Don't you Shiver?

di Clockwise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***
Capitolo 4: *** Parte Quarta ***
Capitolo 5: *** Parte Quinta ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


So I look in your direction, but you pay me no attention, do you?
 

Inghilterra, 1827

 
Il vetro della finestra era gelido contro la sua fronte. Come ghiaccio. ‘Hai un cuore di ghiaccio’ le aveva detto Peter, prima di voltarle le spalle e andarsene, due giorni prima. Alyssa le aveva detto che sarebbe partito per la Scozia, ospite della sorella di sua madre. Era un viaggio difficile e lungo, in calesse, in inverno, solo. Se gli fosse successo qualcosa sarebbe stata solo colpa sua, lo sapeva. Chiuse gli occhi, stringendosi le ginocchia al petto nel suo giaciglio sulla panca accanto alla finestra. Pensò a quando tutto era cominciato. All’inizio.
 
Helen e Peter si conoscevano fin da bambini: le loro famiglie erano le uniche nel raggio di parecchie miglia, quando ancora vivevano in campagna, e si frequentavano spesso. Dopo, quand’era arrivato il momento di trasferirsi in città, per cercare una vita migliore, erano rimaste insieme e ora, più di dieci anni dopo, vivevano a pochi isolati l’una dall’altra, continuando a vedersi le domeniche e durante le feste di Natale e Pasqua.
Helen e Peter erano sempre stati amici. Assieme ai loro fratelli e sorelle, avevano passato un’infanzia felice, fra risate e giochi nei campi di fieno. Ma poi erano cresciuti: il fratello e la sorella di Helen si erano sposati e trasferiti dall’altra parte della città, tranne la sua sorellina, Alyssa, di sei anni, mentre i tre fratelli e la sorella maggiore di Peter erano andati in Irlanda, o nel nord dell’Inghilterra, da cugini e parenti, dove il lavoro era migliore. E così, Helen e Peter erano rimasti soli.
Peter, privo dei fratelli che lo canzonavano e avvicinatosi ai quindici anni, aveva cominciato a vedere Helen in una luce diversa. Notava come i capelli scuri avessero riflessi ramati alla luce, e gli occhi azzurri cambiassero sfumatura con la luce del sole: talvolta cerulei, talvolta grigi, talvolta del colore del mare in tempesta; notava le mani affusolate, la grazia con cui si muoveva. L’amica di sempre era diventata una ragazza misteriosa e bellissima, e Peter se ne era innamorato. Era stato un amore segreto, che non aveva confidato a nessuno. Non aveva intenzione di dichiararsi, si contentava della sua compagnia e di poterla amare in silenzio; soffrire in silenzio, perché sapeva che lei lo considerava solo un amico. Più volte aveva cercato di disinteressarsi a lei, e guardare le altre ragazze, consapevole che quell’infatuazione gli avrebbe portato solo dolore. Ma non ci riusciva: ai suoi occhi nessuna eguagliava Helen, Helen era perfetta.
Passò così la sua adolescenza, e arrivò il tempo in cui, ormai ventenne, la famiglia premeva perché si sposasse. Un lavoro l’aveva, non lontano da casa, nell’ufficio di un notaio, ma un bel ragazzo come lui ancora non fidanzato destava spiacevoli mormorii fra la gente. Peter si sarebbe accontentato di continuare ad amarla in silenzio per altri cento anni, ma in fondo al cuore sapeva di non poterlo fare. Così decise che si sarebbe dichiarato; non intendeva certo chiederle di sposarlo, voleva solo dirle che l’amava e togliersi quel fardello dalle spalle, senza pretese. Se Helen gli avesse risposto di no, avrebbe trovato un’altra ragazza di cui innamorarsi, facile. Ma in fondo al cuore nutriva la segreta speranza che anche lei lo avesse amato in silenzio per tutti quegli anni e che lo avrebbe abbracciato piangendo di gioia, quando gliel’avesse detto, nel tramonto infuocato. Era una sera di dicembre, poco prima di Natale, e Helen e Peter camminavano insieme di ritorno dal lavoro. Il sole, sebbene il disco infuocato fosse già stato inghiottito dall’orizzonte, si ostinava a illuminare il cielo, tingendolo di rosse e arancio, l’aria era frizzante, foriera di una nuova nevicata, le strade deserte se non per loro due e gli uccelli che canticchiavano sugli alberi. Parlavano del più e del meno: di lavoro, di famiglia. Il sole morente dipingeva tutto di rosso e i capelli di Helen sembravano scolpiti nel bronzo; gli occhi, luminosi, scintillavano di tutte le possibili sfumature di azzurro. Peter avrebbe tanto voluto baciarla. Ma prima doveva dirglielo.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Sing it loud and clear.
 
«Lena, devo parlarti.» Aveva la gola secca e lo stomaco in subbuglio.
«Dimm.i» Lei invece era tranquilla, non le passava minimamente per la testa cosa lui volesse dirle.
«È… è una cosa importante. Mi ascolti?»
«S-sì. Sì, certo» rispose, guardandolo attenta. Lui si era fermato e le stava davanti, guardava a terra e si torceva le mani.
«Noi, ci conosciamo da sempre, no? E, ecco, io non te l’ho mai detto, ma… sono innamorato.»
Lei sgranò gli occhi meravigliata, sorpresa, contenta. Peter sperò ardentemente, pregò, che la sua gioia fosse dovuta al fatto che anche lei lo amava segretamente.
«Peter, è meraviglioso! Chi è? La conosco? La sposerai, Peter?»
Cercò di leggerle le emozioni negli occhi. Non ci riusciva. Sentendo che il mondo stava per crollare, e l’apocalisse attendeva solo le parole che stava per pronunciare, si buttò nel vuoto.
«Non so se la sposerò. Tu mi sposerai?» Non era ciò che voleva chiederle, ma capì mentre lo diceva che era quello che voleva davvero.
Stavolta i suoi occhi parlavano chiaro. Stupore, gratitudine, paura. Anche lei stava precipitando.
Lo guardò sconcertata. Lui fece un profondo respiro. Ormai aveva cominciato, tanto valeva arrivare fino in fondo.
«Io… sono anni che sono innamorato di te, Lena. Da quando… Non ho mai guardato nessun’altra e mai lo farò. Io… non voglio sposarti ora, no. Non volevo nemmeno chiederti questo, volevo solo dirti che… Non so, forse, ti amo.» Si stupì della chiarezza e dell’immediatezza di quelle parole. Azzardò uno sguardo. Lei era chiusa in sé, inarrivabile.
Non aveva il coraggio di guardarlo, ma si stringeva le mani e tremava, cercando parole che non potessero ferirlo troppo. Non era certa dei suoi sentimenti, ma non aveva mai pensato a Peter come ad un possibile amante, per lei era solo il suo più caro amico. D’altronde, non riusciva nemmeno a immaginare una vita lontana da lui, ma questo voleva forse dire amarlo? E c’era anche Erik, che lavorava con lei nella sartoria, che aveva cominciato a intrufolarsi silenziosamente nei suoi pensieri…
Gli bastò guardarla, vedere i suoi occhi confusi, spaventati e distanti. Non gli servirono le affannose parole di scusa, i mi dispiace, i ti voglio bene. Bastarono quegli occhi, gelidi, per fargli capire che era tutto finito. 

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Capitolo 3
*** Parte Terza ***


Don't you Shiver?

Passò Natale. Helen e Peter sembravano due estranei: non si vedevano quasi più e quando parlavano usavano una formale cortesia che non gli era usuale. L’amicizia, l’intesa e l’affetto che c’erano prima erano spariti, lasciando una cortina di ghiaccio fra loro.

Peter non sopportava quella situazione. Se solo avesse saputo prima cosa avrebbe comportato dichiararsi non l’avrebbe mai e poi mai fatto. Due giorni prima di Capodanno andò a trovarla; voleva parlarle e cercare di capire perché tutto fosse cambiato, rassicurarla e dirle che non pretendeva nulla da lei, nessun obbligo nei suoi confronti e dirle che, se era quello che voleva, avrebbe costretto se stesso a innamorarsi di qualcun'altra, pur di non perdere la sua amicizia.
Bussò alla porta. Aprì la piccola Alyssa.
«Ciao piccola. C’è Helen?»
«È in giardino con quel ragazzo. Vado a chiamarla?»
«Ragazzo?» chiese guardando gli occhi innocenti della bambina.
«Quello alto con i capelli neri. Voleva parlare con Helen pure lui. Mi ha portato il cioccolato.»
Peter serrò la mascella e irrigidì la schiena.
«Posso aspettarla dentro?»
La piccola gli fece strada fino al soggiorno poi, dimenticandosi di lui, si sedette sul tappeto e riprese a giocare con le bambole. Peter sorrise: erano le stesse con cui aveva giocato Helen, quando erano bambini, gliele aveva fatte la mamma con scampoli di stoffa, bottoni e vecchi giornali. Ogni tanto, nelle giornate di pioggia, lo costringeva a giocare con lui e gli toccava fare il principe e partecipare al ballo in maschera nel castello del re; e puntualmente dopo qualche minuto, lui si annoiava e la convinceva a trasformare il castello in una nave pirata e il principe in un corsaro. Perso in dolci ricordi si avvicinò alla finestra che dava sul piccolo cortile nel retro. Stava nevicando. Eccola. Rideva e guardava il cielo, incantata dalla meraviglia di quello spettacolo. Era al braccio di quel ragazzo. Lo stringeva a sé, forse per scaldarsi. Rideva.  E come lo guardava, le guance arrossate. Al braccio di un ragazzo che non era lui.
 
Nevicava. Con occhi di bambina guardava i piccoli fiocchi di neve turbinarle intorno, come in una magia, come in un sogno. Si voltò verso di lui, ridendo. Aspettava di incontrare i ricci rossi e quegli occhi caldi e vivaci. Invece erano scuri, profondi e insondabili. Non è Peter, ricordò a se stessa con una fitta al cuore. Poi si sentì in colpa; si stava talmente divertendo con Erik, perché Peter veniva a disturbarla nei suoi pensieri? Agitò una mano per scacciarlo. Eppure… Eppure niente.
«Entriamo? Fa freddo.» gli chiese senza sorridere. Lui la guardò, sorpreso del suo improvviso cambiamento. Helen allora ridacchiò e lo baciò su una guancia, per farlo ridere ancora. Erik la guardò ancora più sorpreso ma non si scompose, si inchinò e le fece il baciamano, come fosse una gran dama.
 
«Alyssa… Alyssa dove sei?» Peter sentì la sua voce dall’ingresso e la vide entrare nel soggiorno. Aveva fiocchi di neve fra i capelli scompigliati e gli occhi lucenti.
«Peter. Oh. Io… non ti aspettavo. Che ci fai qui?» chiese sbigottita. Sentì il sangue affluirle alle guance. Lui era vicino alla finestra. L’aveva vista.
«Volevo parlarti. Ma ora è inutile.»
«Aspetta… perché, cosa…»
Peter sospirò e fece qualche passo avanti, verso il camino.
«Così questo è Erik, eh? Don Giovanni.»
«Peter…»
«Lavora lì con te, vero? Sì, devi avermene parlato. Beh, siete molto in confidenza sembra: passeggiate a braccetto, ridete, vi baciate… vi date già del tu, suppongo.»
Oh, no. Aveva visto anche quello.
«È passato di qui per dirmi che domani non sarei dovuta andare al lavoro, che il signor Calvert è malato…»
«Ed è venuto di persona. Che galantuomo.»
«Peter smettila, basta.» urlò sull’orlo delle lacrime. Non sopportava l’ironia, l’amarezza e il dolore in quelle parole.
Lui cambiò tono, buttò via le maschere e rivelò la sua anima disperata.
«Perché non me l’hai detto, Helen? Perché mi hai fatto aspettare e sperare inutilmente? Pensavo di essere il tuo migliore amico, che mi dicessi tutto! Non me l’hai detto. Perché? Non mi avrebbe fatto piacere, ma almeno avrei evitato di fare la figura dell’idiota a rivelarti i miei sentimenti. Sarei stato felice per te.»
Lei abbassò il viso, non reggeva quegli occhi furiosi. Le lacrime che aveva trattenuto iniziarono a sgorgarle, lente, giù per le guance.
«No, Lena, no. Io… non volevo arrivare a questo, mi dispiace, ma…» disse lui mortificato, facendo un passo verso di lei e allungando la mano per stringerle il braccio. Lei si scostò, asciugandosi rabbiosamente le guance con la manica del vestito.
«Non toccarmi.» sibilò. Lui si ritrasse, ferito. «Hai mai cercato, almeno per un istante, di capire come mi sento? D-di provare almeno? Io, non so, non so più niente! Sono così confusa! C’è Erik, e io non capisco bene cosa provo per lui, se è solo un’infatuazione o no, e poi arrivi tu e dici che mi ami, e io… io non lo so.»
Era bellissimo. Era disperato, amareggiato e addolorato, ma Helen non poté fare a meno di rendersi conto di quanto fosse bello. Di come i miseri abiti che portasse, la giacca logora che viveva la sua quarta vita, essendo passata per tutti i fratelli di Peter, o i pantaloni troppo corti, lo facessero sembrare un principe, un Lord.
La guardò, cercando di frenare le sue di lacrime.
«Ma Lena, l’hai baciato. L’hai baciato come se, se io non ti avessi mai parlato, come se niente fosse. È davvero questo che sono per te, Lena? Valgo così poco? E non pensi a te, al tuo onore? Non dico per amor mio, ma almeno per te stessa, Helen… »
Sentì un’ondata di rabbia alle sue parole.
«Cosa credi, che sia la tua bambolina? Non siamo sposati, Peter, posso baciare chi voglio! Non sei mio padre, cosa faccio non ti interessa, io…»
«Non mi interessa?» sibilò «Dici che non mi interessa? Helen, mi interessa più di te che di me stesso. Ma a te no, lo vedo. Non ti importa un accidenti di qualcuno che non sia tu. E va bene, sai. Va bene. Spero solo che al tuo Erik lì non dispiaccia una ragazza egoista e senza cuore. Anzi, di ghiaccio il cuore, di ghiaccio.»
Alyssa guardava, impaurita, ora l’uno ora l’altra, cercando di capire cosa stessero dicendo.
Uscì passandole avanti senza neanche guardarla.
In piedi sulla soglia lo vide allontanarsi con i piedi che affondavano nella neve fresca. Dentro Alyssa giocava con le sue bambole, il principe e la principessa che vivevano per sempre felici e contenti. Anche le lacrime erano ghiacciate sulle sue gote.


*** 
No comment, va. 
Il prossimo capitolo - per i pochi coraggiosi che ancora avranno voglia di leggere dopo questa caz- hem, capitolo - non riuscirò a scriverlo prima della settimana prossima. Per cui vi prego abbiate pazienza. 
Grazie mille a tutti quelli che leggono e ancor di più a silvieritchiecobain che ha commentato, a CaliforniaLA e writemealullaby94 che l'hanno messa fra le seguite e last but not least - la più importante di tutte - HeartSoul97 che legge, mi sostiene e fa il tifo; cosa si può volere di più da un'amica? Grazie. =)
Ciao!
E. 

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Capitolo 4
*** Parte Quarta ***


And is this my final chance of getting you?

E ora due giorni dopo, il giorno di Capodanno, Helen sedeva sola davanti alla finestra, pensando e ripensando a quanto era successo. Aveva sentito sua madre e la madre di Peter, Anna, litigare poco prima. Ciascuna difendeva il proprio figlio e Anna aveva finito per andarsene sbattendo la porta. Sua madre piangeva: Anna era l’unica amica che avesse. E ora, per colpa sua, di Helen, non l’aveva più. Sì, perché sapeva che era solo colpa sua. Sua e della sua stupida indecisione. Si odiava per averlo fatto soffrire, per aver fatto precipitare le cose fino a quel punto. Eppure ancora non capiva bene cosa provasse.

Alyssa le aveva detto che Peter aveva intenzione di partire. Forse lo aveva già fatto. Probabilmente partiva per dimenticarla, rifarsi una vita e salutare il nuovo anno in un altro posto, lontano da lei. Altrimenti perché intraprendere un viaggio del genere, da solo, in inverno, fino ad Edimburgo? Chiuse gli occhi, stanca di vedere la strada innevata e le persone felici che la percorrevano.
Sentiva un vuoto dentro di sé e un groppo in gola. Ma non aveva più lacrime da piangere. Si erano congelate anche quelle, come il suo cuore.
Si odiava. Si odiava perché se n’era andato per causa sua. Perché era stata stupida e meschina e ingrata. E cieca e sorda. Perché adesso che non c’era capiva che Peter era fondamentale per lei: amico, confidente, fratello, l’unico al mondo su cui avrebbe potuto contare davvero che non l’avrebbe mai abbandonata. Invece no. L’aveva appena fatto. Era partito. Ma per colpa di Helen, perché Helen non era stata capace di fargli capire quanto lo amasse. Fino a quel momento non se n’era resa conto neanche lei, ma ora ne era certa, era lampante: lo amava, non c’era altra soluzione.
Trasse un grande respiro e sentì la confusione, la tristezza di quei giorni scivolare via. Si sentì più forte, ora che sapeva cosa fare.
Doveva trovarlo. Non poteva lasciarlo andare così. Doveva andare.
 
Il vento gli sferzava la faccia mentre camminava nella neve, lo tormentava, insinuandosi nel colletto, sotto la giacca.
Ancora un po’ e sono arrivato.
Tutto sommato non gli era dispiaciuto quel viaggio. Era stato lungo ed estenuante ed era mezzo morto di freddo, nel calesse, ma l’aveva aiutato a schiarirsi le idee. Si sentiva più libero. Il vento gelido aveva fatto chiarezza dentro di lui, aveva soffiato via i rancori, la rabbia, la tristezza. Aveva capito che non era stato nelle sue intenzioni fargli del male, che era solo confusa. L’aveva compresa, ma non perdonata. Il vento non era riuscito a soffiare via l’amarezza né a ricucire il suo cuore.
Eccola, la piazza della cattedrale. La casa di zia Mercy doveva essere nei paraggi. Poi la vide sventolare il cappellino nella sua direzione, poco distante dalla cattedrale. Si affrettò verso di lei. Notò che aveva un bell’abito; non ricco, ma abbastanza pregiato. Sapeva che la zia era stata più fortunata dei suoi genitori, e ad Edimburgo aveva trovato un buon lavoro ed un marito facoltoso. Doveva essere l’uomo baffuto lì accanto. Forse per questo i suoi genitori non avevano voluto che lui andasse, perché non volevano avere debiti con lei, non sapendo come ripagarglieli. La zia aveva promesso di pagare metà del biglietto. Il giorno dopo era Capodanno.
«Peete! Ma come sei cresciuto, fatti abbracciare!»
Si lasciò stringere dalle morbide braccia della zia. Era ad Edimburgo adesso, una delle città più belle al mondo: doveva solo chiudere gli occhi su quei giorni appena trascorsi e lasciare che il gelido vento scozzese lo portasse altrove, e cancellasse quelle memorie.
Devo dimenticarti, Helen. Tu l’hai già fatto, sembra, ora tocca a me. Non posso vivere pensando a come sarebbe stato, o con l’immagine di te abbracciata ad un’altro che mi strazia. Devo vivere la mia vita. Addio, Lena.  
 
 
***
Mamma mia. Mi sto deprimendo da sola.
Mi scuso moltissimo per il ritardo vergognoso e prometto che il prossimo non tarderà così tanto. 
Non ho niente da dire, quindi grazie mille a tutti quelli che leggono, di cui mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensano, a silvieritchiecobain che commenta e – come al solito – a HeartSoul97, perché senza di lei che legge non credo proprio che avrei mai pubblicato. 
Ora me ne vado perché capisco che il vostro odio per me – dopo questo capitolo insensato – è arrivato a livelli astronomici e quindi ciao.
=)
E.
P.S. Ho aggiunto un verso della canzone a tutti i capitoli. Era una bella idea, e mi dispiaceva non averlo fatto. Vi starete chiedendo "a me che me ne frega?" niente, appunto, era tanto per avvisare. Ok. Ciao e grazie ancora a chi è arrivato fin qui!

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Capitolo 5
*** Parte Quinta ***


«Peter… Peter fermati, non correre!» Il bambino rallentò un poco la sua corsa spensierata e si volse indietro a guardare la madre. Helen affrettò il passo fino a raggiungerlo, poi gli prese la mano con forza e camminarono insieme.
«Mamma, non sono un bambino piccolo, posso camminare da solo!» protestò contrariato.
«Hai sei anni, Peter, sei ancora piccolo. E poi questa è una città che non conosco, non posso lasciarti camminare da solo… guarda che folla.»
La piazza della cattedrale era gremita di gente che andava alla messa della mattina, ad eccezione di Helen e suo figlio. Helen cercava una casa. Una casa in una viuzza nei pressi della cattedrale. Anzi, la persona che abitava in quella casa. Rilesse l’indirizzo sul biglietto sgualcito che teneva nella mano infreddolita. Si gelava, lì ad Edimburgo. Arrivarono in una via laterale alla piazza, piuttosto spaziosa, costeggiata da eleganti casette a due piani. Avanzarono fino al numero nove. Helen salì i tre gradini, tenendo il figlio davanti a sé, poi bussò. Il cuore batteva a più non posso. La porta si aprì.
«Desiderate?»
Dieci inverni e dieci estati erano passati, eppure non era cambiato molto. I capelli erano meno folti e meno rossi, e leggere rughe cominciavano a delinearsi sulla fronte e intorno agli occhi, eppure  questi erano come li ricordava l’ultima volta, sofferenti per una ferita del cuore che il tempo non aveva guarito ma con una tenue scintilla che rifulgeva in loro, e gli dava vita.
Peter non la riconobbe subito. Era diversa, gli occhi spenti, la fronte solcata da rughe.
Il nome di lei gli morì sulle labbra mentre gli occhi si riempivano di lacrime.
«Venite.» disse solo, dopo un momento, e li fece entrare. Si accomodarono nel grazioso salotto.
«Vi… vi porto del the, qualcosa…» chiese, ancora frastornato.
«No, grazie.» rispose Helen. Lui si sedette su una poltrona accanto al divano dov’erano lei e il figlio.
«Lui è…» cominciò Peter.
«Sì, è mio figlio. Tesoro, presentati, da bravo.»
Il bambino si alzò e avanzò impettito fino alla poltrona di Peter, si tolse il berretto e tese la mano.
«Sono lieto di conoscerla signore, io mi chiamo Peter.» declamò scandendo bene le parole. Peter spalancò gli occhi, incredulo. Quasi dimenticò di stringere la mano al bambino che aspettava.
«A-anch’io mi chiamo Peter, sai.» disse, la voce tremante, guardando Helen. Lei non batté ciglio.
«Davvero?» disse estasiato il bambino. Non aveva mai incontrato nessuno con il suo stesso nome.
«Sai, la mamma mi ha detto che il nonno voleva chiamarmi Andrew, come lui, ma la mamma ha insistito tanto per chiamarmi Peter, anche se nessun altro voleva. Vero, mamma?»
Lei annuì, senza staccare gli occhi da quelli dell’uomo davanti a lei. Era sconvolto, glielo si leggeva in fronte. Non credeva a quello che aveva appena visto. Quel bambino… suo figlio. In effetti le assomigliava. Avevano gli stessi occhi.
«Cosa… Come mai sei qui, Helen?» chiese, facendo vagare lo sguardo, irrequieto.
«È passato tanto tempo, io… Devo raccontarti tante cose. Vogliamo fare… una passeggiata?» domandò Helen, esitante. Anche dieci anni prima avevano passeggiato, e non erano più stati gli stessi da allora.
«Certo, certo. È una bella giornata, anche se fa freddo. E Edimburgo è proprio bella. Sì, andiamo, andiamo.»
Uscirono nella gelida aria scozzese. Peter si incamminò verso il centro, dalla parte opposta rispetto alla cattedrale. Helen era al suo fianco, il piccolo Peter saltellava davanti a loro. Pensò che sembravano davvero una famiglia. Gli si strinse il cuore. Lui non aveva una famiglia, né una moglie; non si era mai sposato. Era diventato un giornalista – lui, che un tempo era solo un impiegato da quattro soldi nell’ufficio di un notaio! – e si era comprato una bella casetta e molti libri. Ma non l’aveva mai condivisa con una donna. Era solo.
Senza che glielo chiedesse, Helen iniziò a parlare.
«Ti ricordi, Peter, l’ultima volta che ci siamo visti? E abbiamo litigato. Ricordi che mi dicesti che avevo un cuore di ghiaccio? Sai, avevi ragione. Ho davvero un cuore di ghiaccio.»
Mentre camminavano nella splendente mattina attraverso le linde strade della città, Helen gli raccontò di come, quel giorno di Capodanno di dieci anni fa, si fosse accorta di essere innamorata di lui, di come avesse cercato di raggiungerlo. I suoi genitori, però, l’avevano scoperta mentre preparava la borsa e gliel’avevano impedito. Aveva pianto, urlato, implorato. Le avevano dato uno schiaffo. Aveva passato un periodo terribile, chiusa per giorni nella sua camera, con sua sorella Alyssa che le portava da mangiare.
Qualche tempo dopo, forse un paio di mesi, suo padre le aveva detto che un giovane era venuto a chiedergli la sua mano, e lui l’aveva accettato. Erik. Stavolta non aveva pianto. Era troppo inorridita per piangere: come avrebbe passato tutta la vita accanto ad un uomo che non amava? Aveva cercato di opporsi; suo padre aveva minacciato di diseredarla. Cosa avrebbe fatto allora, senza un soldo, senza dote, senza famiglia? Accettò. Si sottomise. Non aveva scelta. Inoltre, pensieri spiacevoli si erano insidiati nella sua mente: se anche fosse scappata, cosa le garantiva che Peter l’amasse ancora, o fosse disposto a perdonarla? Se così non fosse stato?
L’aveva sposato. Quante notti aveva pianto, silenziosamente. Aveva sentito anche lui piangere, un paio di volte, quando pensava che lei dormisse; si sentiva in colpa, si odiava per averla resa tanto infelice, ma lui le aveva chiesto di sposarlo semplicemente perché credeva di amarla. Eppure, Helen non lo biasimava per averla sposata, perché gli voleva bene, in fondo.
Quattro anni dopo il matrimonio, nacque Peter. Rimasero tutti sbigottiti quando Helen disse che voleva chiamarlo così. Ricordava i loro volti come se fosse successo il giorno prima: sua madre con le lacrime agli occhi, suo padre infuriato, Alyssa commossa ed Erik addolorato. In quel momento aveva capito che Helen non aveva mai smesso di amare Peter, il suo vecchio amico, e mai l’avrebbe fatto. Poco tempo dopo, Erik ed Helen iniziarono a dormire in stanze separate.
Peter era stato la luce nella sua vita, il Sole intorno a cui ruotava, il fulcro della sua esistenza. Quando lo stringeva fra le braccia, era felice. Anche Erik amava quel bambino. Forse proprio lui riuscì a riavvicinarli, a far riscoprire loro l’affetto che provavano l’uno per l’altra. Non si amarono mai, ma si sostennero e si rispettarono. Helen stava finalmente bene.
Tre anni dopo, dovette dire addio a sua madre. Fu devastante.
Aveva appena ritrovato una parvenza di equilibrio che anche Erik si ammalò, un anno dopo. Vide quel ragazzo forte, quel compagno prezioso, il padre di suo figlio, scomparire giorno dopo giorno, consumarsi lentamente. Anche lei si sentiva morire poco a poco. Non era giusto, perché lui? Cosa aveva fatto di male lui, nella sua vita? Era lei, lei quella da punire. Ma Erik seppe darle forza, di nuovo, anche se la vita stava per abbandonarlo.
Trovalo, le aveva sussurrato un giorno, mentre sedevano accanto al fuoco, ritrovalo, non buttare la tua vita. Digli che lo ami. Helen lo aveva guardato, incredula. Era serio, e incredibilmente sereno, mentre guardava placido il fuoco. Si era girato e aveva sorriso. Ti voglio bene, Helen.
Pochi giorni dopo, era rimasta sola, con l’eco delle sue parole che la tormentava. Doveva davvero farlo? Aveva rispettato l’anno di lutto, atteso un anno ancora e poi si era messa in cammino e aveva fatto quel viaggio che avrebbe voluto fare tanti anni prima.
 
Camminando, avevano fatto il giro dell’isolato, ed erano di nuovo nella piazza. La cattedrale si stagliava imponente contro il cielo. C’era molta meno gente adesso.
Il piccolo Peter era stanco, aveva smesso da un pezzo di saltellare; ora camminava davanti a loro mettendo un piede davanti all’altro come un funambolo, con le braccia stese in fuori.
Peter sorrise vedendolo. Non aveva detto una parola durante tutto il racconto di Helen. Gli dispiaceva che Helen avesse patito tanto in quegli anni a causa sua e della sua vigliaccheria. Se avesse saputo quanto sarebbe stata dannosa per entrambi la sua partenza… Ma non poteva cambiare il passato. Fece un profondo respiro, cercando di calmarsi e di ricacciare le lacrime.
«E così… sono venuta. Volevo solo rivederti, Peter, ne sentivo il bisogno. Tutto qui. Io non… Volevo raccontarti tutto. Spiegarti. Come avrei dovuto fare dieci anni fa.»
«Helen…»la voce gli uscì roca dopo tutto quel tempo in silenzio. Lei lo interruppe.
«Sai, sarei potuta venire prima. Ne ho avuto l’occasione una volta, prima che nascesse Peter. Ero sola, Erik non ricordo dov’era, forse da sua madre, e io avevo i soldi. Ma ho avuto paura. Paura che tu… tu non mi avessi aspettato. Che ti fossi risposato, rifatto una vita, ricominciato a vivere. Che non mi avresti più amata. Io davvero…»
Un abbraccio caldo e avvolgente le spense le parole sulle labbra. Peter. Le sue forti braccia la tenevano stretta, la sostenevano, le arrestavano le lacrime. Respirò profondamente, ritrovando la calma. Sentì un soffio sui capelli e un mormorio indistinto. Alzò la testa.
«Come hai potuto pensarlo? Lena, io ti aspetterò sempre. Sempre.» sussurrò commosso Peter. Le posò un bacio sulla fronte, dolce, rassicurante. Tremò al contatto delle sue labbra e lacrime scesero copiose sulle guance, mentre lui la stringeva più forte.
Peter sentì qualcuno tirarlo per la gamba dei pantaloni. Sciolse delicatamente l’abbraccio, lasciandole un braccio intorno alla vita.
«Signore, perché la mamma piange?» chiese il piccolo Peter, preoccupato, sull’orlo delle lacrime anche lui.
«Sai, Peter, a volte le persone piangono quando sono tanto felici.» Vide un sorriso allargarsi sul piccolo viso. D’impeto, si abbassò e lo prese in braccio, mentre il bambino protestava ridendo «Sono grande, sono grande!» Helen si avvicinò. Circondò anche lei con l’altro braccio. Il bambino rideva.
 
La finestra della sua stanza si affacciava sulla piazza. Le stelle illuminavano la cattedrale, che sembrava viva, magica. Immaginò che dalle guglie, dalle vetrate si sarebbero levati canti bassi e melodiosi, organi e violoncelli malinconici, per cantare una ninnananna alla luna. La cattedrale splendeva, maestosa eppure così elegante e delicata.
Helen e il bambino dormivano sereni nell’altra stanza. Un solo muro li divideva, non più centinaia di miglia. Peter sorrise alla luna. Non sono più solo, sai. Ho una famiglia, adesso.
Stentava a crederci. Appena si fossero entrambi abituati ad essersi ritrovati, l’avrebbe sposata. Subito. Aveva aspettato dieci anni per farlo, erano più che abbastanza; dieci anni di solitudine, di rimpianti, di lavoro, di libri. D’un tratto, però, guardando lo splendore delle stelle, si rese conto che per lei, ne avrebbe aspettati anche mille.
Chiuse gli occhi, le stelle vegliavano sul suo sonno.
 

And I'll always be waiting for you.
 
 
 
 
 

 
***
Eeee stop. Eccolo qui. Ce l’ho fatta. Ho finito. Fiuuu.
Da una parte mi dispiace, mi ero affezionata ai drammi di questi due; dall’altra non vedevo l’ora di dire ‘ho finito’. =)
Parlando del capitolo, è venuto fuori decisamente troppo lungo, ma non sapevo cosa tagliare né come dividerlo. Scusate se vi ho reso la lettura noiosa.
Capisco che ne abbiate fin sopra i capelli di me e delle scemenze che ho scritto, per cui taglio corto e passo ai ringraziamenti.
Grazie a tutti quelli che hanno letto fin qui, e sono stati vicini ad Helen e Peter (anche se mi piacerebbe molto una recensioncina…); grazie a silvieritchiecobain che ha commentato tutti i capitoli; e una mega grazie a HeartSoul97 perché… perché sì e basta. =)
Beh, è l’ora dei saluti: ciao a tutti, è stato un piacere, forse prossimamente pubblicherò qualcos’altro, non lo so, può essere, dateci un’occhiatina se lo faccio, grazie ancora, ciao.
Vi prego recensite. Vi prego. Vi prego tanto. Vi costerà solo qualche minuto del vostro tempo e potrete fare felice una persona (=me) - anche se critica la recensione, sarei felice lo stesso. Pleaseee. Ok basta.
Goodnight everybody, thank you aaaall.
E.

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