The infinite roads of the heart

di Marty_Winchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Le coincidenze fanno parte della vita ***
Capitolo 3: *** Dimmi di restare ***
Capitolo 4: *** Mi ha risvegliato ***
Capitolo 5: *** Finalmente insieme ***
Capitolo 6: *** Viaggio, destinazione Italia ***
Capitolo 7: *** Solo tu puoi salvare l'umanità ***
Capitolo 8: *** Memoria ***
Capitolo 9: *** Non dire è mentire? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La vita è il risultato delle proprie scelte, ma se non puoi scegliere nulla, che vita è? Non sono responsabile degli avvenimenti che mi hanno condotto qui, in questo squallido bar; sono stata spinta al limite, e oltre esso.
Preparo un Mojito e con una cortesia professionale servo una ragazza, dai lineamenti delicati e femminili, un paio di occhi azzurri, innocenti, e una frizzantezza giovanile. Presto la vita spegnerà quella luce che brilla nei suoi occhi chiari, spero per lei che succeda il più tardi possibile. Guardo l’orologio: mancano solo dieci minuti e stacco, ma la giornata è ancora lunga per me. Servo gli ultimi clienti e saluto i colleghi che iniziano adesso il turno, sto per uscire, ma decido di bere qualcosa. Mi avvicino al bancone e mi siedo su uno sgabello malconcio.

«Richy, vorrei una vodka liscia, senza ghiaccio»

«Sei sicura?»

«Si, sarà una notte lunga questa»
Il mio collega annuisce leggermente e mi porge il bicchiere. Lo butto giù tutto d’un fiato, sento un torpore in tutto il corpo, ma è troppo leggero perché basti. Apro la bocca, sto per ordinarne un altro, ma una voce melodiosa cattura la mia attenzione.

«Non è il solito alcolico femminile»
La mia solita risposta sagace tarda ad arrivare, sono persa in un paio di occhi verdi.

«Brutta giornata, bellezza?»
Continua lui, forse mal interpretando il mio silenzio.

«Non immagini quanto»
Alla fine riesco a rispondere, trovando interesse per le mie mani.

«Allora qui ci vuole un altro bicchiere, per tutti e due. Prendo quello che ha ordinato la ragazza, doppio per favore»
Ordina anche per me il bellissimo ragazzo, parlando molto educatamente.

«Come ti chiami splendore?»
Mi chiede, sorseggiando la sua vodka.

«Niente nomi, non complichiamo le cose, ci pensa già la vita»

«Mi piaci sempre di più»

***

Sono svegliata prematuramente da un terribile mal di testa. L’unica soluzione per il dopo sbornia è bere molta acqua, non mi ricordo come ho imparato questa cosa, so solo che il fegato ha bisogno di liquidi per trasformare l’alcool in qualcosa di innocuo e sottrae acqua al cervello, che si ristringe all’interno della scatola cranica, provocando il mal di testa.

«Che voglia hai ancora di bere?»
Sussulto, ma poi delle immagini sfocate mi fanno ricordare qualcosa della notte passata: il bar, l’alcool, questa camera di motel, sesso favoloso.

«Tieni» Gli lancio una bottiglietta «Il tuo fegato ha bisogno di liquidi, non chiedermi perché lo so»

Lui è restio, ma alla fine segue il mio consiglio. Cerco in giro i miei vestiti, mi do una rinfrescata ed esco dalla stanza. È stata una serata fantastica, ma le favole finiscono.




**angolo dell'autrice**
eccomi qui con quest'altra ff, come se non fossero già troppe quelle che sto scrivendo =D
ringrazio tutti per la lettura, un abbraccio alla cupido!

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Capitolo 2
*** Le coincidenze fanno parte della vita ***


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Finalmente posso lasciare questa città, non sopportavo più l’umidità pungente e il cielo opaco. Ai miei colleghi ho raccontato che era solo un lavoro di passaggio e il capo non l’ha presa benissimo: sostiene che “molti frequentano il locale solo per le belle bariste come te”; dovrà farsene una ragione: il mio lavoro è più importante che rovinare fegati, rapporti sociali e vite.

Sono nella mia Volvo xc40, nella macchina risuona la canzone Euphoria: di solito mi basta la musica per non sentirmi sola, ma oggi ho nella mente un paio di occhi color smeraldo e un fisico perfetto. Scuoto il capo con forza, mi gira la testa per la velocità del movimento. Alzo il volume, a volte la musica deve essere più forte dei pensieri.

***

Dopo sette ore di macchina arrivo finalmente all’hotel in cui soggiornerò per non più di una settimana, se tutto andrà bene.
Sono stanca, ho i muscoli delle gambe indolenziti e mi fa male la testa. La mia stanza si trova al terzo piano e ovviamente l’ascensore è “momentaneamente fuori servizio”. Mi siedo sul primo gradino, la valigia pesante mi offre un appoggio per la testa. Non ho la forza di salire le scale da sola, figuriamoci portare su la valigia.

«Hai bisogno di una mano?»
Alzo di scatto la testa e trovo un ragazzo alto e imponente, anche se fossi in piedi mi sentire come un topo vicino a un elefante.

«La valigia pesa molto…»
Non finisco nemmeno la frase che il ragazzo ha già imboccato le scale, con il mio bagaglio appresso. Con molta fatica lo seguo, mi sento come se avessi cento chili da portare.

«Eccoci qui»

«Grazie mille! Non so cosa avrei fatto…»

«Nessun problema. Non vorrei sembrare indiscreto, ma stai bene? Sei pallida, hai il fiatone come dopo una maratona e sembri sul punto di avere una crisi di nervi»
Il suo interessa mi fa disegnare un sorriso sul volto; adesso che lo guardo attentamente riesco a cogliere la sua bellezza: è alto, muscoloso, occhi splendidi che trasmettono sicurezza, mani robuste. La perfezione, però, non esiste: il suo tallone d’Achille sono i capelli, tenuti troppo lunghi. Bugia: il tipo dell’altra sera è perfetto, ma sarà uno dei pochi sulla terra.

«è stato un lunghissimo viaggio…?»

«Sam, mi chiamo Sam»

«Grazie di avermi aiutato Sam. Adesso scusa, ho bisogno di una bella dormita»

Gli sorrido gentilmente e lui ricambia. Dopo due minuti già dormo profondamente, vestita e con le scarpe.

***

Certe volte vorrei essere ignorante; molti affermano troppo frettolosamente di voler sapere tutta la verità, ma la realtà delle cose è terribile. Se hai la conoscenza, sei preparato, ma non ti sentirai mai al sicuro.
Sbuffo, sposto i capelli dietro le orecchie e mi obbligo a mettere da parte le emozioni. Indugio un po’ sullo specchio, mi passo una mano sugli zigomi e sugli occhi, come per costatare di non aver qualcosa di rotto o di dolorante. Da piccola non ero bella e non sono così narcisista da definirmici adesso, però sono sincera da ammettere di essere magra, non senza fatica. Adoro i miei occhi scuri, i capelli lisci e un delicato naso a patata. Ho gli occhi di mia madre…

«Basta pensieri inutili, il lavoro non aspetta i miei comodi»
Indosso una maglietta larga, per tener nascosta la pistola, e un paio di pantaloni lunghi, per tener legati due coltelli – uno d’argento e uno di ferro- al polpaccio.

***

Cerco di respirare con calma, mentre sfreccio sulla superstrada. Sono già in allerta e in tensione, anche la musica mi crea fastidio. Continuo ad accelerare e poi mi faccio la ramanzina, dicendo che non devo correre troppo, ma è difficile se continui a pensare “un solo secondo può fare la differenza tra la vita e la morte”.

Ecco la fabbrica, quella in cui sono state trovate le ragazze completamente trasformate; non ho mai avuto a che fare con una simile creatura, una sorta di mutaforma al contrario: modifica il loro aspetto e le uccide, non ho scoperto altro.

Apro e richiudo la portiera con decisione, ma senza fare troppo rumore. Impugno le armi, le stringo così forte da lasciarmi i segni. All’interno è buio, sporco, puzzolente e l’aria è stagnante. In una mano tengo la torcia, nell’altra la pistola. Mi muovo rapida, con passo sicuro e occhi ben aperti. Uno scricchiolio spezza il silenzio. Qualcosa nel mio campo visivo si muove e i bastoncelli, situati nella retina, mi fanno reagire velocemente, ma non abbastanza tempestivamente. La torcia cade sul pavimento e si spegne, così come la mia coscienza.

***

Riprendo conoscenza in maniera improvvisa, mi ritrovo sdraiata su un tavolino, nuda e priva di qualsiasi arma.

«Che carina che sei stata a passare, non ho nemmeno dovuto faticare questa volta» Un essere dalle fattezze umane spunta nella stanza fortemente illuminata. «Sei carina, ma quando avrò finito, sarai perfetta»
Cerco di liberarmi, ma questo mostro mi ha legato per bene. Questo essere, che chiamerò "Son of a Bitch", si taglia il polso, inizia a parlare in una lingua che mi sembra latino antico e versa varie cose in un calice. Mette la mano dentro e mi rivolge uno sguardo sadico, inizio a tremare, ma non ho intenzione di chiedere pietà.

«Vedrai, poi mi ringrazierai»
Con la mano pulita mi tiene ferma la testa, con l’altra mi appoggia due dita sugli occhi.
Adesso inizio a urlare, il mio coraggio è sparito.
Dopo un tempo che mi sembra interminabile, toglie le mani dai miei occhi e inizia a strapparmi i capelli. Questa volta svengo quasi subito, per fortuna.

Quando apro gli occhi, rimango scioccata nel vedere i miei capelli al loro posto, perfetti e adesso ondulati, ma non potrò godermeli molto: tra poco sarò morta. Mi ha tagliato i polsi, non poteva uccidermi in fretta questo Son of a bitch?!

«Adesso sei perfetta»
Esclama la creatura, leccandosi le dita.

«Toglimi una curiosità, perché ti piace modificare le tue vittime prima di ucciderle? Voglio portarmi il segreto nella tomba»

«Semplicemente perché voglio siano belle per il mio capo»

«Da morte?»
Sta per rispondere, ma uno sparo e lui cade a terra. Vedo quattro occhi familiari: un paio sono del ragazzo perfetto, colui che mi ha regalo una notte favolosa, gli altri due appartengono al gentil’uomo che mi ha aiutato con la valigia.

«Stai tranquilla, è tutto apposto»
Dal suo tono di voce non sembra avermi riconosciuto, forse perché era ubriaco quando ci siamo visti la prima e unica volta.

«Hey sei tu, la ragazza di ieri»
Interloquisce Sam, arrossendo leggermente, forse perché sono senza vestiti. Io ormai sono abituata a farmi vedere seminuda: il lavoro da spogliarellista fa guadagnare soldi che mi servono.

«Adesso ti portiamo in ospedale… Sam muoviti, passami la tua maglietta»
Il ragazzo alto e robusto ubbidisce e riconosco il simbolo sul suo petto.

«Siete anche voi cacciatori? Come vi conoscete?»
Infilo l’indumento del ragazzo, stringendo i denti per il dolore ai polsi. La sua maglia mi fa da vestito, non è certo un capo di alta moda, ma almeno mi copre il giusto.

«Ci conosciamo perché siamo fratelli e si, siamo cacciatori»

«Fratelli» che coincidenza, penso «Come ti chiami?»

«Io sono Dean, lui lo conosci già a quanto ho capito»

«Tu non ti ricordi di me?»
Quello che deve essere il maggiore mi guarda un attimo e quando mi riconosce, strabuzza gli occhi.

«Ma certo! La ragazza vodka liscia. Per la cronaca, avevi ragione: bere acqua aiuta»
Finalmente sono libera di muovermi, ma rimango pietrificata nel vedere il pavimento vuoto.

«Abbiamo un problema»

«Cioè?»
Rispondono in coro i fratelli.

«Il corpo del mostro è sparito»




**angolo dell'autrice**
allora rieccomi qui, spero che l'ispirazione non scappi via! =D Scusate eventuali errori, mi fa molto male la testa >.< Non ho bevuto alcolici eheheh
Certe mie ff sono ferme da mesi e invece questa l'ho aggiornata 2 volte in un giorno ;)
non vi rompo ancora, vi mando solo un grande ringraziamento!
Abbraccio alla cupido!

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Capitolo 3
*** Dimmi di restare ***


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Non posso crederci: mi sono ubriacata ancora. Quando l’alcool scende, è come una medicina, ma poi ti lascia vuoti di memoria ed emicrania. Sto lavorando, non dovrei bere.
Apro gli occhi a fatica, mi guardo un po’ intorno e mi rendo conto di essere nuda, e sola. Appoggio le mani sulle tempie e cerco di far diminuire il dolore. Sbuffo e mi alzo dal letto, sbattendo il piede contro una sedia (come se il dolore alla testa e la nausea non fossero sufficienti).
«Porca di quella mm...»
Mi passo una mano nei capelli, stupendomi ogni volta nel trovarli mossi e voluminosi: i miei capelli naturali erano più lisci dell’acqua di montagna.
Entro in bagno e un brivido mi percorre la schiena: lo specchio è rotto; riporto i ricordi alla mente e, insieme alle immagini, affiora l’umiliazione.
 
 
«Quindi anche tu sei una cacciatrice?»
Il tono sorpreso che usa Dean mi offende, lo fulmino con lo sguardo mentre usciamo dall’ospedale.

«Sono un’ottima cacciatrice. Ammetto che questo non è stato il mio lavoro migliore»

«Stavi per farti ammazzare!»
L’apprensione nella sua voce è dolce, ma anche esagerata.

«I rischi del mestiere»
Rispondo semplicemente e lui annuisce. L’aria non è eccessivamente calda e il sole non scotta sulla pelle; Dean mi offre un passaggio, ma devo passare sul luogo della mia aggressione per riprendermi l’auto.
Quando finalmente arrivo in hotel, vorrei solo buttarmi sul letto e dormire, ma necessito di una doccia. I tagli mi danno fastidio, ma sopporto bene il dolore. Mi tolgo i vestiti ed entro in doccia, quasi mi addormento in piedi. Quando ormai ho le dita raggrinzite e mi rendo conto di aver sprecato abbastanza acqua, mi costringo a sottrarmi al getto rilassante. Infilo un paio di pantaloncini e una canottiera verde acqua. Afferro una spazzola e mi posiziono davanti allo specchio. Spalanco gli occhi, la voce mi si blocca in gola e tiro una forte scazzottata allo specchio. Cado per terra, in posizione fetale, la voce finalmente riesce a uscire:
«No! Q-quel bastardo m-me la pagherà! I miei o… i miei occh…»
La porta sbatte con forza e qualcuno entra nella stanza. Con gli occhi colmi di lacrime non riesco a vedere nessuno.

«Cos’è successo?»
Riconosco questa voce, appartiene al ragazzo che mi ha salvato la vita. Quando ha capito che non sono in pericolo di vita, si avvicina, si siede accanto a me e mi accarezza i capelli. Dopo quindici battiti del mio cuore, mi costringe ad alzarmi in piedi e mi sussurra dolcemente all'orecchio:

«Qui ci vuole un drink, Jessica»
Nessuno mi aveva mai visto in questo stato, così fragile e vulnerabile...
 
Distolgo velocemente la mia attenzione da quei pensieri, tornando al presente. Mi lavo la faccia e metto un po’ di profumo. Indosso i miei soliti vestiti larghi e le armi del caso. Devo solo andare nella stanza accanto, per architettare un piano con i Winchester, ma non si sa mai cosa può succedere.
Busso e dopo mezzo secondo la voce di Sam mi invita ad entrare. La mia attenzione è catturata da un letto intonso, ho la sensazione che c’entri con le condizioni penose in cui si trovava il mio invece.

«Dov’è… Dean?»
Chiedo, con voce sottile, non vedendolo nella stanza.

«Si sta facendo una doccia. Il signorino ha pensato bene di spassarsela questa notte, invece che fare ricerche in merito al caso. Tu hai scoperto qualcosa? Si direbbe che non hai chiuso occhio tutta la notte»

«Io…» cerco di mettere in moto il cervello, la verità è che credo di essermela “spassata” pure io questa notte «Niente di utile, so solo che me la pagherà quel bastardo»

«Non sono male, i tuoi occhi intendo»
Brutto idiota testa di cazzo, sai che minchia mene frega della bellezza dei miei occhi? Erano l’unica cosa che mi facessero sentire vicino a mia madre, non ho foto di lei, non ho altre cose, solo gli occhi mi ricordavano lei. Questo è quello che vorrei rispondere, ma ingoio la bile e dico solo: “È una questione di principio”.

***

Sam è andato in biblioteca, Dean naviga in rete ed io faccio delle telefonate. La mia amica Vanessa, una delle cacciatrici più esperte che conosca (oltre a essere una delle mie migliori amiche) non mi è stata di molto aiuto. Veronica, una persona che considero mia sorella gemella, ha sostenuto che qualcosa in me fosse cambiato, ma non sapeva come aiutarmi nel caso. Ho chiamato anche Miriam, Natasha, Rebecca, Chiara, Francesca, Elena ma nessuna di loro sa niente
.
«Se Bobby non ha scoperto nulla, nessuno può»
Alzo le spalle e ingoio la risposta. Faccio scorrere ancora i nomi in rubrica, potrei chiamare… No, non se ne parla.

«Basta»
Urla Dean, chiudendo con forza il portatile. Istintivamente porto la mano sulla pistola, per poi lasciar ricadere le braccia lungo i fianchi. Questa scarica di adrenalina deve avermi rimesso in moto i neuroni, perché mi tornano alle mente le parole del mostro.

«Prima che tu e tuo fratello uccideste il son of a bitch, mi ha detto “voglio che siano belle per il mio capo”. Questa creatura ha un capo, lavora per qualcuno quindi, forse dovremmo dare la caccia a esso: prendiamo il pesce più grosso. Senza un comandante, si è deboli»
Contro ogni mia aspettativa, Dean scoppia in una risata, allegra e briosa.

«Cosa c’è da ridere?»

«Niente, niente… Quindi chiami questa creatura son of a bitch è?»
La sua voce è spezzata da altre risate, sono contenta che almeno lui si diverta.

«Rilassati» mi consiglia, dirigendosi verso il frigobar e prendendo una birra «Sei un po’ imbalsamata. Vuoi?»

«No grazie, il mio fegato ha bisogno di una pausa. E tu pensi di non dargli tregua? Ieri sera abbiamo bevuto parecchio»

«Avevi bisogno di bere, so cosa vuol dire guardarsi allo specchio e non riconoscere l’immagine riflessa»
Sto per ribattere, ma dalla porta fa capolino Sam, con tre libri in mano.

 «Ragazzi ho scoperto qualcosa!»

***

Sam ci mette al corrente di quello che ha letto; finalmente abbiamo un piano e posso fargliela pagare a quel figlio di puttana. Non ho bisogno di prepararmi, mi tengo sempre pronta a cacciare, o a scappare.

«Prendo le chiavi della macchina, ci vediamo fuori dalla chiesa»

«Prendiamo la nostra di macchina»
Mi fermo, rimanendo con la mano sulla maniglia della porta. Mi volto e la mia unica risposta e un “okay” sussurrato: non mi fido facilmente delle persone, ma non sono più una ragazzina indifesa, so badare a me stessa. L’idea di non aver un mio mezzo per la fuga, però, mi spaventa non poco.

***

«Bene, tu aspetta qui»
Mi ordina il maggiore, aprendo lo sportello della macchina.

«Certo, come no. Pensi di riuscire a uccidere il mostro senza il coltello benedetto?»
Scendo a mia volta dalla macchina, mostrando il coltello che ho sottratto dalla tasca di Sam. Il minore strabuzza gli occhi: non si è accorto del mio furto.

«Andiamo, non restate lì imbambolati»
È sera, l’aria è fresca nonostante la stagione. Respiro un odore di fiori e il vento mi solletica leggermente la pelle. Il clima di questa città non è male, ma non ci starò per molto tempo. Tutti e tre ci dirigiamo verso la casa, vecchia e senza nessuna illuminazione. La porta è aperta, entriamo con circospezione e iniziamo a perlustrare l’abitazione. Devo trattenere gli starnuti provocati dalla polvere, ma ho cacciato in posti peggiori.

«Dai a me il coltello»
Sussurra Sam alle mie spalle, facendomi roteare gli occhi.

«Dopo aver lasciato scappare l’essere che per poco mi ha uccisa non mi fido molto di voi. Niente di personale»
Rispondo secca, continuando a controllare la casa. Dopo dieci minuti, constato che la casa è vuota.

«Un buco nell’acq…»
Una presenza si muove alle spalle del fratello maggiore; prima ancora che Dean faccia una qualsiasi mossa, ho già sparato un colpo e fatto cadere a terra la creatura.

«Avresti potuto colpirmi! Poco più in là e mi sparavi!»

«Prego, non c’è di che»
Rispondo, avvicinandomi per controllare di che mostro si tratti. Riconosco queste fattezze umane: “ti ho in pugno figlio di puttana” penso, schiacciandogli la testa sotto alle scarpe. Estraggo il coltello, ma vengo colpita alla testa. Una persona “normale” sverrebbe, ma ho subito colpi peggiori. Dean si è subito messo tra me e quest'altra creatura, coltello in mano, dandomi il tempo di riprendermi del tutto. Appena mi alzo in piedi, il son of a bitch scaraventa i due fratelli contro il muro, senza nemmeno toccarli.

«Jessy, Jessy, Jessy. Sei proprio stupida, lo sai? Venire nella tana del lupo, due volte di seguito, da sola per di più»

«Non è sola!»
Grida Dean, misteriosamente libero, mentre pugnala il mostro.
Rimaniamo qualche secondo in silenzio, nella casa regna la più assoluta quiete. Guardo Dean negli occhi, mi specchio in essi e cerco di tirare fuori qualche parola.

«Bè, è finita»
Interviene Sammy, spezzando il silenzio e il nostro discorso silenzioso.

«Si, finita…»
Mormoro, ma la mia voce è appena udibile. Cosa mi succede? Perché non mi sento felice che anche questa minaccia sia stata sventata?

«Allora… bè… è stato bello cacciare con te» Borbotta Dean, infilandosi il coltello in tasca. Mi sento un nodo alla gola, ho lo stomaco sotto sopra. «Ti serve un passaggio?»

«Non faresti mica camminare una donzella per circa quindici chilometri?!»
Non so perché nella mia voce c’è un tono di supplica, questo playboy dagli occhi smeraldo mi ha rammollito. Una volta ho camminato per quasi trenta chilometri, sotto un sole impressionante, ma l'idea di allontanarmi definivamente da lui mi spaventa di più

«Certo che no, usciamo da qui. Mi ci vuole una birra»

«Io passo»
Torno sui miei passi, per tutto il viaggio guardo fuori dal finestrino e non dico una parola.

***

«Buona fortuna»

«Grazie Sam. Buona fortuna anche a te»
Sono quasi del tutto dentro la macchina, ma aspetto che Dean mi dica qualcosa. È in piedi, accanto al fratello, così vicino che posso sentire il suo delizioso profumo. Dii che non vuoi perdermi di vista, dimmi che non era solo sesso, dimmi di restare.

«Jessica, è stato bello»
Dice semplice, sorridendo.

«Bere insieme, il sesso o la caccia?»
Cerco di usare il mio solito tono, un misto tra il malizioso e l'ironico.

«Tutto quanto. Mi raccomando, non farti ammazzare»
Mi fa l’occhiolino e il mio stomaco sussulta.

«Nemmeno tu, occhi aperti»
Chiudo la portiera e accendo la radio, una lacrima mi riga la guancia. Devo allontanarmi il più possibile da qui, non devo affezionarmi a niente e nessuno. Tutti, prima o poi, muoiono.



**angolo dell'autrice**
eccomi tornata! Ho dovuto lavorarci ben due giorni a questo capitolo e il risultato dovrebbe essere migliore... ditemi voi!
Grazie e un bacio a tutti!

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Capitolo 4
*** Mi ha risvegliato ***


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«Come lo hai messo fuori gioco?»
Mi chiede Vanessa, prima ancora di sedersi: le piace sapere le cose, odia essere all’oscuro. Ci siamo conosciute quattro anni fa, io avevo appena compiuto i venti, lei andava per i ventiquattro. Era venuta in Italia, con sua cugina, per seguire una pista riguardante un caso. Sono state le mie prime vere amiche. Vanessa, poi, ha capito che l’alcool non era una medicina per il lavoro, ma un bisogno pericoloso.

«Coltello d’argento benedetto da un prete»
Rispondo, quasi automaticamente. La sedia scricchiola appena sotto il suo esile corpo, magro e perfetto. Appoggia i gomiti sul tavolo e la sua attenzione è catturata dai miei occhi. Sembra che stia guardando un moribondo, oppure una donna con una brutta pettinatura.

«è stato il mostro, solo il colore è cambiato»
Rispondo alla domanda che non ha il coraggio di porgermi. Lei annuisce, mettendo una mano nella borsa e l’altra sulle mie mani incrociate. Tira fuori un pacchetto blu con un fiocco color pistacchio.

«Verde acqua non c’era»
Scherza e mi porge quello che tiene in mano. La ringrazio e ci scambiamo un abbraccio. Ha un delicato profumo, un misto tra vaniglia e il suo odore naturale.

«Vanny, dov’è tua cugina?»

«Sta arriv…»

«Sono qui!»
La voce di Veronica prorompe nel locale, facendo voltare tutte le persone presenti. La cugina di Vanessa ha dei morbidi capelli castani e un paio di occhi meravigliosi, di un colore più bello del cielo estivo. Si blocca di scatto, mi guarda intensamente e il suo sguardo diventa perso, triste. I suoi occhi sono meno luminosi, privi della sua solita grinta e frizzantezza.

«è stato il mostro, è tutto a posto tranquilla»
Ripeto, alzando leggermente le spalle. Vero cerca di non guardarmi con compassione, se non sapesse cosa rappresentavano gli occhi per me, scherzerebbe su come adesso possiamo passare davvero per gemelle, su come siano meravigliosi i miei nuovi occhi, ma per evitare di piangere, cambia discorso.

«Allora sorellina, hai già ordinato da bere?»

«No, sorellina. Aspettavo voi…» metto sul tavolo il sacchetto che tenevo vicino alla sedia, contenente due regali per loro. Non ci vediamo in ricorrenze speciali, con giorni prestabiliti, quindi dobbiamo recuperare compleanni, Natali, Pasque quando capita. Se non ci incontriamo molto spesso è colpa del nostro lavoro; fingiamo sia per il poco tempo libero, ma la verità è che rischi sempre di morire e affezionarsi significa soffrire.

«Jessica, sai che ti considero come una di famiglia!»

«Niky, anch’io vi voglio molto bene. Ho due regalini per voi»
Dico, estraendo il contenuto della busta.

 «Grazie mille, sorellina! Prima o poi mi spiegherai perché mi soprannomini così? Niky… non capisco»
Le faccio l’occhiolino, a me sembra così ovvio. Lascio cadere il pacchetto nelle sue mani e quasi trema per l’emozione.

«è un segreto, rimarrà tra me e Jessica» Scherza Vanny, baciandomi leggermente sulla guancia in segno di ringraziamento. «Grazie Jess, non dovevi»
Dopo esserci scambiate regalini e cose utili per la caccia, smettiamo di comportarci come ragazzine a un pigiama party. Vanessa chiama un cameriere, sto per ordinare qualcosa, ma la mia amica mi precede:

«Per favore tre analcolici, grazie»
Mi guardo le mani, incapace di specchiarmi negli occhi verdi di Vanessa. Non posso crederci: stavo ordinando quello che davvero vorrei bere, per fortuna mi ha anticipato. Ho paura che possa capire tutto semplicemente guardandomi e mi stavo smascherando in maniera così sciocca.

«Adesso parla, dimmi la verità»
Alzo di scatto la testa e guardo Veronica, stupendomi ogni volta di quegli occhi incredibili. Distolgo lo sguardo, come se avessi paura di tradirmi, e mi concentro su Vanessa.

«Non dovevi prendere anche tu, anche voi, un analcolico»

«Non sono crudele, se qualcuno mi metterebbe sotto al naso un cibo che non posso mangiare, gli spaccherei la faccia»

«Lo uccideresti proprio»

«Jeeesssicccaaaa cagami! Allora, rispondimi!»

«Ah si, scusa Niky. Di… cosa dicevi?»

«Avanti, con chi credi di parlare? Io ti conosco meglio di quanto conosca le parole per esorcizzare, e ti ricordo che sono stata in grado di dirle al contrario da ubriaca. Al telefono eri… “diversa”, avevi un tono meno cupo, oserei dire»
Le mie amiche mi fissano con tanta intensità che potrei prendere fuoco da un momento all’altro. Mi massacro le mani, se non sto attenta mi fratturerò un dito.
Sono in trappola, avrei dovuto rimandare il nostro incontro. Mi conoscono troppo bene, capiranno subito che è sono successe cose importanti. Ho bevuto, ho fatto sesso, mi sono… innamorata. Non voglio che sappiano, devo cambiare discorso.

«Ah, quindi io ho un tono cupo? Avanti tesoro, qui tutte abbiamo un’anima nera, peggio dei piedi di quel tizio, ti ricordi il calvo in Texas?!»

«Vuoi apparire stronza e fredda, ma noi» Veronica fa il teatrale gesto di indicare prima se stessa, poi Vanessa «Ti conosciamo, sappiamo di che pasta sei fatta. Pensi di cambiare discorso, facendoci pensare alle atrocità del nostro passato? Non vuoi farci soffrire, sei una persona altruista e buona. Mi ricordo benissimo com’è iniziata la nostra amicizia: c’eravamo viste un paio di volte, nella nostra breve caccia in Italia, eppure quando ti abbiamo telefonato, hai lasciato tutto e sei venuta ad aiutarci, così su due piedi, senza nemmeno conoscere la lingua o avere un appoggio»
Devo fare un enorme sforzo per non interromperla, a nessuno piace essere interrotto, a lei più che a chiunque. Quando capisco che ha finito, posso finalmente dare voce a tutti i pensieri.

«Non volevo farvi pensare a nulla, ho solo detto la verità, e poi sono dovuta venire in America, mica in Congo o in Iraq! In più mi hai fatto sposare tuo fratello, per ottenere la cittadinanza.»

«Non augurerei a nessuno di finire sposata con mio fratello, meglio l’inferno.»
Tutte e tre scoppiamo in una risata fragorosa, così l’atmosfera si alleggerisce un po’. Arriva finalmente il cameriere, un ragazzo alto, mingherlino, capelli quasi del tutto rasati, piercing su tutta la faccia.

«Ecco a voi, bellezze»
Lo guardo appena, i suoi occhi nocciola non sono per niente magnetici.

«Grazie, tieni i soldi»
Quando il ragazzo si volta, le due cugine si sporgono per fissargli il fondo schiena, io lo non lo trovo attraente in nessun modo.

«Oh santo cielo!»
Grida Veronica, facendoci sobbalzare. Tutte le persone nel locale ci fissano, non è mai bello fare simili figure. Vanessa gli tira una gomitata, io la guardo confusa.

«Ti sei innamorata!»
Continua Veronica, senza moderare il tono di voce.

«Che stai dicendo, io non penso a queste cose»

«Siamo progettati per pensarci, Jessica»

«Vane, non mettertici anche tu»
Smettiamo un attimo di parlare, sorseggiamo i nostri drink analcolici e ci scambiamo sguardi carichi di pensieri.

«Okay, forse avete ragione»
Sussurro, come se stessi dando inizio alla terza guerra mondiale, bevendo tutto d’un sorso il mio drink. Non so cosa darei per avere in mano della vodka.

«Lo sapevo!»
Urla Veronica, alzandosi in piedi e facendomi notare i suoi vertiginosi tacchi rossi. Vanessa non dice niente, si limita a mettermi una mano sulla spalla e a sorridere. Quando Niky finalmente si siede, una strana luce si accende negli occhi della cugina più grande, come se avesse finalmente aperto il vaso di pandora. Toglie la mano dalla mia spalla e mi schiaffeggia.

«Che ti prende Vanessa?!»

«Tu hai bevuto!»
Queste parole sono peggio di una coltellata. Mi sento mille spilli in gola, acido nello stomaco, un peso sul petto.

«Van-Vane io…»
Si alza di scatto, mi rivolge un’espressione avvilita. Abbasso lo sguardo, non posso vedere quella delusione sul suo viso. Dopo cinque battiti del mio cuore, udisco un sospiro uscire dalla sua bocca. Si risiede e parla guardando il tavolo davanti a noi.

«è uno dei ragazzi con cui hai cacciato quella creatura?»
Mi parla con voce piatta, deve essere molto affranta. Prima che posso rispondere, Niky mi chiede chi dei due. Parla a voce così alterata che una coppietta ci rivolge l’ennesima occhiataccia, certe persone pensano di venir in un luogo pubblico e avere un’intimità assoluta.

«D-Dean, si chiama Dean»
Quando catturo lo sguardo di Vanessa, lei sfugge e torna a fissare quello che ha davanti, il suo tono è sempre più distaccato:

«Perché… non gli hai detto quello che provavi?»

«Non potevo… sarebbe stato imbarazzante»

«Posso darti uno schiaffo?»
Mi chiede Niky, facendomi sorride per qualche secondo.

«Non hai dodici anni. Te lo dico da amica: quel ragazzo ti fa bene, quando eri vicino a lui, sembravi felice»
Mi accorgo di come Vanny faccia sempre più fatica a portare avanti la discussione. Le parole le escono in modo apatico, sembra stia leggendo un copione. Potrebbe aver capito che lui mi ha fatto esagerare nel bere? Impossibile.

«Dovresti cercarlo! Avanti, avanti! L’amore è un sentimento raro!»
Queste cugine non potrebbero essere più diverse di così, in questo momento. Veronica sprizza energia e allegria da tutti i pori, parla con voce sempre più euforica. Vanessa sembra esser vittima di una qualche stregoneria, dice il contrario di quello che la sua voce lasci intendere.

«Ti voglio bene Jessica»

«Anch’io Vanessa… mi dispiace, non berrò più»
Si stringe nelle spalle, finalmente mi guarda. Dopo mezzo secondo si alza, è tardi dice. Veronica protesta, ma domani dovranno partire presto per andare ad Aurora, così deve desistere.

«Ti adoro, mia dolce sorellina»
Sussurra al mio orecchio la cugina più giovane, abbracciandomi molto forte.

«Anch’io vi adoro»
Guardo le mie amiche uscire dal locale, ho l’istinto di ordinare da bere, ma devo mettermi in macchina: ho intenzione di rincorrere i miei sentimenti. Queste folli cugine hanno ragione: quel ragazzo è riuscito a *scuotermi dal mio sonno e riattivarmi il cuore.*

* sono le parole di una bellissima canzone: Eccoti, di Max Pezzali


**angolo dell'autrice**
dedico questo capitolo a: TheWinchesterGirl e Vanny_Winchester =D
allora, che ne pensate?? Riuscirà Jessica ad abbattere il muro che si è creata per non soffrire? Dean potrà essere il suo principe azzurro?
leggete i prossimi capitoli e lo scoprirete <3
un abbraccio a tutti!

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Capitolo 5
*** Finalmente insieme ***


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Punto di vista: Dean

Un altro giorno qualsiasi, un’altra caccia come tutte le altre. Da circa una settimana non riesco più a trovare sollievo in cose che di solito me lo davano: bere, fare sesso, mangiare. Ogni cosa, ogni stramaledetta azione che compio, mi ricorda un paio di occhi chiari, bellissimi e lucenti, appartenenti a una ragazza incantevole: dolce come il miele, bella come un fiore, ma aggressiva come una tigre. Come ho potuto lasciarla andare? Perché non le ho detto di venire con me? Sono davvero un’idiota. Sammy, fratellino, grazie di avermi fatto aprire gli occhi ieri sera. (nda: Vane tuo marito è il fratello più intelligente a volte eheeh)

«Dean! Non posso crederci, sei sempre il solito»

«Sammy esci! Non vedi che sono con una ragazza?!»
Mio fratello si allontana dalla soglia della porta e sparisce nel resto della stanza.

«Purtroppo lo vedo, quello però che mi fa andare in bestia è che questa ragazza non sia Jessica»
Continua, con un tono di voce visibilmente alterato.

«Io vado, chiamami»
Guardo appena la mora, mentre indossa i suoi vestiti; mi limito a dire “ciao Karen” e lei risponde “mi chiamo Krystal”.

«Sam, sei proprio un guasta feste»
Affermo, una volta che la ragazza è uscita. Non mi dispiace veramente che mio fratello mi abbia interrotto sul più bello, sarebbe stato il solito squallido sesso, ma non lo ammetterò mai.

«E tu, Dean, sei uno stupido idiota»
Mi risponde mio fratello e lo sento aprire il frigo, probabilmente sta per bersi una birra.

«E tu sei uno stronzo»

 «Già, sono uno stronzo, ma almeno non infilo la testa sotto la sabbia, o qualcos’altro da un’altra parte. Tu sei innamorato e invece che cercare quella ragazza, cosa fai? Scopi tutte quelle che passano»

«Io? Innamorato? Il mio unico amore è l’impala»

«Ma senti quello che dici?»
Questa discussione è durata fin troppo: mi infilo in bagno, almeno qui avrò un po’ di pace.

«Okay Dean, tu rimani lì.» la voce di Sam mi arriva ovattata per colpa della porta chiusa «Io vado nel paese qui vicino, dove una certa ragazza sta lavorando a un possibile caso»

«Come fai a saperlo?»
Dal tono della mia voce traspare una certa speranza, spero che non sia così evidente.

«è stata fotografata accidentalmente vicino alla scena di un possibile crimine o incidente, ma tu rimani pure qui: io vado e se riesco a farla ubriacare sarà facile sbattermela, quella puttana»
Quelle parole fanno assopire i neuroni nel mio cervello, apro con forza la porta del bagno e sferro un cazzotto a mio fratello.

«Che ti dicevo? Sei innamorato fratello. Ahia, che male…»
Sammy si appoggia la bottiglia ghiacciata sullo zigomo, mentre io mi rendo conto della verità nelle parole di mio fratello. Mi sono innamorato. Io, Dean Winchester, mi sono innamorato.

«Prova un’altra volta a parlare di lei in questo modo e ti vengo sopra con la macchina»

 
Punto di vista: Jessica
Mi lascio cadere pesantemente sul letto e mi sfilo le scarpe, usando i piedi. Rimango in posizione fetale, con la testa tra le mani, iniziando a piangere leggermente. Sto uscendo di senno, sono stressata e odio tutto. Ho sempre mal di testa, un nodo allo stomaco e ogni volta che impugno un’arma mi chiedo: “ma perché non mi faccio un favore e mi tolgo di mezzo?”
Ogni tanto la depressione torna a rovinarmi la vita, il passato tormenta anche a distanza di anni. Prima che me ne renda conto inizio a piangere convulsivamente. La mia mente corre ai vari coltelli, pistole e proiettili che tengo nascosti in camera. O esco per bere, oppure mi uccido in questa stanza.
Infilo di fretta un paio di ciabatte verdi e abbandono questa stanza pericolosa e tentatrice. Mi allontano il più possibile, corro così velocemente che è faticoso non perdere le infradito. Nell’aria respiro un odore di alberi misto a umidità, a breve dovrebbe iniziare a piovere. Ho i piedi doloranti, la maglietta blu appiccicata alla pelle, i pantaloni troppo stretti sono sul punto di strapparsi; non posso fermarmi, non devo bere alcolici o pensare al suicidio. Spero che correre mi faccia allontanare da quei pensieri nocivi, non devo permettere a tutte le persone che mi hanno fatto soffrire di perseguitarmi. Io sono forte, nessuno può farmi del male, non più. Devo pensare alle gioie della vita, all’amore, a Dean. Certo, probabilmente quest’ultimo è chissà dove con chissà quale sgualdrinella; sono proprio un’ipocrita: io sono una donna facile, non devo sentirmi superiore a nessuno.
Il mio corpo non risponde più, ho i muscoli che urlano e il respiro molto corto: devo fermarmi. Ho l'affanno, aspetto che il cuore mi pulsi meno freneticamente nel petto prima di concentrarmi sul paesaggio circostante (ho corso molto e devo capire dove sono). Vicino a me si trova un ponte, posso sentire l’odore di acqua stagnante. Merda, questo è il ponte che ha causato la morte di quelle persone, nessuno ha scoperto se si tratta di omicidi o di suicidi. Tutti sono propensi a considerarli omicidi, i famigliari sostengono che le vittime non avessero ragioni per togliersi la vita, come se la vita stessa non fosse una ragione. Non è un caso esilarante, anzi non sembra nemmeno un caso per me, ma avevo una sensazione. Balle: speravo che nella città vicina potesse trovarsi Dean, tenendo conto degli strani presagi e dell’annuale festa della birra. Sono una vigliacca, non volevo rimanere delusa e quindi ho preferito indagare su un caso senza fondamenti, invece che seguire il mio istinto e cercare il Winchester.
All’improvviso il vento mi schiocca forte sul viso, avverto una sensazione di freddo e istintivamente faccio scorrere la mano dietro alla schiena, in cerca della pistola. Porca puttana! Sono disarmata: ero così terrorizzata di poter attentare alla mia vita, da uscire senza portarmi niente. Peggio che morire per mano propria c’è solo essere uccisa da un mostro. Giro di scatto la testa, scappare è l’unica cosa saggia.
Troppo tardi.
Davanti a me si trova un fantasma, probabilmente è Camille McDonald, l’unica morte violenta di cui ho letto, avvenuta nei paraggi.

«Hey, non ti preoccupare. Sono qui per darti pace»
Mi investe un vento molto forte, mi fa cadere a terra e sbatto con violenza contro l’asfalto. Mi alzo difficoltosamente, cercando di non badare troppo al dolore.

«Non devi fare per forza del male, stronza»

«Ho solo aiutato la gente. Passavano su questo ponte con il desiderio di buttarsi, ma non avevano la forza per farlo, così gli ho dato una mano. Ti darò io pace»


Punto di vista: Dean
La mia bambina sfreccia per queste strade, asfaltate per miracolo, mentre nelle orecchie rimbomba una delle mie canzoni preferite. Sam, seduto accanto a me, analizza quello che ha scoperto. Secondo lui non è un caso per noi, sostiene che un paesino piccolo e quasi desolato deve essere semplicemente nocivo alla sanità mentale, meglio così: potrò concentrarmi solo su Jessica.
Quando scorgo in lontananza il ponte che dista meno di un chilometro dal centro abitato, iniziano a sudarmi le mani e il mio cuore fa un tuffo nel petto. Continuo ad accelerare e a rallentare, non vedo l’ora di arrivare, ma allo stesso tempo sono agitato. Sam mi fissa, porca troia, ho gli ormoni in subbuglio peggio di un adolescente.
Faccio appena in tempo a riconoscere la figura della mia ragazza, si la considero questo, prima che si butti dal ponte.

«No!»
Grido e accelero così bruscamente che la macchina protesta. Quasi esco dalla macchina prima ancora che si sia fermata completamente e mi precipito nel punto in cui prima si trovava Jess, mi rifiuto di pensare che sia morta.

 «Aiuto!»
Il mio cuore torna a battere quando avverto quella voce, mi sporgo e la vedo: bellissima, dolce, con una luce particolare negli occhi. Mi allungo e afferro la sua mano, così morbida e delicata. Non lascerò mai andare la sua mano.

Punto di vista: Jessica

Non mi importa dei graffi, del dolore generale, dell’essere a piedi scalzi su un asfalto bollente. Non sento sfinimento, tristezza, ansia, paura. Mi specchio negli occhi dell’uomo più bello che esista, il calore che avverto semplicemente guardandolo è indescrivibile, mi fa dimenticare ogni pena.

«Jessica, come stai?»
Smetto di guardare il maggiore e mi volto verso Sammy, è davvero in apprensione e con un dolce sguardo. I loro genitori hanno fatto proprio un ottimo lavoro.

«Ciao Sam, ora sto benissimo»
Mi sorride e apre la portiera dal lato del passeggero, invitandomi a entrare; forse avrà intuito che il fratello è troppo impegnato a guardarmi per mettere in moto il cervello. Sorrido e mi accomodo nell’auto, stare in questa macchina con loro mi provoca un enorme piacere.





**angolo dell'autrice**
scusate il ritardo, scrivere non è una cosa automatica u.u almeno ho sfruttato il mio stato d'animo per mandare avanti la ff
allora allora, che ne pensate?? finalmente Dean ha capito cosa prova per Jessy, si sono finalmente ritrovati e... adesso? Tranquilli, ci saranno molte cose da leggere xD
grazie e un bacio a mio marito (Dean) mia moglie (TheWinchesterGirl) mia cognata (Vanny_Winchester) il marito di mia cognata, mio cognato (Sam_Winchester) e ovviamente a tutte le mie sorellina

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Capitolo 6
*** Viaggio, destinazione Italia ***


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NDA: Non ho riletto molto come al solito perchè avevo voglia di aggiornare, quindi scusate gli errori...


prossimamente…

«Jessica… allora… dovremmo lasciarci»

«Credo che tu abbia ragione»
 
Oggi

È successo tutto così in fretta, non avrei mai creduto che sarei arrivata a questo punto. Solo adesso mi accorgo di quanto fossi sola; sarà stupido a dirsi, ma mi sento parte di una famiglia finalmente. Dean e suo fratello Sam sono gentili, dolci, disponibili, un’ancora di salvataggio nei periodi difficili.
 
 Mi rigiro nel letto, voglio assicurarmi che Dean sia ancora lì: ho l’insensata paura di svegliarmi e scoprire che era tutto un sogno.
La stanza è immersa nel buio, saranno le tre di notte o giù di li. Mi scopro dal lenzuolo perché comincio a sentire caldo, accarezzo delicatamente i capelli del fratello maggiore e un sorriso mi si disegna sulle labbra. Avverto un leggero movimento da parte sua, mi ritraggo per paura di svegliarlo. Troppo tardi.

«Hey, cosa succede?»
Sussurra, afferrando la mia mano. Un brivido mi percorre la schiena, capisco da questo che mi sta guardando. Ogni volta che il suo sguardo incontra una parte del mio corpo, mi sento letteralmente attraversare da una scossa elettrica.

«Scusa, non volevo svegliarti»
Gli mormoro all’orecchio, iniziando a regalarli delicati baci sul collo. Dopo qualche secondo si impossessa delle mie labbra. Le nostre lingue iniziano una danza in perfetta armonia, ogni parte del corpo che mi sfiora con le sue mani prende fuoco. Non andiamo oltre i baci solo perché condividiamo la camera con Sam, purtroppo c’era solo questa stanza. Purtroppo.  

 
        ***una settimana dopo***


«Lungo, quasi interminabile» Sbadiglio e con la mano libera mi massaggio le tempie. «Tesoro sono molto stanca, ti chiamerò appena mi sveglio»

«Potrai permetterti un posto carino dove dormire?»

Sbuffo e scuoto la testa.

«Ti ho detto che non ho mai venduto casa mia, sarà solo un po’ polverosa»

«Quando mi avresti detto questo…?»

«Tre giorni fa, quando Diana mi ha chiamato per chiedermi aiuto»
Nessuna risposta, sono così stanca che non riesco a formulare frasi di senso compiuto.

«Ci sent…»
Le luci del lampione sopra la mia testa iniziano a tremolare. Mi si paralizza la voce, deglutisco rumorosamente e chiudo la comunicazione con un gesto secco della mano. Infilo il telefono in tasca e cerco in valigia il mio coltello: non ho potuto portare altre armi in aereo. Mi guardo in torno, pronta a scattare al minimo rumore.
Sento dei passi alle mie spalle, mi volto di scatto, ma qualcuno è più veloce di me: mi colpisce il polso e la mia unica arma cade a terra.




Punto di vista: Dean (facciamo un passo indietro nella successione cronologica)
Jessica è partita da nemmeno un’ora e già sento la sua mancanza. Avrei affrontato un lungo viaggio in aereo pur di starle vicino, ma lei mi ha chiesto di non venire. Ha detto: “Devo affrontare i fantasmi del mio passato da sola” “Non starò molti giorni” “Non ti chiederei mai di affrontare un lungo viaggio in aereo”. Avevo capito che erano tutte scuse, non mi voleva tra i piedi ed è troppo educata per dirmelo chiaro e tondo. Ma perché? Cosa mai vorrà tenermi nascosto?

«Se continui a bere così, quando tornerà ci troverà in ospedale perché dovrò donarti una parte del mio fegato»
Mi volto verso mio fratello e rispondo alzando un sopracciglio.

«Prendo quello che ha preso lui»
Sam si siede accanto a me, sposta i capelli ormai troppo lunghi dietro alle orecchie e aspetta il suo drink.

«Allora fratellino, c’è qualche caso per noi?»
Chiedo, prima di bere tutto d’un sorso la mia vodka liscia, senza ghiaccio; la prima volta che ci siamo incontrati lei ha ordinato lo stesso drink.  

«Non sei nelle condizioni di lavorare»
Risponde secco, facendomi roteare gli occhi. Passiamo parecchi minuti in silenzio, mentre nel locale la gente non smette di parlottare, ridere, litigare.  

«Vuoi parlarne?»

«Non c’è niente di cui parlare, Sam»
Mi sento in colpa per il tono che uso, ma sono quel tipo di persona che si sfoga, che parla, io preferisco tenermi tutto dentro e affrontare le cose a modo mio.





 
Il cellulare mi strappa da un sonno leggero, non finisce nemmeno il primo squillo che ho già risposto.

«Jessica! Ciao, come stai?»

«Bene! Spero di non averti svegliato, sei stato tu a pregarmi di chiamarti appena possibile… »

«Stavo impazzendo, avevo bisogno di sentirti»

«Mi manchi molto anche tu.»

«Com’è andato il viaggio?»

«Lungo, quasi interminabile»
La sento sbadigliare, avverto il bisogno di baciare quelle dolci labbra.

«Tesoro sono molto stanca, ti chiamerò appena mi sveglio»

Perché sei andata oltreoceano?! Per venire a salvarti mi ci vorrebbero quasi otto ore. Se potessi tornare indietro non ti lascerei partire da sola.   

«Potrai permetterti un posto carino dove dormire?»
Vorrei dirle i miei timori, vorrei pregarla ti tornare subito da me, ma non riesco a chiederle altro. La sento sbuffare.

«Ti ho detto che non ho mai venduto casa mia, sarà solo un po’ polverosa»

«Quando mi avresti detto questo…?»

«Tre giorni fa, quando Diana mi ha chiamato per chiedermi aiuto»
Ricordo perfettamente quel momento: mi sono sentito mancare la terra sotto i piedi. La mia ansia è ridicola: lei è la donna più forte, più testarda, più protettiva, più generosa, più compassionevole, più capace che abbia mai conosciuto eppure non ho potuto evitare di preoccuparmi a morte.

«Ci sent…»
La comunicazione è interrotta in modo improvviso. Deglutisco a fatica, velocemente la richiamo, venti, trenta squilli, ma nessuna risposta. Butto il telefono a terra e raduno le mie cose: non c’è tempo da perdere.
 

 

 **angolo dell'autrice**
eccomi tornata! Scusate il capitolo breve, ma doveva finire così. xD
Lasciate una recensione, un bacio a mia moglie e a mia sorella *-*
alla prossima!

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Capitolo 7
*** Solo tu puoi salvare l'umanità ***


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 Punto di vista: Jessica

Il coltello mi cade dalle mani, davanti a me riesco a riconoscere dei lineamenti femminili: i capelli sono morbidamente lisci, gli occhi color ghiaccio sembrano dotati di luce propria e le labbra carnose sono contratte in un leggero sorriso.

«Diana!»
Esito un po’, ma alla fine la stringo in un abbraccio a senso unico: le sue braccia rimangono lungo i fianchi. Faccio qualche passo indietro, velocemente raccolgo il mio coltello e lo metto in tasca.

«Sei lenta, ti stai arrugginendo»
La sua voce è piatta, neutrale, sembra provenire da un luogo lontano. La fisso attentamente, qualcosa in lei mi sembra fuori posto, ma non riesco a capire cosa.

«Sono qui, perché mi hai chiesto di venire con tanta urgenza?»
La mia voce è ugualmente pacata e controllata, qualcosa in me mi spinge a non abbassare la guardia.

«Avevamo bisogno di allontanarti per un po’ dai Winchester, abbiamo delle cose molto importanti da discutere»

«Non riesco a capire… di che cosa parli? Come sai il loro cognome?»
La mia mano corre in cerca del coltello, intanto faccio qualche passo indietro, ma vado a sbattere contro due “persone”.

«Non devi aver paura, non vogliamo farti del male»
I due tizi alle mie spalle mi tengono stretta; in pochi secondi non sono più in mezzo alla strada, ma in una casa buia e abbandonata.

Punto di vista: Dean

Sam non mi ha permesso di guidare, secondo lui ero troppo sconvolto. “Sconvolto” è dire poco: sono arrabbiato con Jessica e con me stesso, spaventato a morte all’idea di perderla e mi sto già preparando a una trattativa con un demone degli incroci. Se Jessy dovesse morire, non esiterei un attimo a vendermi l’anima per avere anche solo un minuto da passare con lei.
Continuo a chiamarla, ma non risponde. Alla decima volta che riprovo mi sale una tale rabbia che scaravento il cellulare sui sedili posteriori. Mio fratello non dice ancora niente, capisce che nessuna delle cose che potrebbe dire mi farebbero stare meglio.

«Non perdere la testa; se Jessy è in pericolo, ha bisogno che tu rimanga concentrato»

«Sam?», lascio echeggiare per un po’ il suo nome nell’aria «Vai a fanculo»
Nell’auto cala un silenzio quasi assoluto, l’unico rumore è quello prodotto dai tergicristalli: ha iniziato a diluviare.  

Punto di vista: Jessica

«Qualunque cosa tu sia, esci da lei!»

«Mi ha dato il suo consenso»
Mi risponde l’essere dentro la mia amica, mentre gli altri due mi spingono su un letto polveroso.

«Trattatela con delicatezza»
La creatura dentro la mia amica è riuscita a storpiare del tutto la sua voce; Diana ha sempre avuto un tono di voce dolce e comprensivo, una simile freddezza non le appartiene.

«Tanto non è ancora…»

«Non importa, non deve esserci ostile»
Non so cosa vogliano da me, ma qualunque cosa sia non la otterranno nemmeno comportandosi in modo gentile.

«Jessica, tu hai fede?»

Un Déjà vu, forse il più vero della mia vita: Diana mi fece la stessa domanda, con lo stesso tono, solo in una circostanza molto diversa. Non riesco a trovare niente di sensato da dire, così temporeggio:

«Domanda troppo generica»

«Tu hai fede in Dio?»

«Preferisco pensare che Dio non esista piuttosto che credere che ci farebbe vivere in queste condizioni»

«Lui esiste e ha bisogno del tuo aiuto per salvarci tutti, sei l’unica che può salvare l’umanità»


 

**angolo dell'autrice**
eccomi tornata! Dedico questo capitolo a Diana, la bellissima cagnolina della mia "sorellona" <3
Allora, curiosi? *-*
grazie della lettura e della recensione, alla prossima!

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Capitolo 8
*** Memoria ***


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Sangue. Dolore. Sangue. Dolore. Sangue. Dolore.

I minuti sono scanditi dal battito del mio cuore; ogni secondo che passa dalle mie ferite fuoriesce un tessuto connettivo fondamentale alla sopravvivenza: il sangue.

Non ricordo cosa c’era prima, il mio unico ricordo è il dolore, tanto dolore.

Ogni respiro diventa sempre più difficoltoso, mi basterebbe poco per mollare e in poco tempo annullerei ogni sofferenza, ma qualcosa che non riesco a identificare mi spinge a non cedere alla stanchezza.

«Jessica»

Una voce, che al mio corpo sembra familiare, ma alla mente no, mi chiama con rilevante preoccupazione.

«Jessica, mio dio, svegliati!»


Il mio corpo reagisce a quella richiesta.
Aprire gli occhi è difficoltoso, ma alla fine riesco e mi trovo a specchiarmi in un paio di occhi splendenti come gli smeraldi.

«Ciao tesoro! Ti libero subito, resisti»

Mi trovo al centro di una stanza, debolmente illuminata; davanti a me ci sono due uomini, molto affascinanti: uno alto e muscoloso, l’altro ha occhi magnetici, capelli lucenti e labbra seducenti. Sfiora la mia mano per slegarmi i polsi e la mia pelle si incendia, ma è una sensazione bellissima dopo tanta sofferenza.

Davanti agli occhi mi passano delle immagini, dei ricordi, delle emozioni molto intense.

«Ecco»

Mormora, appena mi ha liberato dalla corda che mi teneva inchiodata a una sedia, vecchia e imbrattata di rosso. Cerco di appoggiare un piede per terra, ma appena ci provo un dolore lancinante mi sale fino alla rotula. Tiro un urlo intenso che riecheggia nel silenzio quasi assoluto della casa, ricado pesantemente sulla sedia e mi appoggio le mani sulla gamba dolorante: qualcuno mi ha fratturato la tibia. Mi sale un conato, ma il dolore per la rottura della gamba lo fa passare in secondo piano.

«Chiunque sia stato, pagherà»

La voce dell’uomo muscoloso è dura, quasi di pietra.

«Vieni, piano»

Appena l’uomo dagli occhi magnetici appoggia le sue mani sul mio corpo, mi tornano alla mente altre informazioni, troppe tutte insieme.

«Dean»

Mormoro, la mia voce è appena un sussurro, prima di perdere i sensi.

 

***

Non c’è dolore, non ci sono ansie o paure. So perfettamente di non essere morta, sono sotto l’effetto di qualche antidolorifico: mi è successo tante volte.
Avevo dieci anni quando un demone uccise la mia famiglia, da allora ho avuto a che fare con mostri, sovrannaturali e umani, che mi hanno fatto sperare con tutta me stessa che fosse vera la frase “Dio è morto”.
Quando quel demone si introdusse in casa mia, segnò la fine della mia infanzia. Sono dovuta crescere molto in fretta, in dieci minuti circa.
Avevo chiamato la polizia, due agenti erano arrivati, ma qualcosa di strano era successo: i corpi insanguinati e dilaniati dei miei genitori erano scomparsi. Mi avrebbero domandato il motivo della mia chiamata, ma come potevo spiegare quello che era successo?
Non mi fecero domande, invece; prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai in terra, uno di loro era sopra di me e l’altro faceva un filmato. Stava per stuprarmi, ma una luce accecante ci circondò e quando tutto torno nella semioscurità, ero rimasta sola. Presi le mie cose e scappai. Andai a stare da uno zio di famiglia che mi accolse senza fare domande, lui era un cacciatore: mi insegnò tutto ciò che c’è da sapere e a soli undici anni cacciavo, molto spesso da sola. Era un ubriacone, ho rischiato l’osso del collo un trilione di volte, ma almeno avevo un tetto sulla testa e cibo caldo nello stomaco.

Riprendo coscienza in maniera fulminea. I ricordi del mio passato bruciano, come se fossero marchiati a fuoco sulla mia retina. Mi ritrovo catapultata in una stanza dalle pareti bianche, anonime, tutto in questa stanza trasmette sterilità.

«Jessica!»

Dean mi abbraccia, stare tra le sue rassicuranti braccia fa diminuire l’adrenalina che ho in circolo. Dopo un tempo infinitamente breve, ci sciogliamo dall’abbraccio e l’ansia torna ad avvolgermi, più stretta di una morsa.

«Dean, che è successo? Perché sono qui? Non, non posso… io, io devo andare via. È importante, devo fare una cosa, Dean io…»

Inizio ad agitarmi, così Dean è costretto a tenermi ferma o rischio di strapparmi i punti e la flebo.

«Hey, calmati. È tutto apposto»

«No! Niente è apposto! Lasciami andare, devo fare una cosa: è importante!»
 

Nella stanza entra un medico, seguito da un paio di infermiere.

Mi iniettano qualcosa, ben presto inizio a sentirmi debole, ho le palpebre pesanti e tutto diventa scuro.

 

L’incoscienza non dura molto questa volta; quando apro gli occhi, mi trovo davanti due uomini che non ho mai visto. Uno ha occhi di un colore indefinito, capelli castani pettinati all’indietro e un sorrisetto stampato in volto. L’altro ha profondi occhi blu, capelli mori e un trench a coprirli il fisico magro e asciutto.

«Chi siete voi? Che cosa volete?»

Mi ritraggo con espressione terrorizzata: sono ancora sotto shock.

«Quindi non ti ricordi quello che è successo in quella casa?»

«è tutto confuso…»

«Allora dobbiamo ripresentarci: io sono Gabriele, l’arcangelo, e questo è Castiel, il mio… definiamo socio»

 

**angolo dell'autrice**
scusate il ritardo >.<
allora, che ne pensate? Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Non dire è mentire? ***


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Non ricordo molto di quello che è successo in quella casa, so solo che gli Angeli mi hanno rapito perché hanno dei “progetti” per me. Angeli, sul serio? E poi cosa salterà fuori: la fatina dei denti?
Gabriele e Castiel sostengono di avermi salvato la vita perché sono contro simili piani, ma non hanno voluto dirmi niente, a parte che devo portare un particolare ciondolo che impedisce a tutti gli Angeli – tranne ai miei presunti salvatori- di trovarmi. Come se non bastasse l’eccessiva fiducia che mi chiedono, hanno preteso che tenessi la bocca chiusa. Omettere delle informazioni di questa portata alle persone che amo no, mai. Accetto tutto, ma non di mentire.
Per questa ragione Gabriele mi ha tolto la parola e non appena cerco di dare qualche segnale, mi blocca la mente e cado in uno stato di semi incoscienza.Tutti pensano che sia per colpa del trauma se non parlo e ogni tanto sparisco nei miei pensieri, ma la ragione è tutt’altra.
Sbuffo, in modo silenzioso, e torno a concentrarmi sul paesaggio fuori dal finestrino: soffici nuvole si rincorrono in cielo, sospinte da un vento delicato. Tengo il finestrino abbassato, l’alta velocità della vettura mi fa scompigliare i lunghi capelli. Fisso gli alberi, così alti che sembrano toccare il cielo.


***


Dean ha telefonato alle mie migliori amiche, quelle che sono come delle sorelle per me, e così sono circondata da persone cui voglio bene e che devo veder soffrire. Tutti si muovono intorno a me come se fossi fatta di vetro, misurano ogni parola e il tono della voce; cosa darei per potergli dire la verità: sto bene, sono qui, ma posso solo specchiarmi nei loro occhi e ricambiare i loro abbracci.

«Amore, siamo arrivati a casa»

“La mia casa è ovunque ci siano le persone che amo”. Vorrei dire questo, ma posso solo annuire e aprire la portiera. Non faccio fatica a camminare con le stampelle: non è la prima volta che mi rompo una gamba.
Il cacciatore tira fuori le chiavi e apre il portone; Dean va dritto verso il pulsante, per chiamare l’ascensore, io invece indugio sul grande specchio che riflette una donna spenta, fin troppo esile e con una gamba ingessata.
Questo specchio mi ha riflesso nei momenti peggiori della mia vita, come quando fui costretta a scappare dall’unica abitazione che mi avesse mai fatto sentire al sicuro.
Quella volta lo specchio aveva rimandato l’immagine di una ragazzina spaventata, sperduta, mezza svestita e con le prime ferite risultato di violenze fisiche.
Gabriele e Castiel mi hanno rivelato che la luce che aveva impedito il mio stupro era angelica, una cosa ancor più terribile del fatto stesso sarebbe successa se i demoni fossero arrivati fino in fondo.
I Demoni avevano posseduto dei poliziotti e il loro compito era di inserire il seme del male nel mio utero. Essi sapevano che nel mio grembo, in un futuro non troppo lontano, sarebbe cresciuto un bambino in grado di distruggerli per sempre. Non mi hanno detto perché gli angeli hanno lasciato che arrivassero così vicino al loro scopo, ma l’ho capito da sola: se la mia famiglia non fosse morta, non sarei diventata una cacciatrice e non avrei mai conosciuto Dean. Si, perché lui dovrà essere il padre di questo fantastico bambino.

«Hey, tutto bene?»

La voce di Dean mi strappa ai miei pensieri, adesso lo specchio riflette anche la sua immagine. Mi volto verso di lui, lascio andare le stampelle e incornicio il suo volto con le mie mani. Lo bacio, profondamente e con passione. Lui mi accarezza i capelli, io muovo le labbra per pronunciare la parola “ti amo”, ma non esce nessun suono. Dean mi bacia ancora e poi mormora un “anch’io, con tutto il cuore” così vero e profondo da farmi diventare gli occhi lucidi.

***

L’ascensore ci porta fino al settimo piano, quello in cui si trova il mio appartamento. Dean fa girare la chiave nella serratura ed entriamo in casa.

«Ciao! Jess, vieni sono riuscita a preparare un po’ di caffè e devi dirmi se è buono come quello che si beve qui in Italia»

La voce di Niky è l’unica che ci accoglie. In questa settimana Vanessa e il fratello minore di Dean si sono avvicinati molto, l’attrazione che li lega è palpabile.
Quando raggiungo Veronica, mi limito a sorriderle, appoggio le stampelle per terra e mi siedo, lasciando che il profumo di caffè mi inebri. Nei suoi occhi meravigliosi come il mare riesco a cogliere la delusione: spera sempre che ricominci a parlare, dipendesse da me lo farei subito.
Niky si siede di fronte a me, mi porge una tazza di caffè e non smette di fissarmi. Afferro la tazza, bianca con alcuni chicchi di caffè disegnati sopra; sto per appoggiare le labbra, ma poi l’allontano dalla bocca, con un movimento così secco che per poco la bevanda non esce fuori.

«Che succede? L’odore è così cattivo?»

Mi chiede mia sorella, non di sangue, con voce alta e veramente preoccupata.

«No, ma si sta chiedendo se tu abbia lavato la tazza»

Non è una voce a lei familiare, così il suo istinto da cacciatrice scatta. Tira fuori la pistola e si mette tra me e la creatura, con uno sguardo glaciale che usa solo durante la caccia. Mi alzo dalla sedia, senza appoggiare del tutto la gamba ingessata. Niky cerca di farmi restare buona e seduta, ma non ho alcuna intenzione di prestarle attenzione. Fisso l’arcangelo e lui ricambia il mio sguardo.

«Gabriele, non ho cambiato idea»

Finalmente sono padrona della mia voce: per una persona che difficilmente riesce a stare in silenzio, è un piacere incomparabile riottenere l’uso della parola.
Dean appare sulla soglia della cucina, spara un colpo alle spalle di Gabriele, ma non gli fa nemmeno il solletico.

«Salve Dean Winchester, è un piacere fare la tua conoscenza finalmente»

L’Arcangelo si volta verso il cacciatore, mentre Niky mi stringe la mano: vorrebbe abbracciarmi, ma non è una situazione consona a un simile gesto.

«E tu chi cazzo sei? Chissà perché ho la netta sensazione che tu c’entri qualcosa con il silenzio di Jessica»

«Molto perspicace»

«Io ti ammazzo»

Niky si avvicina alla creatura, coltello in mano, le urlo di fermarsi, ma è tutto vano: un rumore secco e la mia amica cade atterra, con il collo spezzato.

«No!»

Grido, con tutta la voce che ho in corpo. Provo una rabbia così intensa, un odio così profondo che nasce solo quando qualcuno uccide una persona a te cara. Uno strano calore invade il mio corpo, mi sento debole e cado in terra, vicino al corpo di Veronica. L’energia calda sembra fuoriuscire dal mio corpo e avvolgere il cadavere di Niky.

«Allora è vero»

Sussurra Gabriele, mentre Dean corre vicino a me senza prestare più la dovuta attenzione alla creatura nella stanza. Fisso il corpo della mia amica, è inerme sul pavimento in pietra.
Poi, a un certo punto, il suo braccio si muove e i suoi occhi si aprono, tornando a brillare.




**Angolo dell'autrice**

Eccomi qui! *si nasconde per l'incredibile ritardo*
spero che almeno il capitolo sia carino e sia valsa la pena aspettare.
buona serataa!

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