Porcelain

di R e n e g a d e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wanna see the Charatcers?! ***
Capitolo 2: *** 1. Wrongs ***
Capitolo 3: *** 2. Rebirth ***
Capitolo 4: *** 3. My Charlotte, his Charlotte ***
Capitolo 5: *** 4. For the love of a daughter ***
Capitolo 6: *** 5. Sascha ***
Capitolo 7: *** 6. Fresh Air ***
Capitolo 8: *** 7. Revelations ***
Capitolo 9: *** 8. Against ***
Capitolo 10: *** 9. Since you hate everything I feel ***
Capitolo 11: *** 10. How can I stop waking up? ***
Capitolo 12: *** 11. Wrong ideas, wrong solutions ***
Capitolo 13: *** 12. Broken Pieces ***
Capitolo 14: *** 13. Abandoned ***
Capitolo 15: *** 14. The hole in my apologies ***
Capitolo 16: *** 15. Encounters and conflicts ***
Capitolo 17: *** 16. The angry farewell ***
Capitolo 18: *** 17.And tell me: how I've lost my power? ***
Capitolo 19: *** 18. In front of the Court ***
Capitolo 20: *** 19. Hugo ***
Capitolo 21: *** 20. Drop dead doll ***
Capitolo 22: *** 21. Don't look at me like if I were dead ***
Capitolo 23: *** 22. I know more than you about love ***
Capitolo 24: *** 23. Why do you have to go and make things so complicated? ***
Capitolo 25: *** 24. Help, my heart it's beating like a hammer ***
Capitolo 26: *** 25. We are a damn square ***
Capitolo 27: *** 26. All I want for Christmas is you ***
Capitolo 28: *** 27. All's fair in love and war ***
Capitolo 29: *** 28. Double Date ***
Capitolo 30: *** 29. Unanswered ***
Capitolo 31: *** 30. A silence that speaks ***
Capitolo 32: *** 31. Hanging by a thread ***
Capitolo 33: *** 32. Music is the reason why I know time still exists ***
Capitolo 34: *** 33. Do you see what I see? ***
Capitolo 35: *** 34. Sometimes love is not enough ***
Capitolo 36: *** 35. Women always says the opposite of what they want ***
Capitolo 37: *** 36. Tryin' to find air to breathe again ***
Capitolo 38: *** 37. I could go to Hell for you ***
Capitolo 39: *** 38. Every choice you make will affect you ***
Capitolo 40: *** 39. I'm falling all over myself ***
Capitolo 41: *** 40. And I am your forevermore ***
Capitolo 42: *** 41. Torn ***
Capitolo 43: *** 42. You're just a memory to let go of ***
Capitolo 44: *** 43. Maybe there's beauty in goodbye ***
Capitolo 45: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Wanna see the Charatcers?! ***


Da un'idea di Giuls, diamo a Cesare quel che è di Cesare, ho pensato di fare un mini collage con i volti che mi sembrano più adatti per i miei personaggi ^^
Here you are:





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Capitolo 2
*** 1. Wrongs ***


1. Wrongs

Köln. 1995, 18 Agosto.
Venni al mondo, urlando, piangendo, scalciando con le mie piccole gambe.
Ero entrata in un mondo oscuro dal quale mia madre non avrebbe più potuto proteggermi completamente. E questo lo capii già a tre anni.
Una piccola bambina dai capelli neri, scuri come la pece, gli occhi verdi e le lentiggini sparse sulle guance e sul piccolo nasino. Una bocca fina dalla quale sparare sentenze era sempre stato facile.
Fin troppo intelligente per i miei coetanei, da sempre. Immersa in un mondo di fantasia rilegato in tantissimi libri differenti.
Ero estranea a tutti loro.
Al loro linguaggio scurrile, a quelle feste, allo sballarsi.
Ero estranea a tutto quanto che non fosse arte.
Ero un'adolescente strana, lo ammetto. E questo era causa di disperazione per la mia normalissima famiglia. A volte pensai seriamente che mia madre avrebbe preferito vedermi tossica piuttosto che con la testa immersa in un libro qualunque.
Le mie feste di compleanno erano sempre state deserte. O meglio. Di chi invitavo io non veniva mai nessuno. E per questo condividevo da sempre il mio compleanno con quella che avrei dovuto considerare come una sorella.
Charlotte.
Lei era come una bambola di porcellana, delicata, elegante e perfetta.
Pelle diafana, occhi chiari, capelli rossi e ricci, un corpo chiuso in un corsetto di un vestito bianco da bambola.
E dal primo momento in cui la vidi riuscii a scorgere delle crepe su quella pelle liscia e perfetta.
Crepe che continuava a tentare di nascondere. Eppure io le vedevo, e ci vedevo attraverso.
La sentivo. La sua anima chiamava la mia. Esattamente come la mia chiamava la sua.
Ci legava una data che nessuna delle due poteva dimenticare.
Nate nello stesso giorno da due madri amiche.
Le coincidenze della vita.
E per me, piccola ragazza incapace di adattarsi, lei era sempre stata la luce.
Il mio tutto.
Lei era la mia migliore amica, da sempre. Anzi, era la mia unica amica.
E mi aggrappavo a lei con tutte le forze, con le unghie e con i denti, perchè infondo era da sempre stata la mia vita.
Eravamo cresciute l'una accanto all'altra, nelle nostre diversità e forse proprio per questo eravamo stato sempre unite. Indivisibili.
L'una la spalla dell'altra. O almeno così mi era sempre sembrato.
Quella sorta di affetto che avevamo l'una per l'altra cambiò man mano nel tempo senza che nessuna delle due potesse controllarlo, per un motivo o per l'altro.
Il mio si tramutò inevitabilmente in qualcosa di più profondo e radicato. Il suo in qualcosa di angosciante, ammorbante. Un sentimento che riusciva solo a farle male, ad inacidirle il cuore.
La vidi cambiare sotto i miei occhi fino a non vederla più.
La bambina dagli occhi chiari e i capelli ribelli di un rosso anomalo divenne presto una ragazza con lo sguardo ammaliante, dai capelli perfetti e lucenti.
La sua pelle chiara un tempo segnata da lividi infantili da gioco divenne presto levigata, liscia e perfetta.
Il suo esile corpo veniva sempre più spesso racchiuso in abiti da bambola che la rendevano un'essere sovrannaturale.
Al suo fianco la sciatta ragazzina dai capelli neri con i jeans sdruciti e la maglietta nera degli "Alice in Chains" passava molto più che inosservata.
Diventava la sua ombra.
Qualcosa che c'era costantemente, che tutti davano per scontato, e che non si curavano di calpestare.
In tutta quella delicatezza, in tutta quella perfezione la mia Charlotte non c'era più. Sparita sotto un cumulo di cipria, sotto un cumulo di parole che mai avevo sentito uscire dalle sue labbra.
In quel periodo non sapevo, io non sapevo nulla di quello che aveva procurato quel cambiamento. Perchè lei si era staccata da me. Perchè lei si era tenuta il dolore per sé.
Eppure lo vedevo. Io lo vedevo.
Vedevo la sofferenza in lei, persino mentre sorrideva.
Vedevo quelle crepe che continuava a nascondere e sapevo che stava morendo dentro.
E per quanto lei tentasse di allontanare tutti sapevo che in realtà era proprio del contrario che aveva bisogno.
Fingeva, costantemente. Eppure continuava ad aggrapparsi a me tanto da farmi male, tanto da trascinarmi nel fondo, nell'abisso più tetro.
Avevamo solo quattordici anni quando riuscii a dare un nome al mio bisogno costante di lei. Amore.
Era una parola che mi riempiva le labbra e faceva sobbalzare il cuore.
Avevo letto così tanti romanzi sull'amore che ero sicura che lo avrei riconosciuto sempre in netto anticipo.
Eppure nessuno sa descrivere veramente l'amore. No, non è tutto rosa, non è tutto fiaba e cuoricini.
Fa male, ti distrugge, ti confonde. Fa piangere.
La amavo perchè la sua anima mi aveva sempre chiamata e la mia le urlava contro affinché la afferrasse.
Avrei voluto stringerla a me sempre, sentire il suo profumo sui miei vestiti, affondare il volto nei suoi capelli.
La amavo più di quanto avessi mai amato me stessa e proprio per questo rigettavo l'idea di un tale sentimento.
L'amore non ha sesso. L'amore è solo amore.
Ero innamorata di una donna, sì.
E mi distruggeva la consapevolezza di quanto fosse sbagliato.
Sbagliato perchè lei non avrebbe mai potuto amarmi allo stesso modo.
Perchè nei suoi occhi non c'era il bagliore che avevo io nei miei.
Avevo avuto intenzione di dirglielo un giorno.
Ma le cose arrivano sempre nei momenti meno propizi.
E la mia cosa al momento sbagliato fu Noah.
Un anno più grande di noi, occhi azzurri magnetici, capelli biondi e costantemente scompigliati.
Immaginai dovesse essere un bel ragazzo agli occhi di tutti. Infondo lo era anche agli occhi di Charlotte.
Quel giorno chiusi, blindai, quel sentimento nel mio cuore.
Il mio amore segreto seppellito nel centro dell'Oceano.

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Capitolo 3
*** 2. Rebirth ***


2. Rebirth

Scuola Superiore di Köln. 2011, Settembre.
Cambio quartiere, cambio scuola
Nuovi volti, nuove vite, nuove emarginazioni.
Nuova gente da ammaliare per Charlotte.
Un vestito rosa pallido comprensivo di corsetto stringeva il corpo di lei. I soliti pantaloni sdruciti, le Converse nere, e la maglia nera abitavano sul mio corpo.
Io dietro di lei, come sempre.
Quel giorno incontrammo per la prima volta Noah.
L'armadietto di Charlotte si trovava vicino al suo ed il mio esattamente dalla parte opposta del corridoio.
Un sorriso trentadue denti ed una mano tesa.
Il sorriso di Charlotte, gli occhi che sbrilluccicavano e la voce vellutata che pronunciava il suo nome.
Il mio mondo che cadeva in pezzi.
Quegli occhi che spesso si erano posati su di me ora avevano un bagliore che non conoscevo, vi era qualcosa che non ci avevo mai visto dentro.
Interesse.
Un bagliore che mai e poi mai lei mi avrebbe rivolto, lo capii in quell'istante.
E mentre il mio cuore si agitava, sempre più confuso, le mani iniziavano a tremare chiudendosi in due pugni che avrei tanto voluto scagliare contro Noah solo per il fatto che esistesse, solo per il fatto che avesse osato venire al mondo.
E fu a quel punto che potetti dare un nome definito ad una nuova sensazione: gelosia.
La mia piccola Charlie non mi aveva mai dato alcun motivo per esserlo davvero. Ammaliava tutti ma non cadeva nella rete di nessuno.
E allora nel mio cuore c'era stato posto solo per disperazione e invidia nei casi più relativi alla questione.
Ed ora fitto nel cuore c'era quel mondo sconosciuto ed insensato.
Perchè forse conoscevo veramente troppo a fondo Charlotte per non sapere quanto Noah avrebbe segnato le nostre vite, in due modi differenti.
E sicuramente modi che non ci aspettavamo.
Li vidi allontanarsi senza neanche aver ascoltato una delle loro parole, troppo assordata dal rumore dei miei pensieri per rendermi conto di qualsiasi altra cosa.
Recuperai la mia cartella nera disastrata e mi avviai dietro di loro. Un'ombra perfetta che seguiva ogni lezione di Charlotte.
Li seguii in silenzio a testa bassa, come ogni volta che camminavo d'altronde, ascoltando le loro voci ovattate in lontananza a confronto con la guerra nel mio piccolo cervello inutile.
I passi dei due ragazzi si arrestarono, i miei pensieri no, e la mia testa si scontrò contro una schiena dura, ampia.
Ed ecco il bel volto di Noah acchiappare anche il mio sguardo mentre si volta stupito, sorride divertito e poi sposta lo sguardo su Charlotte.
-Oh, lei è Kaja, è una mia amica- la voce vellutata di lei mi raggiunge mentre Noah si volta verso di me e sorridente mi porge la sua mano.
-Noah, piacere-
E' questo il nostro primo incontro per come lo ricordo.
Arrossii, come ogni dannata volta, sembravo essere condannata a farlo, e allungai timidamente la mia piccola mano fino a stringerla flebilmente con la sua.
-Piacere- un lieve sussurro che non ero neanche sicura avesse udito.
Ecco un altro difetto. Timidezza.
Abominevole timidezza.
Non ero abituata a socializzare, tanto meno a parlare molto. Neanche con lei parlavo così tanto, infondo.
Un altro piccolo sorriso di lui ed il mio odio crebbe, sconfinato.
Perchè non solo sembrava essere un bel ragazzo ma era anche simpatico e cordiale.
Gli occhi di lei scintillarono attirando la mia attenzione. Avrebbero mai scintillato così guardandomi?
Certo che no Kaja. Sogni ad occhi aperti.
Abbassai lo sguardo sentendo nel frattempo il veleno arrivarmi alle labbra, seccandole. E forse dovrei persino ringraziarlo quell'odio.
Perchè quel giorno, dopo diciassette anni, l'ombra decise che sarebbe stata un pò meno tale.
Tirai dritto passando esattamente fra loro due mirando all'entrata della classe qualche metro più a fondo.
Io, Kaja, ero uscita da quel ruolo per qualche secondo e mi ero sentita viva come non mai.
Mi ero sentita Kaja come mai prima. Avevo un nome, mi ero dimenticata di averlo, e avevo deciso che lo avrei portato a testa alta.
Perchè per liberarmi di Noah avrei dovuto smetterla di essere la ragazzina dietro Charlotte ed iniziare ad essere una normale ragazza, una comune amica, che guarda in alto quando cammina e non i piedi dell'altra neanche fosse uno zerbino.
Mi voltai verso di loro posando lo sguardo su Charlie.
-Arriveremo in ritardo- la voce più alta di quanto mai avessi immaginato di poterla avere.
Di un livello comune, sorprendente.
Mi voltai, non li aspettai.
Entrai in quella classe e da quel momento iniziai veramente a vivere, oltrepassai quella soglia con il cuore che urlava, piangeva, e scalciava nel petto eppure non faceva poi così male.

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Capitolo 4
*** 3. My Charlotte, his Charlotte ***


My Charlotte, his Charlotte


La pioggia batteva incessantemente da giorni su Köln.
Avevo sempre più l’impressione che il cielo volesse essermi vicino piangendo lacrime che io non osavo versare.
Noah era entrato ormai a far parte della quotidianità di Charlotte e di conseguenza anche della mia.
Per quanto le cose potessero essere cambiate lei restava in ogni caso la donna che amavo e separarmi da lei sarebbe forse stato peggio che smettere di respirare.
Ogni ora passata con lei mi donava aria uccidendomi allo stesso tempo.
Per quanto le urlassi contro il mio amore a pieni polmoni lei non riusciva ad arrivare al fondo per sentirlo. Anzi, lei Kaja non la vedeva neppure.
E quell’amore nei suoi occhi così placido e nuovo che si rifletteva in quelli di Noah mi regalava un dolore che mai avevo conosciuto.
Con ansia crescente attendevo il compimento del grande passo per poter incidere RIP sul cuore.
Il loro sentimento cresceva all’interno della solita incertezza che ti fa dubitare del cuore dell’altro. Non potevo negare al mio cuore che esisteva da ambo le parti.
Eppure in quei tre mesi io avevo smesso di odiare lui. Credo fosse davvero impossibile odiare Noah.
Aveva un sorriso per tutti, lui c’era per tutti. E tacitamente iniziai a considerarlo come il mio migliore amico per quanto poi fossimo rivali in amore.
Ma questo infondo lo sapevo solo io.
Credo che fosse lo stesso per lui nei miei confronti fin da subito.
Mi mostrava costantemente affetto ricevendo davvero poco in cambio.
Eppure avevo sempre l’impressione che riuscisse a vedere fra le crepe del mio cuore esattamente come io riuscivo a farlo con Charlotte.
Era un affetto silenzioso il nostro. Un tacito assenzo palpabile.
Lo respiravamo entrambi sapendo che in qualche modo poi sarebbe maturato.
Ero affacciata alla finestra con la fronte poggiata al vetro.
Avrei voluto essere lì fuori, sotto la fredda pioggia. Forse lei poteva lavarmi via di dosso tutto quel mondo sotterraneo.
Il cuore in tempesta si ribellava all’idea di non potersi sfogare come il cielo ed io tentavo di tenerlo a bada quando gli occhi si spostarono sulla strada.
La sua chioma rossa leggiadra riparata da un piccolo ombrellino rosa, il corpo nascosto in un cappotto nero dal quale uscivano le gambe avvolte in calze color ciliegia.
Muoveva la testa divertita ma lo sguardo era fisso su qualcosa che non riuscivo a vedere.
Poi la chioma rossa si spostò rivelando, sotto una cascata bionda, il dolce e familiare volto di Noah.
Una mano che si spostava delicatamente dietro la schiena di lei attirandola a sè con un’accuratezza che credevo inesistente.
Anche lui sapeva quanto fosse delicata la mia Charlotte e per questo la trattava con cura come la bambola che lei si sforzava di essere.
L’altra mano si spostò sfiorandole il volto prima di attirarla a sè per stringerla. I loro sguardi si fusero in un silenzio carico di sentimenti.
Il loro primo bacio. Una promessa suggellata fra le labbra davanti a due occhi che mai avrebbero voluto vederlo.
La risata soave di lei si levò nell’aria mentre lui la stringeva a sè consapevole di averla resa sua. La sua Charlotte.
Avrei voluto spingere le dita negli occhi ed impedirgli di vedere.
La mano si strinse a pugno sulla tenda prima di chiuderla con violenza. Mi voltai verso la mia stanza.
Tre secondi di morte silenziosa e poi corsi alla porta chiudendola a chiave.
Accesi lo stereo a tutto volume e mi sentii invadere dall’intro della canzone.
Mi misi le mani fra i capelli lasciando che la mia voce si fondesse con quella di Lacey Mosley in uno screamo di dolore.
Urlai con forza fino a ferirmi la gola per poi rendermi conto che qualcuno bussava violentemente alla mia porta.
Mi voltai e la aprii mentre la voce di mia madre riempiva inutilmente l’aria.
-Kaja sei forse impazzita?- ammutolì immediatamente trovando il mio volto sconvolto da un dolore che non sapeva appartenermi.
La fissai quasi terrorizzata. Inforcai la felpa nera sul letto ed infilandomela velocemente corsi fuori dalla stanza gettandomi sulle scale.
-Kaja dove vai? E’ freddo fuori, Ka...- la voce scomparve dietro la porta bianca sbattuta con violenza.
Mi strinsi nella felpa e mi voltai verso la destra. Erano ancora lì.
La mano di lui in quella di lei, i loro sguardi incrociati, un silenzio che pesava sul mio cuore.
Alzai il volto al cielo lasciando che la pioggia mi bagnasse il volto e poi scattai verso di loro. Corsi fra loro dividendoli.
-Kaja?!- la voce di Charlotte giunse allem mie orecchie. Mi voltai e piantai i miei occhi sconvolti in quelli di lei facendola sobbalzare dalla sorpresa.
-Cos'è successo?- le loro mani ora erano divise e Noah mi porgeva la sua preoccupato.
Mosse un passo verso di me e persi nuovamente il controllo.
-Stammi lontano!- il mio urlo lo immobilizzò. Il suo sguardo stupito assunse improvvisamente un'espressione preoccupata.
Voltai loro le spalle scuotendo la testa prima di scattare via. Lontano da loro.
Presi a correre il più veloce che potevo fino a trovarmi nei pressi del Parco.
Arrestai la mia corsa portandomi una mano sulle labbra prima di iniziare a singhiozzare senza controllo.
Mi guardai attorno confusa portandomi la mano sul cuore. Lo sentii esplodere sotto la superficie.
Mi inginocchiai a terra e tornai a piangere fuori controllo.
Non so dire per quanto rimasi lì preda di uno sconvolgimento interiore che non sapevo controllare. So solo che improvvisamente tutto divenne nero.
Il mio corpo perse le sue forze accasciandosi a terra. La mente persa in un buio oblio che per quanto spaventoso non faceva male. Il dolore lì non c’era. Svanito come nebbia sotto il sole di Mezzogiorno.
In quell’incoscienza non mi resi quasi per nulla conto di quanto stesse succedendo attorno a me.
In seguito seppi che mentre fuggivo lontano da Charlotte e Noah mia madre era uscita dalla casa tentando di fermarmi per capire cosa fosse successo fuori dal suo dominio.
Lo scenario che si era ritrovata davanti doveva averla inquietata molto da quanto mi raccontarono visto che corse verso di loro in preda al panico.
-Cos' è successo?- Charlotte dice che in quel momento la sua voce è risultata molto più acuta di quanto l’avesse mai udita.
-Non lo so...- la preoccupazione sul volto di Noah posso immaginarla molto bene nel modo in cui lei l’ha descritta.
Il resto è molto confuso anche nel racconto che mi hanno dato della vicenda ma in ogni caso l’unica cosa certa e che Noah abbia deciso di seguire le mie orme provando a raggiungermi.
Non me ne resi conto correndo che lui non era poi così distante da me.
Credo anche che mi abbia visto accasciarmi a terra piangendo mentre mi correva incontro, ed ovviamente mi raggiunse quando ormai avevo perso i sensi.
Nell’incoscienza percepii delle braccia stringermi anche se non seppi dargli un volto in quel momento.
Sentii un calore avvolgermi ed il terreno sparire sotto di me.
Sono sicura di aver aperto gli occhi in qualche occasione accontentandomi di una visione sfuocata di un volto contornato da capelli biondi.
-Kaja? Kaja rispondimi, ti prego...-
Sentii a più riprese questa voce invocare il mio nome ma mai riuscii a dargli una risposta.
Ovviamente era Noah a tenermi fra le sue braccia, lui a parlarmi, lui terrorizzato che correva verso casa mia.
E fu sempre lui a stendermi sul letto per coprirmi con le coperte.
Restai lì per un paio d’ore, a quanto mi hanno detto, prima di riaprire gli occhi sul mondo.
Accanto a me c’era Noah, una sua mano stretta nella mia, l’altra che mi sfiorava delicatamente la fronte.
-...Noah...- la voce roca riempì il silenzio, lo vidi sobbalzare per poi avvicinare il volto al mio carezzandomi con più delicatezza. I suoi occhi fissi nei miei che a malapena lo vedevano, la presa sulla mia mano si fece più salda.
-Hai la febbre- sussurrò al mio orecchio con dolcezza crescente.
Mi stupii di tutto quell’affetto e credo anche di essere arrossita. Ma forse ero già rossa a causa della febbre.
Mentre la mia mente vagava nel vuoto avevano trovato persino il tempo di chiamare un dottore. Febbre nervosa, così aveva detto.
Di certo la pioggia e il freddo presi non avevano giovato alla mia salute.
Sempre parole testuali del medico, a quanto pare.
Trovai un rimasuglio di forza per stringere la mano di Noah.
Sì, lo avevo odiato correndo verso il Parco eppure... eppure lui era lì, lui c’era per me, non si era scollato da lì, mai.
E questo scatenò un’infinita dolcezza nel mio cuore.
Mi resi conto di volergli persino più bene di quanto osassi ammettere. Ma questo non cambiava di certo la nostra situazione, anzi. La rendeva dannatamente più complicata.
Feci pressione su i gomiti tentando di alzarmi ma prontamente le mani di lui si posarono sulle mie spalle costringendomi giù. Non che ci volesse molto sforzo per tenermi a bada.
-Il dottore ha detto che devi riposare. E noi seguiremo esattamente le raccomandazione del dottore.-
Sorrise prima di darmi un dolce bacio sulla fronte, poi si fece improvvisamente più serio. Indovinai dal suo sguardo cosa stesse passando nella sua mente.
Era combattutto. Non sapeva se chiedermi di nuovo cosa fosse successo o se lasciar correre.
-Kaja... cosa...- si interruppe prima di sospirare, immagino temesse di peggiorare la situazione chiedendomi di parlarne.
Mi strinse più forte la mano ed ammutolì.
-Nulla di importante.- la voce rauca ruppe di nuovo il silenzio tentando di essere convincente. Gli occhi di quella voce si stupirono vedendo il nervosismo passare sul volto di Noah come un lampo.
-Nulla di importante? Qualcosa che ti riduce in un letto non è qualcosa di non importante.- mi fissò negli occhi intensamente facendomi trasalire. Inventarsi una scusa convincente, presto, velocemente ma non troppo.
-Mi manca mio padre.-
Verità. Ma che scorrettezza usare la cartuccia del padre morto, Kaja.
Mi fissò colpito prima di abbassare lo sguardo, mi carezzò nuovamente la fronte calda ed annuì.
-...Perdonami.- i suoi occhi azzurri velati di dispiacere ed io che mi sentivo morire per aver usato una mezza verità a questo modo.
Sì, mio padre mi mancava. Era sparito da appena un anno. Ma non era giusto usare la sua memoria come scusante. Non è giusto neanche ora che riguardo al passato.
La febbre nervosa mi costrinse a letto per una settimana e la presenza di Noah era incredibilmente costante ogni volta che aprivo gli occhi.
Non mi lasciò quasi mai in quei giorni ma non disse più neanche una singola parola su quanto successo.

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Capitolo 5
*** 4. For the love of a daughter ***


4. For the love of a daughter


Iniziai a sentirmi un pò come la Terra che ruota costantemente attorno al Sole.
Il Sole era lei, Charlotte, che brillava sempre di luce propria, così tanto da scottarsi da sola. Ed iniziai a vedere Noah come la Luna che placidamente si lascia illuminare dal Sole ricongiungendosi a lui ogni giorno in un momento quasi perfetto.
E così la Luna brillava anche sulla Terra, nel suo cielo, che continuava a sperare di poter arrivare, un giorno, in alto quanto loro.
Di quanto successo continuammo a non parlare mai, nè io e Noah, nè io e Charlotte.
Non ebbi mai dubbi sul fatto che fra di loro ne avessero parlato, leggevo la colpa nei loro occhi.
La colpa di qualcuno che prova a nascondere qualcosa con tutta la propria forza.
Ho imparato che nascondere le cose non serve a niente, le rende solo molto più evidenti.
Abbassavano lo sguardo, mi evitavano, fra loro doveva persino esserci un tacito accordo e iniziava a farmi male l’impossibilità di non poter parlare di quanto accaduto.
Il fatto che le due uniche persone della mia vita a cui avrei potuto confidare il mio malessere fossero le stesse a cui per lo stesso motivo non potevo dire nulla iniziava a distruggermi.
Avrei voluto rifugiarmi fra le braccia di qualcuno, sentire la sua calda stretta sul cuore alleggerendolo del suo peso.
Avrei voluto perdermi qualche secondo, smettere di pensare e di sentire il dolore affiorare all'improvviso, come una fitta.
Ricordo quei giorni come i più dolorosi della mia vita, fino ad adesso.
Suppongo che mia madre riuscisse a vedere quanto tentassi di raccogliere i cocci di me stessa continuando a tagliarmi nel tentativo.
Sedevamo a cena una di fronte all'altra nel più assoluto silenzio, fino a quando i miei occhi iniziavano improvvisamente ad inumidirsi.
A metà della prima settimana dopo la guarigione fisica capii qualcosa che mi ripromisi di non scordare mai più in vita mia.
Era una sera come le altre, sedute al tavolo, col mio dolore che spingeva in tutti gli angoli per uscire fuori e schiantarsi contro tutto e tutti.
-Kaja, parliamone...- la voce calda di mia madre mi costrinse a spostare lo sguardo su di lei, vidi la sofferenza colpire il suo cuore facendole inumidire gli occhi.
Soffriva perchè soffrivo io.
Ero io a farle tutto quello? Inclinai la testa di lato confusa, e finalmente diedi una risposta a quel corpo esile difronte a me.
-Di cosa?- era poco più di un sussurro, ma bastò per far crollare i nervi di lei.
Vidi le sue mani tremare prima che un singulto le spezzasse il fiato con tanta violenza da farmi credere che si sarebbe spezzata lì, davanti ai miei occhi colpevoli.
-Cosa ti è successo, Kaja? Dimmelo... ti prego, lasciati aiutare- la sua voce sommessa mi colpì con la stessa potenza di uno tsunami di acqua gelata.
Sobbalzai e la raggiunsi dall'altro lato del tavolo, mi inginocchiai a terra prendendole le mani con dolcezza.
Non era con lei che potevo parlare di me, del mio dolore.
Perchè ero certa di arrecargliene uno più grande del mio con la verità.
-Mamma io sto bene, non devi preoccuparti...- tentai inutilmente di rassicurarla.
La vidi balzare dalla sedia con lo sconcerto negli occhi.
-Non stai bene Kaja, credi che non veda i tuoi occhi riempirsi di lacrime? Credi che non lo veda il tuo dolore? Sono tua madre!- mi lasciò senza fiato e prima che potessi rendermene conto iniziai a piangere soffocando nel tentativo di inghiottirle tutte ancora una volta.
Non la vidi neanche spostarsi davanti a me, inginocchiarsi per raggiungere la mia altezza, sentii solo la sua calda stretta sul mio corpo.
Crediamo sempre che i nostri genitori non possano capirci eppure nel dolore sono gli unici a comprenderci davvero.
Ci leggono dentro perchè siamo la loro carne, è il loro sangue a scorrerci nelle vene. Siamo una cosa sola.
Ed era esattamente come mi sentivo io in quel momento, una cosa sola con lei.
Due anime afflitte da un dolore differente eppure identico.
Ci stringemmo con forza, affondammo il volto l'una nella spalla dell'altra, piangemmo con tutta la violenza che avevamo usato per nasconderci, e ci raccontammo in silenzio tutto quello che avevamo taciuto.
Non ricordo di aver mai spiegato a mia madre, a quel tempo, perchè stessi così male, credo che mi sembrasse inutile dirglielo.
Lo sapeva già, a modo suo.
Mi capiva talmente affondo da rendere le parole inutili stratagemmi per riempire un silenzio sputasentenze.
E fu lei a darmi quello di cui avevo più bisogno in assoluto.
Affetto, una stretta nei momenti di sconforto.
Il sostegno giusto per tirare avanti, ancora.
Mi diede la consapevolezza che per un amore non corrisposto non si può morire.
Dal giorno dopo la vita mi sembrò di nuovo più leggera. Ed il sorriso si affacciò di nuovo sul mio volto, inconsapevole di quanto sarebbe stata breve quell'apparizione.

Ricordo un pomeriggio qualunque in cui la neve aveva iniziato a lambire i contorni della città assopendola con dolcezza.
Camminavo al freddo guardandomi attorno con una serenità nuova e passeggera.
Avevo deciso di tornare lentamente indietro, illudendomi di poter cancellare qualche episodio della mia vita.
I miei piedi si arrestarono all'inizio del Parco in cui l'ultima volta avevo pianto le mie amare lacrime.
Sorrisi raggiungendo il punto esatto che ricordavo dalla mia ultima visita ed alzai lo sguardo verso il cielo.
Sentii qualcosa di freddo accarezzarmi il volto ed aprii gli occhi, una piccola foglia, venuta da chissà dove, era scivolata sulla guancia sinistra arrossata dal freddo.
La raccolsi da terra con delicatezza portandomela davanti al volto.
Era secca, morta, delicata e fragile esattamente come mi sentivo io.
Era così rossa al centro da emanare energia, nel suo essere morta continuava a sprigionare forza, era viva, aveva voglia di vivere.
Pulsava sotto il contatto della mia pelle quel rosso sangiugno, sentivo la sua voglia di vivere mentre si arrendeva al destino che la natura aveva deciso di riservarle.
Era fuoco, puro. Ero io. Morta fuori, così debole e fragile eppure così piena di voglia di vivere da sentire il fuoco bruciare le membra, sotto la pelle.
Così piena da sentirmi esplodere.
-Kaja, che ci fai sotto la neve?- la voce calda di lui giunse alle mie orecchie, mi voltai e sorrisi socchiudendo gli occhi.
Senza farglielo vedere nascosi la foglia nella tasca del giacchino e gli corsi incontro.
Il suo sorriso mi accoglieva riscaldandomi, come ogni volta.
-Potrei farti la stessa domanda, lo sai?- risi affiancandolo mentre riprendeva a camminare.
In qualsiasi luogo stessimo andando, ci saremmo andati assieme.
-Non sono io quello che si è beccato la febbre l'ultima volta- si voltò verso di me facendomi una linguaccia spiritosa.
Il mio miglior amico, il mio nemico, lui. Noah.
Gli diede una botta sul braccio col gomito continuando a camminare ridendo.
-Allora dove stavi andando?- chiesi spostando lo sguardo verso di lui.
-Da te- il suo sguardo si fece serio per qualche secondo facendomi arrestare il passo mentre inarcavo un sopracciglio.
-Da me?- chiesi confusa mentre il sorriso tornava ad affacciarsi sul bel volto di lui.
-Sono passato a casa tua e tua madre mi ha detto che eri uscita, ho pensato potessi essere qui...- mi strinsi nelle spalle, mi conosceva davvero bene, ma non gli avrei mai dato la soddisfazione di compiacersi di questo.
-E come mai mi cercavi?- fingevo indifferenza mentre il cuore mi batteva all'impazzata nel petto.
-Avevo voglia di vedere la mia migliore amica, ti pare?- rise spettinandomi i capelli con una mano, poi mi accarezzò una guancia e si voltò per tornare a camminare lasciandomi indietro interdetta dal suo comportamento.
-E volevo invitarti alla festa che darò la prossima settimana a casa mia, sabato alle nove, ci stai?- si voltò verso di me alzando il pollice col suo solito modo bambinesco di scherzare.
-Scemo, certo che ci vengo- risposi raggiungendolo saltellando accanto a lui.
Silenziosamente ci allontanammo nel parco, l'uno di fianco all'altra.
Ed io che non riuscivo più a vedere come disgrazia l'incontro dei nostri destini.

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Capitolo 6
*** 5. Sascha ***


5. Sascha


La vita è una puttana.
Le piace giocare con i cuori fragili, con le esistenze in bilico.
Le piace soprattutto ferirci tutti, è sadica e agisce sempre quando meno te lo aspetti.
Rilassati e qualcosa prima o poi ti investirà come un camion.
Ero serena, lungi dall'essere felice, ma serena.
Nulla era cambiato per la mia situazione ma nonostante tutto la negatività stava lentamente scemando lasciandomi un vago senso di rilassatezza.
Commisi l'errore di adagiarmi in quello stato di parziale non curanza e lo pagai amaramente in uno dei modi peggiori.
La vita aveva scelto una via tortuosa, apparentemente limpida eppure buia come l'universo per colpirmi.
Aveva deciso di ferirmi dove non sarei riuscita presto a curarmi.
Erano precisamente le otto e quaranta quando fissai lo sguardo sul mio riflesso allo specchio, mi rivolsi un'occhiataccia schifata per il vago tentativo di sembrare una donna e sospirai.
Troppo tardi per cambiarsi, troppo tardi anche solo per pensarci.
Avevo raccolto i capelli indietro in una coda ordinata e avevo racchiuso il mio corpo esile e dall'aspetto, ai miei occhi, malaticcio in un corpetto nero che Charlotte aveva deciso di regalarmi, sotto un paio di leggins stretti di pelle e ai piedi delle semplici Converse.
Almeno quelle le avevo scelte io.
Il trucco nero cambiava quasi la conformazione del mio volto, tutto merito del tocco esperto della mia dolce metà nelle profonde fantasie che portavo avanti.
Sospirai ed uscii di casa senza neanche una parola rivolta verso mia madre.
Suppongo fossi troppo nervosa anche solo per pensare a dire 'ciao', e mia madre questo lo sapeva.
Mi strinsi nel giacchino di pelle uscendo all'aria fredda della notte che già abbracciava l'intera città nella sua oscurità a tratti squarciata da deboli luci bianche dei lampioni.
Mi guardai attorno e vidi la chioma rossa di lei scintillare persino in quella penombra, mi avvicinai col sorriso migliore che riuscii a cacciare fuori e prima che potessi rendermene conto eravamo nella macchina con sua madre.
Il viaggio fu una tortura per tutte e tre, o almeno suppongo fosse così anche per loro.
Il silenzio regnava sovrano, nessuno di noi ebbe il coraggio di spezzarlo mai.
Ci fermammo davanti alla casa di Noah e prima che avessi anche solo il tempo di respirare Charlotte mi trascinò giù dall'auto sbattendo la portiera con non curanza.
Osservai sua madre e le accennai un sorriso salutandola con la mano.
Nessuna risposta.
Spostai lo sguardo sulla porta della casa mentre il cuore mi arrivava in gola.
Ora ero certa che qualcosa non andava nella famiglia di Charlie ed ero certa che non me ne avrebbe mai parlato.
La guardai attonita per qualche secondo fino a quando non si voltò verso di me accogliendomi con un sorriso, uno dei suoi magici sorrsi.
Ricambiai alla meglio ed entrammo nella casa lasciandoci avvolgere dalla musica penetrante.
C'erano molte persone, a dire il vero erano anche troppe per una come mei che di socializzazione non conosceva neanche i rudimenti base.
Trascinata da Charlotte girammo quasi tutta la casa prima di trovare Noah.
Vidi i suoi capelli biondi ondeggiare da lontano, sentii persino la sua risata sovrastare la musica nella mia testa ed improvvisamente mi sentii sollevata.
Si voltò verso di noi giusto in tempo per vederci arrivare, ci accolse col suo caldo sorriso e ci venne incontro.
-Eccoti finalmente!- continuò a sorridere stringendo a sè Charlotte per poi darle un bacio sulla guancia, poi mi rivolse uno sguardo interrogativo per poi scoppiare a ridere.
-Oddio Kaja, non ti avevo riconosciuta!- mi prese una mano e mi costrinse a fare un giro su me stessa mentre la mia faccia assumeva almeno dieci tonalità differenti di rosso.
-E' stata un'idea di Charlie...- quasi fosse una giustificazione abbassai lo sguardo mormorando quelle parole.
-Bhè, allora ha avuto un'ottima idea la nostra Charlotte, sei splendida - mi sorrise prima di darmi un bacio sulla fronte.
Si voltò verso i suoi amici che non avevo mai visto.
Il complimento di Noah mi aveva turbata. Splendida.
Probabilmente attribuivamo un significato differente alla stessa parola.
Nella mia mente ero lontana anni luce da quell'aggettivo che avevo attribuito sempre e solo alla persona che avevo al fianco.
Abbassai nuovamente lo sguardo senza rendermi conto che le presentazioni erano già iniziate.
Mi persi gran parte dei nomi due secondi dopo che mi erano stati detti.
Posso dire ora di ricordarne in realtà solo uno. Dimenticarlo sarebbe probabilmente impossibile.
Allungò la mano verso di me ed abbozzai un sorriso goffo mentre gli stringevo la mano.
-Il mio nome è Sascha, piacere di conoscerti. Devo dire che la descrizione che Noah mi aveva fatto di te non ti rende affatto giustizia- mi sorrise mostrandomi la dentatura perfettamente bianca.
Spalancai gli occhi leggermente stupita. Noah gli aveva parlato di me?
-Oh, piacere di conoscerti... hm, sì anche Noah mi ha parlato di te- mentii spudoratamente sfoderando un sorriso da deficiente nel vano tentativo di imitare quelli di Charlotte.
Lui rise scuotendo la testa.
-Naaah, non è vero. Figurati se quel disgraziato ti ha parlato di me - mi guardò facendomi l'occhiolino accentuando il mio imbarazzo.
-Hm, io...- provai a ribattere ma mi interruppe prima che potessi dire qualcos'altro di veramente stupido.
-Non preoccuparti, sei stata carina a mentire- sorrise di nuovo ed io annuii.
Forse socializzare non era tanto difficile. O almeno non come me lo ero sempre immaginato.
Mi guardai attorno e solo in quel momento notai che i miei due unici amici erano spariti nella folla, probabilmente persi nella danza... o in altre attività.
-Ti va di ballare?- mi voltai verso la voce e mi stupii che fosse rivolta veramente a me.
Sorrisi ed accennai un sì per quanto fossi pienamente consapevole di essere un pezzo di legno sulla pista da ballo.
La mano calda di lui si insinuò nella mia e tre secondi dopo i nostri corpi si confondevano fra quelli degli altri.
I suoi occhi neri non si staccavano mai da quelli dei miei fissi su i suoi ricci color cacao.
Era davvero un ragazzo simpatico e di bell'aspetto.
Passai praticamente l'intera serata con lui a volteggiare sulla pista e a chiacchierare e la vita non mi sembrò mai semplice come in quel momento.
Ma tutte le cose migliori hanno un loro epilogo. Il più delle volte anche spiacevole.
Avevamo smesso di ballare da qualche minuto ormai, i nostri petti che si sollevavano ancora concitatamente mentre riprendevamo fiato.
Avevo persino qualche ciocca di capelli attaccata sul volto dopo che aveva deciso di uscire dalla gabbia in cui l'avevo racchiusa.
Guardai Sascha accanto a me e risi, non mi ero mai divertita tanto in vita mia.
Non avevo mai neanche immaginato che ballare fosse tanto divertente ed invece mi ero ritrovata a ballare come una pazza.
Altra cosa di cui probabilmente avrei dovuto ringraziare Noah.
-Che ne dici se adesso ci allontaniamo da tutta questa confusione e andiamo a parlare un pò?- mi sorrise attirando di nuovo la mia attenzione.
Ci riflettei su circa quattro secondi prima di annuire sorridente, gli presi la mano mentre me la offriva e lo seguii sul reticolo di scale.
Conosceva la casa di Noah come le sue tasche e mi condusse proprio alla stanza di quest'ultimo.
-Qui non verrà nessuno a disturbarci- mi disse sorridendo ammiccante.
Annuii oltrepassando la soglia di quella stanza ed iniziai a guardarmi attorno incuriosita.
Inutile dire che non ero mai stata nella stanza di un ragazzo prima di allora.
A quel tempo mi sembrò quasi un universo parallelo, aldilà delle mie immaginazioni.
Presa come ero dallo studio di tutti i particolari che abitavano quella stanza non mi accorsi che Sascha alle mie spalle aveva già provveduto a chiudere a chiave la porta creando un confine netto fra noi e l'esterno.
Le sue mani mi sfiorarono i fianchi ed il suo fiato si perse fra i miei capelli mentre mi attirava a sè.
Voltai la testa verso di lui per quanto possibile prima di allontanarmi dalle sue braccia che iniziavano a ricordarmi quelle di un polipo.
-Ah hem, Sascha io credo che tu abbia capito male... io credevo che volessi solo conoscermi meglio... non...- stupida Kaja, vero?
Si avventò su di me come una furia.
Mi prese un polso con violenza sbattendomi al muro con tanta forza da farmi perdere per qualche secondo la percezione della realtà.
-Fai tutta la santarellina adesso, eh? Ti sei strusciata a me tutta la notte ed ora fai pure finta che non è questo quello che vuoi?- la sua voce ridotta ad un ringhio.
Chi era quello sconosciuto che si accaniva sul mio corpo con tanta violenza?
Con chi diavolo avevo ballato per tutta la notte?
Possibile che due persone distinte abitassero nello stesso corpo?
Mi dimenai cercando di sfuggirgli mentre lui mi metteva sempre più all'angolo usando di volta in volta più forza.
Era evidente che non avrei mai potuto farcela contro di lui a livello fisico.
Probabilmente avrei dovuto ingannarlo usando l'astuzia per quanto mi trovassi a corto di fantasia.
-Va bene... sì... hai ragione. Volevo solo fare la preziosa... ma così mi fai male... ti prego Sascha...- lo guardai tentando di fingere che fossi sincera e chissà come quel folle ci credette.
Lasciò andare la presa e mi indicò la strada per raggiungere il letto.
Lo oltrepassai dirigendomi verso il materasso deviando all'ultimo istante la mia direzione.
Corsi contro la porta e tentai di aprirla imprecando contro me stessa.
Non lo vidi scattare dietro di me e colpirmi alla testa fino a quando sentii un dolore lancinante invadermi.
Mi ritrovai accasciata a terra, confusa, mentre le urla del ragazzo mi ferivano le orecchie.
Ricordo poco di quanto successe dopo.
Sentivo il volto bagnato probabilmente da lacrime che versavo senza rendermene conto.
Ricordo le mani di lui che mi prendevano in braccio trascinandomi a letto.
Ricordo la morbida consistenza del materasso ed il suo corpo sul mio.
Quelle stramaledette mani che mi percorrevano il corpo senza che potessi farci niente.
Le sue labbra che cercavano le mie mentre tentavo di rigettarlo all'indietro.
In un momento come quello un masso di 180 tonnellate mi sarebbe parso molto più leggero.
Mi aveva slacciato già una parte del bustino e dei leggins quando trovai la forza di ribellarmi ancora.
Con molta fortuna riuscii ad assestargli un calcio nella zona inguinale.
Lo sentii imprecare mentre sfuggivo da sotto le sue mani.
Impugnai al volo un'abat-jour puntandogliela alla testa.
Senza troppe cerimonie gliela spaccai sulla testa stordendolo per qualche secondo.
Giusto il tempo di recuperare la chiave da una tasca dei suoi pantaloni.
Con le mani tremanti riuscii ad inforcare la fessura solo dopo molti tentativi.
Spalancai la porta ed in quel momento si azzerò tutto.
Agii senza pensare, senza vedere veramente.
Corsi verso chissà quale meta fino a quando non mi trovai davanti una porta, la aprii e mi ci gettai dentro, senza neanche guardarmi attorno la chiusi alle mie spalle con la chiave appesa nella serratura.
A quel punto mi lasciai cadere a terra e continuai a piangere di delusione e rabbia verso quel bastardo che aveva provato a portarmi via una delle cose più importanti che mi restavano nella vita.
Solo qualche minuto dopo guardandomi attorno mi resi conto di trovarmi all'interno di un bagno.
Scattai verso la doccia e mi ci infilai sotto aprendo l'acqua.
Non volevo più sentire le risate della gente, la musica assordante, volevo il silenzio, volevo sentirmi al sicuro.
Volevo mio padre.
Continuai a singhiozzare senza controllo mentre l'acqua gelata tentava di lavarmi di dosso il calore delle mani di lui, mentre tentava di cancellare dalla mia mente le immagini di quel mostro.
Nel frattempo, senza che io sapessi nulla, Noah e Charlotte mi stavano cercando ovunque fra la gente chiedendo a tutti se mi avessero vista.
Girarono l'intera casa fino a che trovarono Sascha, anche lui intento a cercarmi.
-Dov'è Kaja? Non era con te?-
-Non lo so... è corsa via, credo abbia visto qualcosa o qualcuno-
Questo sommariamente doveva essere il discorso avvenuto fra i due prima che si separassero nuovamente.
Sascha con l'intenzione di trovarmi prima di loro.
Non so come fecero ma sentii all'improvviso qualcuno bussare alla porta del bagno.
Sobbalzai nel terrore di sentire la voce dell'altro ragazzo minacciarmi.
Ed invece fu la voce di Noah ad accogliermi, calda e dolce come sempre.
Anche se suonava preoccupato.
-Kaja, sei lì dentro? Sono Noah...-
Mi presi le gambe fra le braccia e affondai il volto fra le gambe singhiozzando.
No, non volevo vedere nessuno, neanche lui.
Non volevo che qualcuno sapesse di quanto successo qualche attimo prima.
E non considerai minimamente che potesse spaventarli una mia non risposta.
Sentii improvvisamente dei rumori provenire oltre la porta ed alzando lo sguardo mi resi conto che questa stava cedendo sotto i colpi di qualcosa.
Quando si spalancò rivelò la figura di Noah, completamente rosso in viso per lo sforzo.
Aveva sfondato la porta a spallate con l'aiuto di qualche altro ragazzo pur di raggiungermi.
Mi sentii riempire di gratitudine e di senso di colpa il cuore.
I suoi occhi si fissarono nei miei, non ci fu bisogno di dire nulla.
Mi corse incontro gettandosi sotto l'acqua per accogliermi fra le sue braccia.
Restammo così forse per qualche secondo, o qualche minuto.
Mi sembrò l'abbraccio più tenero del mondo, l'unico dentro il quale potevo sentirmi al sicuro come a casa.
Piansi sulla sua spalla raccontandogli con voce tremante quanto successo.
Lo sentivo fremere, da quella posizione potevo sentire il battito del suo cuore che accellerava.
Alla fine del racconto mi lasciò andare guardandomi negli occhi.
-Non succederà mai più- "ringhiò" a denti stretti prima di darmi un bacio sulla fronte.
Si alzò spegnendo l'acqua che aveva continuato a scorrere su di noi.
-Charlie, pensa tu a lei...- le sussurrò accarezzandole una guancia.
Mi corse incontro stringendomi a se come non aveva mai fatto.
In quel momento sentii il suo affetto per me riempirmi il cuore.
Mi alzai tremante e rovinai il momento più magico della mia vita.
Uscii dal suo abbraccio per correre dietro a Noah, lo raggiunsi giusto in tempo per vederlo mentre si accaniva sopra al corpo di un ragazzo che riconobbi come Sascha.
Quel verme era steso a terra e a stento si ribellava ai colpi di Noah.
Indemoniato.
Non credo di averlo mai più rivisto in quello stato.
Mossa da chissà cosa mi gettai su di lui da dietro.
Vidi il volto rosso di sangue di Sascha implorare pietà.
-Basta Noah! Finirai con l'ucciderlo!- urlai tentando di tirarlo a me mentre lui continuava ad assestare colpi al volto di quello che fino a poco prima era stato il suo migliore amico.
-E' quello che si meriterebbe!- mi urlò quasi contro inarcando la schiena per liberarsi della mia presa.
-Noah!- la voce di Charlotte sovrastò persino la musica che aveva continuato a pulsare nel sottofondo e solo a quel punto lui si voltò verso di lei e si fermò spalancando la bocca quasi stupito di vederla lì.
Lo lasciai andare e mi abbandonai a terra tremante.
Si voltò verso di me e mi prese il volto fra le mani ricoperte di sangue.
-Perdonami- i suoi occhi si fissarono nei miei facendomi sobbalzare.
Annuii flebilmente e tutto quello che successo dopo è un pallido ricordo soffuso.
L'arrivo dell'ambulanza per Sascha, la Polizia che ci interrogò e rinchiuse Noah in prigione per una notte, il tempo impiegato dai genitori per pagargli la cauzione, mia madre che mi stringeva fra le sue braccia prima di riportarmi a casa.
Quella notte non ebbi la forza di fare più nulla.
Lo shock continuava a trattenermi in un limbo di terrore, rabbia e dolore.
Ricordo le mani di mia madre che mi accarezzavano, che mi mettevano il pigiama dopo avermi asciugata con cura e le calde coperte che mi ricoprivano fino alla testa.
Poco dopo essere stata messa a letto si fece tutto buio e sprofondai fra le braccia di Morfeo sperando che quella serata fosse stata solo un orribile incubo.

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Capitolo 7
*** 6. Fresh Air ***


6.Fresh Air


Cosa ne fosse stato realmente di me non lo sapevo.
Continuavo a vedere il mio riflesso nello specchio e a non vedermici dentro. Occhi bui, profondi come pozzi, mi osservavano privi di ogni luce.
Io, lungi dall'aver subito il torto completo, non mi conoscevo più. Non osai mai immaginare che fine Kaja avrebbe fatto dopo una tale violenza.
Per ora se ne stava chiusa nel profondo senza accenno di vera vita.
Fissai quegli occhi spenti nello specchio tirando indietro i capelli mentre le mani di lui continuavano a viaggiarmi addosso, invisibili.
Vidi quegli occhi bagnarsi prima di sospirare. Due giorni.
Erano passati due giorni e tutto era ancora talmente vivo da farmi mancare il fiato.
La vibrazione del telefono attirò la mia attenzione, voltai lo sguardo e lo recuperai dal mobile lì affianco.
-Pronto?- la voce spenta riempì il silenzio mentre gli occhi tornavano sul volto smunto.
-Sono Noah, come stai?- la sua voce soffusa mi accolse come un caldo abbraccio dipingendomi sul volto un vago sorriso.
Sospirai spostando lo sguardo su i piedi.
-Meglio- mentii storcendo il naso, sospirò anche lui all'altro capo del telefono.
-Perdonami- il suo sussurro che si spezzava a causa del senso di colpa incomprensibile che lo attanagliava.
-Noah, non ho nulla da perdonarti- aggrottai le sopracciglia spostandomi da davanti allo specchio finendo col dargli persino le spalle, quasi come a rifiutarlo.
-La festa... lui era lì per colpa mia. Avrei dovuto proteggerti...- triste, di una tristezza scura come una notte senza stelle.
-Noah...- sospirai grattandomi la fronte sconfortata - Non potevi saperlo, ok? Non farti venire la sindrome da Clark Kent, ok?- mi abbandonai sul letto fissando gli occhi sul muro.
La sua risata mi fece sorridere -Ok...senti, che fai questo week-end? Niente feste, promesso.-
Aggrottai di nuovo le sopracciglia confusa -Credo nulla... cosa hai in mente?-
-Lo vedrai!- rise ancora, sentii lo schiocco delle labbra sul telefono, il suo solido modo di mandarmi un bacio a distanza, qualche secondo dopo lo sentii riattaccare senza darmi la possibilità di ribattere.
Sapeva che mi sarei opposta e voleva impedirmi di farlo fino a Sabato. Mi conosceva fin troppo bene.
Scossi la testa sorridendo ed abbandonai il cellulare al fianco riperdendomi nel bianco assordante della ricerca di me stessa.

Sabato mattina, ore 7.30
Un esplosione di vestiti riversata per la stanza, la valigia, perlopiù vuota, a terra e la disperazione dipinta sul volto.
Il dramma di dover partire senza conoscere la destinazione di arrivo.
Felpe e magliette o t-shirt e pantaloncini? Costumi?
Per quanto potesse essere freddo la possibilità di una Spa non potevo gettarla via.
Sabato mattina, ore 8.00
Il campanello trilla al piano di sotto, il cuore in gola.
Panico.
Mi guardai attorno confusa a un passo da gettare panni a casaccio nella valigia.
Il rumore dei suoi passi e il cuore che minaccia di esplodere.
Poi la sua voce soffusa mi arrivò alle orecchie ed un sorriso involontario si allargò sul mio volto.
Noah era decisamente il mio prozac.
La porta si spalancò su quella che un tempo era una normalissima stanza, panni ormai riversati ovunque anche in angoli a me sconosciuti.
-Ma che... è esplosa una bomba atomica qua dentro?- rise e mi guardò divertito.
"Beato lui che si diverte",pensai.
Mi voltai verso di lui con un sorriso sarcastico: -Come faccio a fare una valigia se non so dove andiamo?- sbottai incrociando le braccia.
-Ma dai... Kaja staremo via solo due giorni! Prendi qualcosa a caso... niente serate di gala- si grattò la testa e continuò a ridere della mia disperazione.
Sospirai ed infilai vestiti a caso nella valigia, la chiusi e voltandomi verso di lui tirai fuori la lingua.
-Ti odio- gli diedi una spinta leggera sulla spalla per poi ridere scuotendo la testa.
-Anche io- rispose lui continuando a ridere col suo piacevole modo infantile.
Scuotendo la testa lo seguii giù per le scale rifiutandomi di affidargli la mia valigia nonstante la sua insistenza di voler essere un galantuomo.
Salutai mia madre con un dolce abbraccio e raggiunsi il mio accompagnatore fuori dalla porta.
Mi affiancai a lui e fissai la strada completamente vuota interdetta.
-Scusa Noah... ma con cosa ci andiamo nel posto che non so?- chiesi alzando un sopracciglio mentre gli rivolgevo uno sguardo di sottecchi.
Il suo sorriso emblematico si stagliava lungo il volto imperturbabile.
-Con l'autobus, sciocchina! Come credevi di andarci? A quanto mi risulta non ho la patente... e neanche tu- si voltò verso di me col suo sguardo scherzosamente commiserevole.
Lo odiavo quando mi faceva sentire una povera scema.
Sospirai e mi arresi all'idea di affidargli la valigia per il tratto che ci separava dalla fermata dell'autobus.
Il reiligioso silenzio fra noi era qualcosa di nuovo per me, non capivo l'aria taciturna di lui e non nascondo che mi intimoriva.
Non osai parlare, continuai a seguirlo quasi terrorizzata all'idea che quel viaggio sarebbe passato nel completo silenzio.
Odiavo i tempi morti, i silenzi. A dire il vero li odio tutt'ora.
Mi mettono a disagio, mi fanno sentire inadeguata, una sensazione che con lui non avevo mai provato e che speravo di non dover provare ancora.
Ci fermammo alla panchina della fermata sedendoci entrambi, uno affianco all'altra.
Eppure continuavo a sentire la distanza fra noi, opprimente sul cuore.
-Che hai? Sei silenziosa- finalmente la sua voce invase il silenzio spezzandolo nettamente.
Mi voltai e gli regalai un sorriso, il meglio che riuscivo a cacciare fuori.
-Niente, credevo non avessi voglia di parlare- alzai le spalle spostando lo sguardo sul grigio asfalto.
Lo sentii muoversi al mio fianco ed improvvisamente mi ritrovai avvolta completamente dalle sue braccia.
Prima che riuscissi a rendermene conto affondai il volto sul suo petto e scoppiai a piangere come una stupida bambina.
Mi accarezzò la testa con delicatezza prima di darmi un dolce bacio su i capelli.
-Scusami, io... non so cosa mi sia preso- balbettai alzando il volto arrossato dal pianto dal suo petto.
Mi asciugai gli occhi frettolosamente mentre lui mi sorrideva.
-No, sapevo che ne avevi bisogno. E' per questo che ce ne andiamo da qui. Il tuo cervello ha bisogno di un black-out- ridacchiò facendomi una leggera schicchera su una tempia.
Si alzò poi improvvisamente facendomi segno di imitarlo e solo a quel punto mi resi conto che un autobus stava per fermarsi davanti a noi.
Non ebbi l'astuzia di controllare l'eventuale indicazione sulla nostra meta e salii dietro di lui. In ogni caso ora sapevo che fra me e Noah non era cambiato assolutamente nulla.
Il viaggio durò all'incirca un'ora in cui parlammo veramente poco.
Più che altro fui io ad addormentarmi appoggiata su una sua spalla troncando in due le possibilità di comunicare.
Fu lui a svegliarmi con una carezza sul volto.
Aprii gli occhi sentendomi ancora più stanca di quando li avevo chiusi e lo seguii trovandomi difronte un paesaggio sconosciuto quanto affascinante.
Doveva essere un paesino in aperta campagna.
Tutto quello che riuscivo a vedere oltre poche case era verde, ovunque.
Una sensazione di libertà mi invase.
Ed il fatto che fossimo lontani da Köln non faceva che incrementare questa sensazione.
Sorrisi e guardai Noah con gli occhi raggianti, continuavo a sentirmi una bambina ma allora mi stava più bene che mai.
-Wow, da dove esce questo posto?- chiesi guardandomi attorno.
-Sapevo ti sarebbe piaciuto, con mio padre venivamo sempre qui in campeggio- si spiegò lui voltandosi verso di me sorridente.
Non ebbi alcuna difficoltà ad immaginarlo da piccolo col caschetto biondo, degno del titolo di giovane marmotta.
Chiusi gli occhi inspirando profondamente.
-Profuma di libertà.-
Un suo braccio mi cinse la spalla per attirarmi a sè, mi ritrovai a guardare nei suoi occhi e scomparve tutta la mia angoscia, tutte le mie paure, spazzate via come sabbia al vento.
-Andiamo- sorrisi imbarazzata tornando con la testa a terra e lo seguii continuando a guardarmi attorno fra il verde che ci circondava. Non mi ero mai trovata in un posto così tanto silenzioso e pacifico.
Ci ritrovammo presto a camminare in un paesino che iniziai a dubitare persino che fosse riportato su una carta geografica, e ci arrestammo davanti ad una villetta rosata dalla quale non proveniva alcun rumore.
-E' qui?- chiesi voltandomi verso di lui.
-Non esattamente, qui ci dormiremo soltanto- sghignazzò guardando la mia espressione accigliata.
Mi chiedevo quanti altri "segreti" avesse in serbo per me.
Sospirai rumorosamente, dandogli anche un motivo in più per ridere sotto i baffi, e lo seguii all'ingresso. Solo quando vidi la reception capii che si trattava di una Pensione e non di una casa privata.
Mi guardai attorno con la bocca spalancata, quell'ingresso era immenso, ospitava molti divanetti con tavolini forniti di riviste. Alla fine della stanza, nell'ala sinistra, vi era anche un mini-bar per aperitivi e thè.
Non avevo mai visto una Hall più grande e bella di quella. Aveva uno stile particolare e incredibilmente simile al barocco veneziano.
-Kaja?- la voce di Noah mi raggiunse di nuovo, lo cercai per un'istante, persa, prima di trovarlo alla reception cone le chiavi delle nostre stanze pronte in mano.
Avvicinandomi lo guarda interrogativamente:
-Perché questo posto?-
-Dovremo pur dormire da qualche parte stanotte, no?- sorrise prendendomi la mano conducendomi nell'ascensore.
-Ah no... io prendo le scale!- indietreggiai davanti a quella trappola per topi.
-Cosa?!? Ma Kaja sono otto piani di scale! Non vorrai sul serio farteli a piedi - mi guardò stupito prima di scoppiare a ridere -Oh mio Dio! Non dirmi che hai paura!-
Abbassai lo sguardo avvertendo la sensazione di rossore sulle guance.
-Non ho paura... preferisco solo le scale...- non feci in tempo a finire la frase che mi ritrovai stretta a lui che mi accarezzava la testa ridendo:-Ah... sei troppo tenera!- alzai lo sguardo indecisa su come prendere quella frase e tre secondi dopo mi ritrovai dentro a quell'affare metallico ancora fra le sue braccia, con un cameriere pronto a 'scortarci' alle nostre stanze.
Per quanto apprezzassi il suo volermi aiutare nel combattere le mie paure in quel momento riuscivo solo a pensare a vari alternativi modi per ucciderlo.
Essere poi in tre in quel minuscolo spazio, stretta contro di lui, non aiutava certo la mia respirazione.
Mi sembrava di aver inghiottito un uovo di struzzo sano bloccatosi poi nel bel mezzo della mia gola.
Ingoiai sonoramente tentando di respirare naturalmente mentre controllavo in modo ossessivo il contatore dei piani che ci lasciavamo sotto ai piedi.
Quando il 'dlin-dlon' dell'ascensore ci avvertì dell'arrivo al nostro piano dire che mi scaraventai fuori non rende abbastanza l'idea.
-Non farmi mai più una cosa del genere!- mi voltai verso di lui con sguardo assassino ma tanto ad accogliermi c'era sempre quel suo stupido insopportabile sorriso.
Sospirai prima di dargliela vinta e sorridere a mia volta.
Senza dire nulla proseguì dietro il cameriere fino ad arrivare alle nostre stanze, la 211 per me e la 212 per lui.
Presi le mie chiavi sorridendo ed aprii la porta azzardando qualche passo dentro ed esattamente come era successo all'entrata mi imbambolai con la bocca spalancata davanti allo spettacolo che mi trovai di fronte.
Come la hall anche quella stanza aveva uno stile di arredamento molto simile al barocco ma quello che mi colpì in assoluto fu la sua grandezza.
Sembrava un mini appartamento ed era accessoriato con qualsiasi cosa.
Ma quello che saltava subito all'occhio era il letto a baldacchino a due piazze.
Come avrebbe fatto una bambina di tre anni mi ci tuffai sopra sentendomi subito affondare nel materasso come immaginavo avrei potuto fare in una nuvola.
In quel momento pensai che fosse un gigantesco spreco usare quella stanza solo per dormire.
Mi tirai su a sedere guardandomi attorno con tanto di broncio.
-Allora, ti piace?- sussultai prima di notare Noah appoggiato alla porta della mia stanza.
Sorrisi scendendo dal letto:-E' meravigliosa... ma non costerà un pò troppo?-
Si accigliò per qualche istante.
-Non è un tuo problema, questo..-
Aggrottai le sopracciglia guardandolo confusa quando improvvisamente il suo viso si illuminò di una nuova consapevolezza.
-Non crederai mica che pagherai qualcosa in questo viaggio?!-
Mi accigliai per qualche istante prima di realizzare quello che mi stava dicendo: -Cosa?! Certo che sì! Credevo che il viaggio lo pagassimo a metà!-
Lui spalancò gli occhi prima di rispondermi col suo tono che non lasciava spazio a proteste: -Assolutamente no. Sei mia ospite, non ti farò sborsare neanche un centesimo, scordatelo!-
Credo che il mio viso fosse passato dal bianco al rosso acceso dal calore che sentivo invadere il mio corpo mentre una punta di 'rabbia' spuntava fuori: -Ma non se ne parla neanche! Se avessi anche solo immaginato che era tutto a tue spese non sarei mai venuta!-
Lui mi fissò per qualche istante senza dire niente, immagino stesse tentando di recuperare la calma.
Infine sospirò e con un filo di voce mi chiese: -Perché? Perché non posso regalarti questo week-end?-
Non aspettai neanche un secondo prima di rispondere.
-Perché è troppo! E non mi merito tutte queste premure, davvero... posso pagarmi..- non feci in tempo a finire la frase che lui mi interruppe posando un dito sulle mie labbra.
-No - il suo sguardo era talmente intenso che mi mancò il fiato - Non dire stupidaggini, tu meriti tutte queste premure ed anche molto altro, mettitelo in testa. Ed io voglio, anzi, pretendo di offrirti questa mini vacanza.-
Abbassai lo sguardo a terra confusa prima di sussurrare: -Ma perché?-
Chiuse gli occhi lasciando andare il braccio con cui mi aveva imposto di tacere.
Vidi il suo volto mutare lentamente fino a diventare una maschera di sofferenza.
-Io...-
La verità mi colpì in faccia come un getto d'acqua gelida, mentre stava per parlare lo bloccai stringendogli un braccio con la mano mentre sentivo le lacrime bagnarmi le guance.
-Tu lo stai facendo per quello che è successo a casa tua?-
Abbassò lo sguardo a terra senza avere il coraggio di rispondere alla mia domanda.
-Noah, rispondimi!- gli urlai in faccia stringendo con più forza il suo braccio.
-Volevo solo rimediare... lo sai io...-
-Ti ho già detto che non devi sentirti in colpa, perché tu non c'entri niente!-
Cercai il suo sguardo sfuggente cercando la conferma che il mio messaggio gli fosse arrivato forte e chiaro e poi, improvvisamente, fu lui ad esplodere.
-Sì che è colpa mia! Te l'ho presentato io! Speravo potesse essere la persona giusta per te ed invece ti ho spinta fra le braccia di... di un bastardo e...- non lo lasciai finire di parlare, la mia mano si mosse veloce, quasi senza che me ne accorgessi, finendo per picchiare con forza la guancia di lui.
-Finiscila- sussurrai fra i denti mentre iniziavo a tremare scossa da i fremiti del pianto.
Lui, stordito dal mio gesto inaspettato, si portò una mano alla guancia arrossata prima di scattare in avanti per stringermi con forza a sé.
-Scusami, non voglio litigare con te... voglio solo farti stare bene per due stupidi giorni, ok?-
Annuii cacciando indietro le lacrime stringendomi a lui con tenerezza:
-No scusami tu... non avrei dovuto...-
Uscii dolcemente dal suo abbraccio e posai le labbra sulla guancia che poco prima avevo colpito.
-Non importa...-
Mi sorrise con la solita dolcezza e a quel punto crollai anche io.
-E allora... suppongo che ti lascerò pagare questa vacanza... ma solo a patto che mi farai ricambiare!-
-Affare fatto- disse lasciandomi andare prima di battere le mani una volta pensieroso.
-Beh, in ogni caso non abbiamo tempo per starcene in questa stanza a bighellonare, ci sono molti posti che voglio mostrarti ed è già passata l'ora di pranzo!-
Aggrottai le sopracciglia confusa: -Ma... dove hai intenzione di portarmi? E poi... io ho fame...- feci labruccio tentando di intenerirlo.
-Mangeremo lungo la strada, ora però andiamo- i suoi occhi si accesero improvvisamente, sembrava decisamente felice di portarmi in giro per la cittadina.
-Ok- risposi sospirando chiudendomi la porta alle spalle.
-Andiamo allora... però stavolta usiamo le scale!- rise prendendomi la mano quasi avesse paura di perdermi, neanche fossi una bambina piccola, e mi trascinò letteralmente fuori dall'hotel.
-Non mi dirai dove andiamo vero?- chiesi alzando lo sguardo su di lui con aria sconfitta.
-...Stai diventando perspicace!- disse ridendo, poi fissando lo sguardo sul cielo aggiunse -Smettila di pensare e goditi il paesaggio.-
Annuii sorridendo iniziando a guardarmi attorno, respirai a fondo l'aria e mi lasciaci scivolare addosso ogni pensiero sentendomi finalmente libera.
Passammo il resto della giornata in giro per quella cittadina caratteristica.
Rientrammo all'hotel solo verso ora di cena, le mie gambe imploravano pietà così come i piedi.
Mi sembrava uno sforzo estremo persino tenere gli occhi aperti.
-Te lo avevo detto che ti aspettava una giornata dura- disse lui che sembrava ancora fresco come una rosa.
-Wuff...non credevo mi avresti fatto camminare tanto-, nel dirlo aprii la porta della mia stanza e mi gettai, letteralmente, sul letto abbandonandomi alla morbidezza del materasso.
Lo sentii ridere sull'arco della porta ed alai lo sguardo su di lui tirandomi su col busto poggiando su i gomiti: -Bèh, che fai lì? Non entri?- alzai un sopracciglio e senza aspettare una risposta mi stesi nuovamente giù chiudendo gli occhi.
Percepii il lento avanzare dei suoi passi, sembrava indeciso sul da farsi ma alla fine si sedette in fondo al letto.
Quando aprii gli occhi lo sorpresi a fissarmi con aria penseriosa e leggermente impaurita.
-Che hai?- chiesi alzandomi a sedere.
-Eh? No, niente... pensavo- la sua risposta evasiva mi lasciò perplessa e quando deviò lo sguardo evitando il mio capii che qualcosa lo turbava profondamente.
-A cosa pensavi?- chiesi tentando di manterene un tono neutrale.
-Nulla di importante... te lo spiego domani.-
Lo raggiunsi al bordo del letto e gli misi una mano sulla spalla: -E' evidente che qualsiasi cosa sia è importante se ti turba così tanto- scrollò le spalle e mi sembrò che vlesse liberarsi del mio contatto così lasciai scivolare il braccio al mio fianco.
Non ricevetti risposta a quelle parole e sentii gli occhi bruciare di lacrime.
Io mi fidavo di lui, gli avevo detto praticamente tutto della mia vita e lui se ne stava lì impalato chiuso nel suo stupido silenzio.
Mi sentivo ferita dal fatto che non credesse di potermi parlare tranquillamente di qualsiasi cosa.
Ma non dissi niente, allungai nuovamente la mano per prendere la sua.
Ci volle tutto il mio impegno per ricacciare indietro le lacrime.
Fissai lo sguardo a terra concentrandomi sulla trama del tappeto fino a quando lui si girò verso di me abbozzando un sorriso.
-Ne parleremo domani, ok? Questa giornata è dedicata esclusivamente a te.-
Mi costrinsi a sorridere ed annuendo aggiunsi un "ok".
La mia preoccupazione non era affatto svanita.
Mi lasciò la mano e, inaspettatamente, iniziò a farmi il solletico sulla pancia fino a costringermi stesa sul letto.
-No, basta, ti prego!- quasi non riuscivo a respirare dalle risate.
Mi liberai svincolandomi come una biscia e recuperando un cuscino iniziai a difendermi con quello.
In breve la situazione degenerò in una lotta all'ultimo sangue di cuscinate.
Fummo presto sfiniti ed abbandonammo entrambi i cuscini.
Risi abbandonandomi sul letto accanto a lui, mi voltai e gli stampai un bacio sulla guancia.
-Grazie- sussurrai.
Mi guardò interdetto per poi alzarsi di scatto.
-Beh, è ora di dormire adesso. Domani ci aspetta una bella scarpinata!-
-Ancora?- chiesi alzandomi a sedere.
Mi sorrise e prima che potessi fargli delle domande uscì dalla stanza.
-Buonanotte Kaja- mi disse sull'uscio della porta prima di chiuderla.
-...Buonanotte Noah...- sussurrai pensierosa.
Non molto dopo mi ritrovai felicemente nel mondo dei sogni.

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Capitolo 8
*** 7. Revelations ***


7. Revelations


L'indomani mattina quando aprii gli occhi la stanza era avvolta da una luce soffusa, mi rigirai dentro le coperte fino a recuperare il cellulare sul comodino per controllare l'orario.
Erano le otto in punto.
Mi sorpresi nel constatare che era probabilmente la prima volta che mi svegliavo così presto di mia spontanea volontà.
Solo in quel momento sentii di nuovo il dolce profumo che risvegliato il mio impaziente stomaco mi aveva costretta ad aprire gli occhi.
Mi voltai verso la porta e vidi un vassoio appoggiato su di un carrello proprio all'entrata.
Mi mancò il fiato per un'istante all'idea che qualcuno fosse entrato nella mia stanza a mia insaputa mentre dormivo.
Mi coprii con le coperte il più possibile e controllai nella stanza che non ci fosse nessuno nei dintorni.
L'idea del maniaco che mi ero fatta sparì immediatamente appena mi resi conto di essere in una Pensione e che la porta era chiusa a chiave.
Mi alzai riluttante e raggiunsi il vassoio, sollevai quasi timorosa il coperchio del piatto e sorrisi nel vedere un croissant alla nutella accompagnato da un caffè macchiato, Noah aveva deciso di viziarmi.
Era la mia colazione preferita da sempre. Era il tipo di colazione che mio padre usava portarmi a letto tutte le mattine quando era nei suoi giorni di riposo dal lavoro.
Notai un piccolo bigliettino tra il croissant e la tazzina di caffè così lo presi tra le mani e riconobbi la scrittura di Noah.
"Spero che quando ti sveglierai il caffè sarà ancora caldo. Sono passato alle sette e mezza ma mi sembrava un delitto svegliarti.
Sappi però che non ti lascerò svegliare più tardi delle nove!
Noah"

Sorrisi di nuovo scuotendo la testa, considerata la premura con cui mi aveva portato la colazione in stanza avrei anche potuto perdonarlo di essersi intrufolato lì dentro senza il mio consenso.
Consumai la colazione velocemente e mi infilai sotto la doccia pensierosa.
Non avevo certo dimenticato quanto accaduto la sera prima ed ora che ero ben sveglia non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione che si trattasse di qualcosa di grosso.
Sospirai e mi costrinsi ad uscire dalla doccia poco prima che udissi qualcuno bussare alla porta della mia stanza.
Tempismo, pensai.
Mi asciugai in fretta e furia e corsi alla porta con indosso solo l'intimo ed una maglietta presa a caso dalla valigia.
Quando la aprii mi ritrovai davanti Noah il cui sorriso si spense praticamente subito.
Mi guardò interdetto e solo in quel momento mi resi conto di aver aperto la porta in mutande.
Arrossi violentemente e gli richiusi la porta in faccia senza neanche pensare.
Inforcai velocemente un paio di pantaloni neri e li infilai alla svolta per poi riaprire la porta.
-Scusa, ero sotto la doccia quando hai bussato e...-
-Non devi scusarti- mi interruppe ridendo.
Sorrisi impacciata prima di fargli cenno di entrare.
-Ero venuto proprio a svegliarti, non potevo aspettare fino alle nove... ma vedo che hai già fatto colazione- disse voltandosi verso di me.
Continuavo a sentirmi poco a mio agio quindi annuii tenendo gli occhi bassi a terra chiedendomi se avevo ancora il viso rosso peperone.
-Kaja?- si avvicinò a me e si piegò leggermente alla mia altezza per incrociare il mio sguardo -Scusami se ti ho fatto sentire a disagio quando hai aperto la porta ma non è che smetterai di guardarmi per questo?- ridacchiò di nuovo continuando a fissarmi -Credi che non abbia mai visto una ragazza in mutande?-
Diventai di nuovo rossa, tanto da sentirmi il volto in fiamme, e lo scansai dandogli dello scemo.
-Eddai, non sarà mica una tragedia!-
Feci cenno di no con il capo e rialzai lo sguardo su di lui prima di guardare che vestiti avevo indossato, alzai le spalle ed annuii.
-Beh, io direi che sono pronta, dove andiamo?-
Sorrise enigmatico come al solito ed uscimmo dall'hotel diretti chissà dove proprio come il giorno prima.

Non so dire di preciso quanto a lungo camminammo alternando momenti di silenzio a momenti di pura chiacchiera, solo che all'improvviso Noah si fermò ed il suo volto sembrò quasi scurirsi, spegnendosi.
Mi guardai attorno quasi disorientata, eravamo su una piccola collinetta circondata essenzialmente da verde, non aveva nulla di speciale.
C'era una bella vista, come ovunque in quel paesino di cui ancora ignoravo il nome.
Mi voltai verso di lui e lo ritrovai seduto sopra una piccola roccia, senza rivolgermi lo sguardo iniziò a parlare e senza neanche rendermene conto mi sedetti accanto a lui.
-Come hai intuito ieri sera i motivi per cui siamo qui sono due.
E' che non mi sentivo di parlarne in città, voglio dire... non volevo farlo dove Charlie potesse raggiungerci ed eventualmente sentirci.
Non voglio che lei ne sappia niente perchè le ho fatto credere che l'avevo presa bene....-
Mi sentii quanto mai confusa così lo fissai senza dire niente ed aspettai che continuasse da sè.
-Sì insomma io... non mi aspettavo nulla di quello che mi ha detto, non so se mi capisci.
Voglio dire io ho conosciuto i suoi genitori e non avevo idea che... che-
-Noah, cosa stai cercando di dirmi?- chiesi mentre mi aumentavano le pulsazioni cardiache.
-E' solo che non riesco più a guardarlo in faccia, non riesco a non immaginarmelo mentre... voglio dire, come diavolo fanno loro a viverci assieme ancora? Lui ha picchiato sua madre ogni giorno negli ultimi dieci anni.
Tu ci credi che è cambiato? Io no, non si cambia così... ed anche se fosse io... non capisco sua madre, non riesce a capire che incubo vive la figlia?
Voglio dire quell'uomo l'ha violata e lei se lo tiene dentro casa come nulla fosse successo a ricordarle in ogni istante la violenza subita, le volte in cui ha sentito la madre gridare e piangere...non so cosa fare Kaja, io non posso accettarlo... quello schifo di uomo dovrebbe finire in prigione per quello che ha fatto.
Tu come riesci a conviverci senza fare niente?-
Ci misi un pò a comprendere quanto intendeva dirmi lui, ci misi un pò per mettere in ordine i tasselli ed associare la Charlie che conoscevo con una ragazza ferita nel profondo.
Tutto quel dolore che avevo creduto di vedere in lei era sempre esistito ma lei non mi aveva mai detto niente di tutto quanto.
Suo padre che picchiava la madre, suo padre che abusava di lei nell'infanzia.
Niente, solo silenzio.
Non me lo aveva mai detto, a me che ero la sua migliore amica.
Conosceva questo ragazzo da così poco e lui ne sapeva già più di me.
Iniziai a tremare al pensiero di tutte le volte in cui ero stata nella sua casa con quell'uomo nell'altra stanza.
Tutte le volte che avevo giocato con lui.
Sentii la nausea assalirmi ed iniziai anche a sudare a freddo mentre tutti i pezzi del puzzle tornavano al suo posto rivelandomi una realtà che così a lungo mi era stata davanti agli occhi e che non ero stata capace di vedere.
Il mio prolungato silenzio dovette costringerlo a voltarsi verso di me e sicuramente il mio volto ed il mio costante tremare dovettero fargli capire che non ne sapevo assolutamente niente.
Lo vidi impallidire e portarsi le mani davanti al viso, doveva aver tradito una promessa di Charlie di non dirlo a nessuno.
-Dio, credevo lo sapessi... merda, io... Kaja...-
Iniziai a piangere senza rendermene conto, mi sentivo tradita e schifata dall'intera situazione.
-Credo che dovresti denunciarlo- dissi infine inghiottendo amaramente le mie lacrime.
Lo guardai per qualche istante ancora prima di alzarmi e riprendere la strada verso l'albergo nel silenzio più totale.
Non ricordo molto delle ore seguenti perchè non smisi neanche un'istante di pensare a quello che dovevano aver passato Charlie e la madre, non riuscivo a non pensare che non si fosse mai fidata abbastanza di me per dirmi quello che viveva.
Non riuscivo a non pensare a quanto contassi poco per la persona che per me contava più di ogni altra cosa.
Non pensai neanche per un momento a Noah, lo ignorai praticamente da quel momento fino al nostro ritorno in città che avvenne prematuramente.
Il viaggio di ritorno fu quanto mai silenzioso, lo vidi qualche volta tentare di iniziare a parlare ma arrendersi subito, dovevo sembrare una specie di fantasma.
Non avevo ancora smesso di tremare, la nausea mi accompagnava sempre di più ed ogni tanto mi rendevo conto di piangere.
Quando scendemmo dall'autobus recuperai la mia valigia, prima che me ne andassi senza neanche salutarlo mi fermò prendendomi per il braccio.
-Ti prego, non dire nulla a Charlie...-
Annuii e mi allontanai in silenzio per raggiungere le uniche quattro mura in cui ora come ora mi sarei sentita in pace.
Quando entrai constatai con sollievo che mia madre non era ancora rientrata, non avrei avuto la forza di spiegarle immediatamente tutto quanto.
Salii in camera mia lasciando la valigia a piano terra, spensi il telefono e mi tuffai sotto le coperte.
Volevo non sentire e vedere per un pò.
Purtroppo non potevo mantenere la promessa fatta a Noah, non potevo non parlarne con lei, non potevo non chiederle spiegazioni... non potevo far finta di non sapere.
Avrei sacrificato anche il mio unico amico per lei.
Ed il pensiero che lei non avrebbe mai sacrificato assolutamente niente per me mi uccideva ancora.

_nota dell'autrice:
Eccoci, siamo arrivati al punto dove ci eravamo arrestati prima che la storia venisse cancellata.
Da questo momento spero che chi seguiva la storia prima tornerà a seguirla.
Il prossimo capitolo è in arrivo tra stasera e domani e vi premetto che sarà molto, molto intenso a livello di sentimenti.
I rapporti inizieranno già a cambiare, ad evolversi.
Siamo insomma ad un altro giro di boa!
Diciamo che questo capitolo apre le porte a molte cose.
(scusate se vi ruslterà un pò confusionario :S)
Baci Baci <3
ps. colgo l'occasione per ringraziare chi mi sostiene, in particolare M. che mi legge costantemente e la mia ciliegina che è la terza volta che si legge i primi capitoli della storia ma ancora recensisce per tirarmi su di morale <3

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Capitolo 9
*** 8. Against ***


8. Against


Mi svegliai avvolta nel bianco, ci misi qualche istante ad identificare il piumone che mi ricopriva la testa.
A dire il vero non ricordavo neanche di essermi addormentata ed anche se lo avevo fatto il flusso dei miei pensieri non si era affatto arrestato.
Rimasi qualche minuto a crogiolarmi tra le lenzuola, sapevo che una volta alzata avrei visto Charlie il prima possibile ed ancora non avevo idea di cosa le avrei detto.
Mentre continuavo a rimuginare mi assalì la strana sensazione di essere osservata o che comunque ci fosse qualcuno nella stanza.
Balzai su a sedere scansando il piumone, la luce del giorno mi accecò per un istante prima che potessi identificare la figura snella di mia madre che mi fissava con i suoi grandi occhi azzurri.
-Mamma!- esclamai sorpresa scansandomi i capelli da davanti agli occhi - Cosa ci fai qui?-
Mi sorrise dolcemente porgendomi una gigantesca tazza di cioccolata calda, sorrisi di rimando e la presi tra le mani sentendomi subito scaldare dal contatto con la ceramica tiepida.
Ne bevvi un sorso e mi sembrò quasi che mi stesse riportando in vita, chiusi persino gli occhi assaporandone il sapore dolce.
-Volevo sapere com'era andato il viaggio. Quando sono tornata ieri sera eri già nel letto. Ho trovato tutto all'ingresso...-
In realtà l'avevo sentita ed avevo finto di dormire la scorsa notte, ma questo non glielo avrei detto, nonostante avessi promesso di non dire bugie nè tantomeno tenerle segreti.
-E' andato tutto bene, solo che quando sono tornata ero troppo stanca per salire anche la valigia e così mi sono messa a letto... devo proprio essermi addormentata subito se non ti ho sentita... - accennai un timido sorriso prima di bere ancora un pò di cioccolata calda.
Stava per rispondere quando le squillò il telefonino, mi fece un gesto della mano e rispose, evidentemente era in ritardo per lavoro considerata la faccia che fece.
Mi salutò con ancora il telefono nell'orecchio, sospirai sollevata e mi convinsi ad uscire finalmente dal letto.
Afferrai il cellulare e trovai due messaggi ricevuti, uno di Charlie e l'altro di Noah.
Lessi prima quello di Charlie che mi chiedeva com'era andato il viaggio, non risposi e passai al messaggio successivo.
"Come stai? Ti prego, non ne parlare con lei"
Chiusi gli occhi e cancellai il messaggio senza rispondere, non potevo pensare anche a come risolvere la questione con Noah dopo aver parlato con Charlotte.
Dopo essermi lavata, aver sistemato la stanza alla meglio mi vestii velocemente indossando una tuta nera, legai i capelli in una coda approssimativa ed uscii di casa avvolgendomi nel cappotto.
Respirai a fondo prima di suonare il campanello della porta accanto a casa mia.
Ad aprirmi fu proprio Charlotte, un dolce sorriso si dipinse sul suo volto ed io risposi con un mezzo sorriso come al solito poco convincente.
Senza aspettare che mi invitasse mi infilai dentro casa sua, era troppo freddo di fuori.
-Allora, quando siete tornati esattamente?-
-Ieri sera, senti, sei sola in casa?- chiesi a bruciapelo guardandomi attorno con non poca inquietudine.
E se ci fosse stato suo padre a casa?
Rabbrividii solo al pensiero.
-No, c'è mia madre, perchè?- mi chiese alzando un sopracciglio.
Sospirai prima di mordermi il labbro, non potevo aspettare, avevo bisogno di chiarire immediatamente quella situazione.
-Possiamo uscire? Ho bisogno di parlarti da sola.-
Mi guardò interdetta prima di annuire - Certo, prendo la giacca ed arrivo -
Annuii di rimando ed uscii dalla casa senza aspettarla, preferivo congelare che stare un secondo di più fra quelle mura, mi sembrava quasi di soffocare là dentro.
Dopo cinque minuti ricomparve uscendo dalla porta con un'aria vagamente preoccupata.
Bellissima, perfetta, chiusa nel suo giacchino color ciliegia.
Avrei quasi voluto stringerla a me con forza per proteggerla da quel freddo pungente.
Eppure non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine di suo padre che... sentii la nausea salire e fissai gli occhi a terra.
-Cosa succede Kaja? Riguarda Noah? Forse... ti sei presa una cotta per lui?-
Alzai lo sguardo quasi scandalizzata - Cosa? No! Certo che no!-
-Ah- sorrise sospirando.
Sorpresa mi chiesi se davvero davo l'impressione di essere cotta di lui, arrossii quasi al pensiero che anche lui potesse pensarlo ma poi mi ripresi focalizzandomi sul volto di Charlie.
-Allora cosa?- chiese con aria innocente.
-C'è niente che vorresti dirmi?- chiesi di nuovo a bruciapelo, volevo darle un'ultima possibilità di confidarsi con me.
-No, non credo... perchè mi fai questa domanda? Sei strana oggi... -
Mi morsi le labbra con violenza per non gridarle contro, mi presi quindici secondi di tempo e poi in un soffio glielo dissi.
- Io so - la guardai dritto negli occhi sperando che capisse.
Lei sembrò scossa, poi innarcò un sopracciglio e fece finta di non capire, o magari si augurava di capire male.
-Cosa sai?- ridacchiò quasi per prendermi in giro e farmi desistere, ma non lo avrei fatto, non questa volta.
-Di tuo padre- la voce mi uscì più dura di quanto volessi, vidi il sorriso sparire dal suo volto, la sua maschera cadere ed infrangersi a terra.
-Te lo ha detto Noah?- la sua voce era terribile, quasi rauca, sconvolta.
Sentii il veleno inacidirmi le labbra.
-Cosa importa? Perchè non mi hai detto niente Charlie? Perchè diavolo Noah credeva lo sapessi?- quasi gliele urlai contro quelle parole.
Il suo volto si indurì ed in quel momento la sentii più distante che mai.
-Perchè avrei dovuto dirtelo? Tanto non avresti capito-
Mi sentii spezzare il cuore a quelle parole. Il suo veleno mi uccideva.
Sentivo la terra spaccarsi sotto i miei piedi nel tentativo di risucchiarmi.
E poi mi sentii bruciare, al centro del petto, e la mia rabbia prese forma.
-Come puoi dirmi questo?! CERTO che avrei capito! Avrei capito te...-
Sentii gli occhi pizzicare mentre le lacrime li riempivano senza però eruttare sul volto.
-Tsk!- mi schernì guardanomi quasi come fossi un essere inferiore - No Kaja, tu non puoi capire. Cosa ne sai tu del dolore che ti causa avere un padre del genere, cosa diavolo ne sai tu?-
Veleno, veleno allo stato puro.
Arretrai quasi spaventata da quella Charlotte che non si sarebbe fermata ora che poteva ferire qualcun altro scaricandogli il proprio dolore addosso.
-Tu non avresti capito, non capisci neanche adesso! Tu che ne sai che un padre non ce l'hai neppure? Io, io ti ho sempre invidiata perchè avrei tanto voluto che fosse mio padre quello morto!-
Fece una pausa nella quale io non riuscii a dire niente, troppo shockata dalle sue parole, troppo schifata, troppo... ferita.
-Ho sempre pensato che fossi stata fortunata a perderlo- aggiunse in un sussurro.
Fu in quell'istante che qualcosa si ruppe fra noi, o quantomeno si ruppe in me.
La figura perfetta della donna che amavo venne risucchiata da un gigantesco buco nero perchè di perfetto in lei non c'era niente, assolutamente niente.
Sentii la nausea mozzarmi il fiato, il sangue gelare nelle vene, sentii il viso impallidire e prima che me ne rendessi conto stavo rigettando la colazione a terra.
Piegata in due mi sembrò di rigettare via tutto quel veleno che m'aveva colpita.
Mi pulii la bocca con la manica del giacchino prima di riportare lo sguardo disgustato su una persona che non mi era mai stata veramente amica e che di me non aveva capito assolutamente niente.
-Sei tu che non capisci- dissi rauca sentendo di nuovo gli occhi bruciare, sapevo che di lì a poco le lacrime mi avrebbero rigato il viso bruciandolo nella loro amarezza, solo che non volevo piangere davanti a lei.
Perchè non si meritava affatto le mie lacrime.
-Sei tu che non lo sai cosa significa perdere un padre. Io avrei potuto capire il tuo desiderio di vederlo morto Charlie ma non posso capire la tua invidia perchè mio padre mi amava... ED IO AMAVO LUI!- mi sentii urlare, non me ne ero quasi resa conto.
Mi portai una mano alla bocca e scoppiai a piangere, sentii il corpo quasi spezzarsi sotto la forza dei miei singhiozzi e prima che lei potesse solo pensare di aggiungere qualcosa scappai via, chiudendomi la porta di casa alle spalle.
Non riuscii neanche a salire le scale, mi appoggiai alla porta e mi lasciai scivolare a terra piangendo.
Non capiva, non capiva quanto mi mancasse, quanto mi facesse male non poterlo più toccare, accarezzare, anche solo sfiorare.
Non capiva quanto ancora mi uccidesse il fatto che non avevo potuto dirgli addio, non avevo potuto dargli un ultimo abbraccio e soprattutto non avevo potuto dirgli quanto lo amassi.
Piansi senza interruzioni per minuti infiniti o forse ore prima di decidermi ad alzarmi e a raggiungere la mia stanza.
Ed esattamente come la notte prima sprofondai nel letto coperta fin sopra i capelli dal piumone.

Rimasi in quello stato fino a pomeriggio inoltrato, poi sentii suonare alla mia porta e mi costrinsi a scendere gli scalini.
Quando aprii mi trovai difronte Noah, quasi boccheggiai nel vedere il suo volto teso, arrabbiato.
Mi asciugai il viso velocemente tentando di balbettare un saluto.
-Dovevi proprio dirglielo vero? Non sei riuscita a tenere quella boccaccia chiusa, eh?-
La sua rabbia mi immobilizzò, mi sembrò di sentire ancora la terra mancarmi sotto i piedi, non aveva mai usato un tono del genere con me... e prima di allora non avevo mai avuto paura di perderlo come in quel momento.
-Io...- non mi lasciò neanche finire la frase, tirò un pugno alla porta e si avvicinò pericolosamente al mio viso. Solo in quel momento notai i suoi occhi pieni di lacrime.
-Fra me e Charlie è finita, per colpa tua.- mi si strinse il cuore nel vederlo in quello stato, mi sporsi verso di lui per abbracciarlo ma mi respinse bruscamente ricacciandomi dentro casa.
-Sai, non la biasimo per non avertelo detto, anzi. Adesso la capisco, tu non sei capace di tenere i segreti... tu sei una pessima amica.-
Non mi diede il tempo di rispondere, mi chiuse la porta in faccia e si allontanò lasciandomi lì intontita dalle sue parole nell'ingresso di casa mia.
Mi inginocchiai a terra senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla porta.
Le sue parole mi rimbombavano nelle orecchie.
Pessima amica, tu sei una pessima amica, pessima amica.
Perchè? Perchè la colpa doveva ricadere su di me?
Perhè ero io la pessima amica quando le ero sempre stata vicino a differenza sua?
Mi portai una mano al cuore quasi volessi proteggerlo dal dolore che sentivo dilagarsi nel petto.
Senza neanche accorgermene ricominciai a piangere.
Rimasi così, immobile, fino al rientro di mia madre.
-Sono stanca di essere sola- sussurrai rivolta ai suoi piedi.
Le sue braccia mi circondarono, il suo profumo mi avvolse ed il suo sussurro mi riscaldò il cuore.
-Tu non sei sola, hai me, per sempre.-

_nota dell'autrice:
Ed eccoci qui, ho deciso di postarlo anche se è sabato sera perchè in realtà non riuscivo ad aspettare oltre, so che ci sono persone che lo stavano aspettando con un pò d'ansia.
Questo capitolo mi è molto caro, diciamo che è stato difficile scriverlo più che altro per le emozioni che mi invadevano ad ogni parola.
Ammetto di essermi commossa, in stile fontanella, in più punti e spero di aver comunicato anche a voi un pizzico di quel che ho provato io.
Come dicevo qui si aprono molte questioni irrisolte e questo capitolo nè è diciamo il vero e proprio inizio.
Il prossimo è già in fase di scrittura quindi potrebbe arrivare in tempi brevi.
Anche il prossimo capitolo sarà abbastanza intenso anche se in modi un pò diversi.
Spero che vi sia piaciuto, spero di leggere anche le vostre impressioni che non dispiacciono mai.
Grazie ancora a M. e alla mia ciliegina **

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Capitolo 10
*** 9. Since you hate everything I feel ***


9. Since you hate everything I feel

Avevo stancamente trascinato il mio corpo alla finestra della stanza, mi ero seduta ed avevo poggiato la testa al vetro freddo ed umido, quasi potessi schiarirmi le idee con quel contatto.
Fissavo la strada in modo quasi ossessivo con la speranza di scorgere la chioma rossa di Charlotte che veniva a chiedermi scusa, o la figura snella di Noah che suonava alla sua porta.
Mi sarebbe, in verità, bastato anche solo scorgerli di sfuggita.
Ma sapevo non sarebbe accaduto, quanto meno non quel freddo martedì mattina in cui ero rimasta a casa, a dispetto di tutti i miei coetanei.
Mia madre mi aveva permesso di saltare la scuola dopo la notte precedente passata nel suo letto, stretta nelle sue braccia a piangere tutte le mie lacrime.
Fra i singhiozzi avevo provato a spiegarle la situazione omettendo però accuratamente quale fosse il segreto di Charlie.
Mia madre e sua madre Helen erano amiche d'infanzia e non potevo dirle di certo una cosa del genere con tanta leggerezza.
Per un momento pensai anche che potesse saperlo, ma mi ricredetti al pensiero di tutte le volte in cui ero stata a casa Schwarz.
Se mia madre avesse anche soltanto lontanamente sospettato qualcosa del genere io non avrei mai avuto il permesso di recarmi da loro così frequentemente.
Con suo grande rammarico era dovuta uscire presto quella mattina per recarsi all'agenzia di assicurazioni nella quale lavorava.
Da quando era uscita il silenzio si era fatto sempre più assordante, mi sembrava opprimente.
Mi sentivo quasi inghiottita dalla sua presenza che mi urlava contro ogni sorta di pensiero.
Raggiunsi lo stereo quasi svogliatamente ed accendendolo mi sentii avvolgere dalla musica dei The Pretty Reckless.
Since you hide, since you steal,
Since you hate everything I feel.

Sospirai sedendomi di nuovo con lo sguardo rivolto alla strada.
Since you cheat, since you lie,
Since you don't wanna try things I wanna try.
Since you've been gone my life has moved along quite nicely actually.

Sorrisi amaramente, non era poi improbabile che la loro vita senza me procedesse bene comunque, anzi forse meglio.
Got a lot more friends and I don't have to pretend, since you're gone, since you're gone.
Since you're not what I want, you can take everything I've got.

"Già fatto" pensai, mi sembrava di essere stata derubata di ogni cosa in mio possesso, mi sembrava di non avere più niente tra le mani.
Take the seat, take the drive,
If I say I love you I am a liar.

Una lacrima mi sfiorò la guancia.
Non riuscivo a non pensare a quelle volte in cui Charlotte aveva detto di volermi bene senza credere che non lo avesse mai pensato veramente.
Since you've been gone my life has moved along quite nicely actually.
Meet my lover Gin and I don't have to pretend,
Since you're gone, since you're gone.

Spensi lo stereo sospirando, era inutile provare a soffocare il silenzio ed i pensieri con la musica, tutto inevitabilmente mi riportava a lei, a Noah... a noi.

Si erano ignorati praticamente per l'intera mattinata, o meglio lei aveva ignorato lui ed i suoi occhi blu intenso che la seguivano ossessivamente in ogni suo movimento.
Aveva cercato con tutta se stessa di non cedere e voltarsi a guardarlo perchè sapeva che se l'avesse fatto un'altra parte di lei se ne sarebbe andata ancora una volta.
Non voleva cedere perchè aveva terribilmente paura.
Lei non poteva permettersi di restare ferita ancora e sapeva che una delusione scottante come quella le avrebbe impedito un giorno di amare ancora. Semplicemente non poteva permetterglielo.
Le mancava l'aria ogni volta che sentiva lo sguardo di lui posarsi sulla sua schiena lasciata scoperta per metà dal corsetto bianco che indossava.
Aveva raccolto la bella chioma rossa in una coda di cavallo che le permetteva quasi di scorgerlo alle sue spalle.
Aveva tentato di fuggire via da quegli occhi nei corridoi eppure continuava a sentirseli addosso, come delle calamite.
Quella mattinata non era mai trascorsa così lentamente come quel giorno.
A dire il vero generalmente lei non voleva affatto tornare a casa, in quelle mura impregnate di violenza e dolore.
Come al solito sua madre era venuta a prenderla all'uscita ed insieme erano arrivate a casa nel più freddo ed asfissiante silenzio che avesse mai conosciuto.
Si catapultò fuori dall'auto ed in quel momento alzò gli occhi al cielo e si ritrovò a guardare negli occhi verdi della ragazza che aveva considerato sempre come un'amica.

Sussultai quasi non mi aspettassi di vederla lì, davanti a me, neanche fosse un'apparizione.
Mi guardava con i suoi bellissimi occhi azzurri profondi e freddi come l'oceano.
Sentii i miei bagnarsi di lacrime ancora una volta ma non ne uscì niente.
Bruciavano terribilmente mentre la guardavo senza osare battere le palpebre per paura che svanisse.
Alzai il braccio posando la mano sul vetro in un gesto di saluto.
In quel momento lei abbassò la testa e senza rispondere aprì la porta di casa lasciandomi ancora una volta sola col silenzio.

La nausea la invase non appena aprì la porta, chiudendo gli occhi e sospirando passò per l'ingresso e veloce come un razzo si chiuse dentro la sua stanza.
Lasciò cadere la borsa a terra e sfilandosi il cappotto si sedette sul letto affacciandosi alla finestra.
Si sentì di nuovo mozzare il fiato guardando giù verso la strada.
Le immagini della sua litigata con Kaja continuavano a ruotarle davanti agli occhi incessantemente.
Sentiva di aver sbagliato ma allo stesso tempo sentiva di non poter essere biasimata per il suo comportamento.
La verità era che nessuno era in grado di capirla a fondo, per quanto ammettesse di non aver mai lasciato entrare qualcuno così a fondo da poterla comprendere veramente.
Solo con lui si era sentita più libera di essere se stessa.
Solo a lui era riuscita a raccontare di Aaron, di come le avesse cancellato l'infanzia, di come l'avesse segnata nel profondo.
Per quante volte avesse provato a dirlo a qualcun altro un nodo in gola le aveva sempre impedito di farlo.
Ed ora si ritrovava ad essere biasimata per una colpa che non era la sua.
Si ritrovava tradita dall'unica persona di cui si era fidata.
Dall'unico uomo a cui aveva voluto dare un'opportunità.
La verità era che non credeva più in niente ed in nessuno, tantomeno nel genere maschile.
Il bip bip del cellulare la fece quasi trasalire riportandola alla realtà, si voltò verso il giacchino e lo afferrò con mani tremanti, quasi sapesse già chi fosse.
Quando lesse il suo nome sul display il cuore le mancò un colpo.
"Parlami"
Un'unica parola che la tenne in apnea per qualche secondo.
Chiuse gli occhi trattenendo una lacrima che voleva scenderle prepotentemente sul volto e cancellò, con mani tremanti, il messaggio.
Era troppo presto o forse era già troppo tardi.

Abbandonai il braccio lungo il fianco trattenendo la voglia di scendere le scale precipitosamente ed andare a bussare alla sua porta.
Volevo chiederle scusa, e volevo che lei mi chiedesse scusa.
Ma sapevo che ci saremmo aggredite, sbranate, ridotte a brandelli.
Non volevo perderla, non potevo perderla eppure non riuscivo a pensare abbastanza lucidamente da affrontare una discussione pacifica con lei.
Mi portai una mano alla fronte tentando di fermare il flusso dei pensieri.
Mi sentivo incredibilmente stanca e svuotata e non riuscivo a smettere di pensare a cosa stesse facendo lei, se suo padre era in casa, se avesse risolto con Noah.
Non feci in tempo a pensare quel nome che la sua figura mi apparve davanti quasi come una visione.
Era fermo in mezzo alla strada intento a torturarsi le mani. Il suo sguardo era fisso sulla porta di casa di lei.
Pensai di chiamarlo dalla finestra ma le parole che mi aveva rivolto la sera prima mi assalirono ancora e rimasi lì immobile a guardarlo.

La verità era che aveva paura. Non era pronto ma sapeva di doverlo fare, non poteva lasciarla andare e se fosse passato troppo tempo non sarebbe più riuscito a farla rientrare nella sua vita.
Sapeva poi che Charlotte e l'orgoglio erano una cosa sola, se non si sarebbe fatto avanti lui stesso la loro relazione sarebbe finita così, per sempre.
Si morse il labbro con violenza ripensando alle parole che aveva detto a Kaja la sera prima.
Continuava a sentirsi in colpa da quando le aveva chiuso la porta in faccia eppure non riusciva a pensare di scusarsi prima con lei che con Charlotte.
Abbassò gli occhi a terra sentendosi un codardo ed avanzò lentamente deciso a portare a termine il suo compito.
Suonò alla porta sentendo un fremito lungo la schiena.
Se fosse stato lui ad aprirgli gli avrebbe spaccato la faccia a suon di cazzotti, ne era certo.
Quel bastardo gliel'avrebbe pagata, prima o poi.
Ma ad occoglierlo furono gli occhi indagatori di Helen.
Si ritrovò quasi senza fiato e a stento riuscì a parlare:
-Salve, cercavo Charlotte.-
La donna si scansò lasciandolo entrare, non fece neanche in tempo a salire le scale che si ritrovò la figlia all'ingresso trafelata, era più pallida del solito ed aveva gli occhi sconvolti.
Guardò i due attentamente e decise di lasciarli soli rifugiandosi in cucina.
-Cosa ci fai qui?- chiese lei senza fiato mentre quegli occhi blu la indagavano, le entravano sotto la pelle e la facevano fremere.
-Sono venuto a chiederti scusa... e a dirti che ti amo- non le diede neanche il tempo di rispondere, la sua mano si posò sulla vita sottile di lei ed attirandola a sè poggiò le labbra su quelle rosse e dal sapor di ciliegia di lei.
Non riuscì ad opporsi e si abbandonò al bacio di lui sentendo lo stomaco sciogliersi ed il cuore battere come un forsennato.
Quando le loro labbra si staccarono e riaprì gli occhi si ritrovò risucchiata da quelli di lui, il suo sorriso la accolse scaldandole il cuore.
La mano di lui le sfiorò una guancia con delicatezza.
La sua pelle era soffice sotto la mano e calda, gli sembrava secoli che non l'accarezzava, che non sentiva il suo odore di pesca.
-Credevo di averti persa- sussurrò dandole un leggero bacio sulla fronte.
-Lo credevo anch'io- rispose lei in un soffio, gli prese una mano nella sua e la strinse con delicatezza.
Era la prima volta che si sentiva in completa comunione con una persona, era la prima volta che desiderava dire tutto a qualcuno.
Salirono nella sua stanza silenziosamente per poi stendersi sul letto, mano nella mano, come tante altre volte avevano fatto.
Lui la strinse a sè facendole poggiare la testa sul suo petto sentendo improvvisamente il cuore più leggero.
-So che mi odierò per aver rovinato un momento come questo ma... perchè lei non ne sapeva niente?- chiese abbassando lo sguardo sulla testa della ragazza.
Sospirò chiudendo gli occhi, immaginava sarebbe successo prima o poi.
-Non sono riuscita a dirglielo... lei non è te Noah. Lei... è troppo fragile, non potevo buttargli addosso il mio dolore, i miei problemi. Lei non è come te o come me.-
Alzò gli occhi su di lui, il suo sguardo era perso, confuso.
-Cosa significa che non è come noi?-
-Significa che basta poco a spezzarla. L'ho sempre saputo. Ho smesso di parlarle di me da tempo ormai. Non è che non la consideri come un'amica ma...-
-La sottovaluti- disse interrompendola stringendola però con più forza a sè.
-Potrebbe sorprenderti la sua forza... io credo, anzi sono sicuro, che per le persone che ama lei sarebbe in grado di sopportare qualunque cosa-
Una lacrima le rigò il viso mentre scuoteva la testa.
-Non lo so... so solo che tu sei l'unica persona a cui io sia mai riuscita a dirlo.
L'unica persona con cui io riesca a parlarne.-
Si sentì scaldare il cuore a quelle parole e le baciò la nuca con dolcezza pensando alla faccia sconvolta di Kaja della sera prima.
-Promettimi che non lo farai più-
Disse lei interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
-Cosa?-
-Tradirmi così...- si mosse tra le sue braccia fino a poterlo guardare dritto negli occhi -Ho bisogno di te più che mai ma non potrei sopportare ancora una volta...- il dito di lui si posò sulle sue labbra.
-Non succederà mai più- le sorrise dolcemente prima di baciarla ancora una volta affondando le mani tra i suoi soffici capelli.
-Tu promettimi che le parlerai, però- aggiunse in un sussurro accarezzandole il viso con una mano.
Lei annuì e si accocolò nuovamente fra le sue braccia chiudendo gli occhi.
Sì, le avrebbe parlato.

Sentii i suoi passi lungo le scale ma non mi mossi, sapevo che stava venendo da me in ogni caso.
Mi trovò esattamente dove mi aveva lasciata quella mattina, affacciata alla finestra con la fronte attaccata al vetro.
-Non hai mangiato niente?- chiese preoccupata avvicinandosi alla mia sedia.
Con una mano mi scansò i capelli dal viso mentre mi voltavo verso di lei.
Feci cenno di no e tornai a fissare la strada sperando di vederli ancora, almeno un'altra volta.
-Vieni di sotto con me- disse sorridendo cercando il mio sguardo, non risposi continuando a fissare la strada.
La sentii sospirare accanto a me e guardarmi con i suoi occhi pieni di dolore, eppure in quel momento mi sembrava compassione, pena.
Mi voltai furente verso di lei:
-Vattene! Non la voglio la tua pietà!- mi guardò interdetta prima di abbassare lo sguardo al suolo.
-Io non ho pietà di te, io mi preoccupo per te.-
-Non devi- dissi ritornando alla mia posizione cancellando la sua presenza dalla mia testa.
Lo sapevamo entrambe che mi stavo sfogando su di lei solo perchè non potevo farlo con nessun altro.
Fu credo per quello che se ne andò richiudendo la porta alle sue spalle senza aggiungere altro.
Mi sentivo in colpa per il dolore che le infliggevo ma non riuscivo a staccarmi dagli eventi che mi stavano travolgendo senza pietà.
Chiusi gli occhi per qualche istante e quando li riaprii li vidi, mano nella mano, che uscivano da quella casa marcia, sorridendo.
Since you've been gone my life has moved along quite nicely, actually.
Sentii quasi la voce di Taylor urlarmi nelle orecchie.
Fu in quel momento che mi alzai da quella sedia, chiusi la tenda e mi rifugiai nella luce soffusa della mia stanza.
Senza pensare oltre presi il cellulare, cercai il nome di Noah nella rubrica ed inviai il messaggio che avevo preparato già la sera prima ma che poi non avevo avuto il coraggio di mandargli.
"Forse non vorrai parlarmi, forse non leggerai questo sms ma io devo parlarti.
Incontriamoci appena puoi.
Kaja"

Poggiai il telefono sulla scrivania e sedendomi sul letto aspettai una risposta.

_nota dell'autrice:
Ed eccoci al capitolo IX!
Dovrete aspettare per il prossimo perchè non so quando avrò tempo di scriverlo, ma spero presto! :3
Spero non sia confusionario come capitolo, ho provato a dare una prospettiva più ampia alla storia per capire meglio le varie situazioni.
Spero siate anche riusciti a capire meglio le psicologie di Charlie e Noah :S
E' stato un parto come capitolo, davvero!
Cambiare così velocemente prospettiva non è stato facile per me :S spero di aver reso tutto in modo decente!
Bhè, a presto <3
Ringrazio sempre M e la mia ciliegina, ma anche Giuls <3
Spero di leggere i vostri commenti  :3

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Capitolo 11
*** 10. How can I stop waking up? ***


10. How can I stop waking up?


Mi svegliai con il cellulare stretto in una mano, mi ero addormentata aspettando una risposta da Noah. Risposta che non era ancora arrivata.
Demoralizzata mi alzai dal letto e mi preparai, con angoscia, per il mio rientro a scuola.

Si svegliò con la sensazione di avere ancora il suo sapore sulle labbra, quel gusto alla ciliegia che lo faceva impazzire come mai prima di allora; si morse il labbro inferiore per trattenere quella sensazione ancora per un pò, prima di svegliarsi completamente.
Aprì gli occhi sospirando ed in quel momento, guardando il cellulare, si ricordò di lei.
"Merda, Kaja!"
Si alzò a sedere in uno scatto e prese il cellulare fra le mani.
Guardò l'orario e constatò che era decisamente tardi per una risposta.
Sperò per un'istante che quel giorno tornasse a scuola, ma il dubbio che non sarebbe tornata presto lo spinse a risponderle.
"Vediamoci a scuola"
Scrisse semplicemente augurandosi che tornasse davvero.
Immaginava Petra l'avrebbe costretta in ogni caso e sperò, quasi presuntuosamente, che il suo messaggio la spingesse a tornare... non voleva che si isolasse, ed in realtà le mancava anche soltanto poterla scorgere da lontano.
Chiuse gli occhi tormentato dall'idea che fosse troppo tardi.
Teneva a Kaja più di quanto osasse ammettere, era la sua amica del cuore, l'unica ragazza di cui fosse amico veramente.
Lei era completamente diversa dalle altre, riusciva a sorprenderlo sempre e a farlo ridere.
Era così fragile e forte allo stesso tempo da spiazzarlo.
Era una persona che avrebbe sempre desiderato proteggere e doveva ammettere di non riuscire più a sopportare la sua assenza, per quanto Charlotte dominasse la sua intera vita.
Si morse le labbra portandosi una mano alla fronte ed aprendo gli occhi si costrinse ad alzarsi con la sensazione di colpa che lo seguiva, come un'ombra.
Si era sentito in colpa un istante dopo averle sbattuto quella porta in faccia e vigliaccamente non era riuscito a tornare su i suoi passi per chiederle scusa.
Ed ora non riusciva a non pensare al fatto che la sera prima avesse egoisticamente ignorato il suo messaggio per stare con Charlotte ferendo così Kaja.

A svegliarla furono le urla di sua madre, aprì gli occhi fissandoli sul soffitto bianco candido come la neve e desiderò essere sorda, per una volta nella vita.
Ormai litigavano così spesso che aveva perso il conto delle volte in cui si era chiusa in cameretta pur di non sentirli, mettendo la musica a palla.
Aveva ancora paura di rimanere in una stanza con loro mentre litigavano, aveva paura che la furia tornasse, che lo vedesse ancora colpire sua madre con violenza scegliendo accuratamente i punti del suo corpo che sarebbero rimasti coperti agli occhi degli altri e che allo stesso tempo potessero farla soffrire come un cane.
Aveva pianto così tante volte ormai che le sembrava le fosse rimasto impresso il sapore del sale sulle labbra.
Chiuse gli occhi stringendoli fino a vedere tutto completamente nero, desiderò almeno potersi riaddormentare ma sapeva che non sarebbe successo.
La voce di sua madre la raggiunse mentre urlava il suo nome:
"Charlotte! Vuoi alzarti da quel dannato letto?"
Riaprì gli occhi lentamente godendosi per qualche istante la vista annebbiata che si era procurata ed infine scese dal letto diretta a quell'inferno che era la cucina.
Mentre scendeva le scale sentì la porta di casa sbattere con forza e tornò a respirare.
Aaron era uscito, ormai non lo chiamava più papà da tanto tempo, e con lui anche il terrore di vederlo accasciato su di lei come in passato.
Entrò in cucina con mani tremanti e fu accolta dai singhiozzi della madre, scossa da un tremore che ormai la accompagnava quasi sempre.
"Avanti, fa colazione" le disse senza neanche rivolgerle lo sguardo.
Annuì, ormai arresa all'idea che nulla potesse cambiare nella loro famiglia, e fece velocemente colazione.

Presi lo zaino e me lo caricai in spalla con poca convinzione nonostante mi fosse arrivato il messaggio di Noah.
Poche parole, coincise, mi sembravano incredibilmente fredde.
Poneva fra me e lui un altro muro. Iniziai a pentirmi di averlo contattato perchè avevo paura di quello che avrebbe potuto dirmi.
Perchè se c'era una persona in grado di ferirmi più di Charlotte era proprio lui e questo perchè mi conosceva dannatamente a fondo.
Mi ripromisi di non lasciare entrare mai più qualcun alto così dentro al mio cuore, perchè in ogni caso finiva sempre allo stesso modo.
Io venivo ferita e lasciata a marcire da sola, nel dimenticatoio.
Sospirai lanciando un'occhiataccia allo specchio e scesi le scale.
Quando mi chiusi la porta di casa dietro le spalle vidi Charlotte entrare nella macchina con sua madre.
Intravidi Helen, sembrava terribilmente pallida.
Non riuscii ad impedire al mio cuore di perdere un colpo, ora che sapevo ero in grado di vedere. Ora che sapevo avevo terribilmente paura.
Mi bloccai in mezzo strada guardando la loro macchina sparire all'incrocio e decisi che quel giorno avrei dovuto parlarle, perchè aveva bisogno di me. Lo sapevo.
Quando arrivai davanti all'ingresso della scuola corsi dentro trafelata cercando in ogni angolo la sua chioma rossa fino a quando non incontrai gli occhi azzurri di lui.
Smisi di respirare mentre si avvicinava, paralizzata.
-Hey, ti senti bene?- la sua mano si poggiò su una mia spalla ed in quel momento tornai a respirare e gli sorrisi imbarazzata.
-Sì... stavo cercando... niente, lascia stare-
Mi sorrise ed il mio cuore si sciolse, non c'era l'ombra del Noah arrabbiato di qualche sera prima.
-Scusami se ho risposto solo questa mattina-
Mi disse abbassandosi più o meno al mio livello per guardarmi negli occhi, poi mi schioccò un bacio sulla fronte con fare infantile lasciandomi senza parole.
Non mi sembrava possibile che si risolvesse tutto così velocemente, con così tanta facilità.
-Ci vediamo all'intervallo, buona lezione- aggiunse prima di allontanarsi lasciandomi lì impalata ancora troppo sorpresa per afferrare il senso delle sue parole.
Al suono della campanella mi riscossi e girando lo sguardo verso la porta della classe di Letteratura mi accorsi di Charlotte che mi fissava.
Aprii la bocca come per dire qualcosa ma rimasi in silenzio mentre lei abbassava lo sguardo ed entrava in classe precedendomi.

Le lezioni che ci separavano dall'intervallo passarono, almeno per me, in un lampo e prima che me ne rendessi conto eravamo seduti sui gradini della scuola a chiacchierare del più e del meno.
In verità avevamo evitato accuratamente l'argomento, stavamo semplicemente agendo come niente fosse successo, fino a quando non fui io a decidermi.
-Dobbiamo parlarne...- dissi timidamente interrompendolo.
Lui abbassò gli occhi e mi sembrò assumere un'aria colpevole che conoscevo fin troppo bene.
-Mi dispiace, ho reagito nel modo sbagliato... non volevo ferirti-
-Neanche io... avrei dovuto dirti che non potevo mantenere quella promessa...-
-Ed io avrei dovuto immaginare che tu non l'avresti fatto-
Sorrisi spostando lo sguardo sulla strada davanti a noi, ci eravamo comportati come degli stupidi ed ora ne stavamo pagando le conseguenze.
Era così facile infondo parlare con Noah, chiarire.
E mi chiesi con rammarico perchè non potesse essere tanto facile anche con lei.
-Le ho parlato...- disse interrompendo il corso dei miei pensieri, spostai lo sguardo su di lui quasi interdetta prima di capire che si riferiva a Charlie.
-E...?-
-Ha detto che ti parlerà...- disse sorridendo leggermente mentre spostava anche lui lo sguardo sulla strada.
Alzò le spalle e tornò a guardarmi quasi dispiaciuto.
-Dovrete chiarire prima o poi, non posso farlo io per voi-
Quella frase mi sembrò quasi un rimprovero e mi morsi leggermente le labbra.
-Lo faremo-
Trasalii sentendo la sua voce alle mie spalle e mi voltai sorpresa.
Accennò un sorriso sedendosi accanto a me mentre una ciocca di capelli rossa come il fuoco le sfiorava una guancia.
La guardai ipnotizzata e mi trattenni a stento dal toccarla per sentirne la morbida consistenza tra le dita.
-Bene, io vado...-
Sentii Noah parlare ma non mi voltai neanche per guardarlo mentre si alzava lasciandoci a noi stesse.
Ero ipnotizzata dal suo volto che non sembrava più così sconvolto come la volta precedente.
Mi sentii mozzare il fiato quando fissò i suoi bellissimi occhi color cielo su di me e mi sembrò quasi di boccheggiare, anche se probabilmente non lo feci.
-Mi dispiace per le cose che ho detto su tuo padre, ho sbagliato. Non dovevo aggredirti ma mi... mi sono sentita attaccata da te, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato-
-Dispiace anche a me-
Aggiunsi risparmiandomi una frase del tipo "ma hai fatto qualcosa di sbagliato".
-E' solo che... non volevo lo sapessi- disse abbassando gli occhi sulle sue ginocchia prendendo a giocare nervorsamente con il bordo della gonna nera che le racchiudeva le cosce.
-Perchè?- chiesi in un sussurro sentendo di nuovo gli occhi bruciare a quella scottante verità.
-Non volevo appesantirti con i miei problemi-
Il cuore mi mancò un colpo e spostai nuovamente gli occhi su di lei cercandone lo sguardo.
-Stai dicendo sul serio?-
-Sì.... io, avevo paura che ne soffrissi troppo-
-Ma Charlie! Stiamo parlando del tuo di dolore, avremmo potuto affrontarlo assieme, io e te! Non avresti dovuto tenertelo per te così a lungo solo per paura di far soffrire qualcun altro. Io sono tua amica!-
Finalmente i suoi occhi incontrarono i miei e li vidi pieni di lacrime, sentii anche i miei bruciare e senza pensarci la strinsi a me con forza lasciando che le lacrime mi basagnassero il volto.
-E' a questo che servono gli amici- aggiunsi sussurrando mentre anche lei mi stringeva a se delicatamente.
La sentii piangere sulla mia spalla come non aveva mai fatto, come forse aveva desiderato fare in passato.
-Ho sempre pensato che fossi troppo fragile per questo mondo Kaja... ma Noah aveva ragione, mi sbagliavo- mi sussurrò all'orecchio prima di poggiare la fronte sulla mia spalla nascondendosi agli sguardi altrui.
Sorrisi tra me e me accarezzandole la schiena, mi sembrava stranamente ed egoisticamente il momento più bello della mia vita.
Poi mi ricordai, quella mattina, il viso di Helen.
-Cos'è successo stamattina?- sussurrai prendendo ad accarezzarle la testa.
La sentii ridere amareggiata prima di distaccarsi dal mio abbraccio per tornare a fissare le sue ginocchia bianche.
-Niente, le soliti liti... ormai non fanno altro-
-Ma perchè tua madre non...-
-Non lo denuncia?- mi chiese interrompendomi riportando gli occhi su di me.
Abbassai lo sguardo prima di annuire.
-Perchè è un'illusa. Crede sia cambiato, crede che la ami, che migliorerà... ma io lo so che non è così-
Sorrise ancora una volta rassegnata mordendosi il labbro inferiore.
-Perchè non lo fai tu, allora?-
-Credimi, lo vorrei... ma lei è mia madre, ed io non posso darle questo dolore-
Pensai di ribattere ma alla fine non lo feci, non potevo dirle di farlo quando sapevo che per mia madre avrei sicuramente fatto lo stesso, a costo di subire qualsiasi torto.
Strinsi forte i pugni sentendomi improvvisamente impotente ed inutile.
Volevo tirarla fuori da quella situazione anche se non avevo idea di come avrei potuto farlo.
Fu la campanella ad interromperci e a costringerci a tornare ai nostri doveri di studentesse.
Mi sembrò un delitto dovermi separare fisicamente da lei quando potevo ancora sentire su di me il suo dolce profumo.
Le lacrime che avevano bagnato la mia maglietta erano ancora lì, ormai quasi completamente asciutte, come simbolo di un evento straordinario: l'inizio della nostra vera amicizia.

_nota dell'autrice:
Dunque eccoci! Ci ho messo più di quanto avrei voluto, purtroppo.
In ogni caso ho deciso che, iniziando da domani la scuola, aggiornerò una volta a settimana.
Così se avrò tempo e scriverò altri capitoli ne avrò di riserva per periodi in cui non ho voglia, o magari tempo o ispirazione per scrivere in modo da non lasciarvi mai troppo a lungo a crudo XD
Ora passiamo al capitolo!
Spero che non vi abbia annoiato come capitolo, diciamo che è la conclusione del precedente.
Aspettatevi tante cose dal prossimo capitolo, sarà molto molto intenso ed anche molto molto importante.
Diciamo che ce lo porteremo dietro per un bel pò!
Quindi alla prossima settimana! (speriamo **)
E come sempre ringrazio M e la mia ciliegina <3
Grazie anche a voi che mi leggete e a coloro che mi recensiscono, il vostro supporto mi riempie il cuore e mi aiuta ad andare avanti e a non arrendermi!

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Capitolo 12
*** 11. Wrong ideas, wrong solutions ***


11. Wrong ideas, wrong solutions


A volte quando si vuole aiutare qualcuno si finisce col peggiorare le cose, altre volte si scelgono vie tortuose per rendersi utili alla causa.
Ed altre volte ancora si passa, in un batter di ciglia, dall'aver ragione all'aver torto.
Seduti su una panchina nel mezzo di quello che ormai era diventato il nostro parco io e Noah discutevamo su come affrontare la "situazione Charlie", per l'ennesima volta.
-Deve pur esserci qualcosa che possiamo fare!- sbottai all'improvviso rompendo il silenzio che si era creato.
-Kaja, te l'ho già detto. Senza una loro denuncia non serve a niente, non abbiamo prove...-
-Ma...!- provai a ribattere ma mi posò un dito sulle labbra imponendomi il silenzio.
-Dobbiamo convincere Charlie, e lo sai- abbandonò la mano fino a riportarla al suo fianco mentre io mi mordevo le labbra fissandomi le Doctor Martens.
-Non è giusto... Lei non farà mai questo a sua madre... Ed io non posso sopportare di lasciarla ancora in quella casa con quel lurido...- mi bloccai a metà insulto voltando lo sguardo accorato su di lui.
-Credimi, non riesco a sopportarlo neanche io... Ogni volta che lo vedo vorrei spaccargli la faccia ma...-
-Tutto quello di cui abbiamo bisogno sono prove, giusto?-
Spostò lo sguardo su di me annuendo con poca convinzione.
-Bene, allora ce le procureremo!- alzai risoluta lo sguardo al cielo prima di alzarmi.
-Cosa diavolo hai in mente?- mi chiese con una nota di preoccupazione nella voce.
-Lo vedrai- risposi allontanandomi.
Questo fu l'inizio del declinio e del disastro.

Guardavo distrattamente la mia figura allo specchio dondolando sulla sedia a rotelle mentre lui imprecava all'altro capo del telefono.
-Non se ne parla neanche! Kaja ascoltami, quello che vuoi fare è assurdo!-
-No che non lo è- sbottai tirando su le gambe in modo da poter appoggiare il mento sulle ginocchia.
-Non te lo lascerò fare, è una pazzia.-
-Non sei tu che mi lasci o no fare qualcosa, Noah- puntualizzai indispettita.
-Sì ma... cerca di ragionare! Se non dovesse confessare cosa facciamo?-
-...Possiamo sempre accusarlo di tentato abuso di minore... Che poi il minore sarei io- arricciai il naso gettando la testa all'indietro pensierosa.
-Diavolo... Posso convincerti in qualche modo a non farlo?-
-No.- tagliai corto mentre lui sospirava sonoramente in sottofondo.
-Va bene, ma se vedo o sento qualcosa che non mi piace entro immediatamente.-
-Ok- acconsentii prima di attaccare.
Era una settimana che discutevo con Noah per farmi aiutare ad incastrare Aaron.
Avevamo tenuto nascosto il nostro complotto a Charlie, per volere mio.
Il mio piano era molto semplice: lo avremmo ripreso e registrato mentre provava ad avere un rapporto con me usando la forza. Il compito di Noah era quello di fermarlo in tempo e di fargli confessare in qualche modo i torti commessi su Helen e Charlotte.
Certo, non era un gran piano e non avevamo neanche tecnicamente idea di come saremmo riusciti a portarlo a termine... Volevo, in un certo senso, lasciare un pò tutto al caso.
Ero tesa all'idea di quel che stavo per fare ma era solo per lei che volevo sacrificarmi. Sentivo che avrei potuto affrontare qualunque cosa pur di farla stare bene.
Era inutile che Noah mi ripetesse quanto fosse assurdo il mio piano, non lo avrei mai capito fino a quando non ci avessi sbattuto la faccia contro.
E sapevo che mi avrebbe aiutata anche se sembrava titubante, non aveva altra scelta. Non poteva lasciarmi fare tutto da sola permettendomi di correre rischi completamente inutili.
Circa un'ora dopo mi chiamò nuovamente per comunicarmi che aveva tutta l'attrezzatura necessaria.
Avremmo messo una telecamera nella mia borsa che avrei lasciato accanto ad una poltrona nel salotto.
Avevo calcolato le prospettive andando a memoria, conoscevo la casa di Charlie quasi più della mia.
-Ok, sei sicuro che dopodomani Charlie ed Helen non ci saranno?-
-Sì, sono sicuro... a che ora tornerà Aaron a casa?-
- Intorno alle sei, come ogni venerdì sera- abbozzai un amaro sorriso, conoscevo persino gli orari di suo padre a memoria e non mi ero mai accorta di tutto il contorno.
-Non osare entrare in quella casa se io non sono fuori, mi hai capito?-
Sbuffai sonoramente facendo ruotare gli occhi.
-Mi hai capito?- ripetè con voce più dura.
-Ok, ok, ti aspetterò.-

Venerdì arrivò con estrema velocità e, prima che potessi veramente rendermene conto, si erano fatte le cinque e mezza e Noah stava seduto sul mio letto intento a sistemare la telecamera nella borsa, in modo che non potesse essere vista.
Mi resi conto che respiravo a fatica e che controllavo ossessivamente l'orologio dondolandomi su i piedi neanche fossi su i carboni ardenti.
Lanciai uno sguardo allo specchio e mi chiesi come avrei fatto ad attrarre uno come Aaron.
Ripensai mentalmente a tutti i dettagli che Charlie mi aveva dato inconsapevolmente.
Sapevo che Aaron adorava le ragazzine giovani, da porco pedofilo che era, e che lei aveva iniziato a truccarsi molto e a vestirsi come una signora proprio per non ricevere più le sue attenzioni.
Dunque non avevo dovuto fare molto.
Sembravo perennemente più piccola della mia età, non mi ero truccata ed avevo indossato un vestitino bluette semplice che su di me aveva uno stupefacente "effetto puffo". Sembravo incredibilmente più bassa del solito, e sembravo anche una ragazzina innocente.
-Respira- la sua voce mi raggiunse e mi resi conto che era alle mie spalle, il volto quasi ad accarezzare il mio, le labbra quasi poggiate sul mio orecchio.
Sobbalzai mentre il cuore mi finiva dritto in gola e con mani tremanti mi spostai allontanandomi da lui tentando di seguire il suo consiglio.
-Sono solo un pò nervosa-
-Sei sicura di volerlo fare? Io sono ancora contrario.-
Annuii e lui scoraggiato mi anticipò scendendo le scale, si posizionò nella mia cucina ed accese il computer dal quale avrebbe potuto vedere esattamente quanto succedeva in casa Schwarz.
Al momento sullo schermo si intravedevano le mie calze bianche e le ballerine color ciliegia.
Inspirai a fondo controllando di nuovo l'orologio: le sei meno dieci.
Credevo sarei morta in quei dannati dieci minuti di attesa.
Mi prese la mano all'improvviso e la strinse.
-Stai tranquilla, non gli permetterò di farti del male-
Anuii di nuovo con poca convinzione. Non è che non mi fidassi di lui, avevo paura che Aaron non avrebbe confessato o che magari sarebbe riuscito a prendere il sopravvento su di lui.
Tutta la mia sicurezza era sparita come una bolla di sapone.
Mi chiusi in bagno a cinque minuti dalle sei per provare a riordinare le idee, non potevo sbagliare e mandare tutto a quel paese, questa era la nostra unica possibilità.
Mi bagnai il viso con l'acqua fresca e dieci minuti dopo mi ritrovai a percorrere quel tratto di strada che mi portava dalla sicurezza di casa mia dritta dentro l'Inferno.
Suonai con mani tremanti il campanello ed inspirai mentre la porta si apriva rivelando la figura imponente di Aaron.
-Ah, Kaja! Charlotte non è qui, non so esattamende quando tornerà-
"Ma io sì" pensai fingendo un'aria sorpresa.
-Posso aspettarla direttamente dentro?- chiesi fingendomi titubante.
Mi guardò quasi perplesso indugiando sulle gambe che avevo lasciato scoperte.
-Certo, sei sempre la benvenuta a casa Schwarz-
Sorrisi innocentemente attraversando l'ingresso attenta a passargli talmente vicino da sfiorarlo con la stoffa del vestito.
Rabbrividii qualche secondo dopo, non saprei dire se per la tensione o per il freddo che mi penetrava nelle ossa attraverso le calze.
Entrai nel salotto e abbandonai la mia borsa affianco alla poltrona in cui generalmente si sedeva Aaron e togliendomi il cappotto mi sedei sul divano accavallando le gambe.
Mi resi conto solo a quel punto che lui era rimasto sulla soglia di casa quasi interdetto e che mi fissava da lontano con uno sguardo strano.
-Forse disturbo? In caso posso ripassare non è un problema!-
-Oh, no! Assolutamente no, non preoccuparti- sembrò risvegliarsi e mi raggiunse sorridendo puntando gli occhi sul mio collo scoperto, neanche fosse un vampiro.
-Posso offrirti un thè caldo?-
Inclinai la testa di lato e sorrisi dolcemente annuendo mentre si allontanava verso la cucina.
Quando scomparve dalla visuale il sorriso si smorzò sulle mie labbra e mi costrinsi a respirare a fondo.
Gettai anche uno sguardo teso alla telecamera sperando con tutto il cuore che stesse funzionando e che Noah ci stesse osservando.
-Dovevate andare da qualche parte?- mi sorpresi nel sentire la sua voce giungermi dalla cucina.
-Ah, no, no! Sono solo passata per una visita!- alzai leggermente il tono di voce per assicurarmi che mi sentisse.
Lo vidi comparire sulla porta con un sorriso mentre si avvicinava con due tazze di thè.
-Ah, credevo avessi un appuntamento. Non credo di averti mai vista con un vestito.- poggiò la tazzina sul tavolinetto e si accomodò proprio nella poltrona accanto la quale avevo lasciato la borsa.
Arrossii lievemente sentendomi imbarazzata all'idea che mi stesse osservando con un occhio diverso dal solito.
-Sei molto carina oggi- aggiunse lanciandomi un'occhiata indecifrabile sorseggiando il suo thè.
Mi sentii disgustata dal commento ma sorrisi e ringraziai fingendomi lusingata.
-Scusami, non volevo metterti in inbarazzo.- aggiunse sorridendo.
Non ricordavo di averlo mai visto sorridere a quel modo, mi colpì facendomi sobbalzare il cuore.
Quel sorriso era incredibilmente simile a quello di Charlotte.
-No, non si preoccupi! Nessun imbarazzo... non sono abituata ai complimenti- sorrisi ancora sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio mentre abbassavo lo sguardo sul mio thè.
-Oh, andiamo! Ti conosco da quando Petra ti portava nella pancia e mi dai ancora del "lei"? Non farmi sentire più vecchio di quanto io già non sia-
Alzai nuovamente lo sguardo e finsi un'aria impacciata: -Oh, mi scusi! Voglio dire... scusami! E' la forza dell'abitudine... Sai mia madre mi ha insegnato che...-
-Che si da del lei agli anziani- mi interruppe mentre sul suo volto si allargava un nuovo sorriso.
-Oh no! Non era assolutamente quello che intendevo. Non sei poi così vecchio...-
Buttò giù quel che restava del suo thè e si alzò avvicinandosi a me fino a sedersi sul bracciolo del divano.
-Non sei costretta a lusingarmi, Kaja-
-Non lo sto facendo! Credo che lei sia un bell'uomo- sorrisi più falsamente che mai e assunsi un'aria innocente da angelo che sembrava essere abbastanza convincente. Lo vidi socchiudere gli occhi prima di allungare un braccio e prendermi la tazzina, ormai vuota, dalle mani sfiorandomele.
Rabbrividii a quel contatto rendendomi conto che sicuramente lo aveva notato.
-Sei una bambina birichina, lo sai vero?-
A quelle parole mi sentii mancare. Doveva aver preso il mio rabbrividire per qualcosa di completamente diverso.
Deglutii a fatica e lo guardai facendo finta di non capire mentre giocavo nervosamente con le mani incredibilmente sudate.
Si sporse verso di me poggiando la tazzina sul tavolino e fissò i suoi occhi nei miei. Il suo sguardo era così intenso e spaventoso che credetti di svenire.
-Cosa sei venuta veramente a fare oggi qui?-
Boccheggiai a quella domanda chiedendomi se avesse intuito tutto e veloce come una lepre mi alzai evitando il contatto con lui.
Girai attorno al tavolinetto fino a trovarmi davanti al caminetto del salotto, esattamente davanti l'obiettivo della telecamera.
-Forse è meglio che io vada...-
-No.- la sua voce si indurì ed in un battibaleno me lo ritrovai difronte, prima che potessi reagire la sua mano viscida si stava insinuando fra le mie cosce.
Iniziai a tremare mentre il ricordo di Sascha mi assaliva paralizzandomi, eppure sapevo di dover reagire in qualche modo.
Quando sentii la sua mano sfiorare la zona pubica sobbalzai tentando di allontanarmi ma il suo braccio arrivò prima.
Mi prese per un polso immobilizzandomi prima di colpirmi con un sonoro schiaffo al viso.
Non mi ero mai chiesta quanto potesse far male uno schiaffo da parte di un uomo violento come quello che mi trovavo difronte.
Mi sembrò quasi che la vista si annebbiasse mentre sotto la potenza del colpo cadevo a terra, in balia di quel mostro.
Mi ritrovai a piangere e a pensare a tutte le volte che Charlie aveva dovuto subire quel trattamento.
Mi divincolai mentre si avventava sopra al mio esile corpo ma fui costretta ad arrendermi poco dopo.
-Ti prego... Lasciami andare... Basta, ti prego....- sussurravo parole confuse mentre con tutta me stessa speravo che Noah arrivasse presto, interrompendo quella tortura.
La sua bocca raggiunse la mia costringendomi a star zitta, la sua lingua si insinuò dentro le labbra fino a trovare la mia, costringendola a danzare con la sua.
Una mano mi aveva alzato completamente il vestito e si insinuava dentro le calze cercando il lembo delle mutande.
Mi lasciò andare le labbra solo quando la sua mano riuscì ad entrare sotto le mutande.
Continuai a piangere più disperata che mai mentre tenevo gli occhi fissi sulla porta d'ingresso, ed in quel momento mi resi conto che io e Noah non avevamo pensato che la porta sarebbe stata chiusa e che quindi non sarebbe riuscito ad entrare.
-Non farmi questo... Ti prego...- sussurrai ancora una volta sentendomi improvvisamente persa, abbandonata a me stessa.
Qualche secondo dopo sentimmo entrambi un assordante rumore di vetri rotti.
Si immobilizzò fissandomi quasi volesse chiedermi cosa fosse stato, si alzò e mi fissò per qualche istante lasciandomi intendere che non avrei dovuto neanche lontanamente provare a scappare.
-LASCIALA ANDARE BRUTTO BASTARDO!-
Vidi Noah piombare su Aaron alle sue spalle, sorprendendolo.
Mi alzai allontanandomi da entrambi e mi accorsi dei vetri che popolavano ormai il pavimento della cucina.
Ringraziai il cielo che Noah avesse avuto la freddezza per pensare a come irrompere nella casa e non mi accorsi di quanto stava succedendo davanti a me.
Aaron era notevolmente più grande di Noah, era più alto e muscoloso.
Si era divincolato facilmente nella stretta del ragazzo ed era riuscito a liberarsi, sovrastandolo.
Era piegato su Noah che per quanto provasse a difendersi sembrava un moscerino a confronto con un gorilla.
Lo colpì ripetutamente al viso, gli assestò un cazzotto all'addome mozzandogli il fiato costringendolo a rigettare un pò di sangue e solo a quel punto lo lasciò andare per raggiungere me.
Senza pensare corsi nella direzione opposta ritrovandomi alle porte della cucina, mi raggiunse senza troppe difficoltà e mi costrinse a terra facendomi sbattere nuovamente la testa contro il pavimento.
Un dolore lancinante mi pervase mentre la vista mi si annebbiava completamente, mi sembrò di aver smesso di respirare mentre lui recuperava un pezzo di vetro puntandomelo al viso.
-Cosa volevate fare eh?- la sua voce si era trasformata diventando quella di un mostro, di un lurido demonio.
Non riuscii a rispondere mentre il vetro tagliente si poggiava sulla mia guancia.
Chiusi gli occhi aspettando che mi sfregiasse ma mi sentii improvvisamente libera e realizzai che Noah aveva nuovamente preso il sopravvento.
Mi rialzai di nuovo, barcollando, e recuperai la borsa con la telecamera puntandola su i due.
-Cosa pensate di fare, mocciosi?-
-Denunciarti?- rispose Noah fra i denti mentre aumentava la sua stretta cercando di immobilizzarlo.
-E chi mai crederà a due stupidi ragazzini come voi?-
-E' questo che hai detto a Charlie per non farti denunciare?- chiese a bruciapelo assestandogli una ginocchiata a livello lombare.
Aaron gemette di dolore e quasi si piegò in due. Iniziò a ridere senza un motivo e non mi sembrò mai pazzo come in quel momento.
-E così ha parlato quella puttanella, eh? E cosa vi ha detto?-
Smise di divincolarsi quasi si stesse arrendendo ma Noah continuò a tenerlo stretto per le spalle. Era il momento giusto per farlo confessare.
-Tutto! Di come tu abbia picchiato sua madre in questi ultimi anni, di come tu abbia abusato di lei!-
Iniziò a ridere più sonoramente mentre tornava a divincolarsi per uscire dalla stretta di Noah.
-Devo ricordarmi di punirla quando tornerà a casa, allora-
La borsa mi cascò dalle mani a quelle parole e mi mossi senza neanche pensarci, gli tirai un pugno diretto in un occhio sentendomi il sangue ribollire.
Helen diceva che suo marito era cambiato, ma non era affatto vero. Era ancora lo stesso "uomo", non si era affatto pentito delle sue azioni.
-Stupida mocciosa!- mi urlò contro mentre premendo con la schiena contrastava Noah contro il muro.
Si liberò di lui in qualche secondo avvicinandosi a me con una sola grande falcata, mi prese il volto con una mano costringendomi ad arretrare ed in quel momento ci raggiunse il suono perforante delle sirene.
-Ho chiamato la Polizia brutto stronzo, è finita.-
Si voltò verso Noah con aria quasi famelica ma prima che riuscisse ad avventarsi contro di lui la Polizia irruppe nella casa sfondando la porta.
Gli puntarono le armi contro mentre io, svuotata, mi lasciavo cadere a terra singhiozzando.
Lo vidi alzare le mani con lo sguardo vacuo, aprire la bocca come per dire qualcosa restando completamente in silenzio.
Quella era la fine, la fine di tutto. Loro erano libere.
Con la vista offuscata dal pianto vidi i poliziotti ammanettare Aaron mentre un altro si avvicinava a me e a Noah che nel frattempo mi aveva raggiunto, inginocchiandosi accanto a me.
-Scusami se ho tardato- mi sussurrò all'orecchio prendendomi una mano.
Mi voltai verso di lui ancora sotto shock ed annuii mentre le lacrime continuavano a rigarmi il viso senza sosta.
Non riuscivo a smettere di tremare nonostante stessi tentando di calmarmi con tutta me stessa.
Alzai gli occhi sul poliziotto che doveva aver chiesto qualcosa che non avevo sentito.
Indicai la borsa mentre Noah prendeva in mano la situazione spiegando a grandi linee cos'era accaduto.
Vidi quel poliziotto allontanarsi scortando Aaron fuori dalla casa, confusa mi voltai verso Noah, non riuscivo a capire cosa stesse accadendo.
Mi ritrovai stretta tra le sue braccia ed inspirando profondamente lo strinsi a me con forza sentendo finalmente il cuore rallentare i suoi battiti.
-E' finita... E' finita- continuava a sussurrarmi all'orecchio accarezzandomi la testa con delicatezza.
Annuii e sciogliendomi dall'abbraccio notai finalmente il suo viso, aveva un labbro spaccato, così come il sopracciglio sinistro, c'era tantissimo sangue a livello della tempia sinistra. Non immaginavo potesse uscire tanto sangue da un unico sopracciglio.
Gli sfiorai una guancia violacea con delicatezza mentre ispezionavo attentamente il resto del suo corpo.
-Sto bene, non preoccuparti. Hanno chiamato l'ambulanza per essere sicuri che stiamo bene- mi disse stringendo la mano che avevo poggiato sulla sua guancia.
Anuii nuovamente e mi chiesi se per caso non avevo un trauma cranico considerato quanto lentamente procedevano i miei pensieri.
Mi era sembrata un'eternità quella passata nella casa di Aaron ma era stata in realtà una mezz'ora scarsa.
Impiegammo un'ora per spiegare tutto alla polizia e per farci visitare. Stavamo entrambi bene, anche se un pò ammaccati.
Ci dissero anche che saremmo dovuti tornare in Comissariato per altre domande e che il giorno della sentenza saremmo dovuti andare in Tribunale a testimoniare.

Mi strinsi dentro il cappotto avvicinandomi a Noah che aveva appena finito di parlare con un poliziotto e senza dire niente gli presi una mano nella mia; avevo bisogno del suo contatto, del suo conforto, della sua vicinanza.
-Non pensavo che un piano suicida come questo potesse andare a buon fine- commentò sorridendomi. Sorrisi a mia volta ma il sorriso sparì non appena vidi Helen e Charlotte correre verso di noi.
-Cos'è successo?- chiese Helen che era diventata bianca come un fantasma.
-Amore!- la voce di Aaron irruppe prepotentemente attirando l'attenzione della moglie che si voltò immediatamente verso l'automobile.
-Aaron! Cos'è successo?- chiese di nuovo preoccupata aggrappandosi allo sportello.
-Kaja Berger. Ecco cos'è accaduto! Ha provato a sedurmi e quando le ho detto di no mi ha denunciato per stupro!- si sporse verso il finestrino fino a poggiare una guancia sulla mano della moglie che si voltò verso di me furente.
-Che cosa?!- mi sentii mancare il fiato mentre mi sporgevo in avanti pronta a dargli un altro pugno in faccia.
Noah mi trattenne voltandosi verso di lui.
-Ti piacerebbe brutto porco!-
A quel punto intervenì Charlie frapponendosi fra noi e la sua famiglia: - Cosa diavolo avete combinato?-
-Ti abbiamo liberato di quel mostro!- esclamai io guardandola quasi shockata, sembrava voler proteggere suo padre.
-Kaja?- la voce di mia madre mi raggiunse mentre Helen veniva presa di peso da uno dei poliziotti per costringerla ad allontanarsi dal "presto detenuto" marito.
-Mamma!- esclamai lasciando la mano di Noah mentre le correvo incontro.
La strinsi forte a me sentendomi di nuovo al sicuro, protetta.
-Cos'è successo?- mi chiese sussurrando mentre mi stringeva a sè.
Non ebbi la forza di raccontarle tutto nel dettaglio, ma quando capì a grandi linee l'Odissea che avevo vissuto mi strinse con più forza a sè.
Camminnammo assieme verso Noah, Helen e Charlie intenta a consolare la madre disperata.
Quando mi avvicinai un'ondata di veleno mi accolse come uno tsunami.
-La pagherai per questo!- la voce di Helen aveva perso tutta la sua dolcezza.
-Helen, tutto questo non è colpa di mia figlia- provò a spiegarle mia madre ma la donna scattò di lato entrando in casa sbattendo la porta.
Charlie spostò lo sguardo dalla porta di casa a noi ed iniziò a piangere sommessamente.
-Come avete potuto farmi questo?!-
-Lo abbiamo fatto per te! Non è forse questo quello che volevi?- mi avvicinai a lei cercando il suo sguardo.
-NO! E tu lo sai! E tu, mi avevi promesso che non mi avresti mai più tradita!-
Noah sembrò schiacciato da quelle parole, lo vidi deglutire a fatica mentre si avvicinava a lei quasi terrorizzato.
-Non è colpa sua, l'ho costretto io a non dirti niente- dissi abbassando lo sguardo a terra.
La sentii ridere mentre si allontanava da me.
-Dovevo aspettarmelo! Lo sai cosa sei tu, Kaja? Un'invidiosa! Una puttana! Hai sedotto mio padre... Credi che non abbia notato come guardi Noah? Tu vuoi essere come me vero? Vuoi tutto quello che ho io! Vuoi la mia vita e tutto quello che c'è dentro! Ma sai cosa? Non importa quanto ti impegnerai, tu non sarai MAI me, Kaja!-
Indietreggiai ferita da quelle parole assurde.
Mi ritrovavo di nuovo nella situazione di due settimane prima, lei non mi capiva. E tutto quello che avevo fatto per lei finiva ancora per ritorcermisi contro.
La parola che probabilmente mi aveva più ferita era "puttana". Era così lontana dal mio essere che anche solo il fatto che lei avesse potuto pensarla mi feriva.
Singhiozzai non riuscendo a replicare a quelle parole dure, feroci, senza senso.
Cercai con lo sguardo mia madre e mi resi conto che era tornata alla macchina, probabilmente per recuperare la borsa.
Allora spostai lo sguardo su Noah che allungò una mano verso di me per potermi stringere in un abbraccio.
-Charlie ragiona, non è affatto come stai dicendo- disse guardandola mentre con la mano sfiroava la mia.
Lei si voltò dandoci le spalle mentre si avviava verso la porta di casa.
-Ti sto dando un'altra chance se la vuoi Noah. Ma non ti azzardare a toccarla.- strinse i denti quasi volesse ringhiarmi contro e mi stupii nel constatare che Noah era arretrato abbassando gli occhi a terra.
Mi morsi il labbro inferiore prima di scoppiare a piangere.
Lei lo avrebbe allontanato da me, lei mi avrebbe tolto tutto perchè aveva il potere di farlo.
-Mi dispiace- sussurrò Noah mentre, senza guardarmi, seguiva Charlie dentro casa.
A quel punto corsi verso la macchina di mia madre e mi rifugiai ancora tra le sue braccia.
-Portami via- sussurrai tra un singhiozzo e l'altro.
-Sì, andiamo a casa- sussurrò a sua volta provando ad accompagnarmi dentro.
-No! Portami via, ti prego mamma... Portami via, ti prego- iniziai a scuotere la testa opponendomi fisicamente alla sua spinta.
Non potevo restare ancora in quella città, non lo avrei sopportato.
-Ok- sussurrò semplicemente facendomi salire in macchina.
Ci lasciammo alle spalle la nostra via, il nostro quartiere e più lentamente l'intera città.
E mentre Köln spariva dalla mia vista io tornavo a respirare sentendomi finalmente libera.
Continuavo a piangere in silenzio mentre mi lasciavo alle spalle la mia vita col desiderio di non tornare più indietro.
Era la prima volta che desideravo così tanto andarmene dalla mia città. Era la prima volta che desideravo con tutto il cuore di non fare più ritorno.


_nota dell'autrice:
Ed eccoci al nostro appuntamento settimanale!
Lo so che è un capitolo particolarmente duro e che molti di voi mi odieranno perchè sembra che Kaja non riesca ad essere mai felice XD
La situazione aveva bisogno di essere risolta, anzi ha ancora bisogno di una risoluzione, non potevo troncare tutto così.
Spero non sia disconnesso come capitolo e che possa piacervi ^^
Grazie a tutti voi che state leggendo, che ho scoperto essere anche più di quanti immaginavo, e grazie anche a quelle persone che trovano il tempo di lasciarmi una recensione <3
Ps: grazie ciliegina che mi incoraggi e mi ispiri a scrivere sempre di più *w* E soprattutto grazie per tutte le volte che mi sopporti!

Arrivederci alla prossima settimana,
Angy.

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Capitolo 13
*** 12. Broken Pieces ***


12. Broken Pieces


Osservai la figura nello specchio mentre si sfiorava una guancia delicatamente, tastando la cute ancora dolorante.
Lo schiaffo di Aaron aveva lasciato i suoi segni anche all'esterno, anche se ora stavano scomparendo.
Erano tre giorni che mi ero allontanata da Köln e ormai mancavano poche ore al mio rientro.
Sospirai legando i lunghi capelli lisci in una coda di cavallo ed uscii dal bagno proprio mentre mia nonna entrava nella stanza.
-Sei pronta? Se vuoi restare qualche altro giorno...-
Sorrisi debolmente e la abbracciai rassicurandola.
-Devo rientrare, ho la scuola, ricordi?-
Finsi una risata e la lasciai andare per recuperare il trolley contenente tutte le mie cose.
Quando eravamo arrivate, io e mia madre, sconvolte, a casa sua, lei ci aveva accolto a braccia aperte pronta anche ad ospitarci per sempre.
Era la madre di mia madre, l'unica nonna che mi era rimasta, e la adoravo.
In quei pochi giorni mi aveva fatto sentire incredibilmente bene, avevo quasi dimenticato la mia vita cittadina, mi era sembrato di tornare indietro nel tempo a quando ero una piccola bambina.
Ma purtroppo dovevo tornare alla realtà come aveva fatto mia madre la mattina dopo avermi accompagnata.
Lei non poteva permettersi una pausa dalla sua vita a differenza mia.
L'avevo sentita più volte al giorno, sentivo la preoccupazione nella sua voce e non importava quanto tentassi di rassicurarla.
Avevo seguito il caso Schwarz attraverso la televisione, avevo visto Helen intervistata dai giornalisti, avevo visto Charlotte che sosteneva sua madre, avevo visto lui dichiararsi innocente nonostante le prove.
Fui grata alla polizia per non aver reso noti i volti ed i nomi dei due ragazzi che avevano incastrato quell'uomo.
Non avrei mai sopportato l'assedio dei giornalisti, le loro domande stupide, le frasi inutili.
Non volevo essere giudicata, trattata come un mostro o peggio ancora come un'eroina. Non mi sentivo nulla di tutto questo.
Presi il treno alle 10 di mattina ed arrivai a Köln intorno alle 11.30. Avevo pensato molto durante il viaggio, avevo avuto modo di riconciliarmi con la realtà, avevo avuto tempo di prepararmi psicologicamente al mio rientro.
Quando salii sul taxi che mi avrebbe portata a casa sentii già il respiro mancarmi e il cuore perse un colpo nell'istante esatto in cui svoltammo nella mia via.
Chiusi gli occhi tentando di calmare la respirazione e quando li riaprii ero difronte alla mia abitazione, a meno di cinquanta passi da casa Schwarz.
Scesi dal taxi e pagai il conducente mentre sentivo l'intero corpo tremare, e non di freddo.
Deglutii e mi voltai posando gli occhi sulla finestra della stanza di lei, mi sembrò di percepire un movimento ma pensai fosse solo la mia immaginazione e così, raccogliendo le forze, mi costrinsi ad entrare a casa.

-E' tornata-
La voce di lui la richiamò all'attenzione, si alzò di scatto dal letto e raggiunse la finestra giusto in tempo per vedere la figura di lei che spariva verso la porta di casa.
Si sentì gelare il sangue nelle vene dall'odio ed il desiderio di stringerla a sè che la attanagliavano.
Non riusciva neanche lei a capire come fosse possibile. Avrebbe voluto chiederle scusa per le parole che le aveva rivolto, stringerla a sè, piangere sulla sua spalla ed allo stesso tempo avrebbe voluto urlarle contro ancora un pò del suo odio, schiaffeggiarla, ferirla a morte.
Si morse il labbro inferiore e senza degnare di uno sguardo lui si sedette nuovamente sul letto.
-Non m'importa, è di noi che dovremmo parlare-
Si stupì della durezza della propria voce e quasi se ne pentì, sapeva che lui non meritava nulla di tutto quello che gli stava facendo passare.
Spostò lo sguardo sulla foto che aveva appeso in camera di lei e Kaja da bambine, sorridenti, abbracciate, ed irrimediaiblmente sporche di terra dalla testa ai piedi.
Si ritrovò a sorridere a quell'immagine mentre i ricordi di quella giornata prendevano il sopravvento.
-Cosa c'è ancora da dire su di noi?-
La raggiunse sedendoglisi accanto, sfiorandole una spalla con la mano, delicatamente.
-C'è molto da dire, Noah. Mi avevi fatto una promessa e non l'hai mantenuta, per la seconda volta.- si voltò verso di lui gelandolo con lo sguardo.
-Lo so, ma ti ho già chiesto scusa Charlie... Non so cosa mi sia preso ma ho pensato che dopotutto non potesse essere un'idea tanto sbagliata-
Sospirò voltandosi di nuovo verso quella fotografia.
-E' stata lei a convincerti. Mi chiedo solo come diavolo ci sia riuscita.-
-Non lo so- sussurò piano mentendole e mentendo anche a se stesso.
Sapeva come Kaja era riuscito a convincerlo: lo aveva messo difronte ad un ultimatum. Era stato costretto ad aiutarla perchè teneva così tanto a lei da non poterla lasciare in balia di se stessa. Perchè Kaja era cocciuta e se decideva qualcosa farla desistere era impossibile.
-Questa è l'ultima chance che do alla nostra storia-
La voce di lei lo riscosse e si ritrovò a fissare dentro quei bellissimi occhi da gatta che aveva.
Annuì con poca convinzione. Non poteva perderla, l'amava più di qualunque altra cosa ed ora il terrore lo attanagliava. Sì, aveva paura di sbagliare, di gettare nel water la sua ultima possibilità con lei.
Si mosse lentamente fino a cingerle i fianchi con le mani, poggiò le sue labbra su quelle di lei, le sfiorò delicatamente pregustandone il sapore e poi le afferrò delicatamente fino ad unirsi con le sue.
Charlotte aveva un effetto particolare su di lui, nessun altra ragazza prima era stata in grado di farlo fremere tanto con un solo bacio.
Il suo sapore lo inebriava, il suo profumo lo frastornava, le sue mani che delicate gli sfioravano il viso lo facevano sentire irreale, immateriale, incorporeo.
Quando le loro labbra si staccarono lui le sfiorò una guancia vellutata guardandola dritto negli occhi e, come fatto in passato, rovinò quel momento speciale provando a farla ragionare sulla situazione con Kaja.
-Puoi perdonare lei esattamente come hai fatto con me-
Sfuggì dalle sue mani, dalle sue braccia, dal suo sguardo.
-Smettila di parlare per lei e di difenderla Noah-
-E' solo che non capisco Charlie! Perchè se riesci a perdonare me non puoi fare lo stesso con lei?-
-Perchè con lei è diverso, è tutto diverso! E perchè ti amo e non posso fare altrimenti-
Quelle parole ebbero un effetto frusta sul suo cuore, tacque improvvisamente fissandola mentre si sgretolava davanti ai suoi occhi piangendo amare lacrime.
Pensò che probabilmente voleva perdonarla ma che per qualche motivo non ci riuscisse.
-Ma puoi sempre provarci, l'hai già perdonata in passato-
-Appunto.-
Si indurì improvvisamente, abbassò gli occhi a terra persa in chissà quale pensiero, chiusa a riccio persino con lui.
-Ho una condizione- disse infine rialzando lo sguardo su di lui che stupito aggrottò le sopracciglia.
-Se vuoi stare con me non parlarmi mai più di lei. Se vuoi stare con me devi rinunciare a Kaja.-
Gli mancò il respiro, provò a risponderle ancora tentando di farla ragionare ma la cocciutaggine era qualcosa che Kaja e Charlie avevano decisamente in comune.
Sospirò chiudendo gli occhi e si maledisse per la scelta che stava per fare.
-Va bene- sussurrò trattenendo una lacrima.
Aveva appena rinunciato alla sua migliore amica, aveva appena lasciato la seconda persona più importante della sua vita da sola, in balia di se stessa.
Non poteva dimenticare la delusione dipinta sul suo volto prima che se ne andasse.
Non si sarebbe mai perdonato per quella decisione, ma sapeva che non si sarebbe perdonato neanche se avesse rinunciato a Charlie.
Si sentiva messo in mezzo a due fuochi e avrebbe tanto voluto non dover scegliere ma non poteva perderle entrambe. Ed egoisticamente sceglieva la donna che amava.
E sceglieva la donna più debole, che aveva bisogno di lui.
Infondo Kaja restava sempre la più forte fra le due.

_nota dell'autrice:

Ed eccoci al nuovo capitolo, un pò più corto del solito.
In questo capitolo siamo tornati al gioco dei POV per ovvie ragioni :3
Immagino che la parte più interessante del capitolo sia la fine, considerato che, tanto per cambiare, darà vita a diverse vicende un pò contorte e complicate.
Spero di ricevere i vostri commenti *_* Grazie per essere fedeli alla storia continuando a leggere!
(Grazie a M. e alla ciliegina, come sempre <3)

A presto,
Angy

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Capitolo 14
*** 13. Abandoned ***


13. Abandoned


Erano passati solo altri due giorni dal mio rientro in città e già mi sentivo soffocare.
Non mi ero mai sentita sola come in quei momenti, quando varcando la porta di scuola non trovavo nessuno ad aspettarmi, pronto a regalarmi un sorriso.
Vagavo per i corridoi anonima come sempre, a testa bassa, senza incrociare lo sguardo di nessuno.
Eppure, incredibilmente, riuscivo a percepirli entrambi quando erano a pochi passi da me ed alzando gli occhi incontravo sempre il loro sguardo.
Quello di Charlotte era freddo quanto tormentato; il contatto con i suoi occhi durava sempre pochissimo, sembrava non riuscire a reggere il mio sguardo.
Avevo pensato di dire qualcosa un paio di volte ma la voce mi era morta in gola perchè non riuscivo a trovare parole da rivolgerle... Perchè non potevo chiederle scusa sentendomi ancora dalla parte della ragione.
Lo sguardo di Noah invece nascondeva dietro un mondo; ogni volta che i suoi occhi si posavano su di me ci leggevo dentro il dolore, l'angoscia, la paura, il desiderio di rivolgermi la parola.
Quando incontravo il suo sguardo mi sentivo spezzare in due dal dolore, sentivo gli occhi riempirsi di lacrime ed inevitabilmente, voltandogli le spalle, mi allontanavo.
Anche se non potevo esserne sicura intuivo che Charlotte avesse rinnovato la sua richiesta di non avere contatti con me trasmutandola in qualcosa di diverso.
Se quella notte gli aveva impedito anche solo di sfiorarmi ora doveva essere passata ad altro, qualcosa in grado di distruggermi.
Sapeva che perdere lui per me sarebbe stato un pò come perdere me stessa.
E la verità dei fatti era che non mi stava parlando, non mi salutava, non si avvicinava a me. Silenzio ed assenza totale.
E mi feriva l'idea che avesse rinunciato tanto facilmente a me.
Purtroppo in quei giorni non potevo veramente contare neanche su mia madre.
Quando era tornata in città era andata a bussare alla porta di Helen ed aveva ricevuto in cambio solo tanto odio e disprezzo.
Avevano litigato furiosamente e la loro amicizia si era infranta, proprio come quella tra me e Charlotte.
La trovavo spesso chiusa in un ostinato silenzio mentre fissava con sguardo vacuo la televisione o il paesaggio fuori dalla finestra del salone.
Non avevo la forza di interrompere i suoi pensieri appesantendole il cuore con il flusso dei miei.
Mi ritrovavo quindi a non poter parlare con nessuno, mi ritrovavo sola, chiusa in me stessa tra le quattro mura della mia stanza.
Mi sembrò quasi di dimenticare il suono della mia voce in quelle infinite ore.
Fino a quando, ad una settimana dall'arresto di Aaron, il telefonino squillò.
Sul display apparve il suo nome, Noah.
Stranamente aspettai qualche squillo prima di rispondere, quasi non fossi pronta a sentire la sua voce.
Mi imposi di respirare regolarmente ed infine risposi con voce incerta.
-Sono contenta tu abbia chiamato-
-Mi dispiace.-
Abbassai gli occhi fissando il cuscino del letto tristemente aspettando che continuasse a parlare.
-Volevo chiamarti quando ti ho vista tornare... ero a casa con Charlotte. Ma non sapevo come dirtelo.-
-Dirmi cosa?- mi si spezzò la voce mentre sentivo il fiato mozzarsi.
Avevo paura di quello che stava per dirmi, non volevo trovarmi col cuore spezzato.
-Ho provato a parlarle, a cercare di farle capire... ma lei non sente ragioni ed io non so che cos'altro fare.-
Anuii in silenzio mentre una lacrima mi feriva una guancia.
Mi morsi il labbro inferiore sentendomi mancare all'idea che avesse altro da dirmi, qualcosa che mi avrebbe investita con la forza di un tornado.
-Mi dispiace ma... mi ha costretto a scegliere, Kaja. Io non posso perderla... non posso. Prova a capirmi-
Mi portai una mano tremante davanti alla bocca mentre mi lasciavo sfuggire involontariamente un singhiozzo.
Iniziai a piangere senza ritegno con il cellulare ancora attaccato all'orecchio.
-Kaja? Ti prego parlami...- la sua voce mi arrivò accorata eppure non riuscivo a capirlo, a comprendere le sue azioni.
Ero cosciente che, pur amando Charlie, non l'avrei mai scelta abbandonandolo... ed invece lui abbandonava me.
-Immaginavo non avresti capito- aggiunse infine con voce sempre più debole.
Mi sentii bruciare dalla rabbia, dal rancore e continuando a piangere iniziai ad urlargli contro:
-E invece capisco! Capisco fin troppo bene Noah! A te non importa niente di me, ecco cosa! Io non sceglierei MAI fra il mio migliore amico e la persona che amo ma tu evidentemente sì! Questo è il valore della nostre amicizia per te?-
Singhiozzai senza controllo tentando di inghiottire ancora le mie lacrime, tentai di soffocare il pianto stringendo il cuscino tra i denti ma sapevo che lui mi avrebbe sentita in ogni caso.
-...Mi dispiace... Io non posso...-
Chiusi il cellulare in uno scatto d'ira senza lasciare che finisse quella frase che, assieme alle altre, mi sarebbe rimasta impressa nella mente per giorni, ferendomi.
Affondai il viso nel cuscino continuando a piangere mentre mi si accorciava il fiato.
Sentii la suoneria del cellulare, sapevo che era lui anche senza guardare e senza pensarci scaraventai il cellulare all'altro lato della stanza.
Lo osservai aprirsi in due mentre urtava l'armadio, cadere a terra e smettere di suonare, probabilmente per sempre.
Chiusi gli occhi asciugandomi le lacrime nonostante continuassi a singhiozzare e, ancora senza pensare, corsi fuori casa, come avevo già fatto una volta, e mi ritrovai al parco, al nostro parco.
Camminai lentamente fino alla nostra panchina e, incurante degli sguardi della gente, mi sedetti portandomi le gambe al petto.
Affondai il volto fra le braccia, poggiando la fronte sulle ginocchia e continuai a piangere lasciandomi invadere dalla nostalgia delle splendide giornate che avevo passato con lui.


_nota dell'autrice:
Eccoci al nuovo capitolo che credo sia anche più corto del precedente :S
Personalmente mi sto odiando da sola per il dolore che prova Kaja... considerato anche che alla fine mi ritrovo a piangere mentre scrivo >.<
Spero che nessuno di voi mi stia odiando però D:
Vabbè, facendo le persone serie: spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di leggere i vostri commenti sia qui che in altri luoghi u.u (dove vi pare insomma XD)
Vi anticipo che il prossimo capitolo darà vita ad una sorta di "trilogia". O meglio: saranno tre capitoli particolarmente uniti con le stesse vicende di sfondo. Detta così non si capisce un H ma dopo capirete cosa intendevo XD
Alla prossima settimana,
Angy

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Capitolo 15
*** 14. The hole in my apologies ***


14. The hole in my apologies


Avevo smesso di andare a scuola, non volevo incrociare il suo sguardo e sentirmi morire, non volevo vederlo mentre stringeva lei con dolcezza, non volevo affrontare la realtà.
Mi rendevo conto che scappare non serviva a niente, la verità mi seguiva lo stesso, ma non ero ancora pronta ad affrontarlo ogni singolo giorno.
Fu il trillo del telefono di casa a svegliarmi; con riluttanza uscii dal tepore delle lenzuola e scesi le scale.
-Pronto?-
-Kaja...?-
Mi sentii mozzare il fiato e non riuscii a trattenere le lacrime.
-Hey, sono Noah-
Mi chiesi come potesse pensare che non lo avessi riconosciuto.
-Lo so- sussurrai mentre cercavo a tentoni una sedia.
-Non sei più venuta a scuola- constatò mentre io riuscivo finalmente a sedermi.
-Stai male?- chiese infine con voce incerta.
-Sì- abbassai gli occhi sentendomi invadere dall'amarezza.
-Ah... Che cos'hai? E' grave?- la preoccupazione nella sua voce non bastò ad addolcire il mio tono.
-Il cuore spezzato. Non esiste una cura-
Lo sentii sospirare all'altro capo del telefono, forse insicuro sulle parole da usare.
-Mi dispiace... Non mi hai mai più risposto... Hai il cellulare sempre spento-
-In realtà si è rotto-
-Oh... Com'è succes...?-
-Cosa vuoi Noah?- lo interruppi bruscamente asciugandomi gli occhi.
-...Volevo solo sapere se stavi bene- rispose incerto.
-Come se t'importasse- commentai volutamente acida.
-Certo che mi importa! O non sarei qui a chiamarti da una fottuta cabina telefonica-
La sua voce si indurì improvvisamente facendomi pensare che stesse stringendo convulsamente la cornetta del telefono.
-Perchè sei in una cabina telefonica?- chiesi apparentemente indifferente alle parole precedenti.
Silenzio.
Mi sembrava di sentire il suo respiro.
-Perchè Charlie controlla il mio cellulare- ammise debolmente.
-Ti prego, dammi un pò di tempo. Le parlerò, la convincerò...-
-Fa come vuoi-
-Mi manchi-
Mi morsi la lingua per non rispondere "anche tu".
-L'hai scelta tu questa situazione-
Lo sentii sospirare accoratamente
-Devo andare...- senza rispondergli chiusi la chiamata e risalii fino alla mia camera.
Quando mi infilai sotto le coperte presi la mia decisione.

Inspirai nervosamente e mi decisi ad aprire la porta di casa per varcare quella soglia che non avevo più sorpassato da quando ero tornata.
Mi strinsi nel giacchino rosso ciliegia, lo stesso che avevo indossato quel giorno, e guardai il cielo dal colore grigio.
Chiusi gli occhi stringendomi con più forza nel cappotto sentendo il freddo attraversarmi la pelle.
Mi alzai il cappuccio sulla testa nascondendo lo sguardo agli altri, mi faceva sentire stupidamente protetta dal giudizio altrui, ammesso poi che ci fosse qualcuno che mi stesse veramente guardando.
Percorsi quella minima distanza fino ad arrivare davanti a casa sua. Mi percepii rabbrividire, e non per il freddo, ed alzai finalmente gli occhi sulla sua finestra.
Rimasi in quella posizione per molto, molto tempo.
Iniziavo quasi a non sentire più le gambe quando percepii un movimento dietro le tende, mi sembrò persino di vedere un'ombra e mi chiesi se non fosse solo la mia immaginazione.
Mi guardai attorno per qualche istante prima di posare di nuovo gli occhi su quella finestra.
Ancora una volta mi sembrò di vedere qualcosa, stavo solo sognando quegli occhi che mi fissavano?
Ero lì da troppo tempo per essere passata completamente inosservata.
Il sole calò prima che potessi accorgermene e con amarezza constatai che avevo sprecato l'intero pomeriggio in quella stupida posizione.
-Cosa ci fai lì?!- la voce di mia madre mi riscosse, mi voltai lentamente verso di lei e poi abbozzai un debole sorriso.
-Perdo tempo- risposi semplicemente seguendola dentro casa.
Esattamente come nelle altre sere che erano seguite al mio ritorno consumammo il nostro cibo in silenzio, a malapena osavo respirare mentre lei evitava accuratamente di guardarmi.
-Mamma... sei arrabbiata con me?- chiesi in un sussurro.
Non l'avevo mai sentita distante come in quei giorni e non potevo più fingere di credere che tutto dipendesse dalla lite con Helen.
-Cosa ti aspetti da me Kaja?- quando i suoi occhi si posarono su di me sussultai e, non riuscendo a reggerne il contatto, abbassai lo sugardo sul mio piatto.
-Non lo so, che mi rivolgi la parola?!- chiesi di nuovo in un sussurro.
-Non penso sia quello che vuoi.-
Si alzò dandomi le spalle portando il suo piatto ormai vuoto al lavandino.
-Perché? Non è quello che facciamo sempre?! Non ci siamo mai nascoste niente...-
-No, IO non ti ho mai nascosto niente, tu mi hai nascosto molto Kaja e continui a farlo. Mi chiedi fiducia, sostegno... ed io sono sempre stata felice di darti entrambi e guarda dove siamo finite. Io non mi fido più di te Kaja, non posso.-
Chiusi gli occhi lentamente sentendomi morire mentre anche lei mi allontanava, mi respingeva spingendomi nel baratro.
Sapevo di non avere affatto ragione, sapevo di aver sbagliato, sapevo che avrei dovuto parlargliene, consigliarmi con lei.
-Mi dispiace.- dissi senza riuscire ad alzare gli occhi.
La sentii sussurrare qualcosa di indistinto e prima che potessi aggiungere qualcosa lasciò la stanza senza aggiungere altro.

Continuavo a ripetermi che tutto sarebbe tornato a posto, in un modo o nell'altro.
Continuavo a ripetermi che non dovevo lasciarmi andare, che dovevo lottare.
Ma quella mattina faticai a trovare la forza di alzarmi dal letto per affrontare una nuova giornata.
Tentai di tenere la mente occupata sistemando casa ma nulla riusciva a distrarmi e così, passata l'ora di pranzo, mi ritrovai di nuovo a fissare quella dannata finestra aspettando una reazione, una qualsiasi.
Dovevo parlarle, spiegarle, chiederle scusa se necessario.
Mi sarebbe bastato vederla anche solo per cinque minuti.
Ma, esattamente come il giorno prima, non ottenni altro che ombre, movimenti, ed occhi che ricambiavano lo sguardo.
Quando il sole calò nuovamente abbassai lo sguardo a terra sentendomi di nuovo svuotata e senza speranza.
Quella sera sedendo alla scrivania decisi di scriverle una lettera, se non voleva parlarmi o vedermi poteva sempre leggere le mie parole.
Rimasi sveglia tutta la notte indecisa sulle parole da usare ma alla fine riuscii a riunire qualcosa di concreto in un unico foglio sintetico.
A rileggerla mi sembrava una lettera particolarmente impersonale, neanche stessi raccontando la trama di un film.
L'indomani mattina mi alzai velocemente, avevo un motivo per farlo, e corsi alla sua buca delle lettere infilandovi, speranzosa, il mio misero foglio.
Quando risalii nella mia stanza mi sentii sollevata, quasi mi fossi liberata di un peso trasmutando i miei pensieri in parole concrete.
Mi affacciai alla finestra intorno a metà mattina, quasi sperando che Charlotte non fosse andata a scuola... ma vidi solo Helen recuperare la posta dalla buca delle lettere.
Stavo per voltare lo sguardo verso la mia stanza quando la vidi aprire la mia lettera e leggerla velocemente.
Mi sentii quasi violata da quel gesto, nessuno avrebbe dovuto leggere quelle parole oltre Charlie.
La vidi tremare visibilmente e iniziai a preoccuparmi che stesse per avere un crollo nervoso ed invece strappò le mie parole, il mio cuore su carta, con crudeltà e senza alcun rispetto.
Senza neanche pensare mi affrettai giù per le scale, aprii la porta in uno scatto fino a raggiungere la donna.
-Non ha il diritto di strappare quella lettera, non è per lei!-
-E tu non avevi il diritto di fare questo alla mia famiglia stupida ragazzina!-
Il suo sguardo carico d'odio mi trafisse facendomi indietreggiare di un passo.
-Fare cosa?! Ho liberato lei e sua figlia da un mostro! Come fa a non capirlo?-
-Mio marito non ha mai alzato un dito su di me o su mia figlia!-
-Non è quello che dice Charlotte!- boccheggiai avvicinandomi di nuovo sentendomi ribollire.
Il negare di quella donna mi bruciava, possibile che amasse a tal punto il marito?
Mi colpì la sua risata isterica mentre si avvicinava a me con fare minaccioso.
-Hai distrutto la mia famiglia e ti giuro che pagherai per questo-
Mi prese il polso con la mano destra e strinse fino a mozzarmi il fiato.
-Lei è la degna compagna di suo marito!-
Mi divincolai fino a riuscire a liberarmi da quella morsa dolorosa e spaventata indietreggiai.
Non avevo mai visto Helen a quel modo e per qualche istante mi venne il dubbio che fosse esattamente come Aaron.
In realtà era solo una donna sconvolta, sconfitta, frustrata e terribilmente confusa.
-Sa?! Lei si merita esattamente tutto quello che suo marito le ha fatto e magari le piaceva anche essere picchiata ma avrebbe dovuto pensare a sua figlia!-
Mi pentii immediatamente di quelle parole dure e cattive ma era ormai troppo tardi.
Scattò verso di me e la sua mano si stampò con violenza sulla mia guancia sinistra facendomi perdere l'equilibrio.
Caddi rovinosamente a terra ferendomi alle mani con l'asfalto e guardando a terra notai qualche goccia di sangue.
Mi chiesi da dove venisse prima di sfiorarmi le labbra distrattamente. Quel colpo mi aveva talmente colto alla sprovvista da non essermi resa conto che mi aveva anche spaccato il labbro inferiore.
Mi rialzai barcollando scossa dal suo comportamento e mi sfiorai la guancia già arrossata fissandola con sguardo smarrito.
Senza aggiungere altro indietreggiai fino a raggiungere la porta di casa.
-Non è possibile- sussurrai a me stessa chiudendo la porta alle mie spalle ponendo un confine netto fra me e lei.
Sconvolta mi lasciai cadere sul divano della sala tentando di capire cosa fosse realmente successo.
Mi sembrava talmente assurdo il comportamento di lei che stentavo a credere fosse successo veramente.
Il buio serale presto riempì la stanza senza che io mi fossi minimamente mossa.
Alzai lo sguardo smarrito solo quando sentii le chiavi di mia madre girare nella toppa.
-Kaja?! Che ci fai lì al buio?- si avvicinò lentamente a me mentre io, silenziosamente, mi limitavo a fissarla sentendo tutte le parole morirmi in gola.

_nota dell'autrice:

Beh, avrò anche iniziato un'altra storia ma per ora lascio che sia questa quella centrale, non l'abbandonerò di certo u.u
Dunque questo come dicevo è il primo capitolo della "trilogia" XD
Vabbè, immagino avrete capito a cosa si riferisce insomma...
Se non l'avete capito non ve lo posso spiegare perchè non sono capace di non spoilerare girando attorno alle cose XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di leggere le vostre opinioni in merito ^^
Baci baci,
Angy

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Capitolo 16
*** 15. Encounters and conflicts ***


15. Encounters and conflicts


La sua mano mi sfiorò delicatamente la guancia e vidi la preoccupazione affacciarsi sul suo volto.
Non riuscii a trattenere una lacrima ed abbassai gli occhi a terra.
Mi sembrava di non riuscire a combinarne neanche una giusta.
Mi sentivo incredibilmente in colpa per tutto quello che stava succedendo ed iniziavo a chiedermi se non stessi sbagliando tutto, se non fossi dalla parte del torto.
-Chi ha osato toccare la mia bambina?-
Non avevo la forza di risponderle che era stata la sua migliore amica ma dovevo farlo.
Mi poggiò le mani sulle spalle cercando i miei occhi quasi implorandomi di risponderle.
-Helen- dissi in un soffio sentendomi morire.
Tra tutte le reazioni che avevo immaginato non c'era quella che stavo vedendo.
Mi aveva preso per un braccio e mi aveva costretta a seguirla fino a casa Schwarz.
Provai inutilmente a convincerla che non importava, che stavo bene, che non c'era bisogno, ma lei imperterrita aveva suonato alla porta ed aveva atteso.
-Cosa vuoi Petra?- la voce dura di Helen non mi sorprese affatto.
Da quando Aaron era stato arrestato aveva subito una mutazione, era diventata un mostro irrazionale.
-Io ti voglio bene Helen, e lo sai. Ma non dovevi azzardarti a toccare mia figlia!-
La sua presa sul mio polso si fece più dura mentre anche Charlotte raggiungeva la madre alla porta.
Il suo sguardo mi trafisse facendomi sentire terribilmente inadeguata. Posai gli occhi a terra sentendo gli occhi riempirsi ancora di stupide lacrime.
-Oh andiamo Petra, tua figlia ha distrutto la mia famiglia!- le urlò contro e percepii mia madre indietreggiare leggermente col busto, quasi non riconoscesse quella donna.
-Non mi pare il caso di parlarne per strada, facci entrare.-
Mi sorpresi nel vedere Helen farsi da parte per farci entrare, evidentemente mia madre aveva un grande ascendente su di lei.
Mi trascinò, letteralmente, fino al divano e sentii la nausea invadermi.
Provai a ribellarmi ma alla fine mi costrinse a sedermi mentre Helen e Charlie si accomodavano esattamente davanti a noi.
-Kaja, raccontami cos'è successo esattamente.-
La sua voce era dura e secca, non provai neanche a ribellarmi e dunque, tenendo lo sguardo rigorosamente basso, iniziai a raccontare.
-Avevo scritto una lettera a Charlotte per chiarire... poi però ho visto dalla finestra Helen che la strappava e l'ho raggiunta per dirle che non era giusto quello che stava facendo... e lei mi ha aggredita verbalmente- feci una piccola pausa deglutendo rumorosamente - L'ho aggredita anche io per difesa e poi lei mi ha dato un ceffone...-
Mia madre spostò lo sguardo da me ad Helen guardandola attentamente.
-E' andata così?-
-Tu non puoi capire, Petra!-
-Cosa non posso capire, Helen? Mia figlia ha sbagliato, credi che non lo sappia? Non è così che doveva andare ma lei non ha rovinato la tua famiglia, è stato Aaron a farlo.-
Vidi Helen sgretolarsi sotto il peso di quelle parole e crollare in un pianto convulso che mi indusse ad alzare gli occhi su di lei.
Mi sentii improvvisamente in pena per lei e ancora più colpevole per averle inferto quel dolore.
-Mi dispiace... io- sussurrai singhiozzando ma mia madre mi bloccò a metà frase e tornò a parlare:
-So che sei sconvolta e che lo ami, ma guarda cosa ti ha fatto in tutto questo tempo, guarda cosa ha fatto a tua figlia! Ora siete libere dall'incubo, non importa come.-
-Non è così, Petra. Io mi meritavo quello che Aaron mi infliggeva, ero io a provocarlo.-
-STRONZATE!- sussultai sentendo l'urlo di mia madre che era balzata in piedi.
Mi sembrava una leonessa pronta al combattimento, probabilmente soffriva più di quanto lasciasse vedere per la sua amica.
-Nessuno si merita di essere picchiata come è successo a te. E se anche tu ti fossi meritata questo Helen vuoi forse farmi credere che anche Charlotte l'abbia provocato?!-
Helen si asciugò gli occhi con mani tremanti spostando lo sguardo sulla figlia che silenziosamente piangeva al suo fianco.
Guardandola in quello stato non riuscii a fare a meno di piangere a mia volta.
Quella casa era satura di lacrime, di angoscia e tristezza, tanto che sentivo l'aria mancarmi.
-Mi dispiace- sussurrò Helen rivolta a me.
Annuii debolmente sfiorandomi distrattamente una guancia.
Io e Charlotte assistemmo in silenzio al riconciliamento tra mia madre e la sua, le guardammo stringersi e condividere il proprio dolore.
Quando si allontanarono io mi alzai avvicinandomi a Charlotte per poter parlare con lei, sperando di riunirmi a lei come avevano fatto le nostre madri.
-Sai Kaja, quando mia madre mi ha raccontato cos'era successo oggi avevo persino pensato di darti una possibilità di chiarirti. Ma la verità è che non sopporto di vederti piangere, tu non hai nessun diritto di provare tutto questo dolore. Sei tu la causa di tutto!-
Mi lasciò senza fiato alzandosi, mi fissò negli occhi con odio e poi mi oltrepassò dandomi una spallata.
Quando mi voltai per cercare la sua figura lei era già sparita salendo le scale.
Sentii distintamente il rumore della porta della sua stanza che si chiudeva e mi sembrò che me la stesse chiudendo in faccia.
Era solo un'altra battaglia che non potevo vincere.

_nota dell'autrice:
Non so neanche io cosa sia successo ma mi è sparito un capitolo della trilogia o,o
Forse ricordavo male ma dunque la trilogia non esiste XD
L'elemento comune lo troveremo ampiamente nel prossimo capitolo, chiedo venia >.<
Spero vi sia piaciuto il capitolo... sono coscente di quanto piangano tutti, davvero. Chiedo venia anche per il capitolo particolarmente corto >,<
Stiamo lentamente uscendo dalla situazione calda, anche se non sembra XD
Spero di leggere le vostre opinioni, a presto
Angy.

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Capitolo 17
*** 16. The angry farewell ***


16. The angry farewell


Per quanto volessi evitare di affrontare la mia vita la verità era che non potevo scappare per sempre, o almeno non potevo farlo restando comunque in quella città.
Così, due giorni dopo la riappacificazione fra mia madre ed Helen, tornai a scuola.
Entrai nell'edeficio rigorosamente a testa bassa, come facevo un tempo seguendo i piedi di Charlie.
Non avevo voglia di vedere nè sentire nessuno, non che ci fosse poi il pericolo che qualcuno mi rivolgesse veramente la parola.
Mi decisi ad alzare gli occhi solo una volta arrivata davanti al mio armadietto.
Charlotte era esattamente al lato opposto, appoggiata al suo, assieme a Noah, che delicatamente le accarezzava una guancia.
Mi immobilizzai e presi a fissarla come avevo fatto giorni addietro con la sua finestra.
Quando mi notò il sorriso sparì dalle sue labbra ed i suoi occhi si posarono sul mio volto con riluttanza.
Vidi Noah voltarsi ancora sorridente, vidi il suo sorriso sparire come quello di Charlotte e mi sentii morire.
Abbassai gli occhi per qualche istante ma poi mi riscossi, non le avrei permesso di infierire a quel modo, non le avrei permesso di averla vinta ancora una volta, non senza lottare.
La fissai poggiando la schiena al mio armadietto lanciandole un chiaro messaggio: non mi sarei mai e poi mai mossa da lì, non mi sarei certo arresa per uno sguardo in cagnesco.
Lei distolse lo sguardo poco dopo e sussurrò qualcosa a Noah che annuì con poca convinzione.
Poco dopo me lo ritrovai difronte in evidente difficoltà.
-Hey-
-Hey- risposi aggrottando le sopracciglia confusa - Che c'è?- chiesi dunque vedendolo tacere mentre fissava il pavimento.
-Charlotte mi ha chiesto di dirti di smetterla di fissarla a quel modo...-
Mi sentii infiammare, scottare, ardere a quelle parole.
Non poteva dirmelo da sè? Aveva bisogno di uno stupido messaggero? E lui?
-Tsk! Sei il suo cagnolino ora?!-
Non riuscii a trattenermi dall'aggredirlo, avrei voluto prenderlo a schiaffi, insultarlo, ferirlo a morte.
Lo fissai mentre lui continuava a guardarsi i piedi senza sapere cosa rispondermi.
Mi morsi il labbro inferiore e scattai in avanti spintonandolo per allontanarlo dalla mia vista.
Avrei voluto poterlo spingere anche fuori dal mio cuore, ma non era così facile.
Gli voltai le spalle per allontanarmi e raggiungere la classe ma lui mi afferrò per il braccio provando a fermarmi.
Mi sentii bruciare la carne a quel contatto e come impazzita mi dimenai fino a liberarmi dalla presa.
-Non toccarmi!- il mio urlo attirò l'attenzione degli altri studenti che si bloccarono in mezzo al corridoio fissandoci.
Trattenni le lacrime e mi avvicinai a Charlotte, la causa di tutto.
-Potevi venire a dirmelo di persona, non serviva mandare il tuo cagnolino!-
Mi allontanai velocemente prima che potesse ribattere, ammesso che lo avrebbe fatto, e raggiunsi l'uscita della scuola.
Non avrei resistito un minuto di più dentro quell'edificio, anche se ero ben lontana dall'arrendermi.
Avevo capito che il mio atteggiamento le dava fastidio per un motivo, non poteva ignorarmi, evidentemente muovevo qualcosa dentro di lei.
Era un vantaggio che non potevo perdere, era il mio unico appiglio per riportare tutto alla normalità.
Esattamente come i giorni precedenti uscii di casa per appostarmi in strada, davanti alla sua finestra.
Alzai gli occhi come tutti gli altri giorni ed immobile tornai a fissare quella finestra, tornai a vedere la sua ombra che stizzita si muoveva dietro le tende.
Ero sicura che mi avesse vista, che mi stesse fissando di rimando.
Qualche istante dopo la porta di casa Schwarz si spalancò facendomi ben sperare.
La vidi uscire infervorata, quasi sconvolta, chiusa dentro un cappotto nero.
I lunghi capelli rossi erano sciolti e le incorniciavano il volto più bianco del solito.
-Devi smetterla di perseguitarmi Kaja! Non ne posso più!-
-Io non sto facendo proprio niente Charlie-
-Non trattarmi come fossi una stupida! Se non la smetti finirà che ti denuncerò per stalking!-
-E' a questo che siamo arrivate? Denunceresti la tua migliore amica?-
-TU NON SEI MIA AMICA!-
Il modo in cui me lo aveva urlato, il modo in cui si muoveva nervosamente, il suo volto sconvolto, mi faceva capire che non lo pensava affatto.
-Lo sai anche tu che questa è una bugia-
-Smettila, ti prego- sussurrò con voce tremante, probabilmente trattenendo le lacrime.
Non riuscivo a capire il suo comportamento, perchè si ostinasse tanto quando quella situazione faceva star male lei stessa.
-Smetterla?! Io non posso smetterla! Io ci tengo a te Charlie, possibile che tu non lo capisca?- mi avvicinai a lei fino a sfiorarle il viso.
Mi sarebbe bastato così poco, un soffio, per baciarla, per mostrarle tutto il mio amore.
-Non mi porterai via Noah. Preferisco distruggerti che rinunciare a lui-
Mi sorpresi anche io di quelle parole, mi sorpresi nel constatare che sarei riuscita a rinunciare al mio unico amore pur di ritrovare l'amiciza con Noah.
Si allontanò di un passo da me, guardandomi stralunata.
-Ma da dove ti esce tutta questa rabbia, Kaja?-
Mi venne da ridere ed alzai gli occhi al cielo.
-Sei tu la mia rabbia, il mio odio, Charlie. Sei tu la fonte di tutto questo!-
La guardai ancora mentre lei fissava a terra con aria confusa.
Possibile che non capisse? Possibile che le mie parole non fossero chiare?
Eppure non mi ero mai aperta tanto in una volta sola.
In quel momento mi sembrava sorda e cieca. Una persona che si rifiutava di capire, di ascoltare, di vedere veramente.
-Charlie, guardami negli occhi e dimmi che non mi vuoi più come amica, che terrai per sempre lontano da me Noah e allora ti lascerò in pace per sempre.-
Non credevo neanche io a quelle parole. Ma forse le dissi solo perchè non credevo lei potesse farlo ed invece alzò gli occhi su di me, mi fissò freddamente e lo disse:
-Non ti voglio più come amica, non avrai mai più Noah nella tua vita, Kaja. Ora lasciami in pace.-
La vidi abbassare gli occhi nelle ultime parole, la vidi fremere nervosamente, mi dissi che stava mentendo, che non lo pensava veramente.
Eppure lo aveva detto, lo aveva fatto veramente, anche conoscendo le conseguenze.
Una lacrima precipitò sul mio viso arrivando fino all'attaccatura delle labbra prima che l'asciugassi; solo a quel punto mi voltai dandole le spalle.
Notai la figura di Noah che si avvicinava a noi con aria confusa. Era la fine, non c'era più niente da salvare, più niente per cui combattere.
Mi allontanai lentamente da Charlotte fino a raggiungere lui.
Lo guardai qualche istante prima di oltrepassarlo dandogli una spallata.
Sapevo che sarebbe sembrato un gesto di stizza, di rabbia, ma non lo era.
Volevo sentire per l'ultima volta il suo contatto, convinta che non avrei più potuto abbracciarlo.
Mi mancava tanto da spezzarmi il fiato, mi mancava la sua voce, i suoi abbracci, le sue parole dolci. Tutto.
Non mi voltai, mi costrinsi a non guardare indietro, a non cercare ancora una volta i loro volti.
Quello era il nostro addio, la fine che Charlie aveva scelto per tutti noi.

_nota dell'autrice:
Ed eccoci col capitolo della settimana, anche se ormai siamo alle porte della prossima >.<
Mi dispiace di non aver aggiornato ma ho avuto gravi problemi personali che mi hanno impedito di scrivere :S
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, so che molti di voi stanno odiando Charlotte e mi dispiace :S
So anche che ad alcuni è diventato antipatico Noah >.<
Vabbene, dal prossimo capitolo la situazione cambierà ed andrà verso una risoluzione.
Colgo l'occasione per anticiparvi che al capitolo XX avremo un gigantesco colpo di scena =D
A presto, kisses
Angy

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Capitolo 18
*** 17.And tell me: how I've lost my power? ***


17.And tell me: how I've lost my power?

Fissò il soffitto bianco sentendosi vuota, completamente risucchiata dall'amarezza.
Sentiva il corpo pesante, affatto riposato dopo quelle poche ore di sonno agitato.
Non riusciva a non pensare a quanto successo solo due giorni prima, non riusciva a non pensare al volto di lei mentre le diceva quelle parole.
Non riusciva ancora a credere di essere riuscita a dire quella frase e soprattutto non riusciva ancora a spiegarsi perchè lo avesse fatto.
Uscì dalle lenzuola lentamente e si affacciò alla finestra, quasi sperando di trovare i suoi occhi.
Ma non c'era niente ad accoglierla, come non c'era stato niente due giorni prima, nè in strada nè a scuola.
Si morse il labbro inferiore sentendosi estremamente colpevole.
Non sapeva come facesse ma finiva sempre col ferire le persone che amava. Forse aveva semplicemente ereditato da suo padre il potere di inencerire le cose, anche soltanto sfiorandole.
Scese lentamente le scale e si coprì gli occhi con il braccio arrivata nel salotto, quasi accecata dalla luce della mattina.
Cercò sua madre in cucina ma trovò solo un foglio ad attenderla.
Alla fine anche lei aveva capito, l'aveva accettato. E così quella mattina si era recata alla centrale di Polizia per denunciare a sua volta Aaron.
Dal giorno in cui Petra era entrata nella loro casa tutto era cambiato, sua madre era cambiata. E lei aveva iniziato già a sentirsi libera, libera di respirare.
Sfiorò il legno del tavolino sovrappensiero chiedendosi come avesse fatto ad allontanare l'unica persona che le era sempre stata vicina.
Lei invece non poteva dire lo stesso, affatto.
"Sei tu la mia rabbia, il mio odio, Charlie. Sei tu la fonte di tutto questo!"
Si asciugò una lacrima distrattamente. Era vero, maledettamente vero.
Era solo colpa sua, era sempre colpa sua.
Il suono del campanello la riscosse e guardò velocemente l'orologio, quasi aveva dimenticato l'appuntamento che aveva con Noah quella Domenica mattina.
Quando aprì la porta però non c'era il solito sorriso ad accoglierla ma un volto teso, divorato dall'agitazione.
-Tutto bene?-
-No- rispose lui entrando velocemente in casa - Non posso più sopportare questa situazione Charlie, almeno dimmi cos'è successo tra te e Kaja due giorni fa.-
Abbassò lo sguardo a terra colpevole. Non aveva voluto dirgli niente, aveva voluto tenerlo allo scuro temendo di perderlo.
-Tu non c'entri niente, è solo una questione tra me e lei.-
-No, non lo è più da quando mi avete coinvolto!-
Si avvicinò repentinamente e le accarezzò un braccio delicatamente fissandola negli occhi; quasi le mancò il fiato nel vedere quello sguardo.
-Mi ha chiesto di dirle che non la volevo più come amica e che ti avrei per sempre tenuto lontano da lei, solo a quel punto mi avrebbe lasciata in pace- ammise con voce malferma.
-E tu?!-
-Io...gliel'ho detto.-
La lasciò andare improvvisamente e le diede le spalle.
-Io non ce la faccio più. Ho accettato questa situazione sperando che fosse temporanea, che avresti capito ma...-
Lo raggiunse e gli prese una mano nella sua sperando di fermare il suo sfogo, sperando di non doverlo sentire veramente. Lui si liberò della sua presa quasi scottato da quel contatto e la guardò smarrito, come mai aveva fatto prima.
-Se vuoi buttare al vento tutti gli anni di amicizia tra te e lei mi sta bene, non sono affari miei, non posso obbligarti a perdonarla. Ma non posso permetterti di rovinare la mia amicizia con lei.-
Fece un passo indietro sorpresa all'idea che lui potesse scegliere Kaja a suo discapito.
-Sei stato tu a scegliere!-
-No, Charlie, TU mi hai fatto scegliere, è molto diverso.-
-Ti stai rimangiando la tua promessa?!-
Lui rise nervosamente spostando gli occhi da lei allo sfondo alle sue spalle, forse incapace di guardarla.
-No, Charlie. Io ti amo e mi aspetto dalla persona che dice di amarmi di essere trattato con un minimo di rispetto. Io non sono il pupazzo di nessuno.-
Quelle parole dure la gelarono. Per la prima volta ebbe paura di averlo perso, di aver allontanato anche lui.
-Stai scegliendo lei?-
Si avvicinò a lei fissandola nuovamente negli occhi.
-Il punto è che io non dovrei dover scegliere tra la donna che amo e la mia migliore amica. Io non posso scegliere e non lo farò ancora. Sarai tu a scegliere, Charlie. Sono stanco di questi giochetti, non sono per me.-
Si portò una mano davanti alla bocca ed indietreggiò.
Non aveva tutto il potere che aveva creduto di avere o forse lo aveva semplicemente perso.
Si sentì gelare e poi andare a fuoco in un solo istante, gli andò incontro e lo spinse con tutta la forza che aveva verso la porta, non sopportando più la vista del suo viso.
-E allora vattene! Va da lei!- gridò con tutte le sue forze sentendo le lacrime bruciarle gli occhi e cadere giù, copiosamente.
Lui indietreggiò annuendo amaramente e un minuto dopo era fuori casa, lontano da lei.
Si inginocchiò a terra singhiozzando, si lasciò completamente andare fino a toccare il pavimento con la fronte.

-Arrivo, un attimo!-
Urlai rivolta alla porta mentre continuavano a bussare con insistenza.
Arrivai trafelata ed esasperata da quel continuo incedere di pugni ed aprii senza neanche controllare dallo spioncino. Quello che vidi mi lasciò senza fiato.
Il viso sconvolto di Noah, lui che entrava senza neanche aspettare che lo invitassi, lui che si torturava le mani.
-Cosa ci fai qui?- chiesi tentando di assumere con tutte le mie forze un tono di voce freddo.
Lui si voltò e mi guardò per qualche istante prima di buttarmisi sopra stritolandomi in un abbaraccio.
Restai immobile qualche istante paralizzata dalla sorpresa, poi provai a far finta che non suscitasse in me alcuna emozione ma alla fine lo strinsi a mia volta.
-E' finita, è finita davvero. Non ti abbandonerò mai più, perdonami-
Ci misi qualche istante a capire il senso delle sue parole e quando lo feci lo strinsi con più forza a me chiudendo gli occhi.
Inspirai a fondo inebriandomi col suo profumo. Era lui, era tornato per me, solo per me.
Mi morsi le labbra per non piangere dall'emozione e poi lo lasciai andare.
Gli accarezzai delicatamente una guancia accennando un sorriso, solo in quel momento mi resi conto di quanto mi fosse veramente mancato, tanto da spezzare il fiato.
-Cos'è successo?- chiesi in un sussurro senza smettere di guardarlo, continuando ad accarezzargli la guancia.
Abbassò gli occhi a terra prima di poggiare la sua mano sulla mia.
-Non potevo più stare lontano da te. Io non voglio scegliere, Kaja. Ho fatto scegliere lei. Avrei potuto essere suo fidanzato e tuo amico allo stesso tempo, ma lei non lo ha accettato.-
-Mi dispiace- sussurrai di nuovo sentendo il cuore battere all'impazzata.
Aveva scelto me, questa volta.
Mi abbracciò di nuovo, più delicatamente, ed io affondai il volto sul suo petto come avevo fatto milioni di volte, sentendomi veramente a casa.

La trovò stesa a terra, immobile come una bambola spezzata.
Le mancò l'aria e terrorizzata si avventò su di lei, la prese fra le sue braccia voltandola in modo da poterle vedere il volto.
Era più pallida di quanto fosse mai stata e priva di sensi, il volto completamente bagnato dalle lacrime.
Le diede dei leggeri schiaffi sulle guanci per farla rinvenire.
Se avesse perso anche sua figlia a quel punto non sarebbe rimasto più niente di lei, più nulla per cui vivere.
-Mamma- la voce arrochita di Charlotte la distolse da i suoi pensieri.
I bellissimi occhi azzurri di lei la fissarono confusa e lei non riuscì a trattenersi dallo stringerla a sè.
-Mi hai fatta preoccupare... che succede?-
Gli si buttò al collo con fare disperato, la strinse con forza e tornò a piangere come aveva fatto prima di perdere i sensi.
-Sono come papà? Non sono capace di amare?! Rovinverò sempre tutto?-
Le si strinse il cuore a sentirla parlare a quel modo e realizzò quanto male le avesse fatto tenendosi in casa quel mostro che aveva chiamato marito.
-No piccola, non lo sei! Anche solo il fatto che tu te lo stia chiedendo dovrebbe farti capire che non è così.-
Le accarezzò la testa delicatamente tentando di rassicurarla mentre lei continuava a piangere, sconvolta.
-E allora perchè? Perchè distruggo sempre chi mi ama? Ho scacciato via Kaja mamma e ora non ho più neanche Noah.-
Chiuse gli occhi stringendola con più forza per farle sentire tutto il suo amore.
-Non c'è niente a cui non si possa porre rimedio, oltre la morte, bambina mia- sussurrò cullandola leggermente.
Dieci minuti dopo lei le stava raccontando tutte le vicende degli ultimi giorni, davanti ad una buona tazza di cioccolata calda.
Non aveva idea di quanto stava accadendo nella vita di sua figlia e si chiese se Petra invece ne fosse al corrente.
Si maledisse per non aver visto, per non essersi accorta di quanto accadeva sotto i suoi occhi, accecata da chissà cos'altro.
Aveva perso di vista la cosa più importante, sua figlia.

Il campenello interruppe la nostra discussione e fui costretta ad abbandonare il salotto per andare ad aprire.
Era la seconda volta in un solo giorno che mi stupivo nel vedere chi fosse. Era Charlotte, con un'aria sconvolta che mi fece rabbrividire.
-Ah, sei tu- dissi con voce piatta distogliendo lo sguardo.
-Possiamo parlare?-
Le tremava la voce e sembrava sul punto di crollare e piangere.
Buttai un occhio in salotto e vidi Noah agitarsi sul divano. Non mi ero mai trovata in una situazione assurda come quella.
Mi morsi il labbro inferiore ed uscii di casa accostando la porta alle mie spalle.
-Oh, non mi fai entrare- sussurrò lei abbassando gli occhi a terra.
-Non è importante dove parliamo, no?- chiesi tagliente.
Alzò gli occhi supplichevoli su di me ed annuì debolmente.
-Lo sai che non le pensavo veramente quelle parole che volevi che ti dicessi, no?-
-No, non lo so.- puntualizzai con voce fredda e distaccata.
Mi sembrò quasi di vederla spezzarsi davanti ai miei occhi mentre le lacrime si facevano spazio sul suo volto, increspandolo.
-Mi dispiace... stavo riversando tutta la rabbia di questi anni su di te... E' solo che ho sempre pensato che non ti avrei mai persa. Non importava quel che ti facevo, tu c'eri sempre-
-Adesso è cambiato tutto, non sono più quella stupida ragazzina.-
-Lo so- sussurrò annuendo posando gli occhi a terra non riuscendo a sostenere il mio sguardo.
-Tutto qui?- chiesi voltandole le spalle per rientrare a casa.
-Aspetta!- mi agguantò prendendomi per il braccio e mi costrinse a voltarmi -Ti sto implorando di darmi un'altra possibilità.-
Chiusi gli occhi realizzando quanto stesse veramente cadendo a pezzi, quanto si stesse perdendo dentro se stessa.
-Non sarà mai più come prima, io non sono più quella di prima.-
-Va bene, sono pronta ad accettare le conseguenze... ma ho bisogno di te...-
Non avrei mai pensato di sentirle dire quelle parole. Mi immobilizzai guardandola mentre continuava a piangere per me, per la persona che non aveva mai visto.
La strinsi a me prima di rendermene conto, probabilmente non potevo semplicemente farne a meno.
Nonostante tutto io continuavo ad amarla.
Percepii un movimento alle mie spalle e voltandomi vidi Noah sul ciglio della porta che ci guardava, stupito esattamente come me.
Quando lei alzò lo sguardo su di lui le lacrime tornarono a bagnarle il viso; mi lasciò andare e gli corse incontro.
Lo strinse a sè con forza sussurrando in continuazione "perdonami".
Lo vidi cedere lentamente, stringerla a sè per poi poggiare le sue labbra su quelle di lei.
Mi voltai fissando la strada non riuscendo ad essere felice per loro, per il loro ritrovamento.
Non riuscivo a non pensare che eravamo tornati indietro, esattamente all'inizio. Eravamo tre persone completamente diverse eppure era tutto uguale, una storia destinata a ripetersi, in un modo o nell'altro.

_nota dell'autrice:
Ed eccoci nuovamente ad un nuovo capitolo! Di nuovo con l'appuntamento del Mercoledì X'D
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, anche se immagino che alcuni non siano felici di vedere Kaja e Charlotte riappacificate X'D
Vi anticipo che nel prossimo capitolo vedremo la giustizia tedesca spedire in carcere quella merdaccia di Aaron ù,ù
E quindi, al prossimo capitolo **
Baci,
Angy


PS: per chi non avesse notato sto pubblicando anche un'altra storia, di genere completamente diverso, mi farebbe piacere sapervi lettori anche di questa (il titolo è Seven Deadly Sins)

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Capitolo 19
*** 18. In front of the Court ***


18. In front of the Court


Fissai il mio riflesso nello specchio, tutto il mio malessere interiore si rifletteva esattamente sulla sua superficie.
Ero pallida, più del solito, ed avevo le occhiaie molto accentuate dalle ore di sonno perse. Sentivo lo stomaco completamente chiuso ed in subbuglio al pensiero di quello che mi attendeva.
Avevo racchiuso i lunghi capelli in una semplicissima coda di cavallo ed avevo indossato un tubino nero, accompagnato da ballerine del medesimo colore.
Mi sembrava quasi di dover andare ad un funerale piuttosto che in Tribunale.
Finalmente era arrivato il giorno della condanna di Aaron, il giorno in cui avremmo dovuto testimoniare contro di lui, anche se il video-tape che avevamo realizzato lo incastrava più di tutte le parole che avremmo potuto dire.
Avevamo deciso di andare tutti assieme, con due macchine; una guidata da mia madre e l'altra da Helen.
Lessi su tutti i loro visi la mia stessa tensione.
Non era paura che non fosse condannato, sapevamo che sarebbe stato così, avevamo solo paura che la condanna fosse minima, che presto sarebbe potuto tornare a tormentare le nostre vite.
Quando entrammo nella stanza mi guardai attorno, era più grande di quanto avessi immaginato.
Non troppi minuti dopo si era in realtà già riempita, tanto da sembrare piccolissima e soffocante.
Rabbrividii e sussultai sul posto quando lo vidi entrare accompagnato dalle forze dell'ordine, spostai lo sguardo su Charlie davanti a me e percepii la sua tensione.
Gli occhi freddi di lui si posarono su Helen e poi su sua figlia, che sussultò raggelata da quello sguardo.
Poi si posarono su Noah ed infine su di me, facendomi rabbrividire.
Rividi in un secondo tutta la sua rabbia, sentii nuovamente le sue mani sul mio corpo, che infierivano senza pietà.
Sentii la nausea assalirmi e le forze mancarmi; quasi interpretando il mio stato d'animo mia madre mi strinse con forza la mano, calmandomi.
Le ore passarono molto lentamente mentre Noah testimoniava, mentre Helen denunciava tutto quello che aveva subito.
Quando arrivò il mio turno mi sentii pietrificare dal terrore.
Ricordo poco delle mie parole se non il lento incedere tremolante ed il suo sguardo omicida su di me.
E quando ormai il Giudice era pronto a ritirarsi Charlotte chiese la parola.
La fissai attonita mentre andava a testimoniare, restai sbalordita dalla sua forza, dal modo sicuro con cui rivelava tutti i torti che il padre le aveva fatto.
Sentii Helen singhiozzare e mi sporsi in avanti per poggiarle una mano sulla spalla. Potevo solo immaginare cosa stesse provando ma non capire davvero.
Restammo tutti col fiato sospeso mentre il Giudice leggeva la sua sentenza.
Tornai a respirare solo alla parola "condannato" e strinsi con forza la mano di mia madre aspettando il resto della frase.
Sembrarono ore interminabili mentre passavano solo quei pochi secondi tra una parola e l'altra.
-A 25 anni di reclusione per aggressione, tentato omicidio e violenza su minore-
Per quanto fosse una circostanza triste, in fondo, non riuscii a non esultare ed abbracciai con forza mia madre prima di allungare una mano verso Charlotte, cercando la sua.
La trovai stretta a sua madre, entrambe commosse e finalmente libere da quell'incubo.
Prima che potessi rendermene conto le lacrime avevano iniziato a bagnare anche il mio di viso. Mi sentivo più che mai in comunione con loro, liberata da quelle parole atone che avevano cacciato Aaron dalla nostra vita.
Una mano prese la mia e la strinse con delicatezza, non avevo bisogno di voltarmi per sapere chi fosse.
Mi asciugai il viso con la mano libera e mi voltai verso di lui accennando un sorriso.
-Stavo pensando di passare il resto della giornata insieme a te e Charlotte-
Anuii spostando gli occhi su di lei che si stava avvicinando a noi con un magnifico sorriso dipinto sul viso.
-Ho tutto l'occorrente per un pic-nic- aggiunse rivolgendosi ad entrambe.
Dieci minuti dopo stavamo uscendo dal Tribunale assieme.
Mi resi conto che non eravamo stati quasi mai tutti e tre assieme, a parte i momenti passati a scuola.
Mi sentii scaldare il cuore a quella consapevolezza; era qualcosa di diverso per noi, per i nostri rapporti.
Nel mio cuore si fece spazio la speranza che la storia non si sarebbe ripetuta esattamente come prima. Forse potevamo essere davvero tutti e tre felici, assieme.

Scegliemmo un ampio spazio verde, accanto alla panchina che io e Noah avevamo battezzato come nostra, e ci sedemmo tutti e tre sul telo scozzese.
Non avevo mai fatto un vero pic-nic in stile americano, con tanto di cestino di vimini.
-Ma hai portato una quantità di cibo spropositata! Ci mangerebbe un esercito qui!- esclamai dando un'occhiata dentro al cesto.
-Mia madre... non ha il senso della misura-
Charlotte si sporse in avanti e senza troppe cerimonie afferrò un panino a caso e lo scartò.
-Devi essere proprio affamata- commentai prendendone uno a mia volta.
-E' da un giorno che non mangio-
Annuii con poca convinzione immaginando quanto tormentose fossero state le ore precedenti a quella giornata.
-Ora basta parlarne, ringraziando il cielo non è più un nostro problema- aggiunse Noah facendosi serio per un momento.
Consumammo il nostro pranzo chiacchierando di tutto, come non avevamo mai fatto prima di allora.
Mi sdraiai in terra e presi a fissare il cielo, sentendomi decisamente troppo piena per ingerire altro cibo.
Charlotte mi imitò stendendosi accanto a me, chiudendo gli occhi.
Osservai il suo profilo rilassato, la pelle candida che sembrava quasi brillare illuminata dal sole, le ciglia lunghe, le labbra distese in un lieve sorriso, i capelli sparsi sul telo.
Quando si voltò verso di me e mi sorrise sentii il fiato mancarmi; quegli occhi così luminosi e profondi che si perdevano nei miei.
Aprii la bocca come per dire qualcosa ma le parole mi morirono in gola.
La osservai mentre si muoveva avvicinandosi a me, mettendosi di lato; mi prese una mano nella sua e mi sorrise con infinita dolcezza.
Senza quasi rendermene conto mi avvicinai anche io, tanto da sentire il suo respiro sfiorarmi la pelle del viso.
Era così vicina che sarebbe bastato sporgermi per farla mia, per stringerla a me, poggiare le mie labbra sulle sue ed assaporarle, consumarle, divorarle col mio amore.
Delle mani mi sollevarono improvvisamente prendendomi per la vita; presa alla sprovvista urlai prima di rendermi conto che era semplicemente Noah.
-Cosa diavolo fai? Mettimi giù!- urlai mentre mi sollevava del tutto, portandomi in spalla come avrebbe fatto con un sacco di patate.
-Lasciami Noah!- iniziai a dargli dei leggeri pugni sulla schiena per convincerlo a liberarmi, ma lui in risposta continuava a ridere trascinandomi lontano dal nostro pic-nic, da Charlotte.
Quando mi lasciò andare gli diedi un leggero cazzotto sulla spalla mentre lui continuava a ridere.
Sentivo il volto in fiamme, probabilmente ero diventata color peperone, e osservai numerose ciocche di capelli cadermi davanti al viso, sfuggite dall'acconciatura.
Senza lasciarmi il tempo di respirare prese a farmi il solletico facendomi letteralmente piegare in due.
-Sm...smettila ti prego- iniziai a piangere dal troppo ridere e mi ritrovai stesa per terra non riuscendo a resistere.
-Avanti Noah, smettila! Sei peggio dei bambini!- lo rimproverò Charlotte avvicinandosi a noi.
Lui si voltò verso di lei e partì all'attacco per riservarle il mio stesso trattamento.
Ma Charlotte aveva dei riflessi molto più sviluppati dei miei e gli scappò dalle mani come un'anguilla, prese a correre velocemente per sfuggire alle sue mani e poi finirono col rincorrersi a vicenda.
Mi rialzai per sedermi in modo più composto e mi presi le gambe fra le braccia osservandoli giocare come avrebbero fatto dei bambini.
Lei che rideva, serena come non la vedevo da tempo, lui che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, completamente rapito.
Alla fine lui riuscì a catturarla e le loro labbra si unirono ancora, come avevano fatto già un milione di volte quando non potevo vederli.
Distolsi lo sguardo e lo posai sull'erba fresca, iniziai a strapparla lentamente, ciuffo per ciuffo, sforzandomi talmente tanto di non guardare che sentii gli occhi bruciare.
Quando mi sembrò fosse passato un lasso di tempo ragionevole mi rialzai e posai lo sguardo su di loro.
Erano ancora stretti in un abbraccio, gli occhi persi gli uni in quelli dell'altro, ed immaginai di doverli lasciare alla loro intimità.
-Sarà meglio che torni a casa- dissi avvicinandomi mentre mi sforzavo di sorridere.
Si voltarono entrambi e mi sorrisero di rimando, anche se mi sembrarono quasi stupiti, come se si fossero semplicemente scordati fossi della mia presenza.
-Ci vediamo domani- aggiunsi sporgendomi verso Noah per baciargli una guancia, poi mi voltai verso Charlotte e le poggiai le labbra sulla fronte, affettuosamente.
Arrossii leggermente e mi allontanai prima che potessero aggiungere qualcosa.
Mi sfiorai le labbra con una mano sentendo il cuore in tumulto. Le mie labbra avevano toccato la sua pelle vellutata, per la prima volta in tanti anni, per la prima volta da quando avevo riconosciuto quel sentimento come amore.
Nonostante tutti non riuscii a non pensare a quella giornata come ad una delle migliori della mia vita.
Perchè lei mi aveva permesso di esserle veramente vicino, perchè lei mi aveva veramente guardata, sentita.
Lei mi aveva visto, per la prima volta, e realizzai che quel semplice evento per me rappresentava il mondo intero.

_nota dell'autrice:
Eccoci all'appuntamento settimanale! :3
Spero abbiate apprezzato i momenti sereni post-udienza. Era da un pò che non si vivevano, ormai ù,ù
Anche loro hanno bisogno di un pò di riposo, dopotutto XD
Ma non troppo :D
Bene, che dire? Il prossimo capitolo sarà dedicato ad un personaggio che non avete avuto modo di conoscere. Hugo Berger (alias il padre di Kaja).
All'inizio di questa storia non era neanche contemplato, come molte altre cose del resto, ma ho sentito, lungo il percorso, di dovergli dedicare questo capitolo.
Quindi insomma conoscerete meglio suo padre, che ormai non c'è più.
Immagino sarà un capitolo commovente anche se ammetto di non sapere neanche io che cosa ne verrà fuori veramente.
In realtà sono particolarmente in ansia per l'avvicinarsi del capitolo XX che darà vita a dei momenti veramente intensi nella storia. Diciamo che avremo un pò di spazio per l'amore, in diversi sensi! Non vedo l'ora XD
(Ho una sorta di terrore all'idea di arrivarci davvero, ho paura di bloccarmi XD ma speriamo non accada ù,ù)
Bene, concludo la nota che se continuo viene  più lunga del capitolo XD
Spero vi sia piaciuto e di leggere i vostri commenti.
Vi ricordo che sto scrivendo anche un'altra storia, mi farebbe piacere vedervi seguire anche quella, il tema è decisamente diverso XD

 Seven Deadly Sins

Baci, a presto;
Angy

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Capitolo 20
*** 19. Hugo ***


19. Hugo


-Buongiorno- sussurrai entrando in cucina, pur sapendo che non lo era affatto.
Senza aggiungere altro la abbracciai dolcemente imprimendomi il suo profumo nella mente.
-Probabilmente mi accompagnerà Noah, non so se ci sarà anche Charlie.-
-Ok- rispose sforzandosi di sorridere.
Sapevo che le pesava dover andare da sola, ma volevo condividere quel momento con Noah.
Quel giorno mio padre avrebbe compiuto 48 anni, se fosse stato ancora in vita, e dalla sua morte tutta la mia vita era cambiata.
Era cambiato il mio modo di vedere il mondo, il mio rapporto con mia madre.
Mi sembrava di essere cresciuta, improvvisamente, consapevole delle cose che mutavano attorno a me.
E dal giorno del suo funerale non ne avevo parlato con nessuno, neanche con mia madre. Almeno fino a quando non avevo conosciuto Noah.
Con lui ero riuscita ad aprirmi un pò, a dare voce al mio dolore, ai miei pensieri.
Ricordo fin troppo bene il giorno in cui dissi addio al suo corpo senza vita.
Ero stata tentata di sfiorare la sua pelle fredda e bianca, come una perla, ma avevo ritratto la mano, pensando che sarebbe stato inappropiato.
Guardai a lungo quel volto, quasi sperando che aprisse gli occhi e mi rivolgesse uno dei suoi magici sorrisi.
In realtà stentavo a riconoscerlo e mi chiesi più volte se fosse veramente mio padre quello.
Aveva il viso contratto, severo, e non completamente integro.
Era l'unica cosa che avevano concesso di farci vedere nella camera mortuaria. Il suo corpo non era abbastanza integro per essere mostrato per intero.
L'idea che il suo corpo atletico e possente fosse stato ridotto a brandelli mi faceva stare male.
Da bambina lo avevo sempre visto come un superuomo, immortale ed invincibile. E amaramente avevo capito che neanche lui poteva sconfiggere la morte.
La cosa che più mi faceva male era che non avevo potuto dirgli addio, non avevo potuto stringerlo a me, dargli un bacio o semplicemente sfiorarlo prima che tutto finisse. Non avevo avuto la possibilità di dirgli quanto lo avessi amato e quanto avrei continuato a farlo, per tutta la vita.
Lo avevo visto salire sul suo aereo tre mesi prima, come milioni di altre volte, e poi era semplicemente tornato senza vita.
Avevo osservato la bara scendere dentro terra senza riuscire a staccargli gli occhi da dosso, rendendomi conto che non avrei più potuto rivedere il suo volto.
Neanche una lacrima bagnò il mio viso, mentre gli altri attorno a me ne versavano fiumi, attorcigliandomi lo stomaco con la loro falsità.
Non conoscevo neanche la metà delle persone presenti eppure tutte si disperavano per lui, ma quante lo avevano veramente conosciuto?
Tutti i loro volti mi davano il voltastomaco, la loro voce l'orticaria.
Per volere di mia madre ci eravamo anche riuniti tutti a casa nostra, con un piccolo banchetto, neanche si dovesse festeggiare l'evento.
I sorrisi timidi delle persone, il loro borbottare, il loro mangiare, il loro guardarmi con occhi pieni di compassione e pietà. Odiavo tutto di loro, e soprattutto il fatto che fossero ancora vivi, a dispetto di mio padre.
Quando trovai delle persone radunate attorno all'album di matrimonio dei miei genitori persi le staffe, glielo sfilai dalle mani quasi con violenza e lo portai con me, al sicuro, nella mia stanza.
Solo quando posai la testa sul cuscino mi concessi di piangere, di lasciar scorrere tutto il mio dolore.
Nessun altro avrebbe dovuto vederlo, perchè nessuno avrebbe potuto violarlo.
I giorni successivi alla sua morte furono difficili da affrontare. Nonostante non fossimo abituate ad averlo in casa, sapere che non sarebbe tornato questa volta era più che abbastanza per tenerci bloccate.
Non riuscivo neanche a pensare veramente, mi sentivo completamente svuotata, priva di forze.
Si parlava di lui nei giornali e anche in televisione.
Un uomo morto per la sua Nazione, morto da eroe.
Odiavo tutte quelle parole senza senso. Non c'è una morte da eroi, c'è solo la morte ed il vuoto che lascia a chi rimane incastrato nel mondo dei vivi.
Non c'è medaglia al valor civile che tenga il confronto, non c'è nessun discorso che regga davanti all'ineluttabilità della morte.
Mio padre non era morto per la Patria, era morto per far intascare soldi ai Politici di tutto il mondo, era morto per gli affari sporchi di qualcun altro, era morto in una missione di Pace condotta con fucili e bombe.
Quale strana idea della Pace e di come si debba portare negli altri Stati.
Io lo avevo perso e nessuno sembrava rispettare questo dolore. Si permettevano di conclamarlo eroe, si permettevano di considerare la sua morte una sorta di medaglia allo Stato.
Mio padre era un soldato ed amava veramente il suo lavoro ma non potevo, e non posso ancora, smettere di chiedermi se ne fosse valsa la pena. Se gli fosse mai stato dato qualcosa in ritorno veramente. Se valesse la pena perdere la vita in una missione senza senso, inutile e vuota di buoni propositi.
Molte persone della sua squadra erano tornate con il suo corpo, anche se ancora in vita.
I loro volti mi avevano detto molto più di mille parole. Coloro che erano tornati su tutte e due le gambe avevano problemi persino a parlare della Guerra, perchè sapevo che quello era il suo vero nome, e molti altri erano invece tornati in condizioni fisiche pietose.
Mio padre non mi aveva mai parlato della guerra, e non seppi mai se lo faceva perchè non ne era capace o perchè credeva fossi troppo piccola per capire.
Lui mi riportava a casa solo storie belle, storie positive, storie di persone che lui stesso aveva salvato.
Era questo il regalo che mi riportava dopo ogni missione. Una storia, una bella, a lieto fine.
Le avevo riscritte negli anni ed ora le conservavo in un quadernino, riposto in un cassetto a doppiofondo della scrivania.
Era il nostro libro, le nostre storie, il mio ricordo speciale.
Stavo sfogliando proprio quel quaderno, seduta sul letto, quando mia madre venne a chiamarmi, annunciandomi l'arrivo di Noah e Charlie.
Mi alzai e riposi il quaderno al suo posto, scesi le scale velocemente e mi ritrovai fuori di casa in breve tempo.
Camminammo in silenzio fino al cimitero, fino alla sua lapide.
Adagiai in terra il mazzo di camelie che avevo comprato per lui. Erano i suoi fiori preferiti, quelli che amava regalare a mia madre.
Sfiorai la superficie fredda della lapide, formando il suo nome con le dita.
Mi mancava terribilmente, tanto che non riuscivo ad andare così spesso al cimitero come avrei voluto.
In un certo modo il mio cervello rifiutava la sua scomparsa ed il mio corpo rispondeva con rigetto all'idea di recarsi veramente in quel luogo intriso di tristezza.
La mano calda di Noah prese la mia, in silenzio.
-Grazie- sussurrai senza distogliere lo sguardo dalla foto.
Lui sorrise appena cingendomi i fianchi con un braccio, attirandomi a sè.
Sorrisi sfiorando la collana che portavo al collo, un vecchio regalo che lui mi aveva fatto.
-Sai, questo è l'unico oggetto concreto che lui mi abbia mai riportato dalle sue missioni.-
Strinsi il cuore dorato con forza, imprimendomelo sulla carne. Era il mio tesoro, un ogetto da cui non mi separavo mai; spesso lo portavo nella tasca dei pantaloni, nascondendolo allo sguardo altrui.
Era mio, mio soltanto, nessun altro doveva poterlo toccare, sfiorare, bramare.
-E' bellissimo- la voce di Charlie mi distolse dai miei ricordi.
-Ci sono così tante cose che avrei voluto dirgli. Vorrei avesse avuto il modo di vedere la persona che sono diventata, modo di conoscermi. Avrei voluto conoscerlo di più.-
Mi sentivo un fiume in piena, stranamente pronta ad aprirmi e a lasciarmi andare.

-Devi proprio andare?- chiesi gettandogli le braccia al collo.
-Lo sai che non vorrei, ma devo farlo. Prometto che tornerò presto e resterò più a lungo questa volta.-
-Promesso?- chiesi lasciandolo andare.
Lui annuì ed io sorrisi allungando il mignolo verso di lui.
Sapevo che era un gesto infantile, fargli promettere con il mignolo, ma era in un certo senso il nostro modo di salutarci.
Era un colpo al cuore ogni volta che se ne andava.
Era uno strazio vedere l'aereo decollare lasciando egoisticamente me e mia madre a terra.
Lo avevo rincorso per fermarlo, mentre entrava nel corridoio che me lo avrebbe portato via per molto tempo.
Lo abbracciai da dietro con tutta la forza che avevo, singhiozzando.
-Bambina mia- il suo sussurro mi riempì il cuore, le sue braccia mi strinsero con forza e quasi mi sollevò da terra affondando il volto tra i miei capelli.
-Ti voglio bene, non dimenticarlo- aggiunse lasciandomi andare, con gli occhi lucidi.
Annuii e corsi velocemente indietro, verso mia madre.
Se solo quella volta gli avessi detto quanto gli volevo bene anche io, se solo quella volta lo avessi convinto a restare.

-Credi che abbiano festeggiato?- chiesi riemergendo dai miei ricordi.
-Chi?- mi chiese Noah guardandomi con aria confusa.
-Quelli che lo hanno ucciso... credi che abbiano festeggiato?-
Spostai lo sguardo su di lui e poi su Charlie, entrambi abbassarono lo sguardo in terra, quasi confusi dalle mie parole.
Era una domanda che mi ero sempre posta. Se qualcuno avesse gioito della sua scomparsa, mentre io e mia madre la piangevamo.
Era un pensiero che mi faceva rabbrividire e che mi dava la nausea.
-Non lo so... ma non dovresti pensarci- rispose lui stringendomi con più forza a sè.
Annuii debolmente ed alzai nuovamente lo sguardo.
-Potete lasciarmi un attimo sola?-
Annuirono entrambi e li osservai allontanarsi, parlando fra di loro.
Mi sedetti in terra ed aspettai di vederli sparire dietro gli alberi che portavano all'uscita. Troppo lontano per potermi sentire.
-Mi manchi- sussurrai lasciando le lacrime scivolare giù.
-Avevi promesso, papà. Avevi promesso! E invece non sei tornato da me e dalla mamma... non saresti dovuto partire... perchè adesso non saprò mai se sapevi quanto ti volevo bene... non saprò mai se sei felice di quello che sono diventata, se sei orgoglioso di me, della donna che sto diventando.
Adesso vivrò sempre col dubbio di essere un'enorme delusione-
Arrestai il flusso delle mie parole, bloccata dai singhiozzi che sembravano volermi spezzare in due.
Sentivo un sasso fare su e giù per la gola, impedendomi il respiro e sentivo il viso completamente bagnato dalle lacrime.
-Non so neanche se saresti sconvolto sapendomi innamorata di una donna... non so cosa pensi delle persone come me, non so se ti vergogneresti di avermi come figlia.-
Era la prima volta che lo dicevo ad alta voce, era la prima volta che ammettevo di amare una persona del mio stesso sesso.
Mi presi le gambe fra le braccia e poggiai la fronte sulle ginocchia, cercando di dare un senso alle parole che mi uscivano dalla bocca.
Sapevo che non poteva rispondermi eppure non riuscivo a non parlargli.
-Vorrei solo che fossi orgoglioso di me- sussurrai asciugandomi gli occhi costringendomi ad ingoiare il resto delle mie lacrime.
-Sono sicura che lo sia-
La voce di una sconosciuta mi raggiunse facendomi sobbalzare.
Alzai lo sguardo su la ragazza che aveva parlato e mi alzai velocemente, indietreggiando.
-Mi dispiace, non volevo origliare, ma la tomba di mio fratello è proprio accanto a quella di tuo padre.-
Mi chiesi da quanto tempo fosse lì, cosa avesse sentito esattamente, e me ne vergognai profondamente.
-Grazie- sussurrai rispondendo alle sue prime parole.
Lei sorrise e allungò una mano verso di me:
-Piacere, Lotte-
-Piacere, Kaja- sussurrai stringendole la mano.
Solo in quel momento mi accorsi della sua bellezza, dei capelli ricci e rossi che le incorniciavano il volto chiaro.
Solo in quel momento mi accorsi di quanto profondi fossero i suoi occhi, e da mozzare il fiato il suo sorriso.
In quell'istante non potei fare a meno di pensare che fosse un segno, da parte di mio padre.
Che le sue parole altro non erano che quelle che lui mi avrebbe rivolto se avesse potuto.

Allora! Eccoci al capitolo dedicato ad Hugo.
Doveva essere diverso, ma alla fine m'è venuto così ù,ù
Avrei voluto dargli più spazio perchè era veramente un uomo fantastico ç.ç
Personalmente ho frignato da sola mentre scrivevo XD Spero di aver passato un pò della mia commozione anche a voi >.<
Il personaggio di Lotte è mooooolto importante, ma non doveva comparire ora ò.ò
Non so perchè ma alla fine l'ho fatta apparire adesso XD Però la sua importanza la vedrete in futuro... non so ancora bene neanche io a che punto della storia XD
Spero vi sia piaciuto e di leggere i vostri commenti <3
Vi ricordo la mia seconda storia in corso: 
Seven Deadly Sins

A presto,
Angy

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Capitolo 21
*** 20. Drop dead doll ***


20. Drop dead doll

Il Natale si stava avvicinando velocemente portando con sé il freddo, che impietosamente imperversava sulla città.

La neve candida ormai ricopriva l'intera Köln rendendola bianca ed ovattata, un'intera immagine da cartolina.
Avevo cercato per tanto tempo di farmi degli amici, senza grande successo.
Ed in quel momento, in cui non mi sforzavo affatto per trovarne, ne avevo trovata una.
La ragazza che avevo conosciuto davanti alla lapide di mio padre era nel frattempo diventato una vera amica, qualcuno con cui parlare.
L'unica persona a cui avevo parlato di Charlotte e l'unica che poteva aiutarmi veramente.
Avevo scoperto che si era trovata in una situazione simile, che aveva avuto le mie stesse difficoltà nei primi mesi in cui aveva scoperto la sua sessualità.
Mi aveva raccontato di come lo aveva detto ai suoi genitori, delle loro reazioni. E mi aveva persino convinto a parlarne con mia madre.
Diceva che sarebbe stato meglio farlo il prima possibile, che sarebbe stato meno difficile.
Mi ero dunque decisa a farlo, anche se non sapevo bene quando lo avrei fatto veramente.
Volevo bene a mia madre e sapevo che lei ne voleva a me, ma era anche l'unico genitore che mi era rimasto e l'idea di perderla, di sentirmi rifiutata, mi paralizzava.
-Sono sicura che non lo farà. Me ne hai parlato talmente tanto che ormai mi sembra di conoscerla perfettamente.-
Sorrisi abbassando gli occhi sulla mia cioccolata calda mentre Lotte mi prendeva una mano nella sua.
-Te l'ho già detto, per qualsiasi cosa puoi chiamare me, posso aiutarti a spiegarglielo, posso rispondere a tutte le domande che potrebbe avere e a cui neanche tu sai rispondere-
Annuii debolmente, poco convinta.
Vedevo in Lotte una guida, una persona di cui fidarmi, eppure sentivo che dovevo essere sola nel momento in cui glielo avrei detto, sarebbe dovuto essere un momento solamente nostro.
-Va bene va bene, ho già promesso che glielo avrei detto!-
Aggiunsi alzando lo sguardo arrendendomi alla sua caparbietà.
Ogni tanto ancora mi colpiva quel sorriso così simile a quello di Charlotte.
Sentii le guance andare in fiamme, segno che stavo arrossendo, e distolsi lo sguardo posandolo sulla vetrata al mio fianco.
Ci eravamo date appuntamento in una cioccolateria del centro, per chiacchierare e ripararci dalle intemperie.
Fuori cadeva lenta ed inesorabile la neve.
Avevo sempre adorato la neve, mi metteva allegria, mi faceva tornare con la mente all'infanzia, alla magia del Natale. A mio padre vestito da Babbo Natale che si alzava nel cuore della notte solo per far scoppiare di gioia la sua bambina.
-Stai pensando di nuovo a lui, vero?-
Sorrisi annuendo di nuovo. Non riuscivo a smettere di stupirmi ogni volta che lei parlava. Mi conosceva così a fondo e talmente bene da farmi pensare spesso che fosse solo frutto della mia immaginazione.
Non mi ero mai aperta tanto neanche con Noah.
Con lei era diverso, mi faceva sentire come fossimo due parti distinte della medesima medaglia. E adoravo sentirmi parte di qualcosa, importante per qualcuno come quel qualcuno lo era per me.
Con Lotte non avevo paura di niente, non temevo di dire cose stupide, di lasciarmi andare, non temevo di allontanarla da me con una frase sbagliata.
Con lei non c'erano frasi sbagliate, semplicemente riusciva a capire quello che provavo, quello che sentivo, quando neanche io ero in grado di farlo.
Erano ormai ore che eravamo chiuse là dentro, avevamo consumato almeno tre cioccolate a testa, eppure il tempo sembrava essersi mosso alla velocità della luce.
Quasi saltai sul divanetto colta di sorpresa dalla suoneria del telefono.
Risposi senza neanche guardare chi era a chiamarmi e fui subito invasa dal caos totale.
-Pronto?-
-Ho fatto un casino... merda, merda, merda. Sono all'ospedale, devi correre ti prego... non so cosa succederà,non vogliono dirmi niente ma io ho bisogno di sapere, capisci? Devo saperlo!-
-N...Noah?!- chiesi confusa spostando lo sguardo su Lotte.
-Sì sì, scusa, sono io. Ti prego corri, dove sei?-
-Sono in centro, ma che diavolo è successo?-
-Non lo so cos'è successo... credo che sia colpa mia se lei...Dio!- lo sentii sospirare sonoramente, attanagliato dall'ansia.
Prima che me ne rendessi conto mi ritrovai in piedi, nel mezzo del locale, in iperventilazione.
-Noah ti prego calmati, mi stai facendo spaventare. Spiegati!-
-E' Charlotte. L'hanno investita.-
Non ebbe bisogno di aggiungere nient'altro.
Riattaccai senza neanche pensarci su e recuperai la mia borsa velocemente, pronta a correre, letteralmente, fino all'ospedale.
-Che succede? Hai un'aria sconvolta-
Guardai Lotte per un secondo e decisi che non avevo tempo per spiegarle, dovevo sbrigarmi, lo sentivo.
Lei mi bloccò stringendomi il polso e mi fissò evidentemente spaventata dalla mia reazione.
-Charlotte, è all'ospedale- sussurrai incerta, quasi non credessi fosse vero.
Lei annuì e lasciando i soldi sul tavolo mi accompagnò fuori dal locale.
-Ti accompagno io- aggiunse indicandomi il motorino.
Mi aggrappai con forza ai suoi fianchi cercando di recuperare la calma, di pensare con razionalità, di non farmi prendere dal panico.
Dal modo in cui guidava mi sembrava fosse preoccupata anche lei, per quanto non conoscesse veramente Charlotte.
Meno di cinque minuti dopo stavo correndo lungo il corridoio del Pronto Soccorso per raggiungere Noah.
Mi corse incontro anche lui e mi strinse con forza a sé singhiozzando.
-E' grave, hanno detto che è grave- sussurrò al mio orecchio sconvolto.
Iniziai a tremare senza controllo e mi lasciai sfuggire un singhiozzo.
-Dov'è?-
-La stanno ancora operando...-
Lo lasciai andare sentendo una mano sfiorarmi l'avambraccio, quando alzai lo sguardo vidi mia madre, con il viso tirato e sconvolto, che nel frattempo tentava di consolare una Helen in lacrime ed altrettanto sconvolta.
-Cos'è successo?- chiesi per l'ennesima volta sussurrando, sentendo la voce mancarmi.
-Stavamo giocando... è tutta colpa mia... non avrei dovuto...-
Mi voltai verso Noah e gli sfiorai il volto con una mano, non credendo che fosse veramente colpa sua.
-Ci stavamo baciando sul ciglio della strada. Volevo fare lo stupido... le ho fatto il solletico, lei è scappata dalle mie braccia e... ha iniziato a correre in mezzo strada... poi... quel camion è sbucato dal nulla. Non aveva neanche i fanali accesi... -
Si coprì il volto con le mani tremanti singhiozzando.
Lo abbracciai senza esitazioni tentando di calmarlo, anche se in realtà non riuscivo a restare calma neanche io.
-Avrei dovuto proteggerla, avrei dovuto spostarla dalla strada... dovrei esserci io lì dentro!-
Mi sciolsi dall'abbraccio e lo costrinsi a guardarmi negli occhi.
-Non dire queste stupidaggini! Non è colpa tua e non dovresti certo essere al suo posto. Ora smettila.-
-Mi dispiace Kaja, devo andare-
Mi ero quasi dimenticata di Lotte alle mie spalle.
Mi voltai e le sorrisi appena con gratitudine. Non avevo bisogno di aggiungere altro, lei sapeva, capiva.
Si allontanò lentamente verso l'uscita ed io tornai a guardare Noah.
Solo qualche ora dopo uscì il chirurgo ortopedico dalla sala operatoria cercando Helen.
Aspettammo in lontananza che lui finisse di parlarle, di spiegarle.
Era l'unico parente presente, l'unica a cui potevano essere date le notizie dirette.
Quando la vidi scoppiare a piangere, quasi ripiegarsi in due dal dolore, temetti il peggio e strinsi con forza la mano di Noah.
Mia madre la raggiunse e la cinse in un abbraccio accompagnandola verso di noi.
-Cos'ha detto?- chiesi immediatamente mentre mia madre mi fulminava con lo sguardo.
La fece sedere imponendomi il silenzio con un' altra occhiataccia e poi le pose la mia stessa domanda, ma con tono molto più tranquillo.
-Ha un lieve trauma cranico, due costole incrinate ed una mano rotta...- sussurrò cercando di recuperare tutte le informazioni che le erano state date.
-Ha detto che l'impatto le ha danneggiato in modo grave la colonna vertebrale- le sfuggì un singhiozzo e dovette fermarsi per qualche istante, cercando di respirare.
-Non è sicuro che possa tornare a camminare-
Il mio cuore perse un colpo e senza volerlo lasciai andare la mano di Noah. Lo guardai per un'istante, prima di tornare a guardare Helen, e mi sembrò svuotato, quasi privo di vita.
-E' viva, questo è l' importante Helen. E' viva- sottolineò mia madre stringendola a sé nuovamente.
Senza distogliere lo sguardo cercai la mano di Noah, cercai il suo sostegno, ma non lo trovai al mio fianco e quando spostai lo sguardo alla sua ricerca il mondo iniziò a girare vorticosamente.
Tutto si fece bianco, accecante, e poi improvvisamente nero, mentre la voce di mia madre che chiamava il mio nome mi rimbombava nelle orecchie.

_nota dell'autrice:
Ed eccoci al famoso capitolo XX ù,ù
Spero vi sia piaciuto e di leggere i vostri commenti <3
Colgo l'occasione per sottolineare una cosa che non avevo mai detto: questa è soltanto la prima bozza del racconto, va ricorretto e non mi riferisco solo agli errori grammaticali o di battitura XD
E' molto probabile che la storia verrà riscritta in terza persona ù,ù Vedremo XD
In ogni caso vi ricordo la mia seconda storia in corso d'opera: 
 Seven Deadly Sins 
A presto,
Sober

 

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Capitolo 22
*** 21. Don't look at me like if I were dead ***


21. Don't look at me like if I were dead

-Come sta?-
-Dorme, per ora. Lei?-
-Deve ancora svegliarsi-
-Se vuoi andare da Helen sto io con lei-
-Grazie-
Mi resi conto che una mano stava stringendo la mia e socchiusi gli occhi solo quando quel contatto si interruppe.
Avvertii la strana sensazione di essere stata appena lasciata, abbandonata.
Una mano calda prese improvvisamente la mia, percepii subito la differenza con la mano precedente. Era calda, morbida, più grande. Era la mano di un uomo.
Aprii gli occhi lentamente e mi ritrovai a fissare un soffitto perfettamente bianco e luminoso.
-...Dove sono?- riuscii a stento ad articolare quelle parole sentendomi profondamente confusa.
Ci misi qualche istante a collegare i miei ultimi ricordi con quel soffitto, poi il suo nome mi riempì la testa. Charlotte.
Mi tirai su a sedere con uno scatto provocandomi un forte giramento di testa.
-Hey, hey, calmati-
Mi ritrovai a fissare il volto teso di Noah e ben presto mi ritrovai nuovamente stesa sul materasso.
-Siamo in ospedale, hai avuto un malore dopo che...-
-Come sta?- chiesi interrompendolo, non mi interessava affatto per quale assurdo motivo mi trovassi stesa in quello stupido lettino. Non ero io quella che era stata investita da un camion!
-Non lo so, non si è ancora svegliata...-
-Voglio vederla!-
-Non puoi alzarti per ora, devono finire di visitarti-
Lo guardai confusa per qualche secondo e finalmente mi resi conto del bip bip costante e ritmato che riempiva la stanza.
Voltai lo sguardo verso la mia sinistra e notai un macchinario pieno di numeri colorati e altre scritte che neanche riuscivo a leggere.
Lo guardai perplessa rendendomi conto che ero collegata a quell'aggeggio tramite un miliardo di fili differenti.
Spostando poi lo sguardo in basso notai che mi era stata attaccata una flebo.
-Ma che diavolo...?-
-Sei svenuta e nel farlo hai battuto violentemente la testa in terra-
Iniziai a spiegarmi l'improvviso interrompersi dei miei ricordi.
Ma escluso il leggero mal di testa ed il lieve stato confusionale mi sentivo perfettamente in grado di alzarmi e raggiungere Charlotte.
-Hanno detto che non è nulla di grave ma che ti devono tenere in osservazione ancora per qualche ora-
-Bhé, possono tenermi in osservazione pure se sono da Charlie!-
Feci per staccarmi di dosso la flebo ma Noah fu più veloce, mi strinse il polso con forza, facendomi anche male, e mi costrinse a riportare il braccio al mio fianco.
-Non ho bisogno di preoccuparmi di un'altra persona a cui tengo da morire, per oggi.-
Lo guardai confusa leggendo il dolore nei suoi occhi e sentii i miei bagnarsi.
Mi morsi il labbro inferiore e fui costretta a chiudere e stringere forte le palpebre per impedirmi di piangere.
-Voglio solo esserci quando si sveglierà...- sussurrai riaprendo gli occhi, senza però riuscire ad alzarli per guardarlo.
-E ci sarai, te lo prometto-
Le sue labbra morbide sfiorarono la mia fronte, delicatamente, prima di stamparci sopra un bacio.
Mi sforzai di sorridere ed annuii sperando che quella tortura sarebbe finita presto.
 
Mi sentii soffocare in quell'abbraccio stritolante e tentai in tutti i modi di liberarmi senza ferire i suoi sentimenti.
-Mamma sto bene, lasciami andare... non respiro...-
Mi lasciò andare immediatamente e mi prese il volto fra le mani:
-Sicura di stare bene? Ti vedo un po' pallida-
Annuii fermamente e le presi la mano nella mia.
-Ora portami da Charlotte, ti prego-
Lei annuì e con aria cupa mi accompagnò alla stanza di lei, che nel frattempo si era risvegliata.
Potevamo entrare solo uno alla volta ed in quel momento la stanza era occupata da Noah.
Helen singhiozzava appoggiata alla porta guardando con disperazione mia madre.
-Non l'ha presa bene, Petra.- sussurrò asciugandosi gli occhi.
Immagino odiasse farsi vedere in quello stato da noi altri e specialmente da sua figlia.
Lei che in realtà doveva esserle di sostegno non riusciva neanche a smettere di piangere. Doveva essere straziante il suo senso di colpa.
Quando Noah uscì quasi non lo guardai tanta era la fretta di entrare. Una cosa però riuscii a notarla: aveva pianto anche lui.
Entrai con lo stomaco attorcigliato ed il cuore in tumulto.
Quando la vidi distesa su quel letto, con il volto più bianco di quanto fosse mai stato, con l'aria sconvolta, mi si strinse il cuore.
I suoi occhi brillanti si puntarono su di me e li vidi spegnersi immediatamente.
Avanzai lentamente quasi ipnotizzata da tutti i fili che le giravano attorno.
-Ciao- sussurrai sentendomi una completa idiota.
-Mi hanno detto che ti sei sentita male- rispose lei guardandomi con un'aria quasi preoccupata.
-Non è niente, non dovresti pensare a me- dissi trovando finalmente il coraggio di sedermi al suo fianco.
Le presi una mano nella mia e la strinsi tentando di darle coraggio.
-Come...come ti senti?-
Le scappò un sorriso sarcastico e distolse lo sguardo.
-Fisicamente o mentalmente?-
-Entrambi-
-Fisicamente potrei dire quasi bene. Sai, morfina-
Si voltò verso di me e provò a sorridermi senza successo.
-Non credo che potrò più essere indipendente come una volta-
Corrugai le sopracciglia e la guardai smarrita per qualche istante.
-Non credevo fossi una che si arrendesse tanto facilmente- commentai cercando il suo sguardo.
-I dottori hanno parlato chiaro, se e quando non sarà prima di un bel po' di mesi... ed io non credo di farcela.-
-Tu ce la farai! E che si fottano i dottori! Anche a Bruce Lee avevano detto che non avrebbe più camminato, tanto meno fatto arti marziali, eppure lui ce l'ha fatta!-
-Quello è un film, non è la realtà.-
Arrossi leggermente sentendomi una stupida. Avrei potuto prendere milioni di altri esempi ma avevo scelto il meno adatto.
-E' uguale! E' quello lo spirito che dovresti avere! E anche se non ce la dovessi fare non è certo finita qui la tua vita-
-Tu non puoi capire-
Mi lasciò andare la mano e distolse lo sguardo puntandolo verso la finestra.
-Come sempre- sussurrai alzandomi dalla sedia per uscire dalla stanza.
 
Era passata un'intera settimana da quel giorno e le cose non erano affatto migliorate per Charlotte, soprattutto a livello emotivo.
Helen si era praticamente trasferita all'ospedale ed io e Noah andavamo lì in ogni momento disponibile.
Le notizie dei dottori erano buone, in realtà.
Avevano detto che le possibilità di recupero di Charlie erano molto buone e che il trauma subito era meno grave di quanto avessero pensato inizialmente, ma tutto ciò sembrava non intaccare minimamente lei.
-Smettila di piangere e di guardarmi a quel modo!-
Sobbalzai sulla sedia guardando Charlotte con stupore mentre questa inveiva contro Noah.
-In quale modo?-
-Come se fossi morta, cazzo!-
Lui distolse lo sguardo e fremette sulla sedia.
-Guardami- disse lei cercando la sua attenzione.
-Ti ho detto di guardarmi, ORA!-
Lui scattò in piedi e raggiunse il letto fissandola negli occhi.
-Eccomi! Ti sto guardando! Ed ora? Cosa vuoi che io faccia?!-
Mi sentii improvvisamente di troppo e dovetti trattenermi per non immischiarmi.
-Inizio a credere che tu non mi ami più- sussurrò lei lasciandosi sfuggire una lacrima.
Lui scattò nuovamente in piedi e si mise le mani nei capelli.
-Possibile che non capisci?! Non è l'amore per te che mi manca Charlie! E' il senso di colpa che mi uccide-
-Ma non è colpa tua!- urlò lei tentando di prendergli la mano, senza successo.
-Mi dispiace, ma non ce la faccio-
La guardò per qualche istante prima di correre fuori dalla stanza lasciando in lacrime Charlotte.
Senza pensarci su due volte gli corsi dietro e riuscii quasi a raggiungerlo solo quando arrivammo in strada.
-Noah!-
Lui si voltò con il volto sconvolto.
-Non riesco più a guardarla io... mi sento in colpa. Non riesco a...-
-Stronzate! Perché diavolo torni da lei ogni giorno allora? Perché? Non lo hai ancora capito che così le fai ancora più male?-
-E tu invece perché continui a starle accanto?- chiese lui a bruciapelo confondendomi.
-Dio...! Lei non ha bisogno di te Kaja, non lo capisci? Lei non ti vede neanche!-
-Credi che abbia bisogno di te allora?! No, NO! Lei non ha bisogno di uno che scappa davanti alle difficoltà! Perché non sparisci e basta?-
-Perché... perché io la amo da impazzire, ecco perché-
-Anche io!- quasi le urlai quelle parole senza rendermi conto del loro significato.
Solo quando vidi il volto di lui cambiare, la confusione farsi spazio sul suo viso, capii di averlo detto veramente. Lo avevo ammesso davanti a lui.
Mi portai le mani alle labbra e non riuscii a trattenere le lacrime.
-Tu...?-
Annuii incapace di aggiungere altro e prima che lui potesse parlare mi allontanai velocemente.
Ora anche lui sapeva la verità. Ora il nostro rapporto era costretto a cambiare, aveva finalmente scoperto che sotto la persona che chiamava amica in realtà si nascondeva un nemico.
 
-Hey, come sta Charlotte?-
-Al solito- risposi sfilandomi il cappotto senza neanche alzare lo sguardo.
-E' successo qualcosa?-
Annuii debolmente e raggiunsi la cucina per sedermi su uno degli sgabelli della penisola.
-Non vorrei farlo a questo modo ed in un momento del genere, mamma, ma dobbiamo parlare.-
Lei mi raggiunse e mi strinse le mani nelle sue guardandomi con preoccupazione.
-Che succede?-
Quali sono le parole giuste in questi casi? Come si dice ai tuoi genitori che sei un po' diversa da quella che immaginano loro?
Avrei voluto Lotte vicino in quel momento, anche se le avevo detto che era una cosa che volevo fare da sola.
-Non è nulla di grave- dissi distogliendo lo sguardo.
-Non ho idea di come si dicano queste cose, mamma. E' solo che io... io sono innamorata da un bel po' di tempo ormai, della stessa persona-
-Oh mio Dio, non dirmi che sei incinta!-
La guardai perplessa per qualche secondo.
-COSA? No, certo che no!-
Lei mi lasciò andare le mani e sospirò sussurrando un "grazie a Dio".
-E' solo che... quella persona è Charlotte mamma-
I suoi occhi tornarono su di me fissandomi con stupore.
Non c'era nient'altro nei suoi occhi eppure mi sentivo indagata e giudicata in quel momento.
-Vuoi dire che sei omosessuale?-
Quella parola mi spaventava. Io non avevo idea se ero omosessuale o meno, sapevo solo di amare una ragazza. Ma non avevo mai amato nessun altro, non avevo neanche provato attrazione per qualcun altro, come potevo decidere se erano le donne ad interessarmi?
In realtà io non amavo Charlotte in quanto donna ma lei in quanto se stessa.
-Non lo so cosa sono. E' così importante? Io so solo che è con lei che vorrei stare, ed è tutto ciò di cui ho bisogno-
Lei annuì debolmente prima di sorridere.
-Avrei dovuto immaginarlo. C'è sempre stato qualcosa di strano nel modo in cui tu guardavi e guardi Charlotte-
Annuii chiedendomi se quello fosse un buon segno.
-Sei delusa?- chiesi infine.
-Certo che no!-
Mi prese alla sprovvista stringendomi a sé con dolcezza.
-Tu sei sempre la mia bambina, non importa chi deciderai di amare-
Sorrisi sentendomi sollevata, liberata da un penso enorme.
Mi resi conto in quell'istante di avere una madre perfetta, una persona che mi sarebbe stata sempre affianco e non perché doveva ma perché non c'era altro che potesse fare.
La strinsi con dolcezza anche io sentendomi più che mai a casa.

_nota dell'autrice:
Mi scuso per il ritardo nel postare il capitolo, anche se mi sento un po' abbandonata sinceramente :S
Continuo a pubblicare qui perchè ci sono persone che mi seguono ma devo dire che è deludente vedere le visite in calo e soprattutto notare l'assenza di commenti, fatta eccezione per Giuls e la mia ciliegina ç.ç
Vabbene.
Spero che chi ha letto il capitolo lo abbia apprezzato.
Il mio intento nella parte finale era sottolineare che Kaja non è un'omosessuale.
Non so se mi sono spiegata XD
E' innamorata di una donna e ok, ma questo non esclude affatto che un giorno possa amare un uomo e magari sposarsi.
Ci vediamo al prossimo capitolo ^^
Angy

(PS: se volete trovata un'altra mia storia in corso qui ->   Seven Deadly Sins 
Per gli amanti della poesia ho anche aperto una specie di raccolta ^^  Poesie
Inoltre se andate nella mia pagina troverete anche qualche one-shot :3

 

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Capitolo 23
*** 22. I know more than you about love ***


22. I know more than you about love
 
Incontrai il suo sguardo e sorrisi con dolcezza cercando di ottenere una risposta, senza gran successo.
Erano passati solo tre giorni dalla mia confessione a Noah ma sembravano passati mesi.
Non l'avevo più sentito, né incontrato.
In realtà sembrava aver seguito il mio consiglio: non era più andato a trovare Charlie, anche se l'aveva chiamata ogni giorno.
Sospirai rumorosamente, per attirare la sua attenzione, e mi sedetti al mio solito posto, accanto alla finestra.
-Perché non vuoi dirmi di cosa avete parlato quel giorno, quando gli sei corsa dietro?-
-Perché non abbiamo parlato di te- mentii io.
-Lo sai che sei una frana con le bugie?-
Mi rubò un sorriso e distolsi lo sguardo posandolo distrattamente sulla strada.
Mi sentivo totalmente inutile. Avrei voluto fare mille cose per tirarla su di morale, per alleviare il suo dolore ma in realtà sapevo che aveva bisogno di Noah, e non di me.
Aveva bisogno del suo amore, non del mio.
-Ha già chiamato oggi?- chiesi riportando la mia attenzione su di lei.
I suoi occhi sembrarono inumidirsi e fu costretta a distogliere lo sguardo.
-No, non ancora...-
Mi alzai ed incerta le presi una mano nella mia.
-Vedrai che presto tornerà tutto a posto. Conosciamo entrambe Noah, è solo sconvolto.-
Lei scosse il capo con vigore lasciandosi sfuggire una lacrima.
-No, Kaja, io lo so, non tornerà-
-Charlie lui ti ama, tornerà-
Alzò i suoi grandi occhi azzurri su di me e le sfuggì una risata di scherno che non compresi.
-Ma tanto tu che ne sai dell'amore?!-
La guardai per qualche istante colpita dalle sue parole, dalla cattiveria che contenevano.
-Perché tu cosa ne sai dell'amore?-
Mi guardò per qualche secondo per poi scuotere nuovamente la testa, come avrebbe fatto davanti al discorso di una bambina di cinque anni.
-Ah, ho capito. E' una fra i tanti miliardi di cose che io non posso capire, vero?!-
-Già. Ed in ogni caso dell'amore ne so più di quanto tu creda.-
Mi alzai dal letto e riportai gli occhi sulla strada cercando di non aggredirla come avevo fatto un milione di volte.
Ero stanca del modo in cui mi guardava, stanca dei suoi giudizi.
Avevamo la stessa età, non ero una stupida bambina e sentivo che in quanto ad amore avrei potuto insegnarle molto.
Il mio amore per lei era sempre stato puro, non egoistico. Ero sempre stata felice quando anche lei poteva esserlo.
Il suo di amore era malsano, estremamente egoistico, ammorbante.
Ed era lei quella che non riusciva a vedere più in là del suo stesso naso.
-Non credo- dissi infine voltandomi verso di lei incrociando le braccia al petto.
-Non ho voglia di litigare per questa cosa, Kaja. Non riusciresti a farmi cambiare idea.-
Alzai gli occhi al cielo, esasperata, e mi ritrovai nuovamente seduta sul letto, a fissare i suoi occhi.
-Forse non ne saprò molto di amore Charlotte, forse hai ragione, ne so meno di te, ma una cosa la so per certo...-
Prima che potessi rendermene conto la mia fronte era poggiata alla sua, le mie mani stringevano il suo bellissimo volto, con delicatezza e le mie labbra toccavano le sue, timidamente.
Chiusi gli occhi al contatto con quella bocca che avevo bramato dolorosamente in tutti quegli anni.
Mi feci sempre più audace avvicinando anche il corpo al suo, la baciai con passione crescente lottando contro la sua lingua ribelle.
Mi sembrò quasi di sparire con quel contatto tanto agognato, mi sembrò quasi di non riuscire più a percepire neanche il mio corpo.
Poi le sue mani si frapposero fra noi e mi spinse via.
Solo a quel punto mi resi conto di quello che avevo fatto e riaprii gli occhi.
Lo stupore invadeva il suo bel volto cinereo e sentii il cuore fermarsi.
Mi sfiorai le labbra alzandomi dal letto, indietreggiando, senza riuscire a staccare i miei occhi dai suoi.
-Mi... mi dispiace- sussurrai prima di recuperare la mia borsa e scappare dalla stanza, quasi desiderando di poter cancellare tutto quanto.
Riuscii a sentire un singhiozzo provenire dalla stanza di Charlotte.
Dovevo averla sconvolta più di quanto credessi. E tuttavia non riuscii a tornare indietro.
Iniziai a correre per la strada, cercando di fuggire più da me stessa che dall'ospedale, e senza rendermene conto mi ritrovai a un isolato dalla casa di Noah.
Mi immobilizzai rendendomi conto che con lui non avrei potuto parlarne, rendendomi conto che il gesto che avevo compiuto lo allontanava da me più che mai.
Mi asciugai il volto bagnato di lacrime e mi mossi nella direzione opposta, verso la casa di Lotte.
Quando arrivai la trovai fuori, pronta a rientrare in casa.
-Lotte!- la chiamai da lontano quasi con disperazione.
I suoi occhi si posarono su di me, confusi.
Scoppiai a piangere, come avevo fatto un milione di volte davanti ai suoi occhi, e mi ritrovai stretta fra le sue braccia.
-Cos'è successo?- mi chiese con dolcezza, sussurrando, mentre mi accarezzava la testa.
-L'ho baciata. Ho baciato Charlie... non... io non...-
La sua stretta si fece più forte e mi sussurrò di non aggiungere altro, non c'era bisogno.
Mi aveva raccontato com'era stato il suo primo bacio con una ragazza.
La sua esperienza era quella che avrei voluto anche io. Dolce, magica, felice anche se un po' intaccata dal senso di colpa.
Invece a me era stato destinato un percorso completamente opposto; era stato magico, dolce da parte mia, ma estremamente forzato, non voluto, non ricambiato.
Quando smisi di piangere mi lasciò andare sorridente, continuando ad accarezzarmi la testa.
-Com'è stato?- mi chiese sussurrando, senza distogliere mai lo sguardo.
-E' stato il momento più bello della mia vita- risposi senza neanche pensarci.
Ero sconvolta, terrorizzata dalle conseguenze eppure, lo avrei rifatto mille volte.
Avrei dato via tutto quello che avevo per poter rivivere quel bacio, per poter sentire di nuovo il suo sapore sulle mie labbra.

_nota dell'autrice:
Beh, prima o poi doveva succedere XD
Mi rendo conto che ci sono voluti tantissimi capitoli per un momento di un secondo, ma questo è quanto XD
Premetto che dal prossimo capitolo andrò un pò a tentoni perché devo organizzare un pò le idee per non ammassare tutto e lasciarmi cose indietro >.<
Come al solito spero che vi sia piaciuto, spero che qualche anima pia che legge trovi anche il tempo di commentare, ovviamente non mi riferisco alle mie due uniche "recensitrici" XD
A presto,
Angy

PS: per chi vuole suggerisco anche l'altra storia in corso d'opera:  
Seven Deadly Sins

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Capitolo 24
*** 23. Why do you have to go and make things so complicated? ***


23. Why do you have to go and make things so complicated?
 
Il suo corpo era scosso da fremiti incontrollabili e le lacrime continuavano a rigarle il viso senza pietà. Aveva ancora il suo sapore sulle labbra e non riusciva a dare un senso a quello che era accaduto non più di cinque minuti prima.
Non riusciva a credere di essere stata tanto cieca da non capire che i sentimenti di Kaja per lei erano cambiati, non riusciva neanche a capire quando era successo veramente.
Eppure ripensando a momenti passati assieme ora le sembrava di vedere, di scorgere qualcosa nei suoi modi di fare, come quella volta al parco in cui l'aveva guardata in modo strano.
Non sapeva più porre un confine fra la realtà e la sua immaginazione e, l'idea che la sua migliore amica provasse determinati sentimenti per lei, la sconvolgeva.
-Cos'hai?-
Sussultò sentendo la voce di Noah ed alzando lo sguardo il suo cuore perse un colpo: era tornato, come aveva detto Kaja.
-N...niente- balbettò asciugandosi velocemente le lacrime osservandolo mentre si avvicinava al suo letto, con sguardo serio.
-Non mentire, riesco a capire quando non sei sincera- puntualizzò lui guardandola con una strana freddezza.
-Sei venuto per litigare?- chiese in un soffio distogliendo lo sguardo.
-No- rispose semplicemente lui sedendosi sul letto, accanto a lei.
La guardò per qualche secondo mentre lei continuava ad evitare il suo sguardo e poi le accarezzò i capelli, delicatamente.
-Sai, non credo di doverti delle scuse, in fondo. Ma te le faccio uguale- aggiunse accennando un sorriso.
Scosse la testa leggermente e le sfuggì un sorriso.
-Infatti non devi scusarti, è colpa mia-
-Ok, diciamo che è colpa di entrambi?-
Annuì debolmente e si abbandonò fra le braccia di lui rendendosi conto di quanto le fosse mancato quel contatto, la sua vicinanza.
-Mi sei mancato- sussurrò.
-Lo so- rispose lui sorridendo prima di stamparle un bacio sulle labbra.
Quel contatto le riportò alla mente il bacio con Kaja e si ritrovò ad indietreggiare, scappando dalle sue labbra.
Lui la osservò silenziosamente per un po', con aria confusa, ed infine le accarezzò una guancia.
-Perché ho la sensazione che questo c'entri con il motivo per cui stavi piangendo?-
Charlotte distolse lo sguardo ancora una volta e lo puntò sulla finestra cercando di fare ordine fra i suoi confusi pensieri.
-Tu lo sapevi che Kaja.... sì insomma che a lei piacciono le donne?- chiese voltandosi verso di lui, titubante.
Lui sembrò scosso da quella domanda e per un'istante credette di aver violato un segreto, ma poi lo vide annuire e si chiese fino a che punto conoscesse la verità.
-L'ho saputo da poco... cos'ha a che fare questo con le tue lacrime?- chiese mentre un dubbio iniziava ad insinuarsi nella sua mente.
-Niente- mentì prontamente lei accennando un sorriso.
-Charlie...-sussurrò lui avvicinando il suo volto a quello di lei.
-Mi... mi ha baciata- sussurrò lei pentendosi immediatamente di quelle parole.
Noah si irrigidì immediatamente e divenne bianco come un lenzuolo, la mascella si contrasse ed un fremito si impossessò delle sue mani.
-Quando?- chiese fra i denti.
-Poco fa...- ripose lei prendendogli prontamente la mano sperando che non stesse pensando di fare qualcosa di immensamente stupido.
-E' per questo che stavi piangendo allora.-
-Sì... ma solo perché non me lo aspettavo.- gli prese il volto fra le mani cercando il suo sguardo ed accennò un sorriso – Non fargliene una colpa... credo non se lo aspettasse neanche lei.-
Lui annuì distrattamente e la strinse a sé, con dolcezza.
 
Il senso di colpa si era impossessato del mio cuore e a nulla erano valse le parole di consolazione di Lotte, solo il silenzio poteva veramente aiutarmi in quel momento.
Fissavo il bianco soffitto cercando risposte che di certo questo non avrebbe potuto darmi.
Il problema era che non avevo idea di come risolvere la situazione e soprattutto non sapevo neanche se volevo veramente farlo.
In fondo mi stava bene essermi rivelata sia a Noah che a Charlie. Mi sentivo libera di poter essere me stessa al cento per cento, ma allo stesso tempo sapevo che tutto sarebbe inevitabilmente cambiato.
L'idea che non mi avrebbero più guardato allo stesso modo mi paralizzava. Non volevo che pensassero a me come ad una persona differente, il mio amore per Charlie non definiva tutto il mio essere; ormai ero sicura di essere qualcosa di più della sua ombra e per nulla al mondo volevo essere incatenata di nuovo dentro un'etichetta.
Nella mia mente era assolutamente possibile per me essere l'amica di Charlotte nonostante il mio amore ma non ero sicura del contrario e soprattutto iniziavo a chiedermi come l'avrebbe presa Noah quando sarebbe venuto a conoscenza del fatto.
Proprio in quel momento il telefonino squillò attirando la mia attenzione.
-Pronto?- risposi senza neanche guardare chi fosse stato a chiamarmi.
-Sei in casa ora?-
-Ssssssì...- risposi titubante alzandomi a sedere. Qualcosa mi diceva, nella voce di Noah, che Charlie aveva già vuotato il sacco.
-Allora arrivo- rispose semplicemente lui e riattaccò.
Balzai giù dal letto e raggiunsi la porta per aspettarlo torturandomi le mani, con il cuore in gola.
Quando sentii dei passi davanti casa aprii la porta, senza neanche pensarci, e lo osservai mentre si avvicinava, con aria grave.
-E' successo qualcosa a Charlie?- chiesi immediatamente per togliermi ogni dubbio.
-Non esattamente- rispose lui superandomi, per entrare in casa.
Mi richiusi la porta alle spalle ed osservai la sua schiena chiedendomi se stavamo per avere l'ennesima lite.
-Mi ha detto cos'è successo.-
Sentii distintamente le pulsazioni cardiache aumentare vertiginosamente e fui costretta a sorreggermi alla porta per non perdere l'equilibrio.
-Mi dispiace... non volevo.-
-Non è questo il problema- rispose subito lui voltandosi verso di me.
I suoi occhi azzurri si puntarono nei miei e smisi di respirare sentendomi completamente invasa dalla loro freddezza.
-E allora quale è?- chiesi sussurrando.
-Non so cosa dovrei fare. Se tu fossi stato un ragazzo, anche il mio migliore amico, ed avessi baciato la mia ragazza, io ti avrei spaccato la faccia.-
Indietreggiai facendo aderire completamente la schiena alla porta sentendo la terra mancarmi sotto i piedi.
-Vuoi picchiarmi?- chiesi in un soffio pronta a scappare in qualunque direzione possibile.
-Certo che no.- rispose lui avvicinandosi pericolosamente a me.
In breve mi ritrovai con il suo corpo sopra il mio ed il suo talmente vicino che potevo sentire il suo respiro.
-Non picchio le ragazze- aggiunse guardandomi fisso negli occhi.
Deglutii annuendo lentamente.
-Che fortunata che sono!- provai a scherzare accennando un sorriso ma lui non si mosse di un solo millimetro.
-Il problema è che non so come comportarmi ora, con te.-
-Non puoi continuare a comportarti come sempre?- azzardai io cercando una scappatoia.
La vicinanza di Noah non mi era mai pesata tanto come in quel momento.
-No.-
-Perché?-
-Perché non riesco neanche a capire se a darmi così fastidio sia che un'altra persona abbia baciato Charlie o che sia stata tu a farlo.-
Lo guardai interrogativa e scorsi nei suoi occhi un fremito, come se stesse cercando di trattenersi dal dire o fare qualcosa.
-Cosa intendi dire?- sussurrai spingendomi sempre più contro la porta, in un vano tentativo di porre ancora più distanza fra noi.
Lui sembrò tentennare e poi finalmente si staccò da me guardandomi confuso.
-Non lo so, ma non sarà più lo stesso.-
Staccai la schiena dalla porta e mi avvicinai a lui, pur restando ad una distanza di sicurezza di venti centimetri.
-Solo perché non lo vuoi- risposi io abbassando lo sguardo a terra.
Non ricevetti una risposta concreta, lo vidi semplicemente raggiungere la porta ed uscire di casa, senza aggiungere altro.
Le sue parole, i suoi gesti, non avevano fatto altro che aumentare la mia confusione.
Sospirando raggiunsi nuovamente la mia cameretta e mi gettai a peso morto sul letto, tornando al mio muto discorso con il soffitto.
I pensieri si erano talmente accavallati l'uno sull'altro da non riuscire neanche più a seguirli.
-Ma perché la vita deve essere sempre così complicata?- sussurrai chiudendo gli occhi.
Ovviamente il soffitto non rispose, lasciandomi da sola con le mie mille domande senza soluzione.

_nota dell'autrice:
Allora, mi scuso infinitamente per avervi abbandonato senza dire niente ma non riuscivo a seguire due storie contemporaneamente ed ho deciso di concludere prima quella che durava di meno. I'm sorry.
Non so quanti di voi abbiano seguito SDS e non so neanche se qualcuno che seguiva SDS inizierà a seguire questa, bho XD
Vabbè, rieccoci qui. Giuro che non inizierò a scrivere altro, o quanto meno non a pubblicarlo, fino a quando non avrò finito la storia! non voglio abbandonarla ancora çOç
Come avrete notato questo capitolo ha un titolo, bhè se guardate indietro ho dato dei titoli anche a tutti gli altri XD
Rigorosamente in inglese perché in italiano fanno schifo e comunque non sono capace a dare titoli xD
Bene, a presto
Angy <3

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Capitolo 25
*** 24. Help, my heart it's beating like a hammer ***


24. Help, my heart it's beating like a hammer
 
Tentennai davanti a quella porta per circa mezz'ora, avevo percorso le scale quasi correndo e mi ero ritrovata senza fiato, paralizzata all'idea di vederla ancora, di perdere il controllo.
-Kaja? Ciao!- mi voltai sorpresa ed il sorriso di Helen mi accolse.
Sorrisi di rimando immaginando che la donna non ne sapesse niente di quanto avvenuto fra me e Charlotte e me ne sentii rincuorata.
Non mi importava se mi avrebbe giudicato ma in un certo senso volevo che quel momento rimanesse solo nostro, anche il fatto che Noah lo avesse saputo mi indispettiva profondamente.
Presi coraggio, non potendo d'altronde giustificare la mia presenza fuori dalla stanza, ed attraversai la soglia come se stessi entrando in un campo di concentramento.
Charlotte si voltò verso la porta, convinta che fosse sua madre, ed il suo viso cambiò espressione velocemente. Sul suo volto si dipinse il turbamento e poi la sorpresa.
Inaspettatamente, però, mi sorrise con dolcezza.
-Mamma, puoi lasciarci un attimo sole?- chiese senza una particolare inclinazione della voce.
-Certo- rispose l'altra sorridente abbandonando la stanza.
-Hey- sussurrai avvicinandomi titubante al letto.
Lei mi sorrise di nuovo e mi sembrò immensamente imbarazzata dal silenzio che si era creato fra noi.
-Immagino tu sia venuta per parlare, no?-
-Volevo scusarmi- dissi immediatamente, senza però pensarlo veramente.
-Davvero?- chiese lei sorpresa -Perché?-
La guardai senza capire e mi sembrò immensamente tranquilla, molto meno nervosa di me.
-Perché non avrei dovuto baciarti senza il tuo volere.-
-Te ne sei pentita?-
Mi sorprese nuovamente e mi avvicinai ancora trattenendo l'istinto di baciarla ancora, con più irruenza, per farla mia.
-No- risposi senza pensare, pentendomene subito dopo.
-Allora non scusarti.-
-Ok- risposi incerta trovando finalmente il coraggio di sedermi nella sedia al suo fianco.
-Non me lo aspettavo- disse infine poco dopo, distogliendo lo sguardo.
-Neanche io- risposi sinceramente sorridendo.
Lei rise di quel suo riso infantile ed abbandonammo l'argomento, facendo finta che nulla fosse mai successo.
Mi sorprese il modo in cui reagì, mi sembrò improvvisamente più matura di quanto si fosse dimostrata in passato e questo non fece altro che accrescere il mio amore per lei.
 
-Non c'è pietà lassù fra le nuvole, che veda
nel profondo il mio dolore? O dolce madre mia, 
non mi cacciare; ritarda queste nozze,
di un mese, di una settimana; o, se non lo puoi,
prepara il mio letto nuziale in quell'oscuro sepolcro dove riposa Tebaldo.-
-Perché lo fai?-
Alzai lo sguardo dal libro che tenevo fra le mani e lo spostai su di lei, leggermente illuminata dal sole, sorridente ed innocente come una bambina.
Quella mattina le avevano dato la notizia che avrebbe presto iniziato la fisioterapia di recupero e le avevano già concesso di andare in giro per l'ospedale sulla sedia a rotelle.
Vederla seduta su quell'aggeggio mi aveva spezzato il cuore, sembrava così piccola e fragile mentre spingeva, con immensa fatica, le ruote di quella sedia.
Non voleva essere aiutata, non voleva essere spinta perché diceva che la faceva sentire un' invalida e lei sarebbe guarita.
Ero orgogliosa del modo in cui stava reagendo ma allo stesso tempo desideravo ardentemente aiutarla, anche nel più stupido dei modi.
-Posso anche leggere da sola- specificò ridendo.
-Lo so... ma mi piace leggere per te...- risposi arrossendo lievemente nascondendomi dietro il libro, fingendo di star cercando il punto in cui mi ero arrestata.
-Quindi è vero- 
-Che cosa?- chiesi senza capire.
-Perché mi hai baciata?- 
Sentii il suo sguardo incollato alla mia figura e trasalii, non mi aspettavo quella domanda, non quando erano passati tre giorni dal nostro “chiarimento”, se così si poteva chiamarlo.
-Sì, è vero- risposi arrossendo ancora più visibilmente, percependo perfino le orecchie infiammarsi.
-Mi stai chiedendo se sono innamorata di te, no? Allora sì, Charlie. Lo sono.- 
Mi sorpresi anche io di quelle parole, così dirette e dette come se nulla fosse.
In realtà avevo perso la salivazione e sentivo il cuore esplodermi nel petto.
-Da quanto?- chiese di nuovo togliendomi il libro dalle mani, per potermi guardare in viso.
-Da sempre, credo. Non so darti un confine preciso. Sei sempre stata il centro dei miei pensieri, prima come amica, poi...- finalmente spostai gli occhi su di lei e mi sentii mancare.
Era la prima volta che confessavo i miei sentimenti a qualcuno, a quel modo, e mi sembrò la cosa più difficile del mondo, ma anche la più liberatoria.
-Per tutto questo tempo?- chiese lei sorpresa stringendomi una mano, con dolcezza.
-Sì- risposi fermamente fremendo a quel contatto.
-Lo sai che non potrò mai ricambiare, vero?-
Lasciai andare gentilmente la sua mano ed assieme ad essa la mia piccola illusione.
Ma dopotutto avevo sempre saputo la verità. In fondo il fatto che fosse la ragazza di Noah era un chiaro segnale della sua eterosessualità. 
-Sì- sussurrai trattenendo le lacrime che volevano gettarsi senza pietà sul mio viso, regalando di me la solita immagine fragile.
-Forse è meglio che vada, adesso- aggiunsi e mi alzai lasciandomela alle spalle.
Sapevo che non mi avrebbe fermata perché aveva imparato a capirmi, aveva imparato ad essere una donna e a non infliggere dolore con le proprie parole, se non strettamente necessario.
Il suo cambiamento non faceva altro che mettere ancora più distanza fra noi, lei era una donna, io solo una ragazzina sprovveduta, come sempre. Ed in tutto questo io non facevo altro che perdermi di più dentro di lei, senza possibilità di salvezza.
Sospirai rumorosamente scendendo l'ultima rampa di scale e mi ritrovai davanti Noah.
Non l'avevo incontrato né sentito in quei giorni e ritrovarmelo davanti così, improvvisamente, mi paralizzò.
Lui mi fissò per qualche istante e poi proseguì, senza rivolgermi la parola.
-Hai deciso che sarà così, d'ora in avanti?- chiesi voltandomi verso di lui.
Si immobilizzò e si voltò verso di me, con aria contrita.
-Come dovrei comportarmi?-
-Come un amico- risposi stringendomi nelle spalle.
-Hai baciato la mia fidanzata.-
Abbassai lo sguardo a terra incrociando le braccia, indecisa su cosa dire.
Sentii il fruscio dei suoi jeans e realizzai che aveva ricominciato a salire le scale e allora scattai nella sua direzione, salendo i gradini che ci separavano velocemente, arrivando a un passo da lui.
-Aspetta!- dissi senza fiato.
Lui si voltò di nuovo e mi guardò con il suo solito sguardo profondo e confuso.
Lo strinsi a me con forza, affondando il volto sul suo petto, inebriandomi col suo profumo.
-Se devo dire addio alla nostra amicizia voglio farlo per bene- spiegai stringendolo con ancora più forza.
Qualche secondo dopo iniziò a stringermi anche lui, accogliendomi fra le sue consolanti braccia.
Affondò il volto nell'incavo fra il collo e le clavicole, lo sentii inspirare l'odore della mia pelle e  poco dopo le sue labbra sfiorarono il mio collo facendomi rabbrividire.
Poi improvvisamente mi lasciò andare, mi guardò con aria sconvolta, rosso in viso e prima che potessi dire qualcosa si allontanò velocemente per raggiungere il reparto di Charlotte.
Mi portai una mano al petto e mi resi conto di quanto avessi il fiato corto e di quanto forte stesse battendo il mio cuore.
Per la prima volta mi sfiorò l'idea che qualcosa nei miei sentimenti per Noah stesse mutando, che stesse per varcare il confine fra amicizia e qualcosa di più profondo.
La mia mente corse immediatamente alle parole che Noah mi aveva rivolto:
“Perché non riesco neanche a capire se a darmi così fastidio sia che un'altra persona abbia baciato Charlie o che sia stata tu a farlo.”
Sentii la terra mancarmi sotto i piedi e la testa girarmi di fronte al dubbio che per lui qualcosa fosse effettivamente cambiato, contro ogni aspettativa.
Contro ogni mia aspettativa, contro ogni logica.
Per la prima volta misi in dubbio persino il mio amore per Charlotte.

_nota dell'autrice:
Ok, non ho resistito XD
Sono già avanti di un altro capitolo, e forse di due vediamo XD
Sono un po' un fiume in piena ò.ò
Ah, il libro che legge Kaja, per chi non lo avesse intuito, è Romeo e Giulietta di Shakespeare ( dovrebbe essere atto III scena V)
Vabbè, LOVE IS IN THE AIR!
Nel prossimo capitolo ci sarà altro aMMore :D
Nel prossimo ancora finalmente festeggeremo il Natale,  e direi che con la neve che invade tutta l'Italia e non solo ci sta a cecio XD
Good, fatemi sapere i vostri pareri (devo ammettere che è un po' triste confrontare il numero di recensioni che ricevo qua rispetto a SDS, ma vabè, tant'è XD)
A presto,
Angy <3

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Capitolo 26
*** 25. We are a damn square ***


25. We are a damn square

Mi specchiai nei suoi occhi azzurri e sentii le gambe tremare, le ginocchia cedere, e la vista annebbiarsi. Quel suo sguardo mi entrava infondo all'anima, la scrutava, la faceva sua.
Le sue mani che mi avevano sfiorata un milione di volte ora mi sorreggevano ma lo facevano in maniera diversa dal solito, le sentivo fremere al contatto con la mia pelle.
Dischiusi le labbra per parlare ma non ne uscì alcun suono e lui rise, infantilmente, stringendomi con dolcezza a sé, come se dovesse proteggermi dal mondo.
Poi il suo viso si avvicinò al mio, mozzandomi il fiato.
-Cosa fai?- sussurrai abbassando lo sguardo sulle sue labbra.
-Secondo te...?- la sua voce si perse nei meandri della mia mente e le sue labbra presero possesso delle mie, prima timidamente, dolcemente, poi con sempre più irruenza e passione tanto da paralizzarmi.
Senza rendermene conto ricambiai quel bacio, dischiusi le labbra abbastanza da lasciare che la sua lingua si unisse alla mia.
Mi sentivo morire, infiammare da quel contatto, dalle sue mani che si facevano sempre più invadenti. Poi aprii gli occhi.
Mi ritrovai a guardare il soffitto bianco della mia cameretta con il cuore in gola ed il respiro affannato.
Un sogno, era stato solo uno stupidissimo sogno senza alcun senso recondito.
Continuavo a ripetermelo come un mantra mentre le immagini di Noah che mi stringeva a sé e mi baciava mi riempivano la testa.
Continuavo a dirmi che erano solo associazioni mentali dovute ai miei dubbi riguardo i suoi sentimenti, nulla di più.
Eppure nessuna delle mie considerazioni riusciva ad allontanare il peso che sentivo alla bocca dello stomaco.
Le sensazioni che quel bacio immaginato mi aveva lasciato erano forti, non riuscivo a lasciarle da parte e soprattutto non riuscivo a non chiedermi se nella realtà sarebbe stato altrettanto bello. Il che era assurdo, considerato che ero innamorata di un'altra persona da tempi immemori.
Senza pensarci troppo presi il telefono e con mani malferme, il che mi sorprese, digitai il numero della mia unica vera confidente.
-Ti va di uscire oggi?- chiesi a bruciapelo senza curarmi della sua voce impastata.
-Eh? Kaja? Ma lo sai che ore sono?-
-No, che ore sono?- chiesi alzandomi dal letto stropicciandomi gli occhi con la mano libera.
-Le otto, ed è Domenica!-
-Ah, scusami... ma quindi ti va?-
-Ma è successo qualcosa?- chiese con la voce più presente.
-No, no... ho solo voglia di stare con te- risposi mordendomi il labbro inferiore.
-Ok, allora vediamoci al parco fra... tre ore?-
-Ok- risposi ridacchiando e riagganciai.
Beh, di sicuro non le avrei raccontato il mio sogno. Parlarne lo avrebbe reso solo più reale ed era l'ultima cosa che intendevo fare.
Raggiunsi il parco con calma, con la musica nelle orecchie tenuta altissima per impedire al mio cervello di pensare, non che funzionasse poi tanto.
Avevo indossato un semplice paio di jeans, un paio di converse rosse abbinate al cappotto del medesimo colore.
Guardandomi attorno mi resi conto che il Natale era davvero alle porte e che non avevo neanche idea di cosa regalare ai miei amici.
Sospirai sonoramente sedendomi su una panchina, la nostra panchina. La mia e di Noah.
A quel pensiero balzai in piedi e mi allontanai, velocemente, neanche avessi preso la scossa.
Mi sentii improvvisamente afferrare per una spalla e stavo per colpire l' “aggressore” quando mi scontrai con gli occhi di Lotte.
Mi sfilai le cuffiette guardandola perplessa.
-No dico, sono venti volte che ti chiamo! Ma sei diventata sorda?- mi chiese ridendo.
-Scusa- sussurrai indicando le cuffiette prima di unirmi alla sua risata.
-Ma che hai preso la corrente elettrica su quella panchina?- mi chiese curiosa.
-Eh? No no... era solo gelida!- risposi alzando le spalle.
Lei mi guardò per qualche istante e poi mi diede una leggera spallata iniziando a camminare.
-Volevi parlarmi di qualcosa?-
-No... Non posso voler spendere un po' di tempo con te senza secondi fini?- chiesi osservando l'ambiente che ci circondava.
-Ma certo...- rispose lei abbassando lo sguardo a terra.
-Cosa vuoi per Natale?- le chiesi improvvisamente spostando lo sguardo su di lei che aggrottò le sopracciglia.
-Niente, non devi preoccuparti-
-Oddio, eccone un'altra da “niente”! Ma se te lo sto chiedendo significa che voglio farti un regalo, no? Ti prego, renditi utile!- 
Mi fermai e la guardai con fermezza, cercando di convincerla.
Lei rise e mi prese una mano nella sua.
-Un bacio a mezzanotte?- chiese maliziosa facendomi arrossire -Kaja, sto scherzando!-
Finsi un sorriso ed annuii sentendomi una cretina per aver preso le sue parole sul serio.
-Non lo so, stupiscimi!-
-Oh Dio- sussurrai alzando lo sguardo al cielo.
Ma perché dovevo essere l'unica che rispondeva seriamente a quella domanda?
-E tu che vuoi per Natale?- chiese lei stringendomi con più forza la mano.
-Ah no! Scordatelo! Non ti aiuterò se tu non farai lo stesso!-
-Allora ti stupirò anch'io- rispose enigmatica lei.
Poi si fermò e mi indicò un albero qualunque un po' spelacchiato:
-Che dici, ci fermiamo là sotto? Ho portato il telo da pic-nic!-
Annuii e la seguii silenziosamente. Non mi importava cosa avremmo fatto quel giorno, mi bastava solo passare un po' di tempo lontano da sconvolgimenti sentimentali.
Ci sdraiammo l'una accanto all'altra, mano nella mano, per osservare il cielo, come avevamo fatto un milione di volte.
Era diventato un po' un nostro appuntamento settimanale; gelare assieme osservando il cielo, in silenzio o a chiacchierare, era uguale.
-Hai più affrontato l'argomento bacio con Charlie?-
-Da quando mi ha chiesto se so che non potrà mai ricambiare?- chiesi quasi ridendo amaramente. -No, preferisco non sentire più quella frase.-
-Forse dovresti accettare la verità e andare avanti.-
Spostai lo sguardo su di lei e la osservai, aveva gli occhi chius ed inspirava l'aria con un mezzo sorrisetto sulle labbra.
-Sì, lo so. Ma non è così facile.-
-Prova con chiodo schiaccia chiodo!-
-Con che?-
-Massì dai, prova a frequentare qualcun altro e a vivertela.-
Risi spostandomi di lato per poterla osservare meglio.
-Ma dici sul serio? Ma, hai presente che stiamo parlando di me?-
-Sì- rispose lei arricciando il naso aprendo finalmente gli occhi.
-Beh, allora come puoi dire una cosa del genere?! Voglio dire, guardami!-
-Ti sto guardando- disse lei appoggiandosi su i gomiti – Cos'hai che non va?-
-Ma dai, chi potrebbe mai trovarmi interessante?!-
-Tu ti sottovaluti troppo- la sua espressione si fece ancora più seria ed io inarcai un sopracciglio.
-Se solo lo volessi tu potresti avere mille pretendenti ai tuoi piedi.-
Senza volerlo scoppiai a ridere e mi lasciai andare di nuovo in terra guardando il cielo.
-Smettila ti prego, sii seria.-
-Lo sono!-
-Dimostralo- la voce mi uscì più seria di quanto immaginai.
Lei sorrise mestamente ed incrociò le sue gambe alle mie.
-Ricordati che me lo hai chiesto tu.-
La guardai interrogativa senza capire cosa mi stesse dicendo veramente.
Solo quando avvicinò il suo volto al mio iniziai a rendermi conto di quello che stava succedendo.
Rimasi paralizzata con lei che si spostava sopra di me, facendo aderire il suo corpo al mio.
Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che la situazione stava lentamente passando da drammatica a senza speranze.
Come avevo fatto a ritrovarmi in quella situazione? Com'era possibile che ancora una volta un'amicizia uscisse dai suoi confini lambendo quelli dell'amore?
Sussultai quando le sue labbra toccarono le mie, erano morbide, dolci, sapevano di pesca, ed erano umide.
Mi ritrovai immediatamente a paragonarle a quelle di Charlie e mi sembrarono molto diverse, forse perché le altre le avevo agognate per una vita.
Il suo bacio fu delicato, dolce, appena accennato, come se avesse paura di shockarmi o di spingersi troppo oltre.
Io restavo lì immobile, a lasciarmi baciare, senza avere la capacità di ribellarmi.
Capii improvvisamente come doveva essersi sentita Charlotte e mi sentii profondamente turbata.
Le sue labbra si unirono ancora alle mie, con più passione.
Doveva aver male interpretato la mia non opposizione ed ora una sua mano mi teneva la nuca, avvicinando il mio volto al suo.
Il suo bacio si fece sempre più irruento, passionale. Le nostre lingue presero a danzare e mi sentii avvolgere completamente dalle sue attenzioni.
Sentii il cervello spegnersi e iniziai a ricambiare quel bacio stringendola con forza a me.
Era così che avevo sempre immaginato il primo bacio.
Mi mordicchiò il labbro inferiore e si fece sfuggire un sospiro. Fui io a cercare le sue labbra, a farle mie con irruenza, a stringere i suoi capelli nelle mie mani.
Quando finalmente mi resi conto che la mia mente stava immaginando Charlotte la lasciai andare e la spinsi delicatamente lontana da me.
-No, non è giusto- sussurrai chiudendo gli occhi trattenendo una lacrima.
I nostri corpi persero il contatto e lei tornò sdraiata al mio fianco.
-Mi era parso che ti piacesse- sussurrò lei.
-Mi è piaciuto- risposi io senza pensare.
-Allora qual'è il problema?-
-Il problema è che amo un'altra persona e non ho intenzione di usare te per togliermela dalla testa.-
-Sei sicura che sia questa la motivazione? Secondo me hai solo paura... perché i tuoi baci hanno reso molto chiaro un altro concetto.-
La sua voce era dura, quasi arrabbiata e fui certa di averla ferita senza volerlo.
-Ho bisogno di pensarci- risposi alzandomi.
La guardai per un'istante e poi mi allontanai più confusa di quando era arrivata.
Avevo baciato Charlotte, avevo sognato di baciare Noah ed infine avevo baciato anche Lotte e lei aveva ricambiato.
Possibile che non sapessi tenermi un normale rapporto di amicizia?
 
La guardò allontanarsi e si morse le labbra per trattenervi più a lungo il suo sapore sopra.
Chiuse gli occhi ascoltando il battito accelerato del suo cuore e sorrise.
L'aveva sconvolta, sapeva di averlo fatto, ma egoisticamente non le importava perché ne era valsa la pena.
Non le importava essere usata come oggetto per dimenticare qualcun altro, lei sapeva di potersi far amare da Kaja, di poter schiacciare l'amore che lei provava per Charlotte.
Lo sapeva perché lei la conosceva come Charlotte non l'aveva mai conosciuta, lei riusciva a vederla e ad amarla per quello che era.
Non c'era bisogno di parole fra loro, bastava uno sguardo ad esprimere mille concetti.
Erano due facce della stessa medaglia, loro si completavano e non c'era nulla che reggesse il confronto.
Si alzò sospirando e ripiegò il telo da pic-nic dirigendosi verso casa.
Dovette trattenersi tutto il giorno per non chiamare Kaja, il suo pensiero fisso da qualche tempo a questa parte.
La prima volta che l'aveva avvicinata l'aveva fatto per l'enorme tenerezza che le aveva ispirato ed in seguito aveva approfondito quel rapporto con un secondo fine, ben distante dal creare un'amicizia.
Non aveva mai avuto il coraggio di confessarglielo ma era stata attratta da lei sin dal primo istante in cui l'aveva vista.
Lei fragile che si confessava davanti alla tomba del padre, lei col suo bellissimo sorriso, con i suoi occhi enigmatici, con le sue mille paure e fragilità.
Lei che sapeva essere così forte e così debole al tempo stesso, lei donna ma anche tanto bambina.
Avrebbe voluto proteggerla per sempre, farla sua e difenderla dal male che il mondo poteva farle.
Avrebbe voluto essere la sua persona speciale, l'unica che potesse conoscere tutto di lei, anche i segreti più inconfessabili.
Non era la prima volta che si innamorava ma non aveva mai sentito un desiderio tanto ardente. Forse perché nessuna prima di allora le era sfuggita tanto.
Kaja non era come le altre, tutte le sue precedenti storie perdevano senso, consistenza, davanti alla possibilità di una con quella ragazza.
Era così diversa da quello che aveva sempre amato e pure così perfetta per lei.
Sorrise sfiorandosi le labbra ricercando ancora le sensazioni che quel bacio le aveva dato.
Non voleva arrendersi all'idea di non poter più assaggiare quelle labbra morbide. Non voleva lasciar vincere Charlotte, quella stupida ragazza che non aveva fatto assolutamente nulla per meritarsi l'amore di Kaja, a differenza sua.

_nota dell'autrice:
Ve l'avevo detto che l'amore era nell'aria D:
E così il triangolo è diventata un quadrato! XD
Come avevo anticipato nel prossimo capitolo festeggeremo il Natale e qualcuno farà una scelta a livello d'amore :3
(n.d.t. per il titolo: "Siamo un fottuto quadrato")
A presto,
Angy 

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Capitolo 27
*** 26. All I want for Christmas is you ***


26. All I want for Christmas is you



-Sei sicura di poter fare una deviazione?-

-Non ti preoccupare, arriverò con soli cinque minuti di ritardo...-
Mi sorrise con dolcezza ed io annuii spostando di nuovo gli occhi sulla strada, ero irrazionalmente nervosa all'idea che quel giorno avremmo riportato a casa Charlotte.
In realtà ero elettrizzata, perché sarei potuta esserle vicina più spesso, avendola a pochi metri di distanza, ciò che mi agitava di più era l'idea di rivedere Noah.
-Respira.-
Alzai gli occhi su mia madre e sorrisi prendendo fiato mentre mi portavo i capelli dietro la nuca con un gesto nervoso.
Lei mi guardò per qualche secondo, indagandomi, ma non disse niente intuendo che non le avrei detto nulla in ogni caso.
Era abituata a sapere tutto di me ed ero convinta anche io che prima o poi le avrei confessato tutti i miei dubbi, semplicemente non ero ancora pronta per affrontarli.
Quando la macchina si arrestò il mio cuore perse un colpo; accennai un sorriso e scesi dalla macchina tentando di farmi forza.
Salii le scale velocemente, tutte d'un fiato, e quando arrivai al terzo piano ero praticamente in apnea e probabilmente bianca come un cadavere.
-C..ciao- sussurrai entrando nella stanza per bloccarmi improvvisamente mentre incontravo gli occhi di Noah.
-Non sapevo saresti venuta anche tu-
-Non potevo perdermi questo momento- risposi io deviando il suo sguardo per abbracciare Charlie.
-Sei già pronta, vedo!-
-Puoi giurarci, non ne posso più di questa stanza, davvero-
Sorrisi e mi voltai verso Helen, che stava entrando in quel momento.
-Wow, quanta gente!- commentò scherzando recuperando la valigia della figlia.
-Ci entriamo in macchina?- chiesi titubante.
-Ma certo!-
Si fermarono tutti davanti all'ascensore ed io mi immobilizzai terrorizzata all'idea di entrare in quella trappola di metallo.
Impallidii improvvisamente sentendo già l'aria mancarmi.
-Stai bene?- mi chiese Helen poggiandomi una mano sulla spalla.
Annuii con poca convinzione e spostai lo sguardo su Noah, i nostri sguardi si incrociarono per un singolo istante prima che lui spostasse gli occhi su Charlotte.
Non potei fare a meno di ricordare quel giorno in cui mi aveva costretto ad entrare in un ascensore, stringendomi a se con dolcezza.
Le porte si aprirono davanti a noi prima di quanto avessi sperato e il terrore sembrò immobilizzarmi mentre gli altri entravano tranquillamente.
Inspirai rumorosamente ed entrai anch'io.
Quando le porte si chiusero iniziò l'inferno: mi sentivo soffocare e non riuscivo a distogliere lo sguardo dal quadrante che contava fin troppo lentamente i piani che attraversavamo.
Sentivo di star per avere una crisi isterica. Le mani mi tremavano vistosamente nonostante cercassi in tutti i modi di tenerle ferme, incrociandole sul petto.
-Sicura di stare bene?-
-Mamma, soffre di claustrofobia- rispose per me Charlotte.
Annuii debolmente senza neanche voltarmi mentre il contatore segnava “1”. Mancava solo un piano, era quasi finita, potevo farcela.
Quando finalmente le porte si aprirono uscii di corsa e fui costretta ad appoggiarmi ad un muro per non cadere in terra, sfinita.
-Avresti dovuto fare le scale- commentò Noah guardandomi per un secondo prima di dirigersi verso l'uscita.
Sentii una fitta allo stomaco e un'incredibile voglia di piangere mi invase. Era tutto così diverso. Lui che non mi rivolgeva neanche una parola gentile, lui che ignorava il mio malessere nell'ascensore, lui che proseguiva dritto verso la sua meta senza neanche accertarsi del mio stato mentale.
Mi morsi il labbro inferiore e mi staccai dal muro per raggiungerli all'auto.
Charlie era stata adagiata sul sedile davanti, accanto a sua madre, ed io e Noah avremmo dovuto condividere il sedile posteriore.
Lo guardai titubante per un istante e poi entrai in auto spostandomi verso l'altro sedile per fargli spazio.
-Non ti preoccupare, io non vengo- disse chiudendo la portiera alle mie spalle.
-Perché?- chiese subito Charlie abbassando il finestrino.
-Devo fare quella commissione per mia madre, ci vediamo a casa fra poco- rispose sorridendole prima di stamparle un bacio sulle labbra.
Feci un cenno per salutarlo ma non mi guardò neanche per un istante, allontanandosi senza aggiungere altro.
Non riuscii a non pensare che in realtà non era voluto salire nell'auto a causa della mia presenza. Quel pensiero mi strinse il cuore in una morsa di dolore, avrei voluto abbandonarmi sul sedile e piangere per la milionesima volta, ma non potevo.
-Come passerete il Natale tu e tua madre?-
Alzai lo sguardo sul sedile di Charlie ed alzai le spalle non sapendo cosa rispondere.
-Non lo so, credo che andremo dalla nonna-
-Mh, e se invece lo passaste con noi?-
Sorrisi flebilmente portando di nuovo il pensiero a Noah.
-Non lo so, devo chiederlo a lei.- risposi semplicemente poggiando la testa sul vetro.

Mia madre era stata più che contenta di passare il Natale a casa Schwarz ed io mi ero piegata al corso degli eventi, contenta di vederla felice.
Non era stato facile restare per tante ore nella stessa stanza con Noah che non mi rivolgeva la parola, se poteva evitarlo.
Era tutto così assurdo e doloroso.
Charlie provava in tutti i modi ad avvicinarci, incredibilmente, ma lui non era disposto a cercare un punto d'incontro.
Più di una volta avevo rischiato di scoppiare a piangere a tavola, davanti a tutti, in quei giorni di vacanza, ma riuscii a trattenermi quasi sempre.
Solo la sera di Natale mi ferì maledettamente e non riuscii a trattenere le lacrime.
Era arrivata la mezzanotte ed era il momento di scambiarsi i regali. Li avevo comprati all'ultimo momento ma ci avevo messo tutto il cuore e avevo speso una giornata intera alla loro ricerca.
Vedere il volto sorridente di mia madre mentre scartava il suo regalo mi riempiva il cuore di dolcezza. Le avevo regalato una cosa semplice in realtà, una sciarpa viola, il suo colore preferito, fatta completamente a mano da me. Avevo speso ore ed ore su quella creazione.
I miei mi avevano sempre detto che nei regali era il pensiero a contare, l'affetto con cui venivano fatti e non il loro prezzo, per questo mi ero affidata alle mie mani per il suo regalo.
Lei d'altro canto aveva deciso di comprarmi, finalmente, la mia prima chitarra elettrica.
Avevo imparato a suonare la chitarra acustica con mio padre dopo che mi aveva regalato la sua. Ma da quando se n'era andato non ero riuscita a suonarla quasi mai.
Con le mani tremanti avevo scartato la mia Gibson Kramer Pacer Vintage, Tiger.
Quella chitarra era il mio sogno, non solo perché significava che avrei potuto suonare di nuovo ma anche perché era stupenda, perfetta, e sapevo che anche mio padre l'avrebbe adorata.
Timidamente avevo dato il mio regalo a Charlotte, avevo cercato in ogni dove qualcosa di adatto ma il terrore di sforare, di far qualcosa di esagerato, mi aveva bloccata più di una volta.
Alla fine avevo optato per un ciondolo a forma di geco in oro ed argento, aggiunto ad una catenina argentata molto semplice.
Dallo sguardo di lei capii che probabilmente avevo proprio esagerato, ma ormai il danno era fatto.
La gioia mi invase nel vedere il suo volto stupito, il sorriso che lento si allargava sul viso, il modo con cui mi aveva chiesto di mettergli subito la collana al collo, il modo in cui mi aveva stretta a sé ed il rossore sulle guance mentre mi porgeva il mio regalo, quasi temesse non fosse all'altezza. Ed invece lo era.
Mi aveva preso una cornice in argento decorata con due grandi fiori ai lati, vi aveva fatto incidere sopra i nostri nomi e aveva scelto una nostra foto recente da metterci dentro.
Mi aveva scaldato il cuore vederci così incorniciate, strette l'una all'altra, sorridenti.
Solo quando posai gli occhi su Noah la mia felicità sembrò sparire. Il suo sguardo era duro, sembrava immensamente a disagio, nervoso.
Abbozzando un sorriso gli porsi il mio regalo ma lui mi guardò stupito per qualche istante e poi lo prese, senza troppa convinzione.
Il suo regalo lo avevo scelto dopo molto peregrinare, mi ci era voluto quasi più che per scegliere quello di Charlotte.
-Spero ti piaccia- avevo sussurrato abbozzando un altro sorriso.
Lui lo scartò ancora dubbioso e poi alzò lo sguardo su di me, sorpreso. Avevo preso un cappotto in pelle nera piuttosto semplice e che ad occhio mi era sembrato della taglia giusta.
-Se non ti sta bene puoi sempre cambiarlo- aggiunsi stringendomi nelle spalle.
-Non posso accettarlo-
Lo guardai perplessa per qualche secondo e poi scossi la testa.
-Certo che puoi, è un regalo!-
-Ma io non ti ho preso niente...- rispose aggrottando le sopracciglia -Ho pensato di fare un regalo solo alle persone importanti, quest'anno-
-Non fa niente, non è un dovere fare un regalo, ma un piacere. E a me faceva piacere...- risposi fingendo di non aver colto il senso della seconda frase, anche se lo avevo capito fin troppo bene.
-Devo chiamare Lotte, scusatemi- dissi poco dopo alzandomi dalla sedia per dirigermi verso il bagno.
In realtà avevo solo bisogno di lasciar andare le lacrime, avevo l'impressione che sarei soffocata a forza di trattenerle.
Le sue parole continuavano a vorticarmi nella testa, crudelmente.
"Ho pensato di fare un regalo solo alle persone importanti."
Sapere di non essere più una persona importante per lui, realizzare di essere uscita dalla sua vita, mi uccideva.
Era sbagliato e assurdo quello che stava accadendo e non riuscivo neanche a capire il motivo del suo comportamento quando, non troppo tempo prima, mi aveva stretto con forza sulle scale dell'ospedale.
Era da quel giorno che qualcosa si era rotto definitivamente fra noi e non avevo idea di come avrei potuto rimediare.

-Sei bellissima-
Sorrisi distogliendo lo sguardo dallo specchio per incontrare lo sguardo di mia madre.
-Lo dici solo perché sono tua figlia- risposi ridendo.
-Assolutamente no!-
Alzai gli occhi al soffitto e finsi di crederci.
Sotto consiglio, quasi obbligo, di Charlotte, avevo indossato un semplice abito nero ad effetto fungo sulla gonna ed avevo indossato un paio di scarpe del medesimo colore non troppo alte ed infine avevo raccolto i capelli in una coda alta.
-Farai un figurone stasera-
Risi di nuovo e presi la borsa fra le mani. Era il primo Capodanno che passavo senza mia madre e mi faceva uno strano effetto.
L'idea di ritrovarmi con degli estranei mi aveva sempre messa a disagio e quella sera non avrebbe fatto eccezione, anche se saremmo stati in pochi.
Charlotte aveva invitato altre sei persone, escludendo me e Noah, tre ragazzi e tre ragazze che dovevo aver sicuramente visto a scuola ma con cui indubbiamente non avevo scambiato mai neanche una parola.
La cena fu per me una vera e propria tortura, l'unica persona con cui potevo parlare senza sentirmi a disagio era Charlotte, che quella sera era anche più bella del solito.
Ero stata dunque in silenzio per gran parte della serata, rispondendo a monosillabi quando venivo interpellata.
La tortura più grande era non poter parlare con Noah e vederlo scherzare con tutti gli altri come niente fosse.
I suoi occhi ridevano con lui tranne quando si posavano su di me.
Quando arrivò finalmente la mezzanotte iniziai a sentirmi più rilassata all'idea che presto sarei potuta andare via, con una scusa qualsiasi.
Affogai la mia amarezza nello champagne pentendomi di aver accettato di passare quella serata a casa di Charlie.
Era circa mezzanotte e cinque quando qualcuno suonò alla porta di casa.
-Vado io!- dissi dirigendomi verso la porta sperando che fosse mia madre ma quando la aprii mi ritrovai di fronte Lotte.
-Cosa ci fai qui?!- chiesi sorpresa.
In tutta risposta lei si sporse verso di me e mi rubò un bacio, come aveva già fatto al parco.
Come quel giorno restai immobile, lasciandomi baciare, incapace di muovermi.
Lei si fece più audace prendendomi per i fianchi.
-Un bacio a mezzanotte, ricordi?- mi chiese sorridendo, interrompendo quel momento -Ti ho sorpresa?- aggiunse lasciandomi andare.
-Sì- risposi semplicemente non riuscendo a staccare gli occhi dai suoi.
-Lotte, perché non resti con noi?- chiese Charlotte avvicinandosi.
Solo in quel momento mi ricordai di dove ero realmente e di chi aveva assistito al bacio. Mi voltai verso di lei e la vidi raggiante, piacevolmente stupita.
Non capivo la sua reazione, forse era sollevata all'idea che qualcun altro avrebbe preso il suo posto nel mio cuore. Forse era solo felice per me. Forse.
Annuii distrattamente lasciandola entrare in casa.
Ora avevo capito, Lotte non si sarebbe arresa e dovevo ammettere che le sue attenzioni non mi dispiacevano affatto. Ma c'era sempre Charlotte al centro del mio universo.
I dubbi che mi avevano perseguitato in quei giorni non fecero altro che accrescersi esponenzialmente da quella sera in poi.

_nota dell'autrice:
Finalmente eccoci qui...Ho voluto aspettare che tutti si mettessero in pari e dall'altro lato non riuscivo a finire il capitolo. Lo ammetto, mi è presa a male vedendo quanta poca considerazione abbia questa storia rispetto all'altra che ho scritto.
Mi ha depresso molto, ma vabè XD So che comunque c'è chi apprezza.
Nel titolo c'è la canzone cover di Glee, adoro ** Magari se volete ascoltarla mentre leggete D: Era giusto per creare l'atmosfera, LOL.
Le gif sotto il titolo sono di Butterphil <3 Grazie ancora Giuls ** (ovviamente sono, in ordine, Kaja - Noah - Charlie).
Ho pensato di usarle per il cambio di POV durante la storia <3
Che altro?
AH, le immagini dei regali! (se vi interessasse vederli XD)
Ciondolo <3
Cornice
Cappotto *ç* - scelto con l'aiuto di Cassie <3
Guitar <3 - tanto amore, gente **
 Nel prossimo ci sarà un po' di romance <3
Ammetto di non sapere quando aggiornerò, mi dispiace.
A presto, spero,
Angy

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Capitolo 28
*** 27. All's fair in love and war ***





 
Mi spostai lentamente fra le sue braccia, attenta a non svegliarla, e mi misi a pancia in sotto, poggiandomi su i gomiti.
Da quella posizione potevo osservarla tranquillamente mentre dormiva, serena.
Mi incantai seguendo il suo respiro regolare, osservando il muoversi lento e calmo del torace. Aveva le labbra rosate semi aperte, quasi stessero aspettando un bacio, un mio bacio.
Le sfiorai la fronte togliendole i capelli dal viso e mi persi fra le trame di quei ricci rossi lasciando che le dita affondassero nei boccoli, perdendosi.
Le ciglia vibrarono leggermente e mi immobilizzai, temendo di averla svegliata.
Mi sembrava così irreale averla lì, con me, mia. Esattamente come io ero sua, fra le sue braccia.
Tutto quello che era accaduto nelle ultime 72 ore mi sembrava assurdo, irreale, frutto di un sogno da cui non volevo svegliarmi.
Era solo il senso di colpa ad incatenarmi a terra, a farmi capire che quello era tutto tranne che un sogno, che non sarebbe svanito quando mi sarei svegliata.
Si mosse lentamente, quasi impercettibilmente, e non notai la sua mano fino a quando non me la ritrovai su una guancia.
-Sento che mi guardi- sussurrò senza aprire gli occhi, ancora assopita.
Sorrisi mordendomi il labbro inferiore e poi catturai le sue labbra, come avevo desiderato fare fin da quando mi ero svegliata, al suo fianco.
Quel sapore di pesca mi accolse ancora, come aveva già fatto innumerevoli volte, e mi sentii inebriare da quel contatto.
 
“Un bacio a mezzanotte, ricordi?”
Ogni volta che i miei occhi incontravano i suoi un brivido mi correva crudelmente lungo la schiena facendomi quasi sobbalzare.
Ogni suo movimento mi sembrava ipnotico, in qualche modo dedicato a me, a me soltanto.
Ogni sua parola acquistava improvvisamente un doppio senso intimo, che solo io avrei potuto cogliere.
Con quel bacio lei si era irrimediabilmente portata via una parte di me. La parte innocente di me.
Perché mi sembrava di vedere improvvisamente il mondo in modo diverso ?
Non era il mio primo bacio, neanche con lei.
Eppure tutto aveva assunto una tonalità diversa, un aspetto differente.
Il mio corpo reagiva alla sua presenza, ai suoi movimenti, alle sue perfette labbra.
Da quando lei era entrata in quella stanza sembravo impazzita, non riuscivo a non fissarla, non riuscivo a parlare e a fare nient'altro.
Scappai a casa il prima possibile, nascondendomi da lei cercando disperatamente di reprimere tutti i miei istinti.
Da sempre avevo bramato le labbra di Charlotte ma i miei pensieri difficilmente erano andati oltre, ora invece erano diventati impuri, dettati solo dagli ormoni.
Ogni volta che chiudevo gli occhi era lei ad invadere la mia mente, ed in modi in cui non avrei mai pensato di poterla immaginare.
-Devo parlarti- esordii l'indomani mattina, al telefono.
Il parco era semi deserto quella mattina gelida di Gennaio e mentre aspettavo che lei arrivasse ripassai a mente almeno venti volte il discorso che mi ero preparata.
Ero pronta a parlare, ma non ero pronta ad ascoltare. Non ero pronta a lei.
La osservai da lontano mentre si avvicinava, chiusa nel suo cappotto bianco sporco.
Le donava da impazzire, la faceva apparire come una piccola bambola perfetta.
Quel pensiero mi turbò nell'esatto istante in cui mi resi di conto di aver sempre associato quella parola, bambola, a Charlotte.
Mi gettò le braccia al collo ed io mi irrigidii improvvisamente prima di sciogliermi dal suo abbraccio, con un po' di irruenza.
-Kaja, ho visto come mi guardavi ieri sera, non sono scema.-
Abbassai lo sguardo a terra sentendomi improvvisamente mancare l'aria.
-Tu non capisci. Io amo Charlotte.-
-Ed io amo te-
Alzai gli occhi stupita, sentendo le gambe cedere dall'emozione.
Lei amava me, Kaja Berger. 
Si avvicinò sorridente e mi accarezzò una guancia dolcemente.
Mi sentii quasi scottare da quel contatto ed indietreggiai lasciandomi sfuggire una lacrima.
-Mi dispiace, Lotte. Non posso.-
-Sì che puoi- rispose lei prima di strapparmi un bacio con la forza, imprigionandomi fra le sue braccia.
Ancora una volta mi staccai da lei, con più irruenza, e mi portai le mani alle labbra.
-Smettila di farlo!- indietreggiai ancora, guardandola sconvolta.
Come poteva utilizzare quell'arma per zittirmi? Come poteva cercare di comprarmi a quel modo?
Amava così poco se stessa da accontentarsi di una persona non in grado di amarla?
-Dannazione!- esclamai dandole le spalle mentre cercavo di recuperare il filo del discorso che mi ero preparata.
-Mi dispiace, Kaja. Ma se tu non provassi veramente niente per me un bacio non ti sconvolgerebbe così tanto!-
Mi voltai verso di lei, sentendo una strana rabbia invadermi.
-Cosa vuoi che ti dica Lotte? Che ti amo? Perché non è così, davvero!-
-Lo so! Non pretendo che ti innamori di me dall'oggi al domani, ma diavolo provaci!-
Mi sembrò farsi improvvisamente più piccola e quando le lacrime le solcarono il viso mi sentii morire.
Ero io la causa di tutto quel dolore? Quando ero diventata come Charlie, una carnefice?
-Sei l'unica persona che mi abbia mai fatta sentire così sbagliata in tutta la mia vita- aggiunse distogliendo lo sguardo.
Non l'avevo mai vista tanto sconvolta, né tanto debole.
Lei non si era mai veramente esposta con me, o forse io non gliene avevo mai dato la possibilità.
-Tu non sei sbagliata- dissi in un soffio avvicinandomi.
-Ma non sono Charlotte- rispose lei sorridendo amaramente -Vorrei solo sapere cos'ha lei che io non ho- aggiunse alzando gli occhi su di me.
Aggrottai le sopracciglia e le presi le mani nelle mie.
-Assolutamente niente. Credimi Lotte tu sei perfetta, davvero.-
Mi avvicinai, titubante, e poggiai le mie labbra su una delle sue palpebre, catturandone una lacrima.
-Mi dispiace, ma io non riesco ad esserti solo amica- sussurrò lei allontanandosi da me.
Mi voltò le spalle senza aggiungere altro ed io la lasciai andare, senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua schiena.
 
Le sue mani affondarono nei miei capelli attirandomi verso di lei, le nostre gambe si incrociarono e mi ricordai di essere mezza nuda, dentro quelle coperte, con lei.
Non importava quanto durassero i nostri baci, non riuscivo a saziare la mia fame, non riuscivo a non baciarla ancora e ancora.
Le sfiorai il naso con il mio, riaprendo gli occhi, e le sorrisi specchiandomi nei suoi.
-Sei bellissima- sussurrai prima di baciarle il collo.
-Lo so- rispose lei ridendo.
Poi fece leva sul bacino e rigirò le nostre posizioni, prendendo il comando.
Le sue labbra si poggiarono sul mio collo scendendo lentamente sulle clavicole.
La maglietta faceva da barriera ai suoi baci infiammanti così risalì lungo il suo percorso fino a cercare nuovamente le mie labbra, ormai divenute sue.
Mi staccai dal suo bacio e con lentezza mi sfilai la maglietta, eliminando anche quell'ostacolo dal nostro percorso.
-Non voglio costringerti a fare nulla che tu non voglia fare- disse lei sorridendo mentre io arrossivo fino alla punta dei capelli.
La mia risposta fu molto chiara e semplice. La attirai a me e la baciai di nuovo, con passione, lasciando che le mie mani vagassero sul suo corpo, senza esitazioni.
La sua pelle era soffice, vellutata, morbida. Le sfilai lentamente la maglietta e mi fermai solo per poterla osservare, in intimo.
I nostri corpi aderirono completamente mentre le nostre labbra si univano ancora, instancabili.
Sentirla così vicina, semi svestita, mi faceva ribollire ed allo stesso tempo mi faceva sentire completa.
 
Da quando si era allontanata da me era divenuto il mio unico pensiero. Qualunque cosa sembrava ricordarmi lei, le sue parole.
Credevo il mondo avesse iniziato a torturarmi dandomi segnali della sua presenza in ogni cosa, persino in una tazza di cioccolata calda.
Persino la mia mente aveva deciso di voltarmi le spalle, abbandonandosi a assurde considerazioni.
La verità era che dovevo prendere una decisione e il mio corpo sembrava ben intenzionato ad andare in una precisa direzione.
Non riuscivo più a capire se stavo scegliendo col cuore o con la testa.
Ma improvvisamente sapevo di volerla.
Guardai l'orario sul cellulare. Erano passate 30 ore dall'incontro al parco, le avevo contate.
“Un minimo di dignità, Kaja!” mi ammonii poggiando il cellulare sul tavolo.
Fremevo da quando avevo aperto gli occhi per chiamarla, ma non volevo farlo. Per orgoglio o per vergogna, non avrei saputo dirlo.
Allo scattare della 35esima ora non riuscii a resistere oltre e la chiamai.
-Ho bisogno di vederti.-
-Perché?-
-Perché mi manchi.- 
-Non posso.-
-Perché?-
-Perché mi vuoi lì come amica.-
-Vuoi davvero tagliare la nostra amicizia, anche tu?- chiesi sconvolta alzandomi iniziando a camminare per il salotto, nervosa.
-No, non voglio. Ma devo farlo per il mio bene.-
-Ti prego... ho bisogno di te- sussurrai mordendomi il labbro inferiore.
Lei sospirò all'altro capo del telefono e senza aggiungere altro riattaccò.
Mi abbandonai sul divano chiudendo gli occhi, sentendomi improvvisamente svuotata.
Com'era possibile che finisse sempre allo stesso modo?
C'era un errore ricorrente che continuavo a fare, ma non mi sembrava così evidente.
O almeno io non riuscivo a trovarlo.
Erano le otto e mezzo di mattina quando suonarono al campanello, mia madre era già uscita per andare lavorare, come al solito, ed io fui costretta ad alzarmi.
Mi stiracchiai lungo le scale ed aprii senza neanche controllare chi fosse, prima.
Mi ritrovai di fronte lei, Lotte, e boccheggiai incapace di dire qualunque cosa.
Erano passate altre 15 ore da quando le avevo parlato al telefono.
-Allora, mi fai entrare?-
-Certo- sussurrai facendole spazio e richiusi la porta alle mie spalle.
Si tolse il cappotto lentamente, guardandosi attorno. Era incredibilmente fredda e composta.
-Mi spiace averti svegliato.-
-Non importa... come mai già in giro a quest'ora?- chiesi cercando di rompere il ghiaccio.
-Non riuscivo a dormire.-
Annuii entrando in cucina per accendere la macchinetta del caffè.
-Ne vuoi?- chiesi recuperando le tazzine da una mensola.
-Ok- rispose semplicemente.
Tutto quel silenzio iniziava ad infastidirmi, ad agitarmi.
Ringraziai il cielo quando il caffè fu pronto e riempii le due tazzine.
-Grazie.- 
Sorrisi leggermente sedendomi di fronte a lei, sperando che quella tensione si spezzasse presto.
Restammo in silenzio, a guardarci, per tutto il tempo.
Quando non riuscii più a reggere il suo sguardo mi alzai per mettere via le tazzine e fu in quel momento che una cadde a terra, rompendosi in mille pezzi.
Mi maledissi per la mia solita goffaggine e mi accucciai per recuperare tutti i cocci.
Anche lei si alzò per aiutarmi e quando le nostre mani si sfiorarono mi immobilizzai, alzando gli occhi su di lei.
Evitò il mio sguardo raccogliendo altri cocci ma non riuscii più a trattenermi e sporgendomi verso di lei la baciai, timidamente.
-Cosa significa?- mi chiese alzandosi con uno scatto.
Non era certo la reazione che avrei sperato.
-Non eri innamorata di Charlotte? Non ho bisogno del contentino, Kaja.-
-Sì ma... non è un contentino io... volevo farlo.-
-Perché?-
-Non lo so perché! Ma non eri stata tu a dirmi di fare chiodo schiaccia chiodo?!-
-E' questo che dovrei essere, quindi? Un rimpiazzo?-
-No, certo che no! Io... io non... non voglio usarti, davvero.-
-Se sei convinta di questo allora dimostrami che vuoi stare con me.-
Aprii la bocca per rispondere ma lei scappò immediatamente, lasciandomi interdetta sul posto.
Iniziavo a dubitare che lei sapesse cosa volesse esattamente da me.
 
I suoi baci ripresero il loro percorso, scendendo dal collo allo sterno, le labbra mi sfiorarono il reggiseno per poi scendere verso l'addome.
Quello sfiorare delicato mi faceva rabbrividire ed allo stesso tempo mi solleticava strappandomi piccole risate.
Poi tornò a baciarmi lungo la pancia, arrivando all'ombelico.
Quando sfiorò il bordo delle mutande un lungo brivido mi percorse la schiena e sentii il panico montare, ma non si spinse oltre, ritornando su i suoi passi.
-Non sono pronta- sussurrai cingendole i fianchi.
-Lo so- rispose lei sorridendomi con dolcezza prima di abbandonarsi lungo il mio fianco.
Mi prese una mano e la strinse nella sua, prima di portarla sul suo petto, per farmi sentire il battito frenetico del suo cuore.
-Questo è il tuo potere- mi disse guardandomi negli occhi.
Sentire il suo cuore battere all'impazzata, a causa mia,mi tolse il fiato.
Sorrisi incredula e le portai una mano al mio petto.
-...E questo è il tuo- risposi chiudendo gli occhi.
Lei rise, con una risata infantile, prima di sfuggire da sotto le coperte ed alzarsi.
-Dove vai?- chiesi raggiungendola, agguantandola per i fianchi, costringendola a voltarsi per  guardarmi.
-Prima o poi i miei rientreranno- rispose evitando il mio sguardo.
-Non succederà prima di tre ore- risposi prendendole il mento in una mano ,costringendola ad incontrare il mio sguardo.
-...Kaja Berger tu mi farai impazzire- rispose ridendo, cercando di scappare dalle mie braccia.
Ma la strinsi con più forza e presi possesso delle sue labbra, per la milionesima volta.
Iniziavo a sentirmi come una drogata. Le sue labbra erano la mia dose, senza stavo male.
Ed ancora non riuscivo a capacitarmi di come fosse successo.
 
Dimostrarle il mio reale interesse.
Come avrei mai potuto sapere come si facesse una cosa del genere?
L'unica volta che l'avevo fatto non era andata nel migliore dei modi e di certo non era stata la più romantica delle dichiarazioni.
Mi scervellai per ore, alla ricerca di qualcosa di romantico da fare, ma non riuscivo a pensare a nulla di sensato.
Era ormai sera inoltrata quando mi decisi ad uscire di casa. Erano passate altre lunghissime dieci ore senza neanche un sms da parte sua.
Suonai il campanello di casa sua titubante e quando mi aprì mi immobilizzai come sembrava ormai routine io facessi.
-Sei sola?- chiesi.
-Sì, i miei tornano domani pomeriggio, perché?-
Mi avventai su di lei, spingendola dentro casa e la baciai con tutta la passione di cui ero capace.
-Non sono brava con le parole né con le cose romantiche, ma so che ti voglio per me, Lotte. Questo è quanto- dissi tutto d'un fiato, chiudendo la porta alle mie spalle.
Lei mi guardò stupita per qualche istante prima di scoppiare a ridere.
Mi abbracciò con dolcezza prima di attirarmi a sé per suggellare quel momento con il primo di una serie infinita di baci.
 
-Abbiamo passato la notte e gran parte della mattina in quel letto, è ora di staccarcene, non trovi?-
Decisi di darle ragione e recuperai i jeans che avevo lasciato a terra.
L'idea di separarmi da lei mi straniva. Non sarei più voluta uscire da quella stanza e mi sembrava la cosa più assurda del mondo.
Impiegammo dieci minuti per salutarci, non riuscendo a staccarci fisicamente l'una dall'altra.
Quando però fui lontano da casa sua ed iniziai a pensare a tutti i momenti che avevamo passato assieme mi resi conto che per quanto lei fosse perfetta per me per metà del tempo non avevo fatto altro che sovrapporre il viso di Charlotte al suo, aiutata dalla loro somiglianza.
Le avevo detto che non l'avrei usata, che non l'avrei ferita. Ma in realtà non era qualcosa che stavo scegliendo di fare.
Mi piaceva davvero, lei. Era in grado di accendermi, di farmi stare bene, di farsi desiderare.
Ma il mio cuore era ancora di Charlie, batteva veramente solo per lei.
Perché anche solo un suo sguardo poteva rallegrarmi la giornata.
Ma avrei riposto quei sentimenti, avrei provato  davvero ad amare Lotte. Forse era il chiodo giusto con cui schiacciare Charlie. O almeno speravo lo fosse.
Suonai alla porta di casa Schwarz mentre ero ancora avvolta da quei pensieri e quando fu Noah ad aprirmi mi irrigidii.
Ancora il suo sguardo freddo e poi il suo invito tacito ad entrare con quella smorfia di disappunto sul viso.
-Hey- salutai semplicemente raggiungendo Charlotte per assestarle un bacio sulla guancia.
-Sei sparita, ma dove sei stata in questi ultimi giorni?-
Mi morsi il labbro inferiore ed arrossii visibilmente.
-Io e Lotte... beh...- non mi lasciò neanche finire la frase che mi attirò a se per abbracciarmi.
Sembrava quasi più felice lei di me.
Sorrisi imbarazzata e quando mi voltai verso Noah mi sorpresi della sua espressione contrariata.
Si avvicinò a me forzatamente e allo stesso modo mi abbracciò, rigido.
-Congratulazioni...- disse cercando di apparire veramente felice -Suppongo che adesso non debba più temere per la mia relazione- aggiunse sussurrando.
Io annuii sciogliendomi dal suo abbraccio e lui mi sorrise.
Un sorriso che non conoscevo affatto, perché non era il suo sorriso, quel sorriso.
E di nuovo la confusione invase la mia mente.

_nota dell'autrice:
Come avevo preannunciato questo capitolo è stato molto romantico **
Spero possano piacervi loro due assieme! :3
So che il comportamento di Noah è poco chiaro ma tra non molto capirete tutto. 
Nel prossimo capitolo *rullo di tamburi* avremo un "confronto" fra loro due EEEEEEEEE vedremo le reazioni di Noah e Charlie alla nuova relazione di Kaja! :P
PS: ci terrei che ascoltaste la canzone che ho linkato nel titolo.
Non la conoscevo e l'ho trovato cercando canzoni che si intitolassero "Porcelain". Sì lo so, sono pazza XD
Però mi è piaciuta tanto e la sua dolcezza l'ho trovata particolarmente adatta a questo capitolo, spero possa piacervi <3
A presto,
Angy

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Capitolo 29
*** 28. Double Date ***


28. Double Date
 


Osservò la sua schiena ampia e forte risalendo con gli occhi alle spalle, poi lungo il collo ed infine incontrò i suoi capelli biondi, lisci e setosi, e sorrise fra sé e sé.
Riusciva ad intuire l'espressione del suo volto anche da quella posizione, ormai conosceva alla perfezione ogni suo movimento, ogni inclinazione della voce. L'unica cosa che non le riusciva era capire i suoi pensieri.
-A che pensi?- chiese in un soffio tirandosi su a sedere per potergli sfiorare una spalla con la mano.
-A niente- rispose prontamente lui voltandosi per regalarle il suo solito sorriso.
-Sicuro?- chiese poggiando il mento sulla sua spalla sfoggiando il suo sguardo da bambina innocente.
-Sicuro- rispose l'altro inarcando leggermente le sopracciglia. Tipico segno che stava mentendo.
Lei sospirò e si alzò definitivamente dal letto stiracchiandosi le braccia.
-Allora... che ne pensi di Lotte?- chiese fingendosi indifferente.
Lo vide fremere leggermente e poi alzare lo sguardo su di lei, fingendo un'aria composta.
-Nulla, cosa dovrei pensare?-
-Ma dai, ti sarai fatto un'idea, no?-
-No- rispose immediatamente lui stringendo il pugno sinistro.
-Secondo me è carina... anche se mi somiglia troppo.-
Lui aggrottò le sopracciglia per poi sistemarsi meglio sul letto, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo.
-Come?-
-Dai! Non dirmi che non l'hai notato! Capelli rossi, molto chiara di carnagione, amante di vestitini e cose del genere? E poi si chiama Lotte.-
-Cosa c'entra il suo nome?- chiese fra i denti evidentemente infastidito dalle somiglianze da lei evidenziate.
-Charlotte, Lotte? Non ti viene in mente niente?- disse lei ridendo mentre apriva l'armadio alla ricerca di un cambio d'abiti per quel pomeriggio.
-Non ci avevo pensato- ammise lui seguendola con lo sguardo.
-Non vorrei che Kaja l'abbia scelta solo per le nostre somiglianze- aggiunse voltandosi per un secondo verso di lui.
Odiava i suoi giochini, il modo subdolo con cui insinuava i dubbi nelle menti altrui ed odiava specialmente che provasse a farlo con lui.
-Cosa vuoi che ti dica Charlie?-
Lei alzò gli occhi al cielo e si voltò verso di lui fissandolo con il suo solito sguardo furbo.
-Ma non ti da neanche un po' fastidio la cosa?-
-No, dovrebbe?- 
Lei lo fissò silenziosamente per qualche secondo e poi sbuffò nascondendo nuovamente il viso fra i vestiti, alla ricerca di una scusa per far calare l'argomento.
A lei dava fastidio, da morire. Non aveva mai preso in antipatia una persona solo per il fatto che esistesse prima della comparsa di Lotte.
Non sopportava di vederle insieme, non sopportava il modo in cui Kaja la guardava, un modo che aveva riservato sempre e solo a lei.
Era gelosa, terribilmente gelosa. 
-Ancora devi spiegarmi perché a Natale non le hai dato il tuo regalo.-
-Te l'ho già spiegato- rispose piccato lui alzandosi subito dal letto, neanche avesse preso la scossa.
-No, non l'hai fatto!- si voltò di scatto e lo fissò storcendo il naso.
-Non siamo più amici.- specificò dunque alzando gli occhi al cielo.
-Ma il regalo glie l'avevi già fatto...-
-Si può sapere cosa vuoi oggi da me?- chiese esasperato voltandosi verso la finestra.
-La verità.-
-E' quella la verità! Ha baciato la mia fidanzata, punto. Credimi, ho chiuso delle amicizie per molto meno.-
-Ma adesso è fidanzata...- rispose lei abbassando gli occhi sul pavimento.
-Questo non cancella quanto successo prima.-
I suoi occhi blu si puntarono nei suoi, con fermezza, e capì di dover lasciar stare l'argomento, per l'ennesima volta.
-Non capisco perché ti interessi così tanto.- aggiunse lui dopo qualche secondo.
-Perché ti voglio bene e so che ti manca, esattamente come tu manchi a lei.-
Il silenzio calò nella stanza e le sembrò di sentire l'aria farsi più pesante, quasi irrespirabile.
 


-Non so proprio come tu abbia fatto a convincermi a vedere questo film- sussurrai distogliendo lo sguardo dallo schermo.
-Ma se è bellissimo- rispose lei ridendo.
-Sì, se ti piacciono sangue e urla a non finire!- risposi io nascondendomi per l'ennesima volta sotto le coperte.
-Sei proprio una fifona, lo sai?-
Sorrisi fra me e me stringendomi più a lei con la scusa del film horror.
-E va bene!- esclamò improvvisamente Lotte spegnendo la televisione -Hai vinto- aggiunse sussurrando prima di imprigionare le mie labbra con le sue.
Era facile abbandonarsi a lei, alle sue coccole, ai suoi baci passionali, facile quanto immaginare che ci fosse Charlotte al suo posto.
Sapevo che Lotte non si meritava di essere un rimpiazzo, un corpo da sfruttare per stare bene, ma non riuscivo a fare a meno di lei, della sua presenza.
Mentre eravamo strette l'una nell'altra qualcuno suonò alla porta.
Mi alzai velocemente tentando di darmi un'aria composta ed andai ad aprire senza pensarci troppo.
-Ciao- 
La sua voce, quanto mi era mancata la sua voce? Ed i suoi occhi?
-Ciao- risposi con voce malferma guardandolo confusa.
-Dobbiamo parlare.-
Annuii debolmente fissando gli occhi nei suoi.
Lui tentennò guardando la porta, probabilmente avrebbe preferito affrontare il discorso dentro casa, ma il mio corpo si rifiutava di muoversi anche solo di un millimetro.
-Charlie mi ha fatto pensare alla nostra situazione...insomma, ora che tu sei... che hai Lotte accanto, immagino che...-
-Sì.- risposi immediatamente io senza neanche farlo finire di parlare.
Lui sorrise abbassando gli occhi in terra.
-Mi sei mancata- aggiunse sussurrando, quasi se ne vergognasse.
-Anche tu- sussurrai a mia volta sentendo gli occhi inumidirsi.
Mi ritrovai improvvisamente fra le sue braccia, stretta in una morsa che avevo tanto agognato in quei giorni.
-Ti ho portato questo- aggiunse porgendomi un pacchetto. -Te lo avevo comprato il regalo- aggiunse mordendosi il labbro inferiore.
Io risi prendendolo fra le mani, non importava neanche cosa ci potesse essere dentro: io ero una persona importante per lui.
-Cosa aspetti ad aprirlo?-
Annuii impacciata e aprii il pacchetto contenente “L'ombra del Vento” di Carlos Ruiz Zafòn, il mio libro preferito.
-E' autografato- aggiunse lui -Sapevo che era il tuo autore preferito quindi ho pensato che...-
-Grazie!- lo interruppi nuovamente stringendo il libro fra le mani.
Lui mi sorrise come non faceva da tempo ed io mi sentii sciogliere; solo a quel punto mi ricordai di Lotte che aspettava in salotto.
-Ah, ehm, entra.- 
Mi spostai per farlo entrare e controllai con la coda dell'occhio il salotto.
Lotte non era una sprovveduta come me e nel frattempo aveva provveduto a mettere a posto la stanza e a rendere se stessa presentabile.
-Ah, scusate l'interruzione...- disse subito Noah facendo un passo indietro.
-Figurati, stavamo solo guardando un film- disse Lotte stringendosi nelle spalle.
-Ok-
Li guardai uno alla volta rendendomi conto dell'imbarazzante silenzio che si era venuto a creare.
-Sai cosa? Una volta dovremmo proprio fare un'uscita a quattro.-
Lo dissi senza neanche pensarci e mi pentii quasi subito di averlo proposto.
-E' una buona idea- rispose Noah grattandosi leggermente la nuca.
Sì certo, una buona idea. No, non lo era stata affatto.
 
Esattamente due giorni dopo ci ritrovammo tutti e quattro al cinema insieme ed io avrei voluto sparire sotto terra.
Quando avevamo preso i posti lo avevamo fatto meccanicamente, senza neanche pensare e fu così che mi ritrovai fra Lotte e Charlie.
Mentre con una mano tenevo stretta quella di Lotte ma con gli occhi osservavo Charlotte accanto a me.
Era bellissima, come sempre; indossava un vestito panna che ne metteva in risalto le forme ed aveva tirato indietro i capelli, lasciando scoperto il collo.
I miei occhi continuavano a cadere sulle sue gambe senza che io potessi controllarli.
Quando riuscivo a darmi un contegno risalivo lentamente la linea del suo collo fino ad incontrare i capelli rosso fuoco.
Ciò che più mi fece mancare il fiato furono le attenzioni che rivolgeva a Noah e quelle che lui rivolgeva a lei.
Ora che non ero più il terzo in comodo non c'era più bisogno di contenersi, i baci volavano nell'aria aumentando esponenzialmente il mio desiderio di sparire.
La presa di Lotte si fece più salda sulla mia mano ed io sussultai, quasi dimentica della sua presenza.
-Bello il film, vero?- chiese lei con una punta di freddezza incontrando i miei occhi.
La guardai interdetta per qualche secondo e poi sorrisi dolcemente.
-Molto.-
Anche lei mi sorrise e riprese a guardare lo schermo ma già in quel momento capii: lei se n'era accorta.
Quando uscimmo dal cinema decidemmo di cenare assieme, tanto per aumentare la situazione d'imbarazzo generale.
Io rimasi per tutta la cena rilegata in un angolo del tavolo a mangiare silenziosamente e a sforzarmi di non alzare mai lo sguardo su Charlotte.
Ascoltai metà dei loro discorsi e non presi parte a nessuno di loro onde evitare di dire cose di dubbio senso.
Quando quella serata giunse finalmente a termine e riaccompagnai a casa Lotte la bomba esplose.
Eravamo sul suo portone di casa, lontane dagli occhi e dalle orecchie indiscrete di Noah e Charlie.
-Mi dispiace, so che ti ho detto che avrei potuto sopportarlo, ma non posso.- 
La guardai perplessa per un secondo non riuscendo a seguire il filo del discorso.
-Vedo come la guardi e non ce la faccio. Anche se ti avevo detto di fare chiodo schiaccia chiodo con me.-
-Ma non è come dici tu! Non è...-
-Risparmiatelo, non ho bisogno di una bugia- disse interrompendomi.
Mi guardò per qualche secondo per poi abbassare lo sguardo in terra.
-Ho bisogno di dormirci sopra- aggiunse aprendo la porta di casa.
Annuii stringendomi nelle spalle e mi allontanai per raggiungere i miei due amici.
Mi ero illusa che potesse durare, che lei non se ne sarebbe mai resa conto, mi ero illusa di poter riuscire a cancellare i miei sentimenti per Charlie sostituendoli con quelli che provavo per lei. Ma avevo fallito miseramente.

_nota dell'autrice:
Ero convinta che non avrei più aggiornato ma poi mi sono detta: CHI SE NE FREGA.
Quindi ecco un nuovo capitolo.
Ammetto di esserci rimasta un po' per il capitolo precedente perché chi commenta generalmente la storia non l'ha fatto (eccetto due persone) e c'ho pensato molto. Solo che poi mi sono detta: se non è stato apprezzato per le scene omosessuali fra Kaja e Lotte allora sono approdate nella storia sbagliata. Quindi Amen.
Chi mi segue mi segue, per il resto non importa.
Ormai voglio finire questa storia e spero di farlo quanto prima.
Mi rendo conto che non sia una delle cose più riuscite che io abbia mai scritto, sarà sicuramente banale e tutto quello che volete ma è un percorso che voglio terminare lo stesso, meglio che posso.
Al prossimo capitolo, quando arriverà.
Angy

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Capitolo 30
*** 29. Unanswered ***


29. Unanswered
 
 
-Rispondi... rispondi, rispondi!- imprecai alzando gli occhi al soffitto.
Quando sentii per l'ennesima volta la voce metallica della segreteria telefonica riagganciai, sconfitta.
Le avevo lasciato ormai cinque messaggi in segreteria e l'avevo chiamata almeno venti volte nelle ultime ore.
Io e Lotte non ci eravamo più viste né sentite negli ultimi due giorni, e non per volere mio.
Il senso di colpa mi comprimeva il petto, avevo perso molte ore di sonno e nulla riusciva ad occuparmi la mente, nulla che non fosse lei.
Non avevo detto niente a Charlie e Noah e non sapevo neanche se farlo o meno.
Non volevo mantenere un nuovo segreto, non a lungo, ma allo stesso tempo avevo paura di come la fine della mia relazione con Lotte avrebbe potuto cambiare le cose. 
La nostra relazione era stato il motivo principale del riavvicinamento fra me e Noah, e non volevo dovergli dire addio ancora una volta.
Quando finalmente il telefono squillò, due ore dopo, ed il suo nome apparì sullo schermo, feci un salto di gioia e risposi.
-Finalmente, sono giorni che provo a chiamarti! Dobbiamo chiarire questa situazione...-
-Non credo ci sia nulla da chiarire. Penso di averti dato l'impressione sbagliata Kaja... non credo ci sia possibilità di recuperare qualcosa.-
Sentii il cuore fermarsi un'istante e rimasi a bocca aperta, incredula.
-Vuoi dire che non possiamo neanche tornare ad essere amiche?-
-Io non posso esserti amica, non ne sono più capace.-
La sensazione di abbandono che ormai conoscevo fin troppo bene mi attanagliò il cuore, facendomi inumidire gli occhi.
-Avevi promesso- sussurrai asciugandomi velocemente le lacrime.
-Mi dispiace, ho sopravvalutato la mia forza. Mi dispiace davvero.-
Un singhiozzo mi uscì dalle labbra, senza che io potessi trattenerlo ancora.
-Non è giusto. Io c' ho provato, diavolo se c' ho provato. Ma non è colpa mia se io...-
-Lo so- mi interruppe subito lei -Ma non è neanche colpa mia.-
-Quindi cosa succederà adesso? Non mi saluterai mai più, non mi guarderai mai più, mi eviterai per sempre?-
-Non devi preoccuparti di questo.-
-Cosa vuoi dire?-
-Volevo dirtelo l'altra sera ma non ce l'ho fatta. Una settimana fa mio padre ha avuto un offerta di lavoro a Berlino. Sarebbe partito senza di me nel week-end, avevamo trovato una soluzione temporanea per farmi restare, per te... ma ora partirò con lui.-
-Te ne vai?- chiesi con voce tremante.
-Sì.- 
La sua risposta secca mi lasciò senza fiato, non ebbi neanche il tempo di risponderle che riattaccò, come se non avesse appena lanciato una bomba, come se non avesse appena distrutto tutto, cancellando tutto per sempre.
 
10 Gennaio 2012,
 
Sei partita da quanto, cinque ore? Eppure mi sembra già che la città senta la tua mancanza, che sia un po' più vuota.
Non riesco a capire perché non mi hai dato neanche la possibilità di spiegarti.
E' vero, la amo ancora, forse lo farò per sempre ma il nostro rapporto andava oltre questo.
Perché tu non hai voluto crederci ma per me sei stata qualcosa di importante. Tu hai smosso qualcosa dentro di me.
Che tu ci creda o meno io voglio che tu lo sappia: sei stata importante, sei importante.
Mi manchi, a questo almeno ci credi?
E' la terza e-mail che ti scrivo, forse questa volta te la mando. Ma lo so già: tu non risponderai.
Magari stai già lasciando andare il mio ricordo, magari riuscirai presto a voltare pagina.
Ritorna, ti prego.
 Kaja
 
 
12 Gennaio 2012,
 
Sapevo non mi avresti risposto, ma io ho bisogno di parlare con te, o solamente di scriverti e di sperare che tu mi risponda.
E' difficile senza te, senza potermi confidare con nessuno.
Non l'ho detto ancora a Noah e Charlotte, non l'ho detto neanche a mia madre.
Perché sto negando che sia successo, diresti tu.
E invece no, non lo faccio perché ho paura delle conseguenze, ho paura di dover spiegare.
Hai paura di ammettere la verità, so che mi diresti questo. E magari hai anche ragione.
Sì è vero, ho paura.
Sempre la solita paura, quella che tu avevi scacciato e che adesso mi hai ridato. La paura di restare sola.
Non c'è un'istante della giornata in cui io non pensi a te. 
Rispondi, ti prego.
 Kaja
 
15 Gennaio 2012, 
 
L'ho detto a mia madre. Non mi ha giudicata. Tu l'avresti saputo, mi avresti spronata a dirglielo subito.
L'ho detto anche a Charlotte ma le ho chiesto di non dirlo a Noah.
Si è dispiaciuta... ma ha capito senza che glielo dicessi che è lei la ragione per cui è successo tutto.
O quanto meno che la colpa è la mia, che non riesco a non amarla.
Sta facendo progressi con le gambe, riesce a stare sempre più a lungo in piedi, a girare per la stanza.
Credo che per la fine di Febbraio riuscirà a dire addio alla sedia a rotelle, magari anche prima.
Dovresti vederla, è felicissima. So che ne sarai felice, perché non sei capace di odiarla. Non davvero.
Mi chiedo cosa stai facendo, se hai già iniziato una nuova scuola, se ci sono tante persone che ti circondano, se hai già nuovi amici.
Vorrei essere a Berlino, vorrei essere uno di loro per poterti parlare, anche solo per un secondo.
Perché mi ignori?
 
Kaja
 
25 Gennaio 2012,
 
Lotte, ti prego rispondimi. Ho bisogno di te.
  Kaja
 
30 Gennaio 2012, 
 
L'ho detto a Noah, ho pianto. Lui mi ha abbracciata, mi ha consolata. Ha tentato di farmi stare meglio.
Ma so che tu questo l'avresti immaginato.
Mi hai sempre ripetuto quanto lui mi volesse bene, più di quanto io immaginassi.
Però non è abbastanza. Lui non mi basta più, neanche Charlie mi basta più.
Fammi almeno sapere se stai bene, solo questo.
Kaja
 
12 Febbraio 2012, 
 
Charlotte ha abbandonato la sedia a rotelle, ora riesce a camminare da sola, a volte si aiuta con le stampelle.
Noah le è sempre accanto, non la lascia mai, è sempre pronto ad aiutarla.
Da quando abbiamo fatto pace noi tre passiamo molto tempo assieme. Credo che lo facciano anche per tenermi compagnia.
Ma non penso di essere molto attiva. Non riesco a non pensarti, a chiedermi cosa stai facendo, se sei con qualcuno, se mi hai già dimenticata.
E continui a non rispondermi.
Sto perdendo le speranze. 
Ti prego, almeno una volta.
Anche solo per insultarmi, per dirmi di lasciar perdere.
Ne avrai letta almeno una di queste e-mail o le hai solo cancellate, come se fossero spazzatura?
Ho bisogno della mia amica Lotte, sempre di più.
 Kaja
 
13 Febbraio 2012 h22:
 
Lasciami stare, ti prego. Sto tentando di farmi una nuova vita. Volta pagina, Kaja.
Tu non hai bisogno di me, ma soltanto di una persona a cui aggrapparti.
Hai sempre avuto Charlotte.
Poi Noah.
Poi me.
Sono soltanto un'altra ancora. Devi imparare a vivere da sola.
Non cercarmi più, non scrivermi più.
Vivi la tua vita.
Lotte.
 
Quella sera, dopo aver imparato le sue parole a memoria, il computer volò fuori dalla finestra, assieme alla mia speranza, al mio cuore, alla mia amicizia con Lotte.
Era stata lei a decidere e ne aveva tutto il diritto. Come io avevo il diritto di non accettarlo. Di non andare avanti.
Quella sera, dopo aver pianto per ore, mi chiusi in me stessa e non proferii più parola per giorni, settimane, senza che nessuno potesse farci niente.
Per una volta sarei stata io quella non rispondere, a nessuno.
Per una volta non avrei reagito,  non mi sarei rialzata, non avrei combattuto. Per una volta avrei sofferto, pianto tutte le mie lacrime, mi sarei mostrata debole e me ne sarei fregata.
Per una volta non esisteva nessun altro oltre me, ed il mio dolore.

_nota dell'autrice:
Eccoci al nuovo capitolo che ormai non so neanche quanti di voi leggeranno.
E così avviene la dipartita di Lotte.
Diciamo che non doveva andare esattamente così ma mi sono fatta prendere la mano ed ho cancellato delle situazioni accorciando la questione "numero di capitoli".
Non so esattamente di cosa parlerà il prossimo capitolo perché dobbiamo arrivare al centro di una cosa importante.
A fine di tutto vi spiegherò molte delle mie decisioni e cosa volevo veramente comunicare con questa storia.
Perché non è una storia d'amore e di rapporti umani, non esattamente. Voleva andare oltre ma credo che nessuno l'abbia capito.
Sicuramenten on è la storia meglio riuscita che io abbia mai scritto e non è quella che ho scritto meglio, a livello prettamente lessicale. Ma va bene così.
Grazie a chi commenterà come sempre, al prossimo capitolo,
Bea

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Capitolo 31
*** 30. A silence that speaks ***


pregasi leggere le note a fondo capitolo, ci tengo molto.

30. A silence that speaks 



Iniziavano a bruciarmi gli occhi a furia di fissare quella foto di noi due, strette l'una all'altra.
Non che quella foto potesse riportarla indietro, tra l'altro.
Lei mi aveva liberato da un peso, mi aveva aiutato ad accettare me stessa, e alla fine si era portata via un pezzo della mia anima e anche la mia voce.
Non avevo più parlato da quella notte, a nulla erano valse le domande di mia madre, le sue urla per aver buttato fuori dalla finestra il mio computer.
Ormai doveva credermi pazza e sapevo che aveva deciso di rivolgersi ad uno Psicologo.
Ma nessuno sarebbe riuscito a tirarmi fuori le parole, nessuno poteva riportarmi indietro lei ed il suo affetto.
Mia madre lo aveva capito che era tutto legato a Lotte, ma non poteva capire come la sua assenza mi facesse sentire.
Era come perdere tutto ancora una volta, ricominciando da capo.
La verità era che avevo paura, paura di legarmi di nuovo a qualcuno, tutti non facevano altro che andarsene, in un modo o nell'altro, io lo avevo capito e non avevo più voglia di lottare, di aprirmi con qualcuno.
Quando mi trascinò dentro lo studio di quello Psicologo non alzai neanche lo sguardo, non lo salutai, non mi presentai.
Rimasi lì seduta su quel divanetto, a farmi scrutare come se fossi una specie rara, con gli occhi fissi sul tappeto.
Non mi interessava quale teoria avrebbe tirato fuori quella specie di dottore, non mi interessava cosa pensavano gli altri di me, non mi interessava niente.
Mi ero trascinata a scuola, tutti i giorni, senza guardare in faccia nessuno, senza rivolgermi a nessuno.
Un'insegnante mi aveva persino spedito dal Preside, davanti al rifiuto di rispondere alla sua domanda, ma non aveva ottenuto alcun risultato.
Charlotte era venuta a trovarmi spesso, nei pomeriggi, ma si era arresa presto.
La vidi entrare nella stanza e strapparmi con violenza la foto dalle mani.
Mi fissò con le lacrime agli occhi, era esasperata ed io avrei voluto fare qualcosa per sollevarla, ma non potevo.
-Adesso basta, sono stufa di vederti così...- disse cercando i miei occhi -E guardami quando ti parlo!
Alzai gli occhi su di lei e la fissai, senza saper bene dove guardare.
-Cosa devo fare? Dimmi cosa devo fare!
Esclamò prendendomi per le spalle.
Mi feriva vederla così disperata a causa mia, sapevo di essere una pessima figlia in quel momento, ma avevo deciso che non mi interessava più di niente e di nessuno. Perché dovevo far qualcosa per compiacere gli altri quando gli altri non avrebbero mai fatto nulla per compiacere me?
Non era mai contato quello che volevo io, non avrebbe mai contato.
Lasciò la stanza in preda al pianto ed io riabbassai gli occhi in terra, cercando di visualizzare nella mia mente il volto sorridente di lei.
Mi piaceva crogiolarmi nel mio dolore, a dirla tutta. Mi faceva sentire viva.
Sentire qualcosa era la prova che la mia anima c'era ancora, che il cuore batteva ancora, che le lacrime potevano ancora cadere sul mio viso.
Era strano vedere la vita andare avanti comunque, attorno a me, lasciandomi indietro.
Quando era morto mio padre mi ero ritrovata nello stesso stato, ma sapevo di non essere sola in quel dolore, in quella sensazione di vuoto che mi riempiva lo stomaco.
In quel momento invece ero sola, relegata nel mio mondo che procedeva a rallentatore.
Lotte se n'era andata, a causa mia, ed io non avevo fatto praticamente nulla per fermarla; mi ero arresa, non ero riuscita a salvare il nostro rapporto esattamente come non ero riuscita a salvare mio padre, a trattenerlo dalla partenza.
Lei aveva risvegliato tutto, da capo.
Persino mentre posavo i fiori sulla tomba di lui pensavo a lei, al nostro primo incontro, alle prime parole che mi aveva rivolto.
Non c'era posto che non mi ricordasse lei, noi, le mie colpe, il suo abbandono.
Una mano prese improvvisamente le mie e le strinse, con forza. Non l'avevo sentito entrare, non l'avevo sentito salire le scale o suonare alla porta di casa.
Mi chiesi se avesse anche assistito alla scena con mia madre e mi sorpresi nel constatare che non ne avevo idea.
-Alzati.
Disse cercando invano il mio sguardo.
Avrei voluto chiedere “perché?” ma tacqui fissando con angoscia le trame del tappeto ai miei piedi.
-E' ora di finirla, sono nove giorni che non dici una parola, che non fai assolutamente niente. Tu sei viva, Kaja. Mi hai capito? Sei v i v a.
Mi scappò un sorriso sarcastico; aveva ragione, ero viva, ma questo non cambiava assolutamente niente.
Mi prese il mento fra le dita e lo alzò a forza fino a quando i miei occhi furono costretti ad incastrarsi nei suoi; era serio, sembrava stanco, era arrabbiato e teso.
-Parlami.
Distolsi lo sguardo alzandolo verso il soffitto, l'unica cosa priva di vita su cui potevo puntare lo sguardo in quella posizione, e mi lasciai sfuggire una lacrima.
Lui la asciugò prontamente con un pollice e mi lasciò andare il viso. 
Si stava arrendendo, come Charlotte, come mia madre. Ed era quello che volevo: tutti dovevano arrendersi con me, sarebbe successo in ogni caso, perché non accelerare il processo?
Quella era la giustificazione che mi davo ma in realtà avevo bisogno che qualcuno continuasse a credere in me, che non si arrendesse neanche davanti alla mia ostinazione.
Ma lui si alzò e si allontanò verso la porta.
Poi la mia mano si mosse veloce e fece presa sul suo polso, bloccandolo prima che fosse troppo lontano, irraggiungibile.
-Perché sei qui?- chiesi in un sussurro.
-Perché ti voglio bene- rispose prontamente lui sedendosi accanto a me.
Risi sarcastica e spostai gli occhi su di lui.
-Lotte se n'è andata perché io amo ancora Charlotte.
Aggrottò le sopracciglia osservandomi per qualche istante, in silenzio.
-Pensi che questo possa farmi smettere di essere tuo amico?- chiese, confuso.
-Perché, non è già successo?
Mi guardò interdetto per un secondo prima di accogliermi fra le sue braccia.
-E' un errore che non intendo commettere di nuovo. - sussurrò stringendomi con più forza.
Era il primo abbraccio che ricevevo in quei nove giorni, l'unico che avevo aspettato e desiderato.
Lo strinsi a me con forza e mi lasciai andare a un pianto dirotto senza controllo.
Provai a parlare più di una volta ma lui mi zittì sempre, lui sapeva cos'era successo, l'aveva capito guardandomi, stringendomi a sé.
Così Noah divenne l'unica persona con cui parlavo sulla faccia della terra, l'unico che riusciva a costringermi a mettere insieme una frase di senso compiuto.
Non sapevo neanche io perché avessi scelto proprio lui, che comunque mi aveva lasciata andare più di una volta, ma era l'unico che sentivo in grado di capirmi.
Spesso se ne stava accanto a me, con la mano nella mia, a fissare il nulla in completo silenzio. Sapeva che era quello di cui avevo bisogno, sapeva che era la sua presenza a rendere tutto più facile.
Il mondo continuava ad andare avanti comunque, ma almeno per qualche ora al giorno avevo l'impressione che si fermasse per aspettarmi. Era lui a far fermare tutto, ad aspettarmi per quando sarei stata pronta.
Iniziai a perdere il conto dei giorni che passavano e quando mi decisi a porre fine a tutto quel silenzio anche con gli altri era passato già un mese da quella notte.
-Lo sai che tra dieci giorni è il mio compleanno, vero?- mi chiese un giorno spostando gli occhi su di me.
Sorrisi guardando il soffitto, stretta fra le sue braccia, ed annuii senza troppo entusiasmo.
-Ho intenzione di portarti fuori, quel giorno.
Spostai lo sguardo su di lui, confusa, e poi risi.
-Ma non dovrei essere io a farti un regalo?
-Il regalo me lo farai venendo con me e Charlie.
-Dove?
-E' un segreto!- disse sfiorandomi il naso con un dito, ridacchiando.
A Noah piacevano le sorprese, gli piaceva organizzarle, godersi lo sguardo stupefatto delle persone.
Acconsentii senza pensarci troppo, dopotutto glielo dovevo.
Quel giorno decisi di rompere il mio silenzio.
Faceva meno male, l'assenza di Lotte. Era difficile da accettare che avessi sbagliato, che l'avessi fatta scappare, ma sapevo che il mio dolore non l'avrebbe certo riportata indietro.
In quel mese di silenzio avevo capito molto: credevo di amare Charlotte perché lei era la mia sicurezza. Amare Charlie era facile da fare, non mi sarei mai aspettata niente in cambio, sapevo che sarebbe sempre stato unilaterale, che non avrebbe mai avuto senso combattere per averla. Lotte invece andava conquistata, giorno dopo giorno. Lei era una sfida che non ero stata pronta a cogliere.
Contrariamente a quanto avessi pensato negli ultimi tempi io non amavo Charlotte, non più come prima.
Avevo avuto paura di dirlo a me stessa, di dirlo ad alta voce. Ma era vero.
L'avevo baciata per liberarmi da quel sentimento, per dargli una concretezza che aveva perso da un po'.
Nonostante fossi pronta a lasciar andare i miei sentimenti per lei, non ero certo pronta a quello che successe dieci giorni dopo, il 23 marzo 2012.

_nota dell'autrice:
Mi rendo conto che pubblico una volta ogni morte di Papa, ma non ho molto tempo per dedicarmi alla scrittura, onestamente.
Il capitolo è abbastanza breve, diciamo che l'ho tagliato di proposito perché al prossimo vorrei dedicare più attenzione, visto che è uno dei più importanti.
Ci tengo molto a questo capitolo perché si vede molto di me, in realtà. 
Ogni persona quando scrive lascia un po' di sè nelle righe, e Kaja è un po' come me, specialmente in questo capitolo. Chi vuole cogliere, colga xD
Il titolo del capitolo si riferisce alle ultime frasi. "Un silenzio che parla" o meglio rivelatore, in questo caso.
Ci tengo a precisare che non è che l'amore di Kaja per Charlie sia evaporato, c'è ancora, ma è molto più sottile. Charlie è la sua certezza, è l'unico metro di paragone che ha. E' una scusa per non perdersi in altri rapporti che potrebbero finire male.
E' molto importante questa cosa per il prossimo capitolo. I confini secondo me sono sempre molto sottili, fra giusto e sbagliato, fra affetto e amore ecc.
E' questo il senso della storia. Non esiste bianco e nero, c'è il GRIGIO in mezzo.
Questa è una storia grigia, fatta di sfumature in cui volevo trattare l'amore in tutti i suoi ambiti, etero o omosessuale che fosse. L'amore per me non ha confini, è puro comunque. E poi capirete cosa intendo.
PS: quasi mi dimenticavo, potete trovarmi su Facebook nel mio bucicattolo I'm a renegade, it's in my blood
Mi dileguo,
Bea

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Capitolo 32
*** 31. Hanging by a thread ***


 
Le sue mani mi sfiorarono il viso, si insinuarono dietro la nuca, una catturò i miei capelli, l'altra sfiorò il collo, delicatamente.
Sospirai chiudendo gli occhi lasciando che esplorasse il mio corpo per la prima volta. Sentivo i suoi occhi su di me, incollati su ogni lembo della pelle che incontravano sotto il loro retaggio, sentivo il suo respiro accelerato, il suo corpo sopra il mio.
Le sue labbra si poggiarono sul mio collo, poi nell'incavo fra esso e la spalla, poi risalirono lentamente fino a catturarmi le labbra. Riaprii gli occhi per guardarlo e mi persi nel suo sguardo serio, nel suo sorriso furbo, nei suoi occhi blu come il mare. 
“Noah” sussurrai, guardandolo quasi con stupore.
Lui sorrise e mi strinse a sé ancora una volta come fossi sua, come se fossi la sua unica ragione di vita.
Sentii il fiato mancarmi, il cuore accelerare, percepii distintamente il sudore imperlarmi la fronte ed aprii gli occhi, sobbalzando sul letto.
Gli occhi si ritrovarono a fissare il solito soffitto bianco e capii che era solo un sogno, l'ennesimo sogno.
-Hey- sussurrò una voce al mio fianco.
Quasi saltai giù dal letto dallo spavento quando voltandomi lo vidi accanto a me, con la testa poggiata sul cuscino.
Poi mi ricordai che si era fermato per la notte, che mi aveva stretta a sé fino a quando non mi ero addormentata, che mi aveva sussurrato parole dolci all'orecchio, cullandomi come avrebbe fatto con un bambino.
-Hey- risposi io sforzandomi di sorridere.
-Brutto sogno?
Lo guardai perplessa per un secondo e poi scossi la testa.
-No, in realtà no...
Lui aggrottò leggermente le sopracciglia, pensieroso, prima di attirarmi a sé, delicatamente.
-Perché non me lo racconti?- mi chiese scansandomi i capelli dal viso.
Sentii il calore invadermi le guance e abbassai immediatamente lo sguardo, quasi avessi paura che potesse leggermi negli occhi le immagini che avevo sognato.
Mi attrasse ancora di più a sé e mi ritrovai appoggiata al suo petto, con un orecchio poggiato sul pettorale, all'altezza del cuore.
Potevo sentire distintamente il battito calmo del suo cuore e per chissà quale assurdo motivo quello era un rumore che mi calmava, che mi faceva sentire in pace con me stessa.
-Non sono molto sicura di aver capito cos'ho sognato esattamente- sussurrai chiudendo gli occhi.
Lo sentii sorridere e percepii i suoi occhi sulla nuca. Era assurdo come riuscissi sempre a sentire il suo sguardo su di me, come riuscissi a percepirlo anche quando non potevo vederlo.
Mi sembrava magnetico, una calamita che attirava anche i miei, di occhi.
-Non mi fissare!
-Come sai che lo sto facendo?- chiese lui ridendo mentre mi intrappolava fra le sue braccia, per non farmi scappare.
-Lo so e basta!- esclamai cercando di divincolarmi per poterlo guardare a mia volta.
Mi lasciò finalmente andare e quando mi voltai mi sorpresi nel trovarmi il suo viso così vicino al mio, ad un soffio.
Immediatamente rividi il sogno davanti ai miei occhi e sentii il cuore perdere un colpo. 
Mi alzai improvvisamente, senza aggiungere niente, e finsi di mettere a posto la stanza, cosa che facevo molto di rado.
-Ma che hai stamattina?
-Niente, è che questa camera sembra sempre più un porcile.
Mi voltai per guardarlo e lo sorpresi a mordersi il labbro inferiore, pensieroso.
Non era la prima volta che sognavo una cosa del genere, non era la prima volta che la sua vicinanza mi imbarazzava, non era la prima volta che mi sembravano equivoci tutti i suoi gesti.
Avevo paura: paura di dare un nome a quello che sentivo, a quello che forse sentiva lui, a quello che stava succedendo fra noi. 
Perché era chiaro e palese che qualcosa era cambiato. Io lo sapevo, ed avevo una paura del cavolo di finire scottata.
Così mentivo a me stessa, a lui, e a tutti gli altri, come avevo sempre fatto, ignara che presto mi sarei ritrovata ad affrontare comunque la verità.
 
My confusion shows whenever you get so close
I stumble, I stutter, forget what to say
I'm nervous, I wonder why I'm acting this way
 
Quando le persone parlano di felicità eterna mi viene da ridere, perché non esiste nulla che possa durare per sempre.
Nessuno nella propria vita avrà solo momenti felici o solo momenti tristi.
Se c'è una cosa che ho imparato presto è questa: la vita è un po' come un elettrocardiogramma: alterna picchi di gioia con picchi di dolore, e tutto dura un'istante, anche se sembra eterno.
Io, in quel momento, mi ritrovavo in una fase di stallo, a metà, pronta a salire o a precipitare.
Alla fine era arrivato il compleanno di Noah e continuava a sembrarmi assurdo che fosse lui ad aver organizzato una sorpresa a me.
Nonostante mi fidassi di lui, avevo un certo timore per quella giornata, per quello che poteva aver organizzato, per quello che sarebbe potuto succedere.
Avevo deciso di partire comunque, nonostante tutte le mie paure, perché credevo anche di doverglielo, dopo tutto quello che aveva fatto per me.
Per questo non avevo detto niente, quella mattina, riguardo al mio stato di salute.
Erano ormai due giorni che la febbre mi tormentava, ma sapevo che se glielo avessi detto tutto sarebbe stato cancellato, e l'ultima cosa che volevo era rovinare quella giornata.
Così, quella mattina del 23 marzo, uscii di casa stretta in un cappotto e raggiunsi la fermata dell'autobus a pochi passi da casa mia.
Quando arrivai li trovai entrambi ad attendermi, seduti sulla panchina riparata, intenti a chiacchierare di chissà cosa.
Per un secondo mi sembrò di rivivere le emozioni di quella, ormai lontana, mattina in cui ero andata fuori città con Noah. In realtà mi chiesi se non fosse proprio lì che aveva deciso di portarmi nuovamente, aggiungendo questa volta la presenza di Charlie.
Spostai lo sguardo in terra e notai due valige stracolme accanto ai piedi di Charlotte. Nonostante la premessa fosse che saremmo stati via solo per un giorno, lei si era portata dietro una quantità esagerata di cose nascondendosi dietro la scusa che, non sapendo che tempo ci fosse nel luogo ignoto, non potesse sapere cosa portare oppure no.
Noah a differenza sua invece aveva condensato tutto in un comunissimo zaino da campeggio.
Io, dal canto mio, avevo buttato in valigia cose alla rinfusa, un po' a caso, memore della precedente “gita” fuori porta.
-AUGURI!- urlai, lasciando il mio trolley in mezzo strada, correndo incontro a Noah.
Lui rise divertito e mi accolse fra le sue braccia.
-Grazie.
Mi sentii avvampare sulle guance ma feci finta di niente e mi staccai da lui, rivolgendo la mia attenzione a Charlotte.
Passò un quarto d'ora prima che si fermasse l'autobus ed io passai tutto quel tempo a fissare, alternativamente, Charlie e le mie scarpe.
Non riuscivo più ad alzare gli occhi su Noah senza pensare a quello stupidissimo sogno, a come mi aveva fatto sentire.
Era difficile ammettere che qualcosa dentro di me si stava muovendo e che il sogno in realtà non c'entrasse niente.
Salii sull'autobus con l'ansia che mi comprimeva lo stomaco, facendomi salire la nausea, pronta ad un viaggio lunghissimo.
Quando invece ci fermammo, circa mezz'ora dopo, e vidi Noah avviarsi verso l'uscita, mi stupii. 
Eravamo incredibilmente vicino e mi sembrò assurdo che non avessi riconosciuto subito la strada per il MediaPark.
-Ma... è questo il posto?- chiesi guardandomi attorno, sbalordita.
-Perché, non ti piace?
Alzai lo sguardo su di lui, per un nano secondo, e poi sorrisi scuotendo la testa.
-Certo che mi piace, lo adoro! Solo che non c'era bisogno di mantenere il mistero al riguardo!
-Cioè, io mi sono portata due valigie per cosa?- chiese a sua volta Charlotte alzando gli occhi al cielo.
-Non vi ho mai detto di portarvi dietro l'armadio di casa- rispose quasi seccato lui, avviandosi verso l'entrata del parco.
Scossi la testa e lo seguii silenziosamente verso l'interno del parco.
Mio padre mi aveva portato spesso in quel posto magico. Non era nulla di strano, in realtà.
Era un comunissimo parco con un bel lago da ammirare.
Eppure a me era sempre sembrato magico, intriso di calma e pace. Quel posto significava che lui sarebbe rimasto, per un po', che sarebbe stato con me.
Quel parco simboleggiava, nella mia infanzia, il ritorno di mio padre, la gioia di averlo accanto.
Non c'ero più entrata da quando lui era deceduto ed entrarci quel giorno mi scosse molto, forse più di quanto avrei immaginato.
Riconoscevo ogni singolo angolo di quel posto e ad ognuno di esso associavo un ricordo, anche se piccolo, quasi insignificante a pensarci.
Poi c'era il nostro posto speciale, quello in cui racchiudevo davvero un miliardo di ricordi, tutti felici, tutti dannatamente importanti.
Sentii i miei piedi quasi muoversi spontaneamente verso quella direzione ma mi bloccai all'istante, notando che Charlie e Noah avevano deciso di fermarsi poco dopo l'entrata, proprio sulla riva del lago.
Ritornai su i miei passi e mi sedei in terra, sul telo che Noah aveva già prontamente tirato fuori dal suo zaino.
-Sei un fan del pic-nic, su questo non ci sono dubbi!- dissi ridendo.
Lui mi fissò per qualche secondo, incerto su cosa rispondermi, e poi sorrise, spostando gli occhi sul suo zaino.
Non riuscii a capire quella reazione ad una frase tanto semplice, ma decisi di non pensarci troppo.
-Non azzardatevi a cantarmi “tanti auguri a te”- disse poco dopo, con una punta di minaccia.
-Ma perché?!- protestò immediatamente Charlie mettendo su un finto broncio.
-Perché è il mio compleanno e decido io!- rispose lui sdraiandosi, senza troppe cerimonie, in terra.
-E va bene...- acconsentì Char ed io mi attenni alla sua decisione.
-E' tempo di regali!- dissi, qualche minuto dopo, aprendo la mia valigia alla ricerca del pacchetto che avevo fatto io, con tanta fatica.
Incartare pacchi regalo non era mai stata una mia specialità, era un processo che richiedeva molta attenzione e precisione. Tutto quello che io non avevo.
Ero maldestra e soprattutto senza pazienza per poter essere precisa.
Ma quella volta avevo fatto uno sforzo colossale ed il risultato era abbastanza buono.
Allungai il piccolo pacchetto nella sua direzione e abbozzai un sorriso.
Una cosa che non ho mai sopportato dei regali è l'ansia da prestazione. La paura di aver scelto qualcosa di inadatto, che non possa piacere.
E' stupida in realtà, la tradizione dei regali, perché si finisce sempre con il ricevere cose che non piacciono o che non servono. Tutto perché non si vuole aiutare le persone a scegliere qualcosa di adatto.
Vederlo scartare quel pacchetto mi faceva mancare il fiato. Non era la prima volta che gli regalavo qualcosa, ma era sicuramente la prima volta che lo facevo con un sentimento diverso nel cuore, con una consapevolezza diversa.
-Spero ti piaccia- sussurrai, incredibilmente imbarazzata.
Avevo optato, dopo lungo peregrinare, per un profumo. Più precisamente per “Dior Homme Sport”.
Era l'unico profumo che mi aveva catturato, dentro la profumeria, era stato un po' quella fragranza a scegliere me.
Avevo regalato altre volte dei profumi, ma mi sembrava, ora come ora, una regalo intimo, un simbolo.
Era come regalargli un pezzo di me stessa, un pezzo che poteva essere spruzzato sulla sua pelle e trascinato per la città. Volevo che lui mi portasse con sé, che pensasse a me.
Quella constatazione mi bloccò il respiro per un attimo e fui costretta a distogliere lo sguardo, cercando di dare un freno ai miei pensieri.
Nel frattempo lui lo aveva scartato ed anche spruzzato sul polso, per sentirne l'odore.
-E' buonissimo, grazie- disse poco dopo avvicinandosi di soppiatto per lasciarmi un bacio sulla guancia.
Non so se arrossii, ma sentii il volto andarmi in fiamme e cercai in tutti i modi di nascondere l'imbarazzo, probabilmente rendendolo ancora più evidente.
Ero talmente concentrata sull'apparire perfettamente a mio agio che non vidi neanche il regalo che gli aveva fatto Charlie.
Mi resi conto che il momento era finito quando mi girai verso di loro e li trovai stretti, l'uno nell'altra, sorridenti e quasi dimentichi della mia presenza.
Una morsa mi attanagliò lo stomaco e fu strano il moto di amarezza che mi invase dovuto da quel gesto. Perché sapevo benissimo che a darmi fastidio non erano le braccia di lei attorno al corpo di lui, ma il contrario.
Fu in quel momento che mi resi conto quanto potesse essere sottile il confine fra le cose, quanto le etichette potessero comprimere una persona, costringerla dentro una definizione.
Agli occhi di chi mi conosceva io ero classificata sotto la dicitura “omosessuale”. Eppure ora guardavo Noah ed il mio stomaco si attorcigliava per lui.
Si possono amare le persone e non il sesso che portano con sé?
E' una domanda a cui non credo che troverò mai risposta.
Resistetti per circa dieci minuti, intenta ad ascoltare i loro discorsi, ad accennare qualche risposta ogni tanto, e poi mi alzai con una scusa molto banale: chiamare mia madre.
Presi il telefono e feci finta di chiamare, allontanandomi distrattamente, pensierosa.
Mi stupii quando mi ritrovai sotto l'albero che io e mi padre usavamo come riparo, nelle giornate di sole.
Sorrisi e decisi di sedermi a terra, poggiando la schiena su quella corteccia su cui avevamo intagliato sopra, anni prima, la frase “uns, für immer ” (noi, per sempre).
Mi voltai alla ricerca di quelle poche parole e quando le trovai, poco sopra la mia testa, le sfiorai con i polpastrelli lasciando che una lacrima mi scendesse sul viso.
Nulla dura in eterno, tranne l'amore tra un genitore ed un figlio. E' l'unica cosa che sopravvive anche alla morte.
Mi asciugai velocemente le lacrime e mi rialzai velocemente, per allontanarmi da quel posto prima che iniziassi a piangere senza controllo.
Dopotutto Noah compiva diciotto anni quel giorno, era una tappa importante, ed io non avevo alcuna intenzione di rovinargli la giornata con i miei soliti drammi interiori.
Mi ero alzata di corsa, pronta a scappare da quel posto, quando iniziò a girarmi la testa.
Forse mi ero alzata troppo velocemente, forse era tornata la febbre, forse era colpa di entrambe, ma riuscii ad arrancare solo qualche passo prima di ritrovarmi stesa per terra, con la faccia immersa nell'acqua del lago.
Non sentii il freddo dell'acqua pungermi il viso, non sentii l'attrito del terreno, non sentii assolutamente nulla.
 
 
-Quanto ci mette Kaja a parlare con sua madre?- chiese improvvisamente staccandosi da lei.
Charlotte si guardò attorno e constatò che non c'era traccia, per quanto potesse vedere, di Kaja.
-Ma dov'è?- chiese alzandosi a sedere contrariata.
Si era totalmente persa fra le braccia di lui tanto da non rendersi conto del tempo che passava, dell'assenza prolungata dell'amica.
-Dovrebbe già essere qui...- sussurrò decidendosi finalmente ad alzarsi.
Noah iniziò subito a perlustrare la zona circostante, chiamando il suo nome a gran voce.
Vedeva l'ansia crescere in lui, la paura prendere possesso del suo viso.
Lui era sempre stato il più calmo fra loro due, era sempre lui a tranquillizzare lei e vederlo così sconvolto l'agitò immensamente.
Dopo tutto poteva semplicemente essersi allontanata, perché agitarsi tanto?
Eppure sembrava come se lui sapesse che non fosse normale, che doveva esserle successo qualcosa.
Piano piano iniziarono ad allontanarsi anche loro, alla ricerca della loro amica. Decisero persino di dividersi, per trovarla prima.
E quando lui gridò il suo nome, lei trasalì e seppe che era successo qualcosa.
La vide in terra, col viso immerso nell'acqua, ed il suo cuore mancò un colpo.
La riconobbe subito, da lontano. Era come se l'avesse chiamato, se l'avesse condotto da lei.
Si ritrovò a correre nella sua direzione, ad urlare il suo nome.
La raggiunse subito, la voltò verso di sé e si sentì mancare vedendo il suo volto bianco, quasi senza vita.
Le mani iniziarono a tremargli mentre cercava disperatamente di sentire il suo polso battere contro le dita. Premette con forza, e lo sentì, più debole di quanto volesse.
Era viva, c'era ancora.
Le accarezzò il viso chiamando il suo nome, ma lei sembrava non sentirlo, sembrava scivolare via fra le sue mani.
Fu allora che prese coraggio e si piegò su di lei, poggiò le labbra sulle sue e soffiò con forza, cercando di farla respirare.
Non si sarebbe arreso, non poteva permettere che lei se ne andasse così.
Iniziò a operarle il massaggio cardiaco con disperazione crescente, continuando a chiamare il suo nome, sperando che reagisse.
-Ti prego, non puoi andartene, ti prego...- iniziò a ripetere non curante delle lacrime che gli bagnavano il viso.
Si piegò nuovamente su di lei e respirò con forza fra le sue labbra, gonfiandole i polmoni.
 
What just happened?
Did you kiss me?
Cause that's a place we've never been until now
And I don't know how it's gonna be after this
Do we pretend these feelings don't exist at all
Or do we fall?
 
 
La voce di Noah mi invase improvvisamente le orecchie, lo sentii ripetere le stesse parole, come un mantra.
Cercai di prendere aria ma qualcosa sembrava ostacolarmi il respiro, fu mentre ebbi l'istinto di tossire che sentii delle labbra toccare le mie, l'aria invadermi la gola e precipitare lungo i polmoni.
Aprii gli occhi e lo vidi, sopra di me, con le labbra incollate alle mie.
Iniziai a tossire poco dopo, tirandomi su d'istinto.
-Grazie al cielo, stai bene- sussurrò lui stringendomi subito fra le sue braccia, singhiozzando sulla mia spalla.
-Credevo di averti persa.
Io non riuscii a fare altro che stringerlo a me di conseguenza, tentando di rassicurarlo.
Non avevo idea di cosa fosse successo, ma di una cosa ero certa: le sue labbra avevano toccato le mie e mi ero sentita proprio come in quel sogno.
Era reale, e faceva paura.
-Sono riuscita a rovinare anche questa giornata- sussurrai con la voce arrochita.
-Tu non hai rovinato niente- rispose immediatamente lui stringendomi ancora di più.
Lo sentivo aggrapparsi a me, con il terrore che potessi scivolargli fra le dita da un momento all'altro.
Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalle sue braccia, sperando che quel momento non finisse mai.
 
Let you go but I still don't know
How I feel about you
What this really means
It's crazy to want you
Is it meant to be?
Oh, what you do to me?
What comes over me, oh?
If this is crazy there's nothing I'd rather be.
 
_nota dell'autrice:
Eccoci qua, finalmente <3
La canzone da cui sono tratte le citazioni la trovate nel titolo (grazie Sist per avermi procurato il link <3).
Beh, questo capitolo risponde ad una miriade di domande ed apre molte questioni, uaahahh.
Siamo arrivato alla fase centralle della storia, la più importante. Quindi non manca tantissimo alla fine della storia :'(
Che poi ieri ho ufficilamente deciso il finale della storia -perché nel frattempo è cambiato molto XD-
Boh, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate <3
Ah, la frase in tedesco non so se sia corretta grammaticalmente... io e il tedesco siamo due mondi separati (anche se lo adoro), quindi è tutta farina del sacco di Google XD
Stessa cosa per il MedaPark, Goggle Maps mi ha individuato questo lago, vicino Koln, e mi ha dato un percorso di circa venti minuti. Se non esiste nulla di tutto ciò mi dispiaccio ma non ho la possibilità di andare in Germania a controllare X°D
Al prossimo capitolo,
Bea

 

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Capitolo 33
*** 32. Music is the reason why I know time still exists ***


32. Music is the reason why I know time still exists
 
-Perché diavolo non mi hai detto che stavi male?- chiese serio scrutandomi dall'altro lato della stanza.
Mi strinsi nelle spalle non sapendo cosa dirgli esattamente. Sapevo come avrebbe reagito, non importava affatto la scusa che sarei riuscita a trovare.
-Volevo solo che fosse una bella giornata... ci tenevi tanto ad andare fuori e sapevo che non saremmo partiti se ti avessi detto della febbre...
-E a ragione! Per poco non affogavi!- si staccò dal muro e mi raggiunse, vicino al letto.
-Scusa- sussurrai abbassando gli occhi a terra, incapace di guardarlo ancora in quegli occhi, in quegli assurdi occhi, profondi come pozzi.
Tentennò per qualche secondo e poi si sedette sul letto, attirandomi a sé.
Sentii le sue labbra premere sulla mia nuca e le sue braccia cingermi delicatamente, quasi avesse paura che potessi sgretolarmi sotto il suo tocco.
-L'importante è che stai bene...- sussurrò prima di sospirare -Mi hai fatto veramente impaurire-
-Scusa- dissi ancora tentando di cacciare indietro le lacrime di amarezza che premevano per precipitarmi sul viso.
-Basta scusarsi- rispose lui sorridendo leggermente.
-Non volevo che finisse così la tua giornata... non volevo rovinare tutto ancora una volta.
-Tu non hai rovinato niente.- rispose lui, facendosi improvvisamente serio.
Io rimasi in silenzio cercando di trovare qualcosa di intelligente da dire, ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era il senso di colpa e le sue labbra sulle mie.
-Che c'è?- chiese dopo un po', cercando il mio sguardo, pur tenendomi fra le sue braccia.
-E' solo che... mi sembra di aver causato continuamente problemi. Non c'è mai stato un momento tranquillo nella tua vita da quando io sono entrata a farne parte...
Non ho idea da dove mi uscirono quelle parole, con quale coraggio riusci ad aprirmi così tanto con lui, ma mi ritrovai così ad avergli aperto il mio cuore.
-Non dire stupidaggini!- disse improvvisamente lasciandomi andare.
I suoi occhi si posarono seri nei miei e sentii il volto avvampare e scaldarsi, come davanti ad un fuoco scoppiettante.
Mi prese il mento fra le dita e mi costrinse ad incontrare i suoi occhi.
-Tu non hai causato nessun problema, chiaro? E per quanto mi riguarda mi sento molto più felice da quando ho incontrato te- abbassò leggermente la testa, per ritrovarsi alla mia altezza.
Trattenni il fiato, incapace di ricordare persino il meccanismo dell'inspirazione e dell'espirazione, e mi persi in quegli occhi che mi squadravano.
-... e Charlie- aggiunse poco dopo, distogliendo lo sguardo.
Il mio cuore perse un colpo e l'amaro mi salì in bocca sentendo pronunciare il suo nome.
In ogni caso il mio cuore sembrava dipendere da i sentimenti di Charlie verso Noah e viceversa.
Non riuscivo a credere possibile che di tante persone dovessi essermi invaghita proprio di lui.
Perché il mio cuore doveva essersi legato ad una persona che, come Charlie, non avrebbe mai ricambiato i miei sentimenti, snobbando una persona come Lotte?
Abbassai lentamente gli occhi in terra ed annuii lentamente.
 
Sfiorai delicatamente la sua superficie lucida, incerta se prenderla fra le mani o meno.
Avevo ancora paura di tornare a suonare, di utilizzare la mia voce per cantare e non per parlare.
Avevo smesso quando mio padre era morto e da allora non avevo più toccato neanche uno strumento musicale.
Da quando mia madre aveva deciso di regalarmi la bellissima Gibson ero tornata a strimpellare, occasionalmente. Sentivo sempre il bisogno di sfogare tutti i miei sentimenti su quelle corde, ma qualcosa mi impediva ancora di farlo.
Quel giorno decisi di provarci per l'ennesima volta a vincere la mia assurda ed insensata paura.
La imbracciai ancora tentennante e con mano incerta iniziai a pigiare le corde, componendo accordi un po' a caso.
Mi ritrovai a suonare una delle prime canzoni che avevo imparato con mio padre, una melodia che aveva composto lui stesso.
Era sempre così, mi ritrovavo sempre a pensare a lui, al tempo passato a suonare assieme, ai progressi che avevo fatto quando lui non c'era proprio per stupirlo al suo ritorno. Le sere passate a ferirmi i polpastrelli solo per impressionarlo e vedere il sorriso comparire sul suo viso.
-E' molto bella...
Saltai sul posto e mi girai improvvisamente verso la porta della stanza e lo vidi, Noah, poggiato sullo stipite della porta.
-Da quanto sei lì?- chiesi posando immediatamente la chitarra.
-Da poco... perché hai smesso? Mi piacerebbe ascoltarti...-
-Non posso- sussurrai al limite dell'imbarazzo.
-Ti vergogni di me?- chiese sorpreso ridacchiando.
-No... io non... non suono più.
-Non mi sembra, stavi suonando adesso.
Alzai gli occhi su di lui incapace di dire qualcosa di sensato e quando mi ritrovai a fissare i suoi occhi blu, crollai.
Mi sentivo incredibilmente stupida a piangere così, senza senso, davanti a lui, lui che mi aveva chiesto solo di suonare una stupida canzone.
Mi ritrovai fra le sue braccia, come era successo un milione di altre volte, incapace di spiegargli quella reazione.
Provavo a parlare ma non riuscivo a produrre una frase che avesse senso, ma sapevo che lui aveva capito. Lui sapeva, sapeva sempre tutto.
-Non avrei dovuto chiedertelo- sussurrò accarezzandomi la nuca.
Scossi la testa lentamente stringendolo più forte a me.
-Dovrei superarlo- sussurrai lasciandolo andare per asciugarmi il viso.
-Vuoi provare a suonare qualcosa per me?- chiese titubante, con la sua solita incredibile dolcezza.
Annuii debolmente e presi nuovamente la chitarra fra le mani. Iniziai a suonare come avevo fatto poco prima, andando a caso, lasciandomi trasportare dalla melodia.
Era strano suonare di nuovo davanti a qualcun altro eppure avevo l'impressione che lui capisse, riuscisse ad intendere tutto quello che c'era dietro quei semplici quattro accordi.
Riuscii a guardarlo soltanto quando ebbi finito e ad accogliermi trovai il suo sorriso ammirato.
-E' davvero bella... e lo sei anche tu, quando non pensi a nient'altro che alla melodia.
Sentii il cuore mancare un colpo e sussurrai un “grazie” molto imbarazzato.
-Tua madre mi ha detto che cantavi anche...- aggiunse sedendosi sul mio letto.
Era una richiesta molto esplicita di cantare per lui.
-Sì... ma non sono molto brava- risposi stringendomi nelle spalle.
-Perché non lasci che sia io a deciderlo?
Scossi la testa avvicinandomi lentamente a lui.
-Mi vergogno...- sussurrai sentendomi per l'ennesima volta una stupida.
-Di me? Ti ho già detto che non dovresti...- mi prese una mano nella sua e mi attirò a sé, per farmi sedere sulle sue ginocchia – Non mangio mica- aggiunse ridendo.
Abbassai gli occhi su di lui e mi ritrovai a fissare le sue labbra con la dannata voglia di farle mie.
Distolsi lo sguardo e mi costrinsi a pensare a qualcos'altro.
La voce uscì all'improvviso dalle mie labbra e mi sembrò quella di un'estranea.
(Broken Wings - Flyleaf)
-Thank you for being, such a friend to me,
Oh I pray a friend for life,
And I have ever told you, how much you mean to me?
Oh, yuo mean so much to me.
I'm thinking all the time, how to tell you what I feel,
I'm contamplating phrases
I'm gazing at eternity
I am floating in serenity
And I am so lost for words
And I am so overwhelmed -
Feci l'errore di spostare gli occhi su di lui, intento a fissarmi, come rapito.
La voce mi morì in gola mentre tentavo ancora di nascondere l'imbarazzo dietro un sorriso forzato.
Abbassai gli occhi e spostai il viso cercando di focalizzare l'attenzione su qualcos'altro, ma lui mi prese il viso fra le mani, costringendomi a guardarlo.
Lo vidi tentennare un poco, avvicinare il suo volto al mio.
Istintivamente mi avvicinai anche io e quasi chiusi gli occhi aspettandomi un suo bacio. Ma ciò che ottenni furono solo le sue labbra stampate su una guancia.
-Grazie- sussurrò quasi confuso -Hai una voce stupenda- aggiunse scansandomi i capelli dal viso.
-Grazie- risposi io, enormemente delusa.
-Dovresti sfruttare questo tuo talento.
Mi strinsi nelle spalle e mi alzai, non riuscendo più a sopportare l'estremo contatto fra noi.
-Un tempo facevo parte di una band...
-E ti hanno sostituita?
-No... non volevano continuare a suonare senza di me- risposi sorridendo al pensiero dei miei compagni che si disperavano all'idea che li avrei abbandonati.
-Allora forse dovresti chiamarli- rispose lui.
Per qualche strana ragione non riuscii a non annuire.
Improvvisamente tutte le scuse e le paure che avevo montato su in quell'anno sparirono, spazzate via da quelle parole.
E fu così che cominciò, il mio ritorno alla musica. L'unica cosa che non mi aveva mai abbandonata o tradita.
Charlotte era sempre stato il centro della mia vita, questo era vero, ma avevo sempre tenuto la musica a parte. Era qualcosa di me che lei non conosceva.
Non mi aveva mai vista suonare o cantare, era un mondo che riservavo per me stessa, la mia famiglia, ed i ragazzi della band.
Quando avevo smesso di suonare non li avevo più cercati, li avevo esclusi dalla mia vita perché così non sarebbero stati lì a ricordarmi a cosa stavo rinunciando.
Premere sul tasto “chiama” quella sera non fu affatto facile.
Rimasi a fissare lo schermo per un'ora, prima di decidermi a chiamarlo.
Era sempre stato il leader della band, Chaz, ed era anche la persona che si era più battuta per farmi restare.
-Kaja?
Avevo quasi dimenticato il suono della sua voce e mi fece sorridere sentirlo così stupito di quella chiamata.
-Hey...
-E' successo qualcosa di grave?- chiese subito, allarmato.
-No, no... è solo che tu e i ragazzi mi mancate...Mi manca suonare con voi...
-Vuoi dire che hai deciso di tornare?
Riuscivo a sentire la sua gioia persino al telefono e mi ritrovai a sorridere, di nuovo.
-Forse...- risposi dopo qualche secondo di silenzio.
-Oh mio Dio, gli altri stenteranno a crederci, davvero! Incontriamoci domani, al solito posto!
Acconsentii sentendomi improvvisamente trasportata indietro nel tempo, ad un periodo più felice.
La band mi aveva sempre aiutato a sentirmi meno sola, a sollevarmi nei momenti difficili.
Loro erano stati i miei primi amici all'infuori di Charlotte, i primi con cui ero riuscita ad essere un po' più me stessa.
E mi ero sentita una stupida un milione di volte per averli cacciati dalla mia vita.
 
Mi avvicinai lentamente al garage semi-aperto della casa di Chaz, e sorrisi sentendo i ragazzi che accordavano gli strumenti.
Mi erano mancate quelle giornate spensierate, chiusa là dentro con loro a canticchiare, a vivere una vita diversa dalla solita.
Alzai l'anta del garage e me li ritrovai tutti lì davanti, uguali a sempre, nei loro soliti vestiti, intenti a parlare e bisticciare.
-KAJA!- urlarono in coro correndomi incontro.
Mi ritrovai sommersa dalle loro effusioni, a stento riuscivo a respirare sotto le loro braccia.
-Ragazzi mi state soffocando!- dissi ridendo, cercando di uscire da quella trappola umana.
-Sei cambiata- constatò Bent scompigliandomi i capelli.
Mi strinsi nelle spalle ed annuii. Era vero, ero molto diversa dalla Kaja di prima, ero molto più consapevole di me stessa e degli altri, e avevo smesso di nascondermi dietro una ragazzina che non ero.
Le insicurezze c'erano ancora tutte ma non mi importava più come prima che gli altri le vedessero o meno.
-Allora, sei pronta a tornare ufficialmente nei Silent-Fieber?!-
Annuii e fui sommersa di nuovo sotto le loro braccia, neanche avessimo vinto un milione di euro.
Eravamo una piccola band di cover ed io ero l'unica ragazza.
Chaz, il leader, era la chitarra fissa oltre che corista e, eventuale, voce. Bent era il mago della batteria, non avevo mai visto nessuno muovere tanto velocemente le bacchette. Dale invece era designato al basso. Io ero la voce principale e mi giostravo tra seconda chitarra e tastiere.
Mi sembrava strano tornare davanti a un microfono, con loro che si muovevano in sincrono attorno a me. Eppure era bello, dannatamente bello.
Prima di iniziare a provare sul serio ci perdemmo in chiacchiere e aggiornamenti di stato.
Non era cambiato poi molto nelle loro vite, da quando li avevo visti l'ultima volta.
Chaz era sempre il solito burlone, con i capelli lunghi e mossi ad incorniciargli il viso. Li aveva tinti di un rosso fiammante e dovevo ammettere che gli stavano davvero molto bene. Era cambiato un po', mi sembrava più bello, più dolce nei tratti del viso.
Dale non era cambiato di una virgola, sempre altissimo con la sua cresta sparata arancione. Era sempre stato un po' folle nel look e quella era una cosa che non era affatto cambiata.
Bent, nonostante tutto, restava l'anomalo della situazione. Era un ragazzo pulito, con gli occhiali, che vestiva preciso. L'unico tratto distintivo erano gli orecchini ad entrambe le orecchie.
Era il classico tipo da cui non ti aspettavi un esibizione rock alla batteria, non una decente almeno.
Ed invece era un mostro di bravura. Lui si trasformava davvero con le bacchette fra le mani, persino il suo volto sembrava distendersi, assumere un'espressione completamente diversa dal solito.
Quando iniziammo a suonare assieme sembrò che il tempo si annullasse completamente. Era tutto come prima, non avevamo perso la nostra complicità, anzi.
(Get Back - Demi Lovato)
-I wanna get back, to the old days,
When the phone would ring, and I knew it was you,
I wanna talk back, and get yelled at,
Fight for nothing, like we used to,
Oh, kiss me, like you mean it, like you miss me,
'Cause I know that you do, I wanna get back, with you!
Mi avvicinai a Chaz guardandolo fisso negli occhi, con finta aria provocante.
-Don't look at me that way I see it in your eyes,
Don't worry about me I've been fine,
I'm not gonna lie I've been a mess, since you've left
Mi sentii trascinare sempre più dalla musica e persi, come un tempo, la cognizione di me stessa e del mio corpo.
Mi lasciai trasportare dal ritmo e mi sembrò di liberarmi da un grande peso che mi opprimeva da tempo il petto.
Quando finì la canzone mi ritrovai quasi senza fiato e colma di adrenalina.
-Cacchio se mi siete mancati!-
 
Era successo tutto molto velocemente: le prove, la proposta di suonare in un locale per una serata, la pubblicità sparsa per la città, gli inviti per mia madre, Noah e Charlotte.
Era successo talmente all'improvviso che non avevo neanche avuto modo di rendermene veramente conto prima di quel momento, a un passo dal palco.
Avevo lisciato i capelli in modo che mi ricadessero lungo il viso, avevo però tirato indietro le ciocche che generalmente mi coprivano il volto, sotto le preghiere di mia madre a farmi vedere, una volta tanto.
Avevo anche lasciato che scegliesse lei i miei vestiti e così mi ritrovai stretta in dei leggins di pelle neri e una maglietta bianca, molto larga, con un teschio nero disegnato sopra.
Ai piedi avevo delle Doctor Martens arricchite di borchie con lo spuntone. Decisamente il mio outfit preferito.
Mi sembravo strana in quei vestiti, nel vedermi come la tipica cantante di una band rock. Era tutto molto diverso da come mi presentavo solitamente.
Ma tutto questo non avrebbe più importato una volta salita là sopra; ci sarebbe stata solo la musica e la mia anima, servita su un piatto d'argento al pubblico.
Quando ci annunciarono sentii le gambe tremare e ebbi l'impressione che sarei svenuta dalla paura di lì a poco.
Riuscii ad arrivare sullo stage, accompagnata dalle incitazioni di Chaz, e sentii subito il fiato mancarmi.
Come diavolo sarei riuscita a trovare la voce per cantare, quella sera?
Non c'erano moltissime persone, ma erano comunque tante e sicuramente più di quante mi avessero mai sentito e visto cantare.
La canzone partì improvvisamente, tanto che faticai a rendermi conto che era giunto il momento di tirare fuori tutta la mia grinta.
Iniziai a cantare tenendo gli occhi chiusi, imponendomi di pensare che fossi nella mia cameretta, che nessuno mi avrebbe sentita.
(Who Am I - Flyleaf)
-Who am I
Who am I
That you have brought me
This far, this far
Who am I that you have brought me so far -
A quel punto mi decisi ad aprire gli occhi e mi resi conto di vedere ben poco del pubblico presente, completamente accecata da una luce che mi era stata puntata contro nel frattempo.
Riuscii però a scorgere la sua figura, fra tutte, ed improvvisamente mi resi conto di star cantando solo per lui e che non me ne fregava niente se se ne sarebbe accorto.
-And you have forgiven me for everything
Everything
And you have given me everything
Oh its too much, its too much
You're too much, you're too much -
Distolsi lo sguardo improvvisamente, incollandolo su Chaz che si muoveva a tempo di musica . Lui ricambiò il mio sguardo e mi lasciai trasportare dal suo sguardo rassicurante, da i suoi capelli rossi ipnotizzanti, brillanti.
Quando la canzone terminò mi sorpresi nel sentire gli applausi dei nostri spettatori e riuscii a calmarmi un po'.
Fu in quel momento che partì la seconda canzone, che avevo scelto proprio io, proprio per lui.
(Your Eyes - Alexz Johnson)
-If I was drowning in the sea
Would you dive right in and save me?
If I was falling like a star
Would you be right there to catch me?
If I was dreaming of your kiss
Would you look right through me? -
Riuscii a percepire i suoi occhi su di me, mentre lo fissavo cantandogli tutti i miei sentimenti.
Mi sembrò di vedere l'incertezza balenare nel suo sguardo e lo vidi distintamente mentre abbassava gli occhi a terra, colto dall'imbarazzo.
-Every single thing you say makes me want to run away
Sometimes love's a rainy day but life goes on-
Sentii il fiato mancarmi in gola, credetti di soffocare mentre ripetevo ancora quel ritornello, mentre pensavo ai suoi occhi su di me, alle idee che poteva star elaborando la sua mente.
Chaz aveva scelto la scaletta ed aveva previsto che non avrei retto cantando tutte le canzoni da solista. Per questo aveva deciso di mettere a metà spettacolo un duetto, una delle mie canzoni preferite.
Era incredibile come tutte le canzoni improvvisamente mi portassero a lui, a quello che sentivo, a quello che stavamo vivendo.
La voce di Chaz mi riempì le orecchie strappandomi un sorriso. Aveva una voce divina e mi ero sempre chiesta perché non facesse da voce leader.
Mi avvicinai lentamente a lui, con finta aria rapita, e presi possesso del ritornello:
(Spellbound - Lacuna Coil)
-Tell me who you are, I am spellbound
You cannot have this control on me
Everywhere I go, I am spellbound
I will break the spell you put on me -
Il ritmo sincopato di quella canzone mi fece dimenticare tutto, persino dove mi trovassi.
Avevo così chiuso gli occhi e avevo iniziato a muovermi con gli altri a tempo di musica, dedicandomi completamente alla canzone, sentendo ogni parola che pronunciavo e che pronunciava Chaz.
La parte che più mi piaceva di quella canzone era la fine, quando la mia voce si mischiava a quella ruvida e graffiante di Chaz. Sembravamo diventare un tutt'uno, un corpo unico, un'anima sola.
Era la cosa che mi era sempre piaciuta di più di cantare con loro.
Si creava una completa unione fra tutti noi. Loro sapevano rapirmi, conquistare la mia anima e metterla a nudo come nessun altro.
Rimisi sull'asta il microfono aspettando con ansia la canzone che avremmo eseguito di lì a breve. Una tra quelle che sentivo parlare più di me e di Noah, di come lo avevo accolto nella mia vita.
(Enemy - Flyleaf)
-I have made you an enemy
I have been my own enemy
I am asking for you to forgive me
For everything-
Cercai il suo sguardo fra la folla e mi resi conto che aveva capito che era per lui, che quelle scuse erano per lui, per tutte le volte che lo avevo fatto soffrire, per tutte le volte che c'erano stati contrasti fra noi, per tutte le volte che ci eravamo delusi a vicenda e per tutte le volte che ci eravamo ritrovati e avvicinati più di prima.
Lasciai andare il microfono ed indietreggiai con lo sguardo fisso sul soffitto, intenta a trattenere le lacrime di commozione che sentivo premere contro gli occhi.
Riuscii a trovare a stento la forza di pronunciare quelle ultime parole e sentii la voce tremare più di una volta.
Prima che me ne rendessi conto eravamo giunti alla nostra ultima canzone.
Mi voltai verso Chaz e lui mi sorrise, mimando la frase “ce la fai?”.
Mi ritrovai a sorridere a mia volta e ad annuire. Era sempre così premuroso con me.
A guardarlo sembrava il solito gradasso provolone e senza cervello ma era un ragazzo molto sensibile, che sapeva andare a fondo alle persone e che si concedeva a pochi scelti.
Non lasciava entrare molte persone nella sua vita, nel profondo della sua anima, ma una volta che gli entravi nel cuore, ci restavi per sempre, a prescindere da qualunque cosa.
(Tiny Heart - Flyleaf)
-Your lips touched every hand but mine
If you choose me, I’m waiting for you
If you choose me, I’m waiting for you
Always waiting -
Mi rifiutai di cercare ancora una volta i suoi occhi e mi sforzai di guardare il resto delle persone, cercando di creare un contatto con ognuno di loro.
Mi sfiorai le labbra con le dita non riuscendo a non pensare al sapore delle sue.
Nonostante non lo guardassi, era sempre a lui che correva il pensiero.
-You will never know
What you have done to me
You will never know losing love from me
And you will never know a single day alone
Tiny heart
Stuck inside yourself
When will you open up-
Staccai il microfono dall'asta ed incontrai lo sguardo di Dale. Anche lui mi sorrise complice, uno di quei suoi dolci sorrisi incoraggianti.
La musica terminò e mi sentii improvvisamente svuotata anche se felice.
Gli applausi riempirono il locale di nuova “musica” e ci inchinammo tutti e quattro davanti a quella standing-ovation.
Sì, era la prima volta che mi esibivo davanti ad un pubblico, ma ero certa che non sarebbe stata l'ultima.
Ci ritrovammo qualche istante dopo nel back-stage, stretti in un abbraccio di gruppo.
-Ce l'abbiamo fatta!- esclamò Bent, quasi incredulo.
-Certo che ce l'abbiamo fatta, abbiamo una bomba di cantante!- esclamò in risposta Chaz cogliendo l'occasione per scompigliarmi i capelli.
-Scemo, siete voi la bomba, non io!- commentai uscendo dal loro abbraccio soffocante come al solito.
-Kaja?
Mi voltai di scatto e notai Charlotte e Noah alle mie spalle.
-Hey!
-Sei stata divina- commentò Charlie venendomi incontro per stringermi in un abbraccio.
-Grazie- sussurrai abbracciandola a mia volta.
-Te l'avevo detto che dovevi coltivare il tuo talento- commentò a quel punto Noah, pronto a stringermi a sua volta fra le braccia.
Lo strinsi anche io, un po' incerta.
-Dobbiamo parlare...- sussurrò al mio orecchio, senza farsi sentire da Charlie.
Il mio cuore perse un colpo ed annuii debolmente. Avevo l'impressione che mi si fosse fermata la circolazione in tutto il corpo.
Sorrisi fintamente e tentai di recuperare la mia aria gioiosa di prima, ma niente poteva distogliermi da quelle due parole soffiate di nascosto al mio orecchio.

_nota dell'autrice:
Ed è già passata una settimana °_°
Ed io posto imperterrita il mio capitolo, anche se almeno qui su efp quei quattro lettori che avevo sono spariti D: Vabeh, colgo l'occasione per linkare anche il forum in cui sto pubblicando (con le mie amate girls che commentano tutto con amore) Passion For Writing
Ringrazio anche Lau per la pazienza di avermi passato tutti i link.
Ci tengo che sentiate tutte le canzoni, però capirò se non lo farete XD
In particolare ci tengo per i Flyleaf, perché è la voce che ho scelto per Kaja <3
Spero vi sia piaciuta questa parentesi musicale, tra l'altro ci sono anche i volti dei ragazzi ed eccoli:

Dale
Chaz
Bent

Pooi, vi rimembro il gruppo di FB : I'm a renegade, it's in my blood 
E credo basti °° ci vediamo al prossimo aggiornamento <3

Baci,
Bea

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Capitolo 34
*** 33. Do you see what I see? ***


33.  Do you see what I see?
 

 
Quella sera mi ero ripromessa di non pensare alle parole di Noah, di andarmene a letto tranquilla, di dormire con ancora in circolo l'adrenalina della serata.
Ma per quanto ci provassi non riuscivo a far altro che torturarmi e rigirarmi nel letto, alla ricerca di pace.
Non mi era mai piaciuto “programmare” i discorsi. Non sapere cosa avrei dovuto affrontare mi metteva in ansia e più di una volta mi ero alzata pronta a chiamarlo, nel cuore della notte, e mettere fine a quella tortura.
Ma alla fine avevo sempre lasciato perdere ed ero tornata a letto.
Quando quella mattina aprii gli occhi mi sentivo più stanca di prima e ancora più in ansia.
Aspettai una sua telefonata, un segno di vita, fino alle ore del primo pomeriggio.
Il suo silenzio mi uccideva e mi dava l'impressione che dovessimo parlare di qualcosa di serio, qualcosa che richiedesse tempo.
Ero uscita di casa all'ultimo momento, per raggiungere il garage di Chaz, ed ero arrivata al ritrovo trafelata.
Avevo aspettato fino all'ultimo secondo possibile che Noah si facesse vivo, alla fine avevo deciso che non valeva la pena non vedere i ragazzi per aspettare una chiamata che probabilmente non sarebbe neanche arrivata.
Passammo un'ora buona a chiacchierare delle impressioni che la serata precedente ci aveva lasciato. Avevamo anche ricevuto un'offerta di altre serate nello stesso locale e ci sembrava di essere arrivati sulla cresta dell'onda.
I ragazzi poi erano un fiume in piena di idee, di canzoni da provare.
Dale aveva persino preso coraggio e ci aveva mostrato, per la prima volta, il suo fedele quaderno delle canzoni.
Lui era l'unico, fra noi, che scrivesse testi, ma aveva sempre avuto una sorta di pudore al riguardo.
Fu così che ci ritrovammo a suonare un po' a caso, cercando di dare una giusta base ad uno dei tanti testi di Dale.
In realtà erano belli, anche molto profondi, e mi sarebbe piaciuto molto cantarli, dar loro vita.
Ma mi sembrava tutto un sogno, tutto improvviso e veloce perché io potessi starvi dietro.
Era il sogno di una vita per tutti noi e stava diventando leggermente più palpabile, mentre le nostre prime canzoni sembravano prendere vita.
Nonostante tutto la mia mente continuava a volare su di lui e continuavo a perdermi parti di discorso importanti.
-Ma che hai oggi? Hai la testa fra le nuvole- commentò ad un certo punto Chaz, sfiorandomi un braccio con la mano.
Sussultai e mi voltai verso di lui, incerta su quanto mi avesse appena chiesto.
-Cosa?- chiesi spostandomi i capelli dietro la nuca con un gesto nervoso.
-Appunto... Hai la testa altrove, oggi.
-Ah, sì scusate... ho dormito poco questa notte- accennai un finto sorriso e tentai di riprendere il filo del discorso.
Neanche cinque minuti dopo sentii il telefono squillare.
Scattai immediatamente verso la borsa e lo recuperai alla svelta, rispondendo senza neanche guardare chi fosse.
-Pronto?
-Hey... sei a casa?- era lui, era giunto il momento, ed il terrore mi paralizzò.
-No... no, sono da Chaz a provare con la band.
-Ok... posso passare da voi?
-Ssssssì...- risposi con aria incerta dandogli poi le indicazioni per raggiungerci.
Quando riattaccai mi resi conto di quanto forte mi battesse il cuore e del fatto che mi tremassero le mani.
-E' successo qualcosa?- mi sussurrò Chaz, raggiungendomi.
-No, non preoccuparti- risposi sorridendo appena.
Tentavo di convincermi io stessa che non ci fosse nulla di cui aver paura, ma non mi sarei calmata fino a quando lui non avesse svuotato il sacco.
Capii che quando mi aveva chiamato era davanti casa mia dalla velocità con cui ci raggiunse.
Casa mia distava circa due isolati da quella di Chaz e a piedi ci volevano massimo dieci minuti.
Arrivò con il volto tirato, guardandosi attentamente intorno.
Quando raggiunse la porta del garage mi decisi ad uscire e gli sorrisi nervosamente.
-Hey...
-Volevo parlarti- annuii iniziando a torturarmi le mani nervosamente.
-Di cosa?- lui si guardò attorno con aria incerta prima di riportare lo sguardo su di me.
-Possiamo andare in un posto un po' più... privato?- annuii nuovamente allontanandomi dal garage.
Lo portai nel giardino che si trovava nel retro della casa ed aspettai, silenziosamente.
-Mi è piaciuto davvero il concerto di ieri sera.
-Grazie- risposi arrossendo lievemente, incapace di guardarlo negli occhi.
Capii dal suo silenzio che era difficile anche per lui, quella conversazione.
-Devo togliermi un dubbio che mi schiaccia. Potrà sembrarti stupido ma... - si avvicinò, cercando invano il mio sguardo – ho notato che ieri sera, quando cantavi, guardavi me.
Alla fine lo disse, lanciò la bomba a mezz'aria e mi fissò, aspettandosi chissà quale risposta.
Alzai gli occhi su di lui e mi strinsi nelle spalle, cercando qualcosa da dirgli di credibile.
-Sì... è solo che... oltre i ragazzi e la mia famiglia tu eri l'unico che mi avesse sentita cantare prima e... avevo paura, dannatamente paura... e guardarti mi faceva stare più tranquilla.
Sentii il sudore imperlarmi la fronte e mi morsi il labbro cercando di trattenere gli occhi nei suoi, per non apparire debole proprio in quel momento.
Lui annuì lentamente, fissandomi come se non ne fosse completamente convinto.
-Perché, cosa credevi?- trovai il coraggio di chiederglielo. 
Volevo anche io una risposta, un minimo di onestà.
-Niente... è come immaginavo- rispose prontamente forzando un sorriso.
Si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo, ed io non riuscii a non vedere, nei suoi occhi, la delusione mista al sollievo che le mie parole gli avevano dato.
Cosa si aspettava che gli dicessi? Voleva forse che io ammettessi i miei sentimenti così semplicemente?
Voleva sentirsi dire che ero cotta di lui fino al midollo? Perché?
-Stasera  io e Charlie andiamo al Luna Park, vuoi venire?
Me lo chiese così, dal nulla, senza aggiungere altro alla discussione di prima.
Mi strinsi nelle spalle ed annuii, con poca convinzione.
Non avevo scuse da inventarmi, ma l'idea di passare ore a guardare loro due che si coccolavano mi faceva salire la nausea.
Quando Noah se ne andò rimasi per qualche minuto da sola, nel retro, cercando di mettere ordine fra i miei pensieri.
Poi all'improvviso vidi spuntare i capelli rossi di Chaz. 
-Tutto ok?
-Sì...- sussurrai prima di sospirare sonoramente.
-Ti piace quel tipo, vero?- alzai gli occhi su di lui e lo fissai incredula.
-E' così evidente?- chiesi arrossendo violentemente.
-Abbastanza...- ridacchiò prima di scompigliarmi i capelli, col suo solito fare burlone – E' di questo che avete parlato? Dei tuoi sentimenti?
-No... non lo so... si è accorto che lo guardavo mentre cantavo...
-E...?
-Io ho mentito...
-Perché?
-Perché lui è fidanzato con Charlie... e comunque è un amore impossibile.
Lui mi fissò per qualche istante, corrucciato, poi mi passò un braccio dietro al collo e mi attirò a sé.
-Non esistono amori impossibili, solo persone che non hanno coraggio di affrontare i propri sentimenti. -
Alzai lo sguardo su di lui, stupita dalla profondità di quella frase.
-Sai che dovremmo metterla in una canzone questa?
Lui rise e mi lasciò andare, avviandosi verso il garage.
Rimasi per un'istante a guardarlo mentre si allontanava. In fondo aveva ragione: avevo paura e non osavo provare a dar voce ai miei sentimenti.
Ed era una paura stupida la mia. Cosa sarebbe cambiato se lui avesse saputo, se mi avesse rifiutato? Non sarei rimasta nella stessa situazione?
Per qualche istante mi permisi di pensarci veramente all'idea di confessarglielo. Poi però mi resi conto che sarebbe cambiato tutto fra noi, il modo in cui lui si sarebbe approcciato a me.
Ero certa che sarebbe terminato tutto, anche le nostre giornate in solitudine, le nostre coccole, i contatti fisici che potevano sembrare equivoci.
Non era come con Charlotte. Da quella confessione io avevo molto da perdere, troppo.
 


Non aveva idea di come fosse successo, ma il suo appuntamento con Noah si era trasformato improvvisamente in un'uscita a tre.
Ultimamente accadeva sempre più spesso, i momenti che passava da sola con lui si potevano contare sulle dita di una mano.
Non riusciva a capire perché lui si ostinasse ad invitare sempre Kaja ovunque.
Voleva bene a Kaja, le faceva piacere vederla, ma iniziava a sentirsi soffocata da quella consuetudine.
Non si sentiva libera di comportarsi normalmente con Noah, aveva uno strano timore di ferirla troppo. E così era la loro storia a rimetterci.
In ogni caso le era improvvisamente passata la voglia di uscire, quella sera.
Rimise a posto il vestitino che aveva scelto per l'occasione, per impressionarlo, ed optò per un semplice paio di skinny chiari ed una maglietta rossa, abbinata alle ballerine.
Legò i capelli in una coda alta e aspettò che lui arrivasse.
Si ritrovarono un quarto d'ora dopo tutti e tre assieme, stipati nella macchina di sua madre Helen.
Il silenzio fra loro era imbarazzante. Neanche Kaja sembrava esaltata all'idea di passare quella serata con loro.
La osservò attentamente mentre fissava ostinatamente il finestrino, torturandosi le mani.
Constatò che quella sera era vestita meglio del solito. Aveva persino deciso di truccarsi.
Dalla sera passata aveva iniziato a vederla sotto un'altra luce.
Le sembrava di poter vedere i suoi occhi brillare anche da lì.
Era una Kaja diversa da quella che conosceva, da quella che aveva sempre visto, ed era una ragazza che le piaceva e che iniziava anche a temere, suo malgrado.
Spostò lo sguardo su Noah e si ritrovò a guardare nei suoi occhi mentre un sorriso gli si allargava sul viso.
Sorrise di rimando, forzandosi di apparire serena come al solito, mentre notava il nervosismo sul suo viso leggermente contratto.
Avrebbe voluto smorzare il silenzio, dire qualcosa di intelligente, coinvolgerli in qualche discorso, ma non riuscì a trovare nulla di sensato da dire, così ripiegò sulla frase più scontata che potesse dire:
-Come va con la band?
Kaja si voltò verso di lei ed accennò un sorriso.
-Abbastanza bene. I ragazzi stanno tirando giù delle canzoni tutte nostre.
-Davvero? La serata di ieri vi ha proprio dato lo sprint, eh?
Lei annuì poco convinta e riportò lo sguardo sul finestrino della macchina.
Noah non aveva neanche commentato la questione, mantenendo gli occhi su di lei in modo quasi ossessivo.
Ogni volta che i loro sguardi si incrociavano lui le sorrideva, di quel sorriso rassicurante molto falso che ti fa salire di più l'ansia.
Uscire da quella macchina fu una liberazione.
Si chiese come avrebbe fatto a sopportare delle ore in quella compagnia poco collaborativa.
-Cosa vogliamo fare?- chiese guardandosi attorno.
-Per me è uguale- rispose semplicemente Kaja infilando le mani nei jeans, con lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
Se non avesse avuto paura della risposta avrebbe chiesto ad entrambi cosa cavolo stesse succedendo.
Ma si strinse semplicemente nelle spalle e si diresse verso una giostra a caso, pronta ad ammazzare il tempo.
Aveva deciso, prima che si aggiungesse Kaja, che avrebbe fatto un giro sulla ruota panoramica, per godersi il paesaggio e Noah per tutto il tempo della rotazione.
Le piaceva l'idea di rimanere sospesa in aria con lui, di poterlo avere tutto per sé, senza nulla che potesse frapporsi fra loro.
Era assoluto, non c'era via di scampo.
Quando arrivarono lì sotto cercò lo sguardo di Noah e lo trovò fisso su Kaja, quasi con aria accorata.
Fu in quel momento che decise che ce lo avrebbe portato comunque, là sopra.
Perché quello sguardo non le piaceva proprio per niente e lei doveva difendere il suo territorio, proprio come avrebbe fatto una leonessa.
Lasciarono Kaja a terra, con la sua mezza fobia delle altezze, e solcarono il cielo.
Non riuscì a trovare nulla da dirgli e lui non sembrava particolarmente incline alla parola.
Tutta quella sera si stava rivelando completamente diversa da come se l'era aspettata, immaginata e sognata.
Persino il giro sulla ruota panoramica non fu magico come aveva sperato.
Si limitarono a coccolarsi, a scambiarsi sguardi e sorrisi per tutto il tempo.
Nulla di eccezionale, nulla di nuovo, nulla che potesse avere un peso, che potesse valere da conferma per lei.
Trovarono Kaja seduta su una panchina, davanti alla Ruota, con lo sguardo vagamente assente.
-Che hai?- chiese incerta, avvicinandosi.
-Niente... scusa, ho la mente da un'altra parte- le sorrise alzandosi, tirandosi indietro i capelli col suo solito gesto nervoso.
-Che ne dite della “casa stregata”?- chiese ad un certo punto, guardandoli entrambi.
Charlotte sorrise ed annuì prontamente.
Le sembrava di averla risvegliata o quantomeno di averle fatto notare che vedeva che c'era qualcosa che non andava. E Kaja odiava che le persone la vedessero in quello stato.
Ed ora se la ritrovava vivace e sorridente che parlava allegramente con entrambi.
La “casa stregata” in realtà era una gran fregatura che non avrebbe fatto paura neanche ad un bambino di 5 anni, ma strappò a tutti loro delle risate gioiose.
-Io ho voglia di zucchero filato...- disse ad un certo punto Kaja, ritrovandosi davanti allo stand.
Charlotte non ricordava neanche l'ultima volta in cui aveva mangiato zucchero filato e prendendo quel bastoncino fra le mani le sembrò di tornare indietro nel tempo, a quando non era alta più di un metro e suo padre la portava in spalla, per mostrarle il mondo dall'alto.
Il sapore dello zucchero filato non la faceva impazzire, era troppo dolce, ma erano i ricordi che le riportava alla mente a farle piacere.
Era stupido, in realtà, ma a quel dolce erano legati solo momenti felici e spensierati, momenti che avrebbe portato sempre con sé e che avrebbe voluto fossero in grado di cancellare quelli tristi e difficili.
Alzò gli occhi per cercare Noah e Kaja e li trovò poco davanti a lei, intenti a scherzare fra di loro.
Lo osservò mentre provava ad attaccare lo zucchero sul naso di lei. Osservò lei che si ritraeva ridendo, tentando di spintonarlo per allontanarlo.
Fu in quel momento che lo vide, quel bagliore negli occhi di entrambi. E lo seppe: era finita.
Le sembrò stupido, pensare che potesse esserci qualcosa fra loro, ma lo sguardo di lei era inequivocabile.
Lo guardava come aveva sempre guardato lei, con quello sguardo che non era mai riuscita a spiegarsi prima che lei glielo sputasse in faccia il suo amore.
Lo fissava di nascosto, anche quando lui non poteva vederla, e sorrideva, e evitava il suo sguardo timorosa che lui potesse leggerci dentro.
Era certa, come era certa di amare Noah.
La presa sul bastoncino di zucchero filato si allentò e lo sentì scivolargli fra le mani, cadere in terra con un rumore sordo, inudibile.
Era così che persino quel dolce acquistava un sapore amaro, era così che anche quello era stato sporcato, macchiato per sempre da un ricordo di quelli brutti, di quelli che avrebbero determinato un cambiamento nella sua vita, uno di quelli che non voleva.
Li osservò mentre si allontanavano lentamente, scordandosi di lei alle loro spalle.
Osservò lui attentamente, cercando in lui un segno qualunque che si sbagliasse. 
Ma neanche gli occhi di lui mentivano, quegli occhi che l'avevano guardata a quel modo solo nei primi giorni di relazione, quegli occhi in cui amava perdersi, che la facevano sentire amata.
Vide subito la differenza fra quello sguardo e quello che le riservava ultimamente. Ed intuì: forse lui non lo sapeva, forse lo sapeva da poco, ma lei era la sua scelta già da un po'.
E capì perché lui non avrebbe messo fine alla loro relazione. Capì che non era l'amore a legarli ma la paura di farla soffrire, il senso di colpa, l'affetto che ancora nutriva nei suoi confronti. E si sentì tradita, incredibilmente tradita.
Perché non importava il suo passato, non importava l'incidente, il fatto che dovesse ancora riprendersi del tutto; ciò che importava erano i loro sentimenti e la sincerità che lui le doveva.
Ne aveva abbastanza di bugie, di false speranze, di vuote promesse.
Lei era una persona normale, cazzo. E loro la sincerità gliela dovevano.
Lui si voltò e la vide, fragile come sempre, con lo sguardo perso e lo zucchero filato per terra, intatto.
Si avvicinò confuso e le sfiorò una mano con la sua.
-Che succede?
-Voglio tornare a casa...-sussurrò confusa, abbassando lo sguardo a terra.
-Non stai bene?
-No, questo posto mi ricorda Aaron.- lo disse così, soffiando fra i denti, tirando in ballo una scusa che li avrebbe convinti entrambi a lasciare quel posto.
Quando salirono sulla macchina di Helen il silenzio era tornato fra loro e per quella volta Charlotte non aveva alcun desiderio di interromperlo.
Scorse gli occhi di lei vagare nel finestrino, alla ricerca del riflesso di lui. E vide lui guardarla di sottecchi, cercando chissà quale segno nei suoi movimenti.
Le sembrò strano essere fra loro due e le sembrò improvvisamente di essere diventata Kaja.
Lei che amava qualcuno che non ricambiava, che aveva le sue attenzioni per qualcun altro.
Quella consapevolezza la schiacciò.
Kaja aveva sempre voluto essere lei ed era ad un soffio dal compiere la sua missione.
E cosa restava a lei, a Charlotte, in tutto quello?
Lei non era Kaja, non sarebbe mai diventata come lei, perché non aveva un'anima come la sua, non riusciva ad essere semplice, la semplicità le andava stretta, non riusciva ad aprirsi con gli altri facilmente, non riusciva a mostrare le sue debolezze alle persone di cui non si fidava.
Se Noah fosse uscito dalla sua vita non le sarebbe rimasto più niente. Lei non aveva niente, non lo aveva mai avuto.
Non era in grado di avere un contatto sincero con gli altri, non era capace di amare incondizionatamente, non era capace di mantenere un rapporto, non era capace di donare senza ricevere niente in cambio. Le sue mani erano come dei grossi inceneritori: bruciavano tutto quello che sfioravano.
Scese dalla macchina subito dopo Kaja, balzò quasi fuori dall'abitacolo, come se questo le stesse togliendo l'ossigeno.
Non la salutò neanche, Kaja, si diresse solo alla porta, seguita da un Noah confuso.
Gettò un'occhiata verso la strada e la vide, mentre si stringeva nelle spalle e se ne andava a casa sua.
La vide sparire dietro la sua porta e si voltò verso Noah, gli stampò le labbra su una guancia e accennò un sorriso.
-Chiamami domattina- disse solo questo, quando invece avrebbe voluto urlargli “è finita, lo so che vuoi lei”. 
Avrebbe voluto allontanarlo a spintoni, dargli un ceffone sul viso, urlargli contro il suo odio, piangere e distruggersi davanti ai suoi occhi, ma sparì dietro la porta di casa sua e lasciò che tutte le marcisse dentro, silenziosamente.
Ma quella notte pianse, si disperò, si morse le labbra per non emettere alcun suono, si ferì le dita cercando di grattare via il suo nome che aveva inciso nella testata del letto. E si perse nella consapevolezza che tutto in lei era marcio, persino il suo sangue.



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_nota dell'autrice: fiume in piena *auahahah* dato che più o meno mi sembra che abbian letto quasi tutti, e sono stata minacciata di tortura se non posto, eccovi un nuovo capitolo a distanza ravvicinatissima XD
Sono particolarmente ispirata al momento ed io mi auguri che duri, così finisco presto la storia <3 -non che io me ne voglia liberare, però è anche tempo che termini, insomma! XD-
Spero che il chappy vi piaccia. Ci tenevo alla seconda parte incentrata su Charlie perché volevo capiste meglio  il personaggio. Lo so che è antipatica, che non si è mai fatta amare molto, ma credo che abbia molto da dare anche lei, molto da apprezzare.
Obbiettivamente è una persona egoista. Diciamo che ha un bisogno maniacale di amore e di attenzioni. Per tutta la serenità che le è mancata dentro casa. Lei ne ha un bisogno viscerale perché senza sta male, si sente sola, priva di scopo. E questa cosa credo di svilupparla meglio in seguito.
Questo non significa che Charlie fa la stronza inconsapevolmente. Lei spesso agisce per ferire. A volte invece non capisce, non empatizza, e va giù con l'imporre agli altri quel che desidera lei.
Vabeh, non ci dilunghiamo troppo XD
Spero vi sia piaciuto <3 -io lo so che le fan Nojah (ohyeah) stanno gongolando come delle pazze XD-
PS: questo è un capitolo accorpato! Ohyeah! Sono riuscita, per la "gioia" di Giuls XD, ad accoppiare due capitoli che avevo pensato separati. Certo il capitolo è più lungo, ma almeno se faccio così non arriviamo a 857045 capitoletti mini inutili XD Vi rimembro il gruppo di FB: I'm a renegade, it's in my blood 
Byeeeeeeeeeeeeeeeee!
Bea

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Capitolo 35
*** 34. Sometimes love is not enough ***


34.  Sometimes love is not enough

 
Sentiva il viso tirare per le lacrime che vi si erano seccate sopra, che non aveva voluto tirare via con un gesto di stizza.
Si voltò verso la porta, restando stesa nel letto, e la fissò come sperando che lui sarebbe entrato da quella porta dicendole che sapeva e che non doveva preoccuparsi.
Si portò una mano al viso e si sfiorò una guancia, distrattamente.
Aveva le unghie tutte spaccate, alcune insanguinate, per il duro lavoro che aveva eseguito con successo sulla testiera del letto.
Il suo nome era sparito da lì, c'era solo un grosso buco al suo posto.
Il buco che aveva nel cuore dal quale però non poteva grattar via il suo stupido amore.
Il telefono squillò interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Sapeva che era lui, che la chiamava come lei gli aveva detto di fare.
Allungò una mano e rispose, cercando di recuperare un minimo di orgoglio.
-Buongiorno!
-Buongiorno...
-Come stai?
-Bene- mentì spudoratamente e sapeva che lui lo avrebbe capito subito. Ma sapeva anche che lui non le avrebbe chiesto di essere sincera, non avrebbe cercato di scavare affondo per capire; la sua bugia gli andava più che bene.
-Mi dispiace per ieri sera...
-Anche a me.
Silenzio.
-Ho bisogno di vederti.
-Ok, arrivo.
Riagganciò velocemente e lei si sentì morire.
Non aveva bisogno di vederlo, non aveva bisogno di parlargli, non aveva bisogno di vederlo andare via, allontanarsi irrimediabilmente da lei.
Si alzò a fatica dal letto, neanche si guardò allo specchio, temendo l'immagine che si sarebbe ritrovata davanti, e scese le scale per raggiungere la sala, in attesa che lui arrivasse.
Sapeva che ci avrebbe messo poco, lui era sempre pronto per lei, bastava chiedere.
Si sentiva stanca, aveva le membra pesanti, la testa piena di pensieri, la vista quasi annebbiata per il poco sonno.
Sapeva di avere i capelli scomposti in una coda di cavallo molto approssimativa, sapeva di avere occhiaie violacee sotto gli occhi, sapeva di avere un'aria spiritata, di trovarsi in pigiama. Ma non gliene fregava niente, non quella mattina.
Suonarono alla porta un numero imprecisato di minuti dopo e lei andò ad aprire, sapendo che era lui.
Lo vide nei suoi occhi, il riflesso di quello che era diventata in una sola notte.
La preoccupazione aleggiò sul volto di lui ferendole l'anima.
Non aveva bisogno della sua pena, della sua preoccupazione, non aveva bisogno che la stringesse a sé senza chiedere niente, non aveva bisogno del suo stupido profumo che le riempiva le narici. Il profumo che gli aveva regalato lei.
Si staccò da quell'abbraccio silenzioso con violenza, come scottata.
Lui la seguì in casa, con lo sguardo confuso.
Era quello che le faceva più rabbia di tutto: lui teneva a lei, semplicemente non abbastanza. Non come voleva lei.
Stupido affetto, così irrilevante davanti all'amore. Lei non voleva essergli amica, lei non si sarebbe piegata ad essere come Kaja, a rimanere nell'ombra.
Voleva tutto, altrimenti preferiva restare con niente fra le dita.
E lui stava scivolando via, lentamente, come sabbia rovente sulle mani.
-Mi ami?- glielo chiese così, di soppiatto, fissandolo negli occhi.
Lui la guardò perplesso per qualche secondo, accigliandosi.
-Certo che ti amo...
-Bugiardo.- lo disse con voce ferma, senza nessuna intonazione della voce.
-Cosa?
-Lo so, ok? Io LO SO.
-Sai cosa?!- lui si avvicinò sfiorandole un braccio con la mano.
-NON TOCCARMI!- urlò scansandosi immediatamente da lui.
Non voleva più alcun contatto, nulla che potesse farle credere ancora in qualcosa che non c'era.
Non voleva più essere scottata dal suo finto amore, dalle sue carezze fatte pensando a qualcun altro.
Si chiese se quando la baciava pensasse a lei. E le venne la nausea.
Aveva una gran voglia di urlare, di battersi i pugni sul petto, di vomitare, di sfogare tutta la sua rabbia su di lui.
-Ma che diavolo hai?- urlò lui cercando ancora di afferrarla.
Le lacrime le scapparono dagli occhi a fiotti, increspandole il volto.
-Ho che l'ho capito, Noah. Vedo come la guardi, come la cerchi, come la sfiori, come ti preoccupi per lei. Vedevo quanto eri geloso di Lotte, quanto ti desse fastidio che avesse baciato me... io lo so!- urlò con tutta la voce che aveva in corpo, graffiandosi la gola, restando senza fiato.
E lui non riuscì a trovare nulla da dirle, nessuna consolazione, nessuna negazione.
Rimase lì, in silenzio, colpito da una verità che forse non aveva ancora avuto il coraggio di ammettere con se stesso.
-Perché stai con me, perché?!- gli andò incontro, picchiò il suo petto, lo spintonò, lo implorò con gli occhi arrossati e pieni di lacrime.
E lui non rispose. La guardò distruggersi lì, davanti ai suoi occhi.
Ma non c'era nulla che potesse dirle. Non c'era modo di tornare indietro.
-E' finita- sussurrò lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, svuotata.
Lui restava ancora impalato lì, a guardarla sgretolarsi.
Era quello che voleva evitarle? Quella sofferenza?
Eppure era lì, a piangere,a disperarsi. A cosa aveva portato tutta quella menzogna, quella paura, quella voglia di proteggerla? 
-VATTENE!- urlò, non potendo più sopportare la vista di lui.
Lo spintonò verso la porta e lo guardò allontanarsi da lei, sparire dietro quella porta.
Si muoveva con passo incerto, le sembrava addormentato, assopito.
Afferrò un oggetto a caso e lo tirò contro la porta, fracassandolo in mille pezzi.
Voleva rompere tutto, riversare all'esterno tutto quello che la tormentava.
Voleva rompere lui, lei, i loro sentimenti, i loro cuori.
Voleva che sparissero.
 
 
Non sentiva niente, per quanto cercasse di capire cosa ci fosse nel suo cuore, lui non sentiva niente. Era tutto ovattato, quasi irreale.
Si era richiuso quella porta alle spalle, semplicemente.
Non aveva provato a negare, a rassicurarla, a dirle che non poteva lasciarlo.
Non aveva fatto niente, perché non sarebbe valso a nulla.
Lei aveva ragione, lui lo sapeva, e non avrebbe continuato a vivere nella menzogna, non le avrebbe fatto ancora quel torto.
Sapeva di aver sbagliato, sapeva di doversi sentire in colpa, di dover essere dispiaciuto. Ma semplicemente non provava nulla.
Per tutte le volte che si era tormentato, per tutte le volte che aveva pensato di lasciarla ed era tornato su i suoi passi, per tutte le volte che avrebbe voluto urlare al mondo i suoi sentimenti, non era rimasto più nulla da provare, alla realizzazione di quello che avrebbe dovuto mettere in atto lui stesso.
L'aveva guardata e aveva capito.
Sfatta, spezzata, senza più speranza.
Aveva osservato le sue lacrime, aveva ascoltato le sue grida, aveva accolto i suoi cazzotti, i suoi spintoni. E se ne era andato, lasciandosela alle spalle.
Mosse dei passi incerti verso la strada, cercando di recuperare un po' di se stesso nel processo.
Era sconvolto, questo sì.
Non si sarebbe mai aspettato che sarebbe stata lei a mettere fine alla loro storia.
E lui che non aveva voluto lasciarla per paura che soffrisse, lui che non poteva farlo in quel momento della sua vita. E invece alla fine l'aveva spezzata comunque.
Si mosse lentamente, come un automa, e si ritrovò a suonare alla porta di Kaja, per chissà quale assurdo motivo.
Fu proprio lei ad aprirgli e lo guardò confusa.
-Tra me e Charlie è finita- lo disse così, semplicemente.
Lei lo guardò perplessa per un secondo e poi lo tirò a sé, lo strinse con forza e lo trascinò dentro casa.
Era preoccupata per lui, credeva che fosse distrutto ed invece non sapeva.
Non sentiva niente, oltre ad un vago senso di libertà.
Era finita, finita davvero.
Ed ora non c'era più niente a trattenerlo, ad ancorarlo in quel rapporto in cui l'amore era unilaterale.
Perché non riesco neanche a capire se a darmi così fastidio sia che un'altra persona abbia baciato Charlie o che sia stata tu a farlo. 
Perché era stata lei a farlo. Perché le sue labbra avevano toccato quelle di qualcun altro.
E non avrebbe potuto perdonarla.
Aveva finto di perdonarla, aveva finto di essere felice che avesse trovato Lotte.
E nonostante tutto, aveva gioito quando fra loro era finita.
Si era sentito morire nel vederla così fragile, muta, seduta sul letto con aria assente.
E si era sentito un egoista, ma non era riuscito a sentirsi in colpa per i suoi sentimenti.
 
 
L'avevo trovato sulla porta di casa con l'aria sperduta, lo sguardo confuso.
Poi lo aveva detto, così dal nulla, ed il mio cuore si era fermato.
Non avrei mai pensato potesse succedere veramente. Lo guardai confusa per un'istante, sentii il cuore battere all'impazzata, la felicità invadermi.
Ma poi capii, e lo strinsi a me con forza. Non potevo permettermi di essere felice delle sofferenze altrui.
-Cos'è successo?- chiesi attirandolo dentro casa.
-Non lo so- rispose lui, quasi sorpreso, guardandomi come se non si aspettasse una domanda del genere.
-Come non lo sai?
-Mi ha lasciato lei.
Lo guardai perplessa non sapendo cosa dire.
Ero certa, al 100%, che Charlotte amasse Noah, glielo leggevo negli occhi.
Perché avrebbe dovuto porre fine alla loro relazione, così dal nulla?
-Perché?
-Perché mi sono innamorato di te.
Lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Sentii il cuore fermarsi, le gambe cedere, il fiato farsi corto. Ero convinta di essere anche impallidita.
Era uno scherzo, quello?
Mi fissò stupito lui stesso di averlo detto ad alta voce.
-Cosa?- chiesi con voce tremante.
-Perché io amo te- ripeté avvicinandosi a me, con aria sempre più consapevole.
-Noah, se è uno scherzo credo sia veramente di cattivo gu...-  mi morirono le parole in gola mentre lui mi afferrava per la schiena, attirandomi a sé, guardandomi negli occhi come se fossi la sua unica ragione di vita - ...sto- terminai la frase in un sussurro, perdendomi nel suo sguardo.
Per quanto tentassi di rallentare il battito del mio cuore, di darmi una calmata, lui sembrava ribellarsi contro il mio volere.
Stava per scoppiarmi nel petto, ne ero sicura.
Volevo liberarmi da quella presa, far finta che non avesse detto niente, che non mi avesse colpito, ridere di quello scherzo e lasciarmi tutto alle spalle.
-Io amo te- ripeté di nuovo, in un sussurro.
Poi le sue labbra furono sulle mie, le catturarono timidamente, come se non sapessero come fare.
Mi strinse più forte a sé, quasi sollevandomi verso di lui, mentre iniziava a farsi più audace, più consapevole.
Chiusi gli occhi, smisi di pensare a tutto quanto, e mi persi sulle sue labbra, sul contatto dei nostri corpi.
Era qualcosa che non avevo ancora mai provato. E capii perché in tutti quei secoli si fossero spese tante parole sull'amore.
Era straordinariamente bello, anche se produceva una sorta di sordo dolore.
Lasciò andare le mie labbra e riaprii gli occhi, specchiandomi nei suoi.
-Dio, è da così tanto tempo che volevo farlo- sussurrò catturando nuovamente le mie labbra nelle sue.
Mi strinse il volto fra le mani ed io mi lasciai trasportare da lui fino a quando mi ritrovai con le spalle al muro, col suo corpo contro il mio, e le nostre labbra unite in un lungo bacio che entrambi aspettavamo da tempo.
Gettai le braccia dietro il suo collo e mi lasciai andare incurante delle sue mani che si muovevano sul mio corpo, rendendomi sua, completamente.
Quando le nostre labbra si separarono ci ritrovammo stretti l'uno all'altra, a guardarci.
-Avevo ragione... sul concerto- sussurrò sfiorandomi il naso con il suo.
Ed io risi, annuendo.
Se solo non avessi avuto paura dei miei sentimenti, se solo fossi riuscita ad ammetterli a me stessa, ci saremmo trovati molto prima e ci saremmo causati meno sofferenze.
Fu in quel momento che mi colpì il pensiero di Charlotte.
-E' così che l'ha capito anche lei?
-No... credo che lo sapesse prima di noi due.
Annuii distrattamente, cercando di ignorare il senso di colpa che mi invadeva lo stomaco.
Se lei lo aveva lasciato lo aveva fatto solo perché aveva capito, solo perché non era più disposta a vivere nella menzogna, in un falso rapporto.
Questo significava che era distrutta, che probabilmente si stava disperando mentre noi due ci baciavano infischiandocene altamente.
Lui catturò nuovamente le mie labbra, annullando ogni sorta di pensiero che mi aleggiava nella  testa. Mi baciò a ripetizione, senza stancarsi mai, sfiorandomi i fianchi,stringendomi a sé, sfiorando le gambe.
Il mio corpo era una terra praticamente inesplorata per lui e sembrava intenzionato a scoprire tutto, proprio in quel momento.
-Cosa stiamo facendo?- chiesi improvvisamente, staccandomi dalle sue labbra.
-Stiamo recuperando il tempo perduto- mi sussurrò lui all'orecchio per poi baciarmi proprio sotto il lobo, scendendo lungo il collo, sfiorandomi poi le clavicole.
-Non è giusto...- sussurrai a fatica, cercando di non pensare alle sensazioni che mi attraversavano.
-Che cosa?- chiese lui, continuando a sfiorare con le labbra tutta la pelle nuda che incontrava.
-Questo...- risposi ancora, sussurrando, chiudendo gli occhi.
-Perché?- chiese ancora, risalendo lungo la mandibola, sempre baciandomi con dolcezza.
-Perché lei è la mia migliore amica... e tu sei il suo ex.
Smise improvvisamente di baciarmi e alzò lo sguardo, cercando i miei occhi.
Cercai di evitare in tutti i modi di guardarlo, di perdermi dentro di lui, e fu costretto a prendermi per i fianchi, attirarmi a sé, per trovare il mio sguardo.
-Non puoi lasciare che questo si metta tra noi. Non possiamo permettere che qualcos'altro ci impedisca di stare assieme.
-Ma non possiamo farle questo!
Riuscii a sfuggire dalle sue braccia e sgattaiolai lontano dal muro, dove lui non poteva imprigionarmi e farmi cedere, sotto i suoi baci.
-E' troppo presto- aggiunsi abbassando gli occhi in terra.
-Presto? Abbiamo passato non so quanto tempo a negare di provare qualcosa l'un per l'altro!- si avvicinò nuovamente a me, mi strinse fra le sue braccia, cercò le mie labbra, le catturò ed io ricambiai, incapace di dire di no.
Mi lasciai sfuggire una lacrima e lui la raccolse subito, con un dito.
-Non voglio vederti piangere mai più- disse serio, poggiando la fronte sulla mia.
-Mi sembra così sbagliato...- sussurrai sfiorando il suo naso col mio.
Lui sospirò, scuotendo la testa, stringendomi più forte a sé.
-Io so cosa sta provando lei ora. E' troppo presto... aspettiamo che le passi, che... che ci perdoni...
-Perdonarci? Per cosa? Per esserci innamorati? Ma non è qualcosa che abbiamo scelto, qualcosa che possiamo comandare!
-No però... non possiamo abbandonarla entrambi. Lei non ha nessun altro oltre noi- sussurrai liberandomi ancora dalla sua presa.
-Tu l'hai amata, non riesci a capirlo?
-Certo che lo capisco ma...
-Ma? Se io fossi al suo posto in questo momento? Lasceresti anche me completamente sola, per rifugiarti fra le braccia di qualcun altro? Lasceresti che i tuoi sentimenti schiacciassero i miei portandomi via anche la mia migliore amica? Mi volteresti le spalle senza pensarci due volte?
Mi sembrò improvvisamente assurdo il suo atteggiamento ed iniziai a capire come doveva sentirsi in quel momento Charlotte e capii che non potevo farle quello, non in quel momento.
-Certo che no!
-E allora perché lo stai facendo a lei?
Lui mi guardò, paralizzato, incapace di dire qualcosa.
Abbandonò le braccia lungo i fianchi e mi guardò, sconfitto.
Sapeva che avevo ragione, ma non riusciva ad accettarlo.
Si era permesso solo una volta di essere egoista e proprio quella volta si era ritrovato contro un muro.
Sapevo benissimo perché non aveva messo fine di persona alla storia, sapevo perché non le aveva mai detto niente, sapevo anche che sarebbe stato al suo fianco fin quando non fosse stata lei a decidere che era finita o fino a quando si fosse reso conto che lei avrebbe potuto andare avanti anche da sola.
Per questo non potevo permettergli di essere egoista proprio in quel momento, andando contro tutto quello che era ed era sempre stato.
-Mi dispiace- sussurrai abbassando gli occhi in terra.
Lo sentii uscire di casa, senza una parola, e mi sentii morire.
Avevo appena scoperto che spesso non bastano i sentimenti in una relazione. Ci sono sempre gli altri, ci sono sempre le conseguenze delle nostre azioni.
Mi asciugai prontamente una lacrima prepotente che scendeva sul viso e tornai nella mia stanza.
C'era solo una cosa che potevo fare in quel momento: se non potevo urlare i miei sentimenti, se non potevo viverli, allora potevo scriverli.
E per la prima volta macchiai un foglio bianco con l'inchiostro, vi trasportai tutte le mie emozioni, fino a svuotarmi. E fu così che nacque la prima canzone dei Silent-Fieber.
 
 
Le tue labbra saranno ancora lì 
quando sarò pronta?
Il tuo amore sarà ancora vero 
quando il senso di colpa se ne sarà andato?
E mi perdonerai se ora scelgo lei?
 
E ho capito che l'amore a volte non basta,
che può volerci un eternità per trovarsi, per viversi,
ma l'eternità non è più niente a confronto con l'amore.
 


_nota dell'autrice: pubblico ora il chappy perché lo avevo promesso, per il mio comply, anche se alcune persone sono rimaste indietro >.<
Anche le frasi in corsivo sono prodotte dal mio cervello, ovviamente xD
Volevo metterle in inglese ma non rendeva lo stesso D:
Tra l'altro il titolo del capitolo è la traduzione della prima frase della seconda strofa (parziale).
Spero vi sia piaciuto il POV su tutti e tre. Il prossimo capitolo è interamente dedicato a Noah, o comunque buona parte, devo vedere bene.
Per capire le sue scelte passate, quelle presenti. Per capire meglio il personaggio, come ho fatto con Charlie! :3
Spero di leggere presto le vostre opinioni e... niente! Non credo di aver altro da dire x.x
Ho quasi finito di delineare tutti i prossimi capitoli, c'è giusto qualche buco qui e là... quindi dovrei riuscire a pubblicare abbastanza spesso. Anche se vorrei  evitare il ritmo "uno ogni due giorni" perché mi rendo conto che è folle XD
Bòn, alla prossima
Bea

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Capitolo 36
*** 35. Women always says the opposite of what they want ***


35. Women always says the opposite of what they want
 
 

 
Era stato come tornare alla realtà. Lei l'aveva risvegliato da quella sorta di intorpidimento.
Gli aveva reso tutto più chiaro e aveva capito di essere più sconvolto di quanto credesse.
Aveva azzerato tutto, aveva annullato ogni altro sentimento, troppo desideroso di vivere lei, senza più riserve.
Ma quando lei aveva parlato, quando gli aveva spiegato, quando gli aveva chiesto se avrebbe fatto lo stesso con lei, aveva capito.
Non poteva lasciare che anche Kaja la lasciasse. Non poteva per lo stesso motivo per cui non l'aveva lasciata neanche lui.
E quella consapevolezza lo distrusse. Perché ancora una volta erano i sentimenti di Charlotte per lui a manovrare tutto, a regolare i suoi rapporti con Kaja.
Mai come in quel momento gli sembrò di essere una pedina degli scacchi.
Lui era la Torre, Kaja era l'Alfiere e Charlotte il Re, quello che deve essere protetto a tutti i costi per evitare lo Scacco matto.
Sentiva un dolore sordo all'altezza del cuore, un dolore che aveva già provato prima, da cui era scappato a gambe levate.
Si chiedeva come fosse successo che fosse diventato l'aguzzino e non la vittima, come era stato un tempo.
Mentre vagava verso casa sua non riusciva a non pensare al profumo di lei, al suo corpo e alle sue labbra soffici.
Non c'era niente che gli riempiva la mente oltre lei, lei e le sue parole, lei che lo faceva ragionare, lei che lo allontanava.
Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare per poter vivere la sua storia con lei? Non avevano aspettato abbastanza?
E invece c'era Charlie, non una ex qualunque. 
Era la migliore amica di Kaja e la ragazza di cui lei era stata innamorata.
Era tutto così assurdo e contorto da mandargli in pappa il cervello.
Com'erano finiti in quella situazione? Come erano riusciti ad incasinarsi fino a quel punto?
Entrò dentro casa e senza salutare nessuno si chiuse nella sua stanza.
Era spoglia la sua camera, non l'aveva abbellita con niente. Non c'era neanche una foto di Charlotte o di Kaja. 
Perché ricordava fin troppo bene che tortura era stata dover togliere tutti i ricordi dalla propria stanza; ricordava fin troppo bene come la sua memoria lo tradisse, ogni giorno, mettendo negli spazi vuoti i dettagli che prima li avevano abitati.
Non era valso a niente ridipingere la stanza, cambiare l'ordine alle cose.
I ricordi erano lì, avevano preso possesso di ogni mq di quella camera.
Ed era allora che avevano cambiato casa, che si erano trasferiti dall'altra parte della città, che lui aveva cambiato scuola.
Si era lasciato lei alle spalle, aveva cercato di dimenticarla a tutti i costi.
Lei, i suoi capelli biondi tinti, gli occhi verdi, col corpo abbandonato sopra a quello di un altro. Un suo amico. Uno a cui aveva spaccato la faccia.
Ricordava fin troppo bene la rabbia che lo aveva invaso, come aveva ridotto la stanza quando l'aveva sfogata. 
Lei si era anche scusata, aveva provato a spiegargli cos'era successo, che non era come credeva, ma tutto in lei mentiva. E lo sapevano entrambi.
Non aveva pensato spesso a Clarisse quando si era trasferito, non aveva pensato affatto a lei quando era con Charlotte. Lei aveva annullato quel ricordo e Kaja lo aveva riportato in vita quando aveva baciato Charlotte.
Si era arrabbiato perché le sue labbra avevano toccato quelle di qualcun altro, ma si era arrabbiato anche perché ancora una volta una persona amica aveva provato a portargli via la ragazza.
Si era sentito sconvolto, pieno di rabbia, si era sentito trasportato indietro nel tempo.
E avrebbe distrutto tutto quanto ancora una volta, se ci fosse stato qualcosa da distruggere.
E quei sentimenti lo avevano distrutto, lo avevano logorato dentro fino a quando era riuscito ad accettarli, ad accantonarli, come aveva fatto con Clarisse.
Con Charlotte era successo tutto per caso, non voleva che nascesse alcuna storia d'amore.
Era convinto, allora, che non sarebbe più riuscito ad amare, che non si trattava della solita storia finita male fra adolescenti, che quello era amore vero.
Ora sapeva con certezza che Clarisse e l'amore non c'entravano niente. 
Aveva corteggiato Charlotte perché era una bella ragazza, per ricominciare, per divertirsi.
Ricordava bene il brivido che gli era corso lungo la schiena quando l'aveva baciata.
Ricordava ancora meglio le emozioni che gli aveva donato fare l'amore con lei per la prima volta.
Lo aveva fatto sentire amato e vivo, come aveva fatto lui con lei.
L'aveva protetta come tutti si aspettavano che un ragazzo dovesse fare, e poi piano piano l'aveva scoperta, l'aveva conosciuta.
Tutto il suo passato, tutto il peso che si portava dietro, aveva preso forma e lui aveva capito che non avrebbe potuto lasciarla, che quello sarebbe stato il suo posto.
L'aveva protetta perché doveva, perché non voleva più vederla soffrire.
Ed alla fine era stato lui ad infliggerle tutto quel dolore.
Solo che proprio non riusciva a sentirsi un traditore, alla fine lui aveva aspettato, non aveva agito alle sue spalle, non aveva rivelato i suoi sentimenti, niente.
Si era tenuto tutto dentro, non aveva cambiato il suo modo di approcciarsi a lei, di esserle vicino, di stringerla a sé.
Però sapeva bene che l'aveva presa in giro, che era giusto che lei ce l'avesse con lui.
Si chiese anche se Clarisse, a suo tempo, avesse saputo cosa aveva provocato in lui, se si fosse mai sentita in colpa.
Lui non l'aveva mai perdonata, neanche ora che non l'amava più riusciva a farlo.
La prospettiva che Charlotte non lo avrebbe mai perdonato lo schiacciò.
Teneva ancora a lei, era stupido dire di no, e avrebbe voluto continuare ad essergli accanto anche se passare da fidanzati ad amici sembrava qualcosa di impossibile.
Si portò le mani alla testa, chiudendo gli occhi, alla ricerca di risposte che nessuno avrebbe potuto dargli.
Aveva sbagliato a non dire niente, a non reagire, a non provare a spiegarle. Per quanto inutile sarebbe stato, almeno poteva dire di averci provato.
Invece l'aveva lasciata lì, a disperarsi e a distruggersi davanti ai suoi occhi.
Era stato come vedere una bambola che cade, al rallentatore, e cadendo a terra si frantuma, in tanti piccoli pezzi taglienti.
Avrebbe potuto provare a raccogliere quei pezzi, ad incollarli assieme, anche se non sarebbe più sembrata la stessa; invece si era voltato, e si era lasciato i cocci alle spalle, quasi non fosse neanche colpa sua.
-E' successo qualcosa?
La voce di suo padre lo fece sobbalzare. 
Alzò gli occhi su di lui e fece un cenno col capo, sperando che capisse che doveva lasciarlo in pace.
-Riesco a capire quando sei sconvolto- rispose lui, entrando nella stanza.
Quando era tornato a casa, quella volta che aveva scoperto il tradimento, in preda allo sconvolgimento più totale, suo padre l'aveva guardato, aveva capito, lo aveva lasciato sfogarsi nella sua stanza, aveva lasciato che si accanisse sugli oggetti, e poi alla fine lo aveva abbracciato. 
In quel momento si rese conto che suo padre gli aveva concesso uno spazio, da quando era rientrato, e che ora riteneva essere passato abbastanza tempo per andare a controllare.
Se lo ritrovò accanto, silenzioso, che lo fissava attentamente.
-Cos'è successo?- chiese di nuovo, con calma disarmante.
-Charlie mi ha lasciato- rispose aggrottando le sopracciglia, quasi sorpreso da come suonassero quelle parole.
La mano di suo padre si posò sulla sua spalla e la strinse delicatamente, senza aggiungere niente.
Sapeva che c'era qualcos'altro a tormentarlo e l'idea che suo padre lo conoscesse tanto a fondo  lo faceva incazzare. Non era mai riuscito a tenersi niente per sé senza che lui lo capisse.
-Ma...?-rispose, esortandolo.
-Sono innamorato di un'altra ragazza. Lei lo ha scoperto.
-Kaja?- chiese, come se fosse il nome più naturale del mondo da pronunciare.
Noah alzò gli occhi su di lui e lo guardò, sorpreso.
-Come lo...?-
-Come lo so? Ti conosco, Noah. E vedo come ti si illuminano gli occhi quando parli di lei.
Aggrottò le sopracciglia e si chiese se fosse veramente così evidente o se fosse suo padre a conoscerlo troppo bene.
-Ti ha chiesto del tempo?- chiese, cercando il suo sguardo.
-Sì... si sente in colpa.
Suo padre annuì e si decise a circondarlo con un braccio, silenziosamente.
-Quando le donne dicono di volere del tempo intendono tutto il contrario- aggiunse, sorridendo.
-No, papà. Credo che intendano proprio quello che dicono.
-E' quello che vogliono farti credere!- rispose lui, lasciandolo andare –Non lasciargliene troppo, di tempo- aggiunse alzandosi dal letto, per lasciarlo solo.
Non credeva che suo padre fosse un esperto di donne, però sicuramente doveva saperne più di lui, dopotutto ne aveva sposata una e continuava ad esserle affianco da più di vent'anni, ormai.
Sospirò, incerto sul da farsi, e alla fine si alzò dal letto, per correre a perdifiato fino alla casa di Kaja.
Rallentò solo quando vide da lontano la sua abitazione e scorse in strada una figura che lentamente si avviava proprio verso la porta di casa Berger.
Avrebbe potuto riconoscere la sua figura persino in mezzo a un miliardo di persone.
Si avvicinò velocemente e le prese la mano nella sua, prendendola di sorpresa.
-Noah?!- si voltò verso di lui ed il suo viso divenne subito rosso.
Gli lasciò improvvisamente la mano, distogliendo immediatamente lo sguardo, accelerando il passo.
-Non in mezzo alla strada- sentenziò lei, cercando di evitare il suo sguardo.
Avrebbe voluto fermarla, costringerla a guardarlo negli occhi e poi baciarla come se da questo dipendesse tutta la sua vita.
Ma la seguì silenziosamente dentro casa e quando la porta si chiuse alle loro spalle la afferrò per i fianchi, voltandola.
Stava per rubarle un bacio quando lei voltò il viso, evitando il contatto fra le loro labbra.
-Sono andata da Charlie...
La lasciò andare, scoraggiato, ed aspettò che lei continuasse a parlare; ma lei se ne stava lì, immobile, a fissare il pavimento, in silenzio.
-Tra un po' torna mia madre, dovresti andare...
Aggrottò le sopracciglia e cercò i suoi occhi, abbassandosi alla sua altezza.
-E' così che intendi trattarmi fino a quando non le sarà passata?- chiese, perplesso.
Lei alzò improvvisamente gli occhi su di lui e si sentì stringere il cuore: c'era dolore là dentro, c'era un pianto trattenuto, c'era il senso di colpa.
-Il punto è che io non credo le passerà mai!- esclamò improvvisamente cercando di controllare la voce che le tremava.
Le lacrime le rigarono il viso, senza che lei riuscisse a trattenerle, ed i suoi occhi si spostarono nuovamente in terra, mentre la mano le scacciava via, con rabbia.
-Non dire stupidaggini, certo che le passerà!
-Tu non l'hai vista, Noah!- esclamò lei, rialzando gli occhi -E' distrutta...
-Certo che l'ho vista! E nessuno è mai morto per amore, Kaja!
-Come fai a non sentirti in colpa?!- lo guardò come se fosse il più piccolo degli uomini sulla terra, come se non valesse niente.
E lui si sentì morire.
-Certo che mi sento in colpa, cosa credi? Ma cosa ci faccio col senso di colpa? Non posso certo tornare indietro, non posso far finta di non amarti, di voler star con lei, non posso viaggiare nel tempo ed impedirmi di innamorarmi di te. A che mi serve sentirmi una merda?- si sentì svuotato dalla rabbia che ci aveva messo in quelle parole.
Avrebbe voluto prenderla per le spalle, scuoterla, farle capire che non avrebbe risolto niente non stando insieme a lui, che avrebbero solo sofferto anche loro.
-Non posso causarle altro dolore...- sussurrò lei, sfiorandogli una mano.
-E preferisci causarlo a te stessa?- rispose lui, prendendogli la mano nella sua – E a me?
-Non so cosa fare- rispose lei, accorata.
-Provaci, Kaja. Stai con me- appoggiò la fronte alla sua e la guardò negli occhi -Amami...-sussurrò lasciandosi sfuggire una lacrima.
Lei lo guardò come se fosse la prima volta che lo vedeva, come se si fosse trasformato lì, davanti ai suoi occhi.
E fu un attimo, lei che lo stringeva, che posava le labbra sulle sue, che gli diceva “ma io ti amo”, che alla fine lo baciava senza più nessun freno.
Sentì lo stomaco contorcersi in uno spasmo ed il calore salirgli dalla punta dei piedi fino ai capelli.
La cinse a sé con forza, quasi aggrappandosi a lei, e ricambiò il suo bacio, si perse sulle sue labbra, al contatto con la sua lingua.
Aprì gli occhi per poterla vedere, mentre lo baciava, mentre si perdeva dentro di lui.
Era bellissima, gli mozzava il fiato, con i suoi occhi chiusi, col volto rosso, con l'aria sognante.
E la consapevolezza di essere lui a farle quell'effetto lo riempiva, completamente.
Sentì le labbra sfuggire dalle sue e fu costretto ad allontanare leggermente il viso.
La guardò mentre si mordeva le labbra, cercando di riprendere fiato, mentre gli accarezzava una guancia con la mano.
-Lei non deve saperlo- sussurrò sfiorandogli il naso.
-Non lo saprà- rispose lui, chiudendo gli occhi mentre le sfiorava una guancia con le labbra.
Lei annuì distrattamente e avvicinò nuovamente il viso al suo, gli sfiorò le palpebre degli occhi con le labbra, una ad una, gli sfiorò il naso, una guancia, gli angoli della bocca, scese lungo la mandibola, gli baciò il collo, scese ancora sfiorandogli la fossetta del giugulo.
Si ritrovò a deglutire sonoramente, cercando di controllare il calore che si stava spandendo per tutto il corpo, causandogli la sudorazione nelle mani ed il fiato corto.
Lei risalì lentamente verso le sue labbra e le catturò nuovamente, prendendo sempre più confidenza col suo corpo.
Lui tentava di tenere le mani a posto, di non osare troppo, ma alla fine non riuscì a trattenersi e la sollevò di peso, reggendole le gambe che lei aveva attorcigliato dietro la sua schiena.
Si mosse con sicurezza con lei in braccio, continuando a baciarla, e la fece sedere sull'isola della sua cucina.
Si insinuò sotto la sua maglietta, esplorando ogni centimetro di pelle che riusciva a toccarle, desideroso di scoprirla sempre di più.
Anche le mani di lei avevano iniziato a vagare sul suo corpo, sfiorando tutto ciò che riusciva a raggiungere, senza freni.
Prese possesso dei lembi della sua maglietta e la tirò verso l'alto, cercando di sfilargliela con mani incerte.
Lui si spostò leggermente, abbandonando le sue labbra, alzando le braccia così che gli potesse togliere liberamente la maglia di dosso.
Si ritrovò così a torso nudo, davanti a lei che lo guardava con le gote rosse d'imbarazzo.
Si avvicinò repentinamente e la tirò a sé, cingendole la schiena con un braccio.
Si guardarono per qualche secondo negli occhi prima di tornare a baciarsi con foga, come se non potessero fare altro.
Le mani di lei gli sfioravano la schiena, il collo, le clavicole, spostandosi senza sosta, fameliche.
Poi una sua mano si spostò sul suo petto ed esercitò una leggera pressione, costringendolo a distaccarsi.
-Non... non...
Gli sembrò come una bambina indifesa, con quello sguardo terrorizzato, e l'imbarazzo sulle guance. Capì a cosa stava pensando e gli venne quasi da ridere.
-Non stiamo per andare a letto insieme- sussurrò sorridendo, cercando di rassicurarla anche con lo sguardo.
-Io non...
-Lo so- rispose lui accarezzandole una guancia -E aspetterò che tu sia pronta, dovessero volerci anche cinquant'anni.
Lei sorrise, annuendo, prima di stampargli le labbra sulle sue.
-Se mia madre entra e ci trova così mi rinchiuderà per sempre in camera.
Rise e la lasciò andare per recuperare la maglietta.
Avrebbe voluto continuare a baciarla per sempre, senza sosta.
Gli accarezzò i capelli, ci infilò le mani dentro, e poi attirandola a sé la baciò ancora una volta.
-A domani- sussurrò sfiorandogli il naso col suo.
Un minuto dopo si ritrovò a camminare per strada, diretto a casa sua, con un sorriso da idiota dipinto sul viso.
 
 

 
L'aveva guardata entrare da quella porta timidamente, incerta e con un'aria che non avrebbe saputo definire, dipinta sul viso.
Si sforzò di non aggredirla, di non picchiarla, di non riversare tutto il suo dolore e la sua rabbia su di lei.
-Hey- le disse semplicemente e lei alzò le sopracciglia, come risposta.
Non aveva alcuna voglia di parlare, tanto meno con lei.
Se ne stava lì, seduta sul letto dalla parte dei piedi, a fissare la testata che aveva rovinato con le sue stesse mani.
-Noah mi ha detto che l'hai lasciato...
Sentire il suo nome uscire da quelle labbra le fece salire la nausea.
Cosa diavolo c'era andata a fare là? A gongolare della sua vittoria? Voleva vederla soffrire?
O voleva prenderla in giro anche lei, col suo finto senso di colpa?
-Era sconvolto.
Le venne da ridere, e lo fece, distogliendo gli occhi per posarli su quelli di lei.
-Sì, molto sconvolto- rispose, inacidita.
Kaja aggrottò le sopracciglia e si avvicinò, tentennante.
Charlotte si stupì di quanto fosse brava a recitare. Lo sapeva che se lui era andato da lei, se gli aveva detto che si erano lasciati, gli aveva anche rivelato i suoi sentimenti, a patto che non li conoscesse prima.
Perché tutta quella farsa?
-Come stai?- chiese lei, con incertezza.
-Bene, l'ho lasciato io.- rispose lei, ferma.
-Non potrei crederci neanche se me lo giurassi.
-Allora non chiedermelo- rispose di nuovo lei, dura.
-Mi dispiace... se potessi fare qualcosa per alleviare il tuo dolore io...
-Tu cosa? Lo faresti?- si voltò ancora verso di lei e sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
Quanta ipocrisia c'era dentro di lei, in quel momento.
Perché la trattava come una stupida? Credeva davvero che non lo sapesse o che le avrebbe fatto piacere averla accanto?
-Certo- rispose l'altra con voce tremante.
Charlotte non lo sapeva che lei aveva già fatto qualcosa per non causarle altro dolore. Lei aveva rinunciato a Noah a sua volta, solo per poterle essere vicino.
Ma a Charlotte non sarebbe importato in ogni caso, anzi. Lei l'avrebbe presa per scema.
-Beh, non puoi!- rispose  con voce stridula, scacciando le lacrime dal viso con un gesto di stizza.
-Mi dispiace... ma io voglio che tu sappia che sono qui, per te.
-Non me ne faccio niente della tua presenza!- si alzò dal letto e la raggiunse, velocemente.
La vide abbassare gli occhi in terra, la vide trattenere le lacrime, tremare davanti alle sue parole.
E riuscì a sentirsi in colpa per lei. E si maledisse perché doveva essere il contrario.
Aveva inferto, però, così tanto dolore a Kaja che ormai non riusciva più a prescindere da esso. Non riusciva più a ignorarlo, a non sentirsene responsabile.
-Ti prego, va via- sussurrò singhiozzando appena.
Lei uscì subito dalla sua camera, corse lungo le scale e si chiuse la porta alle spalle.
Riuscì a seguirla tramite i rumori mentre fuggiva da lei, da quella casa ricolma di rabbia e dolore.
E lei cadde in ginocchio, sconfitta, schiacciata dalla consapevolezza che, oltre sua madre, l'unica persona che avrebbe potuto esserle accanto era la stessa che impediva a Noah di stare con lei.
La voleva accanto a sé, voleva poterle parlare, voleva poter piangere sulla sua spalla, sfogarsi con lei, ed allo stesso tempo voleva odiarla, malmenarla, insultarla, incolparla per tutto.
Ma non poteva, perché era Kaja e perché non era colpa sua, non era colpa di nessuno di loro.
-Chi mi amerà adesso che non lo farai tu, Kaja?- sussurrò rivolta al pavimento.
Perché era quello che avrebbe voluto chiedergli, ma non l'aveva fatto.
Non era capace di chiedere amore, proprio come non era capace di darlo.

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note: pubblico perché Lallina mi ha pregato di farlo, LOL.
La parte su Charlie è in corsivo perché è un flashback rispetto alla scena Nojah.
Spero che vi sia piaciuto il capitolo che non ci sia niente di scontato e blablabla.
Io ho pianto come una deficiente. Ho pianto per Charlie, distrutta, ho pianto per Kaja combattuta fra il suo amore per lui e quello per lei, per la sua paura di spezzare per sempre il cuore della donna che ha amato. Ho pianto per Noah che si aggrappa a lei come se fosse il suo ossiggeno, per quell'amami sussurrati, per quella supplica, per il suo bisogno di sentirsi suo, di sentire il suo amore sulla pelle.
Ho pianto per lei che si abbandona a lui, che per la prima volta si sente amata completamente, per il primo bacio che da ad una persona che ricambia i suoi sentimenti.
E' un po' come avere dei figli, scrivere una storia. Ed io mi sono commossa per loro, perché li conosco, perché sono una parte di me.
Spero di avervi comunicato un millesimo del mio stato d'animo.
Al prossimo capitolo <3
PS: potete trovarmi nel mio buchetto personale "I'm a renegade it's in my blood".
Colgo l'occasione per ringraziare ancora chi mi sta seguendo, significa veramente tanto per me <3
Bea



(ps2 -che smemorata- il titolo è una rielaborazione del pensiero del padre di Noah sulle donne, LOL. Molto luogo comune, aggiungerei).

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Capitolo 37
*** 36. Tryin' to find air to breathe again ***


36. Tryin' to find air to breathe again


 
Aveva passato gli ultimi due giorni a non fare nulla, chiusa nella sua camera.
Non era andata a scuola per non dover incontrare il suo sguardo, per non vederlo guardare Kaja o magari stringerla a sé.
Ma si era logorata la mente cercando di immaginare cosa stesse facendo mentre lei lo pensava.
Non faceva altro che chiedersi se lui l'avesse pensata almeno una volta durante la giornata, se si sentiva in colpa per averle nascosto la verità, se avesse già rimpiazzato la sua figura con quella di Kaja.
Finiva sempre col piangere, in silenzio, lontano dagli occhi di chiunque.
Odiava non riuscire a far altro, odiava tutta quell'auto-commiserazione. Faceva parte di lei, ma lo odiava con tutta se stessa.
Il dolore era in grado di paralizzarla, di succhiarle via la vita, e non importava quanto ci provasse, non era in grado di uscirne da sola.
E questo non faceva altro che farla sentire debole. Non le era mai piaciuto essere fragile, mostrarsi tale, e aver bisogno di qualcuno che la sorreggesse sempre e comunque.
In realtà credeva di aver bisogno di qualcuno ma dentro se stessa lo sapeva che non era così: aveva vissuto anni col suo dolore, nascosto al mondo, in una famiglia che ne era la causa, e se l'era sempre cavata.
In un senso masochistico le piaceva crogiolarsi nel dolore, le dava la possibilità di non reagire, di non impegnarsi per cambiare le cose. Le dava una ragione per arrendersi.
Ma lei non si sarebbe mai arresa del tutto alla vita, lei era una che aveva sempre combattuto, con le unghie e con i denti.
Per lei arrendersi non era concepibile e rappresentava quasi una forza: la capacità di arrendersi; lei non ce l'aveva nel suo DNA ed era riuscita a farlo solo una volta.
Ci aveva lasciato Noah con la capacità di arrendersi, ma non per questo si sentiva meglio.
Aveva deciso che si meritava di più di una relazione falsa, basata su un'amore unilaterale. 
A cosa serviva averlo accanto se non l'amava, se la prendeva in giro, se lei ne era consapevole?
Sarebbe forse stata meglio con una bugia alle spalle, facendo finta di non vedere?
Avrebbe dovuto semplicemente aspettare che lui si stancasse della farsa che portavano avanti?
Non era disposta a farsi prendere in giro, a vivere ancora una volta dietro una bugia agli occhi del mondo.
Lei voleva la verità, l'amore reale, voleva che per una volta non dovesse nascondersi dietro qualcosa che non le apparteneva.
Era così stanca delle apparenze, di dover fare quello che si aspettava da lei.
Era stufa dei vestitini, del trucco da bambola, dei capelli sempre in ordine, di non dire mai una parola fuori posto, di essere perfetta in tutto e per tutto.
Lei non era perfetta, non c'era proprio niente di perfetto in lei, neanche l'unghia del mignolo del piede.
Ed era stufa che la gente non se ne accorgesse, che non riuscisse a passarle attraverso come in una radiografia.
Si alzò improvvisamente, scattando verso l'armadio, e lo aprì con violenza.
Tutto ciò che vedeva erano vestiti, decori floreali, colori pastello.
Le venne la nausea e una gran voglia di urlare.
Basta, era ora di finirla con le messe in scena, con le recite ogni giorno, con i sorrisi falsi mentre in realtà voleva solo disperarsi.
Afferrò le forbici dalla scrivania e si avventò su i suoi vestiti, tagliando a caso, strappandoli con le mani nude, squarciando tutta quella farsa, tutta quella perfezione.
Si era avventata sul suo armadio come una furia e non sembrava volersi arrestare.
-Cosa stai facendo?!- urlò sua madre entrando nella stanza.
In un'istante le fu sopra, la tirò indietro, le strappò le forbici dalle mani e la fissò come se fosse un mostro, un'estranea.
-Li odio, tutti!- esclamò lei prendendo un vestito a caso, fra quelli che erano caduti a terra.
-Io non sono questa- aggiunse sussurrando, con la voce rotta dal fiatone che si rese conto solo allora di avere.
Sua madre la guardò ancora, sconvolta, prima di piegarsi verso di lei e stringerla a sé.
-Compreremo dei vestiti nuovi- sussurrò accarezzandole la testa.
Lei annuì distrattamente lasciando andare il vestito rosa, che riconobbe essere quello che aveva indossato per una cena romantica con Noah, e spostò lo sguardo su di lei.
Era bella quel giorno, era truccata, era vestita con cura.
-Dove sei stata?- chiese rialzandosi da terra.
-A lavoro, dove vuoi che sia stata!
Aggrottò le sopracciglia, guardandola attentamente.
-Sei in ritardo... e sei vestita elegante.
Sua madre abbassò gli occhi in terra torturandosi le mani e lei capì, ricordò improvvisamente che giorno era.
-Sei stata da lui!- urlò, allontanandosi dalla madre con sguardo schifato.
-E' pur sempre mio marito!- si difese lei indietreggiando, quasi offesa da quello sguardo.
-No che non lo è! E' un fottuto criminale che ti ha picchiato e mi ha stuprata più di una volta!
Non vide sua madre avvicinarsi, non vide la mano che volava in aria e che le colpiva il viso.
Sentì solo l'impatto contro la sua guancia ed il dolore che ne scaturì.
-Non usare quelle parole davanti a me! Ed è pur sempre tuo padre. Sono andata a trovarlo perché era il suo compleanno, questo non significa che io lo abbia perdonato.
La guardò per qualche secondo, con gli occhi lucidi, e non la riconobbe più.
Sua madre, la fantastica donna che le era stata accanto in quegli ultimi mesi, era sparita di nuovo sotto quella stupida donnicciola troppo innamorata di suoi marito per accorgersi di tutto il resto.
-Ed io che credevo che Petra ti avesse fatto ragionare- sussurrò con la nausea che le saliva lungo la trachea, strozzandola.
Se la lasciò alle spalle, con una spallata, e scese velocemente le scale, lasciandosi quelle soffocanti mura alle spalle.
Si strinse nella felpa nera, tirò su il cappuccio ed abbassò gli occhi in terra.
Erano secoli che non indossava un normale paio di jeans, con delle comunissime ballerine.
Sembrava una ragazza qualunque, con i capelli raccolti in una coda di cavallo ed il viso struccato.
Inspirò l'aria fresca e si sentì più libera, più se stessa.
Affondò le mani nelle tasche alla ricerca dell' i-Pod ed infilò le cuffie, lasciandosi trasportare dalla riproduzione causale.
Non le importava del paesaggio che la circondava, delle persone che potevano vederla, nel pieno del pomeriggio, vestita come una fra le tante. Non le importava di nulla.
Avanzò a caso, ritrovandosi nel Parco vicino casa sua, ed i ricordi le invasero la testa.
Quel primo bacio con Noah, interrotto da una Kaja sconvolta, che sveniva proprio sull'entrata di quel posto, il pic-nic che avevano fatto insieme quando suo padre era finito in carcere, quella volta che Noah le aveva detto “ti amo”, sotto un albero su cui avevano inciso i loro nomi.
Si fermò improvvisamente e voltò lo sguardo a sinistra, trovandovi proprio quell'albero.
Si avvicinò titubante e ne sfiorò la corteccia.
Il loro passato non poteva cancellarlo, neanche tagliando via quei due nomi, quel cuore che li racchiudeva.
Raschiò le unghie contro la superficie ruvida del tronco e sentì il dolore riempirle il cervello, lancinante.
Le lacrime le invasero nuovamente gli occhi ma le ingoiò tutte, riportandole indietro con orgoglio.
Non voleva piangere ancora, non per lui.
Chiuse gli occhi sospirando e si voltò, poggiando la schiena sull'albero, cercando di recuperare la vana serenità che l'aveva invasa mentre lasciava la sua casa.
Quando riaprì gli occhi desiderò improvvisamente di poter diventare cieca o di poter rimuovere quelle immagini dalla sua memoria.
Li vide in lontananza, mentre lui le cingeva i fianchi, da dietro, e lei che rideva, felice.
La vide voltarsi verso di lui, cingergli il collo, posare le sue labbra su quelle di lui.
E si sentì morire.
Lui chiuse gli occhi e si abbandonò a quel bacio.
Il suo cuore perse un colpo.
Lei aprì gli occhi e lo guardò con dolcezza, accarezzandogli una guancia.
Le mancò il fiato.
Lui sorrise e le mimò le parole “ti amo”.
La testa iniziò a girarle vorticosamente.
Lei gli spettinò i capelli scherzosamente e sfiorò il suo naso col suo, suggellando quelle parole con un nuovo bacio.
Sentì le ginocchia cedere, il cuore esploderle nel petto, i polmoni bruciare, gli occhi allagarsi e divenire ciechi per le lacrime che li invadevano.
Si voltò verso l'albero, poggiò la fronte contro la corteccia e tentò di respirare, di riacquistare la calma.
Era vero ,era tutto vero.
E faceva più male vederlo che immaginarlo. Lui era felice, lei era felice.
E non importava quanto invece stesse male lei, quanto disperata fosse.
La cosa peggiore era che non riusciva a biasimarli, ad incolparli di tutto quello che le stava succedendo.
Ma perché il cielo continuava ad accanirsi contro di lei?!
Singhiozzò mordendosi le labbra per non lasciare che lo sconforto la prendesse.
Strinse con forza gli occhi fino a vedere tutto farsi grigio e quando li riaprì non vedeva più niente, solo un mondo appannato privo di contorni.
E la voce di Gerard Way a riempirgli le orecchie.
 
Sing it for the boys,Sing it for the girls
Every time that you lose it sing it for the world.
Sing it from the heart,Sing it till you're nuts,
Sing it out for the ones that'll hate your guts.
Sing it for the deaf,Sing it for the blind,
Sing about everyone that you left behind.
Sing it for the world, Sing it for the world.
 
Avrebbe voluto correre, lasciarsi tutto alle spalle, scappare da quel parco e non metterci mai più piede, ma non poteva, non poteva perché le sue stupide gambe non avrebbero retto, perché continuava a fare fisioterapia ma sembrava sempre tutto parecchio inutile.
Così fu costretta a nascondersi dietro l'albero, allontanarsi di spalle, col cappuccio sulla testa, e sparire lentamente da quel posto, come se non ci fosse mai stata.
Ma non avrebbe lasciato correre, non poteva.
Lei era andata a trovarla, le aveva offerto il suo aiuto e due giorni dopo se ne stava felice al parco a baciarsi quello che era il suo ex.
Dov'era la sua coerenza in quel momento? Credeva forse che non l'avrebbe scoperto in ogni caso?
Sentiva la rabbia roderle dentro, bruciarla come fiamma viva, annebbiando anche i suoi pensieri.
L'avrebbe aspettata pazientemente, sulle scale davanti casa sua.
E quella volta gliel'avrebbe strappata dalle labbra la verità, non poteva nascondersi ancora una volta dietro una bugia, dietro una realtà celata.
Alzò il volume della musica, lasciandosi trasportare da suoni confusi di chitarra e batteria e dalla voce gracchiante del cantante.
Quella canzone gliel'aveva fatta conoscere Kaja.
Lei non aveva un genere di musica preferito, non era un'amante di un particolare artista.
Si limitava ad ascoltare, a farsi trasportare.
Non importava come fossero dette le cose, a lei piacevano le parole delle canzoni, i messaggi che volevano passarle.
Infilò le mani nelle tasche e si sedette sulle scale nel portico di casa Berger.
Non le importava un fico secco che si sarebbe sporcata i jeans, che probabilmente sembrava una barbona, col cappuccio sulla testa. Non le fregava niente dell'opinione degli altri.
La vide arrivare, da lontano. Riconobbe la sua andatura veloce ma calma, i suoi capelli neri che alla luce del sole assumevano le sfumature del cioccolato, i suoi occhi verdi che guizzavano di felicità. E la odiò con tutta se stessa.
-Charlie!- disse quella, sorpresa, quando la scorse sulla porta di casa.
-Hey- rispose lei semplicemente, togliendosi le cuffie dalle orecchie, pronta ad affrontare quella conversazione.
-Che ci fai qui?
-Ho bisogno di parlarti.
Lei la guardò confusa, per un attimo, aggrottando le sopracciglia come faceva sempre quando era insicura sulla direzione che stava prendendo una discussione.
-Di cosa?- chiese abbozzando un sorriso mentre si sedeva accanto a lei.
-Ti ho vista.
Lei la guardò ancora perplessa, aggrottò ancora le sopracciglia ed aprì la bocca, probabilmente per chiederle cosa intendesse.
Ma lei balzò in piedi prima e la guardò furente.
-Ti ho vista, prima, al parco. Con Noah- le parole le uscirono veloci, in un soffio.
Vide il suo viso mutare, secondo dopo secondo, e l'incertezza vi si fissò sopra.
Avrebbe voluto strapparle quell'espressione dal viso a suon di schiaffi.
-Non so cosa tu creda di aver visto ma...
-Ti prego, risparmiatela Kaja!- la interruppe lei, sentendo il calore montarle al viso – Ho visto le tue labbra incollate alle sue. Ed è esattamente quello che sembra!
Sentì la rabbia montare di nuovo, inacidirle il cuore, avvelenando le sue parole.
La guardò lì, seduta sulle scale, piccola come uno scricciolo, incapace di proferire parola.
-Con quale coraggio sei venuta ad offrirmi il tuo supporto? Sei tu la causa del mio dolore!- sentì gli occhi bruciare e si ritrovò a piangere, per l'ennesima volta.
Kaja sussultò a quelle parole ed abbassò in terra gli occhi, incapace di guardarla.
L'aveva notato che aveva usato quasi le sue stesse parole, di qualche mese prima?
L'aveva capito che i loro ruoli si erano invertiti, che ora era lei a soffrire?
Lei in quelle baggianate sul karma non c'aveva mai creduto prima di allora. Ma ora ci credeva eccome.
-Il karma fa schifo.- disse in sussurro distogliendo lo sguardo.
-Mi dispiace io... non posso farci niente Charlie... io lo amo...
Rise, di gusto, indietreggiando, alzando gli occhi al cielo.
Ah, certo, l'amore! L'amore intramontabile di Kaja Berger che si era spostato in breve tempo su tre persone diverse.
-Come amavi me?- chiese a bruciapelo, con cattiveria -Dicevi di amarmi, Kaja. Te lo sei scordato?!- quasi la urlò quella seconda frase, sentì la gola farle male, pulsarle sotto il peso della sua rabbia.
-Infatti è così! Io ti amavo... è stato un fulmine a ciel sereno, io...
Lei rise ancora, incredula, schernendola.
La vide alzarsi, avvicinarsi, guardarla seriamente, tesa.
Le leggeva la rabbia negli occhi, non le piaceva essere derisa, non le piaceva il modo in cui la stava trattando, lo sapeva. Ma non avrebbe smesso affatto di farlo.
-Ti accontenti degli scarti altrui?- sibilò fra i denti, avvicinando il suo volto a quello di lei.
-E' così che lo vedi?- chiese lei, impallidendo -Come uno scarto?- proseguì mentre l'indignazione le si dipingeva sul viso. -E' stato solo qualcuno da usare?! Diamine Charlie, è una persona! Ed è anche una delle migliori che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita!
Lo sapeva, cavolo. Lo sapeva che era una persona, che era quanto di meglio esistesse al mondo, sapeva che se l'era lasciato scappare dalle mani e proprio non ci riusciva a perdonarsi.
-Lo so...- sussurrò mentre le si annebbiava la vista.
Non sentì quello che l'altra le rispose, le voltò le spalle e se ne andò.
Non voleva essere rincorsa, seguita, abbracciata. Non voleva niente e  Kaja lo sapeva, perché non fece nulla di tutto questo: si arrese, semplicemente.
La verità era che si sentiva in colpa, che odiava se stessa e cercava di mascherare tutto riversando la rabbia sugli altri.
Lei non voleva sentirsi responsabile, voleva essere la vittima della situazione, voleva poter biasimare qualcuno per il torto che aveva ricevuto, voleva poter avere qualcuno da odiare e da distruggere.
Ma nel tentativo in realtà distruggeva solo se stessa e quello che rimaneva della sua vita.

 

 
-Ci ha visti- dissi con voce tremante, cercando di non farmi sfuggire il cellulare dalle mani.
-Chi?
-Charlotte... ci ha visti al parco- mi scappò un singhiozzo accorato e mi lasciai cadere sul divano di casa.
-Non piangere- rispose lui, col senso di colpa nella voce.
-Non lo sto facendo- mentii, asciugandomi il viso.
-Prima o poi l'avrebbe scoperto...- rispose lui, titubante -Cosa vuoi fare?- chiese poi, quasi accorato.
-Non lo so...- risposi , mordendomi il labbro inferiore.
Avevo voglia di lui, di stringerlo a me, di sentire le sue mani su di me, di baciare le sue labbra, di averlo tutto per me.
Ma allo stesso tempo mi sentivo morire all'idea che lei sapesse tutto, che si ritrovasse da sola in un momento come quello.
-Arrivo- disse repentinamente lui, riagganciando il telefono.
Noah odiava le comunicazioni per telefono, odiava dovermi convincere, dovermi parlare tramite un apparecchio freddo come quello.
Preferiva guardarmi negli occhi, prendermi per i fianchi, stringermi a sé, e tutto il resto.
Lo aspettai pazientemente, seduta sul divano, torturandomi le mani.
Quando sentii il campanello suonare mi precipitai subito alla porta e me lo ritrovai davanti, con un'aria sconvolta.
-Avevi detto che non lo doveva sapere, così tu potevi starle vicino. Ma ora lo sa, non puoi più starle accanto, non ci sono motivi per non stare con me- disse tutto d'un fiato, entrando velocemente dentro casa.
-Lo so hai ragione- dissi seguendolo con lo sguardo.
-Quindi non puoi proprio mettere fine a tutto adesso, perché ci sono milioni di ragioni per cui dovremmo viverci questo sentimento.
-Sono d'accordo.
-Quindi non ci provare a lasciarmi, perché non risolverà affatto la situazione!
-Ho detto che sono d'accordo!
Gli presi il viso fra le mani e lo guardai negli occhi, cercando di dare una calmata al flusso dei suoi pensieri.
Non aveva ascoltato neanche una parola di quello che avevo detto.
Ero certa che si fosse preparato il discorso lungo la strada.
-Sei d'accordo?- chiese lui, quasi sorpreso.
-Certo- risposi ridendo.
Lui sospirò, sollevato e poggiò le mani sulle mie, prima di stamparmi un bacio sulle labbra.
Proprio in quel momento sentimmo le chiavi entrare nella toppa e ci ritrovammo con mia madre dentro casa, mentre eravamo ancora a un soffio l'uno dall'altra.
-Che diavolo sta succedendo qui?
Mi allontanai immediatamente da Noah e mi morsi il labbro inferiore, nervosamente.
Come glielo spiegavo a mia madre tutto quello che era successo in così poco tempo?
Le parole mi morirono in gola e non riuscii a pronunciare neanche una sillaba, non dissi nulla neanche quando Noah prese in mano la situazione raccontando per sommi capi la situazione a mia madre.
Aveva imparato a conoscerla col tempo e sapeva che fra noi non esistevano grandi segreti. Per questo non si era fatto problemi a dirle tutto, saltando i dettagli futili.
Lei rimase immobile nella sua posizione, con lo sguardo fisso su di me, accigliata.
Mi sentivo schiacciata da quegli occhi.
-Perché non me l'hai detto?- chiese, infine.
-E' successo tutto così in fretta che...
-Va bene- disse lei interrompendomi -Ma questa casa da ora in poi è off-limits per te- alzò lo sguardo su Noah e lo guardò intensamente -Almeno quando non ci sono io.
Lui annuì sorridendo e, ringraziando, uscì di casa.
Sapevo che avrebbe voluto salutarmi con un bacio, proprio come avrei voluto io, ma che non l'aveva fatto per non infastidire mia madre.
Lei si limitò a guardarmi con aria di rimprovero per qualche secondo prima di sorridermi, divertita.
-Voglio i dettagli!- esclamò improvvisamente avviandosi verso la cucina.
Avevo una mamma fantastica, dovevo ammetterlo.

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note: hello! :3 è passata una settimana ed ecco il nuovo chappy <3
Il prossimo lo devo ancora scrivere, purtroppo. Perché la fase iperproduttiva si è ammortata un po' XD Dato che devo dedicarmi agli esami, LOL.
Petra è una donna fantastica <3 Non smetterò mai di dirlo hahahah XD
Spero che il POV di Charlie vi stia piacendo, a me piace davvero scriverlo. Le sto dando spazio perché se lo merita ma anche perché non voglio lasciarla nel dimenticatoio mentre gli altri due si divertono xD
Quindi il prossimo chappy l'ho strutturato in due parti: una Nojah ed una con Charlie, che affronterà un capitolo della sua vita, poi capirete cosa intendo X3
Ci leggiamo al prossimo chap **
Grazie a tutti, di cuore,
Bea


(ps: la canzone che ascolta Charls è questa: Sing; My Chemical Romance)

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Capitolo 38
*** 37. I could go to Hell for you ***


37. I could go to Hell for you




Avevo perso il conto dei minuti che avevo passato in quella posizione, timorosa persino di chiudere gli occhi o di respirare troppo forte.
Non riuscivo a capacitarmi che stesse accadendo davvero, che quella fosse la mia vita.
Allungai una mano, titubante, quasi avessi paura che toccandolo avrei potuto far svanire tutto, come in un sogno.
In effetti quello sembrava uno dei miei soliti sogni, uno di quelli da cui mi risvegliavo sempre confusa e agitata.
Gli sfiorai una guancia, trattenendo il respiro, attenta a non svegliarlo.
Mi piaceva vederlo dormire, mi piaceva seguire il suo respiro lento e profondo, mi piaceva sentirlo così vicino, poterlo sfiorare in qualsiasi momento.
Dopo circa un'ora di suppliche ero riuscita a convincere mia madre a farlo restare per la notte, lì con me.
Lo sapeva anche lei che non avremmo mai fatto nulla di intimo con lei nell'altra stanza, ma si ostinava a far la parte della madre severa.
Mi attardai qualche secondo di troppo sul suo viso e lui aprì lentamente gli occhi, mettendo a fuoco la stanza.
-Non volevo svegliarti-sussurrai, intrecciando le gambe alle sue.
Lui si voltò lentamente verso di me e mi sorrise, sfiorando il suo naso col mio.
-E' decisamente un ottimo risveglio- rispose lui, prima di poggiare le labbra sulle mie, delicatamente.
Risi allontanandomi dal suo viso, guardandomi attorno.
-Che c'è?- sussurrò ancora, cercando i miei occhi.
-E' strano... sembra tutto così diverso...
Riportai lo sguardo su di lui e abbozzai un sorriso, spostandogli i capelli dal viso.
Lui aggrottò le sopracciglia con aria interrogativa e mi strinse più forte a sé, poggiandomi una mano sul fianco.
-Tu, io... noi... e'... strano
Sorrise, giocò col mio naso e mi schioccò un bacio sulle labbra.
-Cos'è strano, questo?- poggiò ancora le sue labbra sulle mie -O questo?- continuò baciandomi il mento -Oppure questo?- chiese prima di baciarmi il collo.
Quando mi sfiorava così, quando mi baciava, mi sentivo ribollire, avvampare. Tentai di mascherare tutte le sensazioni che riusciva a darmi, ridendo.
-Smettila!- ridacchiai, cercando di scansarmelo di dosso mentre lui continuava a scendere con i suoi baci.
Si fermò un'istante, cercò il mio sguardo e poi tornò a baciarmi sulle clavicole, spostandosi il più possibile, fino ad incontrare il bordo del pigiama.
-Dai, smettila- dissi ancora, più seria.
Lui continuò a scendere, lentamente, fino ai fianchi e al bordo della maglia che sollevò delicatamente.
Le sue labbra si poggiarono sulla mia pancia e la sfiorarono, quasi incerte.
Le sue mani salirono lentamente verso la fine dello sterno, portandosi dietro la maglietta.
Non ebbi la forza di provare a fermarlo ancora, riuscii solo a guardarlo mentre prendeva confidenza col mio corpo.
Salì ancora e mi ritrovai quasi senza maglietta, con le sue labbra che sfioravano tutto quello che incontravano.
Sentii il rossore impadronirsi delle guance ed il sudore bagnarmi le mani.
Mi mancò il fiato quando una sua mano mi sfiorò il seno, mentre le sue labbra sfioravano il bordo del reggiseno.
-Mia madre...-sussurrai, quasi inconsapevolmente.
Lui si arrestò improvvisamente, posò gli occhi su di me e sorrise, annuendo.
Mi tirò giù la maglia, continuando a sfiorarmi delicatamente la schiena ed i fianchi, e catturò ancora le mie labbra. Sembrava non averne mai abbastanza.
Gli gettai le braccia dietro al collo e lo trattenni sul mio viso. Avevo ancora addosso quella paura che potesse svanire da un momento all'altro, che si sarebbe sciolto fra le mie braccia sbattendomi in faccia la realtà.
-E' un sogno?- sussurrai, chiudendo gli occhi mentre gli sfioravo il naso col mio.
-No- sussurrò lui accarezzandomi i capelli.
Sorrisi scuotendo la testa e gli stampai un altro bacio sulle labbra.
Quasi caddi dal letto quando mia madre bussò rumorosamente alla nostra porta.
-Posso entrare?
La sua voce risultò più acuta del solito e mi venne da ridere al pensiero di lei, dietro la porta, timorosa di entrare e di trovarsi davanti sua figlia in posizioni compromettenti.
-Certo che puoi entrare- dissi, lasciando andare Noah.
Ci mise qualche secondo ad entrare e lo fece molto lentamente.
Le sorrisi con dolcezza e abbandonai il mio letto, andandole incontro.
-Buongiorno!- la salutai con un bacio sulla guancia e spostai gli occhi su Noah che si era seduto sul letto, impacciato.
-La colazione è pronta- disse mia madre, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.
Mi voltai verso Noah e risi, guardando la sua espressione imbarazzata.
Fare colazione con mia madre e Noah fu strano, gli occhi di lei continuavano a vagare per la stanza, posandosi a tratti su di me e su di lui.
Riuscivo a leggerle in viso le mille domande che le attraversavano la mente, senza che lei osasse porle veramente.
Noah era estremamente impacciato e silenzioso, non mi sfiorava neanche con lo sguardo, con lei pronta a catturare ogni nostro movimento.
-Signora Berger...- proruppe improvvisamente, mentre mia madre si alzava dalle sedia per mettere nel lavandino la sua tazza di caffè.
Vidi le sue sopracciglia alzarsi, stupite, e mi venne da ridere.
-Noah, mi hai sempre chiamato Petra, non c'è bisogno di darmi del lei.- sorrise, dolcemente, e gli diede le spalle, apparendo molto più rilassata di quanto non fosse qualche secondo prima.
Posai lo sguardo, confusa, su Noah e lo vidi tentennare sulla sedia.
-Ok...- fece una pausa – Petra- un'altra pausa imbarazzata mentre mia madre si girava verso di lui, improvvisamente curiosa -Volevo chiederti il permesso di portare fuori Kaja per mezza giornata.
Mia madre rise, rise di gusto, mentre Noah arrossiva, quasi impercettibilmente, accanto a me.
-Da quando mi chiedi il permesso di portarla fuori?- rispose mia madre, avvicinandosi -E comunque non c'è bisogno che io vi dia il permesso di fare qualcosa, trovereste in ogni caso il modo di farla lo stesso. Sono stata adolescente anch'io.
Sorrisi e strinsi la mano di Noah, posata sul tavolo.
Mia madre aveva ragione, lo sapeva anche lui, ma riuscivo a vedere quanto avesse apprezzato quel gesto da parte di Noah, quel bisogno di approvazione che aveva nel rivolgerlesi.
-Dove la vuoi portare, comunque?- chiese qualche istante dopo, curiosa come una bambina piccola.
Lui sorrise, mi guardò per qualche istante, con i suoi occhi furbi, e rispose, enigmatico:
-In un posto dove potremo rilassarci e stare un po' da soli.
Alzai un sopracciglio, confuso, chiedendomi quante interpretazioni diverse potesse avere quella frase.
Spostai lo sguardo su mia madre e la vidi annuire, leggermente accigliata.
-State attenti- disse improvvisamente, prima di uscire dalla stanza.
Sperai vivamente che non mi avrebbe fatto il “discorso” che mi ero già subita da piccola e che mi era bastato per altre venti vite.
Non ci tenevo a sentir ancora parlare di malattie veneree e cose del genere, soprattutto con mia madre.
-Sei impazzito?!- chiesi sottovoce, dandogli una gomitata.
-Perché?- chiese lui, guardandomi confuso.
-”In un posto in cui potremo rilassarci e stare un po' da soli”- sussurrai, scimmiottandolo.
Lui mi guardò perplesso per qualche secondo e poi scoppiò a ridere, divertito da chissà che cosa.
-Pensi che tua madre stia pensando ad un motel o una cosa del genere?- chiese, non riuscendo a smettere di ridere.
Mi strinsi nelle spalle e abbassai lo sguardo in terra, accigliata.
Mi prese il mento fra le mani e mi costrinse a guardarlo.
-Non gli direi mai una cosa del genere con tanta leggerezza... E non ti porterei mai in uno squallido motel per fare l'amore con te, per la prima volta- lo disse in un soffio, serio, fissandomi dritto negli occhi.
Sentii il fiato mancarmi, la terra vacillare sotto i piedi, ed il desiderio di vivere quella prima volta gonfiarsi al centro del petto.



Non riusciva a smettere di sorridere mentre lei infilava vestiti alla rinfusa in una borsa.
Ogni tanto lo guardava con aria contrariata, sbuffava e tornava a frugare dentro l'armadio, alla ricerca di chissà che cosa.
Gli piaceva guardarla, vederla inarcare le sopracciglia, mordersi il labbro inferiore, corrucciarsi.
Era bella oltre ogni dire, e non era una questione di aspetto fisico, andava tutto oltre con lei.
-Non ridere di me!- esclamò improvvisamente lei, poggiando le braccia su i fianchi.
Decise di spostarsi dal letto, di raggiungerla, di baciarla dolcemente.
Ora che poteva farlo non riusciva a smettere, aveva sete di lei come si ha sete d'acqua in una giornata torrida sotto al sole.
Lei era la sua acqua, ne aveva un bisogno costante e insaziabile.
-Smettila di baciarmi per farti perdonare- continuò a protestare lei, sussurrando con poca convinzione.
-Porta un costume- rispose lui, abbandonando definitivamente le sue labbra.
La osservò corrucciarsi di nuovo e gli venne da ridere.
Kaja era completamente diversa da Charlotte, le ci erano voluti dieci minuti per prepararsi e per uscire di casa.
Era una ragazza che si adattava facilmente alle novità, era duttile e pronta a nuove esperienze.
Charlotte era una ragazza che non riusciva ad essere flessibile, che aveva sempre paura di tutto, di qualsiasi cosa.
Kaja era come una ventata d'aria fresca nella sua vita, qualcosa di nuovo.
Le cinse un fianco mentre camminavano verso la solita fermata dell'autobus, ormai sembrava essere diventato il loro posto.
Lo fece sorridere l'idea di avere un “posto” con lei, di poter guardare quella città e poter collegare la sua figura a mille luoghi diversi.
-Presto prenderò la patente e non saremmo più costretti a salire su autobus puzzolenti.
Lei lo guardò in silenzio per un secondo, poi spostò lo sguardo sull'autobus che si avvicinava lentamente a loro, in frenata.
-Non è poi così male- gli rispose, sorridendo.
A Noah non erano mai piaciuti i mezzi pubblici ma con Kaja al suo fianco tutto appariva più bello, migliore di quanto non fosse mai stato.
Persino quell'autobus puzzolente gli sembrava una limousine ora, mentre lei lo stringeva ed ogni tanto gli rubava dei baci a sorpresa.
Si ritrovo quasi a sperare che quel tragitto durasse in eterno, concedendogli del tempo prezioso insieme.
Erano pochi i posti in cui potevano veramente stare insieme.
Il fatto che Charlie sapesse di loro non rendeva nulla più semplice, anzi. Kaja viveva con l’ansia che lei avrebbe potuto vederli e soffrirne.
Per questo uscivano raramente dalle quattro mura delle loro case, a volte si rintanavano in qualche cinema o in posti del genere, dove il buio era l’essenziale.
Era essenzialmente quello il motivo per cui aveva deciso di portarla in un posto dove potevano viversi in tranquillità, senza il terrore che lei sbucasse da un angolo e li scorgesse.
Lui non l’aveva più vista da quando si erano lasciati, non era più neanche andata a scuola.
La sua assenza lo faceva sentire tremendamente in colpa. Sapevano entrambi che si stava assentando da scuola per non doverli vedere assieme.
L’autobus si arrestò di colpo e quasi sussultò nel constatare che era arrivata proprio la loro fermata.
Fece cenno a Kaja di scendere e gli catturò una mano nella sua.
Scesero insieme, mano nella mano, lei con lo sguardo che viaggiava curioso sugli edifici, e lui che la sbirciava di nascosto, per cogliere ogni sua espressione.
-A cosa mi serve un costume nel bel mezzo della città?- chiese improvvisamente, guardandolo con aria corrucciata.
-Non siamo ancora arrivati!
Lei sbuffò, in modo bambinesco, e fece roteare gli occhi, fingendosi scocciata.
Sapeva che era solo immensamente curiosa e che quell’attesa la uccideva. Era proprio per quello che la teneva sempre all’oscuro di tutto. Lo divertiva vederla curiosare in giro, cercando risposte alle sue mille domande.
Quando finalmente si fermarono davanti ad una porta scorrevole lei alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta, visibilmente sorpresa.
-Un centro benessere?- chiese, quasi con voce squillante.
-Te l’ho detto che andavamo a rilassarci- si giustificò lui, alzando le spalle –Se non ti piace possiamo sempre andare da un’altra parte- aggiunse, scrutandola con finta aria contrita.
Lei alzò lo sguardo su di lui e sorrise, scuotendo la testa.
-Lo sai che non intendevo questo.
Fu lei ad entrare per prima, a trascinarselo dietro.
Lui aveva visitato quel Centro qualche giorno prima, si era fatto spiegare ogni dettaglio ed ora si limitava a seguire lei, ad osservarla mentre si guardava attorno, mentre chiedeva alla loro accompagnatrice qualunque cosa le passasse per la testa.
Si divisero per qualche minuto, per poter indossare i loro costumi, e si ritrovarono poco dopo nella sala benessere.
Era una stanza piuttosto grande, riservata solo a loro, che comprendeva diverse strutture.
Non gli interessava moltissimo seguire il percorso, rintanarsi dentro la sauna o il bagno turco con lei, ciò che gli importava era poter passare un pomeriggio in sua compagnia, in un posto che non apparteneva a nessuno dei due, che non avrebbe potuto influenzarli in alcun modo.
La ragazza li lasciò finalmente soli e Kaja lasciò scivolare lungo le braccia l’accappatoio, sfilandoselo del tutto qualche istante dopo.
Studiò il suo corpo lentamente, era in realtà la prima volta che la vedeva così spogliata, e rimase senza fiato.
-Smettila di guardarmi così!- esplose improvvisamente lei, rossa in viso.
-Sei stupenda- sussurrò lui, indugiando ancora su i suoi fianchi.
La scorse sorridere e si voltò, dandogli le spalle, cercando di sfuggire al suo sguardo.
In realtà lui continuò a fissarla, scorrendo con gli occhi l’incurvatura della colonna vertebrale, fino a posarsi ancora su i fianchi.
-Ti sento fissarmi!- disse ancora lei voltandosi.
-Scusa- rispose ridendo distogliendo finalmente lo sguardo per posarlo negli occhi di lei.
-Entriamo nella sauna- sussurrò lei, con un sorriso sul viso.
Noah in realtà aveva già abbastanza caldo con lei in costume, entrare nella sauna era un suicidio, ma la seguì lo stesso, desideroso di rendere quella giornata perfetta.
Il caldo secco della sauna era soffocante anche con solo dei boxer indosso.
Si stese su una tavola, senza perdere mai di vista Kaja che si era seduta dal lato opposto e che faticava a guardarlo per più di qualche secondo.
Era evidentemente imbarazzata anche se lui non riusciva proprio a capire perché.
-Rilassati- sussurrò allungando una mano, alla ricerca della sua.
Lei annuì, portandosi i capelli dietro la fronte, nervosamente, e si avvicinò a lui, tentennante.
La guardò dritto negli occhi ed ebbe l’impressione che lei fosse in apnea.
Non avrebbe saputo dire se fosse rossa in viso o meno, non essendo molto luminoso lì dentro, ma era certo che fosse profondamente a disagio.
-Cosa c’è? Se non ti piace questa situazione possiamo andare- aggiunse, sfiorandole una guancia.
-No, non è questo- sussurrò lei, stringendogli la mano che aveva poggiato sul suo viso.
La osservò mentre si spostava in avanti, facendosi sempre più vicina.
Poggiò le sue labbra sulle sue, quasi titubante, e lui ricambiò quel bacio con incertezza, quasi avesse paura di rovinare tutto, neanche fosse la prima volta che si baciavano.
Perse velocemente il conto dei minuti che passavano, dei baci che si scambiavano.
Non sapeva neanche a che punto si fossero spostati nel bagno turco, tantomeno come fossero finiti nella vasca idromassaggio.
Si rese improvvisamente conto di essere lì dentro con lei, mano nella mano, in assoluta calma.
Lei teneva gli occhi chiusi, la testa leggermente riversata all’indietro, respirava lentamente, dandogli l’impressione che si fosse addormentata.
Strinse con più forza la sua mano e sussurrò il suo nome, cercando di attirarla a sé.
Noah non riusciva mai a non preoccuparsi per lei, a non pensare subito al peggio, fu per quello che in quel momento, mentre lei non gli rispondeva, non riuscì a non farsi prendere dal panico.
La tirò per un braccio, la accolse fra le sue braccia e le accarezzò il volto con le mani che tremavano, senza controllo.
-Kaja, Kaja rispondimi!-
La vide aprire gli occhi e guardarlo come se fosse impazzito.
-Che c’è?- chiese sorridendo, sfiorandogli una guancia con la mano.
-Dio, mi hai fatto preoccupare!
La lasciò andare improvvisamente, allontanandosi da lei come se fosse veleno puro, e si passò una mano fra i capelli, recuperando il controllo.
Lei lo fissava, cercando di trattenere le risate.
-Hai mai sentito di una ragazza morta in un idromassaggio?- alla fine scoppiò in una risata divertita e lo raggiunse, costringendolo a guardarla negli occhi.
-Hai così tanta paura di perdermi?
Lo chiese in un soffio, con faccia seria, e si chiese se davvero non lo sapesse che sarebbe potuto anche andare all’Inferno per lei.
-Sì- rispose serio, prendendogli il viso fra le mani.
Il silenziò calò fra di loro appesantendo l’aria. Lei lo guardava quasi incredula, incapace di muoversi, lui non riusciva invece a non pensare che stesse sbagliando tutto con lei, che fosse tutto troppo presto.
Se la ritrovò improvvisamente addosso, le braccia dietro il collo, ed il suo naso che sfiorava il suo.
-Ti amo- sussurrò lei prima di baciarlo come non aveva mai fatto prima, trasportata da chissà che cosa.
Lui si lasciò baciare, sfiorandole i fianchi, trattenendola a sé.
-Voglio fare l’amore con te- aggiunse, staccandosi dalle sue labbra.
Si ritrovò a fissare i suoi grandi occhi verdi e sentì il fiato mancargli.
-Non voglio che sia…- la mano di lei si mosse veloce, gli premette un dito sulle labbra, troncando il suo discorso a metà.
-Voglio fare l’amore con te- ripeté, più seria, poggiando la fronte alla sua.
-Qui?- sussurrò lui, deglutendo con difficoltà.
-Non importa dove- rispose lei, affondando le mani nei suoi capelli.
-Voglio che sia speciale, per te- rispose, sfiorandole il naso col suo.
Lei annuì e suggellò quelle parole con un bacio.



Persino in quel momento, nel cuore della notte, non riuscivo a rallentare il battito accelerato del mio cuore.
Sentivo il suo sapore addosso, gli occhi che mi scrutavano, le mani che mi sfioravano.
Mi sembrava di vivere tutte quelle sensazioni come se lui fosse veramente lì con me, in quel momento.
Quasi cercai il suo corpo, accanto al mio, nel letto della mia stanza.
Ancora non riuscivo a capacitarmi di averglielo detto davvero, di essere riuscita anche a ripeterglielo.
Non riuscivo a chiudere gli occhi senza vedermi davanti i suoi occhi blu, che mi fissavano stupiti, le sue labbra leggermente socchiuse mentre cercava qualcosa da dirmi.
Mi poggiai una mano sul petto e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dal battito veloce del mio cuore.
Avevo bisogno di lui, di sentirlo vicino, di stringerlo a me e lasciarmi andare fra le sue braccia, ricambiando ogni suo bacio.
Un minuto senza di lui mi sembrava infinito.
E mi stupì perché era tutto nuovo per me. Non avevo mai provato sensazioni tanto forti con Charlotte.
Lei era sempre stata così distante ed irraggiungibile che vivere senza di lei era diventata quasi un’abitudine, qualcosa con cui potevo convivere tranquillamente.
Noah era tutto quello che Charlotte non aveva saputo darmi, era qualcosa di nuovo e anche di spaventoso.
Avevo paura, paura davvero. Non sapevo fin dove potessero spingerci i nostri sentimenti, non riuscivo neanche a quantificare quello che sentivo nei suoi confronti.
Mi addormentai così, quasi sentendo il suo respiro fra i capelli, le sue braccia intorno alla vita, il petto attaccato al mio, come se fossimo un unico essere.

blaaaaaaaaaaablabla! Eccoci finalmente al nuovo capitolo D: mi scuso per il ritardo ma un po' gli esami un po' l'incapacità di scrivere questo capitolo.
Mi rendo conto che non sia un granché. Non mi piace per niente ma non sono riuscita a fare di meglio e non volevo far attendere oltre D:
In realtà in questo capitolo doveva esserci una parte anche su Charlie, come avevo detto su FB. Ma l'ho spostata nel prossimo capitolo, auhahaha.
Ebbene sì, dopo trentasette capitoli: avremo una scena d'amore!
Madonna XD Mi sono dilungata troppo, me ne rendo conto xD
Il titolo è una "rivisitazione" del pensiero di Noah sull'Inferno :3
Poooooi boh... con questo caldo mi scordo anche le cose D:
Vi ricordo il mio gruppino di FB che condivido con la mia gemy <3 I'm a Renegade, it's in my blood
Al prossimo chappy **
PS: anche io sarei saltata addosso ad un Noah semi nudo, nella vasca idromassaggio, LOL.

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Capitolo 39
*** 38. Every choice you make will affect you ***


38. Every choice you make will affect you

 

Tutto l’imbarazzo era scemato lentamente, scivolando in terra assieme ai nostri vestiti, allontanato dalle sue mani, dai suoi baci, dalle sue carezze, dalle nostre gambe che si univano.
Avevo alzato lo sguardo sul suo viso, scrutandone l’espressione placida, cercando i suoi occhi, nascosti dietro alle palpebre socchiuse.
Mi stringeva ancora a sé, con un braccio intorno alle spalle, appoggiata sul suo petto, una mano che giocava a creare piccoli cerchi immaginari sulla pelle che incontrava sotto il suo retaggio.
Aveva aperto gli occhi improvvisamente e mi aveva fissato, serio.
-Ti amo- aveva sussurrato prima di staccarsi da me quel che bastava per potermi prendere il mento in una mano e baciarmi.
Eravamo in quel letto da circa due ore, completamente nudi l’uno davanti all’altra.
Fare l’amore non era come l’avevo sempre immaginato, trascendeva anche la congiunzione dei corpi.
Non era stato un limitarsi a scoprirsi, a perlustrarsi in tutto e per tutto; era stato donarsi fino all’ultima goccia, unirsi completamente all’altra persona concedendogli anche l’anima.
Non avevo più imbarazzo nel trovarmi lì con lui, completamente esposta ai suoi occhi. Perché gli avevo esposto la mia anima, tutto il mio essere, e lui l’aveva abbracciato completamente e senza alcuna riserva.
 
Quattro ore prima
 
Era stato strano parlare con lui, baciarlo, sfiorarlo, dopo quelle parole che gli avevo rivolto.
Aver espresso quel desiderio in realtà mi stava consumando lentamente. L’attesa mi annodava lo stomaco e mi riempiva la testa di timori che non avevo avuto quel giorno, dentro la vasca idromassaggio.
Non sapevo quasi niente del sesso, mi basavo sulle cose base che avevo sentito in giro, quelle che avevo letto on-line.
Era un discorso che avevo affrontato con mia madre, come tutti gli adolescenti della mia età, e ripensare a le parole che lei mi aveva rivolto mi metteva, se possibile, ancora più paura.
Avevo paura di sbagliare, di non essere all’altezza, di non riuscire a renderlo felice.
Erano paure normali, in realtà, ma mi sentivo una completa idiota a crearmi tutti quei problemi quando sarebbe dovuta essere la cosa più naturale del mondo.
Alzai lo sguardo su di lui, mordendomi il labbro mentre si guardava intorno alla stanza, alla ricerca di chissà cosa.
Continuavo a chiedermi se si fosse accorto dei miei comportamenti, delle mie paure.
Non riuscivo a far a meno di pensare che si stesse per tirare indietro, che non avesse alcun interesse nel protrarre oltre quella relazione.
-Ti metteresti un vestito per me?- chiese dal nulla, sorridendo.
-Un vestito?- alzai un sopracciglio ed istintivamente mi chiusi il corpo con le braccia, quasi per ripararmi dal suo sguardo.
-Per la precisione questo- disse tirando fuori dall’armadio un vestito verde smeraldo che non avevo mai visto prima.
-E quello da dove è uscito?
-L’ho portato qui di nascosto ieri- rispose ridendo, scuotendo la testa.
Come aveva fatto a sfuggirmi un vestito verde dentro il mio stesso armadio?
Annuii lentamente alzandomi per prendergli il vestito dalle mani.
-Perché vuoi che mi metta un vestito?
-Perché voglio portarti a cena in un locale di classe- rispose lui, alzando le spalle.
-E tu ci vieni in maglietta e jeans?
-Certo che no, vado a cambiarmi, scricciolo.
Posò il suo naso sul mio prima di stamparmi un bacio sulle labbra.
-Ti passo a prendere alle sette e mezza- aggiunse, prima di uscire dalla stanza, lasciandomi ancora confusa nel bel mezzo della camera.
Riportai gli occhi sul vestito estremamente elegante che tenevo fra le mani. Era decisamente qualcosa di inusuale per me e lui lo sapeva bene.
Improvvisamente mi colpì il pensiero che forse sarebbe successo proprio quella sera e che tutte le mie paure si sarebbero concretizzate in un solo istante.
Boccheggiai lasciando andare il vestito in terra e mi guardai attorno spaesata.
Ci misi dieci minuti buoni a convincermi che era una cosa che dovevo affrontare in tutta tranquillità e che se non mi fossi sentita pronta avrei comunque potuto tirarmi indietro.
Tutte quelle paure insensate sembravano farmi dimenticare che il ragazzo in questione era Noah, l’unica persona che non mi avrebbe mai fatto del male intenzionalmente e di certo non in quel modo.
Stavo ancora guardando la mia immagine allo specchio quando lo sentii suonare alla porta. Avevo tirato su i capelli in una coda molto morbida lasciando che i boccoli mi ricadessero sulle spalle e con l’aiuto di mia madre avevo risaltato gli occhi con dell’ombretto marrone.
L’immagine che avevo davanti era molto lontana da quello che ero solita vedere e non sapevo se sorridere al mio riflesso o se sentirmi a disagio nel sembrare qualcosa che non ero. Mi sentivo donna come non mi ero mai sentita prima.
Vidi i suoi occhi nello specchio e trasalii cercando di nascondere tutto il mio imbarazzo.
-Sei bellissima- sussurrò avvicinandosi senza staccare gli occhi di dosso dal mio viso.
Sorrisi imbarazzata abbassando gli occhi a terra.
Lui mi cinse i fianchi con le braccia e poggiò il mento su una mia spalla affondando il naso fra i miei capelli quasi cercasse di perdersi fra loro.
Alzai gli occhi sullo specchio e sorrisi vedendo quell’immagine riflessa di me e lui, stretti come nel migliore dei miei sogni.
-Allora, dove mi porti?
Lui sorrise lasciandomi andare improvvisamente ed evitò accuratamente di rispondere alla mia domanda porgendomi il cappotto.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo e mi arresi all’idea che l’avrei scoperto solo nell’istante esatto in cui saremmo arrivati, esattamente come al solito.
-Non sei un po’ cresciuto per divertirti ancora ad organizzare delle sorprese?- sottolineai seguendolo lungo le scale. Lui in tutta risposta scosse la testa.
-Non si è mai troppo grandi per le sorprese! Poi dovresti saperlo ormai…- si voltò verso di me e mi diede la mano per aiutarmi a scendere gli ultimi gradini –Ho la sindrome da Peter Pan- aggiunse prima di baciarmi la mano come avrebbe fatto un gentiluomo dei primi del Novecento.
Riuscii a stento a trattenere una risata e salutai con un cenno mia madre uscendo di casa accompagnata da Noah.
Mi sembrava tutto molto surreale e avevo l’impressione di essere finita indietro nel tempo.
Ero tanto immersa nei miei pensieri che quasi non mi accorsi che la macchina in cui stavo entrando non l’avevo mai vista prima.
-Aspetta… e questa?- chiesi sedendomi sul sedile affianco al guidatore.
-E’ la mia! Vedi che poi alla fine non sono un bambino come credi te?- disse ridendo mentre avviava il motore con un certo entusiasmo infantile.
Avevo quasi dimenticato che aveva preso la patente e non avevo certo pensato che quella sera mi avrebbe scarrozzato per la città con la sua nuova macchina scintillante.
-E’ un appuntamento ufficiale fra due adulti, questo- scherzò lanciandomi un veloce sguardo enigmatico che mi fece mancare l’aria per qualche secondo.
Quella semplice frase poteva implicare tantissime cose e la mia fantasia galoppava selvaggiamente nel silenzio dell’autovettura.
Mi imposi di respirare con calma fissando gli occhi sulla strada cercando di pensare ad una normale uscita fra una normale coppia di innamorati.
-Calmati- disse improvvisamente lui facendolo sembrare un ordine.
Mi voltai verso di lui e finsi un’aria confusa
–Come?
-Sei tesissima da quando ti ho detto che ti avrei portato a cena fuori. Non voglio che passi la serata a tormentarti Kaja.
-Non so di cosa tu stia parlando Noah, perché dovrei essere nervosa?- cercai invano di mascherare tutta la mia ansia ma mi resi conto di quanto tremula risultasse la mia voce.
Lui sospirò ed accostò la macchina improvvisamente; spense il motore e si voltò verso di me fissandomi seriamente.
-E’ solo una cena. Volevo fare qualcosa di carino ma mi rendo benissimo conto che tu possa aver frainteso tutto.
Abbassai gli occhi sulle mie mani ed iniziai a torturarmele dandomi dell’idiota per avergli fatto capire quali fossero le mie paure.
-Io voglio che tu ti senta sempre a tuo agio con me, che tu ti senta sicura e priva di paure. Non voglio far diventare un nostro appuntamento fonte di ansia e tormento, lo capisci?-
Annui debolmente e mi costrinsi ad alzare gli occhi su di lui.
-Non succederà mai nulla che tu non voglia- aggiunse sussurrando mentre mi accarezzava una guancia con delicatezza.
-Lo so- dissi d’un fiato sobbalzando sul posto –Non è questo… è che.
-Lo so- rispose prontamente lui –Lo so- ripeté guardandomi ancora con quel suo sguardo serio e rassicurante.
Abbozzai un sorriso ed annuii tornando a respirare normalmente.
-Siamo arrivati?
Lui rise ed accese nuovamente la macchina.
-No, ma ci siamo quasi.
Il ristorante davanti al quale Noah arrestò la macchina era uno dei più esclusivi, nonché costosi, di tutta la città. Avevo sentito mille volte ragazze della mia età parlarne con aria estasiata.
Aver cenato in quel ristorante costituiva motivo di vanto e suscitava le invidie di tutti gli altri.
Personalmente lo avevo sempre pensato come un ristorante qualunque ma in quel momento, con lui che mi teneva la mano, con un vestito indosso, mi sembrò il posto più bello che avessi mai visto.
L’entrata del ristorante non aveva nulla da invidiare a quella di una villa, ovunque voltassi lo sguardo vedevo persone vestite di tutto punto e camerieri, gioielli scintillanti e oggetti di inestimabile valore.
Avevamo un tavolo riservato più appartato rispetto agli altri e consumammo la nostra cena mano nella mano, guardandoci negli occhi tutto il tempo.
Quello che gli altri avrebbero considerato un silenzio imbarazzante per noi era il mondo, era carico di parole che non avevano bisogno di essere dette. Il nostro silenzio faceva un baccano assurdo dentro le nostre teste  .
Quasi non mi resi conto dello scorrere del tempo, mi sembrava di essere entrata lì dentro da dieci minuti quando ci portarono il dessert.
Avevamo finito di mangiare da qualche minuto quando lui si alzò per andare a pagare lasciandomi sola al nostro tavolo.
Da quando eravamo entrati non mi ero guardata più molto intorno e colsi l’occasione per osservare l’ampia sala in cui ci trovavamo. C’era un numero considerevole di persone e solo in quel momento mi accorsi del chiasso che facevano parlando.
Sorrisi fra me e me scuotendo lievemente la testa.
Se qualche anno prima, o anche qualche mese, mi avessero detto che un giorno sarei stata lì dentro con l’uomo perfetto ad estraniarmi da tutto il resto non ci avrei mai creduto. Non io, non a me.
Io non avevo mai desiderato qualcuno che mi portasse in posti del genere, non mi interessava andare in luoghi famosi, non volevo stare in mezzo a volti estranei pronti a giudicare ogni mossa fuori posto. Quello era il sogno mie coetanee, delle ragazze normali. Ed ora era il mio.
Lui tornò al tavolo con una rosa rossa fra le mani ed io non riuscii a trattenere una risata imbarazzata. Una rosa, per me?
-Grazie- sussurrai prendendola fra le mani e guardandola come se non avessi mai visto una rosa in vita mia.
-Ed ora cosa facciamo?- chiesi alzando lo sguardo su di lui.
Lo vidi accigliarsi per un secondo prima di alzare le spalle con noncuranza.
-Ti riporto a casa.
Aspettai qualche secondo prima di rispondere studiando attentamente l’espressione del suo viso.
-Riesco a capire anche io quando c’è qualcosa che non va in te- dissi all’improvviso poggiando la rosa sul tavolo.
-Cos’hai organizzato?
-Non importa- rispose lui sorridendomi mentre allungava il braccio per prendermi la mano.
Sospirai ed alzai gli occhi al cielo.
-Prima… in macchina…- iniziai titubante –Non mi stavo tirando indietro- lo guardai fisso negli occhi aspettando che cogliesse il significato di quella frase.
-Non importa- ripeté lui ancora seriamente.
-Voglio fare l’amore con te.-risposi seriamente, non curante del fatto che qualcuno potesse ascoltarci.
Lui abbassò gli occhi sul tavolo lasciandomi andare la mano.
-Perché?- sussurrò evitando accuratamente di guardarmi.
-Perché? Cosa cavolo vuol dire perché?- chiese, alzando leggermente la voce –Perché ti amo ecco perché!-
Lui sospirò alzando gli occhi su di me.
-E’ questo il problema, vuoi farlo perché mi ami…
Lo guardai come se fosse improvvisamente impazzito.
-Certo che voglio farlo perché ti amo, per quali altre ragioni dovrei volerlo?-
-Credo che tu voglia farlo perché pensi che sia io a volerlo e non vorresti darmi una delusione.-
-Noah, per favore- sospirai prendendomi la testa fra le mani –Cosa diavolo stai dicendo?- scossi vivacemente la testa –Non è questo il modo in cui voglio concludere questa splendida serata e tu lo sai. Hai solo paura… forse più di quanta ne abbia io.
Mi sporsi verso lui e gli strinsi le mani nelle mie, cercando il suo sguardo.
Lui sorrise scuotendo la testa prima di annuire con poca convinzione.
In realtà non saremmo andati molto lontano, scoprii, essendo che il ristorante faceva in realtà parte di un Hotel.
Salimmo in camera con notevole imbarazzo, tenendoci per mano. Ci fermammo davanti ad una porta e sorrisi leggendo il numero della camera “211”, come la stanza che aveva preso per me in quel paesino quel che mi sembrava un’eternità prima.
-E’ un caso?- chiesi cercando i suoi occhi.
-Assolutamente no- rispose subito lui prima di prendermi il mento fra le dita e baciarmi –Niente di questa serata è un caso- aggiunse aprendo la porta della nostra stanza.
Quello che mi trovai davanti era più simile ad un appartamento che ad una stanza d’albergo, era persino più bella dell’altra 211 in cui ero stata.
Spalancai la bocca guardandomi attorno: al centro della stanza c’era un grande letto a baldacchino con almeno dieci cuscini adagiati sopra, notai subito il cuore disegnato con i petali e lo spumante nel ghiaccio posato lì a fianco; nel lato opposto della stanza c’era una piccola vasca idromassaggio che mi ricordò subito la nostra prima esperienza in un’idromassaggio simile.
-Tu sei impazzito- dissi ridendo mentre posavo la borsa su una sedia lì vicino, assieme alla rosa.
-Ti piace?
Mi voltai verso di lui e sorrisi.
-Stai scherzando? A chi non piacerebbe tutto questo?- mi avvicinai e gli posai le labbra sulle sue –Ho proprio trovato l’uomo perfetto- sussurrai.
Mi cinse i fianchi con le braccia abbandonandosi ai miei baci ed io sentii subito lo stomaco contrarsi sotto il contatto delle sue dita.
-Aspetta- sussurrò, allontanandosi leggermente da me –Prima un po’ di spumante, no?
Annuii alzando gli occhi al cielo e presi il flute che mi porgeva, ricolmo di spumante.
-Non starai mica cercando di farmi ubriacare per entrare nelle mie mutande, vero?- scherzai prima di poggiare le labbra sul bicchiere ed inumidirle col lo spumante.
-Puoi scommetterci!- scherzò lui senza staccare gli occhi di dosso, come notai, dalle mie labbra.
-Smettila di guardami a quel modo!- dissi poggiando il bicchiere sul ripiano da cui lo aveva recuperato Noah.
-In quale modo?- chiese lui imitando il mio gesto, avvicinandosi per cingermi la vita.
-Come se mi stessi spogliando con gli occhi- sussurrai scherzosamente.
-Ma è quello che sto facendo- rispose lui toccandomi il naso con il suo fissandomi dritto negli occhi –Ti amo- aggiunse prima di chiudermi le labbra in un bacio.
Affondai le mani nei suoi capelli indietreggiando mentre lui mi spingeva delicatamente verso il letto. Ci muovevamo alla cieca, entrambi con gli occhi chiusi, e cademmo letteralmente sopra al letto quando riuscimmo a raggiungerlo.
Da quel momento in poi iniziò a diventare tutto surreale, come se non fossi io la ragazza in quella stanza, come se non fossimo noi a spogliarci velocemente nel desiderio di appartenerci sempre di più.
Quando mi ritrovai nuda sotto i suoi occhi sentii l’imbarazzo attorcigliarmi lo stomaco ed infiammarvi il viso. Nessuno mi aveva mai vista come mi stava vedendo lui in quel momento, nessuno mi aveva neanche lontanamente guardata con l’amore che riuscivo a leggere nei suoi occhi.
Lasciai vagare lo sguardo su di lui completamente nudo al mio fianco; avevo i suoi occhi incollati addosso e tutto quello che riuscivo a pensare era che non meritavo tutto quell’amore, tutte quelle attenzioni.
Persino in quel momento lui aspettò i miei tempi, aspettò che prendessi confidenza con il suo corpo e che smettessi di sentirmi a disagio mentre lui perlustrava il mio.
Fu guardando nei suoi occhi che tutto l’imbarazzo scemò lasciando spazio solo all’amore e alla passione del momento.
Il momento in cui i nostri corpi si unirono mi bloccò il respiro ed il cuore, non era niente di tutto quello che mi ero immaginata e mentre si muoveva delicato sopra di me non avevo più paura.
Riuscivo a leggere nel suo sguardo l’eccitazione e quella punta di paura che si portava dietro. Sapevo che aveva il terrore che io me ne pentissi o che quella notte non sarebbe stata perfetta abbastanza, sapevo soprattutto che aveva paura di farmi del male.
Nonostante l’inesperienza, nonostante l’inevitabile dolore, nonostante le nostre piccole insicurezze, quella fu la notte più bella della mia vita.
Sentii qualcosa cambiare dentro di me. Mi sentivo rinascere sotto il suo tocco e non avevo idea di quel che sarebbe veramente cambiato in me dopo quella notte, ma sapevo che sarei stata diversa.
Fino a quel momento ero stata solo una crisalide che aspettava il giorno in cui sarebbe nata e quella notte, con Noah al mio fianco, mi sarei trasformata nella farfalla che ero destinata ad essere.
Mi ritrovai a sospirare e gemere senza vergogna, senza preoccuparmi che qualcuno avrebbe potuto sentirci. Non importava niente oltre i nostri corpi che si univano e l’amore che ne derivava.
 
-Ti amo anche io- risposi sfiorandogli il naso con il mio.
Lo strinsi a me dolcemente poggiando la testa sul suo petto sperando che quel momento e quella serenità non passassero mai più.
-Grazie- aggiunsi sussurrando.
-Per cosa?
-Per questa notte… per il tuo amore… per tutto quanto
Alzai lo sguardo su di lui che mi sorrise e mi strinse più forte a sé poggiandomi le labbra sulla fronte.
-Grazie a te- rispose accarezzandomi una guancia.
-Vorrei che questo momento durasse per sempre.
-Abbiamo tutta la notte a nostra disposizione.
-E mia madre?
-Lei lo sapeva- sussurrò titubante.
-Sapeva che questa notte noi…?- sentii l’imbarazzo tornare e la vergogna insinuarsi nel mio cuore.
-Non esattamente… le avevo detto che avresti dormito fuori. Probabilmente se l’è immaginato.
Nascosi il viso sotto le coperte sussurrando un “non è possibile” cercando di non pensare a cosa mi avrebbe probabilmente aspettato quando sarei tornata a casa. Rispondere alle domande di mia madre sulla mia vita sessuale era l’ultimo dei miei desideri.
Come al solito fu Noah a trascinare via tutte le mie ansie e le mie paranoie. Passammo la notte a parlare, a sfiorarci con lo sguardo e con le labbra fino a quando non ci addormentammo entrambi.
La mattina, quando mi guardai allo specchio, riuscii a vedere il cambiamento che mi ero aspettata.
Ero sempre uguale ma c’era qualcosa di diverso in fondo ai miei occhi, riuscivo a scorgerlo ed ero certa che l’avrebbe visto anche mia madre e chiunque altro.
 

 

So many lies swarlin’ all around,
You’re soffocating,
The empty shape in you steals your breath,
You’re suffocating.
BREATHE.
(Breathe Today; Flyleaf)

 

 
 
Quella mattina si svegliò con un senso di vuoto in fondo allo stomaco che le impediva di respirare e persino di pensare.
Sentì l’ansia montare e la vista annebbiarsi come se stesse per svenire.
Si alzò di scatto e osservò la stanza girare freneticamente sempre più veloce finché non ricadde in terra con un forte senso di nausea che la invadeva.
Si portò le mani alla testa e cercò di recuperare la calma e di prendere aria regolarmente ed il più lentamente possibile.
Sentì scemare lentamente la sensazione di soffocamento ed il suo cuore smise di battere come se volesse separarsi per sempre dal suo petto.
Quando fu finalmente tutto finito si concesse il lusso di piangere sommessamente, ancora abbandonata in terra.
Non era la prima volta che le succedeva una cosa del genere, anzi.
Quando Aaron imponeva il suo desiderio sul suo corpo quella era sempre la conseguenza che si ritrovava ad affrontare. Il panico.
Da quando Noah aveva abbandonato la sua vita, portandosi via anche l’unica vera amica che avesse mai avuto, tutto era tornato a galla soffocandola.
Si era amaramente resa conto delle bugie che circondavano la sua esistenza, partendo dall’immagine di sé che proponeva agli altri.
Aveva bisogno di una chiusura, di risposte, di archiviare il passato in un posto irraggiungibile che non le avrebbe più fatto del male.
Finalmente riuscì a trovare la forza di alzarsi e di vestirsi. In testa aveva solo una cosa: quel giorno avrebbe fatto i conti col suo passato una volta per tutte.
Guardò da lontano la costruzione su i troni del grigio e del marrone che ospitava suo padre da qualche mese. Faceva fatica a pensare ad Aaron come a suo padre e si stupì di aver pensato a lui in quella veste.
Sospirò stringendosi dentro la felpa nera che aveva trovato infondo all’armadio ed avanzò non del tutto certa che quello che andava a fare avrebbe effettivamente aiutato la sua sanità mentale.
Attraversò il corridoio indicatole evitando di guardarsi attorno, non voleva portar via con se nessun’immagine di quel posto, non voleva vedere la sofferenza degli altri e lasciarsi condizionare da quest’ultima.
Lei non andava a visitare un caro parente, lei era lì per vedere il suo carnefice.
La stanza era grigia ed anonima ed assurdamente fredda.
C’erano circa dieci detenuti seduti in vari tavoli con dei familiari davanti, c’era chi sorrideva, chi piangeva, chi imprecava sommessamente.
Lei in tutto quel contesto si sentiva un pesce fuor d’acqua.
Si accomodò in un posto a caso e poggiò le mani sul tavolo grigio metallo che aveva di fronte.
Lo vide entrare, scortato da un poliziotto, e quasi non lo riconobbe: i capelli lunghi come mai li aveva visti, l’aria sfatta, la barba incolta. Era incredibilmente dimagrito e sul suo viso si dipingeva tutta la sua disperazione.
Riuscì a stento a non sorridere davanti a tutta quella decomposizione. Non riusciva a provare neanche un briciolo di pietà. Forse era un lato che li accomunava, neanche lui ne aveva mai provata per lei.
-Charlotte- disse lui con voce accorata, mentre le si sedeva di fronte.
-Aaron- rispose lei con voce piatta distogliendo immediatamente lo sguardo.
Le sue mani ammanettate si mossero verso le sue e lei le ritirò indietro con uno scatto spostando nuovamente gli occhi su di lui.
-Azzardati a toccarmi e giuro che ti stacco le mani a morsi davanti a tutti.-sibilò guardandolo con tutto l’odio che aveva covato in quegli anni.
Lui sembrò sorpreso e si tirò indietro, quasi temesse che lo avrebbe fatto comunque.
-Sei più bella senza trucco- disse improvvisamente, cercando di rompere il silenzio che si era creato.
Era evidente che si sentisse a disagio con lei che lo fissava a quel modo, senza più paure.
-Tu invece stai uno schifo- rispose lei  incrociando le braccia mentre faceva schioccare la lingua –E’ vero quello che dicono fuori?
Lui la guardò confuso e quando capì che non avrebbe continuato a parlare si decise a chiederle:
-Cosa dicono fuori?
-Che in prigione i pedofili vengono ripagati con la loro stessa arma- rispose lei in un soffio con un sorrisetto stampato sulle labbra.
Aaron ebbe paura di sua figlia per la prima volta in vita sua e si rese conto di aver creato un mostro. Quella ragazzina godeva del suo dolore, si divertiva a sfotterlo apertamente sapendo che ormai era irraggiungibile per lui, sapendo di essere protetta.
-Sì- rispose lui sussurrando.
-Bene.
-Sono tuo padre, Charlotte- cercò di ricordarle lui.
-Hai smesso di essere mio padre la prima notte che ti sei intrufolato nella mia cameretta.
Abbassò la testa  sospirando.
-Mi dispiace… Sono malato Charlotte, lo so adesso. Mi dispiace per aver fatto soffrire te e tua madre, potessi tornare indietro non lo rifarei.
-O forse sì- disse lei scuotendo la testa –Il punto è che non puoi tornare indietro, papà- sottolineò quella parola con disprezzo.
-So che mi odi in questo momento ma spero che tu un giorno troverai la forza di perdonarmi- alzò lo sguardo su di lei e sentì le lacrime bagnargli il viso.
-Non hai il diritto di piangere tu!- urlò lei improvvisamente spostandosi in avanti per guardarlo negli occhi –Io non ti perdonerò mai, mai! Spero che tu ci marcisca qui dentro soffrendo le pene dell’inferno!
Si tirò improvvisamente indietro e si asciugò con stizza gli occhi inumiditi. Sentiva il cuore sfondarle il petto, aveva voglia di urlare, di piangere, di picchiare Aaron fino a fargli supplicare di smetterla, come aveva fatto lui con sua madre.
Lui si asciugò gli occhi cercando di non piangere ma lei riusciva a vedere nei suoi occhi la sofferenza.
-Quando ti chiedevo di smetterla, quando- le tremò la voce e fu costretta ad aspettare qualche secondo prima di riprendere a parlare- quando ti supplicavo di non  farlo più, di non picchiare la mamma, di non urlare, provavi piacere?
-No
-E allora perché non hai smesso, perché?!
-Non lo so- rispose lui smarrito, come se non si fosse mai posto la domanda.
-Hai mai amato mia madre?
-Certo che l’ho amata.
-E allora perché le tue mani non l’hanno mai toccata con amore davanti ai miei occhi?
Lui non riuscì a rispondere, abbassò gli occhi in terra e si lasciò sfuggire un singhiozzo.
-Mi hai mai voluto bene?- chiese lei imperterrita.
-Ti amo più della mia stessa vita- rispose a stento lui, trattenendo un altro singhiozzando.
Lei lo schernì guardandolo con disprezzo.
-Se con tutto quell’amore sei riuscito comunque a distruggere tutta la mia vita non oso immaginare cosa saresti in grado di fare a qualcuno che odi- sentenziò alla fine stringendo con più forza le braccia al petto.
-Mi dispiace- sussurrò lui lasciandosi andare ad un pianto disperato.
-Non proverò pena per te, Aaron. Tu non ne hai mai provata per la tua famiglia. E’ questa la tua eredità, papà.- si alzò di scatto continuando a guardarlo con un odio crescente –E’ questo che ho imparato da te:  a non avere pietà per niente e nessuno, a distruggere tutto quel che amo e a lasciarmelo scappare da sotto il naso. Grazie mille.
Lo lasciò così, gli voltò le spalle e non si voltò mai più nella sua direzione.
Sentiva i suoi occhi appiccicati alla sua schiena, sentiva la sua richiesta silenziosa di perdono e sapeva che non sarebbe mai stata in grado di darglielo. Lei non sapeva dimenticare.
Quello fu l’ultimo giorno in cui vide suo padre e non visitò mai la sua tomba.
Aaron Schwarz morì una settimana dopo la sua visita, si impiccò nella sua cella dopo aver  lasciato una lettera per lei e sua madre in cui implorava ancora il loro perdono ed in cui diceva loro addio per sempre.
Charlotte sperava solo che sarebbe marcito all’inferno per il resto dell’eternità.

blablablablaaaaaaah: ebbene sì, eccomi qui! Sono più emozionata io di quanto ognuno di voi potrà essere XD
Sono finalmente riuscita ad uscire dal forte blocco che mi portavo dietro da Luglio! Mi viene quasi da piangere D:
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento **
Us usual, potete trovarmi su FB nel gruppo: I'm a Renegade, it's in my blood
Voglio ringraziare tutte le persone che hanno continuato a credere in me e che mi sono state vicine in questo momento di blocco. Soprattutto vorrei ringraziare le ragazze del forum che mi hanno spronato a continuare a non abbattermi, che si sono sorbite le mie pizze mentali, che sono sempre lì ad aiutarmi quando non so come andare bene avanti o come impostare una cosa.
Grazie, a tutti. Spero di poter aggiornare presto e dare a questa storia la degna fine che si merita.
Un bacio

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Capitolo 40
*** 39. I'm falling all over myself ***


39. I'm falling all over myself
 


Avevo il fiato mozzato dalla corsa che avevo intrapreso circa dieci minuti prima, zigzagando tra le persone cercando di non urtare nessuno, mentre provavo a raggiungere quella testa rossiccia in lontananza.
Ero uscita di casa circa un’ora prima per comprare il regalo per Chaz che avrebbe compiuto, e festeggiato, diciotto anni quattro giorni dopo.
Come al solito mi ero ridotta all’ultimo momento e mi ero ritrovata circondata da una marea di persone intente a fare shopping sfrenato, dovuto anche ai saldi.
Odiavo uscire di casa con una cifra ingente di denaro nelle tasche, avevo il terrore che qualcuno mi rubasse i soldi ed ero convinta di aver scritto sul viso il peso che mi portavo nei jeans.
Camminavo a testa bassa, con passo accelerato,  diretta al negozio di musica, quando sentii la sua risata.
Attirò la mia attenzione, anche in mezzo a tutta quella confusione, e quando alzai lo sguardo vidi il suo viso bianco distendersi in un piccolo sorriso. Era circondata da un gruppo di ragazze con cui non l’avevo mai vista prima.
La vidi allontanarsi con loro incapace di muovere anche il più piccolo dei muscoli delle gambe, pensai di gridare il suo nome ma non riuscii neanche a parlare tanto ero rimasta bloccata da quella visione. Per un attimo mi chiesi se non la stessi solo immaginando.
Poi vidi la sua chioma rossa sparire, inghiottita dalle teste delle altre persone, e iniziai a correre, senza pensare, dimenticandomi del regalo, dei soldi, di tutto quanto.
Correvo a perdifiato tra le persone cercando di raggiungerla. Avevo voglia di acciuffarla per un braccio e constatare che fosse reale e non solo un miraggio.
Le vidi bloccarsi improvvisamente davanti ad una vetrina ed arrestai la mia corsa cercando di riprendere fiato.
Mi avvicinai lentamente e spiai il suo viso nello specchio della vetrina: era lei, in carne ed ossa, che sorrideva al suo riflesso.
Quel sorriso si smorzò poco dopo, quando i suoi occhi si spostarono nel riflesso dello specchio e vi vide dentro il mio viso sconvolto.
Si voltò di scatto e mi guardò come se stesse vedendo un fantasma.
-Lotte- sussurrai allungando un braccio verso di lei.
La vidi ritrarsi e indietreggiare di un passo mentre abbassava lo sguardo a terra.
-Ciao- sussurrò incrociando le braccia al petto.
-Credevo fossi partita … non avevo idea che fossi …
-Sono tornata due settimane fa- disse lei, interrompendomi.
-Oh, non lo sapevo- sorrisi cercando di incrociare il suo sguardo –Credevo fossi un miraggio- aggiunsi con una piccola risata nervosa.
-Mi dispiace deluderti- rispose freddamente lei.
-Deludermi? No, sono felice di vederti! – risposi cercando di farmi scivolare addosso quella freddezza che non riuscivo a comprendere.
-Almeno una di noi due lo è- aggiunse lei sussurrando.
Mi morsicai il labbro inferiore cercando di non farmi colpire neanche da quella frase, anche se in realtà mi aveva provocato un dolore sordo al centro del petto.
Le sue amiche mi guardavano di traverso, senza intromettersi, ed una di loro in particolar modo mi fissava come se sapesse.
-Mi fa piacere trovarti bene- aggiunsi stringendomi nelle spalle.
Lei rise, schernendomi, ed alzò finalmente gli occhi su di me.
-Fammi un favore Kaja, se mi vedi di nuovo non avvicinarti, non parlarmi, non mi inseguire.
-Mi dispiace- sussurrai abbassando gli occhi a terra.
-Di cosa ti dispiace esattamente? Di avermi rivolto la parola o di avermi spezzato il cuore? O magari ti dispiace di avermi usata? – marcò con forza l’ultima parola mentre sentivo la rabbia crescerle dentro –Ah no, forse ti dispiace di avermi mandato tutte quelle mail in cui continuavi a parlarmi dell’altra donna che amavi, di quanto fossi fiera di lei e di come il rapporto fra voi stesse crescendo!
Mi incenerì con lo sguardo mentre una delle sue amiche le cingeva i fianchi con un braccio con fare consolatorio.
-Mi dispiace di tutto quanto- sussurrai ancora asciugandomi velocemente una lacrima che minacciava di precipitarmi sul viso.
-Ti prego, risparmiami la scena in cui piangi dispiaciuta perché ne ho avuto abbastanza delle tue lacrime in passato e se c’è qualcuno qui che dovrebbe piangere sono io.
Mi morsi il labbro inferiore cercando di recuperare il controllo ma non valse a tanto perché finii con l’aggredirla.
-Io ci tenevo a te, Lotte. Ci tengo tutt’ora e mi dispiace che questo tu non lo capisca. Non sentivo per te quello che tu volevi io sentissi ma questo non significa che abbia goduto nel farti del male! Quando te ne sei andata mi sono sentita morire e…
-Ci tenevi a me? Se è così che tratti le persone a cui tieni Kaja davvero non ho parole!- mi aggredì a sua volta interrompendomi mentre accorciava la distanza fra noi due.
-Non ho parlato con nessuno per più di una settimana dopo che te ne sei andata! Non riuscivo a fare altro che piangere e guardare una tua foto!
Lei si immobilizzò e mi guardò come se mi vedesse per la prima volta. Non riuscivo a sostenere quel suo sguardo così perso e fui costretta a spostare gli occhi sull’asfalto asciugandomi ancora una volta gli occhi, prima che le lacrime scendessero davvero.
Sentii la sua mano calda sfiorare la mia e rialzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
-Mi dispiace- ripetei sussurrando.
-Ti credo- rispose lei prima di stamparmi un bacio al lato della bocca, terribilmente vicino alle mie labbra.
Sentii il viso infiammarsi d’imbarazzo e lei sorrise compiaciuta notando la mia reazione.
-Tra una settimana parto di nuovo. Sono qui perché mio padre aveva delle commissioni da fare- aggiunse poi.
-Ah, capisco.
-Però magari possiamo scriverci, che ne dici?- mi sorrise, stringendomi la mano con forza.
Annuii e le stampai un bacio sulla guancia a mia volta.
La guardai allontanarsi con le sue amiche, che non avevano smesso di guardarmi in cagnesco neanche dopo la nostra riconciliazione.
Solo in quel momento mi ricordai del regalo di Chaz e raggiunsi velocemente il negozio di musica alla ricerca della chitarra elettrica perfetta.
Dave e Bent erano mesi che ci rimuginavano sopra e alla fine avevano optato per una nuova chitarra, regalo che sarebbe stato sicuramente apprezzato, e avevano finito per mandarmi da sola a scegliere il modello.
Finii con l’optare per una Ibanez modello GRG250DX. Il nero ed il rosso erano i colori preferiti di Chaz ed ero sicura che gli sarebbe piaciuta.
Uscii dal negozio più rilassata di quando ero uscita, con la chitarra sulle spalle ed il sorriso stampato sul viso.
 



Sentì il fiato mancargli ed il cuore perdere un colpo. L’avrebbe riconosciuta fra un milione di persone, con quei capelli rossi e quel sorriso perennemente malizioso.
I suoi occhi saettarono sulle loro mani strette l’una nell’altra e si sentì bruciare dentro di rabbia. Avrebbe voluto interrompere quella scenetta e fare una scenata davanti a tutti ma riuscì a contenersi.
Vide Lotte farsi avanti e poggiare le labbra sul viso di Kaja. Dalla sua posizione, non esattamente favorevole, poteva dire con certezza che la stesse baciando sulle labbra.
Aspettò che lei si tirasse indietro o che la allontanasse mettendo in chiaro la sua relazione con lui, ma non fu così.
Kaja rimase immobile nella sua posizione, non oppose resistenza, non si lamentò. Rimase lì, a farsi baciare, con una mano stretta nella sua.
Non riusciva a credere che gli stesse succedendo di nuovo, che qualcun altro ancora una volta stesse preferendo un'altra persona a lui.
Si sentì morire e senza aspettare oltre tornò su i suoi passi allontanandosi il più possibile da quel tradimento così palese e così inaspettato.
Aveva sempre pensato che Kaja fosse diversa, che fosse la persona giusta, che fosse veramente innamorata di lui. Essersi sbagliato così grossolanamente gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Non di nuovo, non ancora, non lei.
Senza riuscire a pensare coerentemente continuò a camminare fino a che non si ritrovò davanti a casa Berger.
Non aveva voglia di sentire le bugie che sarebbero uscite dalla sua bocca, voleva solo la verità e andare avanti.
Si sedette sugli scalini di casa sua ed attese che lei tornasse cercando di prepararsi un discorso il più lineare possibile.
La vide da lontano mentre camminava tranquillamente per la strada con aria assorta. Quando lo vide in lontananza sorrise e agitò la mano in segno di saluto.
Cercava sul suo viso i segni di quello che era successo ma non riusciva a trovarne nessuno. Sembrava come se non fosse accaduto niente di niente.
Si chiese solo in quel momento da quanto tempo andava avanti quella storia, da quanto tempo Lotte era tornata a Koln, da quanto tempo lei gli stava mentendo e iniziò a salirgli la nausea.
-Hey!- disse lei avvicinandosi –Ho appena comprato il regalo per Chaz, lo vuoi vedere?
Gli si sedette accanto, poggiando la chitarra in terra.
Annuì mentre mentalmente riformulava tutto il discorso che si era preparato fino a quel momento.
-Che cos’hai?- gli chiese cercando i suoi occhi – E’ successo qualcosa?
-Non lo so, è successo qualcosa?- rispose rigirandogli la domanda.
Lei lo guardò aggrottando le sopracciglia soppesando quella domanda attentamente.
-Non che io sappia…- rispose titubante cercando ancora il suo sguardo.
-Tsk!- rispose lui girando il volto dall’altro lato per non guardare nei suoi occhi.
Aveva sperato che almeno gli avrebbe detto la verità ma evidentemente avrebbe dovuto tirargliela fuori esattamente come gli era già successo in passato.
-Noah, spiegami cosa diavolo ti passa per la testa- disse lei con una punta eccessiva di rabbia nella voce.
Lui si alzò di scatto, dandole le spalle.
-Spiegamelo tu cosa diavolo ti passa per la testa, Kaja!- si voltò verso di lei e la fulminò con lo sguardo. -Ti ho vista con Lotte!- aggiunse davanti allo sguardo confuso di lei.
-Oh.
Abbassò lo sguardo a terra mordendosi il labbro inferiore come faceva sempre quando era nervosa.
-Non sapevo fosse tornata, l’ho vista per caso tra la folla e non… non sapevo se dirti che è tornata o meno. Riparte tra una settimana e …
-Risparmiati le bugie e abbi la decenza di ammettere la verità!- esplose lui raggiungendola con un balzo. Si accovacciò su di lei e gli strinse le braccia con le mani guardando dentro i suoi occhi –Non.mentirmi.
-Non ti sto mentendo- sussurrò lei persa.
-Okey, mettiamo che l’hai vista oggi per la prima volta, quando avevi intenzione di dirmi che sei ancora innamorata di lei?- senza rendersene conto aumentò la stretta sulle sue braccia continuando a fissarla con rabbia crescente.
-Che cosa?! Ma sei impazzito?- chiese lei con voce stridula mentre gli si dipingeva sul viso un’espressione di sconcerto.
-L’ho vista mentre ti baciava- sussurrò lui scandendo bene le parole.
-Su una guancia! L’hai vista baciarmi su una guancia Noah, non credevo la tua gelosia arrivasse a tanto!- esclamò lei sempre più sconcertata.
-Non mentirmi!- urlò lui avvicinando il suo volto a quello di lei.
-Non è una bugia!- urlò lei di rimando - …E mi stai facendo male- aggiunse sussurrando.
Si rese conto di quanto forte stesse stringendo le braccia di lei e si sentì improvvisamente assalire dal senso di colpa.
-Scusami- sussurrò lasciandola andare improvvisamente.
-Mi ha baciato sulla guancia. Vicino alle labbra, te lo concedo, ma non mi ha baciata come pensi tu. Non glielo avrei permesso- aggiunse lei, mentre si stringeva fra le braccia –Pensi davvero che potrei farti questo?- sussurrò alzando gli occhi su di lui.
-L’ho pensato- rispose lui deglutendo a fatica.
La spiegazione di Kaja gli sembrava incredibilmente razionale ed iniziò a sentirsi un’idiota per essere saltato subito alle conclusioni.
Spostò lo sguardo su di lei e la vide abbassare la testa sotto il peso delle sue parole.
-Ho fatto l’amore con te- disse improvvisamente, con voce tremante –Credi che farei l’amore con una persona che non amo?
Quando alzò gli occhi su di lui si sentì morire. Vi vide dentro tutta la costernazione che le sue parole avevano creato in lei, vi lesse dolore e anche senso di colpa.
-Mi dispiace se non ti ho fatto sentire amato abbastanza- disse ancora mentre deglutiva cercando di trattenere le lacrime –Forse non so come si fa ad amare una persona.
Non riusciva a sopportare quel suo sguardo triste, quelle lacrime che gli riempivano gli occhi, quella voce che si spezzava ed il senso di colpa che ne scaturiva.
-Sono un’idiota- sussurrò sedendosi accanto a lei.
Le prese il volto fra le dita e la costrinse a guardarlo.
-Sono saltato subito alle conclusioni, mi dispiace. Il pensiero che tu possa allontanarti da me ed innamorarti di qualcun altro mi…- non riuscì a finire la frase ma sapeva che lei avrebbe capito, lo leggeva nei suoi occhi e più vi guardava dentro più capiva l’assurdità delle sue supposizioni.
-Ti amo- sussurrò lei.
-Lo so-rispose lui sfiorandole il naso –Ti amo anche io… e mi dispiace di averti fatto male.
Lei sorrise e poggiò le labbra sulle sue.
Non sapeva neanche lui come si erano ritrovati dentro casa di lei, non si era accorto di aver salito le scale e di essere finito nella sua camera. Si ritrovò improvvisamente steso sul letto con lei che continuava a baciarlo senza freni. Affondò le mani nei suoi capelli e chiuse gli occhi continuando a lasciarsi trasportare dai baci appassionati di lei.
Le sfiorò il collo con una mano, scendendo poi verso i fianchi sui quali fece leva per ribaltare le posizioni.
Le baciò il collo mentre infilava le mani sotto la maglietta accarezzandole la schiena. Il minimo contatto con la pelle di lei lo faceva fremere di desiderio.
Da quando si erano amati in quella camera d’albergo anche solo sfiorarla gli provocava un brivido lungo la schiena e gli faceva desiderare di averla ancora tutta per sé, incondizionatamente.
Sollevò la sua maglietta fino a sfilargliela completamente gettandola in terra con non curanza per tornare a baciare le sue labbra morbide e bollenti.
Sfiorò con le mani il reggiseno ed iniziò a scendere con le labbra lungo il collo, le scapole fino a scendere al seno.
Si soffermò su quest’ultimo per qualche istante prima di proseguire lungo le coste, sfiorandole il ventre con le labbra fino ad arrivare all’ombelico. Avrebbe voluto riempire di baci ogni lembo di pelle del suo corpo e sapeva che comunque non sarebbe bastato a farle capire quanto profondo fosse il suo amore.
Guardare il suo viso mentre facevano l’amore era la cosa più appagante che avesse mai conosciuto. Era uno di quei rari momenti in cui il suo viso era completamente disteso, felice ed appagato.
Sentirla sospirare sotto di sé gli faceva correre i brividi lungo la schiena e sapere di avere quel potere su di lei lo sorprendeva sempre dandogli una scarica di adrenalina che azzerava tutto il resto: il tempo, lo spazio, il resto dell’universo.
Seguì i movimenti di lei ed alzò le braccia verso l’alto permettendole di sfilargli di dosso la maglietta lasciandolo a petto nudo.
Fece aderire i loro corpi ed i brividi tornarono a strisciargli lungo la spina dorsale e non solo.
Kaja era diventata meno pudica, non aveva più paura del suo corpo e dell’effetto che poteva avere su di lui. Si sentiva completamente a suo agio ed era cosciente del potere che aveva. Ogni suo cenno, ogni sua parola, ogni sospiro, ogni bacio, ogni piccolo movimento trasportavano Noah e lo rendevano sempre meno presente a se stesso. Lei gli aveva rubato l’anima e lui gli aveva dato la chiave per farlo senza neanche rendersene conto. Era stato naturale, come respirare.
Mentre la possedeva dentro quel letto si sentiva più vivo di quanto fosse mai stato. Si sentiva completo, parte di qualcosa di profondo ed unico che non aveva mai conosciuto prima.
Era in quei momenti, quando il corpo avrebbe dovuto prendere il sopravvento sulla mente, che si rendeva conto di non aver mai amato prima, anche se credeva di averlo fatto.
Non aveva mai rinunciato tanto a se stesso, non si era mai donato fino in fondo come aveva fatto con lei. Non si era mai lasciato sfiorare dentro come faceva con lei.
Era in quei momenti che non gli importava neanche dei momenti bui che aveva passato perché se era valso a vivere quei minuti di assoluta felicità allora ne era valsa la pena.
Avrebbe rifatto tutto dall’inizio alla fine, senza cambiare neanche una virgola se lei era il premio in palio.
 
Si dice che le persone non si rendono conto di quello che hanno fino a quando non lo perdono. Noah sapeva esattamente cosa aveva e come sarebbe stato se lei non fosse più esistita.
Quanto a me, forse no. Sapevo quanto importante fosse, sapevo quanto unico fosse ma, come tutti, finii per commettere l’errore più grande della mia vita: darlo per scontato.


blablablaaaaaa: finire con frasi enigmatiche i capitoli: fatto!
LOL.
Sappiate che le ultime righe sono una vera e propria anticipazione. Chi ha ricevuto spoiler riguardo al capitolo 40 potrebbe già intuire -e voler mettere fine alla mia breve vita- ma tant'è.
Spero vi sia piaciuto il ritorno di Lotte. Doveva tornare perché mancano pochi capitoli e aveva bisogno di una sorta di chiusura. Non la rivedrete più d'ora in poi, questo è ufficialmente il suo ultimo capitolo.
Vi lascio l'immy della chitarra di Chaz, giusto perché non si scelgono le cose a caso! XD

Ibanez, oh yeah! *ç*
What else? Ah sì, il titolo è tratto dalla canzone linkata che è ovviamente tutta per Lotte e per i sentimenti che ha provato e continua a provare per Kaja, anche se non si legge niente di tutto questo. Ma penso che si intuisca insomma XD
Il titolo invece si attacca alla perfezione su tutti e tre. E' un capitolo sulle percezioni, su come le cose possano essere vissute e percepite, appunto, in modi completamente diversi da persona a persona.
Poi c'è tutta la parte sulle emozioni di Noah insomma XD
Come sempre vi ricordo il gruppo di FB: I'm a Renegade, it's in my blood

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Capitolo 41
*** 40. And I am your forevermore ***


40. And I am yours forevermore


 
Era la prima volta, dacché io ricordassi, che guardandomi allo specchio non provavo disgusto od imbarazzo. La mia immagine allo specchio non mi dispiaceva come avevo pensato e ne rimasi piacevolmente stupita.
Sapevo anche io perché riuscivo a guardarmi a quel modo ora, era stato Noah ad insegnarmi a farlo.
Mi aveva insegnato a vedere con i suoi occhi, a capire cos’era che vedeva lui ogni volta che mi guardava.
Vedersi con gli occhi di lui mi faceva uno strano effetto e mi sembrava anche immensamente stupido che solo pensare a come mi avrebbe vista lui mi facesse stare tanto bene con me stessa.
Quella sera c’era la tanto attesa festa di Chaz e mi ero ritrovata a pensare che fosse triste che non ci sarebbe stata anche Charlotte. L’ultima volta che eravamo andati ad una festa tutti e tre insieme non era esattamente finita bene e avrei davvero voluto sostituire quel ricordo con un altro immensamente più piacevole.
Sospirai recuperando le scarpe a lato dello specchio e le infilai distrattamente. Era passato veramente poco tempo da quando avevo indossato per la prima volta dei tacchi ed era decisamente da poco che mi sentivo a mio agio in quelle vesti eppure, in quel momento, mi sembrava la cosa più naturale del mondo.
Avevo indossato dei leggins di pelle neri, una maglia dello stesso colore, un po’ lunga, costellata di brillantini argentati ed una giacca argento lucido sopra. Le scarpe erano le più alte che avessi indossato, erano nere con delle piccole borchie nella parte posteriore e dovevo ammettere che era proprio per quelle che avevo finito per comprarle.
Mi sembrava l’outfit perfetto per una festa come quella che ero certa mi avrebbe aspettato a casa di Chaz. Senza contare che quella sera avremmo tenuto un mini-concerto per divertire gli invitati.
Nonostante avessi preso più confidenza col palco e gli spettatori l’idea del concerto non mi allettava molto. Cantare davanti ad altre persone continuava a farmi sentire a disagio e mettermi addosso un’ansia indescrivibile.
La mia paura più grande era quella che la gente riuscisse a leggere esattamente dentro i miei pensieri.
La musica mi aveva sempre aiutato ad esprimere quello che non sapevo dire a parola al punto tale che divenne la mia unica vera fonte di comunicazione col mondo esterno.
Kaja Berger non esisteva quando la musica partiva, tutto si azzerava, si spegneva ed io mi denudavo davanti agli occhi degli altri.
Guardai l’orologio distrattamente e sorrisi quando sentii il campanello di casa suonare. Noah era di una puntualità incredibile che rasentava l’irritante.
Scesi le scale velocemente e me lo ritrovai davanti col suo solito accogliente sorriso vagamente sorpreso.
-Sei pronta!- esclamò senza preoccuparsi di nascondere il suo stupore.
Alzai le spalle con noncuranza cercando di minimizzare la questione ma la verità era che avevo cominciato a prepararmi immensamente presto per essere pronta in tempo e stupirlo.
Gli diedi le spalle per salutare mia madre e sorrisi compiaciuta.
-Sei bellissima- mi sussurrò all’orecchio mentre uscivamo di casa.
-Tu di più- risposi io prendendogli il viso con le mani e baciandolo velocemente sulle labbra.
Mi fissò inebetito, colto di sorpresa, e poi sorrise.
-Cos’hai stasera?
-Sono felice- risposi mentre mi avviavo verso la macchina.
Felice. Era una parola che avevo usato così raramente e che stentava ad appartenermi.
Ma lo ero, davvero. E sapevo che era lui la fonte principale ed essenziale di tutta quella serenità.
-Grazie- aggiunsi prima di entrare in macchina.
Arrivammo a casa di Chaz circa dieci minuti dopo. La musica assordante arrivava fino al lato opposto della strada, dove avevamo parcheggiato, e dava l’aria che la festa fosse cominciata da un bel pezzo anche se in realtà eravamo perfettamente in orario.
Quando entrammo notai subito il gran numero di persone che erano già arrivate e sentii il cuore perdere un colpo e l’ansia montare immediatamente dopo.
Sapevamo tutti che il pubblico più difficile da intrattenere era proprio quello delle feste. Ed io ero terrorizzata.
-Respira- mi sussurrò Noah all’orecchio sfiorandomi poi il collo con il naso –Fai finta che ci sia solo io- aggiunse, sempre sussurrando.
Sorrisi ed annuii mentre cercavo con lo sguardo Chaz. Non fu difficile individuare fra la massa la sua chioma rosso fuoco.
-Hey, tu, maggiorenne!- urlai mentre mi avvicinavo con un sorriso trentadue denti al festeggiato.
Quando mi accolse nel suo abbraccio riuscii a percepire distintamente gli occhi di Noah sulla mia schiena. Mi sembrava quasi di avvertire nell’aria le vibrazioni che emetteva la sua gelosia.
Non potevo far finta che tutto quel suo timore di perdermi mi scaldasse il cuore.
Nessuno era mai stato geloso di me, nessuno aveva mai sofferto nel vedermi stringere qualcun altro.
Mi sentivo incredibilmente desiderata e viva, ogni giorno di più.
-Sei diventata decisamente la bomba sexy della band!- commentò, a sproposito, lasciandomi andare.
Arrossi appena e scossi la testa mentre mi faceva l’occhiolino.
-Auguri, Chaz.
La voce tesa e rigida di Noah arrivò alle mie spalle e vidi Chaz sorridere sotto i baffi e fingere di non averlo notato prima.
-Oh, ciao Noah!- gli diede una pacca sulla spalle e si allontanò per raggiungere altri invitati.
Si voltò verso di me e mi fece ancora l’occhiolino con quel suo sorriso sornione stampato sul viso.
-Ti sta prendendo in giro- dissi, alzando gli occhi su Noah.
-Lo so- rispose lui poco convinto continuando a seguire con lo sguardo i movimenti di Chaz.
Gli presi la mano nella mia e lo costrinsi a guardarmi negli occhi spostandogli il viso con l’altra mano.
Lo guardai senza dire niente per qualche secondo e poi gli schioccai un bacio sulle labbra.
-Anche io- rispose lui sfiorandomi il naso con il suo.
-Hey voi, piccioncini!
Mi voltai verso la voce e sorrisi ritrovandomi Dale, e la sua crestona, davanti agli occhi.
Anche le sue braccia si affrettarono a stringermi con forza. Il suo abbraccio durò decisamente meno rispetto a quello di Chaz e lo sorpresi nel lanciare un’occhiata a Noah, quasi volesse accertassi di non averlo infastidito.
-Sei pronta?- mi chiese indicando il palco alle sue spalle.
Iperventilai per qualche istante e poi annuii deglutendo a fatica.
Chaz aveva fatto le cose in grande: aveva sistemato un palcoscenico gigantesco all’ingresso della villa, tutto color oro, con degli amplificatori da professionisti e tutto il coronario, comprese le luci.
-Sarai bellissima là sopra- disse all’improvviso Dale sorridendomi.
Annuii poco convinta non riuscendo a staccare gli occhi di dosso da quel palco.
In realtà era come un sogno che diventava realtà: un palcoscenico tutto per me, per la mia band, almeno duecento persone come spettatori, l’uomo che amavo in prima fila. Era perfetto, dannatamente perfetto.
Forse anche troppo.
Passai il resto della serata a pensare al momento in cui sarei salita sul palco, anche mentre chiacchieravo con le persone o mi divertivo con Noah, il mio pensiero fisso restava quello.
Ero così concentrata ad aspettare che quando finalmente arrivò il momento mi sembrò che fossero passati solo cinque minuti da quando avevo varcato la soglia di quella casa immensa.
Chaz imbracciò la sua nuovissima chitarra, che avevamo già accordato io e Dale nel pomeriggio, e salì sul palco con fare immensamente teatrale.
La musica scemò lentamente fino a che il completo silenzio scese nel salone. Tutti fissavano lo sguardo sul palco ed io sentii ancora una volta lo stomaco attorcigliarsi.
Chaz si schiarì la gola, recitando palesemente, e la musica partì immediatamente riempiendo in un secondo il silenzio che aveva così abilmente generato.
(Everybody Talks - Neon Trees
)
Hey baby won’t you look my way 
I can be your new addiction 
Hey baby what you got to say? 
All you giving me is fiction

Mi guardai intorno e mi sembrò di essere finita dentro la scena di un film, la gente che saltava, chi urlava, chi cantava insieme a Chaz ed i ragazzi, chi pogava come in un perfetto concerto rock.
Too much can be an overdose,
All this stress talk makes me itching
Oh my my, shit,
Everybody talks
Everybody talks
Everybody talks,
Too much!
La voce di Chaz mi faceva venire i brividi quando raggiungeva le note più alte quasi ringhiando, con quella sua voce che feriva il silenzio con irruenza.
Era una voce sensuale, dovevo ammetterlo, ed ero certa che fra le ragazze avesse già conquistato un paio di cuori con una sola canzone.
It started with a whisper
And that was when I kissed her
And then she made my lips hurt
I can hear the chit-chat
Take me to your love shack
Mama’s always got a backtrack
And everybody talks babe.
Quando la canzone finì le urla riempirono il salone e la gente iniziò ad urlare per avere un bis.
L’idea di cantare dopo quel successone non mi allettava per niente.
Chaz lasciò andare la chitarra e fece segno a tutti i presenti di abbassare il volume.
-Noi siamo i Silent-Fieber, e vorrei che accoglieste sul palco la nostra straordinaria lead-singer: Kaja Berger!
Sentire il mio nome annunciato al microfono mi fece scorrere un lungo brivido lungo la schiena.
Chaz mi indicò prontamente a tutti quanti e presto mi ritrovai gli occhi di tutti incollati addosso.
Sorrisi imbarazzata e con le gambe ridotte ad una gelatina tremolante salii sul palco, guardando in cagnesco Chaz.
Avevamo scelto di cantare una ballad assieme, giusto per scaldarmi un po’ e per togliermi di dosso lo stress che sapevamo tutti avrei avuto in abbondanza.
Si sedette velocemente su uno sgabello, al mio fianco, ed iniziò a suonare chiudendo gli occhi.
(Broken - Seether feat. Amy Lee)
I wanted you to know, that I love the way you laugh
I wanna hold you high and steal your pain away.
La sua voce roca, e perfetta, mi fece passare nuovamente un brivido lungo la schiena ed iniziai a cantare il ritornello con lui un po’ titubante, cercando di lasciarmi alle spalle tutta l’ansia accumulata durante la sera.
The worst is over now and we can breathe again,
I wanna hold you high and steal your pain away,
There’s so much left to learn and no one left to fight,
I wanna hold you high and steal your pain.
Chiusi gli occhi ed iniziai a lasciarmi trasportare dalla musica fino ad annullarmi, come sempre.
Sentii all’improvviso la voce di Chaz unirsi alla mia insieme alle urla di giubilo dei nostri spettatori.
Ero sicura di aver iniziato a sorridere ad un certo punto ma non ne ero così sicura.
Cosa facessi sul palco, come mi muovessi, o che espressione avessi rimaneva per me un mistero.
La musica scemò lentamente e le grida si fecero sempre più intense ed assordanti.
Cercai immediatamente gli occhi di Noah fra la folla e li individuai immediatamente, sotto al palco, mentre mi guardava estasiato.
-Non è fantastica?- proruppe Chaz alzandosi in piedi, incitando la folla.
Le grida si fecero ancora più acute ed il mio imbarazzo salì a livello stratosferici.
Chaz non fece in tempo a prendere in mano la chitarra che gli altri ragazzi iniziarono a suonare con forza, cercando di annullare il mio immenso imbarazzo.
-Questa canzone è per Noah- dissi improvvisamente, prima che partisse la prima strofa.
(Great Love - Flyleaf)
Can’t you feel I’m drawing near
The place that broke your heart
Cut up and scarred
Abbassai lo sguardo su di lui e lo vidi sorridere compiaciuto mentre scuoteva leggermente la testa, cercando apparire a suo agio quando in realtà era imbarazzato esattamente come me.
Great love, setting the world on fire
I am in awe of you are
And it’s your love I’m living for.
Mi abbassai e allungai una mano cercando la sua. In quell’istante non mi interessava degli sguardi altrui.
La sua mano nella mia mentre gli dichiaravo il mio amore davanti a chiunque volesse ascoltare era tutto ciò di cui avevo bisogno.
Lasciai andare la sua mano qualche istante dopo tornando fra i ragazzi per il piccolo intermezzo musicale sul quale ci piaceva andare tutti perfettamente a tempo.
Great love filling me up inside,
You are the one I’m looking for,
And I am yours forever more.
Ero certa di aver cantato tutto il mio amore in quei tre minuti di canzone. Mi sentivo stremata, come dopo una lunga corsa. Avevo messo tutta me stessa dentro quella canzone ed ero certa che ora lo sapesse veramente: lo amavo più di quanto amassi anche me stessa.
La serata finì relativamente presto dopo il nostro siparietto musicale ed il tempo sembrò scorrere al doppio della velocità da quel momento in poi.
Tolta l’ansia che qualcosa andasse storto durante il concerto riuscii a godermi a pieno ogni singolo istante e non riuscii a non pensare a quanto fossi una persona diversa rispetto all’ultima festa cui ero stata.
Se avessi potuto guardare tutto dall’esterno probabilmente non mi sarei riconosciuta e avrei fermamente creduto che stessi parlando di due persone completamente diverse.
In momenti come quelli non riuscivo a non chiedermi se sarei mai diventata quella persona senza Noah, se avrei mai ripreso a cantare o se avrei trovato il coraggio di confessare i miei sentimenti a Charlotte.
Ero certa che senza lui nulla di tutto questo sarebbe accaduto e sarei rimasta bloccata nel mio guscio per il resto della vita.
Lui mi aveva riportato alla vita e mi aveva fatto credere in me stessa quando neanche io ero disposta a farlo.
E speravo di avergli detto tutte quelle cose cantando perché senza nascondermi dietro le parole degli altri non sarei mai stata in grado di spiegarglielo.
Quando raggiungemmo la macchina sospirai rumorosamente sentendo improvvisamente le forze venirmi meno. Ero stanchissima e le gambe imploravano pietà.
-Tutto questo silenzio improvviso è quasi assordante- sussurrai sedendomi in macchina mentre chiudevo gli occhi cercando di recuperare tutti i dettagli della serata.
Noah sorrise sbuffando leggermente.
-Se vuoi accendo la radio!
-Non ci provare!- lo minacciai aprendo gli occhi per fulminarlo con lo sguardo.
-Scherzavo- aggiunse ridendo prima di far partire la macchina.
Le strade a quell’ora della notte erano completamente vuote, almeno nel tragitto tra casa di Chaz e la mia, che era anche abbastanza breve in realtà, ed era quasi rilassante guardare l’asfalto scuro scorrere lentamente davanti a noi.
Stavo quasi per addormentarmi quando arrivammo a casa mia. Con riluttanza scesi dalla macchina, accompagnata sempre da lui e lo salutai con il classico bacio della buonanotte.
Mi chiusi la porta alle spalle e mi sfilai le scarpe dai piedi tirando un sospiro di sollievo.
Salii lentamente le scale cercando di fare meno rumore possibile e quasi caddi dallo spavento quando vidi mia madre seduta in cima a quest’ultime con le braccia incrociate.
-Ti ho svegliata?
-No- rispose lei sorridendo. Si alzò per farmi passare e mi venne dietro come un cane in cerca di un biscottino.
-Com’è stata la festa?- chiese con fare entusiasta.
-Bene, ma i dettagli te li do domattina!- le puntai il dito contro, intimandole il silenzio, e scoppiammo entrambe a ridere.
-Va bene, buonanotte- rispose lei dandomi un bacio sulla fronte.
Si chiuse la porta alle spalle ed io mi svestii velocemente infilandomi nel pigiama, pronta ad andare a letto.
Proprio quando stavo per mettermi sotto le coperte il cellulare squillò facendomi trasalire.
Lo raggiunsi velocemente e lessi il nome sullo schermo: Noah.
-Noah?- risposi, confusa.
-Volevo augurarti la buonanotte, sono sicuro che a quest’ora sarai già in pigiama.
Sorrisi, scuotendo la testa.
-Mi conosci troppo bene- risposi avviandomi verso il letto.
-Sei già sotto le coperte?
-Quasi- risposi ridendo mentre sfasciavo il letto.
-Ok, sono dentro.
-Bene, ora chiudi gli occhi ed immaginami lì con te, immagina che ti stia abbracciando perché è esattamente quello che vorrei fare adesso.
-Okey…- sussurrai chiudendo gli occhi esattamente come aveva detto lui.
-Ti amo- sussurrò come avrebbe fatto nel mio orecchio se fosse stato lì con me.
-Anche io- risposi qualche secondo dopo.
-Ci hai messo troppo a rispondere!-
-Non è vero!- protestai io a voce alta.
-E invece …. – sentii un forte stridore e poi la voce di Noah mi raggiunse ancora –MERDA.-
Sentii di nuovo quello stridore in sottofondo accompagnato poi da un forte fracasso che non riuscivo ad identificare.
-NOAH?!- urlai, senza accorgermene, mentre balzavo fuori dal letto sentendo il panico montare senza sapere neanche perché.
La chiamate si interruppe qualche istante dopo lasciandomi interdetta.
Rimasi qualche minuto immobile al centro della stanza con ancora il telefono attaccato all’orecchio.
Le mani iniziano a tremarmi in modo incontrollabile mentre cercavo di richiamarlo e la linea continuava a cadere.
Corsi in camera di mia madre e la svegliai dalla sua dormiveglia.
-Che succede?
Gli raccontai tutto freneticamente, cercando di respirare ad intervalli regolari mentre lei mi accarezzava i capelli, come faceva quando avevo degli incubi da piccola.
-Stai tranquilla, magari gli si è solo scaricato il cellulare- disse lei, accogliendomi fra le sue braccia.
Annuii con poca convinzione e mi sdraiai accanto a lei. Non riuscivo a pensare di tornare nella mia stanza con quell’ansia insensata che mi attanagliava lo stomaco.
Era quasi mattino quando il mio cellulare trillò ancora.
Balzai in piedi afferrando il cellulare al secondo squillo.
-Noah?!
Quello che successe dopo lo ricordo a stento. La voce dell’uomo che mi diceva che chiamava dall’ospedale, le brevi frasi con cui mi spiegava che c’era stato un incidente e che avevano chiamato l’ultimo numero che avevano trovato nel cellulare, mia madre che continuava a chiedermi costa stesse succedendo, il telefono che mi cadeva dalle mani.
Le orecchie iniziarono a fischiarmi e l’aria a mancarmi.
-Stai calma!- urlò mia madre afferrandomi il viso fra le mani –Dobbiamo andare all’ospedale ma stai tranquilla.
Mi lasciai trascinare in camera e mi vestii il più velocemente possibile.
Mi sentivo strappata fuori dal mio corpo come se non ne avessi il controllo e non riuscissi più a muovere un singolo muscolo di mia spontanea volontà.
Ricordo solo l’attimo in cui arrivammo all’ospedale, ricordo i visi dei genitori di Noah che aveva avvisato mia madre nel frattempo, ricordo le lacrime della signora Wagner e l’inquietudine che mi misero addosso.
Mia madre mi stringeva la mano e continuava a ripetermi di stare calma quando anche la sua voce saliva di un’ottava di più ogni volta che apriva bocca.
Non ricordo una singola frase dei dottori o dei signori Wagner.
Ricordo solo che all’improvviso avevo iniziato a correre verso la sala dove tenevano Noah, avevo iniziato ad urlare e a sbracciarmi per raggiungerlo.
Non capivo perché non potessi vederlo, perché nessuno mi spiegava veramente cosa stesse succedendo.
Ricordo perfettamente le braccia di mia madre che mi tiravano indietro e mi trattenevano dall’entrare in quella stanza.
Ricordo distintamente il terrore puro e la certezza di averlo perso. Sentiva l’anima strapparsi e lacerarsi ad ogni secondo ed ero certa che ogni strappo che sentivo apparteneva alla sua vita che scivolava via, lentamente.
-Fatemelo vedere!- urlai improvvisamente cominciando a piangere senza controllo.
Furono costretti ad allontanarmi dal corridoio e a costringermi su una sedia nel tentativo di tranquillizzarmi.
Non sentivo neanche una delle loro parole. Sentivo solo la sua voce chiamare il mio nome.
 

There I was awaiting death for you,
And all I did was love you too.

 

Bip bip. Bip bip. Bip bip.
Si sentiva estremamente debole, le voci di tutte le persone che lo sovrastavano erano confuse, lontane. Non capiva cosa stesse succedendo, a stento ricordava cosa stesse facendo un attimo prima.
Si sentiva estraneo al suo stesso corpo e la sentiva. Era certo che fosse lei, lì vicino ma troppo lontano per essere raggiunta dalla sua mano.
Sentiva le urla disperate, sentiva il suo nome ripetuto come un mantra, sentiva le voci estranee che le gridavano contro di calmarsi. E allora capì, allora ricordò.
Le stava dicendo quanto l’amasse e poi la luce accecante di quei fari lo aveva invaso. Era l’ultima cosa che era riuscito a vedere.
Sapeva ora che mentre sentiva il respiro mancargli anche lei andava in apnea. Sapeva che la stava perdendo e riusciva a sentire la disperazione di lei crescere con la certezza che lo stesse perdendo a sua volta.
Sentiva che si stava sbracciando per lui, per raggiungerlo, per stringergli la mano fino all’ultimo faticoso respiro, per baciarlo un’ultima volta e dirgli addio.
Sapeva che non aveva la forza per combattere quelle braccia che la trattenevano e avrebbe voluto urlare anche lui il suo nome, baciarla ancora e morire col suo sapore sulle labbra.
Gli sembrò di piangere ma forse era lei a farlo e lui ora poteva sentire il sapore delle sue lacrime.
Vide le figure sfuocarsi, farsi tutto bianco e desiderò poterle dire ancora una volta, prima di andarsene, che l’amava da impazzire come non aveva mai amato nessun altro. Avrebbe voluto urlarle che non avrebbe mai smesso di amarla e che le sarebbe stato sempre accanto.
Provò ad aprire la bocca e ad urlare il suo nome e fu in quell’esatto istante che tutto svanì, senza dolore, senza far rumore. Scivolando.
Bip bip. Bip bip. Bip bip.
Biiiiiiiiiiiiiip.


 

blablablaaaaaa: arrivati a questo punto la maggior parte mi starà mandando i peggio corbi, lo so çwç
Il titolo è chiaramente una frase di "Great Love" dei Flyleaf che ho trovato molto adatta al tutto.

Ora io non so esattamente cosa dire >.<
Questo capitolo è nato moltissimo tempo fa, ho scritto la scena finale, più o meno, tipo quando ero ancora al terzo capitolo...
Era una delle cose che doveva accadere sicuramente e che avevo preventivato già dall'inizio, come altre cose. Per esempio la fine nel tempo è cambiata ma ci sono dei punti fondamentali nella storia che non potevano e non sono stati alterati nella loro interezza.
Ora io mi dileguo perché sento già il rumore degli insulti XD Ho quasi paura a leggere i commenti D:
Va beh, sappiate comunque che io ho pianto e non sono così senza cuore come si pensa! T,T
Come sempre vi ricordo il gruppo di FB: I'm a Renegade, it's in my blood

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Capitolo 42
*** 41. Torn ***


41. Torn
 


La luce invase la sua stanza provocandole un’acuta fitta di dolore agli occhi che strizzò con forza contorcendosi sotto le lenzuola.
-Charlotte!
La voce di sua madre tremava. Era agitata e lei ormai aveva imparato che quando usava il suo nome completo era successo qualcosa di grave. Balzò su a sedere, sforzandosi di tenere gli occhi aperti, e la vide sull’uscio della porta con il volto contratto in una smorfia tesa.
-Cosa succede?- chiese subito allarmata.
-Mi ha appena chiamata Petra… - la voce le si ruppe in gola ed un singhiozzo le scappò spezzandola in due davanti agli occhi attoniti della figlia.
-Kaja?- mormorò Charlotte, persa.
-Noah ha avuto un incidente- disse tutto d’un fiato Helen senza riuscire a guardare negli occhi la sua bambina.
Charlotte si portò le mani alle labbra e trattenne a stento un singulto mentre il suo mondo cominciava a vorticare velocemente crollandole addosso.
Sentì il suo corpo muoversi e si rese conto che si stava vestendo in fretta. Il suo corpo si muoveva senza che lei ne avesse pieno controllo.
La sua mente era completamente ottenebrata e quando arrivò all’ospedale e la vide, le si spezzò il cuore.
Tutto quel bianco accecante e lei in mezzo che piangeva, spezzata in due dal dolore. Il nero dei suoi capelli era così netto in tutto quel bianco.
Intorno a lei tutto si muoveva con una lentezza angosciante ed il silenzio era riempito solo dai suoi singhiozzi, dalle sue grida e da quelle di Petra che tentava di tenerla a bada.
Si avvicinò con passo incerto, sostenuta da sua madre, e per la prima volta in vita sua non seppe assolutamente cosa dire.
I minuti passarono lenti ed inesorabili impedendole il respiro. Sedeva silenziosamente accanto a Kaja.
Petra alla fine era riuscita a farla sedere e a farla calmare. “Calmare”, pensò. Era una parola grossa che non descriveva affatto come si sentiva Kaja.
I suoi occhi erano fissi in terra, rossi e gonfi di lacrime. Le sembrava prosciugata della sua linfa vitale e sapeva che stava pensando a suo padre e a come se n’era andato.
Sapeva che se fosse successo ancora, se lei avesse perso qualcun altro in modo così inaspettato si sarebbe spezzata per sempre e lei non sarebbe stata in grado di rimettere insieme i cocci.
Balzò improvvisamente in piedi quando vide il Dottore uscire dalla sala operatoria e vide Kaja fare lo stesso e avvicinarsi con passo incerto ma veloce a quest’ultimo.
Rimase indietro ed osservò la scena da lontano, come una spettatrice. Le parole del Dottore le giunsero ovattate e ne capì il senso quando vide i genitori di lui sciogliersi in un pianto disperato.
“No” sussurrò sentendo la terra fremere sotto i suoi piedi.
L’urlo innaturale che riempì il corridoio la fece trasalire. La vide saettare contro il Dottore e spingerlo con forza.
-NO!-urlava piangendo senza controllo.
Le sue spinte si trasformarono presto in pugni e non importava quanto Petra tentasse di tirarla indietro trascinandola per la vita.
-Non avete fatto il possibile! Lui è vivo, lui è ancora vivo!
Le lacrime le offuscarono la vista e si portò le mani alle labbra cercando di razionalizzare quanto stava vedendo.
“Lui è ancora vivo”. “Lui è ancora vivo”. “Non avete fatto il possibile.”
Noah. Il suo Noah non c’era più.
Non riuscì a muovere neanche un singolo muscolo mentre i singhiozzi la sconquassavano impedendole di respirare.
Sentì le braccia di sua madre stringersi su di lei  e la seguì, senza rendersene conto, verso le sedie. Non riusciva a staccare gli occhi da Kaja e dalla sua profonda disperazione.
“Non può succedere di nuovo. Non a lei.”
Petra riuscì finalmente ad allontanare Kaja dal dottore che si allontanò silenziosamente col volto livido di senso di colpa.
Piangeva, piangeva senza controllo. Il suo corpo era tutto un fremito, non riusciva ad arrestare quel tremore che la sconquassava. Doveva essere il freddo che provava dentro, all’altezza del cuore.
Petra, con una pazienza enorme, la condusse verso le sedie. Vide nei suoi occhi il terrore, il dolore e l’ansia.
Non sapeva neanche lei come avrebbe potuto aiutare sua figlia, non sapeva come sarebbe riuscita a uscirne tutta intera, questa volta.
E Charlotte sapeva che non sarebbe più stata la stessa. Nessuna di loro.
-Cerca di calmarti- sussurrò con voce tremante Petra, ricacciando indietro le lacrime.
Cercava gli occhi di sua figlia ma si ritrovava a fissare dentro delle pozze vacue piene di dolore. Voleva fermare il suo corpo, impedirgli di tremare. Voleva asciugare le sue lacrime ma erano troppe, la invadevano senza sosta e non sapeva cosa fare.
Il suo respiro era irregolare e affrettato. Era un rantolo continuo che si stava insinuando nelle sue orecchie facendole mancare il fiato anche a lei.
-Kaja, respira- sussurrò Petra accarezzandole la testa.
Sembrava che non la vedesse neppure, con i suoi occhi fissi davanti a lei. Il tremore aumentava ed il suo respiro si faceva sempre più corto.
Charlotte si spostò per guardarla meglio e le poggiò una mano sulla spalla. Non si mosse di un millimetro, come se non si rendesse conto di dove fosse.
Il suo fiato si accorciò ancora di più e vide le sue pupille dilatarsi. Era panico, allo stato puro.
Petra le accarezzò il viso cercando i suoi occhi.
-Devi calmarti, Kaja.- le impose con voce ferma.
-Non….non…- le parole le morirono in gola mentre il fiato le mancava lasciandola in apnea davanti agli occhi di sua madre.
Charlotte vide Petra voltarsi improvvisamente verso un infermiere che stava passando.
-Mia figlia non respira!!!- urlò disperata cercando in lui un aiuto.
Charlotte non si era mai sentita tanto inutile in vita sua. Osservò impotente gli infermieri che raggiungevano Kaja e che le parlavano cercando di attenuare il suo panico.
Stava avendo un attacco di panico così forte da lasciarla in completa apnea. Furono costretti ad imbottirla di tranquillanti fino a quando il suo corpo non rispose come avrebbe dovuto.
Smise di tremare ed il suo respirò tornò normale. Charlotte non sapeva quanto tempo fosse passato ma sapeva che c’era voluta un’eternità per calmare quella disperazione che la invadeva.
I tranquillanti avevano finito per farla crollare e l’avevano trascinata in un sonno artificiale ed irrequieto dal quale lei aveva paura che non si sarebbe più svegliata.
Non poteva perdere l’amore della sua vita e la sua migliore amica in una volta sua. Non l’avrebbe sopportato.
Aveva paura e sentiva freddo nelle ossa. Cosa ne sarebbe stato del cuore di Kaja? Cosa sarebbe rimasto di lei da amare?
Senza Noah, di Kaja rimaneva solo l’involucro. Un involucro vuoto che lei avrebbe voluto riempire ma che sapeva di non poter colmare neanche con tutto l’amore del mondo.



(Memories; Within Temptation
In this world you tried,
Not leaving me alone behind.
There’s no other way,
I’ll pray to the gods: let him stay.

 

Mi tremavano le mani senza controllo anche stesa nel letto, mentre fissavo impietrita l’armadio. Non si arrestavano mai e più le guardavo più le vedevo fremere incontrollate.
Il corpo faticava ad eseguire i miei comandi ed eccettuate le mani nessun altro muscolo del mio corpo sembrava intenzionato a collaborare.
Non mi alzavo da giorni, non riuscivo neanche a pensare di muovere le gambe, di sollevarmi suoi piedi. Era tutto così inutile.
Mia madre mi lavava con cura, mi dava da mangiare anche quando non collaboravo.
Il cuore mi sembrava muto, se ne stava lì senza disperarsi e mi lasciava attonita. Forse anche lui aveva subito troppo per andare avanti. Gli occhi non riuscivano più a piangere le loro lacrime. Il cuore non riusciva più a provare niente. C’era solo il vuoto, freddo e silenzioso.
Volevo sentire il dolore, volevo dispiacermi per mia madre e per la pena che le arrecavo, volevo parlare con Charlotte e lasciarmi confortare ma non ci riuscivo. Dolore, pena, conforto. Erano parole vuote e prive di significato per me.
Non c’era niente perché Noah si era portato via tutto. Il mio corpo era rimasto indietro ma la mia anima l’aveva seguito.
Solo un guscio vuoto che di notte pregava che fosse solo un sogno e che lui fosse ancora vivo, da qualche parte.
Tutti i ricordi della mia vita con lui si ripetevano nella mia mente, affollandola, come in un film. In continuazione.
Non c’era un singolo centimetro della mia stanza, o della mia casa, o dell’intera città, che non mi ricordasse lui. Non c’era canzone che non parlasse di me, di lui, di noi. Non c’era niente che non gli fosse appartenuto.

 

The memories ease the pain inside,
Now I know why

 

Fissavo il soffitto bianco ricordando tutte le volte che lo avevo fatto con lui al mio fianco.
“Dove diavolo sei?”
Aspettavo che il soffitto mi rispondesse ma non lo faceva mai.
Mi ritrovavo a sorridere senza rendermene conto quando improvvisamente mi tornavano in mente i nostri momenti felici, i suoi sorrisi, le sue parole ed i suoi scherzi.
Di notte potevo quasi sentire il suo fiato fra i capelli e le braccia cingermi con dolcezza.
Lui aveva promesso di starmi accanto sempre, di proteggermi da qualunque cosa, anche da me stessa.
Ora mi rimaneva solo la consapevolezza che aveva mentito. E spesso ce l’avevo a morte con lui.
Perché aveva mentito?
Non riuscivo a cancellare i ricordi di noi due perché il dolore sordo che mi provocavano mi restituiva il fiato.
Volevo provare quel dolore, volevo stare male per sempre ed annegare nelle lacrime ora che erano tornate.
Erano passate due settimane prima che riuscissi a sentire di nuovo . Fu un sollievo sentire il dolore invadermi, ridarmi vita.

 

All of my memories, keep you near
In silent moments, imagine you’d be here
All of my memories keep you near,
The silent whispers, silent tears.

 

Piangevo sempre, in silenzio, accasciata sul mio letto. Il tempo aveva perso consistenza e sapevo quanti giorni erano passati dalla sua morte solo grazie a mia madre che ogni giorno mi ricordava che ero ancora sul pianeta Terra.
Ricordavo a malapena i funerali. Non sapevo neanche cosa avevo fatto. Ma ricordavo il suo viso pallido e rilassato. Ricordavo le piccole ferite che gli davano ancora delle note di colore.
Sembrava così … vivo. Sembrava addormentato ed io avevo solo voglia di urlare e costringerlo a svegliarsi e a confessarmi che era stato solo uno stupido scherzo.
-Mi stai ascoltando?- la voce cristallina di Charlotte mi distolse dal pensiero di lui steso in quella bara ed i miei occhi saettarono nella sua direzione.
Un sorriso si allargò sul suo viso e la sua mano raggiunse la mia, stringendola con forza.
“No”.
Ritrassi la mano, come scottata, e mi allontanai fino a toccare il muro con la spalla destra.
Nessuno doveva toccarmi. Solo lui. Volevo solo le sue mani addosso, il suo respiro tra i capelli, le sue labbra sulle mie.
 Nessuno doveva cancellare le sue impronte dalla mia pelle. Nessuno.
Avevo impedito a mia madre di toccarmi oltre e lei aveva finito col rinunciare a lavarmi. Era qualcosa che riuscivo a fare da sola. Perché sapevo che sporca non gli sarei piaciuta.
Sotto la doccia riaffiorava sempre tutto e l’acqua finiva col mischiarsi alle mie lacrime ed il suo rumore accompagnava i miei singhiozzi spossanti.

 

Made me promise I’d try
To find my way back in this life
I hope there is a way,
To give me a sign you’re okay.
Reminds me again it’s worth it all
So I can go home

 

Doveva essere passato circa un mese dalla morte di Noah quando lo sognai.
Non che prima non l’avessi mai sognato, ma mai in quel modo.
Generalmente i miei sogni ricalcavano soltanto i miei ricordi, ma quella volta lo vidi come non l’avevo visto prima.
Era tutto maledettamente bianco ed accecante e lui ci stava in mezzo, sorridente, mentre mi tendeva la mano.
Avevo paura di toccarlo, di sfiorarlo, di vederlo sparire nuovamente.
-Non avere paura, vieni da me.
La sua voce era così calda e rassicurante. L’emozione che mi invase quando sfiorai la sua mano era sconcertante. Era vita.
-Mi manchi- avevo sussurrato fra le lacrime.
-Shh- mi aveva intimato lui guardandomi negli occhi –Non piangere.
Avevo stretto con più forza la sua mano e lui mi aveva sorriso con uno di quei suoi magici sorrisi riscaldanti.
-Mi manchi anche tu.
Ricordo la sensazione delle lacrime che mi scendevano sulle guance senza controllo sia nel sogno che nella realtà del mio letto.
-Voglio raggiungerti- sussurrai senza riuscire a smettere di guardare nei suoi occhi.
-No.- la sua voce si fece improvvisamente dura e lo sguardo serio.
Liberò la sua mano dalla mia e mi prese il volto fra le mani carezzandomi le guance con i pollici.
-No- ripeté con più forza.
Volevo raggiungerlo, a qualunque costo. Perché la mia vita non aveva senso senza lui e non mi importava di viverla.
-NO- ripeté di nuovo e mi ritrovai ad annuire e poi a promettere che mai e poi mai avrei posto fine alla mia vita.
Quando mi svegliai sentii il volto tirare per le lacrime che lo avevano invaso.
“Voglio raggiungerti” sussurrai guardando il soffitto.
“No, mai” mi sembrò quasi di sentire ancora la sua voce calda e vellutata nelle orecchie.
“Mi manchi.”
“Anche tu.”
“Ti amo.”
“Ti amo.”

 

Together in all these memories,
I see your smile
All the memories I hold dear,
Darling you know I’ll love you
‘till the end of time

 

Due mesi, forse tre, erano ormai passati e mi ritrovavo ancora  a fissare il vuoto con il suo sorriso stampato nella mente e le sue parole incise nel cuore.
“No, mai. Ti amo”.
Charlotte mi fissava inebetita e tesa mentre io continuavo a guardare davanti a me senza dare cenno di averla vista.
-Ora basta- sussurrò prima di scaraventar misi contro.
Le sue mani strinsero le mie braccia con forza, facendomi sussultare.
-No- implorai cercando di divincolarmi. Non doveva toccarmi, non poteva toccarmi!
-Smettila!- urlò di rimando lei fissando i suoi occhi ardenti nei miei.
-Sei viva Kaja, dannazione. SEI VIVA!- urlò disperata mentre il viso le si contorceva in una smorfia di dolore.
-Noah non ti avrebbe voluto vedere in questo stato.
-Noah è morto- sussurrai aggrottando le sopracciglia –Non può dire cosa vorrebbe vedere oppure no.
-Lo so che fa male. Lo so dannazione. Ma devi reagire. Per me, per tua madre, per Noah.
Inclinai la testa di lato e la guardai sorpresa. Dovevo, per gli altri. Dovevo.
-Io non devo fare un bel niente per nessuno- sibilai fra i denti.
-Se Noah fosse al tuo posto, adesso, cosa vorresti per lui?
Le sue mani mollarono la presa ed io restai imbambolata a fissarla.
Cosa avrei voluto per Noah se fossi morta? Avrei voluto che lo superasse, che fosse felice, che continuasse la sua vita.
Cosa avrebbe voluto per me Noah? La stessa cosa. Me l’aveva detto. Ed io avevo promesso.
 
-Ti amerò per sempre- sussurrai rivolta alla sua lapide.
Mi stampai un bacio sulle labbra e sfiorai la sua foto. Mi asciugai le lacrime con stizza e voltai le spalle alla sua fotografia.
Non potevo farcela, non ci sarei mai riuscita. Io non ero forte come lui pensava. Non ero mai stata forte come lui mi voleva.
“Mi dispiace, mi dispiace di non essere all’altezza delle tue aspettative. Vorrei farcela, vorrei continuare a vivere, vorrei lasciarti indietro. Ma tu sei parte di me ed io sono parte di te.”
Non c’era più speranza nel mio cuore, non c’era più determinazione ma solamente un dolore sconfinato ed incolmabile che si scagliava su tutto e tutti trascinandomi con sé. 


blablablaaaaaa: eccoci di nuovo qua. Sul punto di collassare. No va beh, diciamo che ho scritto il capitolo incollata al tachifludec senza respirare... quindi non mi prendo la responsabilità di quello che c'è scritto XD L'ho riletto ma sicuramente millemila errori mi sono sfuggiti >.< Niente, spero che vi piaccia e di leggere i vostri commenti in merito *^* Bacini raffreddati a tutti ♥
Come sempre vi ricordo il gruppo di FB: I'm a Renegade, it's in my blood

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Capitolo 43
*** 42. You're just a memory to let go of ***


42. You’re just a memory to let go of


“No, mai.”
Mi portai le mani alla testa e affondai le dita nei capelli con stizza. Perché diavolo avevo dovuto sognarlo? Perché non poteva avermi chiesto di raggiungerlo?
Anche se era solo uno stupido sogno non riuscivo a smettere di pensare che se Noah fosse stato in vita mi avrebbe detto quelle stesse parole.
Avevo promesso. Sì, lo avevo promesso e mi pentivo di averlo fatto perché era tutto ciò a cui riuscivo a pensare.
Raggiungerlo, in qualche modo, in qualunque modo fosse necessario.
Sospirai e mi alzai dal letto in cerca di qualcosa che potesse distrarmi dalla sua voce nella testa.
Ovviamente non c’era niente in grado di distrarmi da lui, dal suo sorriso, dalla sua voce, dal suo profumo, dal suo viso livido.
Mi strinsi le braccia intorno al corpo, chiudendo gli occhi, ed immaginai che fosse lui ad abbracciarmi.
“Ce la farai, lo supererai Kaja”.
La sua voce mi invase di nuovo e respirai rumorosamente cercando di non andare in apnea come facevo sempre più spesso.
Avrei voluto buttare tutto fuori dalla stanza fino a non lasciare niente, neanche il più piccolo oggetto che potesse ricordarmi di lui.
Urlai graffiandomi le braccia con le unghie e scaraventai a terra la lampada accanto al letto frantumandola in mille pezzi.
“Come lo sai che sopravvivrò a questo?”
Inutilmente avevo provato a sognarlo di nuovo per poterci parlare, per poter replicare. Ma non ero più riuscita a riprodurre quel sogno ed era come se Noah si stesse rifiutando di parlare con me.
E’ quello che avrebbe fatto da vivo. Evitare di parlarmi fino a quando non avessi cominciato ad essere ragionevole.
Guardai atterrita i cocci in terra e per un secondo mi sfiorò l’idea di utilizzarli per farmi del male.
“No, mai”.
“Dannazione”, pensai raccogliendoli attenta a non tagliarmi prima di buttarli in una busta a caso e portarli di sotto.
Quando risalii in camera mi sentii nuovamente mancare il fiato e chiusi gli occhi cercando di recuperare il controllo.
Sentii le lacrime bagnarmi il viso e le scacciai via con stizza. Non ne potevo più di piangere, di disperarmi, di stare ferma immobile nello stesso posto.
Tutta quell’immobilità non faceva altro che aumentare la mia disperazione e rendere la sua assenza sempre più evidente. Mi soffocava.
Quando riaprii gli occhi mi ritrovai a guardare la chitarra acustica di mio padre ed un sorriso si affacciò sul mio viso, sorprendendomi.
Lui mi aveva ridato la musica ed io non riuscivo neanche a pensare di sfiorare più le corde della mia chitarra ora che non c’era.
Tutto quello che Noah mi aveva dato sembrava scomparso con lui e mi faceva rabbia l’idea che tutti i suoi sforzi fossero andati perduti con la sua morte.
Non poteva essere morto invano riportando me e Charlotte alla situazione di partenza. Non potevamo tornare indietro, non potevamo regredire perché lui non c’era. Non volevo rendere il suo lavoro inutile.
Mi avvicinai riluttante alla chitarra e mi accucciai in terra sfiorandone la superficie liscia con i polpastrelli.
Chiusi gli occhi inspirando a fondo mentre sentivo un brivido corrermi lungo la schiena.
Mi mancava la musica, mi mancava la capacità di esprimermi che mi dava.
La imbracciai titubante e sfiorai le corde ruvide delicatamente beandomi della melodia che ne nasceva naturalmente.
Avevo bisogno di dirgli addio a quel modo. Avevo bisogno che la musica mi aiutasse a dirgli quello che volevo sapesse.
Senza pensarci oltre chiamai Chaz e la sua voce stupita mi fece sorridere.
-Ho bisogno di cantare a lui, per lui- sussurrai appoggiando la fronte al muro davanti a me.
-Certo, quando?- chiese con voce titubante.
Mi resi conto di non sapere neanche che giorno fosse o che parte della giornata stessi vivendo.
Ci accordammo per il pomeriggio stesso e mi sentii incredibilmente sollevata al pensiero.
In realtà però le ore passarono più veloci del solito e quando mi ritrovai ad uscire da casa mi sentii improvvisamente impreparata.
Non uscivo da casa dal giorno del funerale e mi sembrava di aver messo piede in un mondo parallelo.
Camminai con passo incerto fino alla casa di Chaz e con ansia crescente mi affacciai al garage.
Trovai tutti i ragazzi lì presenti. Mi stavano aspettando con il sorriso sulle labbra e mi ritrovai a sorridergli di rimando.
Per una volta non mi sembrava che qualcuno mi stesse rivolgendo un sorriso di pietà o uno sguardo colmo di preoccupazione.
Loro mi capivano, lo sapevo, mi accettavano così com’ero, da sempre, ed erano le uniche persone al mondo con cui avrei potuto condividere un momento del genere.
In realtà la presenza di tutti e tre era solo un corollario, non avevo bisogno d’altro che della mia chitarra e di tutte le emozioni che mi tenevo dentro e che mi stavano soffocando.
Con mani tremanti imbracciai la chitarra ed iniziai a suonare lentamente, cercando di liberare la mente da tutto quello che l’aveva riempita negli ultimi mesi.

 

(In the mourning; Paramore
You escape like a runaway train,
off the tracks and down again
And my heart’s beating like a steamboat tugging
All your burdens, on my shoulders.

 
Per un istante pensai che non sarei riuscita a tirare fuori la voce invece iniziai a cantare sentendo i muscoli rilassarsi lentamente mentre la musica si impadroniva dei miei pensieri.
Sentivo il cuore battere con ferocia contro la pelle e pensai che sarei svenuta lì, davanti a loro.
Sentii una mano sfiorarmi la spalla e seppi che era quella di Chaz anche se dentro di me, per un istante, avevo sperato che fosse quella di Noah e che fosse solo un orribile sogno da cui mi stavo svegliando.
 
 

And in the mourning, I’ll rise
In the mourning, I’ll let you die
In the mourning, all my worries

 
La voce si incrinò alla parola “die” e l’immagine di lui, sdraiato nella sua tomba, invase il mio cervello facendomi mancare l’aria per qualche secondo.
Non ero pronta a lasciarlo andare, non volevo lasciarlo morire veramente, ma dovevo, e lo sapevo.
E con quella canzone volevo solo convincermi che ero in grado di farlo, che lui aveva ragione: io sarei sopravvissuta, anche se mi sembrava impossibile crederlo in quel momento.
 

And now there’s nothing but time that’s wasted,
And words that have no backbone,
And now it seems like the whole world’s waiting,
Can you hear the echoes fading?

 
Tutto il tempo che avevo perso sdraiata nel mio letto, tutte le parole che mi erano state rivolte e che per me non significavano assolutamente niente perché non erano le sue, la sensazione che tutti stessero solo aspettando che io tornassi alla vita, la sensazione che lui stesse svanendo definitivamente anche dalla mia testa.
Mi aggrappavo così tanto ai suoi ricordi perché avevo paura di dimenticare il suono della sua voce, il suo viso, la morbidezza della sua pelle, il suo sorriso, le sue braccia attorno a me, il suo profumo.
Avevo paura che la mia mente lo lasciasse andare  e che non sarei più riuscita a sentirlo vicino come in quel momento.
Volevo ancora avere l’illusione che mi fosse accanto, che mi tenesse d’occhio. Volevo pensare che un soffio di vento non fosse altro che il suo respiro sulla pelle, volevo che rimanesse nei miei sogni e che continuasse a parlarmi nei momenti più difficili.
C’era spazio solo per quello nel mio cuore: paura e dolore.
 

And it takes all my strength
Not to dig you up from the ground in which you lay
The biggest part of me
You were the greatest thing
And now you’re just a memory to let go of

 
Mi mancò nuovamente la voce e sentii la chitarra sfuggirmi dalle mani e cadere a terra con un rumore secco.
-Non ce la faccio- sussurrai alzando gli occhi al soffitto cercando ancora i suoi occhi.
-Kaja- la voce dolce di Chaz, velata di preoccupazione, mi raggiunse e mi ritrovai a correre fuori dal garage non appena mi sfiorò la spalla con la mano, cercando un contatto ancora una volta.
No, non potevo lasciare che mi toccasse ancora, che cancellasse le sue impronte digitali dalla mia pelle. Il mio corpo era il suo, come lo era la mia anima, il mio cuore, ogni singola fibra del mio essere.
Le lacrime mi offuscavano la vista e sentivo un nodo stringermi la gola, volevo urlare, dimenarmi, farmi male e cercare di arrestare il dolore che provavo dentro con quello fisico.
Poi una mano mi prese il polso, mi tirò verso di sé e mi ritrovai a piangere su un petto accogliente, circondata da due braccia calde.
-Non ce la faccio- sussurrai di nuovo aggrappandomi con forza al ragazzo che mi teneva stretta fra le sue braccia.
-Lo so- sussurrò dolcemente e mi sembrò quasi di sentire la voce di lui –Sfogati, Kaja, piangi tutte le tue lacrime- aggiunse, soffiando tra i miei capelli.
-Oh, Bent- sussurrai mordendomi le labbra mentre riuscivo finalmente a riconoscere la stretta del mio amico.
Era stato così bello immaginare che fosse lui, che fosse tornato, che mi stesse stringendo come usava fare.
Sentii altre due paia di braccia abbracciarmi e mi ritrovai sommersa d’affetto in un istante.
-Non sei sola- sussurrò Bent, baciandomi la testa.
No, non ero sola. Ma non era abbastanza.
Bent, Dale, Chaz, Charlie, mia madre. Mi amavano, ma non erano abbastanza.
Non erano lui, non lo sarebbero mai stati ed io non potevo aggrapparmi a loro come avevo fatto con lui.
Era sbagliato, faceva male e finiva col lasciarmi sempre più sola.
Avrei dovuto imparare a sopravvivere da me e a lasciar entrare gli altri nella mia vita senza renderli il centro del mio mondo perché ogni volta che lo facevo il destino me li portava via.
-Perché succede sempre a me?- sussurrai, con la voce strozzata.
Era una domanda che non poteva avere risposta, non potevo cercarla dentro me stessa, non potevo cercarla in loro.
“Perché sei forte abbastanza da sopportarlo.”
La sua voce. Di nuovo la sua voce.
La stretta intorno a me si fece più forte mentre mi lasciavo andare, senza remore, alla disperazione più grande che avevo mai conosciuto.


blablablaaaaaa: dato che l'ho scritto praticamente subito l'altro e dato che mi pare che lo abbiano letto tutti l'altro... eccoci col penultimo capitolo! Ebbene sì, siamo arrivati quasi alla fine e a me sta già prendendo la nostaglia! Ma i ringraziamenti ve li beccate nell'epilogo, ovviamente ù,ù *le viene da piangere*
Spero che il capitolo vi piaccia. Mi scuso se è più corto degli ultimi ma il prossimo sarà parecchio intenso e non volevo angosciarvi tutti in una volta sola XD Tanto per un capitolo in più non muore nesssuno ^^ Della canzone il pezzo che mi ha più ispirata è ovviamente l'ultimo e l'ho trovato maledettamente adatto a Noah e Kaja. Per chi non avesse voglia di tradurselo:
"E ci vuole tutta la mia forza per non tirarti fuori dal terreno in cui giaci,
La parte più grande di me,
Tu eri la cosa più grande (importante)
ed ora non sei altro che un ricordo da lasciar andare."
Non mi ricordo che altro dovevo dire çwç *crap* Niente, via XD Al prossimo capitolo ♥

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Capitolo 44
*** 43. Maybe there's beauty in goodbye ***


43. Maybe there’s beauty in goodbye

 

Sbuffò lasciando cadere le braccia lungo i fianchi mentre i capelli, più ribelli del solito, le scappavano fuori dalla coda che si era fatta velocemente.
I suoi occhi sostarono un minuto di troppo nell’immagine riflessa nello specchio e subito la colpì il pensiero di tutte le volte che si era specchiata in quel vetro con lui alle sue spalle, sdraiato sul letto o accanto a lei, intento a guardarla.
Da quando se n’era andato non faceva altro che pensare a tutte le cose che non gli aveva detto, ai momenti che si era lasciata scappare, a come aveva lasciato che le scivolasse fra le dita.
Si chiedeva se lui lo sapesse che lei l’amava ancora e che forse lo avrebbe fatto per sempre. Soprattutto si chiedeva se gli sarebbe piaciuta per come era diventata. Se si fosse innamorato della sua anima e non solo del suo aspetto curato.
Essere amata per quello che era, era il suo desiderio più grande. Sapeva di essere stata amata da Kaja in questo modo ma non era riusciva ad apprezzarlo a suo tempo ed ora che ne aveva un disperato bisogno, ora che sarebbe stata in grado di capire, non c’era nessuno a darle quel tipo di amore incondizionato.
Si strinse fra le braccia e chiuse gli occhi tentando di ricacciare indietro le lacrime.
Rialzò la testa e sospirando lasciò cadere nuovamente le braccia lungo i fianchi e, afferrando un maglioncino nero, si avviò verso il corridoio.
Era una domenica particolarmente uggiosa e non troppo calda, al cimitero non c’era nessuno oltre lei e ne fu felice. Quando c’erano le altre persone si sentiva sempre a disagio, non poteva parlare ad alta voce, non poteva esprimere il suo dolore in santa pace.
Come ogni giorno era andata a far visita alla tomba di Noah.
Si accucciò in terra, sedendosi su i talloni, e sorrise alla fotografia che avevano scelto i signori Wagner.
La sfiorò con le dita e poi ci depositò un bacio sospirando sonoramente.
-Mi manchi- sussurrò mentre un singulto le spezzava la voce.
Doveva essere forte per Kaja e gli unici momenti in cui si permetteva di lasciarsi andare alla disperazione erano quelli che passava in cimitero, davanti alla foto e al suo sorriso.
-Lei non sta bene- disse improvvisamente alzando gli occhi al cielo quasi aspettandosi che cominciasse a piovere sfogando tutta la sua pena –Ed io non so che cosa fare- ammise chiudendo gli occhi mentre si passava la mano sulla fronte, con fare nervoso.
-Temo che il mio amore non sia abbastanza, che non potrà mai essere abbastanza- le mancò il fiato e si lasciò sfuggire qualche lacrima prima di ricacciarle indietro con forza, ingoiandole con la sensazione di soffocare.
Aggrottò le sopracciglia e poi sorrise, amaramente.
-Ora che sono pronta a darle tutto il mio amore, ora che so come fare per renderla felice lei … lei non … -sospirò di nuovo e si alzò in piedi.
-E’ troppo tardi- aggiunse stringendosi nelle spalle.
“Non è mai troppo tardi per provarci”.
Sarebbero state quelle le parole di Noah se avesse potuto pronunciarle. Sorrise scuotendo la testa e poi sospirò guardandosi attorno.
Si lasciò il cimitero alle spalle decisa a giocarsi tutto quello che rimaneva del suo cuore e della sua anima.
Lei doveva essere abbastanza per Kaja perché lei era pronta a lasciarla diventare il suo mondo, il suo tutto.


zEsoK
 Chiusi gli occhi lasciando che il vento mi accarezzasse il viso mentre la musica mi riempiva le orecchie riempiendomi completamente.
La vista dal tetto della casa di Chaz era mozzafiato. Sembrava tutto così sconfinato ed illimitato, senza tempo.
Da lassù sembrava che tutto scorresse con una lentezza estrema, sembrava che il mondo mi stesse aspettando.
Mi strinsi nella coperta che tenevo sulle spalle e poggiai le braccia sulle ginocchia alzando gli occhi al cielo grigio.
Avevo smesso di sentire la sua voce nelle orecchie, la sensazione delle sue mani sulla mia pelle era sempre più rada e mi uccideva.
“Dio, non ti voglio lasciar andare. Non andartene.”
Chiusi gli occhi e li strinsi con forza cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Ero stanca, terribilmente stanca, e i giorni si accavallavano uno sull’altro sempre uguali a loro stessi.
Non importava quanto si sforzassero gli altri di farmi stare bene, non riuscivo a staccarmi da lui e mi soffocava.
Volevo solo farla finita e quella mattina, le sue parole, non mi raggiunsero.
Non c’era più la sua preghiera, la mia promessa. Non c’era stata negli ultimi giorni.
Avevo pensato di farmi del male in continuazione cercando la sua voce nella mia mente ma non era arrivata.
L’idea che mi tormentava era quella che mi stesse lasciando andare, che neanche lui riuscisse più a sopportare tutta la mia disperazione.
Mi staccai con forza le cuffie dalle orecchie e mi liberai della coperta alzandomi in piedi. Raggiunsi lentamente il cornicione del tetto e guardai in basso.
“Dimmi di non farlo, dimmi di non saltare.”
Supplicai mentalmente chiudendo gli occhi. Volevo che mi dicesse di non farlo, che mi trattenesse in quel mondo perché l’avrei sentito vicino ancora per un po’.
Ma non arrivò niente ed io riaprii gli occhi in  preda alla disperazione più totale.
Mi sedetti sul cornicione del tetto scavalcandolo con una gamba mentre il pensiero che stavo per raggiungere le sue calde braccia mi riempiva la testa.
La vidi all’improvviso, lì per strada, con la sua chioma rossa scomposta chiusa in una coda approssimativa.
Era struccata e stretta in un maglione nero striminzito ed era sempre dannatamente bella e perfetta, come non ero mai stata io, come non sarei mai stata io.
I suoi grandi occhi azzurri diventarono ancora più grandi mentre si posavano su di me ed io la guardai senza riuscire a muovere un singolo muscolo.
Il pallore della sua pelle divenne ancora più evidente e riuscii quasi a vedere il tremore che la stava tormentando.
-KAJA?!- urlò nella mia direzione affrettandosi verso la porta di casa.
Sentii le voci concitate di Bent e Chaz mentre uscivano fuori casa. I loro occhi si posarono su di me e mi sentii improvvisamente mortificata dai loro sguardi.
Non volevo che mi vedessero in quello stato, non volevo che qualcuno assistesse alla mia dipartita.
Volevo solo andarmene, silenziosamente. Come se ne era andato lui. Senza preavviso.
-Kaja, scendi giù!- urlò Bent sconvolto mentre si guardava intorno in cerca di chissà quale aiuto.
Scavalcai il tetto anche con l’altra gamba e mi ritrovai mezza sospesa in aria, pronta a tuffarmi giù e a raggiungere il suo magnifico sorriso.
-Non farlo- sussurrò alle mie spalle facendomi sobbalzare.
Mi voltai ed incontrai i suoi occhi sconvolti.
Era così vicina ora che potevo vederlo perfettamente il tremore che l’attanagliava. Riuscivo a vedere persino le lacrime che minacciavano di scenderle lungo il viso.
-Ti prego- aggiunse avvicinandosi lentamente, temendo in una mia reazione istintiva.
-Non ce la faccio più- sussurrai stringendomi nelle spalle –Voglio solo che finisca.
-Non in questo modo- rispose subito aggrottando le sopracciglia con dolore.
Mi ritrovai a singhiozzare coprendomi il viso con le mani. Non ero forte abbastanza per dirle quello che sentivo, per spiegarle che doveva lasciarmi andare fino in fondo.
Tutto quel dolore mi avrebbe uccisa lo stesso, lentamente, divorandomi dall’interno. Volevo solo che smettesse di fare tanto male.
Mi ritrovai stretta fra le sue braccia e la sentii tremarmi contro mentre piangeva insieme a me.
-Lo so, Kaja. Lo so- sussurrò cercando di tirarmi via dal cornicione
-Non toccarmi, ti prego- sussurrai cercando di divincolarmi dal suo abbraccio.
Mi lasciò andare, confusa, e vidi il dolore dipinto sul suo viso.
Mi voleva bene, come non me ne aveva voluto mai, ma mi sembrava che fosse troppo tardi per me, per lei, per il nostro rapporto.
Ero io quella cieca, quella che non poteva ricambiare quell’affetto incondizionato. Il mio cuore non era più in grado di amare.
-Lo so che fa male, lo so che ti manca ma ti prego … non puoi farlo Kaja, lui non vorrebbe!
-Lui non lo può dire quello che vuole!- urlai improvvisamente  scaraventandole addosso tutta la mia rabbia.
-No, non può, ma questo non significa che tu non lo possa più sentire- disse inclinando lievemente la testa.
Lei lo sentiva, ne ero certa.
-Non lo sento più- sussurrai, smarrita stringendo con forza il cornicione del tetto sotto le mie mani.
 
-Devi promettermi una cosa- sussurrai sfiorandogli il petto con le dita.
-Che cosa?- chiese alzando la testa per incontrare i miei occhi.
-Che non mi lascerai mai- distolsi lo sguardo sentendo improvvisamente l’ansia attanagliarmi lo stomaco.
-Non ti lascerò mai- rispose serio, stringendomi con forza mentre cercava i miei occhi.
-Ti amo, Kaja. Smettila di pensare che ti lascerò andare. Non ti lascerò mai andare via da me fino a quando non lo vorrai- aggiunse, ancora serio, mentre mi stampava un bacio sulla fronte.
Io sapevo che non mi sarei mai stancata di lui, che non avrei mai voluto scappare via. E lui era certo delle stesse cose ed aveva le mie stesse paure.
Forse eravamo destinati a stare insieme per sempre, pensavo sorridendo.
Riuscivo quasi ad immaginarmi una vita con lui, una casa tutta nostra, una nostra famiglia.
-Voglio sposarti, amore mio- mi aveva detto un giorno, baciandomi velocemente una tempia.
Mi era mancato il fiato e l’avevo guardato con sconcerto.
-Anche io- avevo sussurrato dopo qualche secondo.
Non avrei mai più dimenticato il bacio che seguì quelle parole.

 

(Nobody Wins; The Veronicas
Now you’re far too high for me to see,
And I never thought that we’d come to this

 
-Me lo aveva promesso- dissi all’improvviso rendendomi nuovamente conto di dove mi trovassi –Aveva promesso che non se ne sarebbe mai andato.
-Non è stata colpa sua- sussurrò Charlie cercando i miei occhi.
-Lo so … è colpa mia- gli occhi mi si inumidirono di nuovo e mi morsi il labbro con forza trattenendo un singulto.
-Non è colpa tua- disse immediatamente lei sfiorandomi i capelli con le dita –Non pensare neanche lontanamente una cosa del genere!
Chiusi gli occhi scuotendo la testa continuando a mordermi il labbro.
Le sue mani si poggiarono sulle mie spalle e riuscì a farmi girare verso di lei. I suoi occhi erano una pozza di dolore.
-Non.è.colpa.tua- disse di nuovo, seria, mentre la sua presa sulle mie spalle si faceva più forte.
-Basta, Charlie, ti prego … lasciami andare- la implorai senza riuscire a trovare neanche la forza di liberarmi della sua presa.
-Non puoi abbandonarmi, te ne prego!- esclamò lasciandosi invadere dalla disperazione mentre il viso le si increspava riempiendosi di lacrime – Io ho bisogno di te … - guardò nei miei occhi vacui e le si fermò il respiro mentre diceva, in un soffio – Ti amo.
La guardai inebetita per qualche secondo senza riuscire ad afferrare il significato delle sue parole.
Poi le sue labbra furono sulle mie e tutto divenne più chiaro. Le sue parole acquistarono senso in un istante e mi colpirono come un’onda d’acqua gelida.
Mi divincolai fra le sue braccia e mi staccai violentemente da lei.
Come aveva osato anche solo sfiorare le mie labbra? Come poteva avermi baciata quando non riuscivo neanche a sopportare il contatto delle sue mani sulle mie braccia?
Aveva profanato le mie labbra, aveva cancellato il sapore di lui e lo sconvolgimento più totale mi invase mentre mi portavo le mani alla bocca, tremando come una foglia.
I suoi occhi erano spalancati e mi guardavano con terrore.
-Tu dici di amarmi?- sussurrai mentre scavalcavo il cornicione del tetto per allontanarmi da lei.
Mi ritrovai in piedi a fissarla con disgusto e profonda tristezza.
-Tu non sai neanche cosa sia l’amore!- sibilai fra i denti senza rendermi conto che, neanche troppo tempo fa, lei mi aveva rivolto le stesse identiche parole.
 

You never say you’re sorry, try to tell me that you love me
But don’t – it’s too late to take it there

 
Singhiozzò con violenza e la vidi spezzarsi sotto I miei occhi.
L’avevo ferita come un tempo aveva ferito me ed in quell’istante mi resi conto che lei era sola, era sempre stata sola.
Avevo smesso di essere sua tanto tempo prima e non c’era più niente da fare per tornare indietro.
Non ci appartenevamo più in nessun modo, non saremmo state mai più nient’altro che delle vecchie amiche e quasi delle sconosciute.
Non riusciva neanche a rispondere alla mia accusa e sapevo di averla segnata per il resto della sua vita.
Era quello che aveva sempre pensato di se stessa, che non fosse in grado di amare. Ma era la seconda volta che si lasciava andare a quel sentimento ed  era la seconda volta che veniva calpestato a quel modo.
Non riuscivo neanche a sentirmi in colpa e mentre le voltavo la schiena decisi il destino di entrambe.
-Addio, Charlotte.- dissi con fermezza lasciandomi quel tetto alle spalle.
Scappai velocemente lungo la strada, lasciandomi dietro anche Chaz e Bent, mi rifugiai nella mia stanza e lo sentii chiamare il mio nome accorato. Gli avevo disubbidito, avevo quasi rotto la nostra promessa.
Piansi senza freno per ore. Per me, per lui, per Charlotte. Per noi.
Avevamo lottato tanto, avevamo sacrificato tanto e cos’era rimasto di tutti noi? Solo della cenere.
Ci eravamo scontrati, avevamo cercato di far prevalere le nostre ragioni, avevamo cercato di distruggerci e di amarci allo stesso tempo.
E quella era la fine per tutti noi. Era una battaglia che nessuno di noi avrebbe mai vinto.
 

Maybe there’s beauty in goodbye,
There’s just no reason left to try,
You push me away,
Another black day,
Let’s count up the reasons to cry,
But look what you’ve missed, living like this,
Nobody wins.

 
 
blablablaaaaaa: come avevo detto, eccoci al capitolo domenicale!
Questo è l'ultimo capitolo ed il prossimo sarà l'epilogo... ed è di una tristezza infinita çWç

Spero che il capitolo vi piaccia. So che molti adesso vorranno lanciare pomodori a Charlotte, ahah XD
La canzone credo che sia molto adatta a Charlie e a Kaja sotto molti aspetti. Ci sono frasi che potrebbe dire Charlie così come altre che potrebbe dire Kaja e quindi ce la trovavo bene, poi va beh, il pezzo che ci sta meglio era quello sull'amore, ovviamente XD
Al prossimo, ed ultimo çWç, capitolo ♥

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Capitolo 45
*** Epilogo ***


Epilogo
 
Charlotte Schwarz
Köln. 2015, 22 Maggio.
Down here love wasn’t meant to be, it wasn’t meant to be for me.
Oh, something is missing in me, I felt it deep within me as lovers left me to bleed alone.
(Missing; Flyleaf)

Gettò indietro la testa stringendo con forza lo sportello della macchina mentre i gemiti le scappavano dalle labbra con forza, incontrollabili.

Era tutto silenzioso attorno a loro, c’erano solo i loro respiri concitati ed i loro corpi che si univano selvaggiamente l’uno all’altro, cercando di completarsi.
I vetri della macchina erano completamente appannati garantendogli una certa privacy di cui in realtà non avevano neanche bisogno.
Il sospiro gutturale di lui la riportò alla realtà e si rese conto che era tutto finito, almeno per lui.
Con forza la sollevò di peso e rigirò le loro posizioni per poterla dominare ancora e farle raggiungere l’agognato piacere.
Si perse nei suoi occhi blu ed immaginò che fossero i suoi, trasformò quei capelli neri come la pece in quelli biondi come il grano di lui e con quel pensiero venne velocemente sui sedili dell’auto sgangherata di lui.
Si tirò su a sedere con il fiato corto ed il senso di colpa che le attorcigliava lo stomaco.
Era sempre così: era lui, i suoi occhi, la sua voce; a volte era persino lei, con il suo sorriso e quegli occhi così verdi e tristi.
Erano loro, perché erano l’unica cosa che non poteva più avere.
Si portò le mani davanti agli occhi mentre poggiava la nuca sul sedile dell’auto cercando di recuperare fiato.
Era l’anniversario della sua morte. Cazzo, come aveva fatto a scordarselo?
Si vestì velocemente recuperando la maglietta nera dal sedile davanti, si infilò in fretta le mutande e tirò giù la minigonna che aveva indossato il pomeriggio prima. Agguantò le Converse nere e se le mise velocemente ai piedi per uscire da quella macchina che cominciava a starle stretta.
-Dove cazzo vai?
-Non mi rompere i coglioni- sibilò mentre gli chiudeva lo sportello in faccia pronta a raggiungere il cimitero il più velocemente possibile.
Infilò il viso dentro alla borsa e recuperò lo specchietto che portava sempre dietro.
Come sempre il trucco nero le era colato sotto gli occhi e con velocità si strofinò la pelle fino a cancellare ogni residuo.
Aveva il viso più pallido del solito, le occhiaie gonfie e ben visibili e l’aria sfinita.
Le piaceva la sua immagine allo specchio, era tutto il contrario di quello che era sempre stata.
Non era più la bambola perfetta, precisa, pulita e col viso truccato in modo impeccabile. Era trasandata, con i capelli spettinati, il trucco sfatto ed i vestiti abbinati a caso.
Dovevano essere circa le sette del mattino, erano più di 12 ore che era fuori casa. L’idea di tornare dentro quell’appartamento le metteva la nausea.
Non pensò neanche a controllare il cellulare per vedere se sua madre si era preoccupata della sua esistenza, sapeva che non l’avrebbe mai chiamata, che non si sarebbe neanche resa conto della sua assenza.
Da quando Aaron se n’era finalmente andato anche lei aveva preso il volo ed era diventata più assente di quanto non fosse già stata prima.
Si sentì tirare indietro con forza e si voltò di scatto incrociando gli occhi infuocati di Sascha.
La sua mano stringeva con forza il suo gomito.
-Un attimo prima stiamo scopando nella mia macchina e il secondo dopo te ne vai senza manco dirmi un cazzo?- sibilò avvicinando il volto al suo.
Alzò gli occhi al cielo.
-Non stiamo insieme, quante volte te lo devo dire?- sussurrò liberandosi con forza dalla sua presa.
-Cazzate- disse lui sbattendola contro il muro con violenza.
Infilò con forza la lingua nella sua bocca aggrappandosi con forza ai suoi capelli.
Le lasciò andare le labbra e la fissò dritta negli occhi.
-Tu sei mia- sibilò prima di morderle il labbro inferiore.
Si intrufolò con una mano fra le sue cosce, spostò le mutande e si fece spazio dentro di lei nel bel mezzo della strada e tutto ciò che lei riuscì a fare fu sospirare e contrarre lo stomaco dal piacere.
Si aggrappò alle sue spalle e mugolò di piacere mentre lui si spingeva più dentro deciso a farla venire all’aperto. Non le interessava neanche che qualcuno potesse vederli, che potessero denunciarli, si lasciò andare contro quel muro e venne con forza contro la sua mano.
Lui la lasciò finalmente andare e lei fu costretta a pulirsi con un fazzoletto di carta, per quanto possibile, mentre lui sorrideva soddisfatto.
Barcollò mentre si staccava dal muro e si rese conto del mal di testa post-sbornia che l’attanagliava.
-Devi smetterla- disse alzando gli occhi verso di lui.
-Mai- rispose lui col suo solito sorrisetto.
Fece schioccare la lingua e lo mandò a quel paese alzando il dito medio prima di cominciare a correre all’impazzata, per seminarlo.
Lo sentì ansimare alle sue spalle per qualche metro e poi sentì il rumore dei suoi passi arrestarsi.
-Vaffanculo, puttana!- le urlò contro mentre lei continuava a correre lontano da lui.
Si fermò solo quando era certa che non poteva più raggiungerla e quasi si accasciò in terra, senza fiato.
La sua relazione con Sascha, se così la si poteva chiamare, era iniziata circa un anno prima, per caso.
Aveva iniziato ad uscire sempre più spesso la sera, aveva conosciuto persone, era entrata in giri poco raccomandabili ed alla fine, una sera, aveva incontrato lui.
Avevano ballato, si erano ubriacati insieme, si erano ingollati qualche pasticca ed erano finiti nella macchina di lui, proprio come qualche minuto fa, a possedersi selvaggiamente.
Solo il mattino dopo aveva avuto modo di riconoscere il suo viso ed associarlo ad una vita passata che cercava di dimenticare ogni singolo giorno.
Sarebbe stato impossibile non ricordare il suo viso e Kaja in lacrime e Noah piegato sul suo corpo pronto a fare giustizia.
Aveva provato disgusto per lui e per se stessa ma aveva finito col vederlo ancora e non aveva fatto niente per fermare quel rapporto, mai.
Vedere lui le creava dolore, le faceva contrarre lo stomaco e le faceva venire il magone ma era la cosa più vicina che aveva alla sua vecchia vita.
Voleva dimenticare ma continuava ad aggrapparsi al suo passato con forza, sperando in qualche modo di poter tornare indietro. E lui le ricordava tutto ciò che era stato e che non era più.
Charlotte immaginava che Sascha avesse intuito la vera ragione per cui continuava ad uscire con lui e a concedergli il suo corpo ma immaginava anche che gliene fregasse ben poco.
Sascha non era cambiato affatto in quegli anni. Era un ragazzo violento al quale piaceva prendere tutto quello che voleva, anche con la forza se necessario.
Spesso le ricordava suo padre e la faceva rabbrividire di terrore e disgusto. Ma comunque non riusciva a lasciarlo veramente andare.
Spesso si ritrovava a pensare a cosa avrebbero detto loro se solo avessero saputo.
Non avrebbero approvato, ne era sicura, e forse era questo un altro grande motivo per cui si ostinava a vederlo.
Avrebbe voluto che Kaja potesse dirle quanto schifo le faceva, avrebbe voluto vederla arrabbiata con lei, sconvolta e con le lacrime negli occhi.
L’amara verità, che aveva iniziato ad accettare lentamente, era che l’amore non era fatto per lei, non le era stato concesso il dono d’amare veramente e finiva col bruciare tutto quello che toccava.
Appoggiò la testa al muro del palazzo e chiuse gli occhi rivivendo per l’ennesima volta quel bacio dato di getto e quegli occhi spalancati, pieni di terrore.
Aveva detto “ti amo” solo a due persone nella sua breve vita e tutto ciò che aveva ottenuto era quello: il niente, la solitudine e l’odio per se stessa.
L’avevano lasciata, abbandonata per sempre, e lei non aveva fatto altro che andare sempre più a fondo fino a diventare la pallida ombra di se stessa.
Non c’era più niente di Charlotte in lei, adesso, non c’era più niente d’amare, niente da salvare.
Si asciugò velocemente gli occhi e sospirando ricacciò indietro tutti quei ricordi, tutti quei pensieri e si alzò in piedi.
Inspirò con forza e si strinse le braccia attorno al petto tentando di controllare il tremito che l’attanagliava: era già in astinenza.
Cercò di non pensare neanche a quello e percorse la strada velocemente, senza neanche guardare dove andava. I suoi piedi conoscevano la strada a memoria, non aveva bisogno di rendersi conto di dove si trovava, le sue gambe avrebbero sempre trovato la strada per lei.
Era come se l’anima di lui continuasse a chiamare la sua, guidando i suoi passi, annebbiando la sua mente.
Inspirò a fondo e posò gli occhi sulla lapide sentendo già gli occhi bruciare sotto il peso delle lacrime che volevano scappare, fuori dal suo controllo, e precipitare in terra.
Sospirò e si accoccolò in terra fissando per minuti interminabili la foto di Noah, i suoi occhi brillanti, il suo sorriso così vivido da sembrarle vero.
Si allungò e sfiorò la superficie fredda della cornice lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Anche se andava a trovarlo tutti i giorni faceva sempre male, quel giorno più di altri.
-Mi manchi- sussurrò mordendosi il labbro inferiore che aveva iniziato a tremare mentre tentava di inghiottire tutto il suo dolore.
Passava ore nel cimitero a parlargli, come se lui potesse risponderle. Le dava l’impressione di averlo ancora affianco e Dio se ne aveva bisogno.
Senza più una guida, un amico che potesse considerarsi tale, era andata completamente alla deriva e quell’appuntamento quotidiano era l’unica cosa che riusciva ancora a tenerla a galla.
-Gli ho scritto un’altra lettera ieri- sussurrò guardandosi le unghie smaltate di nero –Però non riesco a spedirgliela … - aggiunse torturandosi lo smalto con le unghie fino a staccarne qualche pezzo.
-Vorrei dirglielo- disse ancora – di Sascha – aggiunse come se lui avesse un’espressione confusa sul viso –Ma non penso che mi risponderebbe- si strinse nelle spalle ed affondò la testa nelle braccia.
Aveva bisogno di un abbraccio, aveva bisogno del suo calore, del suo respiro fra i capelli, del suo profumo, della sua voce.
-Mi manca- sussurrò improvvisamente scoppiando in un pianto incontrollato.
Sentiva il petto bruciarle d’amarezza e le lacrime impedirle il respiro.
Kaja era sparita nel nulla, non era più tornata per lei, né per lui. E l’idea che li avesse lasciati andare entrambi la distruggeva.
Come poteva aver abbandonato Noah? Perché non era più tornata per lui?
In quegli anni Charlotte non aveva fatto altro che restare nel Cimitero tutto il giorno aspettandosi il suo arrivo, ma non era mai successo niente.
Odiava dover essere il passato di una persona che amava ancora, odiava il fatto che fosse stato così semplice per lei lasciarla andare.
Non riusciva neanche più a smettere di chiedersi come sarebbero andate le cose se a morire fosse stata lei. Forse il mondo sarebbe stato un posto migliore. Forse Kaja sarebbe stata più felice.
Ricacciò indietro le lacrime e si asciugò il viso con stizza.
Perché lei non riusciva a fare altrettanto? Perché non riusciva a lasciarla andare?
La amava esattamente come prima ma aveva anche iniziato ad odiarla. Sì, lei la odiava.
Perché Kaja era il centro dei suoi pensieri e lei non riusciva ad essere lo stesso. Perché era lei quella che era rimasta indietro, quella che non riusciva più a staccarsi dalla sua adolescenza.
Si alzò da terra e si baciò una mano prima di poggiare le dita sulla foto di lui. Non avrebbe aspettato un’altra intera giornata per lei. Non voleva più pensare; era solo stanca.
Le ore si accumularono improvvisamente, si sovrapposero, e lei cominciò a perdere la cognizione del tempo che passava.
Guardò la birra fra le sue mani e ne bevve metà in un solo sorso.
Aveva bisogno di dormire e, probabilmente, di mangiare.
Si allontanò in completa solitudine dal bar e percorse la strada che l’avrebbe portata a casa in compagnia della sua birra.
Sospirò sonoramente quando arrivò all’incrocio di casa sua e per poco non fece cadere in terra la bottiglia quando la vide.
Era lei, col suo viso pallido, gli occhi verdi più grandi di quanto li ricordasse, la bocca contratta in un’espressione indecisa. Aveva i capelli neri sciolti, lunghi ben oltre il seno ed era dannatamente bella.
Un sorriso si dipinse sul suo volto mentre scorreva la sua figura. Era solo un sogno? O era tornata? Per lui? Per lei? Per loro?
I suoi occhi si posarono infine sulla sua mano sinistra e la trovò intrecciata a quella di qualcun altro.
Rialzò gli occhi e lo vide, con l’espressione seria ed i capelli biondi, come quelli di LUI.
Guardò oltre loro e riconobbe Chaz e Dale alle loro spalle. La band di Kaja.
Tornò a fissare il volto di lui, Bent, e lo vide mentre si voltava verso di lei, sussurrandole qualcosa all’orecchio.
Lei annuiva, distratta, senza staccare gli occhi da casa sua.
Stava per avvicinarsi quando le tornò in mente il suo stato: la bottiglia di birra, il viso bianco, il trucco disastrato, i vestiti che le andavano ormai troppo larghi.
Fece un passo indietro e sprecò l’unica occasione che  probabilmente avrebbe mai avuto di rivederla e di parlarle.
Kaja si voltò verso Bent, sorrise e si appoggiò a lui mentre si allontanavano ancora dal passato, dalla strada che aveva segnato le loro vite.
La osservò mentre se ne andava, scomparendo nel nulla, come aveva fatto anni prima.
Si accasciò in terra e pianse tutte le sue lacrime. L’aveva persa ancora una volta, aveva permesso a se stessa di lasciarla andare, non aveva neanche provato a raggiungerla, a cercare il suo affetto ormai perduto.
E fu l’ultima volta che Charlotte Schwarz vide Kaja Berger.

 
Kaja Berger
Köln. 2015, 22 Maggio.
It’s hard to dance with the devil on your back so shake him off, and given half the chance would I take any of it back, it’s a fine romance but its left me so undone, it’s always darkest before the dawn.
(Shake it out; Florence and the machine)

Erano tre anni, tre lunghissimi anni, che non tornavo a Köln. Ero scappata da tutto e da tutti, avevo voluto dare un taglio alla mia vita, a quella vita e mi ero illusa che lasciare la città mi avrebbe permesso di lasciarmi alle spalle il dolore che provavo.
In realtà il dolore mi aveva accompagnata lo stesso in quegli anni, era diminuito certo, ma era sempre presente.
Mi ero trasferita a Berlino con mia madre circa una settimana dopo la confessione di Charlotte.
Non riuscivo più a respirare in quella città, non riuscivo neanche più a distrarre la mia mente da Noah e Charlie. Avevano rappresentato tutta la mia esistenza per troppo tempo ed avevo bisogno di diventare qualcos’altro.
Non potevo più essere la Kaja di Charlie, né la Kaja di Noah. Dovevo poter essere qualsiasi cosa volessi essere, dovevo vivere solo per me stessa se volevo un futuro.
Mi lasciai tutto alle spalle e soffrii in modo indescrivibile. Piansi, urlai, mandai in frantumi metà della mia stanza ma alla fine ne venni fuori.
Avevo provato l’impulso di contattare Charlotte mille volte ma non l’avevo mai fatto. Per paura, per orgoglio, per un milione di ragioni.
Io e Charlotte non ci appartenevamo più e tornare indietro sarebbe stato impossibile.
Avrei dato tutto quello che avevo per rivivere tutto da capo, per correggere i miei errori, per aprirmi prima con lei, ma non potevamo annullare il tempo passato, non potevamo cancellare le nostre decisioni.
Eravamo diventate due persone completamente diverse, non eravamo solo cresciute, noi eravamo cambiate nel profondo.
Sentivo, in quegli anni più che mai, che le nostre diversità erano diventate troppe per mantenere un qualsiasi tipo di rapporto.
Tra il dolore e l’amarezza provai spesso anche un forte senso di colpa: l’avevo lasciata a se stessa, ne ero più che consapevole, e sapevo che senza di me sarebbe andata a fondo, ma sapevo anche che non potevo permetterle di aggrapparsi a me, mi avrebbe solo trascinata con sé.
Aggrapparsi con troppa forza a qualcuno era deleterio, l’avevo imparato duramente e non avrei mai permesso a nessuno di aggrapparsi a me come avevo fatto io con gli altri, né avrei permesso a me stessa di dipendere totalmente da qualcun altro.
Sentii gli occhi bruciare mentre poggiavo la fronte al vetro del treno nel quale mi trovavo. Riuscivo già a scorgere in lontananza Köln e non riuscivo a non sentire un certo rimorso per quel viaggio.
Dopo tre anni avevo finalmente deciso di tornare nella mia città, da lui.
Quel 22 maggio erano tre anni che Noah era scomparso dalla mia vita, non gli avevo mai detto veramente addio, neanche quando avevo lasciato Köln.
Sentivo, più che mai, il bisogno di visitare la sua tomba anche solo per un’ultima volta.
Avevo confessato i miei sentimenti ai ragazzi della band, che nel frattempo mi avevano raggiunto a Berlino diventando una parte fondamentale della mia vita, ed erano stati proprio loro infine a convincermi.
Avrei voluto fare quel viaggio da sola e provare a me stessa che ero forte abbastanza, ma nessuno di loro mi avrebbe mai lasciato andare da sola fino a Köln e mi ero ritrovata in un treno verso la nostra città natale con tutti e tre al mio fianco.
-Ci sono qui io- sussurrò Bent al mio orecchio riportandomi alla realtà.
Mi voltai verso di lui e sorrisi timidamente. Sapeva sempre cosa dire e quando dirlo, sapeva tutto di me e sapeva interpretare ogni singola espressione del mio viso. Come c’era riuscito anche lui.
Non saprei dire neanche io come iniziò il mio rapporto con Bent, venne tutto in modo così naturale e semplice che stentammo ad accorgercene entrambi.
Circa un anno prima lui aveva finito col farsi avanti ed io l’avevo lasciato fare, l’avevo accolto appieno nella mia vita e mi ero data la possibilità di amare ancora quando, fino a qualche mese prima, non avrei neanche pensato di poterlo fare.
Gli posai le labbra sulla mano, che stringeva la mia, ed annuii. Ero grata della sua presenza, ero grata per il suo modo di essere e per come riusciva a comprendermi.
Non avrei mai smesso di provare dolore per la scomparsa di Noah, non avrei mai smesso di amarlo e non avrei mai smesso di pensare a come sarebbe potuta essere la mia vita con lui se fosse stato ancora in vita. Ma Bent questo lo capiva e, stranamente, lo accettava.
Mi ritrovai quasi senza accorgermene all’interno del cimitero e sentii lo stomaco attorcigliarsi.
Decisi di fermarmi prima da mio padre, nel vano tentativo di calmare il mio cuore agitato, e poi raggiunsi anche la tomba di Noah.
C’erano dei fiori freschi ed immaginai che i suoi genitori dovevano avergli già fatto visita.
Mi sentii improvvisamente schiacciata del senso di colpa per l’averlo abbandonato a quel modo.
Mi ero sempre chiesta se i suoi genitori, e Charlotte, avessero mai pensato che mi ero dimenticata di lui così facilmente, lasciandomelo alle spalle senza alcun rimorso.
Bent lasciò andare la mia mano e si allontanò lentamente per concedermi un po’ di spazio.
Non volevo che mi vedesse piangere ma non riuscii a trattenere le lacrime molto a lungo.
Singhiozzai silenziosamente fissando i miei occhi in quelli ridenti della foto e sentii una fitta allo stomaco quando spostai lo sguardo sul suo sorriso. Quel sorriso.
Lui sarebbe stato orgoglioso di me, di come avevo affrontato quel dolore, di come mi ero rialzata e sarebbe stato felice di vedermi serena, con accanto una persona d’amare  e degli amici fantastici.
Lui non mi avrebbe mai voluta triste, sola, abbandonata a me stessa e senza scampo.
Quel pensiero mi tranquillizzò quanto necessario per asciugarmi il viso e sorridere mestamente alla sua foto mentre sospiravo sonoramente.
-Mi dispiace- sussurrai, semplicemente.
Avrebbe capito, come aveva sempre fatto, senza il bisogno di aggiungere nient’altro.
Non avevo mai avuto bisogno di parole con lui quand’era vivo e non ne avevo certo bisogno ora che non c’era più.
Mi strinsi nelle spalle e chiusi gli occhi cercando di sentire la sua voce nella mia testa.
Un brivido mi percorse la schiena quando riuscii veramente a sentirla, come se fosse lì, al mio fianco, con le labbra a un centimetro dal mi orecchio.
“No. Sii felice e basta.” – sorrisi immaginando che se avesse potuto mi avrebbe detto quelle esatte parole. Non dovevo dispiacermi. Dovevo solo essere me stessa ed essere felice.
“Sii felice.” – ripeté la voce mentre una lacrima mi rigava nuovamente il viso.
“Ti amo”.
Sentii l’aria mancarmi improvvisamente ed aprii gli occhi per ricordare a me stessa che non c’era, che stavo solo immaginando.
Avrei dato ancora qualunque cosa perché potesse tornare indietro da me, perché potessi averlo di nuovo nella mia vita, lì accanto a  me.
“Ti amo anche io”, pensai alzando gli occhi al cielo per ricacciare indietro le lacrime.
Mi allontanai dalla sua tomba cercando di ricacciare indietro il senso di colpa. Non lo stavo abbandonando ancora, sarei tornata. Lo giurai proprio in quel momento e avrei fatto di tutto per tornare a trovarlo. Glielo dovevo. E lo doveva anche a me stessa.
Sulla via d’uscita del cimitero mi cadde l’occhio su un nome familiare: “Schwarz”.
Per un attimo pensai al peggio, pensai di aver perso in modo definitivo anche Charlotte.
Il cuore smise di battere mentre il sangue mi defluiva dal viso; avevo paura persino di controllare il nome sulla lapide. Ma alla fine mi decisi e lessi, con sollievo, “Aaron”.
Era morto, anche lui, in chissà quali circostanze, e non riuscivo a provare neanche un briciolo di dispiacere per la sua dipartita.
-Andiamo- sussurrò Bent unendo la sua mano alla mia.
Annuii e ci incamminammo versa la mia vecchia abitazione; non avevo idea di chi vi vivesse ora, non avevo mai voluto sapere nulla dei nuovi proprietari, non avevo mai voluto sapere niente sulle notizie che potessero riguardare la mia città natale.
Rivedere la mia casa mi fece un certo effetto, era sempre la stessa ma anche così profondamente diversa. Mi fece sorridere rivedere gli scalini che conducevano alla porta, il piccolo giardino, la finestra della mia vecchia camera.
I ricordi mi invasero la mente con una dolcezza estrema: la finestra dalla quale vidi Charlotte e Noah baciarsi la prima volta, dalla quale lanciai il computer in preda alla disperazione, la porta che avevo sbattuto un miliardo di volte in faccia a entrambi e contro la quale avevo dato il mio primo bacio a Noah, gli scalini dove lui mi aveva dimostrato quanto geloso fosse.
Abbassai gli occhi in terra e quando li rialzai li puntai sulla casa di Charlotte. Abitava ancora lì, lo sapevo, e mi sembrava tutto uguale a tre anni prima.
Mi avvicinai titubante e osservai attentamente la finestra della sua stanza come avevo fatto ininterrottamente quattro anni prima, cercando di ottenere il suo perdono.
Non ci fu però nessun movimento e seppi che non era in casa. Charlotte aveva sempre avuto la capacità di percepire la mia presenza, era sempre riuscita ad affacciarsi alla finestra quando io ero intenta ad aspettarla, in mezzo alla strada.
Non riuscii a non pensare a cosa ne fosse stato di lei e la tristezza prese il sopravvento nuovamente.
Pensai anche di suonare alla sua porta. Volevo sapere ma allo stesso tempo avevo troppa paura.
Non avevo la forza, né il coraggio, di affrontare le eventuali conseguenze della nostra separazione.
-Vuoi andare via?- mi chiese Bent, sussurrando.
Annuii distrattamente e mi lasciai trascinare lontano da quel luogo che non volevo mai più rivedere.
Portava con sé troppi ricordi, troppa sofferenza e decisamente troppo senso di colpa.
Era finita la giornata, eravamo quasi arrivati alla stazione per ripartire, quando la vidi, da lontano.
Avrei potuto riconoscerla fra mille. L’avrei riconosciuta sempre, ovunque. Persino oggi riuscirei a distinguerla nella folla, anche dopo tutti gli anni che sono passati.
Il suo incarnato sempre bianco, quasi luminescente, e quei capelli lunghi e dannatamente rossi, come il fuoco, come un segnale di pericolo.
Mi fermai improvvisamente incapace di muovere un singolo muscolo, con gli occhi puntati su di lei.
Era dimagrita, riuscivo a vederlo bene, ed era diversa, molto diversa.
Era in mezzo a persone che non avevo mai visto e che non avevano per niente un aspetto rassicurante.
Rideva, sembrava felice e, anche se la sua compagnia non mi ispirava grande fiducia, mi sentii più tranquilla all’idea che avesse trovato anche lei la sua serenità.
La osservai attentamente, chiusa nei suoi vestiti neri, col trucco nero sugli occhi, e cercai di recuperare l’immagine della Charlotte di quattro anni prima, di quella bambola apparentemente perfetta ed irraggiungibile.
Ci misi qualche minuto a capire che era completamente ubriaca, come il resto del suo gruppo, e trasalii quando vidi una ragazza passargli una pasticca con molta nonchalance.
Immaginai che avrebbe rifiutato ma non lo fece, anzi, rise e la buttò giù velocemente, accompagnata da un sorso di birra.
L’orrore che provai fu infinito e sentii salire la nausea. Era questo che era diventata senza di me?
Un’ubriacona drogata? Era arrivata così infondo la sua disperazione?
Sentii le lacrime invadermi gli occhi ma le trattenni e distolsi lo sguardo.
Non avevo alcun diritto di giudicarla, non più. Lei non era la mia Charlotte. Non lo era da tempo.
Stavo per allontanarmi, con quel senso di colpa sullo stomaco, quando lo vidi.
Anche lui l’avrei potuto riconoscerlo fra mille persone. Lui con i suoi occhi azzurri ed i capelli più scuri di quanto li ricordassi, lui che aveva cercato di approfittarsi di me. Sascha.
Lo vidi avvicinarsi a Charlotte e per poco non urlai quando la attirò a sé e la baciò davanti a tutti, senza alcun pudore, infilandogli le mani sotto la maglietta, sfiorandole la schiena.
Il disgusto che avevo provato fino a quel momento salì esponenzialmente lasciandomi senza fiato.
Come poteva essersi abbandonata a lui? Come aveva potuto lasciarlo anche solo avvicinare?
Per un istante fui sul punto di correre da lei e strapparla dalle mani di Sascha, ma mi trattenni. Dovevo ricordare che non avevo più alcun diritto su di lei, non avevo più alcuna voce in capitolo sulla sua vita.
Sentii le braccia di Bent circondarmi e sussultai, avevo quasi dimenticato della sua presenza.
-Andiamo via, piccola- sussurrò trascinandomi lentamente con sé.
Quella fu l’ultima volta che rividi Charlotte in vita mia e il modo in cui l’avevo vista mi tormentò a lungo facendomi perdere anche parecchie ore di sonno.
Era troppo tardi, ormai, per porre rimedio, per tornare indietro, per salvare le nostre anime.
 
Non dimenticherò mai i miei anni a Köln, né Charlotte e Noah. Li porterò sempre nel mio cuore perché sono parte di me, perché mi hanno reso la persona che sono oggi e perché mi hanno insegnato cosa significa amare, cosa significa lasciarsi andare ed essere se stessi. Mi hanno insegnato a non nascondermi dietro qualcosa che non sono, mi hanno insegnato a non aggrapparmi agli altri, mi hanno insegnato a lasciar entrare le persone nella mia vita e a superare la loro scomparsa. Ed io gliene sarò sempre immensamente grata.
Nonostante il dolore, la sofferenza e l’amarezza, gli anni di Köln sono stati i più belli della mia vita perché hanno formato il mio carattere e perché non riesco a non sorridere ripensando a tutto quello che abbiamo vissuto insieme.
La cosa più importante che imparai nella mia adolescenza è che siamo tutti delle bambole, che ci nascondiamo tutti dietro delle maschere per paura che gli altri ci spezzino il cuore, e che i rapporti che installiamo fra noi sono fragili come la porcellana. Basta una spinta, un soffio di vento e cadiamo e ci spezziamo. E quando non ci spezziamo ci incriniamo, per sempre.
Il trucco è rimettere assieme i cocci, il prima possibile, ed andare avanti.
Io non ho più paura di me stessa, di quello che sono. Non ho più paura di mostrare le mie ferite, tutte le mie venature, al mondo. E non dovreste averne neanche voi.

 
 
 
 
 

FINE
 

blablablah: siamo giunti alla fine. Sto piangendo da stasera alle otto, mentre scrivevo, e se penso che è finita veramente ricomincio: rendetevi conto di come sto!
Spero che l'epilogo vi sia piaicuto e che l'abbiate trovato in linea con la storia. Ho voluto anche spiegare il significato del titolo, "porcellana", nelle ultime parole di Kaja e spero che sia più chiaro adesso la scelta che ho fatto.
L'epilogo rappresenta l'opposto del primo capitolo. L'assenza di Noah, che sembrava essere la chiave per la relazione amorosa Charlotte-Kaja, alla fine si dimostra essere deleteria. Noah è diventato il collante fra Charlie e Kaja e senza di lui non sono più niente l'una per l'altra.
Si vorranno per sempre bene ma non potrebbero mai avere un rapporto, non dopo tutto quello che c'è stato.
Per qualsiasi domanda chiedete pure, risponderò a tutti i vostri dubbi.
Ora però è arrivato il momento di dire loro addio, probabilmente per sempre, e di lasciarli andare.
Ed io voglio ringraziare tutti: le persone che mi seguono dall'inzio, chi ha iniziato più in là, chi ha scoperto la storia adesso e chi la scoprirà in futuro.
Voglio ringraziare chi mi è stato vicino e mi ha incoraggiato a non abbattermi mai. Voglio ringraziare chi ha creduto in me e ha sopportato tutte le mie crisi.
In particolare voglio ringraziare Sanda, Laura e Jess che da qualche mese si subiscono tutte le mie paure ed i miei dubbi sulla storia e che sono sempre state pronte a consigliarmi e supportarmi (SOPPORTARMI) nonostante tutto.
Voglio ringraziarle perché non hanno mai smesso di spronarmi ad andare avanti, anche a suon di minacce XD, e non hanno permesso che eventi esterni mi bloccassero. Grazie ragazze, vi voglio bene.
E poi voglio ringraziare te che stai leggendo questa nota e che hai seguito la storia fino alla fine.
Voglio ringraziarti, lettore, per aver recensito, per avermi supportato -disco rotto- e per aver amato questa storia e questi personaggi.
Voglio ringraziare tutti perché non avete idea di quello che avete rappresentato per me. Un sostegno, un motivo per mettercela tutta. Il mondo.
Essere stata in grado di far ridere, piangere ed arrabbiare è motivo di gioia per me. Avete amato i miei personaggi come li amo io e non c'è niente di più bello di questo. Li avete odiati, a volte. E va bene lo stesso perché significa che siete entrati in contatto con loro.
Ed è ora di chiudere il poema davvero, e lo faccio con un ultimo grazie di cuore.
Sappiate che mi avete reso una persona migliore e che mi avete fatto crescere e non potrò mai esservi grata abbastanza.

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