sapevo niente e ti ho fatto del male, scusami. Tu non ti meriti tutto questo, sei bellissima e..- i dolci occhi del ragazzo mi scrutano, e in quell’attimo sento le ginocchia tremarmi e mi stacco. – Scusami, mi fa un po’ male la testa – mi giustifico balbettando. – Julie, - dice lui, - ti andrebbe di venire a casa mia? I miei tornano tardi, così ceniamo assieme e studiamo per il compito di domani. Non è da me andare a casa della gente, tanto meno dei nuovi compagni, ma sento che mi posso fidare di Liam, e il mio istinto non sbaglia mai. Così annuisco, e insieme percorriamo i cinquecento metri che ci separano dalla sua abitazione.

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Capitolo 4
*** chocolate ***


Un cancelletto grigio, non molto alto, fa da entrata ad una villetta a due piani che si trova in un via piuttosto affollata. Liam spinge la chiave nella serratura ed entriamo, attraversando un sentiero curato per poi trovarci sulla soglia della porta. Il ragazzo rimette nuovamente la chiave nella toppa ed entriamo. Non saprei bene cosa dire, né cosa provare. Non sono mai stata invitata dai miei compagni, mai; Sara è l’unica che mi ama per ciò che sono. Scuoto la testa, e avanzo nel salottino. Un divano in stoffa grigia, un televisore, un mobiletto con uno stereo, una poltrona di pelle bianca, diversi armadietti contenenti libri e CD musicali. Semplice ma d’effetto. Liam si volta verso di me sorridendo : - Julie, mia mamma torna per le sei va bene? Mi dovrai sopportare per un po’ di tempo, credo. Rido, e a quel punto è come se i muri che per anni ho innalzato intorno al mio cuore comincino a tremare e cadere, rompendosi in mille pezzi. – Sarei anche un po’ affamata.. non potremmo andare in cucina e mangiare qualcosa? Dico cercando di sembrare seria. – Certo cara, mi segua in cucina. Cosa preferisce, pasta, carne, pizza, toast, formaggio.. mi dica lei. – Emh.. – dico guardando dentro il frigo. Non sono una mangiona, ma sto letteralmente morendo dalla fame. – Credo che della pasta andrà benissimo..accendi il fuoco e mettici su la pentola con l’acqua, che io sbuccio i pomodori per il condimento. Liam mi guarda allibito, come se gli avessi chiesto di scalare uno specchio. – Liam.. ci sei? – gli chiedo preoccupata. – Non so cucinare niente a parte i dolci – confessa lui arrossendo e abbassando la testa. Sembra un cerbiatto quando fa così. – Bene, allora mangeremo una torta, - dichiaro. Di colpo il ragazzo tira su la testa e si riattiva. – Julie, tira fuori il cioccolato dal frigo e passamelo. Obbedisco agli ordini. – Bene, adesso io sbatterò gli albumi in questa ciotola, tu intanto frulla il cioccolato con le noci. Comincio a preoccuparmi davvero, non sono affatto precisa e non so fare i dolci, ma voglio solamente risollevare il morale a Liam. Così spezzetto il cioccolato e le noci e butto tutto nel frullatore. Con un sospiro avvito il coperchio e con la manovella mi posiziono sulla massima potenza. Di colpo il frullatore comincia a ronzare e a vibrare tutto. Dannazione, odio questi aggeggi con tutto il mio cuore. – Liam non è che potresti venire qui un atti.. – neanche il tempo di completare la frase che un’ondata di cioccolato ci travolge e si posa su qualsiasi oggetto nel raggio di tre metri. Boccheggio come un pesce fuor d’acqua, sono completamente ricoperta di un gustoso mix cioccolato-noci. Il mio compagno si rialza, anche lui coperto di quella malefica poltiglia e subito corre da me. – Tutto bene Julie? Non ti sei fatta niente di male, vero? Questo è il massimo. Una rincoglionita che non è capace di usare un frullatore e sporca tutta la cucina, e la prima sua preoccupazione è che io stia bene.. – Liam – cerco di dire – non sai quanto mi dispiaccia, devo avere avvitato male il coperchio, è tutta colpa mia, scusami davvero. Mi sento davvero inutile, vado a casa di un ragazzo e gli imbratto completamente la cucina? Sento delle braccia avvolgermi da dietro e la calda voce di Liam mi sussurra: - in effetti, sei stata davvero una bimba cattiva. Senza neanche avere il tempo di protestare prende in braccio e sale le scale. –Liam mettimi a terra subito! Liam! – urlo ridendo. Ma il ragazzo, insensibile ai miei pugni e alle mie urla, spalanca una porta che conduce al bagno ed entra nella vasca, tendendomi ancora stretta a sé. Mi sorride e apre le manovelle, dirigendo il getto d’acqua verso di me. – Che cazz.. dico ridendo, mentre il cioccolato scivola giù nei tubi di scolo. Liam si butta addosso a me, innaffiandomi la faccia d’acqua tanto che mi è difficile aprire gli occhi. Con un’abile mossa mi sciolgo dalla sua presa e afferro il getto, facendogli un completo lavaggio che poi lui ricambia. Dopo dieci minuti siamo stanchi morti ma almeno puliti. – Dovremmo andare a pulire la cucina – dichiaro alzandomi, ma il ragazzo mi ributta subito giù. –Aspetta Julie, prima ti devo dire una cosa. Si gira verso di me e mi scruta il volto, che in questo momento deve essere orribile dato che ho il trucco colato e i capelli che sparano in ogni direzione possibile e immaginabile. Liam prende un sospiro: – Sei una ragazza bellissima e dolcissima, e non ti meriti tutto il male che sei costretta a subire ogni giorno. Volevo solo chiederti se ti andrebbe di essere amici. In quel momento per la prima volta da anni sento le lacrime rigarmi il volto. Mi volto di scatto e affondo il viso nel petto del ragazzo, stringendolo forte. – Prometti che non mi lascerai, vero? – alzo lo sguardo e per qualche istante resto incantata nei suoi perfetti occhi castani. – Non lo farò Julie, non lo farò – sussurra tra i miei capelli bagnati. Restiamo lì per un tempo indefinito, in pace. Alla fine però ci sciogliamo malvolentieri dall’abbraccio e scendiamo in cucina, armati di guanti, spazzolone e detersivi di ogni tipo. Un’ora dopo la cucina risplende e luccica talmente è pulita. Guardo l’orologio, sono le cinque ormai e ancora non abbiamo mangiato nulla. Liam si accorge della mia fame e della mia stanchezza. – Vieni- mi dice. Saliamo nuovamente le scale e apre la prima volta che troviamo, che si rivela essere la sua camera. – Scusa il disordine – mi dice lui ridendo. In effetti la stanza sembra un campo di battaglia, ma credo che la mia sia messa peggio, perciò non dico niente. Il ragazzo apre l’armadio e tira fuori una maglietta, un paio di jeans e una felpa viola. – Cambiati, così non prendi freddo. Anzi, adesso ti porto della biancheria intima di mia madre.. – dopo pochi secondi è di ritorno con tutto. – Liam, grazie- balbetto arrossendo. – Figurati Julie. E adesso muoviti a cambiarti che ho fame- ridacchia. A mio vantaggio, sono un razzo a prepararmi. Mi spoglio, mi asciugo, indosso la biancheria che mi va piuttosto bene e infine i jeans , la maglietta e la felpa di Liam, nei quali ci sto due volte e mezzo. Ammetto che i suoi vestiti hanno un profumo irresistibile. Infine mi phono i capelli e sitemo la faccia, cancellando ogni sorta di trucco. I capelli fanno cagare, ma non posso farci nulla. Sospiro e scendo le scale, dove trovo il mio amico già pronto ad aspettarmi. Anche lui si è cambiato, e indossa una felpa viola come la mia. – Hai tutte le felpe uguali? – gli chiedo sorridendo. – Mi piace il viola, e allora? E’ il mio colore preferito – dichiara aprendo un sacchetto di patatine che mi offre. Dopo due minuti abbiamo completamente spazzolato tutto, e adesso si è veramente fatto tardi. – Devo andare Liam, non ho nemmeno studiato algebra e domani interroga. – dico frettolosamente, mentre mi infilo il giubbotto e le scarpe. – Aspetta Julie, dammi il tuo numero.. – mi chiede lui. Ci scambiamo frettolosamente i numeri di telefono e lui mi saluta con un inaspettato bacio sulla guancia, abbracciandomi, lasciandomi inebriare del suo profumo. – Oggi mi sono divertita, con te. A domani – lo saluto sorridendo, chiudendomi la porta alle spalle e allontanandomi dall’abitazione.

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Capitolo 5
*** tired ***


Sto sorridendo, mentre da casa di Liam torno alla mia. E’ strano vedermi felice, mi stupisco persino io del mio buonumore, mi sento finalmente bene con me stessa, non ho neppure voglia di fumare. Liam è davvero un ragazzo dolcissimo, comprensivo e.. buono. Sì, Liam è buono, non è come gli altri, è speciale. Sorrido e guardo il cellulare, Luke non mi ha ancora risposto, ciò significa che sarà ancora fatto. Sorrido ancora di più, Luke fuori dalle palle per qualche giorno è il meglio che potessi chiedere. Fuori fa freddo, ma casa mia non è lontana, perciò non me la sento di andare di fretta. Devo però ammettere che sono incredula che un ragazzo così perfetto possa interessarsi a me.. voglio dire, sono piuttosto bassa e magra, lui invece è alto e atletico, io sono una stronza, lui è la dolcezza in persona. E’ bello avere un altro amico, oltre a Sara, un’altra spalla, un altro scoglio. Sara. I ricordi si confondono, vedo una ragazza, robusta,alta, dai lunghi capelli neri e dai profondi occhi blu che mi fissano, terrorizzati e preoccupati. Poi vedo me stessa, sul molo di una costa gallese, le braccia spalancate, gli occhi semichiusi. Il vento soffia, forte, impetuoso, meschino. Sto per gettarmi dal molo, sono pronta a dire per sempre addio al mondo, le mie labbra si schiudono in un ultimo saluto, ma qualcosa me lo impedisce. Confusa e irritata mi volto, e vedo due occhi profondi come il mare che mi osservano, spaventati. Due robuste braccia mi sostengono e mi tirano indietro, spingendomi sulla fredda sabbia. La ragazza mi parla, vedo che muove la bocca, ma ho la vista annebbiata e fatico a pensare. La sconosciuta mi afferra le mani, nelle quali stringevo due pillole di antidolorifico. Di colpo la sua espressione cambia di colpo, mi prende il volto, cerca di farmi sputare tutto quello che ho ingoiato, ma ormai è tardi, allora la vedo che afferra il cellulare e chiama qualcuno, dopodiché si china su di me abbracciandomi e sussurrandomi che ce l’avrei fatta, che l’ambulanza sarebbe arrivata presto. Dopodiché perdo completamente i sensi e mi risveglio su un freddo letto d’ospedale. Apro gli occhi, mi tasto il corpo, sono viva. Sento qualcuno singhiozzare, è la ragazza misteriosa che mi ha salvata. Accanto a lei mia madre, con un’espressione indecifrabile in volto. La mia salvatrice corre verso di me e mi stringe forte, e solo allora ho la forza di chiederle come si chiama. – Sara – mi dice fra le lacrime – mi chiamo Sara. –Cazzo – dico risvegliandomi dall’ondata di ricordi. Devo stare attenta, i ricordi sono pericolosi, riescono sempre a trovarmi in qualche modo e la cosa non mi piace affatto. Cerco sempre di cancellare tutto, ma quando meno me lo aspetto ecco che tutto salta a galla. Afferro nuovamente il telefono e scrivo un messaggio a Sara, raccontandole tutto. Dopo due minuti mi arriva la sua risposta ‘oddio Julie sono felicissima per te! Io sono bloccata a letto dall’influenza..’ Sbuffo, questa non ci voleva. Alzo gli occhi dal cellulare, ormai sono arrivata a casa e sono appena le sei e venti di sera. Infilo le chiavi nel cancelletto ed entro, spalancando la porta d’ingresso. Mia madre non c’è, che novità, sarà a una di quelle stupide stupidissime riunioni. Entro in cucina, accendo il fuoco e mi cucino la pasta, ma non quella poltiglia scotta che fanno qua a Londra, quella buona, che mi ha insegnato Francesca, la madre di Sara. Sara mi racconta spesso della sua Italia, che ha lasciato a otto anni per trasferirsi qui, mi parla della sua città, Firenze, della sua terra, la Toscana, e quando mi parla i suoi occhi si illuminano e mi promette che un giorno ci trasferiremo là, io lei e il suo gatto Romeo. La pasta deve essere pronta, così la scolo, la verso in un piatto e me la mangio, fottendomene altamente del fatto che sia a dir poco bollente. Apro la cartella, prendo il libro di algebra e comincio a studiare quella sequenza di numeri e lettere finché, quaranta minuti dopo, non arriva il mal di testa e sono costretta a chiudere il malefico libro. –Odio matematica – bofonchio a denti stretti. Mi rendo conto di avere ancora addosso i vestiti di Liam, ma sono così incredibilmente caldi e morbidi, e inoltre hanno un profumo squisito, difficile da descrivere. Per un attimo desidero avere il ragazzo qui con me, ma poi mi riscuoto, sparecchio, corro in camera, mi metto il pigiama, lavo i denti e preparo la cartella per domani, mi piace essere già pronta e organizzata. Infine mi butto sul divano, metto su il primo DVD che trovo, ossia Harry Potter, che avrò visto almeno un centinaio di volte, ma che amo alla follia. Da piccola ad Halloween mi mascheravo sempre da Mangiamorte, e correvo per le strade londinesi agitando la mia bacchetta magica, credendo davvero di essere un mago. Bei tempi quelli, quando si è piccoli tutto sembra entusiasmante e fantastico e crescendo si viene purtroppo a contatto con la realtà. Dopo neanche venti minuti sono già caduta in un sonno profondo.

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