si possono unire due mondi assieme

di HG_project
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1°capitolo: William McKinley High School ***
Capitolo 2: *** 2° capitolo: ATTENTO A TE, IDIOTA! ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo: This is war...Ma da dove arrivano quei cinque? ***



Capitolo 1
*** 1°capitolo: William McKinley High School ***


1°capitolo: William McKinley High School.

Venivo dall’altra parte del mondo. Nessuno voleva credere alle mie origini d’appartenenza, tanto che più volte dovetti specificare per fargli capire che, no, non venivo né dal Missouri, Texas o California. Infatti, mi trasferii a Lima, in Ohio,per lavoro dei miei. Dovetti abbandonare la mia soleggiata Spagna per recarmi nella stroboscopica e rumorosissima città Statunitense.
Inizialmente odiai quel posto. Ogni volta che uscivo di casa, trovavo una qualche scusa per restare chiuso in camera ad ascoltare canzoni su canzoni, iniziando perfino a preferire la musica alle persone. Nonostante questa mia situazione, quei due non mi diedero nessun tipo di supporto o ascolto. Più volte chiamarono uno psicologo, ma questo, chissà perché, se ne andava via dicendo “vostro figlio non ha bisogno di uno psicologo, ma di una vita”.Decisero di iscrivermi al corso della William McKinley High School, e…oltre ad avere il normale anno come tutti gli altri, mi inserirono alla selezione per un gruppo chiamato “Glee club”, ragazzi e ragazze che oltre fare coreografie, cantavano.
Il canto, nonostante fossi modesto, era una delle poche cose che…veniva da sé. Non avevo mai partecipato a lezioni corali o cori scolastici. Credevo fossero solamente un mucchio di ragazzi e ragazze che, secondo brani seicenteschi e giù di lì, seguivano immobili il volere di un’unica persona. Senza ascoltarsi l’un l’altro, senza collaborare o stabilire una vera amicizia, di quelle che si formano solamente in un gruppo. Perché come sempre vedevo, uno sparlava dell’altro…così, giusto per far cortesia, e il primo, poveretto, se sgarrava una nota, gli altri iniziavano a ridere.
Forse avrei trovato quell’uguaglianza che a Madrid non riuscì a trovare. Forse qualcuno mi avrebbe aiutato. Forse avrei trovato una strada.
La cosa che però mi bloccò immediatamente i pensieri fu la selezione. “Ovvio” pensai. Un altro gruppo di pecorelle belanti che, se gestite in una maniera giusta, sapevano fare un accordo maggiore. Niente veniva dal cuore. Niente vedevo scaturire da quelle facce immobili, come sotto ipnosi di una sottile e lunga bacchetta, che si muoveva con piccoli spasmi di qualche mano adulta, rugosa e grassa.
Non era adatto per un giovane. Dov’erano andate a finire le canzoni moderne? Certo, senza dover parlare necessariamente di musica da discoteca, quella che odiavo. E non fraintendiamo, che odio ancora oggi. Che la cantassero gli adulti le opere di Mozart, Beethoven o Bach. Noi avevamo bisogno degli autori moderni.
A malincuore, il primo giorno, dovetti assistere alla scena più straziante della mia vita. In ogni bagno vi era qualche coppia che pomiciava felicemente, o peggio ancora, si scopava qualcuno. Tutto questo per un’antica usanza. Questo fu quello che mi raccontò il mio “nuovo” compagno di banco, Alfred, un tipetto biondo, occhi azzurri e occhiali. Oh, e un piccolo ciuffo strano rivolto verso l’alto. Un po’ egocentrico e iper-attivo, ma pur sempre simpatico e…insomma, caruccio. Però, la scoperta più grande fu quella che venne osservando con i miei, i MIEI occhi chi c’era dentro tutti i bagni.
Me lo scrissi su un piccolo taccuino.
Ogni volta che esprimevo la mia su qualcosa il quale non potesse protestare, o mandarmi direttamente a quel paese, mi faceva sentire meglio.
Ovviamente sfoggiavo questo “ME” solo in privato, nel mio piccolo ero il devastatissimo Antonio, il ragazzo che fuori cerca di nascondere tutto il suo malcontento con migliaia di sorrisi, prendendosi anche il suffisso di “faccia da schiaffi”, mentre grazie alla sua mente aveva mandato via più di cinque psicologi.
Ma, come sarebbe dovuto essere, la mente di Antonio rimase appunto, “la mente” di Antonio.
Senza tante cerimonie, parlai con Alfred, chiedendogli se anche lui avesse partecipato alla selezione. Rispose di sì. Insomma, tra tutti gli elogi del giovane biondo, pareva un involontario “sì”. Così aspettai la fine delle lezioni. Perché, stranamente, non vi era un orario preciso. O almeno non come quello di tutte le altre compagnie a cui  assistetti impersonalmente. Così il cuore iniziò, prima di tutto a perdere colpi. Anche perché, nonostante fossi un ragazzo apparentemente tranquillo, sicuro di sé e qualche volta ritenuto anche l’ “ingenuo” della situazione, quando si trattava di eventi importanti, mi agitavo già da ore prima. Infatti come primo giorno di scuola, la mia testa incrociò le braccia e si mise a danzare in un angolino, senza darmi la grazia di ascoltare anche una piccola parola degli insegnanti.

Poco importava, in fondo…no?

Insieme ad Alfred, che, come ogni ora, si mangiava un hamburger seguito dall’immancabile bibita scura e frizzante (per il quale ancora mi domando come diavolo faccia a non esplodere), spalancai la porta che dava su una piccola e lievemente oscurata sala da prove, dove immediatamente giunse alle mie orecchie qualche bisbiglio. Giovani e ragazze seduti su alcune sedie, una vicina all’altra, mentre in fondo si avvertiva della musica, ed una voce che cantava. Nessuno pareva aver fatto caso a me, tranne una ragazza attaccata al braccio di quello che poteva essere il suo ragazzo, o suo fratello. Infatti, dopo uno sguardo mi sorrise, quasi infantilmente. E dire che avevamo tutti diciassette, se non diciotto anni. Ricambiai il sorriso con uno che, come al solito, pensò bene di rimanermi attaccato addosso, forse per nervosismo…oppure nient’altro che emozione.
Ormai Alfred si era dileguato…lo scorsi solo parlare con un ragazzo dai capelli…biondi, sì, biondi, e gli occhi verdi. Già, quello che vidi solo dopo aver notato quelle…quelle, diciamo, “imponenti” sopracciglia. Che strano il Mondo, a volte.
Appena divertito per la reazione che quel giovane aveva davanti all’esuberanza del mio fidato compagno d’avventura (sì, confidavo nel fatto che non ci saremmo separati mai più –perché gli amici si riconoscono dal primo sguardo, eh-), decisi di distrarmi e, seduto su una sedia, accanto ad un’altra vuota, che mi comunicarono occupata, ascoltai con attenzione le parole…anzi, la voce del candidato al provino.
Non conoscevo bene quella canzone. Forse, vagando per i siti web mi trovai ad ascoltarla un paio di volte, ma nient’altro. La trovavo carina, anche per il fatto che parlasse della Mona Lisa.
Solamente quando arrivarono le note del ritornello, ma mia pelle reagì ed ebbi un brivido. Che dico, più di un brivido…Dovevo sapere chi era la voce.
Ma per non sembrare un’ignorante nella “materia”, interpellai un ragazzo affianco a me, posandogli l’indice sulla spalla, per farlo girare.
Non finivano mai quelli con i capelli biondi. Ma lui li aveva lunghi quasi fino alle spalle, mossi e all’apparenza…così morbidi. Lasciai vagare lo sguardo smeraldino sul suo viso, l’accenno di barba incolta sembrava dargli l’idea di dimostrarsi più grande di quanto normalmente fosse. Sorrisi quasi stupidamente, come se non fossi io a parlare, e l’altro così, puntando le iridi azzurre dritte nelle mie, pronunciò:
-Oui, chère?-
“D’accordo” osservai subito. Se lui era francese, della Mona Lisa ne doveva sapere qualcosa.
Mi feci avanti, tutto d’un fiato, tentando inutilmente di staccare lo sguardo dal suo volto. Aveva qualcosa di bello. Come la musica. “Oh, Antonio, che fai? Già il primo giorno, e ti metti a fissare gli altri così? Aspetta almeno il secondo”. Un silenzioso respiro, e poi feci vibrare le corde vocali.
-Oh…volevo chiederti se sai…come, come si chiama questa canzone. L’avrò ascoltata sì e no due volte, ma non ricordo il titolo…-
Il presunto francese sembrò sbalordito. Lui che fino a quel momento la stava canticchiando. Trattenne una risatina e mi confidò, avvicinandosi appena.
-Panic! At The Disco: The ballad of Mona Lisa, trésor..! Pourquoi non laconosci? È una delle mie canzoni preferite!-
Rimasi stupido del più che buono accento inglese, o almeno, del suo modo di parlare. Ma come non potrebbe quel ragazzo saper fare queste cose? Scossi la nuca, appena, cercando di non farmi vedere troppo, e ripresi il discorso, richiamando così l’attenzione di un certo tizio che avevo adocchiato già prima: sì, insomma, ci stava provando con una ragazza così carina…capelli castani e un fare così -apparentemente- femminile e garbato che lasciva quasi di stucco.
Solo dopo che vidi avvicinarsi al biondo con cui stavo parlando l’albino con i suoi inquietanti occhi rosso…sangue, e un canarino giallo sopra la sua testa, capii che il metodo di persuasione ad andarsene della signorinella in fondo non era poi così gentile come appariva esteriormente.
Cercai di ignorare quello sguardo e continuai con le mie domande.
-Oh, non ero sicuro che fosse quella…insomma, conosco così tante canzoni che…qualcuna riesco sempre a dimenticarla! Che sbadato, eh…ma dimmi…chi è il…il candidato che canta quella canzone?-
Francis (nome che sentii pronunciare dall’albino dietro di lui, mentre cercava di richiamare la sua attenzione), sembrò parecchio divertito dalla situazione. Lo “spagnolo” (perché si sentiva, in effetti, che fossi spagnolo) sembrava voler cadere nella bocca del lupo rabbioso. Girandosi appena, diede una piccola gomitata al braccio di…Gilbert, sì, Gilbert, bisbigliando qualcosa in francese. L’altro iniziò a ridacchiare insieme a lui, e così si degnarono finalmente a darmi qualche informazione sulla -splendida- voce che risuonava forte fino alla stanza dove si trovavano loro.
-Mh, lui..! il est très mignon. Mais il a un tempérament ...non so se ti…-
-Ci vuoi provare con Vargas?-
Urlacchiò tutto divertito il giovane dall’accento tedesco, piuttosto marcato.
Vargas? Chi era Vargas? Una marca di prosciutti? Ci misi un po’ per capire. Poi, arrossendo, alzai le braccia, scuotendo in un gesto piuttosto buffo le mani, come a far capire che si sbagliavano…e di grosso!
-Ehi, ehi, ehi! Chi è Vargas? Non l’ho neanche mai visto, amigos!-
Ma ecco, che vidi un fluttuante ricciolo moro svolazzare dietro di me...DIAMINE!


//eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeh d'accordo! Questa è la mia prima fanfiction. Insomma, il primo capitolo. Perché questo miscuglio tra Hetalia e Glee sarà infinito. MUAHAHAHA. Okay, insomma. Se l'avete letta, e non vi sono sanguinati gli occhi, chiedo gentilmente di recensire, darmi magari dei consigli, e...mh, offrirmi un piatto di pasta. Zut, nein, no. Alors, sò d'aver fatto un Antonio stravolto. In fondo...lui è un po' così comunque, no? 
Nel prossimo capitolo ci sarà la presentazione di alcuni altri protagonisti -sappiamo tutti chi è il sopracciglione, su!-
La ragazza stretta al fratello sarebbe Belgio, eh. La canzone cantata da Lovino è uno spasmo che mi è venuto cercando una qualsidannatamenteLovinita canzone su youtube. E visto che parlava della Mona Lisa...mon dieu, come si è fatto tardi! Grazie per aver letto e...recensite!

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Capitolo 2
*** 2° capitolo: ATTENTO A TE, IDIOTA! ***


2° capitolo: ATTENTO A TE, IDIOTA!


Ma ecco che a precedere il nome venne fuori il famoso tipetto. Vargas. Non mi ero accorto che ormai la musica era finita, e passetti leggeri si stavano dirigendo verso la sedia lasciata libera. Proprio quella vicina a me, Antonio. Con voce stizzita, scocciata, e tutti quegli aggettivi negativi presenti nel vocabolario, si rivolse a noi tre (me in particolare, supposi).
-RAZZA DI STALKER! SE VUOI SAPERE QUALCOSA SUGLI ALTRI, NON ANDARE A LECCARE IL CULO AI PRIMI MANIACI CHE TI CAPITANO! “Fottuti stranieri…”-
Borbottò in Italiano sedendosi sulla sedia, curandosi di girarla dall’altra parte per osservare la situazione. C’era anche suo fratello (data la somiglianza fisica tra i due, e per il ricciolo ribelle posto solamente dall’altro lato della nuca). Lui era invece accompagnato da un alto e…ancora…BIONDISSIMO ragazzo, occhi azzurri come il cielo, che gli teneva la mano completamente rosso in viso a causa della situazione “imbarazzante”, e forse un po’ goffo nel rispondere alle parole del giovane, così docile e sempre sorridente, a differenza del palestrato e rigido ragazzo, anch’esso dal marcatissimo accento tedesco, ja.
Osservando quella scena a dir poco melensa e buffa, mi voltai verso Vargas, osservandone i tratti sia del viso che del fisico. Non era male, per niente male. Forse quell’albino non aveva proprio torto…forse, eh. Da quello che purtroppo avevo capito, lo strano abitante Italiano non sembrava propenso neanche a dialogare civilmente con qualcuno. Forse neanche con sé stesso.
Come quello sguardo omicida disse tutto. Già da prima osservava, stringendo i denti e le mani contro il tessuto dei pantaloni appartenenti alla divisa scolastica, il biondo e suo fratello -veramente il suo contrario dal punto di vista psicologico, senza dover discutere- tenersi per mano. E mentre il più piccolo si apprestava a dare un docile e innocuo bacio sulla guancia destra del tedesco(ne) rosso fino alle tempie, l’altro batté un piede a terra, ringhiando come un cane. In quel momento, dopo minuti che trattenevo a stento una risatina tra il “malefico” e il “sì, dannatamente divertito per quella sfuriata assai infantile”, questa mi sfuggii dalle labbra lambite da un sorriso piuttosto ebete per tutto il tempo, sfumando inizialmente dal nervosismo, all’imbarazzo per essermi soffermato così tanto sul viso del francese, e infine per quello scenario a dir poco alla “commedia romantica-comica”.
Me ne pentii immediatamente. Anzi, qualcun altro me ne fece pentire. Infatti, il giovane precedentemente seduto affianco a me, si girò di scatto.
Così come si girarono l’albino, il francese e quel piccoletto assieme al tedesco. In quel momento mi sentii dannatamente osservato. Così la mia risatina si trasformò in una vera risata nervosa. Più che nervosa, terrificata da quell’improvviso silenzio.
Vargas, alzatosi dalla sedia, lo sguardo verde fisso su di me, furibondo, e il viso rosso dalla rabbia. Di lì a poco gli sarebbero uscite le nuvolette di fumo dalle orecchie, ne ero sicuro.
Rabbrividii, rosso per l’imbarazzo. Ed ecco che la mano destra del più giovane si chiuse in un pugno, le nocche puntate verso il mio addome. Già mi preparavo a piegarmi in due per il dolore, senza poter fare la selezione. Ed era quello che mi aspettavo sul serio, dato che neanche tutti gli altri presenti riuscirono a fermare la sua ira, venendo rimproverati in malo modo dall’Italiano.
Però. Neanche io ero “totalmente” addormentato. Vedendo la mano caricare il pugno, scattando in avanti, mi spostai velocemente dalla sedia, lasciandogli dare il colpo allo schienale in plastica. La sedia cadde a terra con un tonfo metallico, e deglutii forse, troppo rumorosamente. Diamine, se ci fossi stato io, al posto della povera vittima. Sì, insomma…in fin dei conti sarei stato comunque io il bersaglio, ma pensare solamente al dolore provato mi fece rabbrividire nuovamente.
Il ragazzo, ancora più arrabbiato di prima, si avvicinò a me, i denti stretti e sempre lo stesso pugno in bella vista. E così iniziò a sbraitare, dandomi le colpe più disparate.
-BRUTTO STRONZO! MI HAI FATTO MALE, ORA LA PAGHI, IDIOTA!-
Ma, in quel momento, forse il più bello della mia vita, qualcuno riuscì a fermare quel cagnolino rabbioso. L’Italiano più piccolo si mise davanti a me, impedendogli di colpirmi. E nonostante gli urli del “fratellone”, che gli comandava di lasciargli picchiare quel “bastardo di uno straniero”, il piccoletto mi fece completamente da scudo, arricciando le labbra in un’espressione più dolce del miele.
Sporsi appena lo sguardo verso il tedesco biondo, che sembrava aver acceso una piccola scintilla negli occhi azzurri. Forse era in adorazione di quell’espressione melensa del -suo- ragazzo, oppure era solo agitato per il fatto che credeva il fratello maggiore così incauto da colpire perfino lo stesso fratellino.
Con grandissimo stupore, “Lovino”, o “Romano”…-non riuscii a capire quale dei due fosse il vero nome- si fermò, abbassando il braccio e dandomi le spalle con un ringhio colmo di insulti. Allora l’altro Vargas, Feliciano, lo prese a braccetto, portandolo a sedere vicino a lui e abbracciandolo, rifilandogli anche una strana e piccola bandierina bianca dentro la tasca. La cosa strana fu che anche io me ne ritrovai una nella tasca dei jeans. Sopra c’era scritto “perdonalo”.
Perdonare Lov-Rom…Vargas? Bhè, contando che qualche secondo e mi sarei ritrovato un buco nella mia pancia…sicuramente. Nonostante fossi un ragazzo complicato, dentro, sapevo perdonare. Fin troppo forse.
Il mio salvatore mi rivolse uno sguardo tutto sorridente, e io gli sorrisi di rimando, troppo addolcito da quell’espressione. Alzai la sedia di plastica da terra, sistemandola affianco ai miei due nuovi conoscenti, e infine mi sedetti. Francis si voltò immediatamente, forse meno stupito di quanto mi aspettassi, e mi disse:
-Senti, sei stato il ragazzo più fortunato del mondo. Certamente, son petit frère è intervenuto, ma pensa se il colpo ti fosse arrivato dritto nelle costole…ecco pourqui ti consiglio di…umh, maintenir la grande. D’accord, mon ami?-
Fortunatamente conoscevo piuttosto bene le lingue, quindi capii le sue ultime parole. Annuii, inspirando profondamente e, dopo aver poggiato la schiena contro la sedia, buttai la testa all’indietro, sfinito.
Chiusi gli occhi per un’istante, quando li riaprii mi trovai a pochi centimetri di distanza l’albino, con i suoi occhi cremisi. Spalancai le iridi smeraldine, prendendomi uno spavento. Cercando di non farglielo notare, rimasi immobile, mentre l’altro parlava, forse a nome anche dell’altro biondo.
-Ja einverstanden Glückspilz. Ci piaci. E sai che fortuna, piacere al Meraviglioso me, modestamente modesto. Insomma, che ne dici di entrare nel nostro duo…o trio, domm?-
Ignorai le parole dette in tedesco. Che gruppo? Insomma, sì, entrare a far parte di un gruppo mi allettava e non poco. Ma…che si faceva, nel così detto? Non eravamo, anzi…non saremo stati già in un grande gruppo?
 Insomma, dopo tutto quel mio “pensare” risposi, annuendo lentamente, con la vista totalmente sotto-sopra:
-están de acuerdo, entonces! Onorato di far parte del...?-
mi bloccai per qualche istante. Ovviamente volevo chiedere come il gruppo si chiamasse. Perché si sa, entrare in un gruppo con il nome di “Le magic--
-“le magiche fatine”-
…cosa? Che cosa cosa che cosa? Scossi la testa disorientato. Un gruppo chiamato “le magiche fatine”…ah. Ah. AH. Divertente. Inarcai un sopracciglio, piuttosto perplesso. Così l’albino non si trattenne e scoppiò a ridere, facendo spostare dalla propria testa il canarino, che vi si posò nuovamente pochi istanti dopo. Diede una pacca alla spalla di Francis, che invece accennò solo una lieve risata, guardandomi più che divertito.
-Sciocchino di uno Spagnolo, quel gruppo…-
-
Quel gruppo sarebbe adatto al nostro amico dalle sopracciglia giganti fissato con la magia e gli unicorni! Il nostro è molto più “magnifico”!
…Che poi era grammaticalmente giusto?
Alzai le spalle, improvvisando una risata piuttosto tirata, ma sempre con lo stesso sorriso idiota della mattina. Povero ragazzo, non sembrava così fuori dal mondo…anche se a parlarci c’era andato Alfred, che fuori lui era di ben tre balconi, al posto di uno.
Le risate attirarono l’attenzione della ragazza che prima aveva scacciato “con gentilezza” il tedesco, e in qualche istante trovai la sua sedia affianco alla mia, gli occhi che mi fissavano. Immediatamente rimproverò la sguaiataggine del ragazzo dietro al francese. E cosa, sennò?
-Beilshmidt! Smettila immediatamente con il tuo comportamento, se non vuoi la mia padella in testa!-
E come d’incanto, Gilbert si zittì, lasciandomi molto più che stupito.
Sospirai, piuttosto teso per la presenza non completamente rassicurante della giovane -anche perché lei…insomma, aveva una padella!-, mentre Francis si accinse a dirmi il vero nome del gruppo nel quale sarei entrato. O nel quale vi ero già.
-“Bad touch duo”…ora “trio”…perché ci sei anche tu, spag-..a proposito, quel est ton nom?-
Fissando per qualche istante la ragazza, sinceramente più rilassato nel sentire il bel nome del nuovo “trio”, pensai al mio, di nome. Come se me lo fossi scordato. Ma subito alzai lo sguardo verso gli occhi azzurri del nuovo amico biondino, rispondendogli con il solito e marcato accento della mia madre patria.
-Antonio Fernandez Carriedo! Chiamami Tònio, eh!-
Feci allegro. Anche se da sorridere non ne avevo esattamente il motivo. Comunque Francis annuì, squadrandomi meglio.
-Oui! Toniò, tu est il benvenuto nel “Bad touch trio”…-
Nel momento in cui me lo disse, un ragazzo più grande di noi si intravide nel corridoio: occhiali, un piccolo neo affianco alle labbra e un ciuffo rivolto verso l’alto -che…per qualsiasi legge della fisica e della gravità, non sarebbe dovuto esistere- . Ci raggiunse dentro la sala, e qualche istante dopo, sistemandosi gli occhiali sopra il naso, ci annunciò solenne il nome del prossimo “fortunato”.
-…Carriedo? È il tuo turno. Sei arrivato giusto in tempo, rischiavi di dover tornare questo pomeriggio. Prego, seguimi-
Okay. Ora il mio cuore era veramente a rischio d’esplodere. E se avessi dimenticato qualche nota della canzone?
La cosa che non mi rassicurò più di tanto, fu che, alzandomi dalla sedia, Vargas fece altrettanto, borbottando infastidito.
-IO NON STO AD ASCOLTARE UN BASTARDO STONATO! ATTENTO A TE, IDIOTA!-
Si era giustificato in quel modo. E alla fine uscì dalla sala, seguito dal fratellino e dal tedesco più grande, di nome Ludwing. Sì, iniziavo a ricordare un paio di nomi. Feliciano, Lovino “slash” Romano, Ludwing, Francis, Gilbert…Antonio.
Già tremavo, poi quando il giovane scappò una piccola fitta all’altezza del petto mi travolse, facendomi trattenere il fiato.
La stessa ragazzina di prima, quando mi alza dalla sedia per dirigermi verso la porta, mi donò un sorriso a trentadue denti, e facendo cenno ai miei compagni di gruppo, che mi incoraggiarono con frasi tipo “dai che un gradino sopra i lama parlanti ci sei” oppure “non sarai peggio di Gilbert ubriaco”, mi allontanai con un lieve sorriso dalla sala ben riscaldata, seguendo l’uomo fino ad un piccolo palco. E davanti una moltitudine di poltroncine. Solo due erano occupate: una dalla stessa persona che mi portò lì, e l’altra da una…un…non riuscivo a capire bene. Quasi non lo vedevo. In effetti era così silenzioso da parer invisibile. Spiccava la somiglianza con Alfred, ma i capelli erano diversi, biondi e lunghi come quelli di Francis, ma con gli occhiali, e un ricciolo bizzarro, il quale aveva deciso di sfidare, come quell’altro, la gravità.

In quel momento sarei stato io, e la musica. SOLO IO E LA MUSICA.



//D'accoooordo! Sono riuscita a scrivere anche il secondo capitolo del mio scempio. Vorrei cambiare la grafica del titolo, oh, quanto vorrei farlo...ma questa era la mia prima fanfiction, e cercavo di attenermi il più possibile alle regole. Cacca. Comunque, Toniò "slash" Tònio per ora lascia perdere i dissidui interiori per apparire...emh...normale?
Anche se quel bel sorrisetto ebete che gli lambisce le labbra sembra non volersi staccare, che cattivone. No...okay.
Ho già in mente gli altri due-tre capitoli. Spero che questo vi piaccia-
Grazie per averlo letto, e al prossimoHHHHHH!

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo: This is war...Ma da dove arrivano quei cinque? ***


Capitolo 3°: This is war…Ma da dove arrivano quei cinque?


“Wow, da chi hai preso quella voce? Come fai ad essere così intonato? Dovresti entrare nel coro della scuola, hermano!”
“Ragazzo, facendo la prova di canto mi è sembrato uno dei più adatti membri per il nostro gruppo. Che ne dice, le va di partecipare?”
“Ehi chico! Ti stavamo ascoltando, ma che ti va di fare il cantante nella nostra band?”

Avevo rifiutato tutto. Naturalmente per prima cosa scartai il coro della scuola. Tolsi di mezzo anche tutte quelle piccole band, che, sapete, appena trovano uno più bravo, ti sostituiscono immediatamente, come un oggetto logorato dal tempo.
Chi sarebbe riuscito a capire cosa cercavo veramente? Forse me stesso, il mio ideale, forse la mia paura d’essere lasciato solo mi avevano spinto a non accettare.
Come si dice “se hai paura di un rifiuto, non dichiararti”. Insomma, se non vuoi soffrire, previeni la sofferenza nascondendoti.
Sorridevo, e rifiutavo l’offerta, o gentilmente, e qualche volta storcendo il naso per come parlassero alcune persone. Ovviamente, mi ritenevo gioviale con tutti, ma sentendo parlare alcuni coetanei, non potevo che…rabbrividire.
Così passai il tempo ad esercitarmi in camera mia, da solo, con quelle canzoni che non tolgono il fiato, ma riempiono il cuore. Le canzoni che, forse, per come posso esprimermi, fanno venire “la pelle d’oca”. Magari per il loro significato. L’importante capacità di cogliere anche il più nascosto dei significati in ogni singola parola. Quello mi piaceva in una canzone.

MA comunque. Torniamo a noi ed al mio momento di tensione e panico. Sì, perché ero terribilmente teso ed agitato per l’inusuale entrata in scena. Dicevano che sarebbe bastato solo un profondo respiro e, dopo aver cantato la canzone, te ne saresti potuto andare. “Ma allora è come in tutte le più normali selezioni per qualsivoglia coro o gruppo!”
No, cari miei. Mai mi era capitato di cantare direttamente su un palco, davanti a tutte quelle poltroncine. Pensare che un giorno una moltitudine di persone sarebbero venute ad ascoltarci, anche nostri coetanei, mi faceva letteralmente entrare in una tachicardia senza fine.
Mi girai appena, quando un ragazzo, da fuori la scena, mi porse un microfono. Dovevo anche amplificare la mia voce? Non che non volessi farmi sentire, ma addirittura fargli accorgere della mia palese tremarella!
Così iniziai a rigirarmi l’oggetto tra le mani, e di tanto in tanto lanciavo un’occhiata al ragazzo biondo, il quale sembrava scomparire gradualmente, sotto la mia vista. Oppure si scusava, andando in bagno e tornando tutto di fretta, così da incespicare tra le poltroncine e cadere disperatamente addosso al secondo componente della mia “giuria”. Alla fine, nonostante la paura e la goffaggine iniziale, mi chiesero finalmente di iniziare a cantare.

Per quella prova decisi, dopo molta, troppa indecisione, di portare un pezzo più o meno conosciuto del gruppo 30 seconds to Mars. “This is war”. Il mio dissidio fu creato SPECIALMENTE dal tipo di canzone a cui avrei prestato la voce per qualche minuto. Gettarsi sul tranquillo, sul dolce, oppure su un genere come, appunto, quello della mia canzone?
Pensavo che, scegliendo un genere, avrei deluso comunque qualcuno che desiderava l’altro, e viceversa.
Il fatto stava che, in quel momento, non mi sarei potuto tirare indietro, o ancora, cambiare canzone. Perché senza che neanche potessi accorgermene, le mie labbra si mossero, e comunicai quasi automaticamente il titolo della canzone che andavo a cantare.
Pronto o no, dovevo farcela comunque. Nonostante il nervosismo, quando mi volta un’istante verso le quinte, e vidi Francis e Gilbert osservarmi e darmi il loro appoggio con un cenno del capo -oltre alle risatine isteriche dell’albino- sulle mie labbra si aprì un sorriso, divertito e felice.
Chissà perché, ma sembrava che per qualche secondo io mi trovassi ancora nell’aula con tutti gli altri.
Tornai a guardare il palco, e la musica cominciò poco dopo la risposta ad una domanda posta dallo strano professore con il piccolo neo appena sotto le labbra.
“Sei pronto?”
Ed io annuii.
Un profondo respiro, il cuore che non accennava rallentare, ma sempre lo stesso sorriso precedente.

“A warning to the people 
The good and the evil 
This is war 
To the soldier, the civilian 
The martyr, the victim 
This is war”


Voglio far capire a me stesso che ognuno vive una guerra, e questa coinvolge tutti, purtroppo.

“It's the moment of truth and the moment to lie
The moment to live and the moment to die
 
The moment to fight, the moment to fight, to fight, to fight, to fight
To the right, to the left 
We will fight to the death 
To the Edge of the Earth 
It's a brave new world from the last to the first”

Ma niente e nessuno deve rimanere impassibile, davanti a questa Guerra. È il momento di lottare, lo sappiamo, dobbiamo combattere fino alla fine, per stabilire la pace con noi stessi prima di tutto e con gli altri.

“To the right, to the left 
We will fight to the death 
To the Edge of the Earth 
It's a brave new world 
It's a brave new world 

A warning to the prophet, the liar, the honest 
This is war 
To the leader, the pariah, the victim, the messiah 
This is war
It's the moment of truth and the moment to lie 
The moment to live and the moment to die 
The moment to fight, the moment to fight, to fight, to fight, to fight”

Più la canzone andava avanti, più sentivo la mente divagare per l’intero palco, sopra di me, sotto, a destra e a sinistra. Ma imperterrito continuai la mia prova, muovendomi appena, cercando di capire quali “smorfie facciali” fare . La mia voce passava vertiginosamente da un tono quasi sussurrato al gridare, inspirare velocemente e buttare fuori tutta la rabbia e la frustrazione, sorridendo.

E dire che mi stavo anche rilassando. E probabilmente divertendo. I due giudici stavano immobili, seduti sulle poltroncine. Il biondino aveva gli occhi sgranati, e le guance tutte rosse. Che si fosse impressionato troppo?
D’altronde anche io, cominciavo a chiedermi da dove veniva tutta quella voce. Dietro quel sorriso, nella mente, c’erano tutti i pensieri che andavano smaltiti. Forse il canto stava diventando la mia valvola di sfogo. Probabilmente questo era un bene. Sia per me, che per il “Glee club”.
Mi spaventai solamente nel momento in cui vidi un ricciolo sbucare da dietro una poltroncina, in fondo. Qualcuno…mi stava osservando!
Dovevo resistere, per il bene della prova. Ma da quel momento, ogni istante lanciavo uno sguardo al ricciolo, che si muoveva appena, a ritmo di musica.
Fu davvero difficile finire la mia canzone. Con quella presenza a me “sconosciuta” oltre al palco, finii per pensare di non riuscire a spiccicare parola. Ed invece, nella mia preoccupazione, la musica cessò dopo qualche minuto, le luci si accesero di nuovo, e il ragazzo biondo si esibii in un piccolo e goffo applauso, placato immediatamente dallo sguardo completamente apatico, anzi, perennemente severo dell’insegnate occhialuto, e dagli occhi viola.

Ringraziandoli, vidi sbucare dal proprio nascondiglio, l’intera persona nascosta dietro la poltroncina rossa. Sembrava…era…insomma, aveva tutta l’aria d’essere uno dei fratelli Italiani…Ma uno non era impegnato ad odiarmi, e l’altro non cercava per caso di farlo ragionare?
Che fosse un terzo? Impossibile, quei ciuffi ormai fin troppo riconoscibili appartenevano solo a quella coppia. E in quel caso, si poteva ben dire che il ciuffo fosse quello di Lovino. Il giovane, senza farsi vedere dai due insegnanti, sgattaiolò all’uscita della sala, il ricciolo che verso la fine sembrava aver preso la forma di un…cuore. Aveva un’aria piuttosto sognante. Scemo come ero, non ci feci così tanto caso, ed alzate le spalle, riuscii ad ottenere il permesso di andarmene, sia da quel palco, che da quella sala.
Il bello doveva ancora arrivare. Non appena mi feci avanti nell’iniziale aula d’attesa, un coro di suoni d’apprezzamento, guidati dai miei due nuovi amici, continuavano a complimentarsi sulla voce che mi ritrovavo.
Non mi dispiacque, in fondo, l’essere apprezzato dai miei nuovi compagni. Di solito mi allontanavo dagli altri, con la scusa di non voler stare là a complimentarmi di qualcosa che, in verità, non era di mio merito, ma sentire persone nuove che, insomma…continuavano a dirlo, dandomi NUMEROSE pacche sulle spalle, in qualche modo…mi faceva stare meglio. Come si dice, “in pace con il mondo”. Sorrisi a tutti, ma proprio a tutti.
Anche a quei cinque ragazzi spuntati dal nulla. Sicuramente durante la mia prova.
Li contai di nuovo. Uno…due, tre, quattro…e cinque. Cinque ragazzi biondissimi, perfino uno dagli strani capelli chiari, quasi quanto quelli di Gilbert, con accovacciata sul la spalla una gallinella di mare.
Non potevano essere del posto…o almeno, mi sembrò. Avevano un’aria…come si può dire, Nordica?
Chissà se provenissero dal Nord. Nord Europa, si intende.
Dopo essermi avvicinato ai miei due compagni, mormorai, perplesso:
-Da dove arrivano quei cinque?-
Mi fecero spallucce. Ma come? Loro che sapevano degli esaltati di magia, quelli che riuscivano a capire il carattere di una persona con un “solo” sguardo…(ricordiamo la brillante domanda di Gilbert riguardo a Vargas) non mi sapevano fornire informazioni così facili?
Bhè, poco male, avrei chiesto direttamente a loro.
Antonio, armati di buona volontà, e con il tuo sorriso va da loro, e…parla!

Fermo, fermo. Chi…chi è quel tizio occhialuto dall’aria pesantemente inquietante? E perché parla con il ragazzino attaccato a lui, riferendovisi con l’appellativo di “moglie”?
Okay, il piano DEVE saltare, dev-
-Salve ragazzi..! Io…sono Antonio, vengo da Madrid…per caso voi siete del Nord E-Europa..?-
Dannato tizio occhialuto. Sorrisi, sorrisi a trentadue denti, cercando d’ottenere una risposta. E poco dopo, vedendo saltare in piedi uno dei più alti, molto simile all’albino di carattere (forse anche più ego-centrico, ma questo è un dettaglio), mi preparai al discorso. Quasi mi urlò nell’orecchio, lasciando pietrificare la mia mandibola ad un sorriso tirato come una corda.
-OVVIAMENTE! Noi cinque ci siamo incontrati ad un campo scuola ad Oslo, in Norvegia. Là, conoscendoci, abbiamo deciso di venire qui..! Sembra strano, ma noi non sapevamo molto su questa scuola. SONO STATO IO (sottolineiamo l’”IO”) a chiedergli se volessero cantare. E come vedi, SIAMO TANTO ENTUSIASTI! Facciamo un pezzo insieme, sarà FANTASTICO!-
Mi sporsi un attimo. Due di loro cercavano d ignorarsi, anche se l’altro continuava a chiamarlo “fratellino”, incitando a ripetere “fratellone”. Mentre il tizio inquietante sembrava aver ceduto ad un piccolo desiderio della “moglie”, e gli aveva posto un piccolo bacio sulle labbra.
Insomma. Incomincia a capire come il mondo andava a girare, tra tutte queste persone diverse. Iniziai a ridacchiare insieme a lui, e dopo un saluto generale, aprii la porta dell’aula ed uscii fuori, iniziando a percorrere i corridoi infiniti.
Quasi mi parve di vedere due coppiette…
E chissà perché le individuai facilmente…
Due biondini, uno dagli occhi azzurri, e l’altro dagli occhi verdi “sì, occhi verdi…sopraccigl-emh”, di cui si sentiva solo il respiro appena ansante, mentre si…baciavano?
Ed infine, il piccolo fratellino stretto tra le braccia del Tedesco, in un forte abbraccio.
Chissà quante altre “avventure” avrei passato…e dire che quello era il mio primo giorno di scuola.

Un momento. Perché Lovino-slash-Romano si sta avvicinando a me? Perché è arrossito al mio saluto in Spagnolo? Voglio saperlo, su!



//Okay. No. *muore sulla tastiera* Gomen. Gomen. Gomen. Gomen.
Ho avuto il blocco dello pseudo-scrittore. Dovevo finire un altro racconto per un concorso stupidissimo della mia scuola superiore. La mia mente è andata “OFF” per settimane, lasciandomi nell’ignorIanza.
Ma adesso ho finito. Aggiornerò presto. Insomma. Se riesco a non morire una seconda volta.
Oggi ho scritto tutto di fretta, e sarà pieno di errori. “Errata corrige”. Servite a questo, no?
Scherzo carrube mie, vi voglio tanto bene, e se mi potreste dire la vagonata di errori, sarò ben felice di migliorare. Per voi, eh.
Facciamo la conoscenza del quintetto d’archi (?). Avrei voluto mettere i loro nomi, ma, il problema, come sapete è…che alcuni di loro manco ce l’hanno il nome. Fare dei nomi OOC…mhhh-
Mi dispiace, ma dell’Inglese ancora qualche cenno. GOMEEEEEEEEEEEEEEEEEEN ç^ç
Nel prossimo capitolo ci sarà anche lui. Ed aspettatevi altre FANNEFICIONN su Hetaliaxognicosa.
(Anticipazione piccola piccola…A beautiful mind). CIaòòò!

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