The price I pay. di Shellyng (/viewuser.php?uid=95940)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. A time to heal. ***
Capitolo 3: *** 2. Like nobody's watching. ***
Capitolo 4: *** 3. Little talks. ***
Capitolo 5: *** 4. I wish you were here. ***
Capitolo 6: *** 5. Goodnight. ***
Capitolo 7: *** 6. Not yet. ***
Capitolo 8: *** 7. One more kiss. ***
Capitolo 9: *** 8. Jealousy suits you well. ***
Capitolo 10: *** 9. Just us. ***
Capitolo 11: *** 10. Come with me. ***
Capitolo 12: *** 11. While you sleep. ***
Capitolo 13: *** 12. Taking chances. ***
Capitolo 14: *** 13. Lovers eyes. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
QS part 1
Titolo:
The price I pay.
Fandom: Glee
Personaggi/Pairing(s): Santana Lopez/Quinn
Fabray
Avvertimenti:
femslash, het.
(Quinn
non ha mai frequentato il McKinley ed è più
grande di un anno, studia
alla Louisville ed è una gran figa, ma questo non
è tanto differente
dal telefilm XD)
Note: i personaggi hanno la sfortuna di non
essere miei. Nessuno mi paga per scrivere questa roba, molti lo
farebbero per farmi smettere.
Prologo.
“Io
odio la geografia”
Santana alza gli occhi al cielo,
massaggiandosi le tempie e dandosi un'occhiata intorno. Le grandi
librerie della biblioteca che si stagliano davanti a lei, e intorno,
una schiera di tavoli occupati da studenti.
In quella biblioteca
che l'ha fatta riflettere sulla sua relazione, la stessa nella quale
i suoi dubbi sono diventati reali e la sua vita ha cambiato
direzione.
Un ragazzo sulla ventina, capelli biondi e occhi verdi
la sta osservando, è già la seconda volta che lo
coglie in
fragrante mentre la fissa. Santana abbassa lo sguardo.
Non che non
sia abituata, ma non può e non vuole cadere in tentazione.
E'
passato troppo poco tempo, e mentre la sua parte razionale le urla di
uscire e andare a divertirsi, perché, dannazione, ha solo
vent'anni;
la sua parte irrazionale, ancora totalmente innamorata di Brittany,
le dice che no, non sarebbe giusto. Per nessuna delle due.
E
allora Santana torna sui libri, torna a sottolineare le parole e
sfogliare le pagine, torna a concentrarsi per togliersi dalla mente
quel pensiero, quegli occhi azzurri e quei capelli biondi.
“Non
è così male come sembra”
La voce accanto a lei le arriva alle
orecchie vellutata e bassa, e alzando lo sguardo trova quello di una
bionda che ha già visto nei corridoi, qualche volta.
Santana le
sorride, arricciando il naso e indicando il libro davanti a lei.
“A
me sembra peggio..” ridacchia, osservando l'altra.
“Oh,
figurati. Se ce l'ho fatta io, puoi farlo sicuramente anche
tu”
Santana annuisce e si morde le labbra, osservando
l'abbigliamento della bionda. Un paio di jeans e una camicia a mezze
maniche. I capelli sparati in ogni direzione, corti e ribelli.
“Sei
al secondo anno, vero?”
“Si, tu invece sei una matricola a
quanto pare”
“Santana. E sì, sono una matricola, ma vi
darò
del filo da torcere”
Le risate di entrambe si mescolano, mentre
qualche altro studente gli rivolge qualche occhiataccia, intimandogli
di fare silenzio.
“Quinn; e non vedo l'ora di scoprire cosa puoi
fare, ragazzina”
E l'altra spalanca la bocca, offesa e
divertita. La sua fama di stronza totalmente annullata in quel nuovo
ambiente.
“Non sono una ragazzina, e sei solo un anno più
grande!” la rimprovera.
Quinn annuisce e poi indica con il viso
il tavolo davanti al loro.
“A quanto pare hai già fatto
conquiste, ragazzina”
L'enfasi che ci mette sul ragazzina, fa
sorridere Santana, che decide di stare al gioco e alza lo sguardo,
incrociando per la terza volta quella del biondo sconosciuto.
“Non
mi interessa” conclude, solenne.
Quinn alza un sopracciglio e la
fissa.
“Perdonami, chi ti ha sputato nel caffè
stamattina?”
ghigna mentre Santana sbuffa e si passa una mano tra i capelli.
“Mi
dispiace, è la terza volta che lo becco e mi irrita un
po'”
mormora.
Quinn annuisce e le prende il viso con la mano, facendola
voltare.
E poi, dolcemente, posa le labbra sulle sue.
Santana
la fissa sbigottita non appena si staccano.
“Che diavolo fai?
Non ti conosco nemmeno!”
Quinn scoppia a ridere alla faccia
perplessa e arrabbiata dell'altra.
“Santana, calmati. Guarda..”
Entrambe si voltano. Il ragazzo di poco prima è scomparso.
“O
ha perso le speranze, o non ha retto la nostra immagine”
“Tu
sei fuori di testa”
“Un giorno mi ringrazierai, ragazzina”
E
il sorriso emblematico che le rivolge prima di alzarsi e sparire nel
corridoio, fa pensare a Santana che un giorno, in realtà, se
ne
pentirà amaramente.
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Capitolo 2 *** 1. A time to heal. ***
1.
A time to heal.
Suo
padre le raccontava sempre che, il giorno in cui è nata non
è stato
un giorno come gli altri.
Quella mattina lui aveva deciso di
passare la giornata rilassato nel suo ufficio, ordinando alla sua
segretaria di annullare tutti gli appuntamenti e lasciargli il
calendario libero nei giorni seguenti perché “La
mia piccola
stella potrebbe nascere da un momento all'altro”.
Quello che non
aveva calcolato, era che Santana sarebbe venuta al mondo quello
stesso pomeriggio, facendolo correre in ospedale come un forsennato,
in camicia e cravatta, per le strade di Lima.
Era arrivato di
corsa, senza neanche fermarsi a chiedere dove avevano portato sua
moglie. L'aveva sentito, in qualche modo. Ed era arrivato davanti
alla sala operatoria proprio nel momento in cui la porta si era
aperta e i medici stavano facendo entrare la barella.
Aveva tenuto
la mano di sua moglie per tutto il tempo, trattenendo i conati di
vomito dettati dall'ansia.
Poteva giurare di aver respirato una
sola volta, in tutto quel tempo.
Quando Santana aveva pianto per
la prima volta, dopo dieci interminabili secondi.
Allora era
tornato a vivere, piangendo a sua volta, osservando quella bambina
tra le braccia dell'infermiera dai capelli biondi.
Sua figlia.
Le
aveva raccontato che il giorno del suo terzo compleanno, tra la folla
di parenti e amici che era arrivata per festeggiare quella piccola
principessa ispanica, Santana era corsa fuori in giardino, sbraitando
contro una farfalla che non voleva lasciarsi prendere.
E allora
lui le era andato vicino, le aveva chiesto se c'era qualcosa che
potesse fare per convincerla ad entrare e lei le aveva risposto;
“Papà, voglio essere felice, voglio quella
farfalla!”
E
lui aveva riso, si era tolto la sua giacca, e insieme avevano tentato
di acchiappare quel piccolo animaletto, senza riuscirci, ma con la
profonda gioia di averci provato, insieme.
Pochi mesi più tardi,
durante il suo primo giorno di scuola materna, Santana si era
attaccata alla gamba di suo padre, implorandolo di non abbandonarla.
Lui si era voltato verso la moglie, sorridendo e s'era inginocchiato
per guardare sua figlia negli occhi.
“Piccola, verrò a
prenderti tra qualche ora, non voglio abbandonarti”
“Ma sarò
triste se non ci sarai tu” gli aveva mormorato Santana.
E quello
aveva preso un respiro, e combattendo la voglia di stringerla tra le
braccia e portarsela via, le aveva baciato la fronte.
“Starai
bene. E se sarai triste, pensa che lo sarò anche io,
così potremo
essere tristi insieme”
E lei aveva deciso di provarci.
E
quando in lacrime, l'aveva abbracciata, dopo il funerale di suo
nonno, le aveva detto di non pensarci.
“Sai, Santana, la vita si
divide in momenti. C'è un tempo per ridere, un tempo per
gioire, un
tempo per piangere e un tempo per morire. Ma non devi mai fermarti,
perché poi la vita corre e ti lascia indietro. Promettimi
che non ti
fermerai, mai. Qualsiasi cosa accada”
E Santana l'aveva
guardato, gli occhi rossi e gonfi e aveva annuito.
E ora non
l'avrebbe deluso.
Avrebbe ricominciato a correre dietro la
vita.
Quello era il suo momento per guarire.
“Guarda
dove metti i piedi, imbecille”
Santana guarda l'altra ragazza
raccogliere i libri in fretta e furia e scappare per il corridoio,
mentre lei finisce di risistemare i suoi appunti.
Un paio di occhi
si fermano su di lei e alzando lo sguardo nota Quinn accanto ad un
ragazzo asiatico, dal sorriso contagioso. Santana si ritrova a
sorridergli senza un motivo preciso, scuotendo la testa e avviandosi
verso l'aula della sua prossima lezione.
Spinge la porta dell'aula
e si sistema tra gli ultimi banchi, scegliendo con cura il suo
posto.
Inforca gli occhiali e rilegge velocemente gli appunti
dell'ultima lezione, correggendo qualche errore qua e la.
“Dovresti
stare attenta nei corridoi”
Accanto a lei, quel ragazzo di poco
prima sta nuovamente sorridendo e lei alza un sopracciglio,
curiosa.
“Sono un po' nervosa ultimamente, saranno i troppi
caffè che prendo per sostenere i ritmi delle
lezioni” ride, e
l'altro le allunga una mano, divertito.
“Io
sono Mike”
“Santana”
“Bel nome, sei di queste parti?”
chiede e Santana si ripromette di non essere sarcastica o scontrosa.
Vuole veramente avere qualcuno con cui parlare, e quel ragazzo timido
e carino sembra fatto apposta per quello.
“In realtà sono di
Lima, in Ohio”
“Sul serio? Anche Quinn viene da Lima. O
meglio, i suoi genitori vengono da lì”
Santana apre la bocca
per rispondere, ma viene interrotta dalla porta che si apre,
rivelando la figura del professore che saluta la classe e inizia
immediatamente a spiegare la lezione del giorno.
Santana vede Mike
prendere dettagliatamente appunti sul quaderno e per un attimo segue
il movimento costante delle sue mani che leste muovono la penna sul
foglio.
Poi scuote la testa e torna a concentrarsi.
Quando il
professore li congeda, un'ora dopo, Santana si stiracchia e fissa,
invidiosa, l'ordine con cui Mike tiene il suo quaderno.
“Come
diavolo fai? E' così preciso!” mugugna, arresa e
quello la prende
in giro, sistemandole i mille fogli che ha sparso sul banco.
“Me
l'ha insegnato Quinn” ribadisce lui.
“State insieme?”
Santana
si morde le labbra subito dopo, rimpiangendo di avergli posto quella
domanda. Ma gli occhi di lui sembrano illuminarsi ogni volta che la
nomina, e Santana è sempre stata conosciuta per il suo
istinto.
“Io
e Quinn? No, davvero. E' la mia migliore amica”
E Santana la
conosce quella storia.
E' una delle storie più vecchie del
mondo.
“Certo, come no..”
Mike la guarda perplesso,
aggrottando la fronte. Poggia il gomito sul banco, fissando curioso
la sua nuova conoscenza e tamburellando con le dita sul legno.
“Dico
sul serio, siamo solo amici”
Santana sbuffa, una mezza risata
sulle labbra.
“Inizia sempre così, lo sai? Prima siete solo
amici, poi uno dei due si innamora, ci provate, ci credete e alla
fine va tutto a puttane perché non sei capace di portare
avanti
l'unica cosa buona della tua vita!” sbotta, infilando
grossolanamente i fogli nella borsa ed alzandosi di scatto.
Mike
la ferma, bloccandole un polso e avvicinandosi.
“Andiamo, hai
bisogno di rilassarti”
“Non ho mai visto questo
posto”
Santana sorride, immersa nell'erba alta di quel giardino
alle spalle del grande complesso universitario. Respira a pieni
polmoni, inalando il profumo dei fiori lì vicino.
Mike la guarda
contento, staccando fili d'erba di tanto in tanto e contemplando il
panorama. Nessuno dei due parla. Santana si è pentita di
aver
liberato i suoi pensieri a qualcuno che ha conosciuto da
così poco,
ma il silenzio di Mike la convince che forse, non ha poi sbagliato
così tanto.
“Ci vengo spesso, qui. E' un bel posto, mi aiuta a
riflettere e ritrovare la calma”
Santana annuisce, socchiudendo
gli occhi. La luce del sole che le bacia la pelle.
“Chang, ecco
dove sei, ti ho cercato dappertutto”
Santana sbarra gli occhi,
la voce di Quinn che le invade le orecchie.
“Oh, Quinn!
Perdonami, volevo far vedere a Santana il nostro posto preferito, a
proposito, lei è Santana, Santana, lei è
Quinn”
Si guardano
per un secondo, la bionda con il solito sorriso strafottente sulle
labbra.
“Ci conosciamo già, non è vero
ragazzina?”
E
quella non le risponde nemmeno, sbuffando e lasciando andare la testa
sul manto d'erba. Non le va di discutere. Quel bacio è stato
un
errore e soprattutto è stata tutta colpa di quella bionda
fuori di
testa.
“Il gatto le ha mangiato la lingua? Perché fino a
due
giorni fa..”
“QUINN”
Santana urla, lanciandole un
quaderno, che la bionda evita facilmente ridendo.
“Ok, mi sa che
mi sono perso qualcosa” mormora l'asiatico, passandosi una
mano tra
i capelli e grattandosi la testa perplesso.
“La tua amica è
deficiente, ecco cosa ti sei perso” sbraita Santana
mettendosi in
piedi e raccogliendo le sue cose. I due la guardano mentre rimette in
ordine in borsa i quaderni e si avvia verso l'entrata.
Quinn
sbuffa, mentre Mike la incita a seguire Santana.
“Santana,
andiamo. Aspetta..”
La raggiunge facilmente, fermandola per un
polso e facendola voltare.
“Mi dispiace, va bene? L'ho fatto per
aiutarti e mi dispiace se ti ho turbata, in qualche modo. A quanto
pare piaci a Mike, quindi per favore, possiamo ricominciare?”
Santana rotea gli occhi.
“La smetterai di chiamarmi
ragazzina?”
Quinn piagnucola, mettendo un broncio che Santana
si ritrova a ritenere oltremodo adorabile.
“D'accordo,
guastafeste”
Santana sorride soddisfatta, poi, sinuosa come un
gatto, le passa accanto e torna da Mike, che felice sorride e
comincia a parlare delle lezioni, della danza e di tutta la sua
vita.
Santana scopre che è un ballerino, che un giorno vuole
andare a New York e ballare in qualche compagnia, che è uno
dei
primi della classe, e che gli piace rilassarsi e divertirsi, come
qualunque altro ragazzo.
Quinn rimane seduta in disparte,
osservandoli di tanto in tanto e ridendo alle battute senza senso del
suo migliore amico.
Mike scopre che Santana è stata una
cheerleader, una di quelle stronze e senza cuore che comandano le
loro scuole terrorizzando gli sfigati. Scopre che ha fatto parte di
un club canoro, e a tutti e tre si forma un sorriso sulle
labbra.
Scopre che il suo migliore amico si chiama Puck, ed ha una
cresta che sembra “la coda di un gatto
spelacchiato” a detta di
Santana.
Quando tutti e due finiscono di ridere, Santana si volta
verso Quinn, sperando in qualche modo di conoscerla meglio.
Ma
quella rimane in un silenzio tutto suo e quando parla, non lo fa per
raccontarsi.
“Stasera andiamo in un locale, ti va di venire?”
“Che
razza di locali frequentate!?” esclama ridendo Santana,
mentre un
gruppo di ragazzi corre per l'intera stanza, rincorrendosi e
lanciandosi noccioline.
“E' un bar, e avrai anche una bella
sorpresa, rag-” l'occhiataccia di Santana le fa morire le
parole in
gola.
Mike si lancia in mezzo alla folla che balla al centro del
locale, mentre Quinn raggiunge il bar, sorridendo al ragazzo dietro
il bancone con il quale sembra avere una certa confidenza. Santana si
stringe nelle spalle, strofinandosi le braccia e osservando in
giro.
Un ragazzo incrocia i suoi occhi e le sorride, facendole
l'occhiolino e Santana sente le guance avvampare a quel semplice
gesto.
Abbassa lo sguardo, fissando le mattonelle come se da un
momento all'altro una voragine potesse aprirsi sotto di lei e
risucchiarla negli inferi.
“Non posso lasciarti sola due minuti
che fai conquiste” mormora Quinn, approfittando della
situazione.
“Oh, falla finita”
La bionda ride, allungandole
un bicchiere di chissà quale alcolico che Santana guarda di
traverso.
“Avanti, non voglio farti bere per poi approfittare di
te, rilassati”
E a Santana sembra di non aver fatto altro che
roteare gli occhi da quando ha conosciuto quella bionda.
“Non so
niente di te, perché dovrei fidarmi?” ribatte,
piccata.
Quinn
la osserva un po', prima di avvicinarsi ad un tavolo appartato e
lasciarsi cadere sulle comode poltrone.
“Significa che sei
interessata a sapere qualcosa?”
“Forse”
Quinn annuisce,
posando il suo cocktail sul tavolo e incrociando le braccia sul
legno.
“Cosa vuoi sapere?”
Santana fa finta di rimuginarci
su, spiando di tanto in tanto l'espressione della bionda. Gli occhi
verdi fissi a guardarla.
“So che i tuoi sono di Lima..”
inizia, e Quinn aggrotta le sopracciglia.
“Non è una domanda”
mormora.
“Perché siete andati via?” chiede,
notando
l'espressione di Quinn.
“Un trasferimento di mio padre, doveva
durare solo un paio di mesi, poi mia madre ha scoperto di essere
incinta, e sono rimasti qui. E' la storia della nostra famiglia,
rimanere incinta troppo presto”
Santana cerca di non far
trasparire alcuna emozione, ma chiunque si accorgerebbe del suo
irrigidimento.
“Hai un figlio?” chiede, boccheggiando.
Quinn
annuisce, sorseggiando il suo alcolico.
“Una figlia. L'ho data
in adozione appena nata. Aspetta..” fruga nella borsa ed
estrae il
portafogli, tirando fuori una piccola foto dai bordi spiegazzati.
Una
bimba bionda, dagli stessi occhi di Quinn sorride sprezzante, lo
stesso sorriso provocatorio della madre.
“Ti somiglia tantissimo
Quinn.. E' bellissima”
Quinn inarca il sopracciglio e si
allunga sul tavolo, avvicinandosi a Santana.
“Vuoi dire che sono
bellissima?” ammicca.
Santana sbuffa e sente immediatamente le
guance andarle in fiamme. Sta per prendere le sue cose e andarsene
via come al solito quando Quinn le prende la mano, bloccandole ogni
singolo movimento.
“Perché?” chiede e Santana rimane
spiazzata e con le labbra semiaperte.
“Perché fai così? Sto
scherzando, Santana. Non ti piace scherzare o cosa?”
La latina
scuote le spalle e socchiude gli occhi, sospirando profondamente e
lasciandosi scivolare sulla sedia, tentando di rilassarsi, anche se
lo sguardo fisso di Quinn che si sente addosso non la sta aiutando
per niente.
“Qualche.. qualche settimana fa ho lasciato la mia
ragazza e..” si ferma, aprendo gli occhi per saggiare la
reazione
sul volto di Quinn.
Ma quella rimane impassibile e continua ad
ascoltarla.
“E non sono ancora pronta per questo tipo di
scherzi, ecco..”
Sente la mano di Quinn stringere la sua, e per
la prima volta le sorride.
Le sorride davvero.
“Mi dispiace,
non potevo saperlo”
Santana accenna un sì con la testa e si
concentra a guardare Mike che si scatena sulla pista da ballo,
accorgendosi solo dopo qualche minuto che la sua mano è
ancora
profondamente intrecciata con quella dell'altra.
Avvampa, cercando
un modo di liberarsi da quella stretta.
“Calmati” mormora
Quinn, leggendole nel pensiero e districando le loro dita.
“Scusa..”
Quinn ride e si alza, girando il tavolo e posizionandosi davanti
a Santana, che la guarda storto.
“Hai bisogno di andare avanti,
e l'unico modo è non pensarci. Avanti ragazzina, andiamo a
ballare”
la incita, indicandole la pista da ballo.
“Ma non dovevi più
chiamarmi ragazzina!” geme Santana contrariata.
“Lo so, ma è
più forte di me. Pensa a qualsiasi altra cosa tu vuoi che io
faccia,
lo farò, promesso” ridacchia, per poi trascinarla
sulla pista da
ballo.
E Quinn non può sapere quanto il prezzo da pagare di
lì a
poco, sarebbe diventato alto.
“La tua esibizione è stata
fenomenale, Santana!” esclama Mike, stretto a Quinn, mentre
le
passa un braccio intorno alle spalle, tenendole entrambe accanto a
se.
“Siete basse, comunque” mormora, gli occhi rossi e
stanchi
e la mezza risata sulle labbra. Quinn gli regala una gomitata nel
costato, mentre Santana ride.
“Non sono bassa! E poi lei è più
bassa di me” sbotta Quinn.
Tutti e tre ridono sguaiatamente
prima di raggiungere i dormitori, e prima che Mike cambi direzione,
andando verso il settore maschile, Quinn gli schiocca un bacio sulle
labbra e Santana lo abbraccia, fissando stranita la bionda.
Non
appena rimangono sole, Santana schiocca la lingua.
“Baci tutti
quelli che ti capitano a tiro, bionda?” e quando Quinn
spalanca la
bocca, indignata, la latina non può fare altro che ridere
ancora e
un po' più forte.
“Che c'è, sei gelosa?” ribatte, piccata,
pentendosi immediatamente.
“Mi dispiace non avrei dovuto”
sospira.
Santana sorride e si avvicina, alzandole il mento con due
dita.
“Va tutto bene, davvero”
Quinn annuisce, scostandosi
e indicando la porta della camera dell'altra.
“Be, buonanotte
allora ragazzina”
Aspetta che Santana apra la porta e poi si
volta, percorrendo il corridoio per raggiungere la sua
stanza.
“Quinn..”
“Si?”
Un mezzo sorriso sulle
labbra di entrambe.
“Grazie, per stasera”
“Quando vuoi,
Santana”
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Capitolo 3 *** 2. Like nobody's watching. ***
2.
Like Nobody's Watching
Mike
aveva sempre saputo,
da quanto riusciva a ricordare, che il suo futuro sarebbe stato su un
palco, in una compagnia di danza.
La legenda che sua madre amava
raccontare diceva che, ancor prima di imparare a camminare, Mike
aveva ballato, volteggiando su se stesso. Lui non ci credeva,
ovviamente, ma era bello pensare che, in una maniera o nell'altra,
fosse nato per fare quello.
Quando suo padre gli aveva impedito di
iscriversi ai corsi di danza, all'età di sette anni, Mike
non aveva
accettato di buon grado quella restrizione, e si era giurato che, un
giorno, avrebbe dimostrato al mondo che ballare non era una perdita
di tempo.
Si era iscritto l'estate successiva, organizzando con
sua madre un piano strategico per nascondere il tutto agli occhi di
suo padre, soddisfatto degli ottimi voti che suo figlio portava a
casa ogni giorno.
Mike ricorda nitidamente il giorno in cui,
tornando a casa da scuola, aveva sentito le urla di suo padre oltre
la porta d'ingresso. Diceva che suo figlio non doveva perdere tempo
con la danza, che non sarebbe mai accaduto e non avrebbe fatto altro
che gettare la sua vita in un sogno vano.
Sua madre, paralizzata
dalla freddezza del marito, era rimasta immobile, senza fiatare.
Mike, a tre passi dalla porta, aveva ceduto alle lacrime e senza
pensarci si era voltato ed era scappato via.
Era stato allora che
aveva conosciuto Quinn Fabray.
Suo padre gli raccontava
costantemente di quanto la figlia dei Fabray fosse perfetta.
Studiosa, diligente e ricca. Un sogno per ogni ragazzo del
quartiere.
Quinn l'aveva visto piangere, mentre giocava in
giardino con la sua sorellina e l'aveva seguito, senza fare
rumore.
Gli si era seduta accanto, quando Mike, stanco della corsa
si era fermato ad una panchina del parco, e lo osservava, senza
parlare.
“Vuoi un po' di cioccolato? Mia mamma non vuole che lo
mangi, ma so che ne tiene un po' nella dispensa e io lo prendo in
prestito”
Mike aveva alzato lo sguardo e incontrato il viso
paffutello della sua coetanea.
Lucy Quinn Fabray non era
esattamente il prototipo della bella ragazza. Le lentiggini,
l'apparecchio e un paio di chili di troppo, ma gli occhi.
Gli
occhi di Quinn, verdi ed espressivi erano la cosa più bella
che Mike
avesse mai visto.
“Grazie, ma non mi piace la cioccolata”
aveva risposto, e Quinn era scoppiata a ridere.
“E cosa ti
piace?” aveva chiesto, con la curiosità dei suoi
otto
anni.
“Ballare” aveva risposto semplicemente Mike.
Quinn
l'aveva guardato mimando “wow” con le labbra e poi
si era
concentrata sui lacci delle sue scarpette, rabbuiandosi di colpo. Il
bimbo l'aveva osservata e prendendo coraggio le aveva chiesto cosa
c'era di sbagliato nella danza.
“Non c'è niente di sbagliato.
E' bellissima, ma io sono un disastro. Mio padre dice che è
colpa
del fatto che sono grassa”
“Ma tu non sei grassa” aveva
borbottato quello, e Quinn aveva sorriso, grata.
“E poi non
serve essere magri, posso insegnarti io a ballare”
E allora
l'aveva presa per mano e con l'eleganza di un principe delle favole
l'aveva fatta volteggiare al centro del parco, mentre un gruppo di
ragazzini li osservava, prendendoli in giro.
Ma in quel momento,
in quel parco, il resto del mondo non esisteva.
C'erano solo Mike
e la sua danza. Quinn e la sua risata.
E niente poteva essere più
perfetto.
“Perché hai un sorriso idiota sulla faccia,
Chang?”
Quinn sbuffa per l'ennesima volta, lanciando verso
l'amico il cuscino alle sue spalle. Osservandolo negli ultimi minuti
ha notato un sorriso farsi strada sul viso dell'altro, senza riuscire
a capire a cosa fosse dovuto.
“Stavo pensando alla prima volta
che ci siamo visti” mormora Mike, per poi stringersi nelle
spalle e
continuare a leggere gli appunti, sdraiato sul letto.
Passa
qualche secondo e poi Quinn gli è addosso, accoccolata al
suo
fianco.
“Come sei carino Chang, potrei commuovermi”
sospira,
teatrale, una mano sulla fronte e l'altra poggiata sulla faccia di
Mike, che ride e sgomita per togliersela di dosso.
“Cretina.
Dovevo lasciarti in quel parco, a lagnarti della tua misera vita da
bimba sfigata” ridacchia, Quinn che spalanca la bocca a dir
poco
indignata.
“Punto primo; al massimo sono io che avrei dovuto
lasciarti in quel parco a lamentarti del fatto che papino non voleva
che tu ballassi. E punto secondo; non ero sfigata!” sbotta,
il
pugno che finisce direttamente sulla spalla dell'asiatico che lancia
un urlo divertito.
“Ok, a cuccia tigre!”
Mike le blocca le
braccia, stringendosela addosso e Quinn borbotta qualcosa nel suo
petto, qualcosa che l'altro non riesce a capire.
“Sono ancora
una sfigata” sussurra, prima di alzarsi e andare alla
finestra.
Mike la guarda un istante, prima di lanciarle lo stesso cuscino che
prima aveva usato su di lui.
“Tu non sei una sfigata Lucy Quinn
Fabray. Sei la prima del tuo corso, hai dei voti pazzeschi, sei
bellissima, una delle ragazze più belle che io abbia mai
visto, e
hai una figlia meravigliosa” si ferma, saggiando la reazione
sul
viso di Quinn che si apre in un leggero sorriso. Lo stesso, identico
sorriso di quel giorno di tanti anni prima.
“Mike..”
“Smettila di pensarlo Quinn. E' stata la scelta
più giusta per
te e per lei. E poi tu hai qualcosa che il resto del mondo non
ha”
La
bionda si ferma, perplessa. Il sopracciglio sparato in alto.
“Hai
me!” conclude soddisfatto Mike, prima di essere investito
dalla
risata piena della sua migliore amica.
Quando Quinn smette di
ridere, tenendosi la pancia per lo sforzo, si lascia cadere accanto a
lui sul letto e poggia la testa sulla sua spalla.
“Sei il mio
migliore amico Mike Chang. E ringrazio ogni giorno mia sorella per
avermi trascinato in giardino, quel giorno”
Mike le passa un
braccio intorno alle spalle, commosso. Quinn non esprime sentimenti a
parole, le risulta difficile, probabilmente per colpa dei suoi
genitori, troppo esigenti e poco affettuosi.
Quindi si tiene
quella frase stretta, segno di una piccola vittoria.
“Oddio, ho
interrotto qualcosa?”
Stretti nell'abbraccio non si sono accorti
di Santana, ferma sulla porta a braccia incrociate e con un mezzo
sorriso ironico sulle labbra.
Quinn si sistema sul letto e
immediatamente l'espressione beffarda si dipinge sul suo viso.
“In
realtà sì, Lopez. Ma se vuoi puoi
partecipare” ammicca.
Santana
rotea gli occhi, ormai abituata a quello scambio di battute.
“Ti
piacerebbe Fabray” risponde, schioccando la lingua sul palato.
“Non
ne hai neanche idea” mugugna l'altra, mordendosi le labbra in
maniera indecente.
“Continua a sognare”
Mike le fissa
incredulo, al centro della stanza.
“Ok, voi due ogni tanto mi
spaventate. Possiamo andare avanti?” sbotta, sistemando i
libri
sulla piccola scrivania attaccata al muro.
“Ehi, io sono stata
puntuale. Siete voi che amoreggiavate sul letto”
“Santana”
la rimprovera l'asiatico.
“Si, si. Lo so. Siete solo amici. Ora,
possiamo andare al centro commerciale?”
Mike annuisce, correndo
in bagno per gli ultimi ritocchi e lasciandole sole.
“Va tutto
bene?” sospira Quinn, passandosi una mano tra i capelli corti
e
riavviandoli un po'.
Santana le sorride, annuendo.
“Tu?” le chiede, tendendole la mano per aiutarla a
sollevarsi dal
letto.
“Ora meglio”
“Ma ti prego, è
orribile”
Santana scoppia a ridere, mentre Mike esce dal
camerino con indosso una giacca rossa a quadri, la faccia disgustata
di Quinn, bloccata sulla sedia.
“Non ti parlo più se compri
questa roba Chang”
Mike blatera qualcosa sul gusto poco creativo
della bionda e torna nel camerino per provarsi qualcos'altro.
Santana
si volta a guardare l'altra, ancora paralizzata sulla poltrona e le
scompiglia i capelli.
“Riprenditi Fabray, non la comprerà”
sghignazza, evitando accuratamente lo schiaffo sul braccio che Quinn
ha provato a rifilarle.
“E' orribile. E lui sarebbe capace di
metterla OVUNQUE” sbotta.
Il suono del cellulare di Santana
interrompe il flusso di pensieri sconnessi dell'altra.
Un secondo,
due, cento. Santana rimane a fissare lo schermo con il viso
congelato.
Quando Quinn se ne accorge le si avvicina,
preoccupata.
“Ehi, va tutto bene?” chiede.
Santana non
risponde, rinchiusa nei suoi pensieri.
“E'.. è Brit”
Lo
sguardo puntato sul display del cellulare. La foto di Brittany
sdraiata sul letto con il suo gatto tra le braccia che lampeggia. Le
mani di Santana che tremano attorno all'apparecchio.
Quinn si
abbassa davanti a lei, una mano sul ginocchio della latina, l'altra
che lentamente le alza il viso, in modo da poterla guardare negli
occhi.
Lucidi delle lacrime che non ha mai smesso di
versare.
“Sono settimane che non la senti, San. Avanti, di cosa
hai paura?” chiede, accarezzandole il mento.
Santana sospira.
Posando la testa sulla mano di Quinn.
E forse la cosa peggiore è
che ci si sente bene, con Quinn vicino. Anche se Brittany la sta
chiamando, anche se Mike è solo a qualche passo da loro,
dietro una
tenda.
Anche se il mondo attorno continua a girare, lei sente di
poter rimanere così per sempre.
E poi il telefono squilla ancora
e quella bolla si rompe.
“Va bene” risponde, deglutendo
lentamente.
Quinn le sorride e le stringe il ginocchio,
confortandola.
Santana si alza lentamente e si avvia verso
l'uscita del negozio, il telefono ancora tra le mani. Si gira
un'ultima volta. E il sorriso che Quinn le regala le basta a prendere
coraggio.
“Pronto?”
Brittany chiude gli occhi e
mentalmente conta ogni squillo, ogni secondo che passa tra il suo
indice che preme il tasto di avvio chiamata e la voce di Santana che
risponde dall'altro lato del ricevitore.
Non sa perché ha voluto
chiamarla, non voleva farlo. Sono passate settimane e la loro
promessa di rimanere in contatto è andata persa.
Ma sentire
quella dannata canzone le ha riportato alla memoria tutto. Santana,
il suo viso, le sue lacrime:
Quella stanza del coro che per loro
ha significato tutto.
Si rigira sul letto. Vicino l'armadio a due
ante colorato, una pila di fogli.
Ci sta provando, davvero, ad
esercitarsi nelle materie più difficili per finire il liceo,
ma il
pensiero costante della sua ormai ex-ragazza, le impedisce di
concentrarsi su altro.
E allora ha deciso che comunque non ne
sarebbe valsa la pena stare lì a rimuginare su un calcolo
che tanto
non avrebbe saputo fare.
Che era inutile provarci se Santana non
era con lei.
E vuole dirglielo, davvero.
Il problema è che
quando la latina risponde alla chiamata, la gola di Brittany sembra
chiudersi come per magia e l'aria diventa rarefatta e irrespirabile.
Boccheggia, sentendo le lacrime scivolarle sulle guance, senza
avere la forza o il coraggio di fermarle.
Si stende sul letto. La
voce di Santana che come una preghiera la invita a parlare.
“Mi
manchi San..”
E' l'unica cosa che riesce a dire prima di venire
scossa dai singhiozzi, più forti e più decisi.
Sente solo il
gemito di Santana, segno che anche lei si è lasciata andare
alle
lacrime, prima di chiudere la chiamata e raggomitolarsi tra le
coperte.
“Brit, tesoro va tutto bene?”
Sua madre apre
lentamente la porta, la testa che sbuca, bionda esattamente come
quella di Brittany.
“Ehi, piccola, che succede?”
Si avvia
a passo svelto e si siede sul letto, accarezzando i capelli della
figlia e passandole una mano sulla schiena.
Brittany non risponde.
Le labbra contratte in una smorfia di dolore.
“E' Santana
vero?
Si limita ad annuire, mentre sua madre si stende con lei e
le canta una ninna nanna nell'orecchio.
La sente calmarsi tra le
sue braccia, e poi, lentamente, scivolare tra i sogni.
Le bacia la fronte prima di uscire, lasciandole la porta
aperta quel tanto che basta a fare entrare un po' di luce nella
stanza.
Un sospiro.
E poi il dolce brontolio di Brittany che
mormora nel sonno.
“Va tutto bene?”
Quinn si avvicina
lentamente alla latina, notando le spalle che si muovono in maniera
disconnessa. Non sa come, ma si ritrova le braccia di Santana intorno
al collo e il viso dell'altra schiacciato sulla sua spalla.
Non
appena sente l'umidità delle sue lacrime bagnarle la maglia,
Quinn
capisce che sta piangendo.
Abbozza un sorriso, tentando di
calmarla e le stringe le braccia intorno alla vita.
Vorrebbe dirle
che va tutto bene, ma lo sa che non è così. Si
limita a tenerla
stretta, accarezzandole i capelli e pregando che Santana non noti
quanto a Quinn piaccia il suo profumo.
“Calmati” le
sussurra.
Santana sembra assecondarla per un attimo. Respira
profondamente, il fiato caldo che accarezza il collo di Quinn, che
deve stringere i denti per non gemere a quel contatto.
“Suppongo
non sia andata bene, eh?”
Tenta di scherzare.
Santana finge
un sorriso poco convincente, poi si stacca lentamente e si passa la
manica della giacca sugli occhi, gonfi e rossi.
“Direi di no..”
risponde.
“Forse dovresti parlarle di persona, insomma chiarire
le cose..”
“No” la risposta ferma di Santana la sorprende
per un momento. La guarda, curiosa e scuote le spalle.
“Perché
no?”
L'altra la guarda, il sopracciglio inarcato.
“Perché
no? Sai cosa significa guardare negli occhi la persona che ami e
dirle che non puoi più stare con lei? Non voglio
più farle male Q,
non posso”
Quinn annuisce. Discutere con Santana non servirebbe
in quel momento.
“Va bene, forse hai ragione..”
Un mezzo
sorriso sulle labbra.
“Si può sapere cosa ci trovi di
divertente?” borbotta.
Quinn alza le spalle.
“Mi hai
chiamata Q. Mi piace, è la prima volta che non usi il mio
cognome”
ridacchia, allo sguardo stranito di Santana.
La latina ci riflette
un po' e quasi naturalmente un sorriso si apre sulle sue labbra.
“Non
farci l'abitudine, Fabray”
Quinn scoppia a ridere, passandole un
braccio intorno alle spalle e sfiorandole la tempia con un bacio.
“Ce
la farai ragazzina”
“Davvero?”
“Davvero.
E se ti serve qualcosa puoi sempre contare su di me, o .. o
Mike” balbetta e Santana scopre piacevolmente che Quinn
Fabray è capace di
arrossire.
Si stringe a lei e poggia la fronte sulla sua
spalla.
“Puoi tenermi? Solo un altro po'..”
Quinn
boccheggia un attimo e poi annuisce, pur sapendo che Santana non
può
vederla.
“Certo, tutto il tempo che ti serve”
Entrambe
ignorano che Mike le sta guardando, poggiato al bancone della cassa
del negozio. Un sorriso strano sulle labbra. Si avvicina e scompiglia
i capelli di Santana che si stacca da Quinn e sorride nella sua
direzione.
“Ehi, Jackie Chan, non ci provare!” borbotta,
passandosi a sua volta una mano tra i capelli.
Mike le prende la
mano e la trascina fuori, le sopracciglia di Santana che sparano in
alto verso Quinn che alza le spalle e apre le braccia.
“C'è
solo una soluzione alla tristezza” scandisce Mike,
avvicinandosi al
juke box nel piccolo atrio del centro commerciale.
La musica parte
e riempie l'aria. Santana si ritrova trascinata dalle mani di Mike
che la fanno volteggiare. Una piccola folla di gente che li guarda,
ridendo.
“Chiudi gli occhi” mormora l'asiatico e lei
obbedisce
e si lascia andare. Facendosi guidare dalla musica.
Una figura si
avvicina alla sua e Quinn le è accanto, ridendo delle sue
stesse
mosse stentate.
“Il tuo migliore amico è un idiota e c'è gente” ride
Santana.
“E tu fa finta che non ti stiano guardando ”
|
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Capitolo 4 *** 3. Little talks. ***
3.
Little talks.
Quinn
Fabray non era una ragazza come tante. Probabilmente ad una prima
occhiata, la gente l'avrebbe giudicata superficiale, estremamente
indisponente e probabilmente anche un po' stronza.
E avrebbero
avuto ragione. Perché Quinn era anche quello.
Ma era molto, molto
altro.
Anche se la sua famiglia non l'avrebbe mai ammesso. Anche
se suo padre aveva sempre avuto una propensione naturale verso la
loro primogenita. Frannie era perfetta in tutto anche durante i suoi
primi anni. Aveva grazia, leggiadria, bellezza e dolcezza. Un mix
perfetto per uno come suo padre, che aveva sempre dimostrato di avere
una concezione patriarcale della famiglia.
Frannie era la figlia
modello.
E Quinn ne aveva sempre risentito. Doveva essere
perfetta, in tutto, o altrimenti il paragone diveniva per lei
insostenibile.
Eppure non era mai abbastanza. Quando vinceva le
gare di scienza a scuola, suo padre ricordava a malapena di farle i
complimenti. Quando arrivava prima nelle gare di nuoto, si presentava
raramente e sempre disinteressato e Quinn non riusciva a spiegarsi
perché.
Perché niente di tutto quello lo rendesse felice.
E
poi un giorno aveva smesso di pensarci. Aveva smesso di combattere
contro i mulini a vento e si era arresa.
Se per suo padre non
andava bene, non poteva fare altro che accettarlo.
Aveva iniziato
a lasciarsi andare; fumo, alchol e feste poco raccomandabili.
Fino
a che una sera un ragazzo di nome Josh non l'aveva portata in camera,
la testa che le girava e un sorriso pigro sulle labbra. Le aveva
promesso che tutto sarebbe andato bene, che si sarebbero divertiti. E
le aveva tolto quell'ultima parte di se stessa che la teneva ancora
ancorata a terra.
E non si era neanche preoccupato di lasciarle
un biglietto, la mattina dopo, quando si era svegliata nuda in un
letto che non era il suo, da sola.
La padrona di casa, una sua
amica del liceo, l'aveva riaccompagnata a casa e Quinn aveva rimesso
nel giardino tutto lo schifo che si sentiva dentro.
Non sapeva
ancora cosa sarebbe successo di lì a poco. Non sapeva delle
continue
nausee mattutine che le avrebbero impastato la bocca ogni santo
giorno. Non sapeva che dopo un mese si sarebbe accorta che qualcosa
non andava.
E poi era finita in bagno, seduta contro le piastrelle
fredde della parete, a piangere stringendo tra le mani un bastoncino
che le stava dicendo che di lì a qualche mese sarebbe
diventata
madre.
Frannie aveva bussato alla porta, affacciandosi lentamente
dopo non aver ottenuto risposta. L'aveva intravista, lì
dentro,
raggomitolata su se stessa e le si era seduta vicino.
Nessun
cenno. Nessuna parola.
Le aveva solo stretto la mano, sfilandole
di mano il test di gravidanza e le aveva baciato la fronte.
“Andrà
tutto bene Quinnie, te lo prometto”
E magari non era andata così
bene, ma Quinn se l'era cavata. Quando suo padre l'aveva cacciata di
casa, il viso rosso di rabbia e la mano stretta intorno al polso di
Quinn, trascinandola fuori e richiudendole la porta alle spalle, se
l'era cavata.
Quando sua madre senza muovere obiezioni le aveva
preparato le valige, facendogliele trovare sull'uscio di casa, senza
una scusa o un ripensamento, se l'era cavata.
E quando durante la
prima ecografia, sua sorella le aveva tenuto la mano, sussurrandole
che avrebbe avuto la bambina più bella di sempre, aveva
capito di
aver fatto la giusta scelta.
Era andata a vivere da Mike, ma
Frannie era sempre lì. Costantemente. E i segni sul suo
corpo
dimostravano che loro padre non era d'accordo con quelle scelte.
E
quando le aveva accennato delle scuse per aver rovinato i suoi
rapporti col padre, sua sorella l'aveva fermata e guardandola le
aveva teso il mignolo, come quando erano bambine e giuravano di non
rivelare a nessuno i proprio segreti.
“Sei mia sorella Quinn,
non ti lascerei in questa situazione, per nessuna ragione al mondo.
Avrai questa bambina, studierai e diventerai quello che vuoi e sarai
felice. Perché sei Lucy Quinn Fabray e non può
essere
altrimenti”
“Non sappiamo ancora se è una bimba”
“Una
zia certe cose se le sente”
“E' arrivato l'assegno di tua
sorella” Mike le sventola davanti un pezzo di carta che Quinn
riconosce subito. La scrittura rotondeggiante e limpida di Frannie
sulla busta gialla e il francobollo londinese in alto a destra.
Si
slancia in avanti per rubarla dalle mani dell'altro e con un sorriso
soddisfatto riesce nel suo intento. La apre lentamente, estraendo i
fogli di carta ripiegati all'interno. L'assegno di sua sorella che
ormai sono due anni che manda mensilmente e poi una lettera.
L'ennesima lettera.
Quinn sorride e prima che possa iniziare a
leggere, qualcuno bussa alla porta.
Santana entra assonnata e
accenna un saluto a entrambi notando immediatamente la lettera tra le
mani di Quinn.
“C'è ancora qualcuno che scrive le lettere? Ma
non li conoscete i computer?” borbotta, grattandosi la fronte.
Mike
scoppia a ridere, le sopracciglia sparate in alto per la sorpresa e
il timore della reazione di Quinn. Quando nota che quella non batte
ciglio, tira un sospiro di sollievo e passa un braccio attorno alle
spalle di Santana.
“Sei fortunata che oggi Quinn è abbastanza
tranquilla. A quest'ora saresti mangime per pesci” sillaba,
imitando l'accento del Padrino.
“Perché? Che ho detto?”
domanda.
Quinn rotea gli occhi, fintamente infastidita e li invita
al silenzio, per poi squadrare Santana e sbeffeggiarla agitando i
fogli che ha tra le mani.
“Sei come tutti gli altri Lopez, non
puoi capire” sbuffa.
Santana spalanca la bocca, indignata, ma
Mike la stringe e scuote la testa, impedendole di difendersi.
“Quinn
è quella persona che potrebbe stare ore a decantarti la
perfezione
della penna che scorre sul foglio e tutto il resto. Non vuoi
realmente iniziare questa conversazione, lo sappiamo
entrambi”
annuisce, ma a Santana resta quel broncio oltremodo adorabile sulle
labbra.
“Ora, se potete scusarmi, dovrei leggere la lettera di
mia sorella”
Entrambi sorridono e si voltano, ma quando la mano
di Mike sta per girare la maniglia, Quinn li richiama, chiedendogli
cosa stanno facendo.
E alla normale risposta di Santana “ti
lasciamo sola” Quinn ride.
“Non vi ho detto di andare via. Va
tutto bene, potete restare”
E allora si accomodano di nuovo.
Mike si lancia sul letto accanto a Quinn e Santana sulla sedia poco
distante. Si ferma ad osservare Quinn per qualche secondo e nota
immediatamente le mani che tremano un po' strette al foglio.
E poi
la sua voce si diffonde nella stanza.
“Ciao
Piccola Quinnie,
tutto bene? Quì a Londra fa sempre più freddo,
non mi stupirei davvero di vedere un piccolo orso polare rotolare nel
giardino di casa mia.
A parte gli scherzi, si sta bene. Dave ha
comprato uno di quei vecchi camini che ti piacciono tanto, quindi
dovrai sbrigarti a raggiungermi per testare la sua efficienza.
Inoltre si è fissato di fare come gli inglesi e prendere il
tè alle
cinque. Credo di aver sposato l'uomo della TUA vita.
Lì come
vanno le cose? Ho sentito mamma l'altro giorno. Mi ha detto che ha
provato a chiamati ma non le hai risposto.
Quinnie, amore, sono
passati tre anni..”
Quinn
si ferma, la voce che le trema per un solo istante e un groppo in
gola che manda giù con un po' di difficoltà. Si
morde le labbra e
guarda Santana. Non che le dispiaccia raccontarle quella parte della
sua vita; c'è qualcosa in Santana che le permette di fidarsi
totalmente di lei.
Ma è difficile, e spiegare tutto ancora una
volta, sarebbe doloroso. Forse troppo da sopportare per l'ennesima
volta.
Inspira profondamente e riporta gli occhi sul foglio.
“..e
sai quanto è difficile per lei. E' stata tutta colpa di
papà, e
mamma ha finalmente capito che razza di uomo ha sposato. Lo so quanto
è stato difficile per te. C'ero anche io, ricordi? Ma mamma
ti vuole
bene. Potreste venire entrambe a trovarmi, questo Natale.
Anche
perché, vorrei che mi accompagnaste alla mia prima
ecografia.”
Quinn
si ferma di nuovo. Il cuore che le batte ferocemente nel petto e una
sensazione di pura adrenalina che si impossessa del suo corpo.
“Q..”
Mike ride, felice al suo fianco.
“Avrò il nipotino più bello
di sempre” mugugna.
“Come fai ad essere sicura che sarà
maschio?”
E Quinn agita il mignolo.
“Una zia certe cose se
le sente”
Santana ha un mezzo sorriso sulle labbra ma si limita
a guardare Quinn che scoppia in una risata piena. Rilassata. Gli
occhi lucidi le mani che sembrano avere vita propria per quanto
stringono con forza il foglio.
“E' incinta. Oddio è incinta”
urla, una sola lacrima di gioia che le scivola sulla guancia.
Lascia
il foglio aperto a metà sul letto e corre verso la porta. E
poi per
il corridoio e poi fuori, il tepore del sole sulla faccia.
Quinn
sorride e guarda la strada. E poi inizia a correre.
Dietro di lei
Santana guarda Mike con una faccia semi sconvolta, ma quello non ci
fa caso:
“So esattamente dove sta andando”
Quinn
sente le gambe bruciare, il corpo totalmente teso e una patina di
sudore sulla pelle, ma ride.
Il vialetto che la separa dalla casa
è di qualche metro, ma si sente tremendamente lontana che
non sa se
le gambe reggeranno per tutto quel tragitto.
Si avvicina
lentamente, passo dopo passo, riprendendo fiato per la corsa e
arrivata sulla soglia, sfiora con le nocche la porta bianca. Si
guarda attorno.
Passare davanti a quella che era stata casa sua
era stato facile. Più di quello che pensava. O almeno si era
convinta che lo fosse e per tre anni non aveva mai avuto l'impulso di
fermarsi a bussare.
Ma quando sua madre apre la porta, le lacrime
già a bagnarle le guance, Quinn si chiede come ha fatto a
ignorarla
per tutto questo tempo.
Perché il cuore le sbatte nel petto con
una tale forza che ha paura di vederlo schizzare fuori dalla cassa
toracica e finire direttamente sul viale.
“Perdonami Quinnie..”
sospira sua madre, le mani che torturano i bottoni della giacca
bianca che ha addosso.
Quinn scuote la testa e si lancia tra le
sue braccia. E finalmente quella stretta arriva.
Quella che ha
sempre aspettato. Quella che ha sempre cercato.
Ha finalmente
fatto qualcosa di giusto.
“Diventerai nonna..”
“Sono già
nonna, di una splendida nipotina bionda e bellissima”
E Quinn
scoppia a piangere e si lascia andare, il peso di una vita che
lentamente scivola via dalle sue spalle.
“Mi dispiace Quinnie,
mi dispiace così tanto”
Poco più lontano Santana guarda la
scena all'interno dell'auto di Mike. Si passa una mano sul viso per
cancellare gli occhi lucidi ma Mike sorride e le stringe una
spalla.
“Va bene, non dirò a Quinn che sei una pappamolle
sentimentale” la prende in giro, passandole un
fazzolettino.
“MIKE!”
“L'ho notato sai?” sorride e
Santana lo guarda curiosa, invitandolo a spiegarsi meglio.
“C'è
qualcosa tra voi due. Non so esattamente cosa, ma è una
specie di
connessione. Quinn non avrebbe lasciato mai che qualcuno ascoltasse
la lettera di sua sorella. E' un suo rituale, e fino ad oggi neanche
io ne avevo mai vista una”
Santana apre la bocca e la richiude
poco dopo. Le sembra stupido negare, l'ha notato anche lei. Non sa
spiegare quello che succede quando sono insieme, sta di fatto che i
suoi sensi sembrano amplificati mille volte. Ride con più
forza,
piange con più disperazione e pare che Quinn riesca ad
assorbire
ogni sensazione e farla anche un po' sua.
Ed è anche vero che,
bè, è una gran bella ragazza.
“Non iniziare a farti domande
San, non adesso. Sta per partire per Londra, avrai tutto il tempo per
rifletterci”
Santana annuisce, dubbiosa, e torna a guardare
Quinn.
E non le è mai sembrata così bella.
“Ehi, che ci
fai qua?”
Mormora Quinn, i pantaloni del pigiama e una leggera
canotta addosso.
Santana si fa spazio con uno scatolo tra le mani
e lo poggia sul letto, decisa.
“Sono 365 lettere. Le ho scritte
l'anno in cui ho fatto coming out e sono tutte per mia nonna. Non ho
mai trovato il coraggio di inviarle, credo di essere sempre stata un
po' codarda da quel punto di vista. Le ho scritte perché mi
sarebbe
piaciuto che le leggesse e forse le ho scritte perché un po'
avrei
voluto riconoscere me stessa, qui dentro. Ero persa e avevo bisogno
di ritrovare Santana e magari questo era l'unico modo”
Quinn la
guarda senza fiatare, mordendosi le labbra.
“Ne hai scritta una
al giorno?”
“Fino a che non ho capito che non serviva, perché
Santana era ancora lì, tra quei fogli”
Quinn
annuisce.
“Parlare di te in terza persona, sei megalomane”
Santana ride e lascia cadere lo sguardo su quelle lettere
sparpagliate all'interno del cartone.
“Perché me lo stai
dicendo, Santana? E' notte fonda e oggi è stata una giornata
un po'
troppo movimentata”
“Perché non sono come tutti gli altri,
vorrei che tu lo sapessi.”
E senza aggiungere altro, si volta ed
esce dalla stanza.
Quinn la guarda allontanarsi a passo svelto nel
corridoio. Socchiude la porta e si lascia cadere contro di essa.
“Lo
so perfettamente Lopez”
Un sospiro.
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Capitolo 5 *** 4. I wish you were here. ***
4.
I wish you were here
Santana
non aveva mai fatto caso fino a quel momento al concetto
dell'assenza. Si era sempre chiesta cosa spingesse qualcuno a sentire
la mancanza di qualcosa. Non si era mai sentita abbandonata o
tradita, o sola.
Aveva sempre avuto la sua famiglia, alle
spalle.
Certo il lavoro di suo padre e quello di sua madre le
impedivano di stare tutto il giorno con i suoi genitori, ma c'era
abituata e tutto le sembrava normale.
E poi improvvisamente, tra i
corridoi della sua scuola aveva imparato quello strano concetto.
Quando aveva incrociato per la prima volta gli occhi blu di Brittany.
Quando le aveva parlato per la prima volta e quella si era lamentata
di quanto fossero stretti gli armadietti tanto da non poterci
infilare dentro le sue fatine.
Quando Brittany le aveva sorriso e
aveva stretto il mignolo al suo.
In quello stesso istante aveva
sentito il petto stringersi talmente tanto che aveva avuto paura, per
un attimo, di non riuscire a respirare ed era convinta che ci avrebbe
rimesso le penne, in quella situazione.
E poi Brittany era tornata
dal bagno, l'aveva guardata e le aveva donato di nuovo il respiro. E
ogni volta che lei non c'era, Santana doveva combattere con la voglia
di piangere. E ogni volta che andava via, Santana doveva fare i conti
con tutte le sue diverse emozioni.
E allora aveva capito.
Aveva
capito cosa significava sentire la mancanza di qualcuno.
E quando
qualche mese prima aveva lasciato l'aula del coro, combattendo la
voglia di tornare indietro e stringere Brittany ancora una volta tra
le sue braccia, quella mancanza era diventata talmente grande che
aveva cancellato qualsiasi altra cosa.
E si sentiva vuota, e
persa.
Incontrare Brittany era stato un po' come rinascere una
seconda volta. Una volta in cui poteva essere Santana. Non la
primogenita del dottor Lopez, non la capo cheerleader. Solo
Santana.
E doveva tutto a quell'uragano biondo. E probabilmente
non avrebbe mai smesso di amarla. In modo diverso, certo. Ma
l'avrebbe amata per sempre.
L'avrebbe ricordata per il suo
sorriso, per la sua risata, per i suoi occhi azzurri. Per la sua
ingenuità e la sua intelligenza. Ma soprattutto l'avrebbe
ricordata
come si ricorda il primo amore. Con un sorriso sulle labbra e il
cuore un po' spezzato.
E l'avrebbe portata con se, desiderando di
averla accanto, solo per qualche altro secondo.
“Mike,
perché non sei fidanzato?”
L'asiatico sobbalza a quella
domanda inaspettata, le sopracciglia aggrottate e l'espressione
curiosa mentre cammina fianco a fianco con Santana, che in risposta
lo fissa insistente.
“Dico sul serio. Sei un bel ragazzo, e sei
single. Qualcosa non va. Non ci sono più donne etero o sono
tutte
stupide?” borbotta.
Mike ride, le buste di plastica tra le mani
e il naso rosso per il freddo.
“Non c'è una ragione. Credo di
non aver trovato ancora quella giusta” ribatte, perplesso.
Santana
gli si posa davanti, incrociando le braccia.
“E come fai a
sapere quando è quella giusta?” Mike rotea gli
occhi a quella
domanda e posa le buste sulla panchina più vicina, per poi
lasciarsi
andare.
“Non lo so, tu come pensi che sia?”
“Com'era con
Britt” risponde senza pensarci. E sente il cuore stringersi
un po'
a quella dichiarazione spontanea. Mike sorride e alza gli occhi al
cielo.
“Non scambiare il vero amore con il primo amore,
San”
mormora, le mani che si strofinando tra di loro per
riscaldarsi.
“Cosa?”
Santana lo guarda storto. Le mani che
nervosamente giocano con l'orlo della giacca.
“Il primo amore
non è per forza quello vero e forte San. Qualche volta
succede. E la
gente è fortunata, perché ama per tutta la vita
quella persona con
la stessa intensità sin dal primo giorno. Chi non
è così fortunato
farebbe bene a non confondere le cose”
L'asiatico
rovista nella busta, estraendo la nuova gonna che Santana ha
acquistato nel pomeriggio.
“Cerchi di fare colpo su qualcuno?”
ride, sornione, beccandosi un'occhiataccia dall'amica che scuote la
testa.
“No, è per me. Non devo farlo per forza per
qualcuno. E
comunque continua, mi interessa il discorso” lo incita,
strappandogli dalle mani la stoffa.
“Insomma, sì. Sono due cose
diverse. Ad esempio tu. Tu non puoi fossilizzarti su Brittany. E lo
so che lo dico perché è facile per me dirlo e
tutto il resto. Ma è
così. Sei bellissima San, dovresti andare avanti. E so che
domani
tornerai a Lima per le vacanze e non sarà facile ma,
dovresti
provarci” conclude.
Santana annuisce, passandosi una mano tra i
capelli e poi guarda l'orologio.
“Dobbiamo andare, Quinn ci sta
aspettando”
E non può sentire Mike, che sussurra.
“A
proposito di andare avanti..”
“Quindi avete svaligiato il
negozio”
Mike annuisce, infilzando la forchetta nel raviolo
all'interno del piatto di Quinn, che cerca di colpirlo, ma
fortunatamente per l'asiatico manca la mira.
Santana ne approfitta
per prenderne un altro e Quinn sbuffa e incrocia le braccia.
“Avete
deciso di approfittare di me? Perché non è
carino”
Santana
sorride e le passa una mano tra i capelli biondi, scompigliandoglieli
un po' e godendosi l'espressione infastidita dell'altra.
Mike
ridacchia e continua a mangiare, osservandole di tanto in
tanto.
“Allora, com'è andato il colloquio?”
chiede,
interrompendo lo scambio di battute tra le due.
“Mi hanno detto
che mi faranno sapere a breve, e non ho idea se sia una buona cosa o
no”
“Bè, di solito il famoso < le faremo sapere
> è
negativo” interviene Santana.
“Grazie eh” borbotta
Quinn.
Mike rotea gli occhi e si pulisce le labbra.
“Andiamo
Q, come possono non prenderti. Sei la prima della classe, qualsiasi
editore ti prenderebbe come stagista”
Santana accenna un mezzo
sorriso, trovandosi d'accordo con le parole di Mike.
Il cameriere
arriva a ripulire il tavolo, bloccando il loro discorso a
metà. Poi
fa scivolare qualcosa sulla tovaglia, un fogli, che finisce
direttamente sulle gambe di Quinn che lo osserva, il sopracciglio
sparato in alto. Lo raccoglie e sorride alla serie di numeri scritti
a mano, una faccina sorridente e un “chiamami”
scritto poco
sotto.
“A quanto pare ho rimorchiato” sorride, ammiccando
poi
verso il ragazzo che quasi inciampa a quelle attenzioni.
Santana
stringe i pugni. Non sa spiegarsi perché ma prova una fitta
di
gelosia nel vederla scambiare sguardi con quel poco professionale
cameriere.
“Magari ci prova con tutte quelle che gli capitano a
tiro” sbotta, schioccando le dita al ragazzo ed ordinandogli
con
più rabbia del previsto un'altra bottiglia d'acqua.
“Ok, che
diavolo ti prende?” mormora Quinn, confusa.
Santana rotea gli
occhi.
“Niente, pensavo fossimo qui per stare un po' con te
visto che domani parti, ma a quanto pare ti interessa altro”
sputa,
acida.
Quinn si alza in piedi per bloccarla, le guance leggermente
rosse di rabbia.
“Qual è il tuo problema? Brittany si è
fatta
risentire? E' per questo che sei così stronza?
Bè, notizia
dell'ultima ora, Santana. Non esisti solo tu e la tua stupida
relazione”
E non appena le parole escono dalle sue labbra
capisce di aver sbagliato. Perché il respiro di Santana si
ferma, i
suoi occhi diventano lucidi improvvisamente e le labbra iniziano a
tremarle.
“San io..”
“Fottiti Quinn”
Quel
lieve bussare alla porta Santana lo riconosce subito. E' quasi
assurdo, a dire il vero, ma ormai sa esattamente distinguere il modo
in cui Quinn bussa alla sua porta. E quando apre, trovandosi davanti
gli occhi verdi che la scrutano, non finge neanche di essere
sorpresa. Si sposta lentamente, facendola passare e nota
immediatamente gli occhi di Quinn saettare sulla valigia aperta sul
letto.
“Non sapevo partissi anche tu” mormora e Santana si
morde la lingua per non risponderle a tono. Accenna un movimento del
capo e si avvicina all'armadio, continuando a scegliere i capi da
portare con se a Lima.
“Santana..” la voce di Quinn è bassa,
spezzata, rotta e Santana chiude gli occhi e sospira prima di
voltarsi.
“Si?”
La mano dell'altra che gioca nervosamente
con le lenzuola del suo letto ancora disfatto. Santana la fissa. Ha
gli occhi bassi e le labbra che le tremano leggermente, e vorrebbe
tanto andare lì vicino, stringerla tra le braccia e
baciarla.
Ma
sarebbe tutto così sbagliato, Santana lo sa bene. Sa
esattamente che in quell'esatto momento perderebbe una delle persone
più importanti
della sua vita.
Ed è paradossale e assurdo che in soli tre mesi
Quinn sia diventata così importante, ma è
così, e non c'è
assolutamente nulla che possa farci.
“Mi dispiace per prima..”
sussurra Quinn.
“Va tutto bene”
E la sua voce suona
talmente finta che fa fatica a crederci lei stessa. E Quinn sbuffa e
scuote il capo e poi le sue labbra si muovono ancora, stavolta in
tono più forte.
“No, non va tutto bene. Mi stai evitando. Ho
fatto una cazzata e mi dispiace, vuoi farmela pagare per
sempre?”
Si
alza di scatto, due passi che la separano da Santana. Li riempie in
un secondo e poi le sue braccia si stringono forti attorno al collo
dell'altra, che boccheggia prima di ricambiare l'abbraccio. Le dita
che si stringono attorno alla felpa di Quinn, talmente forte che le
nocche le diventano bianche. Il respiro della bionda sul collo di
Santana.
“Mi dispiace San..”
“Lo so”
E il tempo
sembra dilatarsi. La stanza perde i contorni e Santana si sente
catapultata dall'altra parte del mondo. E, dannazione, si sente fin
troppo bene tra le braccia di Quinn.
Rimangono così per secondi o
minuti, nessuno ci fa caso, poi si scosta leggermente, gli occhi che
cercano quelli della bionda.
E quando li trovano, lucidi e un po'
arrossati, Santana non può fare a meno di sorridere, notando
l'imbarazzo di Quinn per quella debolezza.
“Devo finire di
preparare la valigia” mormora, la fronte che si poggia
inevitabilmente su quella dell'altra.
Quinn le sfiora il naso con
il proprio e annuisce.
“Mi mancherai, Lopez”
E Santana
deve infilarsi di prepotenza le unghie nei palmi delle mani per
impedirsi di baciarla. Ma non serve, perché è
Quinn ad abbassarsi
quel tanto che basta per sfiorarle le labbra.
Santana rimane
immobile, la bocca di Quinn che si muove lentamente sulla sua. Il
cuore che sembra volerle scoppiare nelle orecchie.
Non si accorge
nemmeno che Quinn si tira indietro sorridendo.
“Fa buon viaggio,
ragazzina”
E poi sparisce, chiudendosi la porta alle spalle,
lasciandola inerme al centro della stanza.
E Santana capisce che
non può continuare a fingere.
Due giorni dopo il telefono di
Santana squilla ripetutamente, attirando l'attenzione di tutta la sua
famiglia che inizia a fare domande.
“Non è nessuno, piantatela.
Sono tornata da un solo giorno e già mi avete fatto il terzo
grado”
Il padre ridacchia, sfiorandole la fronte con un bacio,
per poi riportare gli occhi sul telegiornale.
Puck invece la
guarda di sottecchi, ridacchiando sommessamente. Santana rotea gli
occhi e gli rifila una gomitata tra le costole facendolo mugugnare di
dolore.
“Auch. Ti vedo dopo due mesi ed è questo quello
che mi
merito?” borbotta, massaggiandosi delicatamente la parte lesa.
“Si,
deficiente. Non c'è niente da ridacchiare”
Puck annuisce
sorseggiando la sua bibita gassata, fintamente convinto.
“PUCK”
grugnisce Santana, frustrata.
“Oh avanti, non ti ho vedo così
sorridente da.. bè, lo sai da quando” sussurra,
scrollando le
spalle e poi guarda Santana in quella maniera seria che usa solo con
lei.
“Quindi scusa se voglio sapere chi è la fortunata
che devo
ringraziare per questo”
E Santana ride, alzando un
sopracciglio.
“E se fosse un lui?” ribatte. Puck scoppia a
ridere, poco velatamente.
“Oh avanti. Tu ami le donne quanto le
amo io, Snix. Ora, vuoi dire a Puckzilla chi ti ha rubato il cuore o
devo scoprirlo da solo?” ammicca e Santana è
indecisa se tirargli
un'altra gomitata. Ma poi si arrende e sorride.
“Non mi ha
rubato il cuore o cazzate simili. Siamo solo amiche, ma è
strano”
bisbiglia.
“Cosa è strano?”
Santana alza le spalle e lo
guarda.
“Non lo so. Lei, noi. E' strano..”
Puck la studia
attentamente e Santana sa esattamente cosa sta facendo. Abbassa lo
sguardo, un mezzo sorriso disegnato sulle labbra. L'amico le alza il
viso e avvicina il volto al suo. Aggrotta le sopracciglia e Santana
lo trova talmente buffo che scoppia a ridere.
“Ti piace Lopez.
Questa ragazza ti piace sul serio. Non lo credevo possibile. Non
dopo, bè..” Santana sente le guance bruciare e
sente
improvvisamente come un bimbo trovato con le mani nella
marmellata.
“Io.. Non lo so Puck. Non lo so se ce la faccio. Non
di nuovo”
E quello le passa il braccio intorno alle spalle e se
la stringe addosso. E Santana non si era mai accorta fino a quel
momento di quanto gli fosse mancato il suo migliore amico. Sospira
nel suo petto e chiude gli occhi.
“Si che ce la fai San. Sei la
persona più forte che io conosca. Sei Snix. Ora, vai a
vedere cosa
vuole la futura signora Lopez”
E Santana non può trattenersi
dall'assestargli un'altra gomitata.
Poi, ridendo si avvicina al
cellulare.
E sente in maniera cristallina il suo cuore perdere un
battito quando sullo schermo appare il messaggio di Quinn.
“Vorrei
che fossi quì”
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Capitolo 6 *** 5. Goodnight. ***
5 Goodnight.
Quinn
aveva sempre avuto una passione per i viaggi. Da quello che riusciva
a ricordare, sin dalla tenera età, costringeva sua madre a
portarla
in giro, per scoprire nuovi posti e luoghi dove andare a nascondersi
quando ne aveva voglia.
Ma il suo primo vero viaggio Quinn l'aveva
fatto anni dopo, e non le era servito comprare un biglietto aereo o
saltare sul primo treno a sua disposizione.
L'aveva fatto in nove
mesi, e quel viaggio si chiamava Beth.
Le aveva mostrato che non
bisognava andare lontano per provare qualcosa di nuovo. L'aveva
cambiata, in una maniera del tutto imprevedibile. Quinn Fabray era
diventata donna.
Era strano, per lei, pensare a come un piccolo
esserino, non ancora del tutto formato dentro di te, potesse
sconvolgerti la vita. Ma l'aveva imparato a piccole dosi.
Quando
aveva smesso di preoccuparsi della sua linea, e mangiava per due.
Quando aveva smesso di bere e divertirsi, sapendo che le conseguenze
potevano ritorcersi su quella piccola creatura dentro di sé.
Quando
aveva lottato contro i suoi genitori pur di dare alla luce quel
bambino.
Quinn era diventata più forte, più matura.
Ogni
volta che andava a trovarla, in quella piccola casa nella periferia
di Louisville, e la vedeva giocare con i suoi genitori, Charles e
Diana, Quinn capiva di aver fatto la scelta giusta. Vederla
sorridere, divertirsi e stare bene le faceva capire che quel viaggio
era finito e doveva andare avanti.
Non aveva rimpianti, sapeva di
aver fatto la scelta giusta.
Solo si chiedeva se, un giorno,
quando Beth sarebbe stata ormai abbastanza grande da sapere la
verità, avrebbe chiesto ai suoi genitori perché
sua madre non
l'avesse voluta.
E magari si sarebbe sentita di troppo, magari
avrebbe pensato di non essere abbastanza. E Quinn conosceva troppo
bene quella sensazione per lasciare che sua figlia la provasse anche
per un solo secondo sulla sua pelle.
Aveva confidato ai genitori
adottivi che voleva rimanere in giro, vederla crescere e loro non si
erano opposti. Anzi le avevano addirittura appioppato il nomignolo di
“zia Q.” e ogni volta che andava a trovarli, le
premure che
questi avevano nei suoi confronti la rincuoravano.
E quel giorno,
il giorno in cui Beth avrebbe scoperto la verità sul suo
conto,
sarebbe stato per lei la la fine e l'inizio della storia più
importante della sua vita.
“QUINN!”
Mike agita le
braccia, disegnando nell'aria cerchi concentrici. Un sorriso
smagliante sul suo viso, la giacca blu stretta intorno al corpo e il
naso leggermente rosso.
Quinn quasi scoppia a ridere quando lo
vede, preso com'è dai saluti che le sta rivolgendo non si
accorge di
quanto può risultare buffo. Gli si avvicina lentamente, e
quando lo
abbraccia si gode il profumo del suo migliore amico che tanto le
è
mancato nel suo soggiorno a Londra.
“Allora, com'è andata? Come
sta Frannie? E il bambino?”
“Frena la lingua, dammi tregua”
mugugna, senza staccarsi. Le mani strette sulla giacca e il viso
affondato nel petto dell'asiatico, che boccheggia un attimo prima di
ricambiare la stretta, incuriosito da quell'atteggiamento.
Rimangono
in silenzio per qualche minuto. Solo stretti al centro della strada
fuori dall'aeroporto.
Mike la sente tremare un attimo e si sfila
la giacca, posandola sulle sue spalle e sorridendo al cenno di
ringraziamento che l'altra gli rivolge.
“Che gentiluomo”
mormora, stringendosela addosso.
Mike fa un gesto con la mano,
come a voler scacciare quel complimento e la guarda storto. La bocca
contratta in una smorfia curiosa e le mani che strofinano le
braccia.
“Andiamo prima che tu ti prenda un raffreddore”
Quinn lo trascina per un braccio. Ferma un taxi e Mike carica le
valige. Salgono entrambi in
silenzio, scrutandosi attentamente. Ed è lo sbuffo di Quinn
a far
scattare tutto. Mike sorride, le mani intrecciate in una posa
inquietante.
“Ti è mancata” sghignazza e Quinn rotea
gli
occhi e guarda fuori dal finestrino, non riuscendo a fermare il
sorriso che le si apre sulle labbra.
“Oh avanti, ammettilo. Ti è
mancata”
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” ribatte
lei, schioccando la lingua.
Mike ride di gusto e poi le si
avvicina e la stringe, beccandosi qualche insulto che rimane tra i
denti digrignati di Quinn.
“Non è ancora tornata,
però..”
mormora e Quinn si morde l'interno della guancia per cercare di non
apparire troppo delusa da quella rivelazione.
“Aveva bisogno di
tempo” conclude, distogliendo lo sguardo dal panorama e
riportandolo sull'amico al suo fianco.
“Andiamo, non penserai
che..”
Quinn alza le spalle e lo blocca con un gesto della
mano.
“La ama, Mike. E io non posso farci proprio nulla”
E
nel momento stesso in cui quelle parole lasciano le sue labbra,
qualcosa simile ad un pugno sembra abbattersi sul suo
stomaco.
“San?”
Brittany mugugna, strofinandosi gli
occhi e voltando la testa verso il comodino e la sua sveglia a forma
di papera.
9.50.
“San, svegliati, tra meno di due ore hai il
treno” borbotta, il piede che scalcia la coscia della ragazza
addormentata al suo fianco.
Santana biascica qualcosa, la testa
completamente abbandonata sul cuscino, gli occhi chiusi e i capelli
sparsi.
Brittany riesci a cogliere solo poche parole, insulti per
lo più, prima di infilarle una mano sotto la maglia del
pigiama,
facendola urlare per il freddo.
“Che diavolo ti prende
Brit-Brit?” sbraita, saltando in aria.
“Dovevo svegliarti in
qualche modo” si difende l'altra, non troppo dispiaciuta.
Santana
si stiracchia e mugola, prima di abbracciarla e riempirla di baci
sulle guance. Brittany ride. Di quella risata pura e innocente che
farebbe innamorare chiunque e Santana si ritrova a fissarla, un
sorriso naturale che le dipinge il viso.
“Sei bellissima, lo
sai?”
E Brittany arrosisce a quel complimento e nasconde il
viso nell'incavo del collo dell'altra che prende a cullarla
dolcemente, canticchiandole una vecchia canzone.
“Non voglio che
tu vada, San”
E Santana sente il cuore farsi un po' più
piccolo.
“Non voglio andare neanche io, Brit-Brit, ma devo. E
poi torno tra qualche settimana”
“Bugiarda” la rimprovera
l'altra, godendosi la faccia sconvolta di Santana.
“Vuoi andare
dalla tua bionda, ce l'hai scritto su tutto il viso”
ridacchia
Brittany.
Santana boccheggia un po', senza parole. Poi scuote la
testa e le scocca un'occhiataccia, prima di pizzicarle i fianchi,
beandosi della risata che ne scaturisce.
“E tu allora, con bocca
da trota?” cerca di difendersi.
E forse è strano, parlare di
quelli che potrebbero essere i loro futuri partner, ma quando Santana
l'ha vista seduta al tavolo di Breadstix, appena arrivata a Lima,
chiacchierare animatamente con Sam, ha capito che per lei,
l'importante era vederla felice.
E se Sam la rendeva felice allora
non c'era altro da fare.
Aveva capito che non poteva non aver
Brittany nella sua vita. E si sarebbe accontentata di averla come sua
migliore amica, piuttosto che perderla per sempre.
E la bionda si
era trovata quantomai d'accordo. L'aveva abbracciata subito dopo che
Santana le aveva confessato le sue intenzioni e tra le lacrime le
aveva confessato che, quei mesi in cui non l'aveva sentita, erano
strati i mesi più brutti della sua vita.
E Santana le aveva
promesso che non l'avrebbe più lasciata.
“Sarai sempre la mia
migliore amica Brit” mugugna, stringendola al petto e
passandole
una mano tra le ciocche dorate. Brittany le bacia la guancia e
strofina il naso con il suo, prima di sfiorarle le labbra con le
proprie.
“Sei molto di più San. Sei la mia
persona”
Santana
sente improvvisamente gli occhi diventarle lucidi.
“Sei l'unica
a cui so di potermi rivolgere in qualsiasi guaio io vada a cacciarmi.
Sei quella che si sveglierà di notte e correrà da
me, se mai ne
avrò bisogno. Sei tu San”
“Ti voglio bene Brit”
“Ti
voglio bene anch'io. E prima di iniziare a piangere, vestiti. O
perderai il tuo dannato treno”
Santana la guarda per un po'. Poi
chiude gli occhi e si avvicina, accarezzandole la guancia.
“Sarò
sempre la tua persona Brit-Brit. E tu sarai la mia”
E con la
voce spezzata e gli occhi lucidi, si alza dal letto.
“Ti
ha regalato un diario?”
Mike guarda l'oggetto tra le sua mani,
rigirandolo come se fosse un esperimento scientifico dal quale si
aspetta qualche strano fenomeno. Quinn lo fissa, le sopracciglia
alzate fino all'attaccatura dei capelli.
“Si, ed è un diario.
Non esplode, è inutile che continui a guardarlo”
sbotta, rubandolo
dalle mani del suo migliore amico e posandolo sulla scrivania al suo
fianco.
“E poi? Avanti, avrai fatto qualcosa che vale la pena
raccontare”
Quinn ci pensa un po' su, si passa una mano tra i
capelli e annuisce.
“In realtà c'era questa rossa che..”
Mike tossisce lanciando un paio di fogli in aria e Quinn lo
guarda come se gli stesse per nascere un terzo occhio sulla fronte.
“SANTANA” urla.
Quinn lo guarda e si porta due dita alla
tempia, per poi muoverle in senso circolare.
“Che diavolo
c'entra Santana? Non è mica- CIAO SANTANA” si
accorge solo in quel
momento che qualcuno è poggiato allo stipite della porta
d'ingresso
della sua stanza. Un mezzo sorriso sulle labbra e un paraorecchie
rosa che di carino in realtà ha ben poco.
“Sei tornata”
sussurra Quinn, gli occhi fissi sulla figura stagliata davanti a lei,
che annuisce e si china a salutare Mike, seduto sul pavimento, con un
bacio sulla guancia.
“Si, ma non fare caso a me. Dicevi di
questa interessante rossa?” ghigna, le labbra leggermente
inarcate.
“Io- ecco- “ si blocca, le mani che si strofinando
nervosamente tra di loro.
“Com'è andata a Lima?” chiede Mike,
la mano che si stringe intorno alla caviglia di Quinn, seduta sul
letto che lo ringrazia con un cenno del capo, sperando di passare
inosservata.
Santana ride, più propriamente sghignazza e si
stringe nelle spalle.
“Tutto bene. Si sta sempre bene a casa,
no? E comunque mi interessava davvero quella rossa”
sottolinea,
sentendo chiaramente lo sbuffo irritato di Quinn che rotea gli occhi
e la fissa.
“Santana” mormora, rimproverandola e l'altra non
fa che ridacchiare. Le prende una mano tra le sue, gli occhi di
entrambe che si incollano a quel tocco. Poi Santana intreccia le loro
dita e tira fuori il labbro inferiore, tornando a guardarla.
“Scusa
Quinnie” brontola, sbattendo le ciglia.
Quinn boccheggia e
guarda Mike, scosso dalle risate che proprio non riesce a
trattenere.
Si alza in fretta e le bacia entrambe, defilandosi
elegantemente e lasciandole sole.
“Allora questa rossa?”
“Allora
Brittany?” ribatte Quinn senza pensarci. Si accorge dopo un
istante
dell'errore e cerca di alzarsi ma Santana la tira giù, sul
letto,
avvicinandosi al suo viso talmente tanto che Quinn deve aprire la
bocca per respirare senza essere investita dal suo profumo.
“Ti
interessa davvero?” le sussurra, il fiato caldo che accarezza
la
guancia della bionda.
Quinn annuisce, gli occhi chiusi per metà e
le dita che stringono le coperte del letto.
Santana le passa un
dito sul viso, accarezzandola lentamente fino ad arrivare al collo e
poi le posa un bacio sul naso.
“Può aspettare domani. Sono
stanca”
Quinn rimane sbigottita, mentre la guarda voltarsi
dall'altro lato del letto, vicino alla parete e posare la testa sul
cuscino. Non può vederla ma è certa che stia
ridendo.
Chiude gli
occhi e sospira, maledicendosi per esserci cascata e incrociando le
braccia.
“Hai intenzione di rimanere qui? E' la mia camera!”
sbotta.
Santana scuote le spalle e si volta lentamente.
“Hai
intenzione di mandarmi via?” chiede, le sopracciglia
aggrottate.
Quinn scuote la testa.
“No..”
L'altra
sorride, soddisfatta e si volta di nuovo.
La bionda rimane per un
attimo a guardarla, seguendo il profilo del naso e soffermandosi per
un secondo in più sulle labbra. Non si accorge che si stanno
muovendo fino a che la voce di Santana si fa spazio nella sua
testa.
“E' inquietante fissare la gente. Dormi Fabray, domani
ricomincia tutto”
Quinn annuisce, e si stende, la spalla contro
quella di Santana.
Ma le basta quel contatto per addormentarsi con
le labbra inarcate in un sorriso.
Non sente nemmeno Santana che
si volta e le sfiora la fronte con un bacio.
“Buonanotte
Quinn”
La mattina dopo, quando Mike apre la porta della
camera della sua amica con la chiave di riserva, non si aspetta di
trovarle a letto, entrambe. Il braccio di Quinn intorno alla vita di
Santana, il viso completamente affondato nei capelli corvini.
La
mano di Santana stretta intorno al polso di Quinn.
Mike sospira e
poggia i caffè sulla scrivania, accostando la porta e
chiudendola,
cercando di fare meno rumore possibile.
“Ah, le donne”
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Capitolo 7 *** 6. Not yet. ***
6.
Not yet.
E'
un po' come tornare a respirare.
Toccare con la punta delle dita
la superficie dell'acqua, dopo essere stato per secondi, minuti a
trattenere il fiato.
Succede in un giorno qualunque. Non è una
grande rivelazione, non è un momento particolare.
Succede che una
mattina ti svegli e ti viene voglia di sorridere. E quel peso che ti
schiaccia il cuore e ti stringe la gola è sparito.
E Santana non
sa come spiegarselo. Non sa nemmeno se essere felice.
Sa solo che
quella mattina si sveglia con le braccia di Quinn intorno alla vita,
il respiro regolare che si schianta contro la sua pelle, ed
è
leggero e soffice, ma Santana lo sente perfettamente.
Poi abbassa
gli occhi e incredula si ferma a guardare la sua mano stretta intorno
al polso dell'altra. E se non lo pensasse impossibile, direbbe che
è
stato involontario. Che la mano ha preso vita senza che lei potesse
controllarlo.
Ma mentirebbe, lo sa benissimo.
Ed è allora che
le spunta il sorriso sul viso.
Non una risata. Non uno di quei
sorrisi di circostanza, timidi e impacciati. Un sorriso vero. Uno di
quelli che a vederli ti si ferma il cuore.
E allora affonda ancora
di più la testa nel cuscino e si spinge contro Quinn,
lentamente,
misurando ogni mossa per paura di svegliarla. Ma quello sembra
l'ultimo dei pensieri della bionda, che mormora qualcosa e la stringe
più forte, il petto che si schiaccia contro la schiena di
Santana
che deve trattenersi per non fare le fusa.
E un po' si sente una
stronza, perché sa perfettamente di non aver smesso di amare
Brittany, anche se hanno risolto che per il bene di entrambe,
dovrebbero andare avanti.
E un po' ha paura, di innamorarsi di
Quinn e di dover rivivere tutto da capo.
E magari non ne vale la
pena. Magari non è così che dovrebbe andare. Ma
decide di
fregarsene, anche solo per una mattina.
La mano di Santana scivola
lentamente sul braccio di Quinn per poi intrecciarsi con le sue dita.
Le accarezza, morbida e se le porta alle labbra, posandoci un bacio
che è più simile a un soffio.
E qualcosa alle sue spalle
mormora. E sente distintamente Quinn muoversi e stringersi di
più a
lei. E poi le sue labbra finiscono non si sa come sul collo di
Santana e anche se non può vederla sa che sta sorridendo.
Scivolano
lentamente, fino all'orecchio della latina.
E parla con una voce
talmente roca e bassa che Santana non può trattenersi dallo
spalancare la bocca, da cui, fortunatamente per lei, non viene fuori
alcun suono.
“Buongiorno” soffia Quinn.
Santana si
irrigidisce tra le sue braccia e conta fino a dieci per calmarsi e
darle una risposta di senso compiuto.
Poi socchiude gli occhi, le
loro mani intrecciate ancora a pochi centimetri dal suo viso.
“N-non
volevo svegliarti” balbetta.
Il corpo alle sue spalle viene
scosso da una breve risata e poi la bocca di Quinn si chiude su un
lembo di pelle sotto l'orecchio di Santana.
“Se è così che
intendi svegliarmi, potrei abituarmici”
Santana passeggia
per il cortile, aguzzando la vista alla ricerca di un ciuffo ribelle
di capelli biondi, o di un cappellino verde indossato da qualcuno che
sta improvvisando qualche passo di danza. Sfortunatamente nessuno di
quegli elementi rientra nel suo campo visivo, così,
sconfitta, si
ferma ad una panchina, svuotando il contenuto della sua borsa accanto
a se, tentando di rimettere in ordine i suoi appunti.
Un colpo di
tosse attira la sua attenzione, e quando rialza lo sguardo, un paio
di occhi scuri la stanno fissando. Una ragazza che ha già
visto tra
i corridoi, probabilmente del suo stesso anno, è ferma
davanti a
lei.
Santana aggrotta le sopracciglia e con calma ripone i fogli,
tornando a guardare quella figura minuta.
“Sei Santana, giusto?”
Santana annuisce, appuntandosi mentalmente che quella ragazza ha
la voce più odiosa che abbia mai sentito, per non parlare
del suo
pessimo stile nell'abbinare i colori.
“Si, sono Santana e tu
saresti..”
“Mandy, Mandy Wilcox, siamo nello stesso corso”
sbotta quella, infastidita da quell'atteggiamento superiore.
Santana
coglie la palla al balzo, puntando verso quel punto debole e schiocca
la lingua.
“Va bene, Wilcox, cosa ti serve? Appunti, tabelle,
fotocopie?”
Quella la guarda, un lampo di rabbia le passa negli
occhi e Santana si sente profondamente soddisfatta di quella piccola
vittoria.
“Niente di tutto ciò. Devi solo tenerti alla larga
da
Quinn. Non mi piace che le ronzi intorno”
La bocca di Santana si
apre e si chiude, perplessa e sconcertata. Poi riacquista un minimo
di contegno, scuotendo la testa, incredula e punta i suoi occhi in
quelli dell'altra.
“Non ho idea di chi tu ti creda di essere, ma
Quinn è una mia amica, quindi vedi di farti un
giro”
E quella,
nervosa, si avvicina al suo viso.
E poi parla, sibilando in una
maniera che a Santana ricorda una vipera velenosa.
“Si da il
caso che sia anche la mia ragazza, quindi vedi di lasciarla in pace,
Lopez”
E si volta e se ne va.
E a Santana rimane un po' di
amaro in bocca. Sente il sapore del sangue in bocca, toccando poi la
parte destra interna della guancia con la lingua, accorgendosi di
averla morsa un po' troppo forte.
Le mani si stringono in due
pugni chiusi e si guarda intorno, respirando
affannosamente.
“San..?”
Mike le arriva accanto, sedendosi
con lei, la preoccupazione evidente nei suoi occhi.
“Non mi ha
detto che era fidanzata” sbotta e Mike per un attimo non
capisce,
poi vede Mandy a pochi passi da loro e realizza ciò che
Santana gli
sta dicendo.
“Oh, ma non stanno insieme. E' che Quinn ogni
tanto...”
“Quinn cosa? Se la scopa e basta?”
La sua voce
si rompe sule ultime sillabe, Mike le passa un braccio attorno alle
spalle e se la tira addosso.
“San, non ci pensare. Mandy non sa
nulla” borbotta, le labbra che le sfiorano la tempia e la
risata
isterica di Santana.
“E cos'è che non sa, sentiamo?” tenta di
sorridere.
Mike scuote la testa.
“Che Quinn è innamorata di
te”
Le parole di Mike le rimbombano ancora nella testa
quando viene investita da un ammasso di capelli biondi e due occhi
verdi, pieni d'ansia la fissano, inermi.
“San, che ci fai qui?”
la voce di Quinn più alta del solito, un respiro strozzato
in gola.
Santana la guarda, perplessa, poi indica le librerie intorno e
risponde.
“E' la biblioteca, sono venuta a studiare”
“Oh”
E'
l'unica risposta della bionda, che respira a fatica.
“Ok, mi
dici che diavolo ti prende o devo tirartelo fuori con la forza,
Fabray?” brontola, incrociando le braccia sotto il seno e
squadrando la figura di Quinn.
Quella si passa una mano tra i
capelli, nervosa e Santana per un attimo sente la rabbia diminuire di
colpo e ha solo voglia di abbracciarla, pur non sapendo
cos'è che la
turba così tanto.
“Ehi, Q..”
“Mi hanno chiamato i
genitori di Beth. Hanno una riunione stasera e vogliono che vada da
loro per tenere la piccola. Ma ho questo dannato esame da preparare e
lei vorrà giocare e non so come fare. Dannazione”
le parole le
escono dalle labbra come un fiume in piena, colpendo Santana, che la
guarda e sorride.
E sa già che se ne pentirà amaramente, che
dovrebbe essere ancora arrabbiata con Quinn per quella storia di
Mandy, che non dovrebbe lasciare che quegli occhi verdi la
costringano a fare ciò che non vuole, ma le parole lasciano
le sue
labbra prima che possa ripensarci.
“Se vuoi ti do una mano io
con la piccola”
Si morde la lingua e si maledice internamente
quando il sorriso di Quinn diventa tre volte più grande del
solito.
“Davvero?”
E la latina scuote la testa,
sfinita.
“Davvero”
Quinn le schiocca un bacio sulla
guancia, troppo vicino alle labbra per essere solo una coincidenza e
Santana si inebria del suo profumo. Di quella fragranza che
è solo
di Quinn.
“Grazie”
“Si, come ti pare”
E Quinn
ride.
“Allora perché sei arrabbiata con me?”
chiede e Santana
sobbalza un po' a quella domanda inaspettata. La guarda con gli occhi
spalancati, e Quinn lo prende come un invito a spiegarsi meglio.
“Hai
la faccia da < sono arrabbiata con Quinn >”
aggiunge.
Santana
arriccia le labbra e si massaggia le tempie.
“Sei egocentrica.
Non ho una faccia appropriata a te, Fabray”
“In realtà si”
ribatte l'altra, senza darle tempo di finire.
Santana sbuffa
esasperata.
“Perché ho incontrato la tua cara Mandy”
la
ammonisce, la voce assottigliata dalla rabbia che è tornata
a
ribollirle nel sangue.
Quinn si morde le labbra e abbassa la
testa.
“Non è come pensi..”
Ma prima che riesca a
spiegarsi il suo telefono suona, e Santana alza le spalle.
“Ne
parliamo dopo”
Beth
è stesa per terra a pancia in giù. La lingua
fuori e l'espressione
concentrata mentre la sua piccola manina stringe il pastello e calca
i bordi del suo disegno.
Santana si avvicina, piegandosi sulle
ginocchia e osservando le sagome stilizzate sulla carta.
“Sai
disegnare bene, piccolina”
E quella alza gli occhi e sorride. Lo
stesso, identico, sorriso di Quinn, tanto che a Santana fa un po'
paura.
“Grazie. E tu sei bella” risponde, tranquilla.
Quinn
scoppia a ridere e le passa una mano tra i boccoli biondi,
scompigliandoli un po' e beccandosi un'occhiataccia dalla loro
proprietaria.
“Si, lo è davvero” e con quel sorriso
beffardo
alza lo sguardo per incrociare quello di Santana, immobile accanto a
sua figlia.
Un lieve rossore che le colora le guance, nonostante
il suo colorito ambrato fa sorridere Quinn, che prende le gambe di
Beth e la tira sul tappeto, facendola ridere.
“Zia Quinn!”
borbotta quella, ma la bionda non le da tregua, si stende con lei e
le fa il solletico, per poi morderle teneramente una guancia.
“MA
STAVO COLORANDO” ride Beth.
Santana le guarda, attenta.
Beth
ha la stessa espressione buffa e fintamente infastidita che Quinn usa
di solito, la bocca aperta e le sopracciglia aggrottate, tentando di
nascondere la risata che le sta partendo dal profondo della
gola.
Quinn ha lo sguardo completamente rapito dal viso di sua
figlia. La guarda come se fosse la sua unica ragione di vita, e
Santana si meraviglia un po' di quanto quella bionda che sembra
imbattibile, sembri in quel momento così vulnerabile.
Come ogni
madre, pensa.
Quando il campanello suona, impedendo ad entrambe di
rompere la metà dell'arredamento del soggiorno, Beth si
precipita ad
aprire, con Quinn che le corre dietro.
Mike appare sulla porta,
due cartoni enormi di pizza tra le mani e il suo sorriso più
affascinante.
“Dov'è la mia piccola principessa?”
“MIKE”
urla Beth, saltellando e allungando le braccia. L'asiatico passa la
pizza ad un'arresa Quinn e tira su la piccola, schioccandole un
sonoro bacio sulla guancia.
“Zia Quinn si è comportata bene?”
chiede, premuroso.
La bimba annuisce, poi si porta un ditino sulle
labbra e scuote la testa.
“No, in realtà non mi ha fatto
colorare”
“Quinn” la rimprovera Mike.
Quinn scrolla le
spalle e li guarda mentre parlottano di qualcosa e si avviano verso
la cucina. Poi guarda Santana, a qualche passo da lei, poggiata al
muro con le braccia incrociate e non può fare a meno di
pensare che
sia perfetta e bellissima. Allora lascia le pizze sul tavolino basso
del salotto e si avvicina, le mani che si artigliano lungo i fianchi
dell'ispanica che non si muove dalla sua posizione.
“Sei ancora
arrabbiata per quella storia?” chiede Quinn, le labbra che
sfiorano
la guancia di Santana.
“Perché dovrei? Non sei mica la mia
ragazza”
Quinn inarca le labbra, strafottente.
“No?”
E
Santana non le da il tempo di prendere fiato che schiaccia le sue
labbra sulla bocca di Quinn, le unghie che le graffiano il collo
bianco.
Ma quando Quinn tenta di approfondire il bacio quella si
scosta, avvicina le labbra al suo orecchio e mordendole il lobo
sussurra.
“No.”
E a Quinn non rimane che il muro grigio
davanti a se, e il suono del battito accelerato del suo cuore che le
rimbomba nelle orecchie.
E poi le sue labbra si muovono, non
troppo forte ma abbastanza da farsi sentire da Santana.
“..non
ancora”
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Capitolo 8 *** 7. One more kiss. ***
7.
One more kiss.
Santana
si schiaccia contro il materasso, allargando le braccia e gemendo
appena.
Svegliarsi non è più così divertente,
senza Quinn.
Si
morde la lingua a quel pensiero, poi lentamente si trascina in bagno
e controlla l'orologio. Le lezioni inizieranno da lì a mezz'ora
e
fortunatamente ha il tempo di un caffè.
Non piacerebbe alla
gente, sapere com'è Santana Lopez senza la sua buona dose di
caffeina mattutina.
Così passa una decina di minuti sotto la
doccia, lavandosi via la sensazione di vuoto che le attanaglia lo
stomaco.
La primavera è ormai alle porte, e Quinn è
tornata in
Inghilterra per una settimana. Un'intera settimana senza la sua voce,
il suo sorriso, il suo profumo.
Santana rabbrividisce, nonostante
l'acqua sia bollente sulla sua pelle e sospira, socchiudendo gli
occhi e rifiutandosi di pensare oltre a quegli occhi verdi.
Si
stringe nell'accappatoio, coccolandosi nella stoffa morbida, aprendo
l'armadio e scegliendo l'abbigliamento del giorno.
A
Quinn piacerebbe, questa maglia azzurra. O magari quella rossa, o
-
Non riesce neanche a infilarsela, la
maglia, che qualcuno bussa alla sua porta.
Decisamente
violentemente.
Guarda sbalordita il legno, un po' intimorita, in
realtà, da quella forza.
Si avvia a piccoli passi, mentre il
pensiero irrazionale di rivedere Quinn al di fuori di quella stanza
le invade tutti i sensi.
Ma la sorpresa arriva lo stesso, anche se
non ha i capelli biondi e il sorriso che fa girare la
testa.
“PUCK”
Santana gli salta letteralmente addosso,
mentre quello sghignazza divertito alla reazione della sua migliore
amica.
Mai, avrebbe creduto possibile che Santana Lopez, la
stronza per eccellenza della loro scuola superiore, si sarebbe
prodigata in una manifestazione d'affetto del genere.
Nei suoi
confronti, poi.
Ma Santana è così cambiata che Puck quasi stenta
a riconoscerla, anche se, sotto sotto, vede ancora quella ragazzina
spaventata che deve offendere tutti per non sentirsi inferiore a
nessuno.
Se solo lei riuscisse a vedersi ora, pensa, mentre la
stringe dolcemente e le bacia una guancia, ridendo alla sensazione di
fastidio che le provoca con la barba.
“Che diavolo ci fai qui?”
chiede, la voce stridula.
Puck alza le spalle e le lascia andare
subito dopo, con quel suo fare strafottente che dopo tanti anni,
ancora crede sexy.
Santana fa impattare le sua mano contro la nuca
del ragazzo che si lamenta un po', prima di abbassarsi e sollevarla
all'altezza della vita, lamentandosi che “sei sempre
così violenta
e poco carina con me”.
Santana gli batte i pugni sulla schiena,
ululando quando quello gli infila i denti nella carne dei
fianchi.
“PUCK”
La rimette giù dopo qualche secondo,
lasciandosi cadere a peso morto sul letto ancora caldo e
disfatto.
“Sei diventata pesante, Lopez”
E quella, offesa,
ricomincia la lotta.
Finiscono uno sopra l'altro, gli occhi lucidi
per le troppe risate e il fiatone. Si guardano per un minuto, e poi
Santana gli sfiora la guancia con le labbra.
“Mi sei mancato,
Puckerman”
“Tu di più, Lopez”
Santana lo conosce da
sempre, probabilmente da più tempo di quanto possa o voglia
ammettere.
Lo ricorda come se fosse ieri, il loro primo incontro.
Lui e la sua banda di amichetti, lui da sempre il capogruppo.
A
dodici anni, un giorno, le si è avvicinato, ridendo come un
babbeo e
muovendo in maniera convulsa le sopracciglia in un modo che, Santana
ci ha messo un po' per capirlo, voleva sembrare sexy.
“Vuoi
uscire con me?” le aveva chiesto e Santana era scoppiata a
ridergli
in faccia.
Non sapeva ancora di essere gay, ma sicuramente quel
ragazzino, con quei capelli tagliati in quell'acconciatura ridicola,
non avrebbe mai fatto breccia nel suo cuore.
Invece, una sera,
quasi un anno dopo, l'aveva salvata da un ragazzo che ci stava
provando con lei. O meglio, stava provando a farla ubriacare per poi
provarci con lei.
Puck le aveva stretto le braccia intorno alle
spalle e l'aveva trascinata fuori, e quando lei gli aveva chiesto
perché, lui aveva risposto semplicemente e sorridendo.
“Non si
lascia nei casini la tua prima cotta, anche se ti ha spezzato il
cuore”
E si era innamorata di lui.
Certo non nella maniera
ordinaria in cui tutti si aspettano. Non che Puck non fosse un bel
ragazzo o non ci sapesse fare, a letto. Anzi, Santana pensava
continuamente che, fosse stata etero, sarebbero finiti insieme,
sposati e con tanti piccoli bambini ispanici con la cresta
scorrazzando per la casa.
Ma no, non era quel tipo di amore.
Lo
amava per tanti motivi; perché quando si trattava di Santana
e dei
mille casini in cui si cacciava, era sempre pronto a prendersi la
colpa, lasciandola pulita agli occhi di tutti.
Perché quando con
Brittany erano scappate in palestra, per rimanere un po' da sole, lui
le aveva procurato le chiavi.
E soprattutto perché, quel giorno,
quando lei gli si era avvicinata e gli aveva confessato “sono
gay”
Puck aveva alzato le spalle e aveva sorriso, stringendole una mano in
una maniera tanto goffa quanto carina e le aveva detto.
“Fino a
che non ci provi con le mie ragazze, va tutto bene”
“Sempre il
solito coglione” gli aveva risposto, con le lacrime agli
occhi e il
cuore leggero.
L'aveva affrontato con lei, quel periodo buio in
cui sua nonna non aveva accettato la sua omosessualità. Gli
era
rimasto accanto, stoicamente e aveva combattuto le sue guerre.
Si
era preso gli insulti destinati a lei, e quando qualcuno si
permetteva di farlo direttamente con Santana, Puck finiva in
infermeria, con un occhio nero e un po ' di sangue sul labbro.
Lei
andava a prenderlo, e gli ripeteva ogni volta che non ne valeva la
pena, anche se la voce le tremava e gli occhi le si gonfiavano di
lacrime.
Allora Puck la stringeva forte al petto, concedendosi per
un attimo di non essere il ragazzo bullo della scuola e le sussurrava
piano che tutto sarebbe andato bene.
E Santana ci aveva
creduto.
Si era attaccata talmente tanto a quelle parole, con le
unghie e con i denti che, alla fine, tutto era davvero andato bene.
E
non avrebbe mai smesso di ringraziarlo, per questo.
“Allora?
Dov'è questa fantasmagorica donna di cui non mi hai
più parlato da
Natale?”
Puck gira per i corridoi, gli occhiali da sole poggiati
sul naso, impedendo al resto del mondo di guardarlo negli occhi.
O,
come preferisce lui, permettendogli di guardare gli altri
“occhi”
delle ragazze.
Santana sbuffa, con un mezzo sorriso sulle labbra
che Puck percepisce anche senza guardarla.
“E' in Inghilterra,
da sua sorella” mugugna, e il ricordo di quella lontananza,
che si
era assopito dopo l'arrivo di Puck, torna ad attanagliarle lo
stomaco.
Il ragazzo annuisce mordendosi le labbra, poi, con il suo
solito fare grottesco, esclama.
“Porca puttana, per una volta
che vengo a trovarti lei parte, perde già punti”
Santana
spalanca la bocca, ma è fin troppo arresa a quel modo di
fare per
mettersi a discutere con lui.
“Puck, non sapevamo saresti
arrivato, non prendertela” risponde, sorseggiando il suo
cappuccino.
“Oh, sentila. Non sapeva-mo,
parla al plurale”
Santana rotea gli occhi, fingendo di non
averlo sentito e lasciandosi scaldare dalla bevanda che le scende in
gola, quando qualcuno le passa un braccio intorno alle spalle e si
sente trascinare.
“Santana, che fine hai fatto? Stamattina
avevamo un appuntamento o sbaglio?” Mike, la guarda,
fintamente
stizzito da quel appuntamento mancato, per poi rubarle un sorso di
cappuccino.
Puck tira su gli occhiali e inarca un sopracciglio
quando vede Santana abbracciare il ragazzo e prodigarsi in scuse per
quell'incidente.
L'asiatico alza le spalle e si accorge solo dopo
che non sono da soli. Guarda Santana con un'espressione curiosa, e la
ragazza agita la mano libera e deglutisce troppo velocemente per
passare inosservata.
“No, no. Mike, non è quello che pensi. Lui
è Puck, il mio migliore amico, ve ne ho parlato tante
volte” si
difende, pizzicando la punta del naso dell'altro ragazzo.
Mike
allunga una mano sorridendo, sfregandosi il punto colpito dalla
latina.
“Sono Mike, piacere di conoscerti. Ho sentito tante cose
su di te, amico. Sei praticamente una star” ghigna.
Puck tira il
petto in fuori e inarca le labbra in una smorfia, stringendo la mano
nella sua.
“E non hai ancora sentito nulla, fratello”
E
poi, quasi come se si conoscessero da una vita iniziano a parlare
incessantemente. Football, donne, locali, musica. E Santana scopre
piacevolmente che anche Puck è cresciuto.
Che ora riesce a
conversare con la gente senza tirargli pugni sul naso, quando non
hanno le stesse idee.
E si sente fiera di lui.
“Ehi, smettila
di pensare alla tua donna, Mike, il mio nuovo migliore amico, stasera
ci ha invitati in un locale. E a quanto pare ci saranno un sacco di
donne”
Santana scatta via dai suoi pensieri alla voce di Puck,
e nota l'impercettibile sorriso di Mike quando l'altro sottolinea
“la
tua donna”.
Alza il dito medio verso Puck, tornando ad avere
quindici anni per un attimo, e ride.
“Sei un deficiente, e
comunque, non c'è altro di meglio da fare da queste parti,
quindi va
bene”
“Ehi, non dare del deficiente al mio amico”
Puck
alza il braccio e Mike capisce al volo, sbattendo la sua mano sul
palmo aperto dell'altro.
Santana si passa una mano sul viso e
cammina, esausta.
“Due contro uno non vale” borbotta.
“Questo
locale è una figata” urla Puck, e il gruppo di
ragazze intorno a
lui annuisce, gli occhi fissi sulle sue braccia muscolose.
Mike
gli è accanto, un po' imbarazzato da tutte quelle donne che
gli
stanno attaccate. Santana è lì, seduta un po'
distante che si gode
la scena e cerca di non ridere alle buffe espressioni di Mike quando
Puck tira fuori il suo repertorio di frasi per far colpo sulle
donne.
Poi si alza e decisa si dirige verso il bar, mentre Puck
gli urla di stare attenta alla barista che, a detta sua, “vorrebbe
mangiare te, invece del panino che si ritrova in mano”.
Santana
si avvicina passandosi una mano tra i capelli, ordinando due
cocktail, perché sa già che Puck ne
berrà metà del suo.
La
barista le sorride, un po' troppo in realtà, e si china
verso di lei
dandole una completa visuale del suo seno.
Santana deglutisce,
lentamente e ringrazia, tirando fuori due banconote da cinque
dollari, ma quella la ferma e ammicca.
“Offre la casa, tesoro”
soffia.
Ma una mano sbatte sul bancone prima che una delle due
possa parlare oltre.
Santana si gira e rimane immobile. Gli occhi
di Quinn sono completamente scuri e le sta talmente vicino che il suo
respiro impatta contro l'orecchio della latina.
“Tranquilla,
tesoro, offro io. Non
vorrei che tu perdessi il lavoro, offrendo in giro i tuoi
servizi”
mormora, gelida.
Santana rabbrividisce e sorride un po',
accorgendosi di quanto sia gelosa la bionda.
“Che ci fai qui?”
chiede, dopo che la barista, indignata, prende i soldi senza neanche
preoccuparsi di darle il resto.
Quinn non le da il tempo di
parlare. Le cattura il viso tra le mani e la bacia.
La lingua che
accarezza il labbro inferiore di Santana che geme appena, lasciandole
libero accesso.
Rimangono così, strette, le mani di Quinn intorno
al viso di Santana, mentre quelle della latina sono strette ai
fianchi della bionda.
Fino a che un colpo di tosse non le
separa.
Puck è in piedi davanti a loro. Santana nasconde il viso
nell'incavo del collo di Quinn, che sorride, mordendosi le labbra
gonfie e umide.
“Ciao..” mormora, un po' confusa.
Puck
allunga una mano e ammicca.
“Devi essere Quinn, sono Puck”
Quinn
ride, un braccio intorno alla vita di Santana e l'altro teso verso
Puck.
“Si, lo so chi sei. Santana ci ha raccontato un po' di
cose sul tuo conto” e Puck grugnisce, verso la sua amica,
ancora
nascosta nell'abbraccio.
“Mi aveva detto che eri a Londra”
Santana si scosta un po', guardando la bionda, curiosa quanto
Puck della risposta.
“Sono tornata pomeriggio, evidentemente
Mike ha dimenticato di avvisarti” esclama, facendo
spallucce.
Santana schiocca la lingua.
“Certo, dimenticato”
la prende in giro, per poi guardare Puck con un sopracciglio
inarcato.
“Puck? Non dovresti tornare al tuo tavolo?” sibila,
invitandolo a lasciarle sole, non molto sottilmente.
“Scusa,
stavo solo guardando la tua nuova ragazza. Bel colpo, Lopez”
E
Santana gli salterebbe alla gola, se le mani di Quinn attorno alla
sua vita non fossero così calde e morbide.
“Non è la mia
ragazza” risponde la bionda, facendo il verso alle parole
dell'altra di qualche giorno prima.
Il viso di Santana scatta di
lato e i suoi occhi affondano in quelli verdi dell'altra. La sua mano
trova spazio nei suoi corti capelli biondi, tirandola verso il basso
e mordendole il labbro inferiore, prima di baciarla
nuovamente.
Quando si staccano per la seconda volta, Puck non c'è
più.
“Non prendermi in giro Fabray”
“Sta zitta e
baciami,
Lopez”
***
Perdonate il ritardo ;__; sono una
pessima persona e me ne rendo conto.
Ma è stata una settimana
incasinata e non riuscivo a scrivere. Poi oggi, suddenly, è
venuto
fuori ciò. Che non è il massimo, ma che ci volete
fare, quando
l'ispirazione non c'è.
Grazie a tutti per i commenti, per la
lettura e per tutto. Davvero!
|
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Capitolo 9 *** 8. Jealousy suits you well. ***
8.
Jealousy
suits you well.
Come
ci era finita, in quella situazione, Santana non riusciva a
spiegarselo.
Ricordava solo che, la sera prima era andata in un
locale con Mike e Puck e la barista ci aveva pesantemente provato con
lei.
E poi le mani di Quinn.
Le mani di Quinn ovunque sul suo
corpo.
E
aveva creduto di morire davvero, stavolta.
Perché la bionda si
era staccata da lei, aveva girato i tacchi e l'aveva lasciata sul
letto, insoddisfatta e con gli occhi spalancati.
Non aveva neanche
avuto il coraggio di alzarsi e aveva concluso la sua serata con Puck
ubriaco che le raccontava di come aveva rimorchiato due ragazze nel
locale e alla fine aveva avuto la sua “dannatissima roba a
tre”.
E
poi Quinn aveva bussato alla sua porta, quella mattina. Lei si era
alzata, sbadigliando sonoramente e stiracchiandosi, in una maniera
che pensava fosse del tutto innocente.
Ma Quinn non le aveva dato
il tempo di salutarla. Le aveva chiuso la bocca con la sua, si era
richiusa la porta alle spalle e l'aveva appuntata all'armadio,
graffiandole il collo con le unghie.
«Quinn»
Santana la stava
pregando, anche se probabilmente non l'avrebbe ammesso nemmeno in
punto di morte. L'unica persona nella sua vita che le aveva fatto
quell'effetto, era lontana chilometri e chissà cosa stava
facendo in
quel momento.
Ma il tempo per pensarci non ce l'aveva, dato che la
bionda aveva preso a mordicchiarle il collo, mormorando
d'apprezzamento ogni volta che Santana le stringe più forte
i
capelli tra le dita.
Non ce la fa più. Sarebbe esplosa se Quinn
non l'avesse presa e, no Santana, non puoi dirglielo.
Si
stringe più forte, il petto che si schiaccia contro quello
dell'altra, e abbassa il viso quel tanto che basta a sfiorarle
l'orecchio con le labbra.
Quinn rabbrividisce, Santana può
sentirlo nitidamente e un po' sorride e un po' no, perché lo
stomaco
si stringe e quel calore nella pancia non è più
solo voglia.
O
forse non lo è mai stata, pensa.
Le
dita sulla sua coscia si fanno più insistenti, premono
più forte e
le labbra sulle sue si muovono frenetiche, i denti che le stringono
il labbro inferiore, e poi Quinn fa quella cosa con la lingua e
Santana non riesce a trattenersi.
«Quinn!»
E' un gemito
strozzato, e il volto compiaciuto della più alta sarebbe da
prendere
a schiaffi se Santana non avesse altro per la mente.
Si sente
sollevare completamente e poi il materasso morbido è sotto
la sua
schiena, premuto sotto il corpo caldo di Quinn.
La mano che supera
l'elastico dei pantaloni, i denti che mordono sulla clavicola e le
dita che le sfiorano il seno. Santana chiude gli occhi, premendo la
testa nel materasso e inarcandosi un po', fino a sfiorare il corpo di
Quinn completamente.
Mugugna, affondando il viso nella spalla
lattea dell'altra, respirando a pieni polmoni il profumo della sua
pelle. Le morde il collo, tocchi leggeri e morbidi, risalendo fino
alla mascella e poi la bacia e...
E no, non è decisamente solo
voglia.
Il professor Devon Kepner ha quarantaquattro anni, e
da dodici insegna nell'Università di Lousiville.
Nella sua
brillante carriera può vantare collaborazioni con famosi
scrittori
contemporanei, e un paio di libri niente male, frutto del suo amore
per la letteratura.
Ma nella scuola è riconosciuto per un altro
motivo.
Il professor Devon Kepner è quello che tutti
chiamerebbero “bello e impossibile”.
Fisico atletico, barba
incolta, mani grandi e due occhi blu che farebbero girare la testa a
qualunque essere umano. Uomo o donna.
Quinn frequenta le sue
lezioni da due anni ormai e la sua cotta per quell'uomo è
palese a
tutta la scuola.
Ogni volta che entra nella sua aula, Quinn perde
la cognizione del tempo e dello spazio.
Ma bisogna ammettere che
l'amore della ragazza per la letteratura è cresciuto grazie
a lui. E
no, non perché sia un adone, ma perché
semplicemente ama così
tanto insegnare ai ragazzi, che sarebbe impossibile per chiunque non
seguirlo durante le sue lezioni.
Qualche mese prima Quinn gli
aveva consegnato una bozza di una storia che aveva scritto. Parlava
d'amore, di passione e di sentimenti non corrisposti e il professore,
fiero della sua capacità le aveva promesso che, non appena
gli
impegni lavorativi gli avessero lasciato un po' di pace, avrebbe
sicuramente letto quel piccolo capolavoro.
Quinn era arrossita per
quel complimento ed era scappata via come una tredicenne in preda
agli ormoni.
E ora, mesi dopo, il professor Kepner si avvia a
passo svelto verso la camera di Santana Lopez, dove è stato
indirizzato dal migliore amico della Fabray, il signor Chang.
«Provi
a cercarla lì» gli aveva suggerito, dopo che
l'aveva visto
aspettare una manciata di minuti fuori dalla camera della
bionda.
Quella ragazza aveva talento, e il professore l'avrebbe
aiutata a sfondare, anche se avesse dovuto cercarla in capo al
mondo.
Certo, se Quinn avesse saputo che dietro la porta ci
sarebbe stata la strada per il suo futuro, non avrebbe insultato
chiunque avesse bussato, impedendogli di concludere quello che aveva
iniziato con Santana.
Si guardano un attimo prima di crollare
sconsolate e afflitte sul materasso.
Santana
si riveste in fretta e furia, senza accorgersi di essersi infilata la
maglia di Quinn e corre ad aprire la porta.
L'uomo che si ritrova
davanti, il famigerato professor Kepner, mantiene tutte le
aspettative che le voci di corridoio nella scuola hanno costruito nei
suoi pensieri.
E no, per quanto non le interessino gli uomini,
deve ammettere che quello è un gran bel bocconcino.
«Salve, sono
il professor Kepner. Cercavo la signorina Fabray, mi hanno detto che
avrei potuto trovarla qui»
Sente Quinn squittire alle sue spalle
e non sa se riderne o esserne gelosa.
Annuisce e accosta un
momento la porta, per poi voltarsi e mormorare con un sopracciglio
alzato.
«C'è il tuo cavaliere alla porta»
Quinn si passa una
mano tra i capelli, si infila una felpa di Santana e si affaccia
sulla porta, con un sorriso che Santana avrebbe paragonato ad una
paralisi.
«Professore! Che ci fa lei qui?»
«Noi due, Fabray,
abbiamo bisogno di fare due chiacchiere.»
Brittany scende dal
treno, tastandosi le tasche della giacca per assicurarsi di avere
tutto il necessario per quel piccolo viaggio. Estrae una piccola
mappa disegnata.
Sam gliel'ha fatta la sera prima, per essere
certo che la ragazza riesca a trovare l'Università di
Lousiville.
Segue la linea rossa che dovrebbe condurla senza
troppi problemi da Santana, e si guarda intorno. Non è come
a Lima,
dove tutto è tranquillo e la gente cammina per strada senza
troppi
pensieri. E' un posto piccolo, certo non è New York, ma
è
diverso.
E a Brittany piace.
Cammina lentamente, osservando con
attenzione le facce diverse della gente che abita quel posto, che
corre a lavoro, che torna a casa, che va in giro a fare compere.
Si
gode i palazzi, i parchi, le strade larghe e lunghe.
E poi, dopo
un bel po' di cammino, si ritrova davanti a questa mastodontica
costruzione. Una scalinata dove un gruppo di ragazzi si diverte a
chiacchierare, una coppia di innamorati si scambia effusioni e due
ragazze stanno parlottando a bassa voce.
Quando la vede, Santana
sta parlando con un ragazzo asiatico e sembra arrabbiata.
Ha la
fronte aggrottata e gesticola più del dovuto. Brittany lo
capisce
subito, che qualcosa non va. E vorrebbe correre e stringere le
braccia attorno alla vita dell'altra e dirle che qualunque cosa sia,
si risolverà e tutto tornerà come prima.
Ma sa che non è
così.
L'ha imparato mesi prima, quando Santana le ha detto che
non potevano andare avanti in quel modo. E se anche una parte di
sé
stessa l'ha accettato, l'altra, quella ancora perdutamente innamorata
della sua migliore amica, fa fatica a passare oltre.
Si avvicina
piano, senza fare rumore, dotata di quella grazia da ballerina che la
contraddistingue da sempre.
Scivola accanto a Santana e le copre
gli occhi con le mani, scuotendo la testa verso il ragazzo che rimane
per un attimo perplesso.
«Che diavolo?! Toglimi le mani di dosso
bru-»
Poi le dita sfiorano quelle che le coprono la faccia e non
può fare altro che sorridere.
Si volta lentamente e affonda la
faccia nel collo della più alta, stringendo le dita attorno
alla
giacca.
«E tu che cavolo ci fai qui?»
Ma non le interessa
davvero saperlo.
Brittany è lì.
Il resto non conta.
«Perché
sei arrabbiata, Sannie?»
Brittany glielo mormora lentamente,
accarezzandole i capelli e sfiorandole la fronte con le labbra, prima
di accorgersi dello sguardo confuso del ragazzo davanti a loro. E'
carino, molto in realtà, e ha un fisico niente male.
Chissà
se fa il ballerino.
Santana
si scosta, prima di baciarle una guancia e intrecciare le dita con le
sue. Poi guarda Mike e sorride, indicando la ragazza al suo
fianco.
«Mike, lei è Brittany, Brit-Brit, lui è
Mike»
L'asiatico solleva entrambe le sopracciglia, sa già che
tutto ciò non porterà niente di buono. Ricordando
la reazione di
Quinn per un innocuo flirt della barista con Santana, chissà
cosa
diavolo potrebbe combinare ora che la sua famosa ex-ragazza
è in
città, e Santana sembra ancora perdutamente innamorata di
lei.
Ma
quella biondina sembra così innocente e tranquilla e, no,
Quinn non
può davvero farle del male, con due occhioni così.
Mike le
stringe la mano sorridendo, e l'inchino che l'altra fa per scherzo lo
porta immediatamente a pensare che abbia le movenze di una
ballerina.
Strofina le mani sui jeans e indica l'entrata alle sue
spalle.
«Mi dispiace lasciarvi così ragazze, ma devo
andare a
lezione, piacere di averti conosciuto, Brittany.»
La bionda
sorride, mentre le guance si tingono di porpora.
Santana ridacchia
e le sfiora la pancia con il gomito.
«Non ci provare Pierce»
E
l'altra scuote le spalle e tira fuori il più innocente dei
sorrisi.
«A fare cosa?»
Quinn non poteva ancora
crederci.
Il professore Kepner l'aveva invitata a cena.
L'aveva
invitata a cena per parlare del suo racconto.
L'aveva invitata a
cena per parlare del suo racconto che lui aveva letto e che aveva
trovato “genuinamente brillante”.
Non sentiva neanche più le
voci nei corridoi, né i saluti che gli altri le rivolgevano.
Stava
correndo verso la camera di Santana. Doveva dirglielo.
Doveva
dirle del suo successo e doveva baciarla come se nulla al mondo
avesse più avuto senso.
E poi avrebbero fatto l'amore.
Perché
Quinn lo sapeva dall'inizio che tra loro non sarebbe stato mai solo
sesso.
Svolta l'ultimo angolo e si blocca. E la bocca si apre un
po', e il cuore sembra che abbia smesso di battere e il sangue di
scorrerle nelle vene.
Sente freddo.
Sulla porta di Santana c'è
una bionda, una bionda alta e dal fisico perfetto e dagli occhi che
da lontano sembrano blu.
E Santana è stretta a lei, e le sta
mugugnando qualcosa nelle orecchie e quella sembra gradire,
perché
sorride e le bacia una guancia, e
e
che cazzo.
Vorrebbe
girare su sé stessa e scappare via, ma sembra che i muscoli
si siano
congelati, lasciandola lì, in fondo al corridoio, costretta
a
guardare quella scena.
E poi Santana si gira e la vede, e in un
primo momento sembra rigida, ma poi sorride e Quinn non ha mai avuto
tanta voglia di schiaffeggiarla.
«Ehi, Q.»
Quinn abbozza un
sorriso e agita la mano.
Sei deficiente? Sembri una bambina di
terza elementare.
Si avvicina a passo lento, contando
mentalmente quanto tempo le ci vorrebbe a scappare via. E vorrebbe
piangere, ma invece stringe i pugni e a muso duro si ferma davanti a
loro.
La mano della bionda è ancora artigliata intorno al fianco
di Santana e Quinn deglutisce a vuoto per impedirsi di
urlare.
«Allora, com'è andata con il belloccio?»
Quinn
annuisce, seria.
«Bene, grazie.»
Glaciale.
Se a Santana
avessero chiesto di descriverla in quel momento usando una sola
parola, sarebbe stata glaciale.
Neanche con quella barista la sera
prima era stata così ferma e decisa. E ora si sta rivolgendo
a
lei.
«Scusate, ma ora devo andare.»
Si volta, passandosi una
mano sul viso, le guance arrossate e gli occhi già lucidi.
Respira a
fondo, e svolta l'angolo, ma prima di poter anche minimamente pensare
di correre via, lontano da tutto quello la mano di Santana è
intorno
al suo polso.
Si volta e un paio di labbra si schiantano sulle
sue.
«Quinn.»
Un morso sulle labbra.
Due,
tre.
«Non sei mai stata così bella.»
Angolo
degli alcolisti anonimi.
Si, lo so /o\ sono SETTIMANE che
non aggiorno e mi pento e mi dolgo molto per questo.
Ma il Natale
e il Capodanno e il pandoro e il limoncello. /o\
Perdonatemi.
Spero
di riuscire a prendere il ritmo e spero di non aver scritto una
minchiata, ecco.
In
linea di massima spero di non beccare pomodori.
Fine
dell'apologia.
Grazie per l'attenzione. * chiude tendine *
|
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Capitolo 10 *** 9. Just us. ***
9.
Just us
Santana
aveva cercato di fermarla.
Se l'era tirata addosso e l'aveva
baciata come se niente al mondo fosse più importante. Ed era
vero e
reale, e sperava di far capire a Quinn quanto ci tenesse
perché, lo
sapevano entrambe, Santana non era mai stata brava con le parole.
Ma
Quinn si era staccata da lei, fredda e brutale ed era corsa in camera
sua.
Si era lasciata scivolare contro il legno della porta e aveva
pianto.
Aveva pianto per due motivi.
Perché
aveva capito di essere irrimediabilmente innamorata di Santana, con
tutta la voglia e la passione che le scorreva nelle vene.
E aveva
capito che Santana non l'avrebbe mai amata con la stessa forza.
Era
chiaro che non poteva aspettarsi da Santana un amore come quello dei
libri o dei film che aveva visto e rivisto. Quelli che ti schiantano
sul divano, con le lacrime che ti colano sulle guance e il cuore a
pezzi, ma felice.
No, in quella storia l'unica che ci avrebbe
rimesso sarebbe stata lei.
E non voleva più farlo.
Si era
lanciata sotto la doccia, il getto dell'acqua calda a portarsi via le
lacrime e la tensione accumulata sulle sue spalle.
Non doveva
pensarci.
Non voleva
pensarci.
Perché se ci avesse pensato, anche solo un minuto,
anche solo un secondo, non avrebbe resistito e sarebbe corsa in
camera di Santana a chiederle scusa.
Scusa di cosa,
poi.
Ma l'avrebbe
fatto e
l'avrebbe baciata e un giorno, Santana si sarebbe accorta di essere
ancora innamorata di Brittany, e Quinn sarebbe rimasta lì a
guardarle andare via insieme, lasciando dietro di loro la scia del
suo cuore distrutto.
E Quinn aveva già subito troppo.
Era
già stata abbandonata, triste e incinta. Qualcuno le aveva
rubato
quell'attimo e non si era neanche preoccupato delle conseguenze. Aveva
tirato avanti e se l'era cavata da sola.
Non aveva bisogno di
nessuno, poteva benissimo farcela con le sue sole forze. E se Santana
voleva Brittany, bè, poteva tenersela. A Quinn non
interessava.
Si
fece forza e annuì convinta di quel ragionamento. Ma il
petto le
faceva male, e lo stomaco si era chiuso in una morsa che le stava
facendo girare la testa.
Doveva smettere di pensarci.
Si era
vestita con calma, riflettendo su quale dei suoi abiti avrebbe
più
impressionato il professor Kepner. No, non voleva andarci a letto. Ma
voleva fare bella figura. Voleva dargli l'idea di essere una donna e
non una semplice ragazzina, e voleva che lui capisse quanto lei fosse
disposta e ostinata per la sua futura carriera.
Aveva scelto un
vestito scuro, con un soprabito e un paio di scarpe col tacco e si
era sentita infinitamente soddisfatta del risultato.
Aveva preso
il cellulare, ignorando le chiamate che aveva ricevuto da Santana e
Mike, e aveva digitato in fretta e furia un veloce messaggio, prima
di avere la possibilità di ripensarci.
“Stasera vedo
il professor Kepner, ci vediamo appena torno”
L'aveva
inviato e aveva sospirato.
Era fatta.
Quel
messaggio ha un solo destinatario.
Mandy Wilcox.
Il
professor Kepner cammina avanti e indietro alla fine della scalinata,
davanti alla quale sta aspettando Quinn Fabray.
Ha un cappotto
lungo, nero e un paio di pantaloni scuri. Una sigaretta tra le labbra
e i capelli scompigliati dal vento.
Controlla
ripetutamente il cellulare che ha in tasca, e no, non perché
sia
impaziente di vedere Quinn. Certo quella ragazza gli piace. Ha un
ottimo temperamento e un modo di scrivere che potrebbero portarla
lontano, e lui l'avrebbe di certo aiutata ad inserirsi in quel
mondo.
Ma il telefono rimane fermo e silenzioso e per un po'
sospira di sollievo.
Quando Quinn arriva e lo vede, alla fine
della scalinata, si sente un po' come Cenerentola davanti al principe
azzurro. Spera di non perdere la scarpetta, e soprattutto di non
capitolare giù, maledicendosi per la scelta di quei tacchi
sui quali
non si è ancora abituata a camminare.
Devon la nota e le sorride,
risalendo qualche scalino e aiutandola a mantenere
l'equilibrio.
«Allora,
signorina Fabray, è pronta per la nostra cena?»
Quinn
sorride e annuisce, un filo di rossore a dipingerle le guance. E a
Devon sembra per un attimo una bambina al suo primo appuntamento, ma
poi quella si schiarisce la voce e lo guarda e i suoi occhi sono
quelli di una donna decisa.
Si ferma per un attimo a fissarla, ed
è bellissima.
«Certo
professor Kepner. Ma non mi ha ancora detto dove andiamo!»
Esclama
e Devon ride.
«Per
favore, dammi del tu. E chiamami Devon»
L'altra
annuisce e si morde le labbra, tentando di scusarsi, e Devon capisce
benissimo l'imbarazzo che deve provare in quel momento, quindi
sorride, con quel sorriso che molti gli hanno invidiato e le passa
una mano sulla schiena.
«Allora
lei- cioè tu, devi chiamarmi Quinn»
«Affare
fatto.»
Ridono
entrambi, e Devon si incammina verso un ristorante poco lontano dove
ha prenotato. Vuole parlare con Quinn di quelli che sono i suoi sogni
e le sue aspirazioni e soprattutto vuole vedere fin dove è
disposta
a buttarsi per la riuscita della sua carriera.
Però il cellulare
gli squilla nella tasca e comincia a sentire le mani sudate.
«Scusa,
deve essere il mio ragazzo. Nostro figlio ha la febbre.»
Vede
la bocca di Quinn spalancarsi e gli occhi quasi uscirle dalle orbite.
Abbozza una risata.
Ma
perché fanno tutti così.
Quinn
non può credere alle sue orecchie. Vorrebbe passarsi una
mano sugli
occhi e darsi uno schiaffo sulla fronte per essere sicura di non
esserci caduta, su quelle scale, ed essere finita all'ospedale con un
trauma cranico.
Ma Devon è lì che parla, preoccupato e assorto
nella telefonata e
no,
Quinn, non stai sognando.
E'
gay. E' completamente ed irrimediabilmente gay. E ha un figlio.
No,
non posso crederci. Devo dirlo a San-
Si
morde la lingua, sbuffando per quel pensiero che le è
arrivato alla
testa del tutto naturale.
Quando finisce di parlare, Quinn ha
ancora l'espressione da pesce palla e lui, più tranquillo e
rilassato la guarda, un sopracciglio inarcato.
«T-tuo
figlio sta bene? Come va la febbre?»
Chiede
Quinn, balbettando un po'.
Devon
annuisce e le pizzica il ponte del naso con un dito.
«Prima
regola di questa vita, Fabray. Combatti per la persona che
ami.»
Santana
si muove in maniera impercettibile, tentando di non svegliare
Brittany alle sue spalle e cerca nel buio il suo telefono.
Sa
benissimo che Quinn non l'ha richiamata, ma una parte di lei, quella
parte ingenua e sognatrice, vorrebbe tanto che l'avesse fatto.
Non
credeva che se la sarebbe presa tanto. In fondo lei e Brittany sono
solo amiche, ora. Certo c'è stato un tempo in cui era
perdutamente
innamorata della sua migliore amica e stavano insieme e-
e
forse la ami ancora e Quinn se n'è accorta.
Santana
scuote la testa.
No, non può essere.
Certo vuole bene a
Brittany. Ma l'ha capito qualche ora prima, quando ha visto gli occhi
di Quinn pieni di rabbia e rancore, che la sua vita è
cambiata.
E
che è innamorata di Quinn.
E, dannazione, ha mandato tutto a
puttane di nuovo.
Non che stesse facendo chissà cosa. Brittany le
stava sussurrando che le sarebbe piaciuto moltissimo fare un passo a
due con Mike e Santana era rimasta perplessa e non aveva capito se il
passo a due fosse letteralmente quello che intendeva o una metafore
per dire altro.
Brittany era scoppiata a ridere e l'aveva baciata
tra i capelli, in quel modo un po' intimo e un po' loro.
Non si
era accorta di Quinn fino a quando l'altra bionda le aveva detto che
qualcuno le stava osserva e il cuore le era schizzato in gola, per
paura che avesse frainteso tutto, come poi era successo.
Ma aveva
paura a dirle quello che provava.
Brittany era stata l'unica
persona con cui Santana aveva potuto essere sé stessa e
ancora
faceva fatica ad esporsi con altre persone. Così l'aveva
baciata.
Ma
forse non era stata una buona idea, perché Quinn aveva
ricambiato
all'inizio, con una violenza che per Santana era stato un pugno nella
pancia.
Ma poi l'aveva mollata lì, in mezzo al corridoio,
lasciandole i brividi per il fuoco nello sguardo che le aveva
lanciato prima di fare dietro-front e scappare in camera sua.
Cerca
a tentoni l'interruttore della piccola lampada sulla scrivania, ma
qualcosa si muove e le braccia di Brittany si stringono al suo
corpo.
«Non
volevo svegliarti»
mugugna.
Brittany arriccia il naso e le bacia una spalla.
«Non
stavo dormendo. Non posso dormire sapendo che non lo stai facendo
anche tu.»
Santana
sorride istintivamente.
Si lascia cadere tra le braccia di
Brittany e affonda il viso sul suo petto, sospirando.
«Come
faccio a spiegarle, Brit?»
Le
mani della bionda tra i suoi capelli sono sempre un toccasana, le
unghie che graffiano dolcemente la nuca facendola sospirare
tranquilla.
«Devi
solo dirglielo, San.»
«Dirle
cosa?»
Brittany
sorride e le bacia la fronte.
«Che
sei innamorata di lei.»
Durante
la cena, Quinn ha imparato molte cose sul conto del suo professore.
Che
ha un fidanzato di nome Mark, che ha due anni più di lui,
che sono
fidanzati da dieci, e che da tre hanno un bambino di nome Stefan.
Che
per avere la madre surrogato hanno dovuto spendere una fortuna, e che
i suoi genitori non hanno mai accettato la sua condizione e non hanno
mai voluto vedere il loro nipote.
Ha
imparato che Devon ci ha sofferto, per quell'imposizione, ma che ha
tirato avanti, ha stretto i denti e ha combattuto per l'amore della
sua vita ed ora è quasi l'uomo più felice del
mondo.
Certo gli
piacerebbe che suo padre tornasse indietro, lo guardasse e ammettesse
che, aldilà di tutto, sia il figlio migliore del mondo, ma
per ora
si gode quello che ha senza troppe lamentele.
Ha imparato che per
fare lo scrittore devi sentirtele nelle ossa, le parole. Che un
tramonto o un'alba o un qualsiasi evento naturale possono portarti a
scrivere qualcosa che non ti saresti mai aspettato.
Ha imparato
anche che non gli piacciono il mais e le nocciole e Devon ha riso
venti minuti di fila per la faccia schifata che ha fatto quando ha
mandato giù un boccone di quell'intruglio.
E Devon ha imparato e
scoperto che non è il solo ad avere un bambino.
Quinn
gli ha raccontato la sua storia, con una leggerezza che non aveva da
tempo.
E
lui le aveva detto che era stata coraggiosa e saggia a fare quella
scelta, e che molti, per egoismo o per semplice senso di
appartenenza, avrebbero costretto il bambino a vivere in una
situazione poco felice pur di averlo accanto.
Al ritorno dalla
cena, subito dopo aver salutato Devon ed essersi fatta promettere che
prima o poi avrebbe incontrato il piccolo Kepner, il telefono le
squilla.
«Mandy?
Si, arrivo.»
Ha
quasi dimenticato quell'appuntamento.
Ma non vuole disdire. Si
sente ancora ferita, e triste e -
«Che
ci fai qui Santana?»
Chiede,
non appena intravede la latina poggiata alla porta della sua
camera.
Santana deglutisce e si passa le mani sui pantaloni
azzurri del suo pigiama.
«Quinn
io-»
Si
ferma e sbuffa, una mano tra i capelli e l'espressione confusa. Quinn
può dire tranquillamente che è in
difficoltà e ha un faccino
adorabile che se non fosse per la sua decisione di non muoversi,
Quinn prenderebbe tra le mani e bacerebbe senza sosta.
«Ascolta,
mi dispiace, va bene? Lo so che poteva sembrare strano e dovevo dirti
di Brit, ma era una sorpresa anche per me e- ed è la mia
migliore
amica. »
«Sei
ancora innamorata di lei, Santana?»
E
la domanda parte spontanea dalle sue labbra, senza che possa
controllarla.
Santana le si avvicina e posa le mani sui suoi
fianchi. Quinn ha gli occhi bassi ed evita di guardarla, ma la latina
le prende il mento tra le mani e la costringe a farlo.
«Sarei
qui se fossi ancora innamorata di lei?»
«Non
lo so, San. Non so più nulla.»
Ma
il cellulare di Quinn decide di interrompere quel momento squillando
ancora e ancora e-
Santana le sfila l'apparecchio dalle mani e
legge il nome sul display, il sopracciglio che si alza in
alto.
Risponde con una risata sarcastica e liquida la faccenda in
poco più di trenta secondi, per poi rubare a Quinn le chiavi
della
sua stanza, trascinandola all'interno.
Quinn si siede sul letto,
senza opporre resistenza, e si passa le mani tra i capelli,
sospirando pesantemente fino a che Santana non si siede a cavalcioni
su di lei.
«Niente
Mandy.»
Le
sussurra sulle labbra, prima di baciarla.
«Niente
Brittany.»
Risponde
Quinn, sfiorandole il collo con le mani.
«Solo
noi.»
Angolo
degli alcolisti
anonimi.
No,
non lo so com'è successo.
Ma dovevo farmi perdonare per l'assenza
prolungata e forse il senso di colpa è stata l'ispirazione
necessaria che mi ha fatto scrivere un altro capitolo in meno di una
settimana.
Detto questo, mi auguro che anche questo abbia un senso
e che nessuno di voi continui ad odiare l'adorabilissimo professor
Kepner sennò vi lancio i pomodori che dovreste lanciare
ammmeh.
e_e
(Lui nella mia mente è Matt Bomer, in tutto e quasi per tutto. Con
gli occhiali e * muore
indegnamente *)
Mi
scuso per eventuali errori. Ho riletto, ma qualcuno scappa sempre,
quindi perdonatemi /o\
Smetto
di tediarvi, ringraziandovi tanto.
|
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Capitolo 11 *** 10. Come with me. ***
10.
Come with me.
Quinn
ha ancora gli occhi chiusi quando sente il suono di una risata
rimbombarle nella testa. Rimane per un attimo interdetta, muovendo la
mano sul letto alla ricerca del corpo che per tutta la notte
è
rimasto attaccato al suo.
Il letto è vuoto e il lato di
Santana...
Freddo.
Spalanca gli occhi, ma la luce le
colpisce le pupille ed è costretta a stringerli
più forte per
abituarsi alla luminosità. Con le palpebre per
metà abbassate,
cerca di focalizzare lo sguardo.
Dall'altro lato della stanza,
accanto alla sua scrivania ci sono due persone.
No,
tre.
Che diavolo.
Si tira su lentamente, sollevando il
busto e strofinandosi il viso con le mani, le dita tra i capelli,
riavviandoli un po'.
Il letto cigola e Quinn alza lo sguardo.
Santana è davanti a lei, una tazza in mano. Le ginocchia
affondate
nel materasso, il petto all'altezza del viso della bionda che
deglutisce lentamente.
«Buongiorno.»
E' un bisbiglio. Quasi
un sospiro.
E glielo dice sulle labbra, sfiorandogliele appena in
una maniera talmente diversa dal solito, che Quinn ci mette qualche
secondo a riprendersi da quella sensazione.
Boccheggia in cerca
d'aria e Santana sorride e le sfiora la mascella con le
dita.
«Buongiorno.» Risponde, quando ritrova la
facoltà di
parlare.
«Allora sei tu!»
La voce squillante che sente è
diversa. E proviene da qualcuno lì vicino.
Qualcuno dai capelli
biondi.
Brittany.
Le sopracciglia di Quinn volano in
alto e per un momento rimane immobile a fissare gli occhi blu di
quella ragazza che le si sta avvicinando. Santana è
lì, una risata
nascosta malamente sulle labbra.
E Quinn non sa davvero che fare.
«Sei la nuova ragazza di Sannie! Io sono Brittany.»
La mano
bianca e affusolata della ballerina si tende verso di lei e Quinn si
sente tre paia di occhi addosso.
C'è anche Mike, se n'è accorta
solo ora. E Mike la guarda di sottecchi, saltellando da un piede
all'altro come se stesse mentalmente preparando una coreografia. Ma
Quinn lo conosce quello sguardo. Sta pensando a qualcosa di diverso
pur di non ridere.
Stanno tutti aspettando la sua reazione. E
vorrebbe davvero solo stringere la mano di quella ragazza e fare
finta di nulla, ma quando l'ha riconosciuta nella sua stanza, con la
sua Santana non ci ha visto più. O meglio
ci ha visto rosso.
Dannazione.
Allunga
le braccia.
Uno sbadiglio che le scivola dalle labbra.
Poi la
sua mano va a stringere quella di Brittany, che la illumina con un
enorme sorriso.
«Piacere mio Brittany.»
E quella se ne va
saltellando, tirandosi dietro Mike, spiegandogli chissà cosa.
Quinn
scuote la testa, prima che Santana le blocchi il viso tra le mani e
schiacci le labbra sulle sue.
I denti che le graffiano il labbro
inferiore.
«Bugiarda.»
Quando
Quinn entra nel bar, il respiro mozzato dalla corsa e il viso
accaldato, comincia a girare su sé stessa fino a che un viso
familiare non spunta tra le tante teste.
Devon alza il braccio, un
sorriso smagliante sulla sua faccia.
Quinn sorride di rimando e si
avvicina, notando solo dopo la piccola testolina bionda al fianco
dell'uomo. Il suo sorriso si fa ancora più ampio, se
possibile, e
quando si siede, fissando la coppia che ha davanti, per un attimo, un
solo attimo, si permette di ripensare a Beth e a come sarebbe stato
se...
No, Quinn, smettila.
«Ehi»
La
voce di Devon è tranquilla e rassicurante, e la sua
espressione è
quella di uno che la sa lunga, e sa esattamente cosa sta
attraversando la testa di Quinn. Scuote la testa e spettina il
piccolo che mugugna e si lamenta.
«Stefan,
questa è Quinn. Fai l'educato, saluta»
Il piccolo alza il viso e la prima
cosa che Quinn nota è il colore dei suoi occhi. Identico a
quelli di
Devon.
«Ciao»Mormora,
timido.
Quinn allunga la mano e stringe quella del
piccolo, ridendo un po' al malcelato imbarazzo.
«Io
sono Quinn.»
Stefan
annuisce e torna a scarabocchiare qualcosa sul tovagliolo di carta.
Devon lo osserva con la stessa preoccupazione che lei conosce alla
perfezione.
La bionda si schiarisce la voce e ignora lo sguardo
confuso del professore, prima di rivolgersi nuovamente al
piccolo.
«Ehi,
Stefan cosa stai disegnando? Posso aiutarti?»
Il
piccolo sembra spaesato. Guarda suo padre che annuisce e allora si
alza e fa il giro del tavolo, arrampicandosi sul divanetto dal lato
opposto accanto a Quinn.
Sistema i colori sul tavolo e illustra il
disegno scarabocchiato di una casa e un bimbo e due uomini che si
prendono per mano. Quinn si morde le labbra per non ridere e prende
in mano un colore, facendosi spiegare cosa fare.
Quando entrambi
si tuffano sul disegno, ridendo e scherzando, Quinn alza lo sguardo,
trovando quello di Devon un po' commosso.
«Non
fa amicizia facilmente. Devi avere qualcosa di speciale, Quinn.»
E
lei arrossisce e prega che non si veda, perché non vuole
certo che
il suo professore preferito la veda regredire all'età
adolescenziale.
Devon ride ed estrae dalla borsa una
cartellina.
«Ho
parlato con il mio amico. Il direttore della casa editrice,
ricordi?»
Quinn
annuisce, senza mai smettere di colorare e tenendo lo sguardo basso.
Stefan continua a sorriderle.
«Ha
detto che da una veloce lettura gli interessa. »
«Ma?
»
L'uomo sospira e si passa una mano tra i capelli.
«Ma
è a Londra per altri tre mesi. E se vogliamo che la cosa
vada in
porto devi andare lì.»
Quinn
apre e chiude la bocca un paio di volte prima di rispondere.
Non è
un problema andare a Londra. C'è sua sorella e sarebbe
felicissima
di ospitarla.
Ma Santana...
«Qual
è il problema? Sono un paio di settimane al massimo»
Risponde
premuroso.
Quinn scuote le spalle, mentre Stefan le si siede in
braccio. Gli accarezza lentamente i capelli biondi e ride mentre lui
illustra il risultato del loro lavoro.
Devon sembra apprezzare e
allunga una mano per rubargli il foglio.
«No,
papà fermo»
Sghignazza
il piccolo. Il professore ride e alza le mani per poi tornare a
guardare Quinn.
La bionda sospira e ricambia lo sguardo.
«C'è
questa ragazza. Che non è la mia ragazza, credo. Ma le cose
sembrano
andare bene per ora e-»
Si
blocca a metà.
L'immagine di Santana che si rigetta tra le
braccia di Brittany. L'immagine di loro due insieme.
Si
irrigidisce, tentando di nasconderlo, ma il bambino tra le sue
braccia se ne deve essere accorto, perché si volta a
guardarla.
«Stai
bene? »
Mugugna,
prima di poggiare le mani sul viso di Quinn.
Devon ride.
«Quinn
devi solo fidarti di lei. E' del tuo futuro che stiamo parlando.»
«Lo
so.»
E
poi per la prima volta riesce finalmente a dirlo ad alta voce.
«Ma
la amo.»
Il
lieve ticchettio sulla porta, Santana lo sente appena, avvolta
com'è
tra le lenzuola.
Si avvicina a passo lento, sperando che
dall'altro lato ci siano Mike e Brittany con la sua
cena.
«Quinn!?»
La
bionda abbozza un sorriso e si gratta la nuca.
«Posso
entrare?»
Santana
la guarda, confusa e un po' preoccupata. Le fa spazio con il corpo,
invitandola dentro e richiudendosi la porta alle spalle. La vede
sedersi sul letto, tra le coperte ancora disordinate.
Non ha una
bella espressione e Santana inizia a sentire qualcosa di indefinito
nello stomaco. Paura, ansia, puro terrore.
Non sa spiegarselo. Sa
solo che quando si avvicina a Quinn e le stringe la mano tra le sue,
quella scatta.
«Cosa
siamo Santana?»
Santana
boccheggia, gli occhi spalancati per la sorpresa.
La domanda le è
arrivata dritta in faccia come un treno in corsa, senza la
possibilità di fermarla. Si passa una mano tra i capelli,
mentre
l'altra stringe ancora quella di Quinn, che sembra reticente al suo
tocco.
«Come?!»
La
sua voce è acuta, qualche tono più alto del
normale e la sua
espressione non deve essere delle migliori perché Quinn
ritira la
mano e la fissa, immobile.
«Tra
due giorni parto per Londra e dovrò starci due settimane. »
La
mora abbassa lo sguardo.
Due
settimane. Due settimane senza Quinn.
«E
davvero, non sarebbe un problema di solito. Ma tu.. Tu mi confondi
Santana. Non ho idea di cosa fare. Sei la mia ragazza? Non lo sei?
Non ne ho idea. Ho quasi spaventato a morte il professore Kepner con
una scenata che non aveva senso. Insomma, chi rinuncerebbe ad un
incontro con una casa editrice solo per una presunta relazione?
Nessuno. Non io di certo. O almeno lo credevo. Ora non lo so. So solo
che mi manchi ogni volta che non ci sei e ora devo partire e,
dannazione,
Santana. »
Quinn sbotta quando la vede sorridere.
Quel sorriso
un po' stronzo e un po' bastardo, che le fa venire voglia di
schiaffeggiarla. Santana si sporge e la bacia dolcemente.
Le dita
che solleticano il collo pallido.
«Sta' zitta.»
E' un mugugno
sulle labbra, ma tanto basta a convincere Quinn.
Si ritrovano sul
letto, ansanti e senza vestiti. Pelle contro pelle.
E Santana la
bacia, la accarezza, la stringe.
E Quinn...
Quinn potrebbe
impazzire da un momento all'altro.
Potrebbe persino dirglielo.
Ti
amo, Santana.
Sarebbe
così facile.
Invece la bocca di Santana le ruba le parole,
schiacciandosi sulla sua e non lasciandole il tempo di reagire.
E
poi sente solo i gemiti di Santana riempire la stanza. E i suoi,
sospirati e bassi ,che abbandonano le sue labbra senza che possa
impedirlo.
Quando ricadono sul letto, stanche e appagate, con una
leggera patina di sudore a impregnare il corpo di entrambe, Quinn si
ferma a guardarla e..
Wow.
«Vieni
a Londra con me.»
Lo dice senza pensarci. E subito dopo la paura
del rifiuto le chiude lo stomaco.
Santana ha gli occhi socchiusi.
La bocca aperta e il petto che va su e giù al ritmo del suo
respiro.
Allunga una mano e la intreccia con quella di Quinn,
portandosela alle labbra.
«Va bene.»
E quelle due parole per
Quinn sono le più belle del mondo.
«Forse dovremmo solo
lasciar perdere»
Mormora Mike, quando per l'ennesima volta il suo
suo bussare alla porta viene ignorato. Brittany sorride e scuote la
testa.
«Tu non conosci Santana. C'è un solo motivo per
cui può
essersi addormentata così pesantemente.»
Ghigna e Mike ci mette
un po' a capire quale sia la spiegazione.
Quando lo realizza,
spalanca la bocca che forma una “oh” di sorpresa.
«Esatto.
Credo che lei e Quinn si siano divertite.»
L'asiatico rimane
qualche attimo immobile, poi, con una faccia disgustata, estrae la
chiave della sua camera.
«Non volevo saperlo, comunque.»
«Oh,
avanti. Quando io e Santana abbiamo fatto il video, abbiamo preso
tanti pollici in su. Non è brutto.»
«COSA?!»
Mike
urla quasi, e le pizze che ha tra le mani quasi cadono per terra
mentre cammina e cerca di non precipitare sui suoi stessi
piedi.
Brittany ride e gli prende le pizze dalle mani, mentre
volteggia nel corridoio aspettando che Mike le indichi la sua
stanza.
Quando il ragazzo lo fa e le apre gentilmente la porta di
ingresso, Brittany si fionda all'interno ed è quasi
spaventata
dall'ordine impeccabile che c'è.
«Non
credo di aver mai visto una stanza così ordinata.»
Sussurra.
Mike
ride e le prende una sedia, sistemando la scrivania per ricavarci lo
spazio per le pizze.
Mentre mangiano, ridono e si raccontano
qualche avventura passata, di com'è iniziata la loro
passione per la
danza, di come vanno le cose nello studio e Mike scopre piacevolmente
che Brittany, nonostante qualche volta sia difficile starle dietro,
ha un'ottima predisposizione alla chiacchiera.
Gli racconta che ci
ha provato, davvero, ad andare avanti e che Sam sembrava il tipo
giusto. Ma poi ha scoperto che lui ha le labbra troppo grandi
(“Come
diceva Santana”) e che a lei non piacciono per niente.
«Ci
siamo anche sposati per finta.»
Ribatte e Mike quasi si strozza
con la mozzarella.
Brittany ridacchia e gli passa il tovagliolo.
E
quando le loro mani si sfiorano, in quel piccolo e innocuo gesto,
Mike sente una scossa elettrica attraversargli la spina dorsale.
E
quando la sente ridere, di una risata un po' troppo allegra, sente il
sorriso aprirsi istintivamente sul suo viso.
E quando le chiede di
ballare, scoprendo come i loro corpi si muovano in sincrono in
maniera del tutto naturale, Mike capisce di essere completamente
rovinato.
Angolo
degli alcolisti anonimi. (si, mi piace tanto okay? 'k)
Questo
capitolo FA SCHIFO.
In ogni modo possibile/immaginabile.
Nella
mia testa era una cosa carina carina piccina picciò (duh) e
invece è
venuto fuori uno scempio. Epperò a riscriverlo non ce la
potevo
fare. Inoltre lo studio. E il mondo.
E insomma, mi dispiace tanto
SOB.
Mi farò perdonare con il prossimo. Giurin giurello
ç_ç
Also
io shippo ardentemente Brittany/Mike da decenni e lo so che sono
totalmente non-canon ma who cares.
Thank you \0\
|
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Capitolo 12 *** 11. While you sleep. ***
11. While you sleep.
Dodici
ore di volo non erano state esattamente una passeggiata per Quinn e
Santana.
In realtà non lo era stata neanche la parte prima,
l'arrivo in aeroporto, i preparativi per il viaggio. Per non parlare
del fatto che Santana aveva rifatto tre volte le valige
perché non
aveva idea di cosa mettere e di cosa avrebbe trovato aldilà
dell'oceano.
Quinn
gliel'aveva ripetuto mille volte com'era il clima e cosa era
più
giusto portare. Ma Santana era Santana e non l'avrebbe di certo
ascoltata.
Ma finalmente sono lì.
Ad attendere che il nastro
sputi fuori le loro valige. Santana continua a guardarsi intorno.
L'aria un po' spaesata e i denti che continuano a tormentare le
labbra.
Quinn la fissa e ride, attirando l'attenzione dell'altra
che gli riserva una gomitata non troppo forte nello sterno.
La
bionda le ferma le mani e la stringe, baciandole il naso e
sfiorandole le labbra, senza preoccuparsi della gente intorno a
loro.
«Non mi
avevi detto che
avevi paura degli aerei.»
Santana
borbotta.
«Perché
non è
vero. »
Ribatte, punta nell'orgoglio.
Il sopracciglio Fabray
salta in alto e Santana sa già che è rovinata.
«San,
mi hai stretto la mano per tutto il viaggio talmente forte che penso
non ci sia più un osso rimasto intatto.»
La
latina sbuffa e si stacca, roteando gli occhi piccata. Quinn le si
riavvicina e la stringe nuovamente, non dandole la
possibilità di
liberarsi stavolta.
«Però
mi
piace che tu mi tenga la mano.»
Le
sibila all'orecchio e l'unica reazione di Santana è
rabbrividire a
quel tono di voce, girandosi nelle sue braccia e fissando gli occhi
nocciola che si ritrova davanti.
«Sei
fortunata perché sei carina, Fabray.»
Mormora,
prima di morderle le labbra e baciarla.
Quinn annuisce e sorride
nel bacio, portandole una ciocca di capelli scuri dietro
l'orecchio.
«Lo
sono
davvero.»
Risponde.
E
ha quel maledetto sorriso che Santana sente le gambe molli come
budini.
Dannata Quinn.
La
bacia ancora e ancora, fino a che qualcuno non tossisce accanto a
loro e Santana ci mette un secondo a capire che Quinn non si
è
moltiplicata.
«FRANNIE!»
Una
bionda un po' più bassa di Quinn è lì
accanto a loro. La pancia
lievemente pronunciata che nasconde il suo futuro figlio. Ha gli
stessi occhi di Quinn, nocciola e intensi. E la sua stessa
capacità
di incutere timore con un solo sopracciglio..
Sarà una
cosa targata Fabray, suppongo.
Quinn
la stringe, baciandole una guancia, per poi saltare addosso all'omone
dai capelli scuri accanto a lei. Ha gli occhi allegri, neri e
attenti. E un viso simpatico.
Santana sente il rossore
strisciargli sul collo prima che Frannie le allunghi una mano.
«Devi
essere Santana. Sono Frannie, ho sentito molte cose su di te.
»
Ridacchia
alla faccia un po' sconvolta di Santana che fissa Quinn, un punto
interrogativo nella sua espressione.
«Non
è vero nulla di quello che ha detto Quinn, te lo prometto. »
Frannie
le si avvicina e le passa un braccio intorno alle spalle, sotto lo
sguardo attento della sorella.
E poi le sussurra qualcosa
all'orecchio che Quinn non può sentire, ma che percepisce
dal viso
di Santana.
«Credimi,
certe cose vorresti fossero più che vere.»
«Non
è possibile!»
Santana
scoppia a ridere, insieme a Dave e Frannie, seduti sul divano di
fronte al loro. Quinn ha l'espressione fintamente scocciata mentre
cerca di trattenere sé stessa dal fare come loro.
Alza il mento
all'insù e picchietta con le dita sul bracciolo del divano,
osservando come Santana stia praticamente piangendo per la storiella
che sua sorella le ha appena raccontato.
Con i piedi le spinge il
sedere, intimandogli di smetterla, ma quella non sembra neanche
accorgersene, anzi. Le sue risate aumentano.
Almeno fino a che
Quinn non le salta praticamente in braccio tappandole la bocca con le
sue labbra. Santana si irrigidisce, lasciandosi andare solo dopo
qualche secondo, quando la lingua di Quinn striscia sulla sua
bocca.
«Ehi,
ci sono bambini qui.»
Quinn
si stacca, lasciandola di stucco e si rimette al suo posto,
l'espressione fiera che troneggia sul suo volto.
«Dovevo
pur farla smettere.»
Ammette,
beccandosi una cuscinata da Santana, offesa.
Dave mormora qualcosa
sulle labbra di sua moglie, per poi scusarsi e andare in cucina.
«No
ti prego, dimmi che non è andato a cucinare.»
Frannie
annuisce alla richiesta di sua sorella, e quella squittisce.
«Dico
ma non è perfetto? Sa anche cucinare. Mai che queste cose
capitino a
me.»
Stavolta
è la gamba di Santana a colpirla, e Quinn non può
fare altro che
ridere mentre si massaggia la parte lesa.
«Non
sei divertente.»
Frannie
le guarda e si passa una mano sul viso, divertita.
E' bello vedere
sua sorella finalmente bene. Le si stringe un po' il cuore a
ripensare a quei giorni tristi subito dopo aver scoperto che era
incinta. L'avevano tenuto nascosto fino a quando la sua pancia non
era diventata troppo evidente. E allora suo padre l'aveva sbattuta
fuori casa.
Da sola.
Incinta.
Non
poteva ancora credere che razza di uomo l'avesse cresciuta. Aveva
pregato sua madre di farlo ragionare, ma quella, succube del marito,
le aveva risposto che Quinn avrebbe fatto bene a tenere le gambe
chiuse.
E a lei era venuta voglia di vomitare.
Quando aveva
rivisto sua sorella, una settimana dopo, aveva il viso scavato e
l'espressione dura. Aveva fatto di tutto per farla ragionare e c'era
riuscita.
Quinn era tornata a mangiare regolarmente, prendendosi
cura di sé stessa e della piccola.
E al momento del parto era
stata lì a tenerle la mano. Fiera di essere testimone di
quel
momento.
Quando aveva raccontato del parto a sua madre, che aveva
scoperto il tradimento del marito, la donna l'aveva pregata di
intercedere con Quinn per farle riallacciare un rapporto.
Ma sua
sorella non era un tipo facile, e se c'era qualcosa che aveva
imparato nella vita, era che i Fabray e l'orgoglio camminano di pari
passo.
Ma Quinn ce l'aveva fatta. Aveva superato anche quello
scoglio.
L'aveva vista affrontare di tutto.
Ma non l'aveva mai
vista innamorata.
Ed era esattamente così che Quinn era in quel
momento.
Felice e innamorata.
«Che
stai facendo?»
Quinn
entra in cucina mugugnando. Le mani strette a pugno che strofinano
gli occhi, mentre la bocca si apre in un sonoro sbadiglio.
Santana
la guarda di sfuggita, per poi tornare a concentrarsi sull'impasto
nella pentola.
«Avevo
pensato di farvi la colazione. Per ringraziare tua sorella
dell'ospitalità.»
Un
paio di braccia si stringono intorno alla sua vita e immediatamente
le labbra di Quinn trovano spazio sul suo collo.
«E
prima che tu dica qualcosa Fabray, anche io so cucinare.»
Borbotta,
la voce leggermente roca.
Quinn sorride sulla sua pelle e
annuisce, schioccandole un bacio sulla guancia.
«Non
ho mai detto il contrario, piccola.»
Santana
sbarra gli occhi e si volta.
Il mestolo di legno tra le mani e
l'espressione inquieta.
«Cosa?
Che ho fatto? »
La
latina le spinge un dito sul petto, allontanandola leggermente.
«Non
finiremo ad essere una di quelle coppie sdolcinate che si danno
questi nomignoli. Non fa per me!»
Quinn ride e si morde le labbra, annuendo.
«D'accordo,
Lopez.»
La
latina agita la testa, in segno d'approvazione e torna a mescolare
qualcosa sul fornello. Quinn si avvicina, mettendosi di fianco a lei,
stavolta, e intinge il dito nel barattolo della nutella, il gemito
che lascia le sue labbra fa tremare le gambe di
Santana.
«Quinn.»
«Cosa?
Che c'è? »
Santana
rotea gli occhi e cerca di concentrarsi sulla cucina, ma quando Quinn
urla è costretta a girarsi. La trova a fissare il piatto di
bacon
che ha preparato qualche minuto prima.
«E'
bacon? E' DAVVERO bacon? »
Santana
scuote la testa.
«Si,
e farai bene a non finirlo perché devono mangiarlo anche gli
altri.»
«Oddio,
ti amo Santana.»
E
non appena quelle parole lasciano le sue labbra entrambe sbarrano gli
occhi.
...cazzo.
Quinn
sbuffa e si passa una mano tra i capelli.
«Io-»
Santana
le si avvicina e la bacia. La lingua che si insinua nella sua bocca
senza tanti propositi. Le mani tra i capelli.
Si staccano dopo un
po' in cerca di ossigeno.
«Wow.»
Mormora Quinn.
Santana poggia la fronte sul mento di Quinn e
respira affannosamente.
«Mi
ucciderai prima o poi Fabray.»
Quinn
sorride. Lo sa che Santana non è ancora pronta al grande
passo, ma è
un sollievo che finalmente quelle parole siano venute fuori.
Le
bacia la fronte, prima di staccarsi.
«Andiamo,
voglio farti vedere Londra.»
Santana
borbotta e poggia il viso sulla sua spalla, facendosi cullare e
godendosi l'odore della pelle di Quinn. Non riuscirà mai a
capire
come possa essere così dannatamente naturale lasciarsi
andare così
per lei.
Ma non ci pensa troppo perché i passi di Frannie
risuonano nella cucina e uno squillante
“buongiorno” si fa spazio
nel silenzio della stanza.
«Buongiorno.
»
Rispondono
loro in coro.
Frannie si allunga sul fornello e tira su col naso,
beandosi dell'odore che proviene dalla pentola.
«Conoscendo
le capacità culinarie di Quinn, praticamente inesistenti,
deduco che
abbia cucinato tu, Santana.»
Quinn
schiocca la lingua.
«Davvero,
Sherlock?»
Frannie
la fulmina con lo sguardo e assaggia la frutta tagliata nel
piatto.
«Mh,
mi è venuta fame.»
Ammette
e Santana si stacca da Quinn che mugola per la perdita di
contatto.
«E'
quasi pronto. »
E
quando Frannie trascina Quinn nella sala da pranzo, non può
fare a
meno di notare lo sguardo della sua sorellina ancora fisso sulla
cucina.
«Sei
davvero fottuta Quinnie.»
Quinn
la guarda e annuisce.
«Credo
che tu abbia ragione.»
Quando
rientrano in casa, quella sera, dopo aver camminato per tutto il
giorno e dopo aver visitato i luoghi più caratteristici
della città,
Quinn crolla sul letto senza ulteriori indugi, e Santana rimane
lì a
fissarla, accarezzandole i capelli.
E la porta si apre
inaspettatamente e Frannie entra e per un attimo vorrebbe lasciarle
lì e tornare indietro, ma sa che deve farlo e allora chiede
a
Santana se può raggiungerla un momento al piano di sotto.
Quando
scende e la vede seduta sul divano, due tazze di tè fumanti
sul
tavolino basso del soggiorno, Santana capisce che qualcosa non
va.
«E'
successo qualcosa?»
Chiede,
mandando giù un sorso di tè, sentendone
immediatamente l'effetto
rilassante.
«Volevo
solo parlarti, tranquilla.»
Santana
annuisce e rimane in silenzio.
Restano
qualche secondo senza parlare, scrutandosi di sottecchi, fino a che
Frannie non prende un respiro profondo e le pone una domanda.
«Hai
fratelli, Santana?»
La
latina fa cenno di sì con la testa, sorseggiando il
tè.
«Due,
un fratello e una sorella.»
«E
sono più piccoli?»
Santana
è incuriosita e allo stesso tempo spaventata da quella serie
di
domande, ma si limita a rispondere.
«Sì,
entrambi più piccoli di me.»
Vede
Frannie annuire contenta e posare la tazza nuovamente sul
tavolo.
«Sai,
Santana, mia sorella è davvero una parte importante nella
mia vita.
Ne abbiamo passate tante, insieme. E dopo tanto tempo la vedo
sorridere di nuovo.»
Santana
sta per aprire la bocca per rispondere, convinta di aver capito dove
Frannie vuole andare a parare con quel discorso.
Ora
mi dirà che se le faccio male mi uccide.
Frannie
la zittisce con un gesto della mano.
Tipico dei
Fabray.
«Non
ti dirò che verrò a cercarti se le farai del
male, tranquilla.
Volevo solo ringraziarti. Vedere mia sorella felice è
importante per
me, per cui. Grazie.»
Santana
annuisce e allunga una mano sul divano, raggiungendo quella di
Frannie.
«E'
davvero un piacere per me. »
Risponde
strafottente e Frannie capisce immediatamente perché sua
sorella si
è innamorata così tanto di quella latina.
Sa tenerle
testa.
Si alzano
entrambe per
raggiungere le loro rispettive camere.
«Santana?»
La
ragazza gira la testa e si ferma un attimo.
Frannie sorride, gli
occhi fissi in quelli della mora.
«Se
le fai del male, manderò Dave a cercarti.»
Ridendo
sale le scale e apre piano la porta.
Quinn non sta dormendo. Può
esserne certa dal respiro irregolare.
«Sei
sveglia?»
La
bionda mugugna.
«Mi
dispiace, non-»
«Sta
zitta e vieni qui.»
La
latina obbedisce e si sistema vicino a lei, lasciandosi avvolgere
dalle braccia di Quinn.
«Q?»
«Mh?»
«Grazie.»
Quinn
sorride, confusa, ma non fa domande. Conosce Santana e sa che
probabilmente non avrebbe nessuna risposta.
Santana le sfiora le
labbra e chiude gli occhi.
E
quella parole le sussurra solo qualche minuto dopo, quando è
certa
che Quinn si è addormentata. Le sfiora la fronte con le
dita,
scostandole i capelli dal viso.
«Ti
amo anch'io.»
Angolo
degli alcolisti anonimi. (In
cui
l'alcolista sono solo io. Si)
Dunque. Io dovevo fare una torta
all'arancia.
Poi ho scritto un capitolo.
No, vi giuro,
l'associazione non l'ho capita neanche io, ma tant'è.
Frannie è
il mio personaggio preferito ever, sapevatelo. E Dave è il
marito
ideale di ogni donna, sappaite pure questo.
E niente, non ho idea
di come possa risultare sto capitolo.
A me è piaciuto. Forse.
Devo ancora decidere.
Ora
devo aprire una piccola parentesi. E se non conoscete gli spoiler
delle prossime putnate e non li volete. NON LEGGETE.
State
leggendo?
Ora?
E
ora?
Ok
se siete arrivati qui evidentemente li conoscete.
Io ho puro
TERRORE di cosa i RIB possano fare al Quinntana. Sono realmente
terrorizzata. Vorrei solo vivere nell'headcanon per sempre.
Perché è
un bel posto. E non voglio che mi si rovini l'otp of all otps.
Però
sarò anche una fangirl defunta non appena vedrò
il primo fotogramma
di una qualsivoglia interazione tra loro.
Sono confusa.
Tutto
ciò per dirvi che questa cosa, la fanfiction, intendo,
finirà tra
due capitoli.
Si, si lo so che chissene frega, era per dire. Però
ecco, aspettatevi una vagonata di shot post prossimi episodi di glee.
Col mio headcanon ovviamente.
Ok basta. Vi ringrazio tutti molto e
spargo amore su di voi \0\
|
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Capitolo 13 *** 12. Taking chances. ***
12.
Taking Chances.
Quella
telefonata Mike la riceva in piena notte.
Sono le 4.52 di un
Sabato mattina, è in camera sua, completamente abbandonato
tra le
lenzuola gialle che Quinn gli ha scelto un pomeriggio di molti giorni
prima.
Ma quell'assurda suoneria continua a cinguettare nella
stanza, con l'intenzione di non smettere molto presto. Allora si
alza, cercando di allungare le braccia verso il comodino dove tiene
il cellulare, ma finisce inevitabilmente per capitolare a terra,
sbattendo con poca grazia contro il legno del pavimento.
Borbotta
qualcosa e si passa una mano sugli occhi stanchi e assonnati che
fatica a tenere aperti.
Ma
è quando vede il numero sul display che quelli si aprono
definitivamente, come se avesse appena visto un fantasma.
Quinn
non lo chiama mai.
O meglio lo fa, ma non dal suo telefono. Usa
una carta prepagata, in modo da non spendere una fortuna per quella
chiamata oltreoceano.
Mike si schiarisce la voce e risponde.
Il
primo sospiro gli annuncia che Quinn sta piangendo.
E lui vorrebbe
prendere il primo volo disponibile, arrivare in Inghilterra, entrare
dentro casa di Frannie e stringere Quinn tra le braccia
perché non
sa cosa sta succedendo ma sa che la sua migliore amica non
può
sopportarlo.
Il respiro pesante della bionda si fa strada
nell'apparecchio e Mike rimane in silenzio, aspettando una qualche
tipo di spiegazione che però non arriva.
Quello
che sente sono altri singhiozzi ed altre lacrime e si sente
così
inutile in quel momento, che vorrebbe scalciare qualsiasi cosa nel
raggio di chilometri.
Si stringe nelle spalle e poggia la schiena
al materasso, passandosi una mano tra i capelli disordinati.
«Quinn?
Per favore, dimmi che succede.»
Un
singhiozzo più forte. Uno più piccolo.
Poi
uno sbuffo.
E
la voce di Quinn roca e spezzata comincia a parlare.
«Sono
andata al colloquio stamattina.»
Oh,
allora è questo il problema.
Mike riflette sul discorso da fare.
Pensa che potrebbe dirle che avrà altre mille occasioni e
che
sicuramente quelli della casa editrice non hanno capito nulla.
Che
un giorno rimpiangeranno di non averle dato l'opportunità
che
merita, e che si ritroveranno a doverle chiedere scusa per quel
rifiuto.
Ma
poi la sua amica continua a parlare e allora capisce che non
è
quello che pensa.
«Mi
hanno
chiesto di trasferirmi qui, Mike. Vogliono offrirmi un contratto
triennale, e vogliono che inizi immediatamente. Il direttore ha detto
che può parlare con il rettore dell'Università, e
avviare il
trasferimento. Non perderò gli esami dati e potrò
finirla qui, a
Londra.»
E il cuore di Mike si
stringe così tanto a sentirla parlare, con quella vocina
piccola e
impaurita, quando in realtà il suo sogno si è
realizzato e dovrebbe
essere felice.
Ma Mike lo sa.
L'ha sempre saputo.
Lo sa da
quando le ha viste parlare per la prima volta che per Quinn non
sarebbe stato facile lasciarla andare.
«Quinn.»
La
voce di Mike trema un po'.
Il pensiero di stare lontano da lei per
così tanto tempo gli fa tremare le ginocchia. Sono cresciuti
insieme, in quella piccola periferia di Lousiville, con i loro grandi
sogni. E si dicevano che il primo dei due capace di sfondare, avrebbe
aiutato l'altro a farcela.
E
che entrambi sarebbero rimasti amici per sempre e avrebbero preso una
casa e i figli di Mike l'avrebbero chiamata zia Quinn e
viceversa.
Quella lacrima gli scivola involontaria sulla guancia
mentre stringe con più vigore l'apparecchio tra le dita.
«Non
voglio lasciarvi Mike. Non voglio lasciarla.»
Mike
sospira e a denti stretti pronuncia quella frase che nessuno dei due
vorrebbe sentire.
«E'
la tua occasione Quinn, non puoi lasciartela scappare.»
Santana
si sveglia, quella mattina, senza il peso di Quinn che preme sulla
sua spalla.
E' quasi impossibile sopportare quella mancanza.
Stringe il lenzuolo tra le mani e sbuffa, ricordando che quello
è il
grande giorno di Quinn e pregando che vada tutto come
previsto.
Perché, insomma, solo un deficiente si rifiuterebbe di
darle un lavoro.
Così sospira e cerca di riaddormentarsi, ma il
profumo di Quinn è quasi troppo inebriante perché
possa riuscire a
chiudere gli occhi e dimenticare di essere nel suo letto.
Nella
casa di sua sorella, dall'altro lato del mondo.
E l'ultima
immagine nella sua mente sono quelle labbra attaccate al suo
orecchio, che sussurrano il suo nome, mentre i loro corpi si muovono
in sincrono ed è tutto troppo per Santana.
Si muove
istintivamente fino a raggiungere il bagno in fondo al corridoio, e
quando si assicura di essersi chiusa la porta alle spalle, rilascia
una boccata d'aria.
Entra nella doccia, il getto dell'acqua che
le colpisce le spalle in maniera quasi violenta.
E sente una voce.
Quella voce.
E il sorriso sulle sue
labbra si apre involontariamente. E comincia a lavarsi via la
stanchezza e tutti i pensieri, perché vuole solo sbrigarsi e
scendere le scale e lanciarsi tra le braccia di Quinn e sperare di
vedere quel sorriso sulla sua faccia. E magari prenderla un po' in
giro, perché , deve ammetterlo, è oltremodo bella
quando si
arrabbia.
Ma qualcosa va storto.
Quando scende le scale, Quinn
è raggomitolata sul divano tra le braccia di Frannie e si
tiene la
testa tra le mani.
Le spalle scosse dai singhiozzi.
Sua sorella
incrocia i suoi occhi e Santana è talmente paralizzata che
teme di
dover passare il resto della vita lì, su quella scala,
issata su
quell'ultimo gradino.
Frannie sta mormorando qualcosa all'orecchio
di Quinn, mentre le accarezza i capelli, spazzolandoglieli con le
mani. Le sfiora la fronte con le labbra e la tiene stretta.
Santana
se ne accorge dopo, che anche lei ha gli occhi lucidi.
Dave arriva
nella stanza con due tazze bollenti che poggia sul tavolo e anche lui
guarda preoccupato Santana che ancora non accenna a muoversi.
Le
sembra che il tempo si sia fermato e che il mondo abbia smesso di
girare su sé stesso. Che tutti abbiano deciso di mettersi in
pausa,
senza avvertirla.
E
poi Quinn alza lo sguardo ed è talmente triste e rotta che
Santana
vorrebbe piangere a sua volta, senza un vero e reale motivo.
Si
schiarisce la voce, e si avvicina con le mani tremanti.
Guarda
Quinn e allarga un po' le braccia, fingendo un mezzo sorriso.
Quinn
si lancia su di lei, affondando il viso nell'incavo del suo collo e
bagnandole la pelle. Santana la stringe, una mano sul fianco e
l'altra tra i capelli. Le labbra che sfiorano ogni punto di pelle che
riescono a raggiungere.
«Mi
dispiace Santana, mi dispiace.»
«Dimmi
cosa succede, Q.»
Ma quella
scuote la testa e si stacca, le labbra che impattano violentemente su
quelle di Santana.
E c'è passione e amore e dolore, e Santana
sente i denti affondare nella carne del suo labbro inferiore e geme
senza riuscire a controllarsi.
Chiude gli occhi e quando li riapre
Quinn prende il cappotto.
E Santana non si muove.
Neanche
quando sente la porta d'ingresso chiudersi violentemente.
«Le
hanno offerto un lavoro, ma deve trasferirsi qui.»
Le
parole di Frannie le risuonano nelle orecchie con la stessa forza di
una cannonata. Ha la testa che le scoppia e le mani che non accennano
a fermarsi.
Si stringe nella giacca e osserva fuori dalla
finestra, mentre sul tavolo della cucina il pranzo si fredda. Frannie
ha cucinato per tutti e quattro, ma Quinn non è tornata e ha
il
telefono staccato. Sua sorella non sembra preoccupata, o forse
è
brava a nasconderlo, perché sta seduta lì e sta
sbocconcellando la
sua fettina di carne senza problemi.
Santana, d'altra parte, non
riesce a stare seduta. Non riesce a non pensare. Vorrebbe solo
spegnere il cervello per qualche minuto, senza aver voglia di
vomitare.
In un modo o nell'altro si rimprovera di essersi
lasciata andare ancora una volta.
Lo sapevo che finiva
così.
Idiota.
Continua a ripeterselo senza sosta,
le unghie che graffiano il bancone della cucina. Dave sta
sparecchiando, e Santana sente Frannie spostare la sedia e camminare
fuori dalla sala da pranzo e andare in soggiorno.
«E'
preoccupata quanto te, Santana.»
E
per la prima volta Santana si volta a guardare qualcosa che non sia
l'albero al di fuori della finestra.
Incontra gli occhi scuri di
Dave, e capisce immediatamente che anche lui è preoccupato
per
Quinn, ma c'è qualcosa, nei suoi occhi, che le rivelano che
non lo è
solo per Quinn.
«Frannie
e Quinn sono cresciute con un padre che le voleva perfette. Non sono
abituate ad esternare i problemi. Ho imparato a conoscerla e credimi,
è preoccupata.»
Santana
annuisce e si morde le labbra, il senso di colpa per aver pensato il
contrario a macerarle lo stomaco.
«Ascoltami.»
Dave
le prende le mani tra le sue a la invita a sedersi intorno al tavolo.
Sposta la sedia e si accomoda di fronte a lei, le mani grandi e
bianche a contrasto con quelle piccole e ambrate della latina.
«E'
l'occasione della vita, lo sai. E tu probabilmente sei l'amore della
sua, di vita.»
Santana manda
giù difficilmente, tremando un po' per quella definizione e
facendo
sorridere l'uomo davanti a sé.
«Perderà
in entrambi i casi qualcosa di profondamente importante. E tu puoi
aiutarla a scegliere. Devi solo dirle di restare, Santana. »
La
mora tira su col naso, passandosi la manica della giacca sugli occhi
gonfi.
«Chiedile
di restare, e lo farà. Ma assicurati che ne valga la pena»
E
poi fa qualcosa che Santana non si aspetta.
La stringe tra le
braccia forti e le bacia la fronte, con fare paterno. E Santana
capisce subito che il bambino non ancora nato nel soggiorno,
sarà un
bambino molto fortunato.
Quando Quinn rientra, è tardo
pomeriggio e fuori piove.
E' bagnata fradicia, e il viso è
completamente zuppo dall'acqua e dalle lacrime che non ha ancora
smesso di versare.
Santana la guarda, seduta sul divano a gambe
incrociate e con un libro tra le mani. Alza gli occhi e accarezza con
lo sguardo quelli di Quinn e sussurra nella sua direzione.
«Mi
hai fatto spaventare, Fabray.»
La
bionda annuisce e appende il soprabito, strofinando le mani tra di
loro ed evitando accuratamente di guardare la donna a qualche passo
da lei.
Santana le fa cenno di sedersi e Quinn vorrebbe dirle di
no, vorrebbe dirle che non ce la fa a starle vicino sapendo di dover
fare quel discorso con lei, ma gli occhi della mora le rivelano che
sa già tutto.
Frannie, pensa Quinn.
Gliel'ha detto
lei.
Si lascia cadere sul divano, il corpo che sfiora
impercettibilmente quello più caldo dell'altra ragazza che
posa il
libro sul tavolino e si volta a guardarla.
Ha gli occhi gonfi e
rossi, e Quinn vorrebbe prendersi a pugni e urlare per averle fatto
del male.
«Non
è colpa
tua.»
Le mani di Santana le
sfiorano il viso, accarezzandole le guance.
Il pollice che le
lambisce il labbro inferiore. Quinn sta per scoppiare nuovamente, ma
la bocca di Santana è sulla sua, impedendole di piangere.
«Non
è colpa tua.»
Sussurra di
nuovo.
«Santana
io
non...»
«Devi
farlo Quinn.»
E quelle parole
le dice prima di ripensarci. Le dice prima di accorgersi di averle
dette davvero. Le dice perché non
può fare altro.
Perché
è convinta di non meritarla, una come Quinn.
Perché non può
impedirle di realizzare un sogno solo per stare con una stupida come
lei.
«Non
voglio San.»
«Certo
che vuoi.»
Se lo bisbigliano
sulle labbra, come un segreto, mentre le loro mani cercano
più pelle
da accarezzare, sfiorare, toccare.
«Non
posso permetterti di lasciartela scappare. Perché ti amo,
Lucy Quinn
Fabray.»
Quinn geme e
singhiozza nello stesso tempo quando Santana le fa quella
confessione, mettendosi su lei e facendo aderire la schiena della
bionda alla pelle del divano.
La mano di Quinn scivola sotto la
sua maglia, accarezzandole il ventre e accoglie nella sua bocca i
lamenti di Santana quando le sue unghie le raschiano gli
addominali.
«Ti amo
Quinn. E
voglio vederti felice.»
La
mano di Quinn le risale la coscia, ancora coperta dalla stoffa dei
jeans, e si ferma a slacciarle il bottone e la cerniera.
«E
se questo è il prezzo che devo pagare per vederti felice,
non posso
fare altro che accettarlo.»
Angolo
degli alcolisti anonimi.
Io
vi prego di non insultarmi. Lo so, lo so. Ma io sono immersa
nell'angst in questo momento e non ho potuto fare altro.
Per cui
il prossimo è l'ultimo capitolo.
Spero che la storia non deluda
le aspettative. Ci tengo molto perché è la prima
long che riesco a
portare a termine, e sono affezionata a queste due dementi e in
generale a tutti i personaggi.
Per
cui ringrazio tutti quelli che leggono, seguono, recensiscono e tutta
l'allegra compagnia.
Siete bbbbelli.
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Capitolo 14 *** 13. Lovers eyes. ***
13.
Lovers Eyes.
Gli
occhi di Quinn si chiudono , l'ultimo gemito che muore soffocato nel
cuscino, mentre il suo corpo ancora scosso, viene accarezzato dalle
labbra di Santana, che risale il suo stomaco girando attorno
all'ombelico con la lingua e poi i denti che mordono piano la pelle
del ventre.
Quando i loro visi si sfiorano, il naso che
leggermente preme su quello di Quinn e due sorrisi complementari
spuntano sulle loro facce.
Santana la bacia, leggera, con una
totale devozione che qualche secondo prima ha dedicato al resto del
suo corpo e Quinn trema.
Perché è innamorata.
Perché si
sente amata, per la prima volta e davvero.
Perché solo di lì a
qualche ora, sarebbe salita su un aereo che l'avrebbe portata
dall'altra parte del mondo, lontano da tutto.
Lontano da
Santana.
La latina sembra leggerle nel pensiero, mentre le passa
una mano tra i capelli, graffiandole dolcemente la nuca. Le lascia un
bacio sulla guancia, sulla fronte, su entrambe le palpebre. La sente
singhiozzare e le stringe le braccia attorno alla vita.
Le unghie
conficcate nei palmi delle mani per impedirsi di piangere.
Qualcosa
si incrina, in Santana, quando sente l'ennesimo singhiozzo e una
sensazione umida sulla spalla. Manda giù a vuoto.
Una, due, mille
volte.
Chiude gli occhi e si schiarisce la voce prima di
sussurrare parole di conforto a Quinn.
Ha sempre avuto un'ottima
predisposizione alla recitazione. Ha finto interesse per gli uomini
fino a qualche anno prima e ci era riuscita alla grande.
Ma
davanti a quella ragazza rotta tra le sue braccia, diventa quasi
impossibile:
Quinn un po' sorride, tra le lacrime.
Si issa sui
gomiti e si porta su Santana.
Non parla. Lascia che siano i suoi
baci a farlo per lei.
E quando Santana inizia ad ansimare, alterna
i baci alle parole.
Ti
amo.
Bacio.
Ti
amo.
Bacio.
E
Santana perde la testa.
Lo sente nella pancia, quel dolore. Quel
distacco imminente. Se lo sente nelle ossa, le stesse che Quinn le
stringe tra le mani. Lo sente sulla pelle, che le sue labbra stanno
assaggiando.
E se lo sente nel cuore.
Quello che Quinn si è
preso e sta per portarsi dall'altro lato dell'Oceano.
Gli
occhi di Mike si soffermano sulla distesa di pelle lattea al suo
fianco.
Brittany dorme rannicchiata come una bambina, un braccio
sotto al cuscino e le gambe raggomitolate. Un broncio adorabile sul
viso e la sua voce che riecheggia nella stanza vuota.
Mike l'ha
scoperto dopo la loro prima volta che la bionda ha l'abitudine di
parlare nel sonno.
Ogni tanto sente il suo nome. Ogni tanto quello
del suo gatto.
Più di una volta quello di Santana.
Ma lo dice
con un tono tipico di una bambina che cerca la sua migliore amica per
farle vedere l'ultima bambola sul mercato.
Con la stessa intensità
con cui si cerca una sorella che non si vede da molto.
E Mike non
è geloso.
Si limita a godersi quella voce, ad abbeverarsi di
quella vista.
Con il cuore un po' più leggero e spensierato nel
petto.
Poi Brittany si muove, lo cerca. La mano che si stringe
attorno al lenzuolo e il viso che si avvicina al petto di Mike, che
sente il suo respiro impattare sulla pelle calda del suo
torso.
Brittany poggia la testa lì, sorridendo.
Nessuno dei
due parla. Mike con troppi pensieri nella testa.
Con la voce di
Quinn che gli rimbomba nelle orecchie.
“Prenditi cura di lei
Mike. Fallo per me”
Vederla piangere non è mai stato facile.
Ma vederla combattuta e indecisa, era stato ancor peggio.
Perché
Quinn era sempre stata risoluta, sin dalla tenera età. Sin
da quando
la loro maestra delle scuole medie l'aveva accusata di aver copiato
il compito e lei si era alzata in piedi, aveva attraversato la classe
a testa alta e puntando un dito sulla cattedra aveva ripetuto per
filo e per segno ogni esercizio svolto in classe.
La maestra non
l'aveva mai più importunata, da allora.
«Starà
bene, Mike.»
La voce di
Brittany sembra la sua unica ancora di salvezza.
Gli occhi di
Puck osservano quella scena con minuta attenzione. Quinn che si
abbassa sulle ginocchia e con la mano sfiora la guancia rosea di una
bambina dai capelli biondi. Sua figlia.
Beth annuisce, gli
occhietti lucidi e la manina stretta in quella di sua madre, ed
entrambe guardano Quinn con le labbra tremolanti e un accenno di
pianto.
Quinn la solleva tra le braccia e le schiocca un bacio su
entrambe le gote della piccola prima di stringersela al petto e
inalare l'odore dei suoi capelli.
Brittany e Mike sono poco più
dietro, a guardare quella stessa scena.
Ad entrare in un quadro
che non è il loro, ma che è troppo affascinante
per essere
ignorato. Santana è accanto a lui. Gli occhi bassi.
Puck non le
parla.
Ma la sua mano trova quella della latina e la stringe
forte, intrecciando le dita tra loro. Se la porta alle labbra, e un
mezzo sorriso sfocia sul viso di Santana, per il leggero fastidio che
la barba del ragazzo le provoca sulla pelle.
Puck sospira.
E'
liberatorio, vederla sorridere.
Non
lo fa da tempo.
Troppo tempo.
Da
qualche mese prima, quando tornata da Londra si era fiondata a
Lima.
Aveva dormito a casa sua e si era stretta a lui, di notte.
Ma
non aveva mai pianto.
Quella era la sua ragazza di Lima Heights.
E
a Lima Heights non erano concesse le lacrime.
Ma Puck poteva
vedere oltre quelle barriere.
E non c'era nulla di buono.
Sente
Quinn ridere in lontananza e rialza lo sguardo.
Vede i genitori
adottivi di Beth stringerla in un abbraccio, raccomandandosi con lei
e facendosi promettere dalla bionda di ricevere sue notizie.
Quinn
lascia un bacio sulla guancia di ciascuno e poi soffia qualcosa
all'orecchio di Beth che sorride e annuisce.
Tende la mano a Quinn
che la stringe e poi entrambe si avvicinano a loro. Santana si
irrigidisce.
Poi
si abbassa sulle ginocchia e saluta Beth arruffandole i capelli.
E
Puck non può fare a meno di sorridere verso Quinn quando la
piccola
esclama.
«Almeno
tu verrai a
trovarmi, Sannie?»
Gli
occhi di Brittany si soffermano sulle grandi vetrate
dell'aeroporto.
Il cielo è limpido, oltre il vetro freddo e la
giornata è la tipica giornata estiva, che le fa venire
voglia di
andare in giro in bici, o addirittura in spiaggia.
La mano di Mike
nella sua è nervosa e agitata. Si volta a guardarlo.
Gli occhi
del ragazzo sono fissi sullo sportello dove Quinn sta chiedendo
informazioni per il volo.
«Dovresti
andare a parlarle. »
Suggerisce
e Mike la guarda, spaventato.
«Avanti,
vai.»
Il suo ragazzo si
avvicina alla sua migliore amica, che immediatamente trova spazio tra
le sue braccia.
Non c'è traccia di gelosia, nel cuore di
Brittany. E' talmente puro e felice che non saprebbe neanche di cosa
essere gelosa.
E poi la conosce, quella sensazione.
Quel
bisogno fisico di avere accanto la tua anima gemella. Quella persona
che ti capisce al volo, senza bisogno di parole. Quella che con un
solo sguardo capisce come stai.
E istintivamente si volta verso
Santana.
E' raggomitolata tra le braccia di Puck.
Brittany si
siede accanto a loro.
Puck le schiocca un bacio sulla guancia, e
Santana nasconde il viso nel suo collo.
Si tiene alla maglia di
Puck e Brittany sorride, vedendo le sue nocche bianche.
«Puoi
piangere, Santana. Non l'hai ancora fatto.»
Puck
sospira e le accarezza i capelli, trovandosi tristemente d'accordo
con la bionda. Sa esattamente quanto serva a Santana esternare quei
sentimenti.
O esploderà, prima o poi e non sarà un bel
momento
per nessuno.
«Non
voglio
Brit.»
Quella alza le
sopracciglia, confusa.
«Non
posso.»
Un sospiro.
«Per
lei.»
Il suo indice si
alza e punta verso i due ragazzi un po' più distanti da
loro. Mike
ha gli occhi lucidi, Quinn sta di nuovo piangendo.
Ed è forse
quello.
O la mano di Brittany nella sua.
O le carezze di Puck
sui suoi capelli.
Ma il singhiozzo le esplode nel petto e prorompe
dalle sue labbra. Forte, animalesco, straziante.
Puck la stringe.
La testa di Santana che cade sulla spalla di Brittany.
E poi il
rumore di un aereo che sovrasta la sua sofferenza.
Gli occhi
di Santana fissano il tabellone delle partenze.
La voce
nell'altoparlante ha chiamato il volo di Quinn.
La bionda è
davanti a lei. Si sta torturando le mani.
Santana le si avvicina e
le prende tra le sue. Se le porta alle labbra e le bacia, sospirando
appena quando una lacrima le scivola sulla guancia.
«Non
piangere.»
Le bisbiglia
Quinn.
E a Santana fa lo stesso effetto di un pugno nello
stomaco.
Le bacia le labbra.
Uno, due, tre volte.
Le sfiora
il naso e poggia la fronte sulla sua.
Quinn non piange.
Non
più.
Stringe i denti e poi se la tira addosso.
«Mi
mancherà il tuo profumo.»
E
Santana si stringe a lei, quasi a volerglielo imprimere più
forte,
sotto la pelle.
E si fa più piccola. E vorrebbe chiederle di
nasconderla nella valigia, e portarla con lei, e non lasciarla
più.
Ma quella dannatissima voce chiama per la seconda volta il volo e
Santana sente Quinn che scivola via.
«Ti
chiamo appena arrivo, va bene?»
Annuisce.
Le
labbra a subire la tortura dei suoi denti.
«Santana
non voglio lasciarti.»
«Lo
so.»
Quinn le tira il colletto
e schianta le loro labbra di nuovo insieme.
Forse per l'ultima
volta.
E
quella rivelazione spinge Santana a prenderle il viso tra le mani e
schiacciarsi addosso a lei, ancora più forte.
Si staccano con il
respiro affannoso.
«Non ti
libererai di me, ragazzina.»
Santana
sorride, mentre altre lacrime le scorrono sulle guance.
Le da un
ultimo bacio.
Quel “ti amo” che le rimane sulla bocca.
Quinn
saluta tutti con un cenno del capo.
E poi sparisce dietro quella
porta.
Santana
stringe le palpebre e si concentra.
E
nella sua mente si disegna perfettamente quello sguardo.
Quegli
occhi.
Quinn.
Angolo degli alcolisti anonimi.
(SOB)
Gente. Siamo
arrivati
alla fine.
Io non ce la posso fare fondamentalmente perché.
BOH.
In principio, mi sa.
Non so cosa dire. Aver finito una long per me
ha più o meno la stessa valenza di una medaglia d'oro alle
olimpiadi.
Sono commossa da me stessa.
Io devo ringraziare
tutti tutti tutti tutti.
Chi ha letto, recensito, seguito,
preferito, ricordato. Tutti.
Spero che il finale sia
sufficientemente decente. Ho voluto rimetterli dentro tutti. O
quantomeno tutti quelli che a questa storia hanno lasciato qualcosa.
E spero che per voi vada bene.
E spero che nessuno voglia
odiarmi.
Insomma ho tante speranze.
Graffie.
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