The price I pay.

di Shellyng
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. A time to heal. ***
Capitolo 3: *** 2. Like nobody's watching. ***
Capitolo 4: *** 3. Little talks. ***
Capitolo 5: *** 4. I wish you were here. ***
Capitolo 6: *** 5. Goodnight. ***
Capitolo 7: *** 6. Not yet. ***
Capitolo 8: *** 7. One more kiss. ***
Capitolo 9: *** 8. Jealousy suits you well. ***
Capitolo 10: *** 9. Just us. ***
Capitolo 11: *** 10. Come with me. ***
Capitolo 12: *** 11. While you sleep. ***
Capitolo 13: *** 12. Taking chances. ***
Capitolo 14: *** 13. Lovers eyes. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


QS part 1

Titolo:  The price I pay.
Fandom: Glee
Personaggi/Pairing(s): Santana Lopez/Quinn Fabray 
Avvertimenti: femslash, het. 
(Quinn non ha mai frequentato il McKinley ed è più grande di un anno, studia alla Louisville ed è una gran figa, ma questo non è tanto differente dal telefilm XD)
Note: i personaggi hanno la sfortuna di non essere miei. Nessuno mi paga per scrivere questa roba, molti lo farebbero per farmi smettere.

Prologo.

Io odio la geografia”
Santana alza gli occhi al cielo, massaggiandosi le tempie e dandosi un'occhiata intorno. Le grandi librerie della biblioteca che si stagliano davanti a lei, e intorno, una schiera di tavoli occupati da studenti.
In quella biblioteca che l'ha fatta riflettere sulla sua relazione, la stessa nella quale i suoi dubbi sono diventati reali e la sua vita ha cambiato direzione.
Un ragazzo sulla ventina, capelli biondi e occhi verdi la sta osservando, è già la seconda volta che lo coglie in fragrante mentre la fissa. Santana abbassa lo sguardo.
Non che non sia abituata, ma non può e non vuole cadere in tentazione.
E' passato troppo poco tempo, e mentre la sua parte razionale le urla di uscire e andare a divertirsi, perché, dannazione, ha solo vent'anni; la sua parte irrazionale, ancora totalmente innamorata di Brittany, le dice che no, non sarebbe giusto. Per nessuna delle due.
E allora Santana torna sui libri, torna a sottolineare le parole e sfogliare le pagine, torna a concentrarsi per togliersi dalla mente quel pensiero, quegli occhi azzurri e quei capelli biondi.
“Non è così male come sembra”
La voce accanto a lei le arriva alle orecchie vellutata e bassa, e alzando lo sguardo trova quello di una bionda che ha già visto nei corridoi, qualche volta.
Santana le sorride, arricciando il naso e indicando il libro davanti a lei.
“A me sembra peggio..” ridacchia, osservando l'altra.
“Oh, figurati. Se ce l'ho fatta io, puoi farlo sicuramente anche tu”
Santana annuisce e si morde le labbra, osservando l'abbigliamento della bionda. Un paio di jeans e una camicia a mezze maniche. I capelli sparati in ogni direzione, corti e ribelli.
“Sei al secondo anno, vero?”
“Si, tu invece sei una matricola a quanto pare”
“Santana. E sì, sono una matricola, ma vi darò del filo da torcere”
Le risate di entrambe si mescolano, mentre qualche altro studente gli rivolge qualche occhiataccia, intimandogli di fare silenzio.
“Quinn; e non vedo l'ora di scoprire cosa puoi fare, ragazzina”
E l'altra spalanca la bocca, offesa e divertita. La sua fama di stronza totalmente annullata in quel nuovo ambiente.
“Non sono una ragazzina, e sei solo un anno più grande!” la rimprovera.
Quinn annuisce e poi indica con il viso il tavolo davanti al loro.
“A quanto pare hai già fatto conquiste, ragazzina”
L'enfasi che ci mette sul ragazzina, fa sorridere Santana, che decide di stare al gioco e alza lo sguardo, incrociando per la terza volta quella del biondo sconosciuto.
“Non mi interessa” conclude, solenne.
Quinn alza un sopracciglio e la fissa.
“Perdonami, chi ti ha sputato nel caffè stamattina?” ghigna mentre Santana sbuffa e si passa una mano tra i capelli.
“Mi dispiace, è la terza volta che lo becco e mi irrita un po'” mormora.
Quinn annuisce e le prende il viso con la mano, facendola voltare.
E poi, dolcemente, posa le labbra sulle sue.
Santana la fissa sbigottita non appena si staccano.
“Che diavolo fai? Non ti conosco nemmeno!”
Quinn scoppia a ridere alla faccia perplessa e arrabbiata dell'altra.
“Santana, calmati. Guarda..”
Entrambe si voltano. Il ragazzo di poco prima è scomparso.
“O ha perso le speranze, o non ha retto la nostra immagine”
“Tu sei fuori di testa”
“Un giorno mi ringrazierai, ragazzina”
E il sorriso emblematico che le rivolge prima di alzarsi e sparire nel corridoio, fa pensare a Santana che un giorno, in realtà, se ne pentirà amaramente.


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Capitolo 2
*** 1. A time to heal. ***


1. A time to heal.

Suo padre le raccontava sempre che, il giorno in cui è nata non è stato un giorno come gli altri.
Quella mattina lui aveva deciso di passare la giornata rilassato nel suo ufficio, ordinando alla sua segretaria di annullare tutti gli appuntamenti e lasciargli il calendario libero nei giorni seguenti perché “La mia piccola stella potrebbe nascere da un momento all'altro”.
Quello che non aveva calcolato, era che Santana sarebbe venuta al mondo quello stesso pomeriggio, facendolo correre in ospedale come un forsennato, in camicia e cravatta, per le strade di Lima.
Era arrivato di corsa, senza neanche fermarsi a chiedere dove avevano portato sua moglie. L'aveva sentito, in qualche modo. Ed era arrivato davanti alla sala operatoria proprio nel momento in cui la porta si era aperta e i medici stavano facendo entrare la barella.
Aveva tenuto la mano di sua moglie per tutto il tempo, trattenendo i conati di vomito dettati dall'ansia.
Poteva giurare di aver respirato una sola volta, in tutto quel tempo.
Quando Santana aveva pianto per la prima volta, dopo dieci interminabili secondi.
Allora era tornato a vivere, piangendo a sua volta, osservando quella bambina tra le braccia dell'infermiera dai capelli biondi.
Sua figlia.
Le aveva raccontato che il giorno del suo terzo compleanno, tra la folla di parenti e amici che era arrivata per festeggiare quella piccola principessa ispanica, Santana era corsa fuori in giardino, sbraitando contro una farfalla che non voleva lasciarsi prendere.
E allora lui le era andato vicino, le aveva chiesto se c'era qualcosa che potesse fare per convincerla ad entrare e lei le aveva risposto;
“Papà, voglio essere felice, voglio quella farfalla!”
E lui aveva riso, si era tolto la sua giacca, e insieme avevano tentato di acchiappare quel piccolo animaletto, senza riuscirci, ma con la profonda gioia di averci provato, insieme.
Pochi mesi più tardi, durante il suo primo giorno di scuola materna, Santana si era attaccata alla gamba di suo padre, implorandolo di non abbandonarla. Lui si era voltato verso la moglie, sorridendo e s'era inginocchiato per guardare sua figlia negli occhi.
“Piccola, verrò a prenderti tra qualche ora, non voglio abbandonarti”
“Ma sarò triste se non ci sarai tu” gli aveva mormorato Santana.
E quello aveva preso un respiro, e combattendo la voglia di stringerla tra le braccia e portarsela via, le aveva baciato la fronte.
“Starai bene. E se sarai triste, pensa che lo sarò anche io, così potremo essere tristi insieme”
E lei aveva deciso di provarci.
E quando in lacrime, l'aveva abbracciata, dopo il funerale di suo nonno, le aveva detto di non pensarci.
“Sai, Santana, la vita si divide in momenti. C'è un tempo per ridere, un tempo per gioire, un tempo per piangere e un tempo per morire. Ma non devi mai fermarti, perché poi la vita corre e ti lascia indietro. Promettimi che non ti fermerai, mai. Qualsiasi cosa accada”
E Santana l'aveva guardato, gli occhi rossi e gonfi e aveva annuito.
E ora non l'avrebbe deluso.
Avrebbe ricominciato a correre dietro la vita.
Quello era il suo momento per guarire.

“Guarda dove metti i piedi, imbecille”
Santana guarda l'altra ragazza raccogliere i libri in fretta e furia e scappare per il corridoio, mentre lei finisce di risistemare i suoi appunti.
Un paio di occhi si fermano su di lei e alzando lo sguardo nota Quinn accanto ad un ragazzo asiatico, dal sorriso contagioso. Santana si ritrova a sorridergli senza un motivo preciso, scuotendo la testa e avviandosi verso l'aula della sua prossima lezione.
Spinge la porta dell'aula e si sistema tra gli ultimi banchi, scegliendo con cura il suo posto.
Inforca gli occhiali e rilegge velocemente gli appunti dell'ultima lezione, correggendo qualche errore qua e la.
“Dovresti stare attenta nei corridoi”
Accanto a lei, quel ragazzo di poco prima sta nuovamente sorridendo e lei alza un sopracciglio, curiosa.
“Sono un po' nervosa ultimamente, saranno i troppi caffè che prendo per sostenere i ritmi delle lezioni” ride, e l'altro le allunga una mano, divertito.

Io sono Mike”
“Santana”
“Bel nome, sei di queste parti?” chiede e Santana si ripromette di non essere sarcastica o scontrosa. Vuole veramente avere qualcuno con cui parlare, e quel ragazzo timido e carino sembra fatto apposta per quello.
“In realtà sono di Lima, in Ohio”
“Sul serio? Anche Quinn viene da Lima. O meglio, i suoi genitori vengono da lì”
Santana apre la bocca per rispondere, ma viene interrotta dalla porta che si apre, rivelando la figura del professore che saluta la classe e inizia immediatamente a spiegare la lezione del giorno.
Santana vede Mike prendere dettagliatamente appunti sul quaderno e per un attimo segue il movimento costante delle sue mani che leste muovono la penna sul foglio.
Poi scuote la testa e torna a concentrarsi.
Quando il professore li congeda, un'ora dopo, Santana si stiracchia e fissa, invidiosa, l'ordine con cui Mike tiene il suo quaderno.
“Come diavolo fai? E' così preciso!” mugugna, arresa e quello la prende in giro, sistemandole i mille fogli che ha sparso sul banco.
“Me l'ha insegnato Quinn” ribadisce lui.
“State insieme?”
Santana si morde le labbra subito dopo, rimpiangendo di avergli posto quella domanda. Ma gli occhi di lui sembrano illuminarsi ogni volta che la nomina, e Santana è sempre stata conosciuta per il suo istinto.
“Io e Quinn? No, davvero. E' la mia migliore amica”
E Santana la conosce quella storia.
E' una delle storie più vecchie del mondo.
“Certo, come no..”
Mike la guarda perplesso, aggrottando la fronte. Poggia il gomito sul banco, fissando curioso la sua nuova conoscenza e tamburellando con le dita sul legno.
“Dico sul serio, siamo solo amici”
Santana sbuffa, una mezza risata sulle labbra.
“Inizia sempre così, lo sai? Prima siete solo amici, poi uno dei due si innamora, ci provate, ci credete e alla fine va tutto a puttane perché non sei capace di portare avanti l'unica cosa buona della tua vita!” sbotta, infilando grossolanamente i fogli nella borsa ed alzandosi di scatto.
Mike la ferma, bloccandole un polso e avvicinandosi.
“Andiamo, hai bisogno di rilassarti”

“Non ho mai visto questo posto”
Santana sorride, immersa nell'erba alta di quel giardino alle spalle del grande complesso universitario. Respira a pieni polmoni, inalando il profumo dei fiori lì vicino.
Mike la guarda contento, staccando fili d'erba di tanto in tanto e contemplando il panorama. Nessuno dei due parla. Santana si è pentita di aver liberato i suoi pensieri a qualcuno che ha conosciuto da così poco, ma il silenzio di Mike la convince che forse, non ha poi sbagliato così tanto.
“Ci vengo spesso, qui. E' un bel posto, mi aiuta a riflettere e ritrovare la calma”
Santana annuisce, socchiudendo gli occhi. La luce del sole che le bacia la pelle.
“Chang, ecco dove sei, ti ho cercato dappertutto”
Santana sbarra gli occhi, la voce di Quinn che le invade le orecchie.
“Oh, Quinn! Perdonami, volevo far vedere a Santana il nostro posto preferito, a proposito, lei è Santana, Santana, lei è Quinn”
Si guardano per un secondo, la bionda con il solito sorriso strafottente sulle labbra.
“Ci conosciamo già, non è vero ragazzina?”
E quella non le risponde nemmeno, sbuffando e lasciando andare la testa sul manto d'erba. Non le va di discutere. Quel bacio è stato un errore e soprattutto è stata tutta colpa di quella bionda fuori di testa.
“Il gatto le ha mangiato la lingua? Perché fino a due giorni fa..”
“QUINN”
Santana urla, lanciandole un quaderno, che la bionda evita facilmente ridendo.
“Ok, mi sa che mi sono perso qualcosa” mormora l'asiatico, passandosi una mano tra i capelli e grattandosi la testa perplesso.
“La tua amica è deficiente, ecco cosa ti sei perso” sbraita Santana mettendosi in piedi e raccogliendo le sue cose. I due la guardano mentre rimette in ordine in borsa i quaderni e si avvia verso l'entrata.
Quinn sbuffa, mentre Mike la incita a seguire Santana.
“Santana, andiamo. Aspetta..”
La raggiunge facilmente, fermandola per un polso e facendola voltare.
“Mi dispiace, va bene? L'ho fatto per aiutarti e mi dispiace se ti ho turbata, in qualche modo. A quanto pare piaci a Mike, quindi per favore, possiamo ricominciare?”
Santana rotea gli occhi.
“La smetterai di chiamarmi ragazzina?”
Quinn piagnucola, mettendo un broncio che Santana si ritrova a ritenere oltremodo adorabile.
“D'accordo, guastafeste”
Santana sorride soddisfatta, poi, sinuosa come un gatto, le passa accanto e torna da Mike, che felice sorride e comincia a parlare delle lezioni, della danza e di tutta la sua vita.
Santana scopre che è un ballerino, che un giorno vuole andare a New York e ballare in qualche compagnia, che è uno dei primi della classe, e che gli piace rilassarsi e divertirsi, come qualunque altro ragazzo.
Quinn rimane seduta in disparte, osservandoli di tanto in tanto e ridendo alle battute senza senso del suo migliore amico.
Mike scopre che Santana è stata una cheerleader, una di quelle stronze e senza cuore che comandano le loro scuole terrorizzando gli sfigati. Scopre che ha fatto parte di un club canoro, e a tutti e tre si forma un sorriso sulle labbra.
Scopre che il suo migliore amico si chiama Puck, ed ha una cresta che sembra “la coda di un gatto spelacchiato” a detta di Santana.
Quando tutti e due finiscono di ridere, Santana si volta verso Quinn, sperando in qualche modo di conoscerla meglio.
Ma quella rimane in un silenzio tutto suo e quando parla, non lo fa per raccontarsi.
“Stasera andiamo in un locale, ti va di venire?”


“Che razza di locali frequentate!?” esclama ridendo Santana, mentre un gruppo di ragazzi corre per l'intera stanza, rincorrendosi e lanciandosi noccioline.
“E' un bar, e avrai anche una bella sorpresa, rag-” l'occhiataccia di Santana le fa morire le parole in gola.
Mike si lancia in mezzo alla folla che balla al centro del locale, mentre Quinn raggiunge il bar, sorridendo al ragazzo dietro il bancone con il quale sembra avere una certa confidenza. Santana si stringe nelle spalle, strofinandosi le braccia e osservando in giro.
Un ragazzo incrocia i suoi occhi e le sorride, facendole l'occhiolino e Santana sente le guance avvampare a quel semplice gesto.
Abbassa lo sguardo, fissando le mattonelle come se da un momento all'altro una voragine potesse aprirsi sotto di lei e risucchiarla negli inferi.
“Non posso lasciarti sola due minuti che fai conquiste” mormora Quinn, approfittando della situazione.
“Oh, falla finita”
La bionda ride, allungandole un bicchiere di chissà quale alcolico che Santana guarda di traverso.
“Avanti, non voglio farti bere per poi approfittare di te, rilassati”
E a Santana sembra di non aver fatto altro che roteare gli occhi da quando ha conosciuto quella bionda.
“Non so niente di te, perché dovrei fidarmi?” ribatte, piccata.
Quinn la osserva un po', prima di avvicinarsi ad un tavolo appartato e lasciarsi cadere sulle comode poltrone.
“Significa che sei interessata a sapere qualcosa?”
“Forse”
Quinn annuisce, posando il suo cocktail sul tavolo e incrociando le braccia sul legno.
“Cosa vuoi sapere?”
Santana fa finta di rimuginarci su, spiando di tanto in tanto l'espressione della bionda. Gli occhi verdi fissi a guardarla.
“So che i tuoi sono di Lima..” inizia, e Quinn aggrotta le sopracciglia.
“Non è una domanda” mormora.
“Perché siete andati via?” chiede, notando l'espressione di Quinn.
“Un trasferimento di mio padre, doveva durare solo un paio di mesi, poi mia madre ha scoperto di essere incinta, e sono rimasti qui. E' la storia della nostra famiglia, rimanere incinta troppo presto”
Santana cerca di non far trasparire alcuna emozione, ma chiunque si accorgerebbe del suo irrigidimento.
“Hai un figlio?” chiede, boccheggiando.
Quinn annuisce, sorseggiando il suo alcolico.
“Una figlia. L'ho data in adozione appena nata. Aspetta..” fruga nella borsa ed estrae il portafogli, tirando fuori una piccola foto dai bordi spiegazzati.
Una bimba bionda, dagli stessi occhi di Quinn sorride sprezzante, lo stesso sorriso provocatorio della madre.
“Ti somiglia tantissimo Quinn.. E' bellissima”
Quinn inarca il sopracciglio e si allunga sul tavolo, avvicinandosi a Santana.
“Vuoi dire che sono bellissima?” ammicca.
Santana sbuffa e sente immediatamente le guance andarle in fiamme. Sta per prendere le sue cose e andarsene via come al solito quando Quinn le prende la mano, bloccandole ogni singolo movimento.
“Perché?” chiede e Santana rimane spiazzata e con le labbra semiaperte.
“Perché fai così? Sto scherzando, Santana. Non ti piace scherzare o cosa?”
La latina scuote le spalle e socchiude gli occhi, sospirando profondamente e lasciandosi scivolare sulla sedia, tentando di rilassarsi, anche se lo sguardo fisso di Quinn che si sente addosso non la sta aiutando per niente.
“Qualche.. qualche settimana fa ho lasciato la mia ragazza e..” si ferma, aprendo gli occhi per saggiare la reazione sul volto di Quinn.
Ma quella rimane impassibile e continua ad ascoltarla.
“E non sono ancora pronta per questo tipo di scherzi, ecco..”
Sente la mano di Quinn stringere la sua, e per la prima volta le sorride.
Le sorride davvero.
“Mi dispiace, non potevo saperlo”
Santana accenna un sì con la testa e si concentra a guardare Mike che si scatena sulla pista da ballo, accorgendosi solo dopo qualche minuto che la sua mano è ancora profondamente intrecciata con quella dell'altra.
Avvampa, cercando un modo di liberarsi da quella stretta.
“Calmati” mormora Quinn, leggendole nel pensiero e districando le loro dita.
“Scusa..”
Quinn ride e si alza, girando il tavolo e posizionandosi davanti a Santana, che la guarda storto.
“Hai bisogno di andare avanti, e l'unico modo è non pensarci. Avanti ragazzina, andiamo a ballare” la incita, indicandole la pista da ballo.
“Ma non dovevi più chiamarmi ragazzina!” geme Santana contrariata.
“Lo so, ma è più forte di me. Pensa a qualsiasi altra cosa tu vuoi che io faccia, lo farò, promesso” ridacchia, per poi trascinarla sulla pista da ballo.
E Quinn non può sapere quanto il prezzo da pagare di lì a poco, sarebbe diventato alto.

“La tua esibizione è stata fenomenale, Santana!” esclama Mike, stretto a Quinn, mentre le passa un braccio intorno alle spalle, tenendole entrambe accanto a se.
“Siete basse, comunque” mormora, gli occhi rossi e stanchi e la mezza risata sulle labbra. Quinn gli regala una gomitata nel costato, mentre Santana ride.
“Non sono bassa! E poi lei è più bassa di me” sbotta Quinn.
Tutti e tre ridono sguaiatamente prima di raggiungere i dormitori, e prima che Mike cambi direzione, andando verso il settore maschile, Quinn gli schiocca un bacio sulle labbra e Santana lo abbraccia, fissando stranita la bionda.
Non appena rimangono sole, Santana schiocca la lingua.
“Baci tutti quelli che ti capitano a tiro, bionda?” e quando Quinn spalanca la bocca, indignata, la latina non può fare altro che ridere ancora e un po' più forte.
“Che c'è, sei gelosa?” ribatte, piccata, pentendosi immediatamente.
“Mi dispiace non avrei dovuto” sospira.
Santana sorride e si avvicina, alzandole il mento con due dita.
“Va tutto bene, davvero”
Quinn annuisce, scostandosi e indicando la porta della camera dell'altra.
“Be, buonanotte allora ragazzina”
Aspetta che Santana apra la porta e poi si volta, percorrendo il corridoio per raggiungere la sua stanza.
“Quinn..”
“Si?”
Un mezzo sorriso sulle labbra di entrambe.
“Grazie, per stasera”
“Quando vuoi, Santana”

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Capitolo 3
*** 2. Like nobody's watching. ***


2. Like Nobody's Watching

Mike aveva sempre saputo, da quanto riusciva a ricordare, che il suo futuro sarebbe stato su un palco, in una compagnia di danza.
La legenda che sua madre amava raccontare diceva che, ancor prima di imparare a camminare, Mike aveva ballato, volteggiando su se stesso. Lui non ci credeva, ovviamente, ma era bello pensare che, in una maniera o nell'altra, fosse nato per fare quello.
Quando suo padre gli aveva impedito di iscriversi ai corsi di danza, all'età di sette anni, Mike non aveva accettato di buon grado quella restrizione, e si era giurato che, un giorno, avrebbe dimostrato al mondo che ballare non era una perdita di tempo.
Si era iscritto l'estate successiva, organizzando con sua madre un piano strategico per nascondere il tutto agli occhi di suo padre, soddisfatto degli ottimi voti che suo figlio portava a casa ogni giorno.
Mike ricorda nitidamente il giorno in cui, tornando a casa da scuola, aveva sentito le urla di suo padre oltre la porta d'ingresso. Diceva che suo figlio non doveva perdere tempo con la danza, che non sarebbe mai accaduto e non avrebbe fatto altro che gettare la sua vita in un sogno vano.
Sua madre, paralizzata dalla freddezza del marito, era rimasta immobile, senza fiatare. Mike, a tre passi dalla porta, aveva ceduto alle lacrime e senza pensarci si era voltato ed era scappato via.
Era stato allora che aveva conosciuto Quinn Fabray.
Suo padre gli raccontava costantemente di quanto la figlia dei Fabray fosse perfetta. Studiosa, diligente e ricca. Un sogno per ogni ragazzo del quartiere.
Quinn l'aveva visto piangere, mentre giocava in giardino con la sua sorellina e l'aveva seguito, senza fare rumore.
Gli si era seduta accanto, quando Mike, stanco della corsa si era fermato ad una panchina del parco, e lo osservava, senza parlare.
“Vuoi un po' di cioccolato? Mia mamma non vuole che lo mangi, ma so che ne tiene un po' nella dispensa e io lo prendo in prestito”
Mike aveva alzato lo sguardo e incontrato il viso paffutello della sua coetanea.
Lucy Quinn Fabray non era esattamente il prototipo della bella ragazza. Le lentiggini, l'apparecchio e un paio di chili di troppo, ma gli occhi.
Gli occhi di Quinn, verdi ed espressivi erano la cosa più bella che Mike avesse mai visto.
“Grazie, ma non mi piace la cioccolata” aveva risposto, e Quinn era scoppiata a ridere.
“E cosa ti piace?” aveva chiesto, con la curiosità dei suoi otto anni.
“Ballare” aveva risposto semplicemente Mike.
Quinn l'aveva guardato mimando “wow” con le labbra e poi si era concentrata sui lacci delle sue scarpette, rabbuiandosi di colpo. Il bimbo l'aveva osservata e prendendo coraggio le aveva chiesto cosa c'era di sbagliato nella danza.
“Non c'è niente di sbagliato. E' bellissima, ma io sono un disastro. Mio padre dice che è colpa del fatto che sono grassa”
“Ma tu non sei grassa” aveva borbottato quello, e Quinn aveva sorriso, grata.
“E poi non serve essere magri, posso insegnarti io a ballare”
E allora l'aveva presa per mano e con l'eleganza di un principe delle favole l'aveva fatta volteggiare al centro del parco, mentre un gruppo di ragazzini li osservava, prendendoli in giro.
Ma in quel momento, in quel parco, il resto del mondo non esisteva.
C'erano solo Mike e la sua danza. Quinn e la sua risata.
E niente poteva essere più perfetto.

“Perché hai un sorriso idiota sulla faccia, Chang?”
Quinn sbuffa per l'ennesima volta, lanciando verso l'amico il cuscino alle sue spalle. Osservandolo negli ultimi minuti ha notato un sorriso farsi strada sul viso dell'altro, senza riuscire a capire a cosa fosse dovuto.
“Stavo pensando alla prima volta che ci siamo visti” mormora Mike, per poi stringersi nelle spalle e continuare a leggere gli appunti, sdraiato sul letto.
Passa qualche secondo e poi Quinn gli è addosso, accoccolata al suo fianco.
“Come sei carino Chang, potrei commuovermi” sospira, teatrale, una mano sulla fronte e l'altra poggiata sulla faccia di Mike, che ride e sgomita per togliersela di dosso.
“Cretina. Dovevo lasciarti in quel parco, a lagnarti della tua misera vita da bimba sfigata” ridacchia, Quinn che spalanca la bocca a dir poco indignata.
“Punto primo; al massimo sono io che avrei dovuto lasciarti in quel parco a lamentarti del fatto che papino non voleva che tu ballassi. E punto secondo; non ero sfigata!” sbotta, il pugno che finisce direttamente sulla spalla dell'asiatico che lancia un urlo divertito.
“Ok, a cuccia tigre!”
Mike le blocca le braccia, stringendosela addosso e Quinn borbotta qualcosa nel suo petto, qualcosa che l'altro non riesce a capire.
“Sono ancora una sfigata” sussurra, prima di alzarsi e andare alla finestra. Mike la guarda un istante, prima di lanciarle lo stesso cuscino che prima aveva usato su di lui.
“Tu non sei una sfigata Lucy Quinn Fabray. Sei la prima del tuo corso, hai dei voti pazzeschi, sei bellissima, una delle ragazze più belle che io abbia mai visto, e hai una figlia meravigliosa” si ferma, saggiando la reazione sul viso di Quinn che si apre in un leggero sorriso. Lo stesso, identico sorriso di quel giorno di tanti anni prima.
“Mike..”
“Smettila di pensarlo Quinn. E' stata la scelta più giusta per te e per lei. E poi tu hai qualcosa che il resto del mondo non ha”
La bionda si ferma, perplessa. Il sopracciglio sparato in alto.
“Hai me!” conclude soddisfatto Mike, prima di essere investito dalla risata piena della sua migliore amica.
Quando Quinn smette di ridere, tenendosi la pancia per lo sforzo, si lascia cadere accanto a lui sul letto e poggia la testa sulla sua spalla.
“Sei il mio migliore amico Mike Chang. E ringrazio ogni giorno mia sorella per avermi trascinato in giardino, quel giorno”
Mike le passa un braccio intorno alle spalle, commosso. Quinn non esprime sentimenti a parole, le risulta difficile, probabilmente per colpa dei suoi genitori, troppo esigenti e poco affettuosi.
Quindi si tiene quella frase stretta, segno di una piccola vittoria.
“Oddio, ho interrotto qualcosa?”
Stretti nell'abbraccio non si sono accorti di Santana, ferma sulla porta a braccia incrociate e con un mezzo sorriso ironico sulle labbra.
Quinn si sistema sul letto e immediatamente l'espressione beffarda si dipinge sul suo viso.
“In realtà sì, Lopez. Ma se vuoi puoi partecipare” ammicca.
Santana rotea gli occhi, ormai abituata a quello scambio di battute.
“Ti piacerebbe Fabray” risponde, schioccando la lingua sul palato.
“Non ne hai neanche idea” mugugna l'altra, mordendosi le labbra in maniera indecente.
“Continua a sognare”
Mike le fissa incredulo, al centro della stanza.
“Ok, voi due ogni tanto mi spaventate. Possiamo andare avanti?” sbotta, sistemando i libri sulla piccola scrivania attaccata al muro.
“Ehi, io sono stata puntuale. Siete voi che amoreggiavate sul letto”
“Santana” la rimprovera l'asiatico.
“Si, si. Lo so. Siete solo amici. Ora, possiamo andare al centro commerciale?”
Mike annuisce, correndo in bagno per gli ultimi ritocchi e lasciandole sole.
“Va tutto bene?” sospira Quinn, passandosi una mano tra i capelli corti e riavviandoli un po'.
Santana le sorride, annuendo.
“Tu?” le chiede, tendendole la mano per aiutarla a sollevarsi dal letto.
“Ora meglio”

“Ma ti prego, è orribile”
Santana scoppia a ridere, mentre Mike esce dal camerino con indosso una giacca rossa a quadri, la faccia disgustata di Quinn, bloccata sulla sedia.
“Non ti parlo più se compri questa roba Chang”
Mike blatera qualcosa sul gusto poco creativo della bionda e torna nel camerino per provarsi qualcos'altro.
Santana si volta a guardare l'altra, ancora paralizzata sulla poltrona e le scompiglia i capelli.
“Riprenditi Fabray, non la comprerà” sghignazza, evitando accuratamente lo schiaffo sul braccio che Quinn ha provato a rifilarle.
“E' orribile. E lui sarebbe capace di metterla OVUNQUE” sbotta.
Il suono del cellulare di Santana interrompe il flusso di pensieri sconnessi dell'altra.
Un secondo, due, cento. Santana rimane a fissare lo schermo con il viso congelato.
Quando Quinn se ne accorge le si avvicina, preoccupata.
“Ehi, va tutto bene?” chiede.
Santana non risponde, rinchiusa nei suoi pensieri.
“E'.. è Brit”
Lo sguardo puntato sul display del cellulare. La foto di Brittany sdraiata sul letto con il suo gatto tra le braccia che lampeggia. Le mani di Santana che tremano attorno all'apparecchio.
Quinn si abbassa davanti a lei, una mano sul ginocchio della latina, l'altra che lentamente le alza il viso, in modo da poterla guardare negli occhi.
Lucidi delle lacrime che non ha mai smesso di versare.
“Sono settimane che non la senti, San. Avanti, di cosa hai paura?” chiede, accarezzandole il mento.
Santana sospira. Posando la testa sulla mano di Quinn.
E forse la cosa peggiore è che ci si sente bene, con Quinn vicino. Anche se Brittany la sta chiamando, anche se Mike è solo a qualche passo da loro, dietro una tenda.
Anche se il mondo attorno continua a girare, lei sente di poter rimanere così per sempre.
E poi il telefono squilla ancora e quella bolla si rompe.
“Va bene” risponde, deglutendo lentamente.
Quinn le sorride e le stringe il ginocchio, confortandola.
Santana si alza lentamente e si avvia verso l'uscita del negozio, il telefono ancora tra le mani. Si gira un'ultima volta. E il sorriso che Quinn le regala le basta a prendere coraggio.
“Pronto?”

Brittany chiude gli occhi e mentalmente conta ogni squillo, ogni secondo che passa tra il suo indice che preme il tasto di avvio chiamata e la voce di Santana che risponde dall'altro lato del ricevitore.
Non sa perché ha voluto chiamarla, non voleva farlo. Sono passate settimane e la loro promessa di rimanere in contatto è andata persa.
Ma sentire quella dannata canzone le ha riportato alla memoria tutto. Santana, il suo viso, le sue lacrime:
Quella stanza del coro che per loro ha significato tutto.
Si rigira sul letto. Vicino l'armadio a due ante colorato, una pila di fogli.
Ci sta provando, davvero, ad esercitarsi nelle materie più difficili per finire il liceo, ma il pensiero costante della sua ormai ex-ragazza, le impedisce di concentrarsi su altro.
E allora ha deciso che comunque non ne sarebbe valsa la pena stare lì a rimuginare su un calcolo che tanto non avrebbe saputo fare.
Che era inutile provarci se Santana non era con lei.
E vuole dirglielo, davvero.
Il problema è che quando la latina risponde alla chiamata, la gola di Brittany sembra chiudersi come per magia e l'aria diventa rarefatta e irrespirabile.
Boccheggia, sentendo le lacrime scivolarle sulle guance, senza avere la forza o il coraggio di fermarle.
Si stende sul letto. La voce di Santana che come una preghiera la invita a parlare.
“Mi manchi San..”
E' l'unica cosa che riesce a dire prima di venire scossa dai singhiozzi, più forti e più decisi.
Sente solo il gemito di Santana, segno che anche lei si è lasciata andare alle lacrime, prima di chiudere la chiamata e raggomitolarsi tra le coperte.
“Brit, tesoro va tutto bene?”
Sua madre apre lentamente la porta, la testa che sbuca, bionda esattamente come quella di Brittany.
“Ehi, piccola, che succede?”
Si avvia a passo svelto e si siede sul letto, accarezzando i capelli della figlia e passandole una mano sulla schiena.
Brittany non risponde. Le labbra contratte in una smorfia di dolore.
“E' Santana vero?
Si limita ad annuire, mentre sua madre si stende con lei e le canta una ninna nanna nell'orecchio.
La sente calmarsi tra le sue braccia, e poi, lentamente, scivolare tra i sogni.
Le bacia la fronte prima di uscire, lasciandole la porta aperta quel tanto che basta a fare entrare un po' di luce nella stanza.
Un sospiro.
E poi il dolce brontolio di Brittany che mormora nel sonno.

“Va tutto bene?”
Quinn si avvicina lentamente alla latina, notando le spalle che si muovono in maniera disconnessa. Non sa come, ma si ritrova le braccia di Santana intorno al collo e il viso dell'altra schiacciato sulla sua spalla.
Non appena sente l'umidità delle sue lacrime bagnarle la maglia, Quinn capisce che sta piangendo.
Abbozza un sorriso, tentando di calmarla e le stringe le braccia intorno alla vita.
Vorrebbe dirle che va tutto bene, ma lo sa che non è così. Si limita a tenerla stretta, accarezzandole i capelli e pregando che Santana non noti quanto a Quinn piaccia il suo profumo.
“Calmati” le sussurra.
Santana sembra assecondarla per un attimo. Respira profondamente, il fiato caldo che accarezza il collo di Quinn, che deve stringere i denti per non gemere a quel contatto.
“Suppongo non sia andata bene, eh?”
Tenta di scherzare.
Santana finge un sorriso poco convincente, poi si stacca lentamente e si passa la manica della giacca sugli occhi, gonfi e rossi.
“Direi di no..” risponde.
“Forse dovresti parlarle di persona, insomma chiarire le cose..”
“No” la risposta ferma di Santana la sorprende per un momento. La guarda, curiosa e scuote le spalle.
“Perché no?”
L'altra la guarda, il sopracciglio inarcato.
“Perché no? Sai cosa significa guardare negli occhi la persona che ami e dirle che non puoi più stare con lei? Non voglio più farle male Q, non posso”
Quinn annuisce. Discutere con Santana non servirebbe in quel momento.
“Va bene, forse hai ragione..”
Un mezzo sorriso sulle labbra.
“Si può sapere cosa ci trovi di divertente?” borbotta.
Quinn alza le spalle.
“Mi hai chiamata Q. Mi piace, è la prima volta che non usi il mio cognome” ridacchia, allo sguardo stranito di Santana.
La latina ci riflette un po' e quasi naturalmente un sorriso si apre sulle sue labbra.
“Non farci l'abitudine, Fabray”
Quinn scoppia a ridere, passandole un braccio intorno alle spalle e sfiorandole la tempia con un bacio.
“Ce la farai ragazzina”

“Davvero?”
“Davvero. E se ti serve qualcosa puoi sempre contare su di me, o .. o Mike” balbetta e Santana scopre piacevolmente che Quinn Fabray è capace di arrossire.
Si stringe a lei e poggia la fronte sulla sua spalla.
“Puoi tenermi? Solo un altro po'..”
Quinn boccheggia un attimo e poi annuisce, pur sapendo che Santana non può vederla.
“Certo, tutto il tempo che ti serve”
Entrambe ignorano che Mike le sta guardando, poggiato al bancone della cassa del negozio. Un sorriso strano sulle labbra. Si avvicina e scompiglia i capelli di Santana che si stacca da Quinn e sorride nella sua direzione.
“Ehi, Jackie Chan, non ci provare!” borbotta, passandosi a sua volta una mano tra i capelli.
Mike le prende la mano e la trascina fuori, le sopracciglia di Santana che sparano in alto verso Quinn che alza le spalle e apre le braccia.
“C'è solo una soluzione alla tristezza” scandisce Mike, avvicinandosi al juke box nel piccolo atrio del centro commerciale.
La musica parte e riempie l'aria. Santana si ritrova trascinata dalle mani di Mike che la fanno volteggiare. Una piccola folla di gente che li guarda, ridendo.
“Chiudi gli occhi” mormora l'asiatico e lei obbedisce e si lascia andare. Facendosi guidare dalla musica.
Una figura si avvicina alla sua e Quinn le è accanto, ridendo delle sue stesse mosse stentate.
“Il tuo migliore amico è un idiota e c'è gente” ride Santana.
“E tu fa finta che non ti stiano guardando ”

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Capitolo 4
*** 3. Little talks. ***


3. Little talks.



Quinn Fabray non era una ragazza come tante. Probabilmente ad una prima occhiata, la gente l'avrebbe giudicata superficiale, estremamente indisponente e probabilmente anche un po' stronza.
E avrebbero avuto ragione. Perché Quinn era anche quello.
Ma era molto, molto altro.
Anche se la sua famiglia non l'avrebbe mai ammesso. Anche se suo padre aveva sempre avuto una propensione naturale verso la loro primogenita. Frannie era perfetta in tutto anche durante i suoi primi anni. Aveva grazia, leggiadria, bellezza e dolcezza. Un mix perfetto per uno come suo padre, che aveva sempre dimostrato di avere una concezione patriarcale della famiglia.
Frannie era la figlia modello.
E Quinn ne aveva sempre risentito. Doveva essere perfetta, in tutto, o altrimenti il paragone diveniva per lei insostenibile.
Eppure non era mai abbastanza. Quando vinceva le gare di scienza a scuola, suo padre ricordava a malapena di farle i complimenti. Quando arrivava prima nelle gare di nuoto, si presentava raramente e sempre disinteressato e Quinn non riusciva a spiegarsi perché.
Perché niente di tutto quello lo rendesse felice.
E poi un giorno aveva smesso di pensarci. Aveva smesso di combattere contro i mulini a vento e si era arresa.
Se per suo padre non andava bene, non poteva fare altro che accettarlo.
Aveva iniziato a lasciarsi andare; fumo, alchol e feste poco raccomandabili.
Fino a che una sera un ragazzo di nome Josh non l'aveva portata in camera, la testa che le girava e un sorriso pigro sulle labbra. Le aveva promesso che tutto sarebbe andato bene, che si sarebbero divertiti. E le aveva tolto quell'ultima parte di se stessa che la teneva ancora ancorata a terra.
E non si era neanche preoccupato di lasciarle un biglietto, la mattina dopo, quando si era svegliata nuda in un letto che non era il suo, da sola.
La padrona di casa, una sua amica del liceo, l'aveva riaccompagnata a casa e Quinn aveva rimesso nel giardino tutto lo schifo che si sentiva dentro.
Non sapeva ancora cosa sarebbe successo di lì a poco. Non sapeva delle continue nausee mattutine che le avrebbero impastato la bocca ogni santo giorno. Non sapeva che dopo un mese si sarebbe accorta che qualcosa non andava.
E poi era finita in bagno, seduta contro le piastrelle fredde della parete, a piangere stringendo tra le mani un bastoncino che le stava dicendo che di lì a qualche mese sarebbe diventata madre.
Frannie aveva bussato alla porta, affacciandosi lentamente dopo non aver ottenuto risposta. L'aveva intravista, lì dentro, raggomitolata su se stessa e le si era seduta vicino.
Nessun cenno. Nessuna parola.
Le aveva solo stretto la mano, sfilandole di mano il test di gravidanza e le aveva baciato la fronte.
“Andrà tutto bene Quinnie, te lo prometto”
E magari non era andata così bene, ma Quinn se l'era cavata. Quando suo padre l'aveva cacciata di casa, il viso rosso di rabbia e la mano stretta intorno al polso di Quinn, trascinandola fuori e richiudendole la porta alle spalle, se l'era cavata.
Quando sua madre senza muovere obiezioni le aveva preparato le valige, facendogliele trovare sull'uscio di casa, senza una scusa o un ripensamento, se l'era cavata.
E quando durante la prima ecografia, sua sorella le aveva tenuto la mano, sussurrandole che avrebbe avuto la bambina più bella di sempre, aveva capito di aver fatto la giusta scelta.
Era andata a vivere da Mike, ma Frannie era sempre lì. Costantemente. E i segni sul suo corpo dimostravano che loro padre non era d'accordo con quelle scelte.
E quando le aveva accennato delle scuse per aver rovinato i suoi rapporti col padre, sua sorella l'aveva fermata e guardandola le aveva teso il mignolo, come quando erano bambine e giuravano di non rivelare a nessuno i proprio segreti.
“Sei mia sorella Quinn, non ti lascerei in questa situazione, per nessuna ragione al mondo. Avrai questa bambina, studierai e diventerai quello che vuoi e sarai felice. Perché sei Lucy Quinn Fabray e non può essere altrimenti”
“Non sappiamo ancora se è una bimba”
“Una zia certe cose se le sente”

“E' arrivato l'assegno di tua sorella” Mike le sventola davanti un pezzo di carta che Quinn riconosce subito. La scrittura rotondeggiante e limpida di Frannie sulla busta gialla e il francobollo londinese in alto a destra.
Si slancia in avanti per rubarla dalle mani dell'altro e con un sorriso soddisfatto riesce nel suo intento. La apre lentamente, estraendo i fogli di carta ripiegati all'interno. L'assegno di sua sorella che ormai sono due anni che manda mensilmente e poi una lettera. L'ennesima lettera.
Quinn sorride e prima che possa iniziare a leggere, qualcuno bussa alla porta.
Santana entra assonnata e accenna un saluto a entrambi notando immediatamente la lettera tra le mani di Quinn.
“C'è ancora qualcuno che scrive le lettere? Ma non li conoscete i computer?” borbotta, grattandosi la fronte.
Mike scoppia a ridere, le sopracciglia sparate in alto per la sorpresa e il timore della reazione di Quinn. Quando nota che quella non batte ciglio, tira un sospiro di sollievo e passa un braccio attorno alle spalle di Santana.
“Sei fortunata che oggi Quinn è abbastanza tranquilla. A quest'ora saresti mangime per pesci” sillaba, imitando l'accento del Padrino.
“Perché? Che ho detto?” domanda.
Quinn rotea gli occhi, fintamente infastidita e li invita al silenzio, per poi squadrare Santana e sbeffeggiarla agitando i fogli che ha tra le mani.
“Sei come tutti gli altri Lopez, non puoi capire” sbuffa.
Santana spalanca la bocca, indignata, ma Mike la stringe e scuote la testa, impedendole di difendersi.
“Quinn è quella persona che potrebbe stare ore a decantarti la perfezione della penna che scorre sul foglio e tutto il resto. Non vuoi realmente iniziare questa conversazione, lo sappiamo entrambi” annuisce, ma a Santana resta quel broncio oltremodo adorabile sulle labbra.
“Ora, se potete scusarmi, dovrei leggere la lettera di mia sorella”
Entrambi sorridono e si voltano, ma quando la mano di Mike sta per girare la maniglia, Quinn li richiama, chiedendogli cosa stanno facendo.
E alla normale risposta di Santana “ti lasciamo sola” Quinn ride.
“Non vi ho detto di andare via. Va tutto bene, potete restare”
E allora si accomodano di nuovo. Mike si lancia sul letto accanto a Quinn e Santana sulla sedia poco distante. Si ferma ad osservare Quinn per qualche secondo e nota immediatamente le mani che tremano un po' strette al foglio.
E poi la sua voce si diffonde nella stanza.

“Ciao Piccola Quinnie,
tutto bene? Quì a Londra fa sempre più freddo, non mi stupirei davvero di vedere un piccolo orso polare rotolare nel giardino di casa mia.
A parte gli scherzi, si sta bene. Dave ha comprato uno di quei vecchi camini che ti piacciono tanto, quindi dovrai sbrigarti a raggiungermi per testare la sua efficienza. Inoltre si è fissato di fare come gli inglesi e prendere il tè alle cinque. Credo di aver sposato l'uomo della TUA vita.
Lì come vanno le cose? Ho sentito mamma l'altro giorno. Mi ha detto che ha provato a chiamati ma non le hai risposto.
Quinnie, amore, sono passati tre anni..”


Quinn si ferma, la voce che le trema per un solo istante e un groppo in gola che manda giù con un po' di difficoltà. Si morde le labbra e guarda Santana. Non che le dispiaccia raccontarle quella parte della sua vita; c'è qualcosa in Santana che le permette di fidarsi totalmente di lei.
Ma è difficile, e spiegare tutto ancora una volta, sarebbe doloroso. Forse troppo da sopportare per l'ennesima volta.
Inspira profondamente e riporta gli occhi sul foglio.

“..e sai quanto è difficile per lei. E' stata tutta colpa di papà, e mamma ha finalmente capito che razza di uomo ha sposato. Lo so quanto è stato difficile per te. C'ero anche io, ricordi? Ma mamma ti vuole bene. Potreste venire entrambe a trovarmi, questo Natale.
Anche perché, vorrei che mi accompagnaste alla mia prima ecografia.”


Quinn si ferma di nuovo. Il cuore che le batte ferocemente nel petto e una sensazione di pura adrenalina che si impossessa del suo corpo.
“Q..” Mike ride, felice al suo fianco.
“Avrò il nipotino più bello di sempre” mugugna.
“Come fai ad essere sicura che sarà maschio?”
E Quinn agita il mignolo.
“Una zia certe cose se le sente”
Santana ha un mezzo sorriso sulle labbra ma si limita a guardare Quinn che scoppia in una risata piena. Rilassata. Gli occhi lucidi le mani che sembrano avere vita propria per quanto stringono con forza il foglio.
“E' incinta. Oddio è incinta” urla, una sola lacrima di gioia che le scivola sulla guancia.
Lascia il foglio aperto a metà sul letto e corre verso la porta. E poi per il corridoio e poi fuori, il tepore del sole sulla faccia.
Quinn sorride e guarda la strada. E poi inizia a correre.
Dietro di lei Santana guarda Mike con una faccia semi sconvolta, ma quello non ci fa caso:
“So esattamente dove sta andando”

Quinn sente le gambe bruciare, il corpo totalmente teso e una patina di sudore sulla pelle, ma ride.
Il vialetto che la separa dalla casa è di qualche metro, ma si sente tremendamente lontana che non sa se le gambe reggeranno per tutto quel tragitto.
Si avvicina lentamente, passo dopo passo, riprendendo fiato per la corsa e arrivata sulla soglia, sfiora con le nocche la porta bianca. Si guarda attorno.
Passare davanti a quella che era stata casa sua era stato facile. Più di quello che pensava. O almeno si era convinta che lo fosse e per tre anni non aveva mai avuto l'impulso di fermarsi a bussare.
Ma quando sua madre apre la porta, le lacrime già a bagnarle le guance, Quinn si chiede come ha fatto a ignorarla per tutto questo tempo.
Perché il cuore le sbatte nel petto con una tale forza che ha paura di vederlo schizzare fuori dalla cassa toracica e finire direttamente sul viale.
“Perdonami Quinnie..” sospira sua madre, le mani che torturano i bottoni della giacca bianca che ha addosso.
Quinn scuote la testa e si lancia tra le sue braccia. E finalmente quella stretta arriva.
Quella che ha sempre aspettato. Quella che ha sempre cercato.
Ha finalmente fatto qualcosa di giusto.
“Diventerai nonna..”
“Sono già nonna, di una splendida nipotina bionda e bellissima”
E Quinn scoppia a piangere e si lascia andare, il peso di una vita che lentamente scivola via dalle sue spalle.
“Mi dispiace Quinnie, mi dispiace così tanto”
Poco più lontano Santana guarda la scena all'interno dell'auto di Mike. Si passa una mano sul viso per cancellare gli occhi lucidi ma Mike sorride e le stringe una spalla.
“Va bene, non dirò a Quinn che sei una pappamolle sentimentale” la prende in giro, passandole un fazzolettino.
“MIKE!”
“L'ho notato sai?” sorride e Santana lo guarda curiosa, invitandolo a spiegarsi meglio.
“C'è qualcosa tra voi due. Non so esattamente cosa, ma è una specie di connessione. Quinn non avrebbe lasciato mai che qualcuno ascoltasse la lettera di sua sorella. E' un suo rituale, e fino ad oggi neanche io ne avevo mai vista una”
Santana apre la bocca e la richiude poco dopo. Le sembra stupido negare, l'ha notato anche lei. Non sa spiegare quello che succede quando sono insieme, sta di fatto che i suoi sensi sembrano amplificati mille volte. Ride con più forza, piange con più disperazione e pare che Quinn riesca ad assorbire ogni sensazione e farla anche un po' sua.
Ed è anche vero che, bè, è una gran bella ragazza.
“Non iniziare a farti domande San, non adesso. Sta per partire per Londra, avrai tutto il tempo per rifletterci”
Santana annuisce, dubbiosa, e torna a guardare Quinn.
E non le è mai sembrata così bella.

“Ehi, che ci fai qua?”
Mormora Quinn, i pantaloni del pigiama e una leggera canotta addosso.
Santana si fa spazio con uno scatolo tra le mani e lo poggia sul letto, decisa.
“Sono 365 lettere. Le ho scritte l'anno in cui ho fatto coming out e sono tutte per mia nonna. Non ho mai trovato il coraggio di inviarle, credo di essere sempre stata un po' codarda da quel punto di vista. Le ho scritte perché mi sarebbe piaciuto che le leggesse e forse le ho scritte perché un po' avrei voluto riconoscere me stessa, qui dentro. Ero persa e avevo bisogno di ritrovare Santana e magari questo era l'unico modo”
Quinn la guarda senza fiatare, mordendosi le labbra.
“Ne hai scritta una al giorno?”
“Fino a che non ho capito che non serviva, perché Santana era ancora lì, tra quei fogli”
Quinn annuisce.
“Parlare di te in terza persona, sei megalomane”
Santana ride e lascia cadere lo sguardo su quelle lettere sparpagliate all'interno del cartone.
“Perché me lo stai dicendo, Santana? E' notte fonda e oggi è stata una giornata un po' troppo movimentata”
“Perché non sono come tutti gli altri, vorrei che tu lo sapessi.”
E senza aggiungere altro, si volta ed esce dalla stanza.
Quinn la guarda allontanarsi a passo svelto nel corridoio. Socchiude la porta e si lascia cadere contro di essa.
“Lo so perfettamente Lopez”
Un sospiro.

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Capitolo 5
*** 4. I wish you were here. ***


4. I wish you were here



Santana non aveva mai fatto caso fino a quel momento al concetto dell'assenza. Si era sempre chiesta cosa spingesse qualcuno a sentire la mancanza di qualcosa. Non si era mai sentita abbandonata o tradita, o sola.
Aveva sempre avuto la sua famiglia, alle spalle.
Certo il lavoro di suo padre e quello di sua madre le impedivano di stare tutto il giorno con i suoi genitori, ma c'era abituata e tutto le sembrava normale.
E poi improvvisamente, tra i corridoi della sua scuola aveva imparato quello strano concetto. Quando aveva incrociato per la prima volta gli occhi blu di Brittany. Quando le aveva parlato per la prima volta e quella si era lamentata di quanto fossero stretti gli armadietti tanto da non poterci infilare dentro le sue fatine.
Quando Brittany le aveva sorriso e aveva stretto il mignolo al suo.
In quello stesso istante aveva sentito il petto stringersi talmente tanto che aveva avuto paura, per un attimo, di non riuscire a respirare ed era convinta che ci avrebbe rimesso le penne, in quella situazione.
E poi Brittany era tornata dal bagno, l'aveva guardata e le aveva donato di nuovo il respiro. E ogni volta che lei non c'era, Santana doveva combattere con la voglia di piangere. E ogni volta che andava via, Santana doveva fare i conti con tutte le sue diverse emozioni.
E allora aveva capito.
Aveva capito cosa significava sentire la mancanza di qualcuno.
E quando qualche mese prima aveva lasciato l'aula del coro, combattendo la voglia di tornare indietro e stringere Brittany ancora una volta tra le sue braccia, quella mancanza era diventata talmente grande che aveva cancellato qualsiasi altra cosa.
E si sentiva vuota, e persa.
Incontrare Brittany era stato un po' come rinascere una seconda volta. Una volta in cui poteva essere Santana. Non la primogenita del dottor Lopez, non la capo cheerleader. Solo Santana.
E doveva tutto a quell'uragano biondo. E probabilmente non avrebbe mai smesso di amarla. In modo diverso, certo. Ma l'avrebbe amata per sempre.
L'avrebbe ricordata per il suo sorriso, per la sua risata, per i suoi occhi azzurri. Per la sua ingenuità e la sua intelligenza. Ma soprattutto l'avrebbe ricordata come si ricorda il primo amore. Con un sorriso sulle labbra e il cuore un po' spezzato.
E l'avrebbe portata con se, desiderando di averla accanto, solo per qualche altro secondo.

“Mike, perché non sei fidanzato?”
L'asiatico sobbalza a quella domanda inaspettata, le sopracciglia aggrottate e l'espressione curiosa mentre cammina fianco a fianco con Santana, che in risposta lo fissa insistente.
“Dico sul serio. Sei un bel ragazzo, e sei single. Qualcosa non va. Non ci sono più donne etero o sono tutte stupide?” borbotta.
Mike ride, le buste di plastica tra le mani e il naso rosso per il freddo.
“Non c'è una ragione. Credo di non aver trovato ancora quella giusta” ribatte, perplesso.
Santana gli si posa davanti, incrociando le braccia.
“E come fai a sapere quando è quella giusta?” Mike rotea gli occhi a quella domanda e posa le buste sulla panchina più vicina, per poi lasciarsi andare.
“Non lo so, tu come pensi che sia?”
“Com'era con Britt” risponde senza pensarci. E sente il cuore stringersi un po' a quella dichiarazione spontanea. Mike sorride e alza gli occhi al cielo.
“Non scambiare il vero amore con il primo amore, San” mormora, le mani che si strofinando tra di loro per riscaldarsi.
“Cosa?”
Santana lo guarda storto. Le mani che nervosamente giocano con l'orlo della giacca.
“Il primo amore non è per forza quello vero e forte San. Qualche volta succede. E la gente è fortunata, perché ama per tutta la vita quella persona con la stessa intensità sin dal primo giorno. Chi non è così fortunato farebbe bene a non confondere le cose”
L'asiatico rovista nella busta, estraendo la nuova gonna che Santana ha acquistato nel pomeriggio.
“Cerchi di fare colpo su qualcuno?” ride, sornione, beccandosi un'occhiataccia dall'amica che scuote la testa.
“No, è per me. Non devo farlo per forza per qualcuno. E comunque continua, mi interessa il discorso” lo incita, strappandogli dalle mani la stoffa.
“Insomma, sì. Sono due cose diverse. Ad esempio tu. Tu non puoi fossilizzarti su Brittany. E lo so che lo dico perché è facile per me dirlo e tutto il resto. Ma è così. Sei bellissima San, dovresti andare avanti. E so che domani tornerai a Lima per le vacanze e non sarà facile ma, dovresti provarci” conclude.
Santana annuisce, passandosi una mano tra i capelli e poi guarda l'orologio.
“Dobbiamo andare, Quinn ci sta aspettando”
E non può sentire Mike, che sussurra.
“A proposito di andare avanti..”

“Quindi avete svaligiato il negozio”
Mike annuisce, infilzando la forchetta nel raviolo all'interno del piatto di Quinn, che cerca di colpirlo, ma fortunatamente per l'asiatico manca la mira.
Santana ne approfitta per prenderne un altro e Quinn sbuffa e incrocia le braccia.
“Avete deciso di approfittare di me? Perché non è carino”
Santana sorride e le passa una mano tra i capelli biondi, scompigliandoglieli un po' e godendosi l'espressione infastidita dell'altra.
Mike ridacchia e continua a mangiare, osservandole di tanto in tanto.
“Allora, com'è andato il colloquio?” chiede, interrompendo lo scambio di battute tra le due.
“Mi hanno detto che mi faranno sapere a breve, e non ho idea se sia una buona cosa o no”
“Bè, di solito il famoso < le faremo sapere > è negativo” interviene Santana.
“Grazie eh” borbotta Quinn.
Mike rotea gli occhi e si pulisce le labbra.
“Andiamo Q, come possono non prenderti. Sei la prima della classe, qualsiasi editore ti prenderebbe come stagista”
Santana accenna un mezzo sorriso, trovandosi d'accordo con le parole di Mike.
Il cameriere arriva a ripulire il tavolo, bloccando il loro discorso a metà. Poi fa scivolare qualcosa sulla tovaglia, un fogli, che finisce direttamente sulle gambe di Quinn che lo osserva, il sopracciglio sparato in alto. Lo raccoglie e sorride alla serie di numeri scritti a mano, una faccina sorridente e un “chiamami” scritto poco sotto.
“A quanto pare ho rimorchiato” sorride, ammiccando poi verso il ragazzo che quasi inciampa a quelle attenzioni.
Santana stringe i pugni. Non sa spiegarsi perché ma prova una fitta di gelosia nel vederla scambiare sguardi con quel poco professionale cameriere.
“Magari ci prova con tutte quelle che gli capitano a tiro” sbotta, schioccando le dita al ragazzo ed ordinandogli con più rabbia del previsto un'altra bottiglia d'acqua.
“Ok, che diavolo ti prende?” mormora Quinn, confusa.
Santana rotea gli occhi.
“Niente, pensavo fossimo qui per stare un po' con te visto che domani parti, ma a quanto pare ti interessa altro” sputa, acida.
Quinn si alza in piedi per bloccarla, le guance leggermente rosse di rabbia.
“Qual è il tuo problema? Brittany si è fatta risentire? E' per questo che sei così stronza? Bè, notizia dell'ultima ora, Santana. Non esisti solo tu e la tua stupida relazione”
E non appena le parole escono dalle sue labbra capisce di aver sbagliato. Perché il respiro di Santana si ferma, i suoi occhi diventano lucidi improvvisamente e le labbra iniziano a tremarle.
“San io..”
“Fottiti Quinn”



Quel lieve bussare alla porta Santana lo riconosce subito. E' quasi assurdo, a dire il vero, ma ormai sa esattamente distinguere il modo in cui Quinn bussa alla sua porta. E quando apre, trovandosi davanti gli occhi verdi che la scrutano, non finge neanche di essere sorpresa. Si sposta lentamente, facendola passare e nota immediatamente gli occhi di Quinn saettare sulla valigia aperta sul letto.
“Non sapevo partissi anche tu” mormora e Santana si morde la lingua per non risponderle a tono. Accenna un movimento del capo e si avvicina all'armadio, continuando a scegliere i capi da portare con se a Lima.
“Santana..” la voce di Quinn è bassa, spezzata, rotta e Santana chiude gli occhi e sospira prima di voltarsi.
“Si?”
La mano dell'altra che gioca nervosamente con le lenzuola del suo letto ancora disfatto. Santana la fissa. Ha gli occhi bassi e le labbra che le tremano leggermente, e vorrebbe tanto andare lì vicino, stringerla tra le braccia e baciarla.
Ma sarebbe tutto così sbagliato, Santana lo sa bene. Sa esattamente che in quell'esatto momento perderebbe una delle persone più importanti della sua vita.
Ed è paradossale e assurdo che in soli tre mesi Quinn sia diventata così importante, ma è così, e non c'è assolutamente nulla che possa farci.
“Mi dispiace per prima..” sussurra Quinn.
“Va tutto bene”
E la sua voce suona talmente finta che fa fatica a crederci lei stessa. E Quinn sbuffa e scuote il capo e poi le sue labbra si muovono ancora, stavolta in tono più forte.
“No, non va tutto bene. Mi stai evitando. Ho fatto una cazzata e mi dispiace, vuoi farmela pagare per sempre?”
Si alza di scatto, due passi che la separano da Santana. Li riempie in un secondo e poi le sue braccia si stringono forti attorno al collo dell'altra, che boccheggia prima di ricambiare l'abbraccio. Le dita che si stringono attorno alla felpa di Quinn, talmente forte che le nocche le diventano bianche. Il respiro della bionda sul collo di Santana.
“Mi dispiace San..”
“Lo so”
E il tempo sembra dilatarsi. La stanza perde i contorni e Santana si sente catapultata dall'altra parte del mondo. E, dannazione, si sente fin troppo bene tra le braccia di Quinn.
Rimangono così per secondi o minuti, nessuno ci fa caso, poi si scosta leggermente, gli occhi che cercano quelli della bionda.
E quando li trovano, lucidi e un po' arrossati, Santana non può fare a meno di sorridere, notando l'imbarazzo di Quinn per quella debolezza.
“Devo finire di preparare la valigia” mormora, la fronte che si poggia inevitabilmente su quella dell'altra.
Quinn le sfiora il naso con il proprio e annuisce.
“Mi mancherai, Lopez”
E Santana deve infilarsi di prepotenza le unghie nei palmi delle mani per impedirsi di baciarla. Ma non serve, perché è Quinn ad abbassarsi quel tanto che basta per sfiorarle le labbra.
Santana rimane immobile, la bocca di Quinn che si muove lentamente sulla sua. Il cuore che sembra volerle scoppiare nelle orecchie.
Non si accorge nemmeno che Quinn si tira indietro sorridendo.
“Fa buon viaggio, ragazzina”
E poi sparisce, chiudendosi la porta alle spalle, lasciandola inerme al centro della stanza.
E Santana capisce che non può continuare a fingere.

Due giorni dopo il telefono di Santana squilla ripetutamente, attirando l'attenzione di tutta la sua famiglia che inizia a fare domande.
“Non è nessuno, piantatela. Sono tornata da un solo giorno e già mi avete fatto il terzo grado”
Il padre ridacchia, sfiorandole la fronte con un bacio, per poi riportare gli occhi sul telegiornale.
Puck invece la guarda di sottecchi, ridacchiando sommessamente. Santana rotea gli occhi e gli rifila una gomitata tra le costole facendolo mugugnare di dolore.
“Auch. Ti vedo dopo due mesi ed è questo quello che mi merito?” borbotta, massaggiandosi delicatamente la parte lesa.
“Si, deficiente. Non c'è niente da ridacchiare”
Puck annuisce sorseggiando la sua bibita gassata, fintamente convinto.
“PUCK” grugnisce Santana, frustrata.
“Oh avanti, non ti ho vedo così sorridente da.. bè, lo sai da quando” sussurra, scrollando le spalle e poi guarda Santana in quella maniera seria che usa solo con lei.
“Quindi scusa se voglio sapere chi è la fortunata che devo ringraziare per questo”
E Santana ride, alzando un sopracciglio.
“E se fosse un lui?” ribatte. Puck scoppia a ridere, poco velatamente.
“Oh avanti. Tu ami le donne quanto le amo io, Snix. Ora, vuoi dire a Puckzilla chi ti ha rubato il cuore o devo scoprirlo da solo?” ammicca e Santana è indecisa se tirargli un'altra gomitata. Ma poi si arrende e sorride.
“Non mi ha rubato il cuore o cazzate simili. Siamo solo amiche, ma è strano” bisbiglia.
“Cosa è strano?”
Santana alza le spalle e lo guarda.
“Non lo so. Lei, noi. E' strano..”
Puck la studia attentamente e Santana sa esattamente cosa sta facendo. Abbassa lo sguardo, un mezzo sorriso disegnato sulle labbra. L'amico le alza il viso e avvicina il volto al suo. Aggrotta le sopracciglia e Santana lo trova talmente buffo che scoppia a ridere.
“Ti piace Lopez. Questa ragazza ti piace sul serio. Non lo credevo possibile. Non dopo, bè..” Santana sente le guance bruciare e sente improvvisamente come un bimbo trovato con le mani nella marmellata.
“Io.. Non lo so Puck. Non lo so se ce la faccio. Non di nuovo”
E quello le passa il braccio intorno alle spalle e se la stringe addosso. E Santana non si era mai accorta fino a quel momento di quanto gli fosse mancato il suo migliore amico. Sospira nel suo petto e chiude gli occhi.
“Si che ce la fai San. Sei la persona più forte che io conosca. Sei Snix. Ora, vai a vedere cosa vuole la futura signora Lopez”
E Santana non può trattenersi dall'assestargli un'altra gomitata.
Poi, ridendo si avvicina al cellulare.
E sente in maniera cristallina il suo cuore perdere un battito quando sullo schermo appare il messaggio di Quinn.

“Vorrei che fossi quì”

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Capitolo 6
*** 5. Goodnight. ***



5 Goodnight.



Quinn aveva sempre avuto una passione per i viaggi. Da quello che riusciva a ricordare, sin dalla tenera età, costringeva sua madre a portarla in giro, per scoprire nuovi posti e luoghi dove andare a nascondersi quando ne aveva voglia.
Ma il suo primo vero viaggio Quinn l'aveva fatto anni dopo, e non le era servito comprare un biglietto aereo o saltare sul primo treno a sua disposizione.
L'aveva fatto in nove mesi, e quel viaggio si chiamava Beth.
Le aveva mostrato che non bisognava andare lontano per provare qualcosa di nuovo. L'aveva cambiata, in una maniera del tutto imprevedibile. Quinn Fabray era diventata donna.
Era strano, per lei, pensare a come un piccolo esserino, non ancora del tutto formato dentro di te, potesse sconvolgerti la vita. Ma l'aveva imparato a piccole dosi.
Quando aveva smesso di preoccuparsi della sua linea, e mangiava per due. Quando aveva smesso di bere e divertirsi, sapendo che le conseguenze potevano ritorcersi su quella piccola creatura dentro di sé.
Quando aveva lottato contro i suoi genitori pur di dare alla luce quel bambino.
Quinn era diventata più forte, più matura.
Ogni volta che andava a trovarla, in quella piccola casa nella periferia di Louisville, e la vedeva giocare con i suoi genitori, Charles e Diana, Quinn capiva di aver fatto la scelta giusta. Vederla sorridere, divertirsi e stare bene le faceva capire che quel viaggio era finito e doveva andare avanti.
Non aveva rimpianti, sapeva di aver fatto la scelta giusta.
Solo si chiedeva se, un giorno, quando Beth sarebbe stata ormai abbastanza grande da sapere la verità, avrebbe chiesto ai suoi genitori perché sua madre non l'avesse voluta.
E magari si sarebbe sentita di troppo, magari avrebbe pensato di non essere abbastanza. E Quinn conosceva troppo bene quella sensazione per lasciare che sua figlia la provasse anche per un solo secondo sulla sua pelle.
Aveva confidato ai genitori adottivi che voleva rimanere in giro, vederla crescere e loro non si erano opposti. Anzi le avevano addirittura appioppato il nomignolo di “zia Q.” e ogni volta che andava a trovarli, le premure che questi avevano nei suoi confronti la rincuoravano.
E quel giorno, il giorno in cui Beth avrebbe scoperto la verità sul suo conto, sarebbe stato per lei la la fine e l'inizio della storia più importante della sua vita.

“QUINN!”
Mike agita le braccia, disegnando nell'aria cerchi concentrici. Un sorriso smagliante sul suo viso, la giacca blu stretta intorno al corpo e il naso leggermente rosso.
Quinn quasi scoppia a ridere quando lo vede, preso com'è dai saluti che le sta rivolgendo non si accorge di quanto può risultare buffo. Gli si avvicina lentamente, e quando lo abbraccia si gode il profumo del suo migliore amico che tanto le è mancato nel suo soggiorno a Londra.
“Allora, com'è andata? Come sta Frannie? E il bambino?”
“Frena la lingua, dammi tregua” mugugna, senza staccarsi. Le mani strette sulla giacca e il viso affondato nel petto dell'asiatico, che boccheggia un attimo prima di ricambiare la stretta, incuriosito da quell'atteggiamento.
Rimangono in silenzio per qualche minuto. Solo stretti al centro della strada fuori dall'aeroporto.
Mike la sente tremare un attimo e si sfila la giacca, posandola sulle sue spalle e sorridendo al cenno di ringraziamento che l'altra gli rivolge.
“Che gentiluomo” mormora, stringendosela addosso.
Mike fa un gesto con la mano, come a voler scacciare quel complimento e la guarda storto. La bocca contratta in una smorfia curiosa e le mani che strofinano le braccia.
“Andiamo prima che tu ti prenda un raffreddore”
Quinn lo trascina per un braccio. Ferma un taxi e Mike carica le valige. Salgono entrambi
in silenzio, scrutandosi attentamente. Ed è lo sbuffo di Quinn a far scattare tutto. Mike sorride, le mani intrecciate in una posa inquietante.
“Ti è mancata” sghignazza e Quinn rotea gli occhi e guarda fuori dal finestrino, non riuscendo a fermare il sorriso che le si apre sulle labbra.
“Oh avanti, ammettilo. Ti è mancata”
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” ribatte lei, schioccando la lingua.
Mike ride di gusto e poi le si avvicina e la stringe, beccandosi qualche insulto che rimane tra i denti digrignati di Quinn.
“Non è ancora tornata, però..” mormora e Quinn si morde l'interno della guancia per cercare di non apparire troppo delusa da quella rivelazione.
“Aveva bisogno di tempo” conclude, distogliendo lo sguardo dal panorama e riportandolo sull'amico al suo fianco.
“Andiamo, non penserai che..”
Quinn alza le spalle e lo blocca con un gesto della mano.
“La ama, Mike. E io non posso farci proprio nulla”
E nel momento stesso in cui quelle parole lasciano le sue labbra, qualcosa simile ad un pugno sembra abbattersi sul suo stomaco.

“San?”
Brittany mugugna, strofinandosi gli occhi e voltando la testa verso il comodino e la sua sveglia a forma di papera.
9.50.
“San, svegliati, tra meno di due ore hai il treno” borbotta, il piede che scalcia la coscia della ragazza addormentata al suo fianco.
Santana biascica qualcosa, la testa completamente abbandonata sul cuscino, gli occhi chiusi e i capelli sparsi.
Brittany riesci a cogliere solo poche parole, insulti per lo più, prima di infilarle una mano sotto la maglia del pigiama, facendola urlare per il freddo.
“Che diavolo ti prende Brit-Brit?” sbraita, saltando in aria.
“Dovevo svegliarti in qualche modo” si difende l'altra, non troppo dispiaciuta.
Santana si stiracchia e mugola, prima di abbracciarla e riempirla di baci sulle guance. Brittany ride. Di quella risata pura e innocente che farebbe innamorare chiunque e Santana si ritrova a fissarla, un sorriso naturale che le dipinge il viso.
“Sei bellissima, lo sai?”
E Brittany arrosisce a quel complimento e nasconde il viso nell'incavo del collo dell'altra che prende a cullarla dolcemente, canticchiandole una vecchia canzone.
“Non voglio che tu vada, San”
E Santana sente il cuore farsi un po' più piccolo.
“Non voglio andare neanche io, Brit-Brit, ma devo. E poi torno tra qualche settimana”
“Bugiarda” la rimprovera l'altra, godendosi la faccia sconvolta di Santana.
“Vuoi andare dalla tua bionda, ce l'hai scritto su tutto il viso” ridacchia Brittany.
Santana boccheggia un po', senza parole. Poi scuote la testa e le scocca un'occhiataccia, prima di pizzicarle i fianchi, beandosi della risata che ne scaturisce.
“E tu allora, con bocca da trota?” cerca di difendersi.
E forse è strano, parlare di quelli che potrebbero essere i loro futuri partner, ma quando Santana l'ha vista seduta al tavolo di Breadstix, appena arrivata a Lima, chiacchierare animatamente con Sam, ha capito che per lei, l'importante era vederla felice.
E se Sam la rendeva felice allora non c'era altro da fare.
Aveva capito che non poteva non aver Brittany nella sua vita. E si sarebbe accontentata di averla come sua migliore amica, piuttosto che perderla per sempre.
E la bionda si era trovata quantomai d'accordo. L'aveva abbracciata subito dopo che Santana le aveva confessato le sue intenzioni e tra le lacrime le aveva confessato che, quei mesi in cui non l'aveva sentita, erano strati i mesi più brutti della sua vita.
E Santana le aveva promesso che non l'avrebbe più lasciata.
“Sarai sempre la mia migliore amica Brit” mugugna, stringendola al petto e passandole una mano tra le ciocche dorate. Brittany le bacia la guancia e strofina il naso con il suo, prima di sfiorarle le labbra con le proprie.
“Sei molto di più San. Sei la mia persona”
Santana sente improvvisamente gli occhi diventarle lucidi.
“Sei l'unica a cui so di potermi rivolgere in qualsiasi guaio io vada a cacciarmi. Sei quella che si sveglierà di notte e correrà da me, se mai ne avrò bisogno. Sei tu San”
“Ti voglio bene Brit”
“Ti voglio bene anch'io. E prima di iniziare a piangere, vestiti. O perderai il tuo dannato treno”
Santana la guarda per un po'. Poi chiude gli occhi e si avvicina, accarezzandole la guancia.
“Sarò sempre la tua persona Brit-Brit. E tu sarai la mia”
E con la voce spezzata e gli occhi lucidi, si alza dal letto.


“Ti ha regalato un diario?”
Mike guarda l'oggetto tra le sua mani, rigirandolo come se fosse un esperimento scientifico dal quale si aspetta qualche strano fenomeno. Quinn lo fissa, le sopracciglia alzate fino all'attaccatura dei capelli.
“Si, ed è un diario. Non esplode, è inutile che continui a guardarlo” sbotta, rubandolo dalle mani del suo migliore amico e posandolo sulla scrivania al suo fianco.
“E poi? Avanti, avrai fatto qualcosa che vale la pena raccontare”
Quinn ci pensa un po' su, si passa una mano tra i capelli e annuisce.
“In realtà c'era questa rossa che..”
Mike tossisce lanciando un paio di fogli in aria e Quinn lo guarda come se gli stesse per nascere un terzo occhio sulla fronte.
“SANTANA” urla.
Quinn lo guarda e si porta due dita alla tempia, per poi muoverle in senso circolare.
“Che diavolo c'entra Santana? Non è mica- CIAO SANTANA” si accorge solo in quel momento che qualcuno è poggiato allo stipite della porta d'ingresso della sua stanza. Un mezzo sorriso sulle labbra e un paraorecchie rosa che di carino in realtà ha ben poco.
“Sei tornata” sussurra Quinn, gli occhi fissi sulla figura stagliata davanti a lei, che annuisce e si china a salutare Mike, seduto sul pavimento, con un bacio sulla guancia.
“Si, ma non fare caso a me. Dicevi di questa interessante rossa?” ghigna, le labbra leggermente inarcate.
“Io- ecco- “ si blocca, le mani che si strofinando nervosamente tra di loro.
“Com'è andata a Lima?” chiede Mike, la mano che si stringe intorno alla caviglia di Quinn, seduta sul letto che lo ringrazia con un cenno del capo, sperando di passare inosservata.
Santana ride, più propriamente sghignazza e si stringe nelle spalle.
“Tutto bene. Si sta sempre bene a casa, no? E comunque mi interessava davvero quella rossa” sottolinea, sentendo chiaramente lo sbuffo irritato di Quinn che rotea gli occhi e la fissa.
“Santana” mormora, rimproverandola e l'altra non fa che ridacchiare. Le prende una mano tra le sue, gli occhi di entrambe che si incollano a quel tocco. Poi Santana intreccia le loro dita e tira fuori il labbro inferiore, tornando a guardarla.
“Scusa Quinnie” brontola, sbattendo le ciglia.
Quinn boccheggia e guarda Mike, scosso dalle risate che proprio non riesce a trattenere.
Si alza in fretta e le bacia entrambe, defilandosi elegantemente e lasciandole sole.
“Allora questa rossa?”
“Allora Brittany?” ribatte Quinn senza pensarci. Si accorge dopo un istante dell'errore e cerca di alzarsi ma Santana la tira giù, sul letto, avvicinandosi al suo viso talmente tanto che Quinn deve aprire la bocca per respirare senza essere investita dal suo profumo.
“Ti interessa davvero?” le sussurra, il fiato caldo che accarezza la guancia della bionda.
Quinn annuisce, gli occhi chiusi per metà e le dita che stringono le coperte del letto.
Santana le passa un dito sul viso, accarezzandola lentamente fino ad arrivare al collo e poi le posa un bacio sul naso.
“Può aspettare domani. Sono stanca”
Quinn rimane sbigottita, mentre la guarda voltarsi dall'altro lato del letto, vicino alla parete e posare la testa sul cuscino. Non può vederla ma è certa che stia ridendo.
Chiude gli occhi e sospira, maledicendosi per esserci cascata e incrociando le braccia.
“Hai intenzione di rimanere qui? E' la mia camera!” sbotta.
Santana scuote le spalle e si volta lentamente.
“Hai intenzione di mandarmi via?” chiede, le sopracciglia aggrottate.
Quinn scuote la testa.
“No..”
L'altra sorride, soddisfatta e si volta di nuovo.
La bionda rimane per un attimo a guardarla, seguendo il profilo del naso e soffermandosi per un secondo in più sulle labbra. Non si accorge che si stanno muovendo fino a che la voce di Santana si fa spazio nella sua testa.
“E' inquietante fissare la gente. Dormi Fabray, domani ricomincia tutto”
Quinn annuisce, e si stende, la spalla contro quella di Santana.
Ma le basta quel contatto per addormentarsi con le labbra inarcate in un sorriso.
Non sente nemmeno Santana che si volta e le sfiora la fronte con un bacio.
“Buonanotte Quinn”

La mattina dopo, quando Mike apre la porta della camera della sua amica con la chiave di riserva, non si aspetta di trovarle a letto, entrambe. Il braccio di Quinn intorno alla vita di Santana, il viso completamente affondato nei capelli corvini.
La mano di Santana stretta intorno al polso di Quinn.
Mike sospira e poggia i caffè sulla scrivania, accostando la porta e chiudendola, cercando di fare meno rumore possibile.
“Ah, le donne”

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Capitolo 7
*** 6. Not yet. ***



6. Not yet.



E' un po' come tornare a respirare.
Toccare con la punta delle dita la superficie dell'acqua, dopo essere stato per secondi, minuti a trattenere il fiato.
Succede in un giorno qualunque. Non è una grande rivelazione, non è un momento particolare.
Succede che una mattina ti svegli e ti viene voglia di sorridere. E quel peso che ti schiaccia il cuore e ti stringe la gola è sparito.
E Santana non sa come spiegarselo. Non sa nemmeno se essere felice.
Sa solo che quella mattina si sveglia con le braccia di Quinn intorno alla vita, il respiro regolare che si schianta contro la sua pelle, ed è leggero e soffice, ma Santana lo sente perfettamente.
Poi abbassa gli occhi e incredula si ferma a guardare la sua mano stretta intorno al polso dell'altra. E se non lo pensasse impossibile, direbbe che è stato involontario. Che la mano ha preso vita senza che lei potesse controllarlo.
Ma mentirebbe, lo sa benissimo.
Ed è allora che le spunta il sorriso sul viso.
Non una risata. Non uno di quei sorrisi di circostanza, timidi e impacciati. Un sorriso vero. Uno di quelli che a vederli ti si ferma il cuore.
E allora affonda ancora di più la testa nel cuscino e si spinge contro Quinn, lentamente, misurando ogni mossa per paura di svegliarla. Ma quello sembra l'ultimo dei pensieri della bionda, che mormora qualcosa e la stringe più forte, il petto che si schiaccia contro la schiena di Santana che deve trattenersi per non fare le fusa.
E un po' si sente una stronza, perché sa perfettamente di non aver smesso di amare Brittany, anche se hanno risolto che per il bene di entrambe, dovrebbero andare avanti.
E un po' ha paura, di innamorarsi di Quinn e di dover rivivere tutto da capo.
E magari non ne vale la pena. Magari non è così che dovrebbe andare. Ma decide di fregarsene, anche solo per una mattina.
La mano di Santana scivola lentamente sul braccio di Quinn per poi intrecciarsi con le sue dita. Le accarezza, morbida e se le porta alle labbra, posandoci un bacio che è più simile a un soffio.
E qualcosa alle sue spalle mormora. E sente distintamente Quinn muoversi e stringersi di più a lei. E poi le sue labbra finiscono non si sa come sul collo di Santana e anche se non può vederla sa che sta sorridendo.
Scivolano lentamente, fino all'orecchio della latina.
E parla con una voce talmente roca e bassa che Santana non può trattenersi dallo spalancare la bocca, da cui, fortunatamente per lei, non viene fuori alcun suono.
“Buongiorno” soffia Quinn.
Santana si irrigidisce tra le sue braccia e conta fino a dieci per calmarsi e darle una risposta di senso compiuto.
Poi socchiude gli occhi, le loro mani intrecciate ancora a pochi centimetri dal suo viso.
“N-non volevo svegliarti” balbetta.
Il corpo alle sue spalle viene scosso da una breve risata e poi la bocca di Quinn si chiude su un lembo di pelle sotto l'orecchio di Santana.
“Se è così che intendi svegliarmi, potrei abituarmici”

Santana passeggia per il cortile, aguzzando la vista alla ricerca di un ciuffo ribelle di capelli biondi, o di un cappellino verde indossato da qualcuno che sta improvvisando qualche passo di danza. Sfortunatamente nessuno di quegli elementi rientra nel suo campo visivo, così, sconfitta, si ferma ad una panchina, svuotando il contenuto della sua borsa accanto a se, tentando di rimettere in ordine i suoi appunti.
Un colpo di tosse attira la sua attenzione, e quando rialza lo sguardo, un paio di occhi scuri la stanno fissando. Una ragazza che ha già visto tra i corridoi, probabilmente del suo stesso anno, è ferma davanti a lei.
Santana aggrotta le sopracciglia e con calma ripone i fogli, tornando a guardare quella figura minuta.
“Sei Santana, giusto?”
Santana annuisce, appuntandosi mentalmente che quella ragazza ha la voce più odiosa che abbia mai sentito, per non parlare del suo pessimo stile nell'abbinare i colori.
“Si, sono Santana e tu saresti..”
“Mandy, Mandy Wilcox, siamo nello stesso corso” sbotta quella, infastidita da quell'atteggiamento superiore.
Santana coglie la palla al balzo, puntando verso quel punto debole e schiocca la lingua.
“Va bene, Wilcox, cosa ti serve? Appunti, tabelle, fotocopie?”
Quella la guarda, un lampo di rabbia le passa negli occhi e Santana si sente profondamente soddisfatta di quella piccola vittoria.
“Niente di tutto ciò. Devi solo tenerti alla larga da Quinn. Non mi piace che le ronzi intorno”
La bocca di Santana si apre e si chiude, perplessa e sconcertata. Poi riacquista un minimo di contegno, scuotendo la testa, incredula e punta i suoi occhi in quelli dell'altra.
“Non ho idea di chi tu ti creda di essere, ma Quinn è una mia amica, quindi vedi di farti un giro”
E quella, nervosa, si avvicina al suo viso.
E poi parla, sibilando in una maniera che a Santana ricorda una vipera velenosa.
“Si da il caso che sia anche la mia ragazza, quindi vedi di lasciarla in pace, Lopez”
E si volta e se ne va.
E a Santana rimane un po' di amaro in bocca. Sente il sapore del sangue in bocca, toccando poi la parte destra interna della guancia con la lingua, accorgendosi di averla morsa un po' troppo forte.
Le mani si stringono in due pugni chiusi e si guarda intorno, respirando affannosamente.
“San..?”
Mike le arriva accanto, sedendosi con lei, la preoccupazione evidente nei suoi occhi.
“Non mi ha detto che era fidanzata” sbotta e Mike per un attimo non capisce, poi vede Mandy a pochi passi da loro e realizza ciò che Santana gli sta dicendo.
“Oh, ma non stanno insieme. E' che Quinn ogni tanto...”
“Quinn cosa? Se la scopa e basta?”
La sua voce si rompe sule ultime sillabe, Mike le passa un braccio attorno alle spalle e se la tira addosso.
“San, non ci pensare. Mandy non sa nulla” borbotta, le labbra che le sfiorano la tempia e la risata isterica di Santana.
“E cos'è che non sa, sentiamo?” tenta di sorridere.
Mike scuote la testa.
“Che Quinn è innamorata di te”

Le parole di Mike le rimbombano ancora nella testa quando viene investita da un ammasso di capelli biondi e due occhi verdi, pieni d'ansia la fissano, inermi.
“San, che ci fai qui?” la voce di Quinn più alta del solito, un respiro strozzato in gola.
Santana la guarda, perplessa, poi indica le librerie intorno e risponde.
“E' la biblioteca, sono venuta a studiare”
“Oh”
E' l'unica risposta della bionda, che respira a fatica.
“Ok, mi dici che diavolo ti prende o devo tirartelo fuori con la forza, Fabray?” brontola, incrociando le braccia sotto il seno e squadrando la figura di Quinn.
Quella si passa una mano tra i capelli, nervosa e Santana per un attimo sente la rabbia diminuire di colpo e ha solo voglia di abbracciarla, pur non sapendo cos'è che la turba così tanto.
“Ehi, Q..”
“Mi hanno chiamato i genitori di Beth. Hanno una riunione stasera e vogliono che vada da loro per tenere la piccola. Ma ho questo dannato esame da preparare e lei vorrà giocare e non so come fare. Dannazione” le parole le escono dalle labbra come un fiume in piena, colpendo Santana, che la guarda e sorride.
E sa già che se ne pentirà amaramente, che dovrebbe essere ancora arrabbiata con Quinn per quella storia di Mandy, che non dovrebbe lasciare che quegli occhi verdi la costringano a fare ciò che non vuole, ma le parole lasciano le sue labbra prima che possa ripensarci.
“Se vuoi ti do una mano io con la piccola”
Si morde la lingua e si maledice internamente quando il sorriso di Quinn diventa tre volte più grande del solito.
“Davvero?”
E la latina scuote la testa, sfinita.
“Davvero”
Quinn le schiocca un bacio sulla guancia, troppo vicino alle labbra per essere solo una coincidenza e Santana si inebria del suo profumo. Di quella fragranza che è solo di Quinn.
“Grazie”
“Si, come ti pare”
E Quinn ride.
“Allora perché sei arrabbiata con me?” chiede e Santana sobbalza un po' a quella domanda inaspettata. La guarda con gli occhi spalancati, e Quinn lo prende come un invito a spiegarsi meglio.
“Hai la faccia da < sono arrabbiata con Quinn >” aggiunge.
Santana arriccia le labbra e si massaggia le tempie.
“Sei egocentrica. Non ho una faccia appropriata a te, Fabray”
“In realtà si” ribatte l'altra, senza darle tempo di finire.
Santana sbuffa esasperata.
“Perché ho incontrato la tua cara Mandy” la ammonisce, la voce assottigliata dalla rabbia che è tornata a ribollirle nel sangue.
Quinn si morde le labbra e abbassa la testa.
“Non è come pensi..”
Ma prima che riesca a spiegarsi il suo telefono suona, e Santana alza le spalle.
“Ne parliamo dopo”

Beth è stesa per terra a pancia in giù. La lingua fuori e l'espressione concentrata mentre la sua piccola manina stringe il pastello e calca i bordi del suo disegno.
Santana si avvicina, piegandosi sulle ginocchia e osservando le sagome stilizzate sulla carta.
“Sai disegnare bene, piccolina”
E quella alza gli occhi e sorride. Lo stesso, identico, sorriso di Quinn, tanto che a Santana fa un po' paura.
“Grazie. E tu sei bella” risponde, tranquilla.
Quinn scoppia a ridere e le passa una mano tra i boccoli biondi, scompigliandoli un po' e beccandosi un'occhiataccia dalla loro proprietaria.
“Si, lo è davvero” e con quel sorriso beffardo alza lo sguardo per incrociare quello di Santana, immobile accanto a sua figlia.
Un lieve rossore che le colora le guance, nonostante il suo colorito ambrato fa sorridere Quinn, che prende le gambe di Beth e la tira sul tappeto, facendola ridere.
“Zia Quinn!” borbotta quella, ma la bionda non le da tregua, si stende con lei e le fa il solletico, per poi morderle teneramente una guancia.
“MA STAVO COLORANDO” ride Beth.
Santana le guarda, attenta.
Beth ha la stessa espressione buffa e fintamente infastidita che Quinn usa di solito, la bocca aperta e le sopracciglia aggrottate, tentando di nascondere la risata che le sta partendo dal profondo della gola.
Quinn ha lo sguardo completamente rapito dal viso di sua figlia. La guarda come se fosse la sua unica ragione di vita, e Santana si meraviglia un po' di quanto quella bionda che sembra imbattibile, sembri in quel momento così vulnerabile.
Come ogni madre, pensa.
Quando il campanello suona, impedendo ad entrambe di rompere la metà dell'arredamento del soggiorno, Beth si precipita ad aprire, con Quinn che le corre dietro.
Mike appare sulla porta, due cartoni enormi di pizza tra le mani e il suo sorriso più affascinante.
“Dov'è la mia piccola principessa?”
“MIKE” urla Beth, saltellando e allungando le braccia. L'asiatico passa la pizza ad un'arresa Quinn e tira su la piccola, schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.
“Zia Quinn si è comportata bene?” chiede, premuroso.
La bimba annuisce, poi si porta un ditino sulle labbra e scuote la testa.
“No, in realtà non mi ha fatto colorare”
“Quinn” la rimprovera Mike.
Quinn scrolla le spalle e li guarda mentre parlottano di qualcosa e si avviano verso la cucina. Poi guarda Santana, a qualche passo da lei, poggiata al muro con le braccia incrociate e non può fare a meno di pensare che sia perfetta e bellissima. Allora lascia le pizze sul tavolino basso del salotto e si avvicina, le mani che si artigliano lungo i fianchi dell'ispanica che non si muove dalla sua posizione.
“Sei ancora arrabbiata per quella storia?” chiede Quinn, le labbra che sfiorano la guancia di Santana.
“Perché dovrei? Non sei mica la mia ragazza”
Quinn inarca le labbra, strafottente.
“No?”
E Santana non le da il tempo di prendere fiato che schiaccia le sue labbra sulla bocca di Quinn, le unghie che le graffiano il collo bianco.
Ma quando Quinn tenta di approfondire il bacio quella si scosta, avvicina le labbra al suo orecchio e mordendole il lobo sussurra.
“No.”
E a Quinn non rimane che il muro grigio davanti a se, e il suono del battito accelerato del suo cuore che le rimbomba nelle orecchie.
E poi le sue labbra si muovono, non troppo forte ma abbastanza da farsi sentire da Santana.
“..non ancora”

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Capitolo 8
*** 7. One more kiss. ***




7. One more kiss.



Santana si schiaccia contro il materasso, allargando le braccia e gemendo appena.
Svegliarsi non è più così divertente, senza Quinn.
Si morde la lingua a quel pensiero, poi lentamente si trascina in bagno e controlla l'orologio. Le lezioni inizieranno da lì a mezz'ora e fortunatamente ha il tempo di un caffè.
Non piacerebbe alla gente, sapere com'è Santana Lopez senza la sua buona dose di caffeina mattutina.
Così passa una decina di minuti sotto la doccia, lavandosi via la sensazione di vuoto che le attanaglia lo stomaco.
La primavera è ormai alle porte, e Quinn è tornata in Inghilterra per una settimana. Un'intera settimana senza la sua voce, il suo sorriso, il suo profumo.
Santana rabbrividisce, nonostante l'acqua sia bollente sulla sua pelle e sospira, socchiudendo gli occhi e rifiutandosi di pensare oltre a quegli occhi verdi.
Si stringe nell'accappatoio, coccolandosi nella stoffa morbida, aprendo l'armadio e scegliendo l'abbigliamento del giorno.

A Quinn piacerebbe, questa maglia azzurra. O magari quella rossa, o -

Non riesce neanche a infilarsela, la maglia, che qualcuno bussa alla sua porta.
Decisamente violentemente.
Guarda sbalordita il legno, un po' intimorita, in realtà, da quella forza.
Si avvia a piccoli passi, mentre il pensiero irrazionale di rivedere Quinn al di fuori di quella stanza le invade tutti i sensi.
Ma la sorpresa arriva lo stesso, anche se non ha i capelli biondi e il sorriso che fa girare la testa.
“PUCK”
Santana gli salta letteralmente addosso, mentre quello sghignazza divertito alla reazione della sua migliore amica.
Mai, avrebbe creduto possibile che Santana Lopez, la stronza per eccellenza della loro scuola superiore, si sarebbe prodigata in una manifestazione d'affetto del genere.
Nei suoi confronti, poi.
Ma Santana è così cambiata che Puck quasi stenta a riconoscerla, anche se, sotto sotto, vede ancora quella ragazzina spaventata che deve offendere tutti per non sentirsi inferiore a nessuno.
Se solo lei riuscisse a vedersi ora, pensa, mentre la stringe dolcemente e le bacia una guancia, ridendo alla sensazione di fastidio che le provoca con la barba.
“Che diavolo ci fai qui?” chiede, la voce stridula.
Puck alza le spalle e le lascia andare subito dopo, con quel suo fare strafottente che dopo tanti anni, ancora crede sexy.
Santana fa impattare le sua mano contro la nuca del ragazzo che si lamenta un po', prima di abbassarsi e sollevarla all'altezza della vita, lamentandosi che “sei sempre così violenta e poco carina con me”.
Santana gli batte i pugni sulla schiena, ululando quando quello gli infila i denti nella carne dei fianchi.
“PUCK”
La rimette giù dopo qualche secondo, lasciandosi cadere a peso morto sul letto ancora caldo e disfatto.
“Sei diventata pesante, Lopez”
E quella, offesa, ricomincia la lotta.
Finiscono uno sopra l'altro, gli occhi lucidi per le troppe risate e il fiatone. Si guardano per un minuto, e poi Santana gli sfiora la guancia con le labbra.
“Mi sei mancato, Puckerman”
“Tu di più, Lopez”

Santana lo conosce da sempre, probabilmente da più tempo di quanto possa o voglia ammettere.
Lo ricorda come se fosse ieri, il loro primo incontro. Lui e la sua banda di amichetti, lui da sempre il capogruppo.
A dodici anni, un giorno, le si è avvicinato, ridendo come un babbeo e muovendo in maniera convulsa le sopracciglia in un modo che, Santana ci ha messo un po' per capirlo, voleva sembrare sexy.
“Vuoi uscire con me?” le aveva chiesto e Santana era scoppiata a ridergli in faccia.
Non sapeva ancora di essere gay, ma sicuramente quel ragazzino, con quei capelli tagliati in quell'acconciatura ridicola, non avrebbe mai fatto breccia nel suo cuore.
Invece, una sera, quasi un anno dopo, l'aveva salvata da un ragazzo che ci stava provando con lei. O meglio, stava provando a farla ubriacare per poi provarci con lei.
Puck le aveva stretto le braccia intorno alle spalle e l'aveva trascinata fuori, e quando lei gli aveva chiesto perché, lui aveva risposto semplicemente e sorridendo.
“Non si lascia nei casini la tua prima cotta, anche se ti ha spezzato il cuore”
E si era innamorata di lui.
Certo non nella maniera ordinaria in cui tutti si aspettano. Non che Puck non fosse un bel ragazzo o non ci sapesse fare, a letto. Anzi, Santana pensava continuamente che, fosse stata etero, sarebbero finiti insieme, sposati e con tanti piccoli bambini ispanici con la cresta scorrazzando per la casa.
Ma no, non era quel tipo di amore.
Lo amava per tanti motivi; perché quando si trattava di Santana e dei mille casini in cui si cacciava, era sempre pronto a prendersi la colpa, lasciandola pulita agli occhi di tutti.
Perché quando con Brittany erano scappate in palestra, per rimanere un po' da sole, lui le aveva procurato le chiavi.
E soprattutto perché, quel giorno, quando lei gli si era avvicinata e gli aveva confessato “sono gay” Puck aveva alzato le spalle e aveva sorriso, stringendole una mano in una maniera tanto goffa quanto carina e le aveva detto.
“Fino a che non ci provi con le mie ragazze, va tutto bene”
“Sempre il solito coglione” gli aveva risposto, con le lacrime agli occhi e il cuore leggero.
L'aveva affrontato con lei, quel periodo buio in cui sua nonna non aveva accettato la sua omosessualità. Gli era rimasto accanto, stoicamente e aveva combattuto le sue guerre.
Si era preso gli insulti destinati a lei, e quando qualcuno si permetteva di farlo direttamente con Santana, Puck finiva in infermeria, con un occhio nero e un po ' di sangue sul labbro.
Lei andava a prenderlo, e gli ripeteva ogni volta che non ne valeva la pena, anche se la voce le tremava e gli occhi le si gonfiavano di lacrime.
Allora Puck la stringeva forte al petto, concedendosi per un attimo di non essere il ragazzo bullo della scuola e le sussurrava piano che tutto sarebbe andato bene.
E Santana ci aveva creduto.
Si era attaccata talmente tanto a quelle parole, con le unghie e con i denti che, alla fine, tutto era davvero andato bene.
E non avrebbe mai smesso di ringraziarlo, per questo.

“Allora? Dov'è questa fantasmagorica donna di cui non mi hai più parlato da Natale?”
Puck gira per i corridoi, gli occhiali da sole poggiati sul naso, impedendo al resto del mondo di guardarlo negli occhi.
O, come preferisce lui, permettendogli di guardare gli altri “occhi” delle ragazze.
Santana sbuffa, con un mezzo sorriso sulle labbra che Puck percepisce anche senza guardarla.
“E' in Inghilterra, da sua sorella” mugugna, e il ricordo di quella lontananza, che si era assopito dopo l'arrivo di Puck, torna ad attanagliarle lo stomaco.
Il ragazzo annuisce mordendosi le labbra, poi, con il suo solito fare grottesco, esclama.
“Porca puttana, per una volta che vengo a trovarti lei parte, perde già punti”
Santana spalanca la bocca, ma è fin troppo arresa a quel modo di fare per mettersi a discutere con lui.
“Puck, non sapevamo saresti arrivato, non prendertela” risponde, sorseggiando il suo cappuccino.
“Oh, sentila. Non sapeva-
mo, parla al plurale”
Santana rotea gli occhi, fingendo di non averlo sentito e lasciandosi scaldare dalla bevanda che le scende in gola, quando qualcuno le passa un braccio intorno alle spalle e si sente trascinare.
“Santana, che fine hai fatto? Stamattina avevamo un appuntamento o sbaglio?” Mike, la guarda, fintamente stizzito da quel appuntamento mancato, per poi rubarle un sorso di cappuccino.
Puck tira su gli occhiali e inarca un sopracciglio quando vede Santana abbracciare il ragazzo e prodigarsi in scuse per quell'incidente.
L'asiatico alza le spalle e si accorge solo dopo che non sono da soli. Guarda Santana con un'espressione curiosa, e la ragazza agita la mano libera e deglutisce troppo velocemente per passare inosservata.
“No, no. Mike, non è quello che pensi. Lui è Puck, il mio migliore amico, ve ne ho parlato tante volte” si difende, pizzicando la punta del naso dell'altro ragazzo.
Mike allunga una mano sorridendo, sfregandosi il punto colpito dalla latina.
“Sono Mike, piacere di conoscerti. Ho sentito tante cose su di te, amico. Sei praticamente una star” ghigna.
Puck tira il petto in fuori e inarca le labbra in una smorfia, stringendo la mano nella sua.
“E non hai ancora sentito nulla, fratello”
E poi, quasi come se si conoscessero da una vita iniziano a parlare incessantemente. Football, donne, locali, musica. E Santana scopre piacevolmente che anche Puck è cresciuto.
Che ora riesce a conversare con la gente senza tirargli pugni sul naso, quando non hanno le stesse idee.
E si sente fiera di lui.
“Ehi, smettila di pensare alla tua donna, Mike, il mio nuovo migliore amico, stasera ci ha invitati in un locale. E a quanto pare ci saranno un sacco di donne”
Santana scatta via dai suoi pensieri alla voce di Puck, e nota l'impercettibile sorriso di Mike quando l'altro sottolinea “la tua donna”.
Alza il dito medio verso Puck, tornando ad avere quindici anni per un attimo, e ride.
“Sei un deficiente, e comunque, non c'è altro di meglio da fare da queste parti, quindi va bene”
“Ehi, non dare del deficiente al mio amico”
Puck alza il braccio e Mike capisce al volo, sbattendo la sua mano sul palmo aperto dell'altro.
Santana si passa una mano sul viso e cammina, esausta.
“Due contro uno non vale” borbotta.

“Questo locale è una figata” urla Puck, e il gruppo di ragazze intorno a lui annuisce, gli occhi fissi sulle sue braccia muscolose.
Mike gli è accanto, un po' imbarazzato da tutte quelle donne che gli stanno attaccate. Santana è lì, seduta un po' distante che si gode la scena e cerca di non ridere alle buffe espressioni di Mike quando Puck tira fuori il suo repertorio di frasi per far colpo sulle donne.
Poi si alza e decisa si dirige verso il bar, mentre Puck gli urla di stare attenta alla barista che, a detta sua,
“vorrebbe mangiare te, invece del panino che si ritrova in mano”.
Santana si avvicina passandosi una mano tra i capelli, ordinando due cocktail, perché sa già che Puck ne berrà metà del suo.
La barista le sorride, un po' troppo in realtà, e si china verso di lei dandole una completa visuale del suo seno.
Santana deglutisce, lentamente e ringrazia, tirando fuori due banconote da cinque dollari, ma quella la ferma e ammicca.
“Offre la casa, tesoro” soffia.
Ma una mano sbatte sul bancone prima che una delle due possa parlare oltre.
Santana si gira e rimane immobile. Gli occhi di Quinn sono completamente scuri e le sta talmente vicino che il suo respiro impatta contro l'orecchio della latina.
“Tranquilla,
tesoro, offro io. Non vorrei che tu perdessi il lavoro, offrendo in giro i tuoi servizi” mormora, gelida.
Santana rabbrividisce e sorride un po', accorgendosi di quanto sia gelosa la bionda.
“Che ci fai qui?” chiede, dopo che la barista, indignata, prende i soldi senza neanche preoccuparsi di darle il resto.
Quinn non le da il tempo di parlare. Le cattura il viso tra le mani e la bacia.
La lingua che accarezza il labbro inferiore di Santana che geme appena, lasciandole libero accesso.
Rimangono così, strette, le mani di Quinn intorno al viso di Santana, mentre quelle della latina sono strette ai fianchi della bionda.
Fino a che un colpo di tosse non le separa.
Puck è in piedi davanti a loro. Santana nasconde il viso nell'incavo del collo di Quinn, che sorride, mordendosi le labbra gonfie e umide.
“Ciao..” mormora, un po' confusa.
Puck allunga una mano e ammicca.
“Devi essere Quinn, sono Puck”
Quinn ride, un braccio intorno alla vita di Santana e l'altro teso verso Puck.
“Si, lo so chi sei. Santana ci ha raccontato un po' di cose sul tuo conto” e Puck grugnisce, verso la sua amica, ancora nascosta nell'abbraccio.
“Mi aveva detto che eri a Londra”
Santana si scosta un po', guardando la bionda, curiosa quanto Puck della risposta.
“Sono tornata pomeriggio, evidentemente Mike ha dimenticato di avvisarti” esclama, facendo spallucce.
Santana schiocca la lingua.
“Certo, dimenticato” la prende in giro, per poi guardare Puck con un sopracciglio inarcato.
“Puck? Non dovresti tornare al tuo tavolo?” sibila, invitandolo a lasciarle sole, non molto sottilmente.
“Scusa, stavo solo guardando la tua nuova ragazza. Bel colpo, Lopez”
E Santana gli salterebbe alla gola, se le mani di Quinn attorno alla sua vita non fossero così calde e morbide.
“Non è la mia ragazza” risponde la bionda, facendo il verso alle parole dell'altra di qualche giorno prima.
Il viso di Santana scatta di lato e i suoi occhi affondano in quelli verdi dell'altra. La sua mano trova spazio nei suoi corti capelli biondi, tirandola verso il basso e mordendole il labbro inferiore, prima di baciarla nuovamente.
Quando si staccano per la seconda volta, Puck non c'è più.
“Non prendermi in giro Fabray”
“Sta zitta e
baciami, Lopez”

***
Perdonate il ritardo ;__; sono una pessima persona e me ne rendo conto.
Ma è stata una settimana incasinata e non riuscivo a scrivere. Poi oggi, suddenly, è venuto fuori ciò. Che non è il massimo, ma che ci volete fare, quando l'ispirazione non c'è.
Grazie a tutti per i commenti, per la lettura e per tutto. Davvero!

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Capitolo 9
*** 8. Jealousy suits you well. ***


8. Jealousy suits you well.


Come ci era finita, in quella situazione, Santana non riusciva a spiegarselo.
Ricordava solo che, la sera prima era andata in un locale con Mike e Puck e la barista ci aveva pesantemente provato con lei.
E poi le mani di Quinn.
Le mani di Quinn ovunque sul suo corpo.

E aveva creduto di morire davvero, stavolta.
Perché la bionda si era staccata da lei, aveva girato i tacchi e l'aveva lasciata sul letto, insoddisfatta e con gli occhi spalancati.
Non aveva neanche avuto il coraggio di alzarsi e aveva concluso la sua serata con Puck ubriaco che le raccontava di come aveva rimorchiato due ragazze nel locale e alla fine aveva avuto la sua “dannatissima roba a tre”.
E poi Quinn aveva bussato alla sua porta, quella mattina. Lei si era alzata, sbadigliando sonoramente e stiracchiandosi, in una maniera che pensava fosse del tutto innocente.
Ma Quinn non le aveva dato il tempo di salutarla. Le aveva chiuso la bocca con la sua, si era richiusa la porta alle spalle e l'aveva appuntata all'armadio, graffiandole il collo con le unghie.
«Quinn»
Santana la stava pregando, anche se probabilmente non l'avrebbe ammesso nemmeno in punto di morte. L'unica persona nella sua vita che le aveva fatto quell'effetto, era lontana chilometri e chissà cosa stava facendo in quel momento.
Ma il tempo per pensarci non ce l'aveva, dato che la bionda aveva preso a mordicchiarle il collo, mormorando d'apprezzamento ogni volta che Santana le stringe più forte i capelli tra le dita.
Non ce la fa più. Sarebbe esplosa se Quinn non l'avesse presa e, no Santana, non puoi dirglielo.
Si stringe più forte, il petto che si schiaccia contro quello dell'altra, e abbassa il viso quel tanto che basta a sfiorarle l'orecchio con le labbra.
Quinn rabbrividisce, Santana può sentirlo nitidamente e un po' sorride e un po' no, perché lo stomaco si stringe e quel calore nella pancia non è più solo voglia.
O forse non lo è mai stata, pensa.
Le dita sulla sua coscia si fanno più insistenti, premono più forte e le labbra sulle sue si muovono frenetiche, i denti che le stringono il labbro inferiore, e poi Quinn fa quella cosa con la lingua e Santana non riesce a trattenersi.
«Quinn!»
E' un gemito strozzato, e il volto compiaciuto della più alta sarebbe da prendere a schiaffi se Santana non avesse altro per la mente.
Si sente sollevare completamente e poi il materasso morbido è sotto la sua schiena, premuto sotto il corpo caldo di Quinn.
La mano che supera l'elastico dei pantaloni, i denti che mordono sulla clavicola e le dita che le sfiorano il seno. Santana chiude gli occhi, premendo la testa nel materasso e inarcandosi un po', fino a sfiorare il corpo di Quinn completamente.
Mugugna, affondando il viso nella spalla lattea dell'altra, respirando a pieni polmoni il profumo della sua pelle. Le morde il collo, tocchi leggeri e morbidi, risalendo fino alla mascella e poi la bacia e...
E no, non è decisamente solo voglia.

Il professor Devon Kepner ha quarantaquattro anni, e da dodici insegna nell'Università di Lousiville.
Nella sua brillante carriera può vantare collaborazioni con famosi scrittori contemporanei, e un paio di libri niente male, frutto del suo amore per la letteratura.
Ma nella scuola è riconosciuto per un altro motivo.
Il professor Devon Kepner è quello che tutti chiamerebbero “bello e impossibile”.
Fisico atletico, barba incolta, mani grandi e due occhi blu che farebbero girare la testa a qualunque essere umano. Uomo o donna.
Quinn frequenta le sue lezioni da due anni ormai e la sua cotta per quell'uomo è palese a tutta la scuola.
Ogni volta che entra nella sua aula, Quinn perde la cognizione del tempo e dello spazio.
Ma bisogna ammettere che l'amore della ragazza per la letteratura è cresciuto grazie a lui. E no, non perché sia un adone, ma perché semplicemente ama così tanto insegnare ai ragazzi, che sarebbe impossibile per chiunque non seguirlo durante le sue lezioni.
Qualche mese prima Quinn gli aveva consegnato una bozza di una storia che aveva scritto. Parlava d'amore, di passione e di sentimenti non corrisposti e il professore, fiero della sua capacità le aveva promesso che, non appena gli impegni lavorativi gli avessero lasciato un po' di pace, avrebbe sicuramente letto quel piccolo capolavoro.
Quinn era arrossita per quel complimento ed era scappata via come una tredicenne in preda agli ormoni.
E ora, mesi dopo, il professor Kepner si avvia a passo svelto verso la camera di Santana Lopez, dove è stato indirizzato dal migliore amico della Fabray, il signor Chang.
«Provi a cercarla lì» gli aveva suggerito, dopo che l'aveva visto aspettare una manciata di minuti fuori dalla camera della bionda.
Quella ragazza aveva talento, e il professore l'avrebbe aiutata a sfondare, anche se avesse dovuto cercarla in capo al mondo.
Certo, se Quinn avesse saputo che dietro la porta ci sarebbe stata la strada per il suo futuro, non avrebbe insultato chiunque avesse bussato, impedendogli di concludere quello che aveva iniziato con Santana.
Si guardano un attimo prima di crollare sconsolate e afflitte sul materasso.

Santana si riveste in fretta e furia, senza accorgersi di essersi infilata la maglia di Quinn e corre ad aprire la porta.
L'uomo che si ritrova davanti, il famigerato professor Kepner, mantiene tutte le aspettative che le voci di corridoio nella scuola hanno costruito nei suoi pensieri.
E no, per quanto non le interessino gli uomini, deve ammettere che quello è un gran bel bocconcino.
«Salve, sono il professor Kepner. Cercavo la signorina Fabray, mi hanno detto che avrei potuto trovarla qui»
Sente Quinn squittire alle sue spalle e non sa se riderne o esserne gelosa.
Annuisce e accosta un momento la porta, per poi voltarsi e mormorare con un sopracciglio alzato.
«C'è il tuo cavaliere alla porta»
Quinn si passa una mano tra i capelli, si infila una felpa di Santana e si affaccia sulla porta, con un sorriso che Santana avrebbe paragonato ad una paralisi.
«Professore! Che ci fa lei qui?»
«Noi due, Fabray, abbiamo bisogno di fare due chiacchiere.»

Brittany scende dal treno, tastandosi le tasche della giacca per assicurarsi di avere tutto il necessario per quel piccolo viaggio. Estrae una piccola mappa disegnata.
Sam gliel'ha fatta la sera prima, per essere certo che la ragazza riesca a trovare l'Università di Lousiville.
Segue la linea rossa che dovrebbe condurla senza troppi problemi da Santana, e si guarda intorno. Non è come a Lima, dove tutto è tranquillo e la gente cammina per strada senza troppi pensieri. E' un posto piccolo, certo non è New York, ma è diverso.
E a Brittany piace.
Cammina lentamente, osservando con attenzione le facce diverse della gente che abita quel posto, che corre a lavoro, che torna a casa, che va in giro a fare compere.
Si gode i palazzi, i parchi, le strade larghe e lunghe.
E poi, dopo un bel po' di cammino, si ritrova davanti a questa mastodontica costruzione. Una scalinata dove un gruppo di ragazzi si diverte a chiacchierare, una coppia di innamorati si scambia effusioni e due ragazze stanno parlottando a bassa voce.
Quando la vede, Santana sta parlando con un ragazzo asiatico e sembra arrabbiata.
Ha la fronte aggrottata e gesticola più del dovuto. Brittany lo capisce subito, che qualcosa non va. E vorrebbe correre e stringere le braccia attorno alla vita dell'altra e dirle che qualunque cosa sia, si risolverà e tutto tornerà come prima.
Ma sa che non è così.
L'ha imparato mesi prima, quando Santana le ha detto che non potevano andare avanti in quel modo. E se anche una parte di sé stessa l'ha accettato, l'altra, quella ancora perdutamente innamorata della sua migliore amica, fa fatica a passare oltre.
Si avvicina piano, senza fare rumore, dotata di quella grazia da ballerina che la contraddistingue da sempre.
Scivola accanto a Santana e le copre gli occhi con le mani, scuotendo la testa verso il ragazzo che rimane per un attimo perplesso.
«Che diavolo?! Toglimi le mani di dosso bru-»
Poi le dita sfiorano quelle che le coprono la faccia e non può fare altro che sorridere.
Si volta lentamente e affonda la faccia nel collo della più alta, stringendo le dita attorno alla giacca.
«E tu che cavolo ci fai qui?»
Ma non le interessa davvero saperlo.
Brittany è lì.
Il resto non conta.
«Perché sei arrabbiata, Sannie?»
Brittany glielo mormora lentamente, accarezzandole i capelli e sfiorandole la fronte con le labbra, prima di accorgersi dello sguardo confuso del ragazzo davanti a loro. E' carino, molto in realtà, e ha un fisico niente male.
Chissà se fa il ballerino.
Santana si scosta, prima di baciarle una guancia e intrecciare le dita con le sue. Poi guarda Mike e sorride, indicando la ragazza al suo fianco.
«Mike, lei è Brittany, Brit-Brit, lui è Mike»
L'asiatico solleva entrambe le sopracciglia, sa già che tutto ciò non porterà niente di buono. Ricordando la reazione di Quinn per un innocuo flirt della barista con Santana, chissà cosa diavolo potrebbe combinare ora che la sua famosa ex-ragazza è in città, e Santana sembra ancora perdutamente innamorata di lei.
Ma quella biondina sembra così innocente e tranquilla e, no, Quinn non può davvero farle del male, con due occhioni così.
Mike le stringe la mano sorridendo, e l'inchino che l'altra fa per scherzo lo porta immediatamente a pensare che abbia le movenze di una ballerina.
Strofina le mani sui jeans e indica l'entrata alle sue spalle.
«Mi dispiace lasciarvi così ragazze, ma devo andare a lezione, piacere di averti conosciuto, Brittany.»
La bionda sorride, mentre le guance si tingono di porpora.
Santana ridacchia e le sfiora la pancia con il gomito.
«Non ci provare Pierce»
E l'altra scuote le spalle e tira fuori il più innocente dei sorrisi.
«A fare cosa?»

Quinn non poteva ancora crederci.
Il professore Kepner l'aveva invitata a cena.
L'aveva invitata a cena per parlare del suo racconto.
L'aveva invitata a cena per parlare del suo racconto che lui aveva letto e che aveva trovato “genuinamente brillante”.
Non sentiva neanche più le voci nei corridoi, né i saluti che gli altri le rivolgevano. Stava correndo verso la camera di Santana. Doveva dirglielo.
Doveva dirle del suo successo e doveva baciarla come se nulla al mondo avesse più avuto senso.
E poi avrebbero fatto l'amore.
Perché Quinn lo sapeva dall'inizio che tra loro non sarebbe stato mai solo sesso.
Svolta l'ultimo angolo e si blocca. E la bocca si apre un po', e il cuore sembra che abbia smesso di battere e il sangue di scorrerle nelle vene.
Sente freddo.
Sulla porta di Santana c'è una bionda, una bionda alta e dal fisico perfetto e dagli occhi che da lontano sembrano blu.
E Santana è stretta a lei, e le sta mugugnando qualcosa nelle orecchie e quella sembra gradire, perché sorride e le bacia una guancia, e

e che cazzo.

Vorrebbe girare su sé stessa e scappare via, ma sembra che i muscoli si siano congelati, lasciandola lì, in fondo al corridoio, costretta a guardare quella scena.
E poi Santana si gira e la vede, e in un primo momento sembra rigida, ma poi sorride e Quinn non ha mai avuto tanta voglia di schiaffeggiarla.
«Ehi, Q.»
Quinn abbozza un sorriso e agita la mano.
Sei deficiente? Sembri una bambina di terza elementare.
Si avvicina a passo lento, contando mentalmente quanto tempo le ci vorrebbe a scappare via. E vorrebbe piangere, ma invece stringe i pugni e a muso duro si ferma davanti a loro.
La mano della bionda è ancora artigliata intorno al fianco di Santana e Quinn deglutisce a vuoto per impedirsi di urlare.
«Allora, com'è andata con il belloccio?»
Quinn annuisce, seria.
«Bene, grazie.»
Glaciale.
Se a Santana avessero chiesto di descriverla in quel momento usando una sola parola, sarebbe stata glaciale.
Neanche con quella barista la sera prima era stata così ferma e decisa. E ora si sta rivolgendo a lei.
«Scusate, ma ora devo andare.»
Si volta, passandosi una mano sul viso, le guance arrossate e gli occhi già lucidi. Respira a fondo, e svolta l'angolo, ma prima di poter anche minimamente pensare di correre via, lontano da tutto quello la mano di Santana è intorno al suo polso.
Si volta e un paio di labbra si schiantano sulle sue.
«Quinn.»
Un morso sulle labbra.

Due, tre.
«Non sei mai stata così bella.»


Angolo degli alcolisti anonimi.
Si, lo so /o\ sono SETTIMANE che non aggiorno e mi pento e mi dolgo molto per questo.
Ma il Natale e il Capodanno e il pandoro e il limoncello. /o\
Perdonatemi.
Spero di riuscire a prendere il ritmo e spero di non aver scritto una minchiata, ecco.

In linea di massima spero di non beccare pomodori.
Fine dell'apologia.
Grazie per l'attenzione. * chiude tendine *





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Capitolo 10
*** 9. Just us. ***


9. Just us




Santana aveva cercato di fermarla.
Se l'era tirata addosso e l'aveva baciata come se niente al mondo fosse più importante. Ed era vero e reale, e sperava di far capire a Quinn quanto ci tenesse perché, lo sapevano entrambe, Santana non era mai stata brava con le parole.
Ma Quinn si era staccata da lei, fredda e brutale ed era corsa in camera sua.
Si era lasciata scivolare contro il legno della porta e aveva pianto.
Aveva pianto per due motivi.
Perché aveva capito di essere irrimediabilmente innamorata di Santana, con tutta la voglia e la passione che le scorreva nelle vene.
E aveva capito che Santana non l'avrebbe mai amata con la stessa forza.
Era chiaro che non poteva aspettarsi da Santana un amore come quello dei libri o dei film che aveva visto e rivisto. Quelli che ti schiantano sul divano, con le lacrime che ti colano sulle guance e il cuore a pezzi, ma felice.
No, in quella storia l'unica che ci avrebbe rimesso sarebbe stata lei.
E non voleva più farlo.
Si era lanciata sotto la doccia, il getto dell'acqua calda a portarsi via le lacrime e la tensione accumulata sulle sue spalle.
Non doveva pensarci.
Non
voleva pensarci.
Perché se ci avesse pensato, anche solo un minuto, anche solo un secondo, non avrebbe resistito e sarebbe corsa in camera di Santana a chiederle scusa.
Scusa di cosa, poi.
Ma l'avrebbe fatto e l'avrebbe baciata e un giorno, Santana si sarebbe accorta di essere ancora innamorata di Brittany, e Quinn sarebbe rimasta lì a guardarle andare via insieme, lasciando dietro di loro la scia del suo cuore distrutto.
E Quinn aveva già subito troppo.
Era già stata abbandonata, triste e incinta. Qualcuno le aveva rubato quell'attimo e non si era neanche preoccupato delle conseguenze. Aveva tirato avanti e se l'era cavata da sola.
Non aveva bisogno di nessuno, poteva benissimo farcela con le sue sole forze. E se Santana voleva Brittany, bè, poteva tenersela. A Quinn non interessava.
Si fece forza e annuì convinta di quel ragionamento. Ma il petto le faceva male, e lo stomaco si era chiuso in una morsa che le stava facendo girare la testa.
Doveva smettere di pensarci.
Si era vestita con calma, riflettendo su quale dei suoi abiti avrebbe più impressionato il professor Kepner. No, non voleva andarci a letto. Ma voleva fare bella figura. Voleva dargli l'idea di essere una donna e non una semplice ragazzina, e voleva che lui capisse quanto lei fosse disposta e ostinata per la sua futura carriera.
Aveva scelto un vestito scuro, con un soprabito e un paio di scarpe col tacco e si era sentita infinitamente soddisfatta del risultato.
Aveva preso il cellulare, ignorando le chiamate che aveva ricevuto da Santana e Mike, e aveva digitato in fretta e furia un veloce messaggio, prima di avere la possibilità di ripensarci.
Stasera vedo il professor Kepner, ci vediamo appena torno”
L'aveva inviato e aveva sospirato.
Era fatta.
Quel messaggio ha un solo destinatario.
Mandy Wilcox.

Il professor Kepner cammina avanti e indietro alla fine della scalinata, davanti alla quale sta aspettando Quinn Fabray.
Ha un cappotto lungo, nero e un paio di pantaloni scuri. Una sigaretta tra le labbra e i capelli scompigliati dal vento.
Controlla ripetutamente il cellulare che ha in tasca, e no, non perché sia impaziente di vedere Quinn. Certo quella ragazza gli piace. Ha un ottimo temperamento e un modo di scrivere che potrebbero portarla lontano, e lui l'avrebbe di certo aiutata ad inserirsi in quel mondo.
Ma il telefono rimane fermo e silenzioso e per un po' sospira di sollievo.
Quando Quinn arriva e lo vede, alla fine della scalinata, si sente un po' come Cenerentola davanti al principe azzurro. Spera di non perdere la scarpetta, e soprattutto di non capitolare giù, maledicendosi per la scelta di quei tacchi sui quali non si è ancora abituata a camminare.
Devon la nota e le sorride, risalendo qualche scalino e aiutandola a mantenere l'equilibrio.
«Allora, signorina Fabray, è pronta per la nostra cena?»
Quinn sorride e annuisce, un filo di rossore a dipingerle le guance. E a Devon sembra per un attimo una bambina al suo primo appuntamento, ma poi quella si schiarisce la voce e lo guarda e i suoi occhi sono quelli di una donna decisa.
Si ferma per un attimo a fissarla, ed è bellissima.
«Certo professor Kepner. Ma non mi ha ancora detto dove andiamo!»
Esclama e Devon ride.
«Per favore, dammi del tu. E chiamami Devon»
L'altra annuisce e si morde le labbra, tentando di scusarsi, e Devon capisce benissimo l'imbarazzo che deve provare in quel momento, quindi sorride, con quel sorriso che molti gli hanno invidiato e le passa una mano sulla schiena.
«Allora lei- cioè tu, devi chiamarmi Quinn»
«Affare fatto.»
Ridono entrambi, e Devon si incammina verso un ristorante poco lontano dove ha prenotato. Vuole parlare con Quinn di quelli che sono i suoi sogni e le sue aspirazioni e soprattutto vuole vedere fin dove è disposta a buttarsi per la riuscita della sua carriera.
Però il cellulare gli squilla nella tasca e comincia a sentire le mani sudate.
«Scusa, deve essere il mio ragazzo. Nostro figlio ha la febbre.»
Vede la bocca di Quinn spalancarsi e gli occhi quasi uscirle dalle orbite.
Abbozza una risata.

Ma perché fanno tutti così.
Quinn non può credere alle sue orecchie. Vorrebbe passarsi una mano sugli occhi e darsi uno schiaffo sulla fronte per essere sicura di non esserci caduta, su quelle scale, ed essere finita all'ospedale con un trauma cranico.
Ma Devon è lì che parla, preoccupato e assorto nella telefonata e

no, Quinn, non stai sognando.
E' gay. E' completamente ed irrimediabilmente gay. E ha un figlio.
No, non posso crederci. Devo dirlo a San-
Si morde la lingua, sbuffando per quel pensiero che le è arrivato alla testa del tutto naturale.
Quando finisce di parlare, Quinn ha ancora l'espressione da pesce palla e lui, più tranquillo e rilassato la guarda, un sopracciglio inarcato.

«T-tuo figlio sta bene? Come va la febbre?»
Chiede Quinn, balbettando un po'.
Devon annuisce e le pizzica il ponte del naso con un dito.
«Prima regola di questa vita, Fabray. Combatti per la persona che ami.»

Santana si muove in maniera impercettibile, tentando di non svegliare Brittany alle sue spalle e cerca nel buio il suo telefono.
Sa benissimo che Quinn non l'ha richiamata, ma una parte di lei, quella parte ingenua e sognatrice, vorrebbe tanto che l'avesse fatto.
Non credeva che se la sarebbe presa tanto. In fondo lei e Brittany sono solo amiche, ora. Certo c'è stato un tempo in cui era perdutamente innamorata della sua migliore amica e stavano insieme e-
e forse la ami ancora e Quinn se n'è accorta.
Santana scuote la testa.
No, non può essere.
Certo vuole bene a Brittany. Ma l'ha capito qualche ora prima, quando ha visto gli occhi di Quinn pieni di rabbia e rancore, che la sua vita è cambiata.
E che è innamorata di Quinn.
E, dannazione, ha mandato tutto a puttane di nuovo.
Non che stesse facendo chissà cosa. Brittany le stava sussurrando che le sarebbe piaciuto moltissimo fare un passo a due con Mike e Santana era rimasta perplessa e non aveva capito se il passo a due fosse letteralmente quello che intendeva o una metafore per dire altro.
Brittany era scoppiata a ridere e l'aveva baciata tra i capelli, in quel modo un po' intimo e un po' loro.
Non si era accorta di Quinn fino a quando l'altra bionda le aveva detto che qualcuno le stava osserva e il cuore le era schizzato in gola, per paura che avesse frainteso tutto, come poi era successo.
Ma aveva paura a dirle quello che provava.
Brittany era stata l'unica persona con cui Santana aveva potuto essere sé stessa e ancora faceva fatica ad esporsi con altre persone. Così l'aveva baciata.
Ma forse non era stata una buona idea, perché Quinn aveva ricambiato all'inizio, con una violenza che per Santana era stato un pugno nella pancia.
Ma poi l'aveva mollata lì, in mezzo al corridoio, lasciandole i brividi per il fuoco nello sguardo che le aveva lanciato prima di fare dietro-front e scappare in camera sua.
Cerca a tentoni l'interruttore della piccola lampada sulla scrivania, ma qualcosa si muove e le braccia di Brittany si stringono al suo corpo.
«Non volevo svegliarti» mugugna.
Brittany arriccia il naso e le bacia una spalla.
«Non stavo dormendo. Non posso dormire sapendo che non lo stai facendo anche tu.»
Santana sorride istintivamente.
Si lascia cadere tra le braccia di Brittany e affonda il viso sul suo petto, sospirando.
«Come faccio a spiegarle, Brit?»
Le mani della bionda tra i suoi capelli sono sempre un toccasana, le unghie che graffiano dolcemente la nuca facendola sospirare tranquilla.
«Devi solo dirglielo, San.»
«Dirle cosa?»
Brittany sorride e le bacia la fronte.
«Che sei innamorata di lei.»

Durante la cena, Quinn ha imparato molte cose sul conto del suo professore.
Che ha un fidanzato di nome Mark, che ha due anni più di lui, che sono fidanzati da dieci, e che da tre hanno un bambino di nome Stefan.
Che per avere la madre surrogato hanno dovuto spendere una fortuna, e che i suoi genitori non hanno mai accettato la sua condizione e non hanno mai voluto vedere il loro nipote.
Ha imparato che Devon ci ha sofferto, per quell'imposizione, ma che ha tirato avanti, ha stretto i denti e ha combattuto per l'amore della sua vita ed ora è quasi l'uomo più felice del mondo.
Certo gli piacerebbe che suo padre tornasse indietro, lo guardasse e ammettesse che, aldilà di tutto, sia il figlio migliore del mondo, ma per ora si gode quello che ha senza troppe lamentele.
Ha imparato che per fare lo scrittore devi sentirtele nelle ossa, le parole. Che un tramonto o un'alba o un qualsiasi evento naturale possono portarti a scrivere qualcosa che non ti saresti mai aspettato.
Ha imparato anche che non gli piacciono il mais e le nocciole e Devon ha riso venti minuti di fila per la faccia schifata che ha fatto quando ha mandato giù un boccone di quell'intruglio.
E Devon ha imparato e scoperto che non è il solo ad avere un bambino.
Quinn gli ha raccontato la sua storia, con una leggerezza che non aveva da tempo.
E lui le aveva detto che era stata coraggiosa e saggia a fare quella scelta, e che molti, per egoismo o per semplice senso di appartenenza, avrebbero costretto il bambino a vivere in una situazione poco felice pur di averlo accanto.
Al ritorno dalla cena, subito dopo aver salutato Devon ed essersi fatta promettere che prima o poi avrebbe incontrato il piccolo Kepner, il telefono le squilla.
«Mandy? Si, arrivo.»
Ha quasi dimenticato quell'appuntamento.
Ma non vuole disdire. Si sente ancora ferita, e triste e -
«Che ci fai qui Santana?»
Chiede, non appena intravede la latina poggiata alla porta della sua camera.
Santana deglutisce e si passa le mani sui pantaloni azzurri del suo pigiama.
«Quinn io-»
Si ferma e sbuffa, una mano tra i capelli e l'espressione confusa. Quinn può dire tranquillamente che è in difficoltà e ha un faccino adorabile che se non fosse per la sua decisione di non muoversi, Quinn prenderebbe tra le mani e bacerebbe senza sosta.
«Ascolta, mi dispiace, va bene? Lo so che poteva sembrare strano e dovevo dirti di Brit, ma era una sorpresa anche per me e- ed è la mia migliore amica. »
«Sei ancora innamorata di lei, Santana?»
E la domanda parte spontanea dalle sue labbra, senza che possa controllarla.
Santana le si avvicina e posa le mani sui suoi fianchi. Quinn ha gli occhi bassi ed evita di guardarla, ma la latina le prende il mento tra le mani e la costringe a farlo.
«Sarei qui se fossi ancora innamorata di lei?»
«Non lo so, San. Non so più nulla.»
Ma il cellulare di Quinn decide di interrompere quel momento squillando ancora e ancora e-
Santana le sfila l'apparecchio dalle mani e legge il nome sul display, il sopracciglio che si alza in alto.
Risponde con una risata sarcastica e liquida la faccenda in poco più di trenta secondi, per poi rubare a Quinn le chiavi della sua stanza, trascinandola all'interno.
Quinn si siede sul letto, senza opporre resistenza, e si passa le mani tra i capelli, sospirando pesantemente fino a che Santana non si siede a cavalcioni su di lei.
«Niente Mandy.»
Le sussurra sulle labbra, prima di baciarla.
«Niente Brittany.»
Risponde Quinn, sfiorandole il collo con le mani.

«Solo noi.»


Angolo degli alcolisti anonimi.
No, non lo so com'è successo.
Ma dovevo farmi perdonare per l'assenza prolungata e forse il senso di colpa è stata l'ispirazione necessaria che mi ha fatto scrivere un altro capitolo in meno di una settimana.
Detto questo, mi auguro che anche questo abbia un senso e che nessuno di voi continui ad odiare l'adorabilissimo professor Kepner sennò vi lancio i pomodori che dovreste lanciare ammmeh. e_e
(Lui nella mia mente è Matt Bomer, in tutto e quasi per tutto. Con gli occhiali e *
muore indegnamente *)
Mi scuso per eventuali errori. Ho riletto, ma qualcuno scappa sempre, quindi perdonatemi /o\
Smetto di tediarvi, ringraziandovi tanto.

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Capitolo 11
*** 10. Come with me. ***


10. Come with me.



Quinn ha ancora gli occhi chiusi quando sente il suono di una risata rimbombarle nella testa. Rimane per un attimo interdetta, muovendo la mano sul letto alla ricerca del corpo che per tutta la notte è rimasto attaccato al suo.
Il letto è vuoto e il lato di Santana...
Freddo.
Spalanca gli occhi, ma la luce le colpisce le pupille ed è costretta a stringerli più forte per abituarsi alla luminosità. Con le palpebre per metà abbassate, cerca di focalizzare lo sguardo.
Dall'altro lato della stanza, accanto alla sua scrivania ci sono due persone.
No, tre.
Che diavolo.
Si tira su lentamente, sollevando il busto e strofinandosi il viso con le mani, le dita tra i capelli, riavviandoli un po'.
Il letto cigola e Quinn alza lo sguardo. Santana è davanti a lei, una tazza in mano. Le ginocchia affondate nel materasso, il petto all'altezza del viso della bionda che deglutisce lentamente.
«Buongiorno.»
E' un bisbiglio. Quasi un sospiro.
E glielo dice sulle labbra, sfiorandogliele appena in una maniera talmente diversa dal solito, che Quinn ci mette qualche secondo a riprendersi da quella sensazione.
Boccheggia in cerca d'aria e Santana sorride e le sfiora la mascella con le dita.
«Buongiorno.» Risponde, quando ritrova la facoltà di parlare.
«Allora sei tu!»
La voce squillante che sente è diversa. E proviene da qualcuno lì vicino.
Qualcuno dai capelli biondi.
Brittany.
Le sopracciglia di Quinn volano in alto e per un momento rimane immobile a fissare gli occhi blu di quella ragazza che le si sta avvicinando. Santana è lì, una risata nascosta malamente sulle labbra.
E Quinn non sa davvero che fare.
«Sei la nuova ragazza di Sannie! Io sono Brittany.»
La mano bianca e affusolata della ballerina si tende verso di lei e Quinn si sente tre paia di occhi addosso.
C'è anche Mike, se n'è accorta solo ora. E Mike la guarda di sottecchi, saltellando da un piede all'altro come se stesse mentalmente preparando una coreografia. Ma Quinn lo conosce quello sguardo. Sta pensando a qualcosa di diverso pur di non ridere.
Stanno tutti aspettando la sua reazione. E vorrebbe davvero solo stringere la mano di quella ragazza e fare finta di nulla, ma quando l'ha riconosciuta nella sua stanza, con la sua Santana non ci ha visto più. O meglio ci ha visto rosso.
Dannazione.
Allunga le braccia.
Uno sbadiglio che le scivola dalle labbra.
Poi la sua mano va a stringere quella di Brittany, che la illumina con un enorme sorriso.
«Piacere mio Brittany.»
E quella se ne va saltellando, tirandosi dietro Mike, spiegandogli chissà cosa.
Quinn scuote la testa, prima che Santana le blocchi il viso tra le mani e schiacci le labbra sulle sue.
I denti che le graffiano il labbro inferiore.
«Bugiarda.»

Quando Quinn entra nel bar, il respiro mozzato dalla corsa e il viso accaldato, comincia a girare su sé stessa fino a che un viso familiare non spunta tra le tante teste.
Devon alza il braccio, un sorriso smagliante sulla sua faccia.
Quinn sorride di rimando e si avvicina, notando solo dopo la piccola testolina bionda al fianco dell'uomo. Il suo sorriso si fa ancora più ampio, se possibile, e quando si siede, fissando la coppia che ha davanti, per un attimo, un solo attimo, si permette di ripensare a Beth e a come sarebbe stato se...
No, Quinn, smettila.
«Ehi
»
La voce di Devon è tranquilla e rassicurante, e la sua espressione è quella di uno che la sa lunga, e sa esattamente cosa sta attraversando la testa di Quinn. Scuote la testa e spettina il piccolo che mugugna e si lamenta.
«Stefan, questa è Quinn. Fai l'educato, saluta
»
Il piccolo alza il viso e la prima cosa che Quinn nota è il colore dei suoi occhi. Identico a quelli di Devon.
«Ciao
»Mormora, timido.
Quinn allunga la mano e stringe quella del piccolo, ridendo un po' al malcelato imbarazzo.
«Io sono Quinn.»
Stefan annuisce e torna a scarabocchiare qualcosa sul tovagliolo di carta. Devon lo osserva con la stessa preoccupazione che lei conosce alla perfezione.
La bionda si schiarisce la voce e ignora lo sguardo confuso del professore, prima di rivolgersi nuovamente al piccolo.
«Ehi, Stefan cosa stai disegnando? Posso aiutarti?»
Il piccolo sembra spaesato. Guarda suo padre che annuisce e allora si alza e fa il giro del tavolo, arrampicandosi sul divanetto dal lato opposto accanto a Quinn.
Sistema i colori sul tavolo e illustra il disegno scarabocchiato di una casa e un bimbo e due uomini che si prendono per mano. Quinn si morde le labbra per non ridere e prende in mano un colore, facendosi spiegare cosa fare.
Quando entrambi si tuffano sul disegno, ridendo e scherzando, Quinn alza lo sguardo, trovando quello di Devon un po' commosso.
«Non fa amicizia facilmente. Devi avere qualcosa di speciale, Quinn.»
E lei arrossisce e prega che non si veda, perché non vuole certo che il suo professore preferito la veda regredire all'età adolescenziale.
Devon ride ed estrae dalla borsa una cartellina.
«Ho parlato con il mio amico. Il direttore della casa editrice, ricordi?»
Quinn annuisce, senza mai smettere di colorare e tenendo lo sguardo basso. Stefan continua a sorriderle.

«Ha detto che da una veloce lettura gli interessa. »
«Ma? »
L'uomo sospira e si passa una mano tra i capelli.
«Ma è a Londra per altri tre mesi. E se vogliamo che la cosa vada in porto devi andare lì.»
Quinn apre e chiude la bocca un paio di volte prima di rispondere.
Non è un problema andare a Londra. C'è sua sorella e sarebbe felicissima di ospitarla.
Ma Santana...
«Qual è il problema? Sono un paio di settimane al massimo»
Risponde premuroso.
Quinn scuote le spalle, mentre Stefan le si siede in braccio. Gli accarezza lentamente i capelli biondi e ride mentre lui illustra il risultato del loro lavoro.
Devon sembra apprezzare e allunga una mano per rubargli il foglio.
«No, papà fermo»
Sghignazza il piccolo. Il professore ride e alza le mani per poi tornare a guardare Quinn.
La bionda sospira e ricambia lo sguardo.
«C'è questa ragazza. Che non è la mia ragazza, credo. Ma le cose sembrano andare bene per ora e-»
Si blocca a metà.
L'immagine di Santana che si rigetta tra le braccia di Brittany. L'immagine di loro due insieme.
Si irrigidisce, tentando di nasconderlo, ma il bambino tra le sue braccia se ne deve essere accorto, perché si volta a guardarla.
«Stai bene? »
Mugugna, prima di poggiare le mani sul viso di Quinn.
Devon ride.
«Quinn devi solo fidarti di lei. E' del tuo futuro che stiamo parlando.»
«Lo so.»
E poi per la prima volta riesce finalmente a dirlo ad alta voce.
«Ma la amo.»

Il lieve ticchettio sulla porta, Santana lo sente appena, avvolta com'è tra le lenzuola.
Si avvicina a passo lento, sperando che dall'altro lato ci siano Mike e Brittany con la sua cena.
«
Quinn!?»
La bionda abbozza un sorriso e si gratta la nuca.
«Posso entrare?»
Santana la guarda, confusa e un po' preoccupata. Le fa spazio con il corpo, invitandola dentro e richiudendosi la porta alle spalle. La vede sedersi sul letto, tra le coperte ancora disordinate.
Non ha una bella espressione e Santana inizia a sentire qualcosa di indefinito nello stomaco. Paura, ansia, puro terrore.
Non sa spiegarselo. Sa solo che quando si avvicina a Quinn e le stringe la mano tra le sue, quella scatta.
«Cosa siamo Santana?»
Santana boccheggia, gli occhi spalancati per la sorpresa.
La domanda le è arrivata dritta in faccia come un treno in corsa, senza la possibilità di fermarla. Si passa una mano tra i capelli, mentre l'altra stringe ancora quella di Quinn, che sembra reticente al suo tocco.
«Come?!»
La sua voce è acuta, qualche tono più alto del normale e la sua espressione non deve essere delle migliori perché Quinn ritira la mano e la fissa, immobile.
«Tra due giorni parto per Londra e dovrò starci due settimane. »
La mora abbassa lo sguardo.
Due settimane. Due settimane senza Quinn.
«E davvero, non sarebbe un problema di solito. Ma tu.. Tu mi confondi Santana. Non ho idea di cosa fare. Sei la mia ragazza? Non lo sei? Non ne ho idea. Ho quasi spaventato a morte il professore Kepner con una scenata che non aveva senso. Insomma, chi rinuncerebbe ad un incontro con una casa editrice solo per una presunta relazione? Nessuno. Non io di certo. O almeno lo credevo. Ora non lo so. So solo che mi manchi ogni volta che non ci sei e ora devo partire e, dannazione, Santana. »
Quinn sbotta quando la vede sorridere.
Quel sorriso un po' stronzo e un po' bastardo, che le fa venire voglia di schiaffeggiarla. Santana si sporge e la bacia dolcemente.
Le dita che solleticano il collo pallido.
«Sta' zitta.»
E' un mugugno sulle labbra, ma tanto basta a convincere Quinn.
Si ritrovano sul letto, ansanti e senza vestiti. Pelle contro pelle.
E Santana la bacia, la accarezza, la stringe.
E Quinn...
Quinn potrebbe impazzire da un momento all'altro.
Potrebbe persino dirglielo.
Ti amo, Santana.
Sarebbe così facile.
Invece la bocca di Santana le ruba le parole, schiacciandosi sulla sua e non lasciandole il tempo di reagire.
E poi sente solo i gemiti di Santana riempire la stanza. E i suoi, sospirati e bassi ,che abbandonano le sue labbra senza che possa impedirlo.
Quando ricadono sul letto, stanche e appagate, con una leggera patina di sudore a impregnare il corpo di entrambe, Quinn si ferma a guardarla e..
Wow.
«Vieni a Londra con me.»
Lo dice senza pensarci. E subito dopo la paura del rifiuto le chiude lo stomaco.
Santana ha gli occhi socchiusi. La bocca aperta e il petto che va su e giù al ritmo del suo respiro.
Allunga una mano e la intreccia con quella di Quinn, portandosela alle labbra.
«Va bene.»
E quelle due parole per Quinn sono le più belle del mondo.

«Forse dovremmo solo lasciar perdere»
Mormora Mike, quando per l'ennesima volta il suo suo bussare alla porta viene ignorato. Brittany sorride e scuote la testa.
«Tu non conosci Santana. C'è un solo motivo per cui può essersi addormentata così pesantemente.»
Ghigna e Mike ci mette un po' a capire quale sia la spiegazione.
Quando lo realizza, spalanca la bocca che forma una “oh” di sorpresa.
«Esatto. Credo che lei e Quinn si siano divertite.»
L'asiatico rimane qualche attimo immobile, poi, con una faccia disgustata, estrae la chiave della sua camera.
«Non volevo saperlo, comunque.»
«Oh, avanti. Quando io e Santana abbiamo fatto il video, abbiamo preso tanti pollici in su. Non è brutto.»
«COSA?!»
Mike urla quasi, e le pizze che ha tra le mani quasi cadono per terra mentre cammina e cerca di non precipitare sui suoi stessi piedi.
Brittany ride e gli prende le pizze dalle mani, mentre volteggia nel corridoio aspettando che Mike le indichi la sua stanza.
Quando il ragazzo lo fa e le apre gentilmente la porta di ingresso, Brittany si fionda all'interno ed è quasi spaventata dall'ordine impeccabile che c'è.
«Non credo di aver mai visto una stanza così ordinata.»
Sussurra.
Mike ride e le prende una sedia, sistemando la scrivania per ricavarci lo spazio per le pizze.
Mentre mangiano, ridono e si raccontano qualche avventura passata, di com'è iniziata la loro passione per la danza, di come vanno le cose nello studio e Mike scopre piacevolmente che Brittany, nonostante qualche volta sia difficile starle dietro, ha un'ottima predisposizione alla chiacchiera.
Gli racconta che ci ha provato, davvero, ad andare avanti e che Sam sembrava il tipo giusto. Ma poi ha scoperto che lui ha le labbra troppo grandi (“Come diceva Santana”) e che a lei non piacciono per niente.
«Ci siamo anche sposati per finta.»
Ribatte e Mike quasi si strozza con la mozzarella.
Brittany ridacchia e gli passa il tovagliolo.
E quando le loro mani si sfiorano, in quel piccolo e innocuo gesto, Mike sente una scossa elettrica attraversargli la spina dorsale.
E quando la sente ridere, di una risata un po' troppo allegra, sente il sorriso aprirsi istintivamente sul suo viso.
E quando le chiede di ballare, scoprendo come i loro corpi si muovano in sincrono in maniera del tutto naturale, Mike capisce di essere completamente rovinato.


Angolo degli alcolisti anonimi. (si, mi piace tanto okay? 'k)
Questo capitolo FA SCHIFO.
In ogni modo possibile/immaginabile.
Nella mia testa era una cosa carina carina piccina picciò (duh) e invece è venuto fuori uno scempio. Epperò a riscriverlo non ce la potevo fare. Inoltre lo studio. E il mondo.
E insomma, mi dispiace tanto SOB.
Mi farò perdonare con il prossimo. Giurin giurello ç_ç
Also io shippo ardentemente Brittany/Mike da decenni e lo so che sono totalmente non-canon ma who cares.
Thank you \0\

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Capitolo 12
*** 11. While you sleep. ***


11. While you sleep.



Dodici ore di volo non erano state esattamente una passeggiata per Quinn e Santana.
In realtà non lo era stata neanche la parte prima, l'arrivo in aeroporto, i preparativi per il viaggio. Per non parlare del fatto che Santana aveva rifatto tre volte le valige perché non aveva idea di cosa mettere e di cosa avrebbe trovato aldilà dell'oceano.
Quinn gliel'aveva ripetuto mille volte com'era il clima e cosa era più giusto portare. Ma Santana era Santana e non l'avrebbe di certo ascoltata.
Ma finalmente sono lì.
Ad attendere che il nastro sputi fuori le loro valige. Santana continua a guardarsi intorno. L'aria un po' spaesata e i denti che continuano a tormentare le labbra.
Quinn la fissa e ride, attirando l'attenzione dell'altra che gli riserva una gomitata non troppo forte nello sterno.
La bionda le ferma le mani e la stringe, baciandole il naso e sfiorandole le labbra, senza preoccuparsi della gente intorno a loro.
«Non mi avevi detto che avevi paura degli aerei.»
Santana borbotta.
«Perché non è vero. » Ribatte, punta nell'orgoglio.
Il sopracciglio Fabray salta in alto e Santana sa già che è rovinata.
«San, mi hai stretto la mano per tutto il viaggio talmente forte che penso non ci sia più un osso rimasto intatto.»
La latina sbuffa e si stacca, roteando gli occhi piccata. Quinn le si riavvicina e la stringe nuovamente, non dandole la possibilità di liberarsi stavolta.
«Però mi piace che tu mi tenga la mano.»
Le sibila all'orecchio e l'unica reazione di Santana è rabbrividire a quel tono di voce, girandosi nelle sue braccia e fissando gli occhi nocciola che si ritrova davanti.
«Sei fortunata perché sei carina, Fabray.»
Mormora, prima di morderle le labbra e baciarla.
Quinn annuisce e sorride nel bacio, portandole una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio.
«Lo sono davvero.»
Risponde.
E ha quel maledetto sorriso che Santana sente le gambe molli come budini.
Dannata Quinn.
La bacia ancora e ancora, fino a che qualcuno non tossisce accanto a loro e Santana ci mette un secondo a capire che Quinn non si è moltiplicata.
«FRANNIE!»
Una bionda un po' più bassa di Quinn è lì accanto a loro. La pancia lievemente pronunciata che nasconde il suo futuro figlio. Ha gli stessi occhi di Quinn, nocciola e intensi. E la sua stessa capacità di incutere timore con un solo sopracciglio..
Sarà una cosa targata Fabray, suppongo.
Quinn la stringe, baciandole una guancia, per poi saltare addosso all'omone dai capelli scuri accanto a lei. Ha gli occhi allegri, neri e attenti. E un viso simpatico.
Santana sente il rossore strisciargli sul collo prima che Frannie le allunghi una mano.
«Devi essere Santana. Sono Frannie, ho sentito molte cose su di te. »
Ridacchia alla faccia un po' sconvolta di Santana che fissa Quinn, un punto interrogativo nella sua espressione.
«Non è vero nulla di quello che ha detto Quinn, te lo prometto. »
Frannie le si avvicina e le passa un braccio intorno alle spalle, sotto lo sguardo attento della sorella.
E poi le sussurra qualcosa all'orecchio che Quinn non può sentire, ma che percepisce dal viso di Santana.
«Credimi, certe cose vorresti fossero più che vere.»

«Non è possibile!»
Santana scoppia a ridere, insieme a Dave e Frannie, seduti sul divano di fronte al loro. Quinn ha l'espressione fintamente scocciata mentre cerca di trattenere sé stessa dal fare come loro.
Alza il mento all'insù e picchietta con le dita sul bracciolo del divano, osservando come Santana stia praticamente piangendo per la storiella che sua sorella le ha appena raccontato.
Con i piedi le spinge il sedere, intimandogli di smetterla, ma quella non sembra neanche accorgersene, anzi. Le sue risate aumentano.
Almeno fino a che Quinn non le salta praticamente in braccio tappandole la bocca con le sue labbra. Santana si irrigidisce, lasciandosi andare solo dopo qualche secondo, quando la lingua di Quinn striscia sulla sua bocca.
«Ehi, ci sono bambini qui.»
Quinn si stacca, lasciandola di stucco e si rimette al suo posto, l'espressione fiera che troneggia sul suo volto.
«Dovevo pur farla smettere.»
Ammette, beccandosi una cuscinata da Santana, offesa.
Dave mormora qualcosa sulle labbra di sua moglie, per poi scusarsi e andare in cucina.
«No ti prego, dimmi che non è andato a cucinare.»
Frannie annuisce alla richiesta di sua sorella, e quella squittisce.
«Dico ma non è perfetto? Sa anche cucinare. Mai che queste cose capitino a me.»
Stavolta è la gamba di Santana a colpirla, e Quinn non può fare altro che ridere mentre si massaggia la parte lesa.
«Non sei divertente.»
Frannie le guarda e si passa una mano sul viso, divertita.
E' bello vedere sua sorella finalmente bene. Le si stringe un po' il cuore a ripensare a quei giorni tristi subito dopo aver scoperto che era incinta. L'avevano tenuto nascosto fino a quando la sua pancia non era diventata troppo evidente. E allora suo padre l'aveva sbattuta fuori casa.
Da sola.
Incinta.
Non poteva ancora credere che razza di uomo l'avesse cresciuta. Aveva pregato sua madre di farlo ragionare, ma quella, succube del marito, le aveva risposto che Quinn avrebbe fatto bene a tenere le gambe chiuse.
E a lei era venuta voglia di vomitare.
Quando aveva rivisto sua sorella, una settimana dopo, aveva il viso scavato e l'espressione dura. Aveva fatto di tutto per farla ragionare e c'era riuscita.
Quinn era tornata a mangiare regolarmente, prendendosi cura di sé stessa e della piccola.
E al momento del parto era stata lì a tenerle la mano. Fiera di essere testimone di quel momento.
Quando aveva raccontato del parto a sua madre, che aveva scoperto il tradimento del marito, la donna l'aveva pregata di intercedere con Quinn per farle riallacciare un rapporto.
Ma sua sorella non era un tipo facile, e se c'era qualcosa che aveva imparato nella vita, era che i Fabray e l'orgoglio camminano di pari passo.
Ma Quinn ce l'aveva fatta. Aveva superato anche quello scoglio.
L'aveva vista affrontare di tutto.
Ma non l'aveva mai vista innamorata.
Ed era esattamente così che Quinn era in quel momento.
Felice e innamorata.

«Che stai facendo?»
Quinn entra in cucina mugugnando. Le mani strette a pugno che strofinano gli occhi, mentre la bocca si apre in un sonoro sbadiglio.
Santana la guarda di sfuggita, per poi tornare a concentrarsi sull'impasto nella pentola.
«Avevo pensato di farvi la colazione. Per ringraziare tua sorella dell'ospitalità.»
Un paio di braccia si stringono intorno alla sua vita e immediatamente le labbra di Quinn trovano spazio sul suo collo.
«E prima che tu dica qualcosa Fabray, anche io so cucinare.»
Borbotta, la voce leggermente roca.
Quinn sorride sulla sua pelle e annuisce, schioccandole un bacio sulla guancia.
«Non ho mai detto il contrario, piccola.»
Santana sbarra gli occhi e si volta.
Il mestolo di legno tra le mani e l'espressione inquieta.
«Cosa? Che ho fatto? »
La latina le spinge un dito sul petto, allontanandola leggermente.
«Non finiremo ad essere una di quelle coppie sdolcinate che si danno questi nomignoli. Non fa per me!» Quinn ride e si morde le labbra, annuendo.
«D'accordo, Lopez.»
La latina agita la testa, in segno d'approvazione e torna a mescolare qualcosa sul fornello. Quinn si avvicina, mettendosi di fianco a lei, stavolta, e intinge il dito nel barattolo della nutella, il gemito che lascia le sue labbra fa tremare le gambe di Santana.
«Quinn.»
«Cosa? Che c'è? »
Santana rotea gli occhi e cerca di concentrarsi sulla cucina, ma quando Quinn urla è costretta a girarsi. La trova a fissare il piatto di bacon che ha preparato qualche minuto prima.
«E' bacon? E' DAVVERO bacon? »
Santana scuote la testa.
«Si, e farai bene a non finirlo perché devono mangiarlo anche gli altri.»
«Oddio, ti amo Santana.»
E non appena quelle parole lasciano le sue labbra entrambe sbarrano gli occhi.

...cazzo.
Quinn sbuffa e si passa una mano tra i capelli.
«Io-»
Santana le si avvicina e la bacia. La lingua che si insinua nella sua bocca senza tanti propositi. Le mani tra i capelli.
Si staccano dopo un po' in cerca di ossigeno.
«Wow.» Mormora Quinn.
Santana poggia la fronte sul mento di Quinn e respira affannosamente.

«Mi ucciderai prima o poi Fabray.»
Quinn sorride. Lo sa che Santana non è ancora pronta al grande passo, ma è un sollievo che finalmente quelle parole siano venute fuori.
Le bacia la fronte, prima di staccarsi.
«Andiamo, voglio farti vedere Londra.»
Santana borbotta e poggia il viso sulla sua spalla, facendosi cullare e godendosi l'odore della pelle di Quinn. Non riuscirà mai a capire come possa essere così dannatamente naturale lasciarsi andare così per lei.
Ma non ci pensa troppo perché i passi di Frannie risuonano nella cucina e uno squillante “buongiorno” si fa spazio nel silenzio della stanza.
«Buongiorno. »
Rispondono loro in coro.
Frannie si allunga sul fornello e tira su col naso, beandosi dell'odore che proviene dalla pentola.
«Conoscendo le capacità culinarie di Quinn, praticamente inesistenti, deduco che abbia cucinato tu, Santana.»
Quinn schiocca la lingua.
«Davvero, Sherlock?»
Frannie la fulmina con lo sguardo e assaggia la frutta tagliata nel piatto.
«Mh, mi è venuta fame.»
Ammette e Santana si stacca da Quinn che mugola per la perdita di contatto.
«E' quasi pronto. »
E quando Frannie trascina Quinn nella sala da pranzo, non può fare a meno di notare lo sguardo della sua sorellina ancora fisso sulla cucina.
«Sei davvero fottuta Quinnie.»
Quinn la guarda e annuisce.

«Credo che tu abbia ragione.»

Quando rientrano in casa, quella sera, dopo aver camminato per tutto il giorno e dopo aver visitato i luoghi più caratteristici della città, Quinn crolla sul letto senza ulteriori indugi, e Santana rimane lì a fissarla, accarezzandole i capelli.
E la porta si apre inaspettatamente e Frannie entra e per un attimo vorrebbe lasciarle lì e tornare indietro, ma sa che deve farlo e allora chiede a Santana se può raggiungerla un momento al piano di sotto.
Quando scende e la vede seduta sul divano, due tazze di tè fumanti sul tavolino basso del soggiorno, Santana capisce che qualcosa non va.
«E' successo qualcosa?»
Chiede, mandando giù un sorso di tè, sentendone immediatamente l'effetto rilassante.
«Volevo solo parlarti, tranquilla.»
Santana annuisce e rimane in silenzio.
Restano qualche secondo senza parlare, scrutandosi di sottecchi, fino a che Frannie non prende un respiro profondo e le pone una domanda.

«Hai fratelli, Santana?»
La latina fa cenno di sì con la testa, sorseggiando il tè.
«Due, un fratello e una sorella.»
«E sono più piccoli?»
Santana è incuriosita e allo stesso tempo spaventata da quella serie di domande, ma si limita a rispondere.
«Sì, entrambi più piccoli di me.»
Vede Frannie annuire contenta e posare la tazza nuovamente sul tavolo.
«Sai, Santana, mia sorella è davvero una parte importante nella mia vita. Ne abbiamo passate tante, insieme. E dopo tanto tempo la vedo sorridere di nuovo.»
Santana sta per aprire la bocca per rispondere, convinta di aver capito dove Frannie vuole andare a parare con quel discorso.

Ora mi dirà che se le faccio male mi uccide.
Frannie la zittisce con un gesto della mano.
Tipico dei Fabray.
«
Non ti dirò che verrò a cercarti se le farai del male, tranquilla. Volevo solo ringraziarti. Vedere mia sorella felice è importante per me, per cui. Grazie.»
Santana annuisce e allunga una mano sul divano, raggiungendo quella di Frannie.
«E' davvero un piacere per me. »
Risponde strafottente e Frannie capisce immediatamente perché sua sorella si è innamorata così tanto di quella latina.
Sa tenerle testa.
Si alzano entrambe per raggiungere le loro rispettive camere.
«Santana?»
La ragazza gira la testa e si ferma un attimo.
Frannie sorride, gli occhi fissi in quelli della mora.

«Se le fai del male, manderò Dave a cercarti.»
Ridendo sale le scale e apre piano la porta.
Quinn non sta dormendo. Può esserne certa dal respiro irregolare.
«Sei sveglia?»
La bionda mugugna.
«Mi dispiace, non-»
«Sta zitta e vieni qui.»
La latina obbedisce e si sistema vicino a lei, lasciandosi avvolgere dalle braccia di Quinn.
«Q?»
«Mh?»
«Grazie.»
Quinn sorride, confusa, ma non fa domande. Conosce Santana e sa che probabilmente non avrebbe nessuna risposta.
Santana le sfiora le labbra e chiude gli occhi.
E quella parole le sussurra solo qualche minuto dopo, quando è certa che Quinn si è addormentata. Le sfiora la fronte con le dita, scostandole i capelli dal viso.
«Ti amo anch'io.»


Angolo degli alcolisti anonimi. (In cui l'alcolista sono solo io. Si)
Dunque. Io dovevo fare una torta all'arancia.
Poi ho scritto un capitolo.
No, vi giuro, l'associazione non l'ho capita neanche io, ma tant'è.
Frannie è il mio personaggio preferito ever, sapevatelo. E Dave è il marito ideale di ogni donna, sappaite pure questo.
E niente, non ho idea di come possa risultare sto capitolo.
A me è piaciuto. Forse. Devo ancora decidere.
Ora devo aprire una piccola parentesi. E se non conoscete gli spoiler delle prossime putnate e non li volete. NON LEGGETE.
State leggendo?
Ora?

E ora?

Ok se siete arrivati qui evidentemente li conoscete.
Io ho puro TERRORE di cosa i RIB possano fare al Quinntana. Sono realmente terrorizzata. Vorrei solo vivere nell'headcanon per sempre. Perché è un bel posto. E non voglio che mi si rovini l'otp of all otps.
Però sarò anche una fangirl defunta non appena vedrò il primo fotogramma di una qualsivoglia interazione tra loro.
Sono confusa.
Tutto ciò per dirvi che questa cosa, la fanfiction, intendo, finirà tra due capitoli.
Si, si lo so che chissene frega, era per dire. Però ecco, aspettatevi una vagonata di shot post prossimi episodi di glee. Col mio headcanon ovviamente.
Ok basta. Vi ringrazio tutti molto e spargo amore su di voi \0\

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Capitolo 13
*** 12. Taking chances. ***


12. Taking Chances.




Quella telefonata Mike la riceva in piena notte.
Sono le 4.52 di un Sabato mattina, è in camera sua, completamente abbandonato tra le lenzuola gialle che Quinn gli ha scelto un pomeriggio di molti giorni prima.
Ma quell'assurda suoneria continua a cinguettare nella stanza, con l'intenzione di non smettere molto presto. Allora si alza, cercando di allungare le braccia verso il comodino dove tiene il cellulare, ma finisce inevitabilmente per capitolare a terra, sbattendo con poca grazia contro il legno del pavimento.
Borbotta qualcosa e si passa una mano sugli occhi stanchi e assonnati che fatica a tenere aperti.
Ma è quando vede il numero sul display che quelli si aprono definitivamente, come se avesse appena visto un fantasma.
Quinn non lo chiama mai.
O meglio lo fa, ma non dal suo telefono. Usa una carta prepagata, in modo da non spendere una fortuna per quella chiamata oltreoceano.
Mike si schiarisce la voce e risponde.
Il primo sospiro gli annuncia che Quinn sta piangendo.
E lui vorrebbe prendere il primo volo disponibile, arrivare in Inghilterra, entrare dentro casa di Frannie e stringere Quinn tra le braccia perché non sa cosa sta succedendo ma sa che la sua migliore amica non può sopportarlo.
Il respiro pesante della bionda si fa strada nell'apparecchio e Mike rimane in silenzio, aspettando una qualche tipo di spiegazione che però non arriva.
Quello che sente sono altri singhiozzi ed altre lacrime e si sente così inutile in quel momento, che vorrebbe scalciare qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.
Si stringe nelle spalle e poggia la schiena al materasso, passandosi una mano tra i capelli disordinati.
«Quinn? Per favore, dimmi che succede.»
Un singhiozzo più forte. Uno più piccolo.
Poi uno sbuffo.
E la voce di Quinn roca e spezzata comincia a parlare.
«Sono andata al colloquio stamattina.»
Oh, allora è questo il problema.
Mike riflette sul discorso da fare. Pensa che potrebbe dirle che avrà altre mille occasioni e che sicuramente quelli della casa editrice non hanno capito nulla.
Che un giorno rimpiangeranno di non averle dato l'opportunità che merita, e che si ritroveranno a doverle chiedere scusa per quel rifiuto.
Ma poi la sua amica continua a parlare e allora capisce che non è quello che pensa.
«Mi hanno chiesto di trasferirmi qui, Mike. Vogliono offrirmi un contratto triennale, e vogliono che inizi immediatamente. Il direttore ha detto che può parlare con il rettore dell'Università, e avviare il trasferimento. Non perderò gli esami dati e potrò finirla qui, a Londra.»
E il cuore di Mike si stringe così tanto a sentirla parlare, con quella vocina piccola e impaurita, quando in realtà il suo sogno si è realizzato e dovrebbe essere felice.
Ma Mike lo sa.
L'ha sempre saputo.
Lo sa da quando le ha viste parlare per la prima volta che per Quinn non sarebbe stato facile lasciarla andare.
«Quinn.»
La voce di Mike trema un po'.
Il pensiero di stare lontano da lei per così tanto tempo gli fa tremare le ginocchia. Sono cresciuti insieme, in quella piccola periferia di Lousiville, con i loro grandi sogni. E si dicevano che il primo dei due capace di sfondare, avrebbe aiutato l'altro a farcela.
E che entrambi sarebbero rimasti amici per sempre e avrebbero preso una casa e i figli di Mike l'avrebbero chiamata zia Quinn e viceversa.
Quella lacrima gli scivola involontaria sulla guancia mentre stringe con più vigore l'apparecchio tra le dita.
«Non voglio lasciarvi Mike. Non voglio lasciarla.»
Mike sospira e a denti stretti pronuncia quella frase che nessuno dei due vorrebbe sentire.
«E' la tua occasione Quinn, non puoi lasciartela scappare.»

Santana si sveglia, quella mattina, senza il peso di Quinn che preme sulla sua spalla.
E' quasi impossibile sopportare quella mancanza. Stringe il lenzuolo tra le mani e sbuffa, ricordando che quello è il grande giorno di Quinn e pregando che vada tutto come previsto.
Perché, insomma, solo un deficiente si rifiuterebbe di darle un lavoro.
Così sospira e cerca di riaddormentarsi, ma il profumo di Quinn è quasi troppo inebriante perché possa riuscire a chiudere gli occhi e dimenticare di essere nel suo letto.
Nella casa di sua sorella, dall'altro lato del mondo.
E l'ultima immagine nella sua mente sono quelle labbra attaccate al suo orecchio, che sussurrano il suo nome, mentre i loro corpi si muovono in sincrono ed è tutto troppo per Santana.
Si muove istintivamente fino a raggiungere il bagno in fondo al corridoio, e quando si assicura di essersi chiusa la porta alle spalle, rilascia una boccata d'aria.
Entra nella doccia, il getto dell'acqua che le colpisce le spalle in maniera quasi violenta.
E sente una voce.
Quella voce.
E il sorriso sulle sue labbra si apre involontariamente. E comincia a lavarsi via la stanchezza e tutti i pensieri, perché vuole solo sbrigarsi e scendere le scale e lanciarsi tra le braccia di Quinn e sperare di vedere quel sorriso sulla sua faccia. E magari prenderla un po' in giro, perché , deve ammetterlo, è oltremodo bella quando si arrabbia.
Ma qualcosa va storto.
Quando scende le scale, Quinn è raggomitolata sul divano tra le braccia di Frannie e si tiene la testa tra le mani.
Le spalle scosse dai singhiozzi.
Sua sorella incrocia i suoi occhi e Santana è talmente paralizzata che teme di dover passare il resto della vita lì, su quella scala, issata su quell'ultimo gradino.
Frannie sta mormorando qualcosa all'orecchio di Quinn, mentre le accarezza i capelli, spazzolandoglieli con le mani. Le sfiora la fronte con le labbra e la tiene stretta.
Santana se ne accorge dopo, che anche lei ha gli occhi lucidi.
Dave arriva nella stanza con due tazze bollenti che poggia sul tavolo e anche lui guarda preoccupato Santana che ancora non accenna a muoversi.
Le sembra che il tempo si sia fermato e che il mondo abbia smesso di girare su sé stesso. Che tutti abbiano deciso di mettersi in pausa, senza avvertirla.
E poi Quinn alza lo sguardo ed è talmente triste e rotta che Santana vorrebbe piangere a sua volta, senza un vero e reale motivo.
Si schiarisce la voce, e si avvicina con le mani tremanti.
Guarda Quinn e allarga un po' le braccia, fingendo un mezzo sorriso.
Quinn si lancia su di lei, affondando il viso nell'incavo del suo collo e bagnandole la pelle. Santana la stringe, una mano sul fianco e l'altra tra i capelli. Le labbra che sfiorano ogni punto di pelle che riescono a raggiungere.
«Mi dispiace Santana, mi dispiace.»
«Dimmi cosa succede, Q.»
Ma quella scuote la testa e si stacca, le labbra che impattano violentemente su quelle di Santana.
E c'è passione e amore e dolore, e Santana sente i denti affondare nella carne del suo labbro inferiore e geme senza riuscire a controllarsi.
Chiude gli occhi e quando li riapre Quinn prende il cappotto.
E Santana non si muove.
Neanche quando sente la porta d'ingresso chiudersi violentemente.

«Le hanno offerto un lavoro, ma deve trasferirsi qui.»
Le parole di Frannie le risuonano nelle orecchie con la stessa forza di una cannonata. Ha la testa che le scoppia e le mani che non accennano a fermarsi.
Si stringe nella giacca e osserva fuori dalla finestra, mentre sul tavolo della cucina il pranzo si fredda. Frannie ha cucinato per tutti e quattro, ma Quinn non è tornata e ha il telefono staccato. Sua sorella non sembra preoccupata, o forse è brava a nasconderlo, perché sta seduta lì e sta sbocconcellando la sua fettina di carne senza problemi.
Santana, d'altra parte, non riesce a stare seduta. Non riesce a non pensare. Vorrebbe solo spegnere il cervello per qualche minuto, senza aver voglia di vomitare.
In un modo o nell'altro si rimprovera di essersi lasciata andare ancora una volta.
Lo sapevo che finiva così.
Idiota.
Continua a ripeterselo senza sosta, le unghie che graffiano il bancone della cucina. Dave sta sparecchiando, e Santana sente Frannie spostare la sedia e camminare fuori dalla sala da pranzo e andare in soggiorno.
«E' preoccupata quanto te, Santana.»
E per la prima volta Santana si volta a guardare qualcosa che non sia l'albero al di fuori della finestra.
Incontra gli occhi scuri di Dave, e capisce immediatamente che anche lui è preoccupato per Quinn, ma c'è qualcosa, nei suoi occhi, che le rivelano che non lo è solo per Quinn.
«Frannie e Quinn sono cresciute con un padre che le voleva perfette. Non sono abituate ad esternare i problemi. Ho imparato a conoscerla e credimi, è preoccupata.»
Santana annuisce e si morde le labbra, il senso di colpa per aver pensato il contrario a macerarle lo stomaco.
«Ascoltami.»
Dave le prende le mani tra le sue a la invita a sedersi intorno al tavolo. Sposta la sedia e si accomoda di fronte a lei, le mani grandi e bianche a contrasto con quelle piccole e ambrate della latina.
«E' l'occasione della vita, lo sai. E tu probabilmente sei l'amore della sua, di vita.»
Santana manda giù difficilmente, tremando un po' per quella definizione e facendo sorridere l'uomo davanti a sé.
«Perderà in entrambi i casi qualcosa di profondamente importante. E tu puoi aiutarla a scegliere. Devi solo dirle di restare, Santana. »
La mora tira su col naso, passandosi la manica della giacca sugli occhi gonfi.
«Chiedile di restare, e lo farà. Ma assicurati che ne valga la pena»
E poi fa qualcosa che Santana non si aspetta.
La stringe tra le braccia forti e le bacia la fronte, con fare paterno. E Santana capisce subito che il bambino non ancora nato nel soggiorno, sarà un bambino molto fortunato.

Quando Quinn rientra, è tardo pomeriggio e fuori piove.
E' bagnata fradicia, e il viso è completamente zuppo dall'acqua e dalle lacrime che non ha ancora smesso di versare.
Santana la guarda, seduta sul divano a gambe incrociate e con un libro tra le mani. Alza gli occhi e accarezza con lo sguardo quelli di Quinn e sussurra nella sua direzione.
«Mi hai fatto spaventare, Fabray.»
La bionda annuisce e appende il soprabito, strofinando le mani tra di loro ed evitando accuratamente di guardare la donna a qualche passo da lei.
Santana le fa cenno di sedersi e Quinn vorrebbe dirle di no, vorrebbe dirle che non ce la fa a starle vicino sapendo di dover fare quel discorso con lei, ma gli occhi della mora le rivelano che sa già tutto.
Frannie, pensa Quinn.
Gliel'ha detto lei.
Si lascia cadere sul divano, il corpo che sfiora impercettibilmente quello più caldo dell'altra ragazza che posa il libro sul tavolino e si volta a guardarla.
Ha gli occhi gonfi e rossi, e Quinn vorrebbe prendersi a pugni e urlare per averle fatto del male.
«Non è colpa tua.»
Le mani di Santana le sfiorano il viso, accarezzandole le guance.
Il pollice che le lambisce il labbro inferiore. Quinn sta per scoppiare nuovamente, ma la bocca di Santana è sulla sua, impedendole di piangere.
«Non è colpa tua.»
Sussurra di nuovo.
«Santana io non...»
«Devi farlo Quinn.»
E quelle parole le dice prima di ripensarci. Le dice prima di accorgersi di averle dette davvero. Le dice perché non può fare altro.
Perché è convinta di non meritarla, una come Quinn. Perché non può impedirle di realizzare un sogno solo per stare con una stupida come lei.
«Non voglio San.»
«Certo che vuoi.»
Se lo bisbigliano sulle labbra, come un segreto, mentre le loro mani cercano più pelle da accarezzare, sfiorare, toccare.
«Non posso permetterti di lasciartela scappare. Perché ti amo, Lucy Quinn Fabray.»
Quinn geme e singhiozza nello stesso tempo quando Santana le fa quella confessione, mettendosi su lei e facendo aderire la schiena della bionda alla pelle del divano.
La mano di Quinn scivola sotto la sua maglia, accarezzandole il ventre e accoglie nella sua bocca i lamenti di Santana quando le sue unghie le raschiano gli addominali.
«Ti amo Quinn. E voglio vederti felice.»
La mano di Quinn le risale la coscia, ancora coperta dalla stoffa dei jeans, e si ferma a slacciarle il bottone e la cerniera.
«E se questo è il prezzo che devo pagare per vederti felice, non posso fare altro che accettarlo.»

Angolo degli alcolisti anonimi.
Io vi prego di non insultarmi. Lo so, lo so. Ma io sono immersa nell'angst in questo momento e non ho potuto fare altro.
Per cui il prossimo è l'ultimo capitolo.
Spero che la storia non deluda le aspettative. Ci tengo molto perché è la prima long che riesco a portare a termine, e sono affezionata a queste due dementi e in generale a tutti i personaggi.
Per cui ringrazio tutti quelli che leggono, seguono, recensiscono e tutta l'allegra compagnia.
Siete bbbbelli.

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Capitolo 14
*** 13. Lovers eyes. ***


13. Lovers Eyes.


Gli occhi di Quinn si chiudono , l'ultimo gemito che muore soffocato nel cuscino, mentre il suo corpo ancora scosso, viene accarezzato dalle labbra di Santana, che risale il suo stomaco girando attorno all'ombelico con la lingua e poi i denti che mordono piano la pelle del ventre.
Quando i loro visi si sfiorano, il naso che leggermente preme su quello di Quinn e due sorrisi complementari spuntano sulle loro facce.
Santana la bacia, leggera, con una totale devozione che qualche secondo prima ha dedicato al resto del suo corpo e Quinn trema.
Perché è innamorata.
Perché si sente amata, per la prima volta e davvero.
Perché solo di lì a qualche ora, sarebbe salita su un aereo che l'avrebbe portata dall'altra parte del mondo, lontano da tutto.
Lontano da Santana.
La latina sembra leggerle nel pensiero, mentre le passa una mano tra i capelli, graffiandole dolcemente la nuca. Le lascia un bacio sulla guancia, sulla fronte, su entrambe le palpebre. La sente singhiozzare e le stringe le braccia attorno alla vita.
Le unghie conficcate nei palmi delle mani per impedirsi di piangere.
Qualcosa si incrina, in Santana, quando sente l'ennesimo singhiozzo e una sensazione umida sulla spalla. Manda giù a vuoto.
Una, due, mille volte.
Chiude gli occhi e si schiarisce la voce prima di sussurrare parole di conforto a Quinn.
Ha sempre avuto un'ottima predisposizione alla recitazione. Ha finto interesse per gli uomini fino a qualche anno prima e ci era riuscita alla grande.
Ma davanti a quella ragazza rotta tra le sue braccia, diventa quasi impossibile:
Quinn un po' sorride, tra le lacrime.
Si issa sui gomiti e si porta su Santana.
Non parla. Lascia che siano i suoi baci a farlo per lei.
E quando Santana inizia ad ansimare, alterna i baci alle parole.
Ti amo.
Bacio.
Ti amo.
Bacio.
E Santana perde la testa.
Lo sente nella pancia, quel dolore. Quel distacco imminente. Se lo sente nelle ossa, le stesse che Quinn le stringe tra le mani. Lo sente sulla pelle, che le sue labbra stanno assaggiando.
E se lo sente nel cuore.
Quello che Quinn si è preso e sta per portarsi dall'altro lato dell'Oceano.

Gli occhi di Mike si soffermano sulla distesa di pelle lattea al suo fianco.
Brittany dorme rannicchiata come una bambina, un braccio sotto al cuscino e le gambe raggomitolate. Un broncio adorabile sul viso e la sua voce che riecheggia nella stanza vuota.
Mike l'ha scoperto dopo la loro prima volta che la bionda ha l'abitudine di parlare nel sonno.
Ogni tanto sente il suo nome. Ogni tanto quello del suo gatto.
Più di una volta quello di Santana.
Ma lo dice con un tono tipico di una bambina che cerca la sua migliore amica per farle vedere l'ultima bambola sul mercato.
Con la stessa intensità con cui si cerca una sorella che non si vede da molto.
E Mike non è geloso.
Si limita a godersi quella voce, ad abbeverarsi di quella vista.
Con il cuore un po' più leggero e spensierato nel petto.
Poi Brittany si muove, lo cerca. La mano che si stringe attorno al lenzuolo e il viso che si avvicina al petto di Mike, che sente il suo respiro impattare sulla pelle calda del suo torso.
Brittany poggia la testa lì, sorridendo.
Nessuno dei due parla. Mike con troppi pensieri nella testa.
Con la voce di Quinn che gli rimbomba nelle orecchie.
“Prenditi cura di lei Mike. Fallo per me”
Vederla piangere non è mai stato facile.
Ma vederla combattuta e indecisa, era stato ancor peggio. Perché Quinn era sempre stata risoluta, sin dalla tenera età. Sin da quando la loro maestra delle scuole medie l'aveva accusata di aver copiato il compito e lei si era alzata in piedi, aveva attraversato la classe a testa alta e puntando un dito sulla cattedra aveva ripetuto per filo e per segno ogni esercizio svolto in classe.
La maestra non l'aveva mai più importunata, da allora.
«Starà bene, Mike.»
La voce di Brittany sembra la sua unica ancora di salvezza.

Gli occhi di Puck osservano quella scena con minuta attenzione. Quinn che si abbassa sulle ginocchia e con la mano sfiora la guancia rosea di una bambina dai capelli biondi. Sua figlia.
Beth annuisce, gli occhietti lucidi e la manina stretta in quella di sua madre, ed entrambe guardano Quinn con le labbra tremolanti e un accenno di pianto.
Quinn la solleva tra le braccia e le schiocca un bacio su entrambe le gote della piccola prima di stringersela al petto e inalare l'odore dei suoi capelli.
Brittany e Mike sono poco più dietro, a guardare quella stessa scena.
Ad entrare in un quadro che non è il loro, ma che è troppo affascinante per essere ignorato. Santana è accanto a lui. Gli occhi bassi.
Puck non le parla.
Ma la sua mano trova quella della latina e la stringe forte, intrecciando le dita tra loro. Se la porta alle labbra, e un mezzo sorriso sfocia sul viso di Santana, per il leggero fastidio che la barba del ragazzo le provoca sulla pelle.
Puck sospira.
E' liberatorio, vederla sorridere.
Non lo fa da tempo.
Troppo tempo.
Da qualche mese prima, quando tornata da Londra si era fiondata a Lima.
Aveva dormito a casa sua e si era stretta a lui, di notte.
Ma non aveva mai pianto.
Quella era la sua ragazza di Lima Heights.
E a Lima Heights non erano concesse le lacrime.
Ma Puck poteva vedere oltre quelle barriere.
E non c'era nulla di buono.
Sente Quinn ridere in lontananza e rialza lo sguardo.
Vede i genitori adottivi di Beth stringerla in un abbraccio, raccomandandosi con lei e facendosi promettere dalla bionda di ricevere sue notizie.
Quinn lascia un bacio sulla guancia di ciascuno e poi soffia qualcosa all'orecchio di Beth che sorride e annuisce.
Tende la mano a Quinn che la stringe e poi entrambe si avvicinano a loro. Santana si irrigidisce.
Poi si abbassa sulle ginocchia e saluta Beth arruffandole i capelli.
E Puck non può fare a meno di sorridere verso Quinn quando la piccola esclama.
«Almeno tu verrai a trovarmi, Sannie?»

Gli occhi di Brittany si soffermano sulle grandi vetrate dell'aeroporto.
Il cielo è limpido, oltre il vetro freddo e la giornata è la tipica giornata estiva, che le fa venire voglia di andare in giro in bici, o addirittura in spiaggia.
La mano di Mike nella sua è nervosa e agitata. Si volta a guardarlo.
Gli occhi del ragazzo sono fissi sullo sportello dove Quinn sta chiedendo informazioni per il volo.
«Dovresti andare a parlarle. »
Suggerisce e Mike la guarda, spaventato.
«Avanti, vai.»
Il suo ragazzo si avvicina alla sua migliore amica, che immediatamente trova spazio tra le sue braccia.
Non c'è traccia di gelosia, nel cuore di Brittany. E' talmente puro e felice che non saprebbe neanche di cosa essere gelosa.
E poi la conosce, quella sensazione.
Quel bisogno fisico di avere accanto la tua anima gemella. Quella persona che ti capisce al volo, senza bisogno di parole. Quella che con un solo sguardo capisce come stai.
E istintivamente si volta verso Santana.
E' raggomitolata tra le braccia di Puck.
Brittany si siede accanto a loro.
Puck le schiocca un bacio sulla guancia, e Santana nasconde il viso nel suo collo.
Si tiene alla maglia di Puck e Brittany sorride, vedendo le sue nocche bianche.
«Puoi piangere, Santana. Non l'hai ancora fatto.»
Puck sospira e le accarezza i capelli, trovandosi tristemente d'accordo con la bionda. Sa esattamente quanto serva a Santana esternare quei sentimenti.
O esploderà, prima o poi e non sarà un bel momento per nessuno.
«Non voglio Brit.»
Quella alza le sopracciglia, confusa.
«Non posso.»
Un sospiro.
«Per lei.»
Il suo indice si alza e punta verso i due ragazzi un po' più distanti da loro. Mike ha gli occhi lucidi, Quinn sta di nuovo piangendo.
Ed è forse quello.
O la mano di Brittany nella sua.
O le carezze di Puck sui suoi capelli.
Ma il singhiozzo le esplode nel petto e prorompe dalle sue labbra. Forte, animalesco, straziante.
Puck la stringe. La testa di Santana che cade sulla spalla di Brittany.
E poi il rumore di un aereo che sovrasta la sua sofferenza.

Gli occhi di Santana fissano il tabellone delle partenze.
La voce nell'altoparlante ha chiamato il volo di Quinn.
La bionda è davanti a lei. Si sta torturando le mani.
Santana le si avvicina e le prende tra le sue. Se le porta alle labbra e le bacia, sospirando appena quando una lacrima le scivola sulla guancia.
«Non piangere.»
Le bisbiglia Quinn.
E a Santana fa lo stesso effetto di un pugno nello stomaco.
Le bacia le labbra.
Uno, due, tre volte.
Le sfiora il naso e poggia la fronte sulla sua.
Quinn non piange.
Non più.
Stringe i denti e poi se la tira addosso.
«Mi mancherà il tuo profumo.»
E Santana si stringe a lei, quasi a volerglielo imprimere più forte, sotto la pelle.
E si fa più piccola. E vorrebbe chiederle di nasconderla nella valigia, e portarla con lei, e non lasciarla più. Ma quella dannatissima voce chiama per la seconda volta il volo e Santana sente Quinn che scivola via.
«Ti chiamo appena arrivo, va bene?»
Annuisce.
Le labbra a subire la tortura dei suoi denti.
«Santana non voglio lasciarti.»
«Lo so.»
Quinn le tira il colletto e schianta le loro labbra di nuovo insieme.
Forse per l'ultima volta.
E quella rivelazione spinge Santana a prenderle il viso tra le mani e schiacciarsi addosso a lei, ancora più forte.
Si staccano con il respiro affannoso.
«Non ti libererai di me, ragazzina.»
Santana sorride, mentre altre lacrime le scorrono sulle guance.
Le da un ultimo bacio.
Quel “ti amo” che le rimane sulla bocca.
Quinn saluta tutti con un cenno del capo.
E poi sparisce dietro quella porta.
Santana stringe le palpebre e si concentra.
E nella sua mente si disegna perfettamente quello sguardo.
Quegli occhi.
Quinn.

Angolo degli alcolisti anonimi. (SOB)
Gente. Siamo arrivati alla fine.
Io non ce la posso fare fondamentalmente perché.
BOH. In principio, mi sa.
Non so cosa dire. Aver finito una long per me ha più o meno la stessa valenza di una medaglia d'oro alle olimpiadi.
Sono commossa da me stessa.
Io devo ringraziare tutti tutti tutti tutti.
Chi ha letto, recensito, seguito, preferito, ricordato. Tutti.
Spero che il finale sia sufficientemente decente. Ho voluto rimetterli dentro tutti. O quantomeno tutti quelli che a questa storia hanno lasciato qualcosa. E spero che per voi vada bene.
E spero che nessuno voglia odiarmi.
Insomma ho tante speranze.
Graffie.

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