Tolto tutto il male, muori di Shirangel (/viewuser.php?uid=41679)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Your Guardian Angel [Pt. 1] ***
Capitolo 2: *** Your Guardian Angel [Pt. 2] ***
Capitolo 3: *** Your Guardian Angel [Pt. 3] ***
Capitolo 4: *** Nostalgia del totalmente Altro [Extra] ***
Capitolo 5: *** Requiem for a Dream [Pt. 1] ***
Capitolo 6: *** Requiem for a Dream [Pt. 2] ***
Capitolo 1 *** Your Guardian Angel [Pt. 1] ***
Di
giorno, siamo i ragazzi che nessuno vede.
Di
notte, siamo i ragazzi che tutti vogliono.
Ci
prendiamo i tuoi soldi in cambio della nostra dignità.
Usaci
pure quanto vuoi, ma ricordati che dopo devi pagare.
Tolto
tutto il male, muori
Quando
vivi all’inferno ma non sei un dannato ti fai molte domande.
Chi
è stato ad aiutarti? Dio? Il destino? O una qualsiasi forza
superiore?
Il
mio caso è molto diverso.
Non
ho mai avuto fiducia negli angeli custodi, ma mi sono dovuto ricredere,
anche
se Sasuke non ha le ali e assomiglia molto di più a un
demonio.
-
I will never let you fall -
Chi
torna senza soldi
riceve un sacco di botte.
Chi
non consegna
tutti i soldi riceve un sacco di botte.
Chi
guadagna più
soldi mangia di più.
Le
regole sono poche
e facili da comprendere: si basano sui soldi e sulle botte, non ci si
può
sbagliare. Nonostante ciò c’è sempre
qualcuno che sgarra e che poi se ne pente:
di solito a provarci sono gli ultimi arrivati, che non sanno ancora
come
funziona questo posto, ma perfino quelli che sono qui da anni non
possono
soffocare l’istinto della vita. È
l’istinto di un uomo che sta per affogare e
cerca disperatamente ossigeno. Anche se è solo una molecola,
non importa: basta
sopravvivere un secondo in più.
Fino
a poche
settimane fa c’era un tipo, Kiba, che voleva a tutti i costi
scappare da questo
tugurio e tornare a casa. Per farlo gli servivano molti soldi e lo
sapeva.
Lo
vedevo sempre,
mentre scendeva dall’auto di un cliente, guardarsi intorno
con occhi ansiosi e
infilarsi qualcosa in tasca, nelle mutande, dentro un calzino. Forse
qualche
volta ce l’ha fatta, ma dopo essere stato sorpreso a rubare
un paio di volte le
guardie hanno iniziato a perquisirlo tutti i giorni.
Sapeva
di non
potercela fare, ma aveva bisogno di provarci per convincere se stesso
di non
aver perso la speranza. Ogni tentativo era più fiacco del
precedente, ogni
colpo ricevuto era più debole del successivo, i suoi passi
andavano verso un
fine che era anche la fine. Quando
è
successo non ero nella sua stessa zona, ma Hinata mi ha rassicurato:
non c’era
stato nient’altro che un calcio che aveva sbagliato
traiettoria. È morto in
pochi minuti e il suo cadavere probabilmente sta ancora marcendo in
fondo a un
cassonetto, ricoperto da rifiuti e spazzatura.
Gli
occhi bianchi di
Hinata ora sono più vuoti di prima.
La
sua cecità,
secondo le assurde regole del posto in cui viviamo, di norma
è un bene: non
vede gli uomini che la spogliano e può guardare tutto quello
che vuole, anche
quello che non esiste. Tuttavia credo che non dimenticherà
mai il rumore che ha
fatto la testa di Kiba mentre si schiantava contro la punta di ferro di
uno
stivale, nemmeno se non è stata costretta ad assistervi con
gli occhi.
Partecipare con il cuore fa sempre più male.
Lei
e le altre
ragazze sono quelle maggiormente danneggiate da questa situazione:
spesso i
clienti non usano preservativi e chi rimane incinta viene picchiata
finché non
perde il bambino. A volte perdono anche la vita.
Ino
è morta così e
Sakura ha pianto immersa nel sangue della sua migliore amica per ore,
poi
l’hanno presa a calci perché non si era ancora
preparata per andare a battere e
allora si è alzata. Quando è tornata il cadavere
non c’era più, ma la macchia
rossa per terra sì e ha dovuto raschiarla via con le unghie,
perché si
allargava proprio nel punto in cui ogni notte si riposa dagli incubi
del
giorno.
Dorme
sul pavimento
perché i letti sono solo dieci e spettano a chi guadagna di
più. Sakura non è
brava a fare la puttana ed è stata costretta a procurarsi
una vecchia coperta,
ma qualche tempo fa qualcuno gliel’ha rubata e ora deve
stendersi sulle
mattonelle. Sono sporche e fredde e i suoi vestiti sono talmente
usurati da non
bloccare nemmeno il più lieve soffio di gelo. I corpi
coricati accanto a lei,
ammassati perché lo spazio non basta, non riescono a
scaldarla.
Ha
preso la
polmonite, ma non lo sa e Sasuke mi ha spiegato che non devo dirglielo
se non
voglio farle ancora più male. Ora ha lo sguardo sempre fisso
nel vuoto e
sorride in continuazione, e quando morirà probabilmente non
se ne accorgerà
nemmeno. Secondo me è da qualche parte nella sua testa con
Ino e non tornerà
più, nemmeno per dirmi addio, ma almeno non soffre.
Sasuke
mi rimprovera
quando piango per lei, perché potrei essere nella sua stessa
situazione e perché
qui dentro non bisogna contare su nessuno. Dice che tutti pensano per
sé e che
quindi non devo fare affidamento nemmeno su di lui, dato che potrebbe
voltarmi
le spalle in qualsiasi momento.
Io
so che non è vero: Sasuke mi salva ogni notte.
È
arrivato qui molto
prima di me e sa bene come funzionano le cose: più clienti
ti fai, più vita
perdi. Vediamo insieme ragazzi e ragazze che giorno dopo giorno non
diventano
altro che fantasmi di loro stessi, ma vanno avanti perché
perfino un’esistenza
miserabile come la nostra ci appare una prospettiva migliore della
morte.
L’unico
che sembra
non risentire di tutto questo è Sasuke: secondo lui ci
riesce perché è una
persona forte, secondo me perché ha qualcuno per cui
sopravvivere.
Io.
Se
glielo faccio
notare si arrabbia e allora sto zitto. Non posso neanche ringraziarlo,
perché
lui dice di non farlo per me, ma per se stesso. Ci troviamo in una
dimensione
parallela così lontana dalla realtà che pensare
all’amore è impossibile, quindi
non l’ho nemmeno preso in considerazione; in fondo credo che
nemmeno lui sappia
perché mi protegge.
Ogni
sera corrompe le
guardie con un pompino per convincerle a mandarci nella stessa zona e
funziona
sempre: questi uomini sono così stanchi di guardare il sesso
da essere pronti a
chiudere un occhio per averne un po’ anche loro. Mi fanno
schifo ma ci servono,
quindi nei rari momenti in cui riesco a farlo scaglio contro di loro un
sorriso
falso quanto l’amore che vendiamo.
Quando
ci scaricano
in un vicolo, a gruppi di tre o quattro persone, si appostano
lì vicino e
controllano che i clienti non ci portino via: solo sveltine in
macchina, non si
arrischiano a farci allontanare. Moriamo come mosche per le malattie
veneree,
per il freddo, per le condizioni igieniche disastrose, quelli che non
ce la
fanno più riescono a crepare perfino per disperazione. I
nostri guardiani non
possono permettersi di perdere altri ragazzi, non quando ne trovano
ogni mese
almeno un paio appesi al soffitto del bagno.
Io
rimorchio un sacco
di uomini, ma Sasuke ne attira molti di più. I pantaloni di
pelle nera e le
maglie stracciate che ci costringono a indossare lo fanno sembrare un
modello,
anche se non è nient’altro che una puttana,
proprio come tutti noi.
Quando
un potenziale
cliente si ferma davanti a me, il cuore si arresta a entrambi.
«Quanto
vuoi?»
La
domanda è sempre
quella, ma non rispondo mai. Sasuke mi spinge via prima ancora che io
possa
aprire bocca e guarda l’uomo dritto negli occhi. In quei
momenti smette di
essere una persona e diventa un niente.
«Prendi
me» dice
solo. Di norma si tratta di un rifiuto sociale di mezza età,
che ci fissa
entrambi per qualche secondo ma che poi fa spallucce e se ne frega. Fa
salire
Sasuke, lo scopa, lo paga, si dimentica di noi e torna dalla moglie.
Se
siamo sfortunati,
il cliente non si fa convincere tanto facilmente.
«Voglio
quello» si
intestardisce. Io guardo i nostri aguzzini e spero che non notino nulla
di
strano, altrimenti sono botte per tutti e due.
Sasuke
digrigna i
denti. «Io lo faccio senza preservativo» sputa. Se
l’uomo non sembra persuaso,
aggiunge: «Allo stesso prezzo».
A
questo punto
accettano tutti. Di solito una scopata senza profilattico costa il
doppio della
tariffa normale e un affare così non se lo perde nessuno,
soprattutto perché
Sasuke spesso esige cifre assurde. Molte volte perfino io sono rimasto
sbalordito dai soldi che quella gente è disposta a sborsare
per averlo appena
una ventina di minuti.
Quando
un cliente,
invece, si ferma davanti a lui, Sasuke mi lancia un’occhiata
e io capisco
subito. Mentre sale sull’auto mi sento il più
grande figlio di puttana del
mondo, ma obbedisco al suo sguardo e mi nascondo, cercando di rendermi
invisibile finché lui non finisce il lavoro e prende i
soldi. Poi torna da me e
mi fa segno di avvicinarmi, perché se i guardiani mi vedono
in disparte per
troppo tempo mi prendono a calci.
Verso
le cinque del
mattino ci caricano sul furgone e appena arriviamo a casa dobbiamo
consegnare i
soldi ricevuti. Ovviamente non guadagno mai niente, ma Sasuke mi
dà il minimo
indispensabile per evitare che io venga picchiato; il resto lo tiene
per sé,
perché vuole essere tra i dieci che ogni notte hanno diritto
a uno dei letti.
Mi fa dormire con lui, dalla parte del materasso adiacente al muro,
così se
qualcuno si avvicina a noi non può comunque raggiungere me.
I
dormitori hanno una
sola uscita e le finestre sono così in alto che non
riusciamo nemmeno a
guardare fuori: l’unica porta è controllata
solamente dall’esterno e anche se
gridiamo non accorre nessuno. Le ragazze vengono stuprate ogni notte,
così come
molti dei ragazzi più piccoli, e anche i pochi averi che
ognuno di noi possiede
vengono rubati di continuo. Siamo bestie a immagine e somiglianza di
quelle che
ci tengono qui, ma nessuno potrebbe biasimarci.
Sasuke
ha spezzato il
polso a uno stronzo che aveva cercato di violentarmi e gli ha buttato
giù metà
dei denti. I pompini poteva farli lo stesso, ma la mano era quella con
cui
tirava le seghe: un guardiano si è incazzato con Sasuke e
gli ha incrinato tre
costole con un calcio in pieno petto. Da quel momento però
nessuno ha più
tentato di avvicinarsi a me.
Non
capivo cosa lo
spingesse a salvarmi, dal momento che lui mi ripeteva sempre che per la
sopravvivenza si lotta da soli; la prima teoria che formulai era
così stramba
che gliela dissi.
«Non
vuoi che gli
altri mi scopino perché vuoi scoparmi tu?»
In
realtà non mi
aveva mai toccato, anche se condividevamo il letto ogni notte.
Lui
mi aveva risposto con uno sguardo stanco e un sorriso amaro.
«Faccio
così tanto
sesso che non vorrei farlo più per il resto della mia
vita.»
Io
continuavo a non
capire ma desideravo almeno provarci, come se tentare di comprenderlo
potesse
essere una sorta di ringraziamento per tutte le volte in cui mi aveva
strappato
alla morte dell’anima.
«E
allora perché ti
prendi tutti i miei clienti?»
Lui
aveva alzato le
spalle. «Se guadagno tanto mi danno più
cibo.»
Non
ci ho mai
creduto. Le porzioni che ci consegnavano erano misere, ma
l’altrettanto misero
extra che gli spettava per i soldi ricevuti lo divideva con me e ancora
non ci
bastava. Se fosse stato appena un po’ più magro le
sue costole sporgenti
avrebbero pugnalato a morte gli uomini che lo fottevano. Fantasticavo
spesso su
quest’idea.
«E
poi lo faccio per
le sigarette.»
Quello
era
decisamente plausibile; ogni tanto il capo del nostro giro di
prostituzione
incentivava la sua merce più redditizia con una piccola
cifra, appena qualche
yen, e Sasuke con quei soldi si faceva procurare delle sigarette da un
guardiano.
Era
il suo unico
vizio: avrebbe potuto acquistare qualcosa da mangiare per me o per se
stesso e
invece si faceva comprare un pacchetto di Marlboro. Lo vedevo fumarne
una dopo
l’altra, meticolosamente e con una foga disperata,
finché non ne rimaneva
nemmeno una.
Gli
piaceva così
tanto che non riuscivo a capire come mai non se le facesse durare un
po’ di
più. Quando rispose a questa domanda desiderai non
averglielo mai chiesto.
«Perché
potrei morire
domani e allora rimpiangerei di non averle finite quando avrei
potuto.»
Il
mio sguardo doveva
essere decisamente turbato, perché aggiunse una frase che
secondo lui sarebbe
dovuta assomigliare a quelle che, fuori dalla nostra prigione di
specchi,
avremmo chiamato battute.
«E
poi tu non fumi.
Se schiattassi andrebbero sprecate e io avrei venduto il culo per
nulla.»
Mi
piacque pensare
che, per lui, tutto ciò che si trovava al di fuori di noi
due non era niente.
Ma probabilmente lo aveva detto perché mi riteneva
l’unico contatto umano che
aveva lì dentro: considerava tutti gli altri, compreso se
stesso, inutili negazioni
di vita.
Forse
lo erano, ma
probabilmente io non facevo eccezione. A forza di stare con i morti
stavo
morendo anche io, e me ne accorgevo mano a mano che vedevo gli occhi di
Sasuke
spegnersi ogni giorno di più.
Morivo
con lui, e mi
piaceva.
Note
burocratiche:
Questa
fan fiction si
è classificata prima al concorso Naruto…
all star! indetto da Shark Attack e sta partecipando
al contest La
speranza vive in una
creativa realtà indetto da HopeGiugy sul forum di
EFP.
Note
dell’autrice:
Innanzitutto
sono
ancora sconvolta dal bellissimo giudizio della giudice *_* Poi sono in
crisi perché
a questa storia ci sono affezionata ma mi ha fatto impazzire per
scriverla. Dura
solo tre capitoli e io ho già in mente uno spin-off, e
questo è molto male
perché è improponibile scrivere ancora su
‘sta fan fiction. È un parto mentale
e quasi fisico.
Bon,
drammi personali
a parte spero vi sia piaciuta e imploro un commentino, giusto per dirmi
di
darmi al paracadutismo senza paracadute, ci tengo molto a sapere cosa
la gente
pensa di ‘sta roba >.<
Grazie
della lettura e buona serata! :) Ci vediamo la settimana prossima per
il
secondo capitolo.
shirangel
|
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Capitolo 2 *** Your Guardian Angel [Pt. 2] ***
Tolto
tutto il male, muori
Non si
fugge da
una prigione di specchi: rischi solo di andare a sbattere contro te
stesso.
Io e
Sasuke ci
abbiamo provato, davvero. Io ho sbattuto contro la mia solitudine, lui
contro
il suo odio.
La cosa
peggiore
è che, se tentassimo insieme, ce la faremmo; da soli
però non siamo niente.
- I’ll stand up with you forever -
Non
ho ricordo né di
mia madre né di mio padre: l’unica nozione che
appresi dai direttori
dell’orfanotrofio riguardava la loro morte, avvenuta in
circostanze poco chiare
e che non mi furono mai spiegate nel dettaglio. Non mi sorpresi molto
quando
venni a conoscenza del fatto che la maggior parte dei ragazzi che
vivevano con
me condividevano un vissuto, se non identico, simile al mio.
L’unica
eccezione era
Sasuke. Lui era orfano perché suo fratello aveva trucidato
entrambi i loro
genitori, insieme a tutta la famiglia, e poi era scappato. Non potevo
immaginare quanta sofferenza il mio compagno di sventura si portasse
dentro, ma
anche da fuori mi appariva così amara che non volevo nemmeno
provarci.
Per
avere queste
misere indicazioni sul suo passato avevo collezionato una frase alla
volta,
estorcendogli informazioni con molta pazienza, perché alle
mie domande
rispondeva con monosillabi oppure non rispondeva affatto. Forse era
egoistico
da parte via voler scavare in quell’ammasso purulento di
dolore, ma ritenevo
che solo mettendo a nudo la sua anima sarei potuto entrare dentro di
lui.
Non
ci riuscii
comunque: Sasuke Uchiha rimase per sempre il mistero più
insondabile della mia
vita. Non gliene feci mai una colpa.
La
parte più intima
di sé che accettò, seppur malvolentieri, di
condividere con me, era quella
riguardante il suo unico desiderio. Anche in questo si discostava da me
e da
tutti gli altri: non voleva fuggire da lì, gli bastava solo
uccidere suo
fratello e poi riposarsi morendo. Mi faceva venire i brividi, ma mi
affascinava
pensare che ci fosse qualcuno libero dall’ossessione di
abbandonare tanta
miseria, sebbene la sua agonia fosse molto più crudele della
nostra. Lui moriva
più lentamente di noi e i suoi coltelli erano più
affilati dei nostri.
Quando
aveva quindici anni era stato adescato da Orochimaru, colui che gestiva
il
nostro incubo, e per lui era stato l’inizio della fine.
L’uomo aveva promesso
che lo avrebbe aiutato a trovare Itachi se si fosse unito alla sua
schiera di
ragazzi maledetti e Sasuke ci aveva creduto. Erano passati tre anni e
ancora ci
credeva. O almeno faceva finta di farlo.
Forse
si era accorto
del mio stupore nello scoprirlo tanto ingenuo, perché per
giustificarsi aveva
aggiunto che Orochimaru era stato in contatto con Itachi per lavoro, in
passato. Quale fosse il genere di lavoro
di cui si erano occupati non aveva voluto dirmelo, ma non facevo fatica
a
immaginarlo, considerando la principale fonte di introiti del nostro
aguzzino.
Trafficking.
Anche
dopo due anni non riuscivo a credere di essere coinvolto in una
situazione di
cui prima sentivo parlare solo al telegiornale. Non riuscivo a credere
nemmeno
di essere stato tanto stupido, in realtà: ero fuggito
dall’orfanotrofio quando
avevo appena sedici anni e avevo vissuto per strada, chiedendo
l’elemosina e
rubacchiando quel che potevo. Non ci era voluto molto prima che i
trafficanti
di prostitute mi acciuffassero.
Al
contrario di tutti
quelli che vivevano con me, non mi preoccupavo minimamente dei soldi:
sarei
potuto fuggire anche senza niente in mano, per me
l’importante era andarmene.
Avevo già vissuto con le tasche piene solo di paura.
L’unico
problema era
che, avendo o non avendo del denaro con sé, era impossibile
scappare: forse era
per questo che tutti gli aspiranti fuggitivi si affannavano a mettere
da parte
quel che potevano.
Perché
era l’unica
cosa che potevano fare per illudersi di starsi avvicinando alla
libertà. Il
ricordo di Kiba che si fa ammazzare per qualche moneta e un paio di
banconote
ancora mi tortura.
Io
avevo provato a
rubare, all’inizio, giusto per impegnarmi in qualcosa, e i
lividi non si erano
cancellati dalla mia pelle per una settimana; lo sguardo che mi aveva
lanciato
Sasuke quando se ne era accorto mi aveva fatto pensare che volesse
aggiungerne
qualcun altro, ma non lo fece mai.
Bastavano
i suoi
occhi. Erano quelli la mia punizione più grande: vederli
vuoti anche quando era
arrabbiato era come ricevere una pugnalata nei polmoni a ogni respiro.
Tenevo a
lui in un modo che non capivo, ma andava bene lo stesso.
L’affetto mi salvava
dal baratro, per quanto assurdo e malato fosse, anche se penso che mi
abbia
fatto male più di tutto il resto. Quando tocchi il fondo
arrivi a un tale punto
di annullamento da non accorgertene nemmeno, quando sei a
metà strada tra la
vita e la morte ogni secondo è una consapevolezza che ti
distrugge.
Sasuke
si infuriò
anche quando persi la mia unica occasione di lasciare
l’inferno. Probabilmente
perché avevo preso la scelta che aveva preso anche lui.
Eravamo
appena
all’inizio di un turno e il guardiano si era allontanato di
qualche passo per
pisciare, ignaro che il suo collega nel furgone si fosse appena
addormentato.
Ino, non ancora morta, si dava da fare nel vicolo lì accanto
con un cliente.
Non c’era nessun Cerbero a sbarrarmi la strada, eppure non
potevo
approfittarne.
Avevo
un istante per
decidere e una vita per pentirmi. Sasuke mi sibilava
all’orecchio, furioso, di
correre, di sbrigarmi, di andare via da quella fogna.
«Ti
copro io, idiota!
Vattene, cazzo, muoviti!»
Era
così agitato da
confondermi. L’unica cosa che riuscii a dire fu una frase che
entrambi non
scordammo più.
«E
tu?»
Lui
no, lo sapevo. Ma
non potevo andare senza chiederglielo, non sarei potuto andare
comunque. Mi
sentivo appiccicato al suo destino come un prigioniero alla sua catena.
Non era
amore, né un sentimento fraterno: nemmeno adesso so cosa
fosse, so solo che,
pur inconsciamente, capivo di non doverlo spezzare.
Quelle
due parole
segnavano la mia rinuncia, e lui ne era così consapevole da
odiarsi.
I
suoi occhi, a metà
tra la rabbia e lo shock, mi spiegavano ogni cosa: mi voleva lontano da
sé
perché non poteva seguirmi, né io dovevo restare.
Avrei fatto qualsiasi cosa
per lui, ma questo no.
«Se
non alzi il culo
da quella panchina giuro che ti…»
Poi
ammutolì. Il
guardiano era tornato e per il puro gusto di esercitare il suo potere
mi aveva
appioppato un calcio sugli stinchi. Aveva colpito solo me, ma ci aveva
ucciso
entrambi.
Sasuke
non me lo
disse mai, quello che mi avrebbe fatto, né lo fece. Mi
odiò soltanto con tutto
il cuore e mi spinse via con cattiveria quando un uomo si
fermò davanti a me:
fu ancora più doloroso del solito vederlo scendere da quella
macchina al posto
mio, con le tasche piene e il cuore vuoto. Gettò i soldi ai
miei piedi con
tutto il disgusto che riuscì imprimere in quel gesto e la
sua rabbia mi fece
bene. Avevo bisogno di lei, volevo sentirmi male. Volevo che il mio
dolore
fosse acuto quanto il suo.
«Prendi
– disse solo.
– Continua a vivere per niente. Muori per niente, se
è quello che vuoi.»
Non
gli dissi che
avrei voluto morire per lui, né mi chiese perché
avevo rinunciato alla fuga.
Credo lo sapesse, comunque.
Sapeva
tante cose,
Sasuke, anche se non ci voleva credere.
Orochimaru
non gli
avrebbe consegnato suo fratello, lui non sarebbe comunque stato in
grado di
uccidere Itachi, noi saremmo morti entrambi lì e io
probabilmente per primo,
lasciandolo solo col suo odio e costringendolo così a
rivolgerlo verso se
stesso.
Sapeva
tutte queste
cose, Sasuke, ma faceva finta che non esistessero.
Non
poté però
ignorare il fatto che, quella stessa sera, lo presi per mano e iniziai
a
correre un attimo prima di salire sul furgone che ci avrebbe portato a
casa.
Volevo scappare dal primo momento in cui ero stato catturato, non
l’avrei mai
negato, ma avevo bisogno che lui venisse con me perché da
solo non potevo
farcela. Da solo non potevo vivere e senza di lui non potevo morire.
Durò
appena pochi
istanti e fu bellissimo: l’aria era più fresca e
la luna più brillante, in
quella porzione di spazio e di tempo in cui avevamo smesso di essere
puttane
che si drogavano l’uno dell’altro ed eravamo
più simili a due ragazzi
innamorati.
Sorrisi,
stupido, e
il mondo, bastardo, ricambiò.
Poi
Sasuke mi
strattonò all’indietro, riportandomi bruscamente
nel luogo della mia mente dove
eravamo di nuovo schiavi, ed evitò che il coltello del
guardiano contro cui
stavo correndo mi infilzasse la pancia.
L’uomo
alzò il
braccio e la lama incise un taglio verticale tra le sopracciglia. Il
sangue mi
colò sugli occhi e il mondo ridiventò rosso,
esattamente come prima.
«Salite
sul furgone,
pezzi di merda.»
Sasuke
mi guidò verso
il veicolo e io mi lasciai condurre, ferito come se il pugnale mi
avesse davvero
squarciato lo stomaco. Mi voltai e vidi i nostri fantasmi che
scappavano e
andavano a vivere.
«Sei
un imbecille.»
Non
mi sforzai
nemmeno di annuire, ma rifiutai di lasciare la sua mano e lui
accettò di
stringere la mia. Non eravamo sicuri se eravamo appena scampati alla
morte o se
era stata la morte ad evitare noi, fatto sta che eravamo ancora suoi
prigionieri.
Non
c’era bisogno di
spiegargli perché avevo tentato così scioccamente
di scappare, pur sapendo che
non ci sarei mai riuscito: avevo bisogno di provarci e fare finta che i
suoi
sacrifici per me non fossero stati inutili. Lui non mi aveva impedito
di
trascinarlo via perché sapeva che ci avrebbero fermato e che
necessitavo di
quella pietosa corsa verso il nulla come dell’aria.
Così come per lui era
indispensabile rimanere lì e pensare di avvicinarsi ogni
giorno di più a suo
fratello, anche se non era vero.
Eravamo
così diversi.
Lui odiava, io – nel mio egoistico modo di farlo –
amavo. In realtà volevo
amare per non essere solo. Lui odiava per provare qualcosa. Non so chi
dei due
fosse più miserabile, forse lo eravamo entrambi
così tanto da stare insieme per
illuderci di essere persone.
Quella
notte lo
baciai. Non volevo ringraziarlo per avermi salvato ancora una volta: lo
facevo
per me, avevo bisogno di sentire cosa si provava ad essere liberi come
i nostri
fantasmi che erano scappati via da noi. Lui accettò senza
scomporsi e io non
capii se lo stava aspettando da quando ci eravamo conosciuti o se
voleva solo
accontentarmi.
Eravamo
stesi su un
letto pagato con la sua dignità venduta, sotto lenzuola
sottili come carta
scambiate con la sua anima in pezzi, ma non ci importava. Eravamo
sporchi,
stanchi, pieni di lividi e con le occhiaie, magri da far paura e vuoti
da fare
schifo, ma non ci importava. Non avevamo alcuna possibilità
di sopravvivere né
di poterci innamorare l’uno dell’altro, ma non ci
importava.
Avevo
il labbro
spaccato perché la guardia mi aveva punito con un pugno in
piena faccia, ma
Sasuke mi leccò via il sangue senza badarci. Mi eccitai
subito sentendo il suo
corpo contro il mio, ma non ci venne neanche in mente di scopare.
Quella
era la nostra
rivincita contro tutti i bastardi che ci compravano ogni giorno.
Potevano avere
il nostro corpo, ma tutto il resto apparteneva a noi e non glielo
avremmo mai
consegnato. Ci stavamo baciando e quello bastava, quello non lo
avrebbero mai
preso. Sarebbe stato per sempre nostro: era un puro e semplice inno a
quella
vita che ci stava abbandonando.
Non
ne parlammo, né
lo facemmo più: troppa speranza non fa bene a coloro che
camminano sul braccio
della morte.
Quella
notte rimane
ancora oggi il mio ricordo più prezioso, che non
cederò mai a nessuno.
Quella
notte capii
che anche i morti possono amare.
Riuscii
ad
aggrapparmi solo a quella notte quando Sasuke mi lasciò.
Note
dell’autrice:
Innanzitutto
devo
ringraziare tantissimo tutte le persone che hanno recensito: non sapete
davvero
quanto mi ha fatto piacere che la storia vi piaccia! Sarà
che sono indecisa per
natura, poi anche per il fatto di questo tema un po’
“inusuale” ero molto in
ansia. Intendevo aggiornare una volta alla settimana, ma le recensioni
dello
scorso capitolo mi hanno colpita tanto che ho deciso di farvi aspettare
un po’
meno (anche perché ho un briciolo di tempo oggi per farlo
:DD). Vi ringrazio
tutti ancora una volta, anche chi ha dato una possibilità a
questa storia leggendola.
Ci sentiamo la settimana prossima per l’ultimo capitolo, e
magari per chi è
interessato con qualche informazione sull’eventuale raccolta
di spin-off di “Tolto
tutto il male, muori” (che d’ora in poi per ragioni
di tempistica chiameremo
TTMM). Saluti e abbracci,
shirangel
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Capitolo 3 *** Your Guardian Angel [Pt. 3] ***
Tolto
tutto il male, muori
Volere
Sasuke faceva parte di me, ma averlo sarebbe stato innaturale.
È
incredibile quanto spesso il bene coincida con il male. Dio non
può esistere.
È
stupido che l’amore faccia soffrire. L’amore deve
morire.
Non
sopporto l’idea che ci sia qualcosa di così
schifoso.
- I’ll be there for you through it
all -
La
chiamavamo casa,
forse per illuderci di averne una, ma non lo era. Era un capannone
abbandonato
fuori città, dove mangiavamo il minimo indispensabile per
non morire di fame,
dove dormivamo abbastanza da non svenire mentre ci facevamo scopare,
dove
nessuno veniva a verificare il motivo per cui un edificio
così fatiscente non
era stato ancora abbattuto. Per questo potevamo ringraziare il capo
della
polizia, fedele cliente del giro di Orochimaru, che tanto cortesemente
ignorava
la nostra umile dimora.
Ecco
perché non
nutrivamo speranze di alcun tipo: non c’era
possibilità di una perquisizione, o
di una pattuglia chiamata per investigare su eventuali schiamazzi
notturni. Il
mondo ci aveva lasciati a noi stessi, non ci vedeva, era arrivato a
dimenticarsi della nostra esistenza.
Di
notte era diverso.
Di notte doveva soddisfare i suoi bisogni sessuali. Allora il capo
della
polizia veniva a cercarci, si sceglieva un ragazzo efebico e
accomodante e lo
montava fino a non poterne più. Poi lo restituiva e tornava
ad essere un
cittadino di tutto rispetto.
C’era
così tanto
schifo nel mondo che spesso mi sorprendevo di quanto tenacemente fossi
attaccato alla vita; poi guardavo Sasuke e capivo perché non
potevo arrendermi.
Sasuke
non mi aveva
lasciato andare. Sasuke non mi aveva mai abbracciato, né
accarezzato, né tanto
meno mi aveva detto una sola volta che teneva a me. Sasuke era capace
di
ignorarmi per giorni, Sasuke si sarebbe fatto ammazzare pur di
proteggermi.
Sasuke
riuscì ad
aiutarmi anche nel giorno in cui mi congedai da questa vita.
Erano
settimane che
stava da schifo, ma non poteva smettere di prostituirsi né
mi permetteva di
lavorare al posto suo; l’unica cosa che mi dava un
po’ di sollievo era che,
ormai, i clienti lo sceglievano sempre più raramente per
quanto male si era
ridotto.
Era
dimagrito ancora
di più e io aspettavo con ansia le urla degli uomini
assassinati dalle ossa che
la morte gli stava strappando via dal corpo, ma non vennero mai. Spesso
bruciava tutta la notte per la febbre e io per curarlo non avevo
nient’altro
che la mia disperazione.
Se
domandavo
dell’acqua ai guardiani per placare la sua sete, mi
prendevano a bastonate: lui
mi imponeva di non chiedere nulla, anche se sudava così
tanto da essere a un
passo dalla disidratazione. Mi sentivo così inutile che
arrivavo a ridere della
mia assoluta pateticità.
Una
sera mi feci
scopare da un guardiano perché permettesse a Sasuke di
rimanere a casa, almeno
per quella volta; appena ebbe finito mi picchiò e mi
ordinò di buttare il mio
amico giù dal letto perché il furgone sarebbe
partito nel giro di pochi minuti.
Non mi vergogno nell’ammettere che piansi, e che piansi per
me. Solo per me.
Costringevo
Sasuke a
stare in piedi sferrandogli pugni alla base della schiena con tutta la
forza
che il mio corpo denutrito aveva; non gli facevo male, ma almeno
raddrizzava le
spalle e non dava nell’occhio. Avevo visto troppi malati
essere uccisi a sangue
freddo per non aver paura che la stessa sorte toccasse a lui:
lì dentro una
bocca inutile smetteva di essere sfamata molto presto.
In
poco tempo fu
costretto a buttarsi in mezzo alla strada per fermare le macchine e
dovette
quasi implorare i puttanieri al suo interno di farlo salire. Ormai si
vendeva a
prezzi bassissimi, ma pochi erano disposti a scopare uno che, oltre ad
essere
morto dentro, lo sembrava anche fuori. Ben presto diventò
così debole da non
riuscire a impedirmi di lavorare per tutti e due.
Non
ne ero capace:
spesso venimmo picchiati entrambi perché i soldi non erano
abbastanza, e non
riuscii mai a procurargli uno dei letti. Sono stato io a rubare la
coperta a
Sakura, ma tanto a lei non serviva più e io dovevo salvare
Sasuke. Ce lo
avvolgevo dentro e coprivo i buchi del tessuto usurato con il mio corpo
e lo
abbracciavo così stretto da mozzargli il respiro. Spesso mi
svegliavo di botto
e senza riuscire a impedirmelo strofinavo le mani con forza lungo tutto
il suo
corpo temendo che gli si fosse bloccata la circolazione. Non serviva a
niente:
era sempre più freddo.
Gli
altri ragazzi
ridevano per come mi affannavo a trascinarmi dietro un fantoccio vivo
solo
perché il cuore si ostinava a pompargli il sangue nelle
vene. Probabilmente
avevano intuito prima di me che si era beccato l’AIDS, ma
sono contento che non
me lo vennero a dire. Solo adesso capisco perché Sasuke mi
aveva consigliato di
non ribadire a Sakura la sua polmonite: finché nessuno lo
dice ad alta voce, puoi
fare finta che non esista.
Fu
per la mia
ossessione di scaldarlo che mi venne l’idea di dormire sotto
il letto occupato,
solitamente, da un ragazzino di nome Gaara; mi ero accorto che di
giorno il
sole, attraverso le finestre, batteva in quel punto e speravo che un
po’ di
quel calore latente lo aiutasse a smettere di tremare. Era solo una
sciocchezza, ma pensarlo mi era di un conforto che nessuno estraneo
alla mia
situazione potrebbe mai immaginare.
Fu
perciò per merito
suo e della sua malattia che, la notte in cui morii, mi trovai in
quella
posizione così favorevole. Lui si accorse molto prima di me
che il soffitto
stava venendo giù e con un calcio, forte di una grinta che
non capii mai da
dove tirò fuori, mi spinse sotto il letto in un paio di
secondi che mi
sottrassero alla morte. Riuscii ad afferrarlo per un braccio e tirarlo
verso di
me appena prima che una trave precipitasse nel punto preciso in cui si
trovava
un attimo e una vita precedente.
Le
urla delle persone
che conoscevo bene mi graffiavano il cuore, le altre mi irritavano
solamente le
orecchie. Ringraziai il cielo che Sakura fosse morta la settimana prima
e che
non avesse dovuto sopportare anche quell’ennesima tortura.
Sentivo
parecchi
ragazzi vicino a me che provavano a scappare verso la porta, ma
venivano
stroncati molto prima di raggiungerla; eravamo nell’angolo
più lontano
dall’uscita e sapevo che non ce l’avrebbero mai
fatta. Forse io sarei riuscito
a correre abbastanza velocemente se fossi stato solo, ma con Sasuke
sulle
spalle non avrei percorso che pochi metri prima di venire falciato da
un
proiettile volante. L’idea di lasciarlo lì non mi
sfiorò nemmeno: tanto valeva
provare a vivere senza polmoni.
Qualcosa
piombò giù
dal soffitto e stroncò Gaara, lontano da me solo un
materasso, con un rumore
sordo; appena prima che il letto si affossasse verso di noi mi spostai
sopra
Sasuke per proteggerlo con il mio corpo. Qualcosa spingeva contro la
mia
schiena, ma io sentivo solo la sua voce che mi sussurrava «Idiota» all’orecchio.
Riconobbi
le urla furiose
di Temari che si accasciava sopra il corpo di Gaara, il suo fratellino,
e le
sopportai fino a che non divenne così naturale ascoltarle da
non farci più
caso. Quando non le avvertii più mi resi conto che era
morta, assassinata da
uno dei tanti pezzi dell’inferno che stava venendo
giù. La nostra prigione
voleva che crepassimo con lei.
Il
sangue di quei due poveri disgraziati inzuppò il materasso e
ben presto
cominciò a gocciolare su di noi. Prima mi bagnò i
capelli, poi vidi che anche
il viso di Sasuke si stava macchiando di rosso. Lo ripulii,
più e più volte, ma
non facevo in tempo a finire che già si era sporcato di
nuovo. Smisi solo
quando le mie mani non furono così pregne di sangue da
lasciare tracce ancora
più scure sulla sua pelle.
Allora
iniziai a
baciarlo. Non per rendere quegli ultimi istanti i migliori della nostra
vita,
ma solo per dare un senso a un’esistenza che sembrava non
averlo. Non se doveva
finire in quel modo, schiacciata sotto un letto.
Lui
ricambiò
meccanicamente, ma a me piace pensare che avesse apprezzato quel gesto,
anche
se perfino a me sembrava patetico. Però era piacevole e a
tratti addirittura
dolce.
Mentre
ci baciavamo,
lentamente e senza fretta, sentivamo ancora grida di dolore e rumori
orrendi di
ossa schiacciate. Un calcinaccio grosso il doppio del letto
precipitò a poca
distanza da noi, precludendoci una fuga che ci eravamo già
silenziosamente
negati. Non c’era bisogno di dirlo ad alta voce, sapevamo che
saremmo rimasti
lì per quel che rimaneva del nostro per sempre.
A
un certo punto
Sasuke fu troppo stanco anche per muovere la lingua dentro la mia bocca
e con
una mano mi costrinse ad appoggiare la nuca contro la sua spalla.
Guardai
affascinato quelle dita bianche e affilate, ridotte a pallidi avanzi di
quello
che erano una volta, ma la mia condizione non era migliore della sua.
Non mi
sentivo più i gomiti a forza di usarli come appoggio per non
gravare sul suo
corpo emaciato e la schiena mi si era irrigidita da un pezzo a causa di
quella
posizione innaturale, eppure la cosa peggiore era ascoltare i respiri
senza
voce dei cadaveri sopra di noi. Ogni tanto un braccio o una gamba si
irrigidivano nel rigor mortis e le molle del materasso scricchiolavano
sotto
quel movimento improvviso.
Rimanemmo
in silenzio
per un po’, ad ascoltare la disperazione degli altri che si
spegneva insieme a
noi.
«Te
ne sei accorto
anche tu?»
Impiegai
un po’ per capire che quella era la voce di Sasuke e non un
sogno nella mia
testa, sempre più vicina al vuoto.
«Di
cosa?» sfregai il naso contro il suo collo per cercare di
scaldarlo, ma ormai
eravamo entrambi talmente congelati da non poter giovare
l’uno del calore
dell’altro. Lui parve non accorgersene nemmeno e capii che
non sentiva più
freddo.
«Siamo
liberi.»
Non
ebbe bisogno di spiegarmi le sue parole, probabilmente non avrebbe
avuto
neanche la forza di farlo.
Era
vero. Quel terremoto ci aveva tolto tutto il male da dentro le viscere,
ci
aveva epurato e adesso eravamo liberi.
«Liberi
di morire» lo sussurrai contro le sue labbra. Non riuscivo a
impedirmi di
sfiorarle con le mie, ansioso di percepire un respiro che non
c’era.
Lui
sbuffò e se fosse stato ancora vivo mi avrebbe dato un pugno.
«Vai
a vivere, idiota.»
Io
feci per ribattere, ma la mia voce si sovrappose a quella che fino a un
attimo
prima avevo ignorato, sebbene le sirene dei pompieri ormai fossero
insopportabilmente acute.
«Qui,
venite qui! Ce n’è uno ancora vivo!»
Me
le ricordo ancora, queste parole. Le sogno ogni notte. Le vedo in ogni
volto
che incontro. Le sento durante i miei incubi peggiori.
Il
rumore delle macerie che venivano spostate e l’odore della
vita che tornava
furono le percezioni che più mi scombussolarono i sensi in
quel momento. La
luce del giorno filtrava senza impedimenti, ora che non
c’erano più i muri di
buio ad ostacolarla, e quando voltai il viso mi privò della
vista. Non riuscii
a distinguere il volto dell’uomo accucciato vicino a me a
causa della mia
temporanea cecità e flash di bestie che mi stupravano sopra
i sedili posteriori
di un’automobile mi costrinsero a ritrarmi verso il muro alle
mie spalle.
Gli
occhi del vigile del fuoco mi cosparsero della sua pietà.
Allungò
una mano verso di me, cercando di raggiungermi nella bolla senza spazio
né
tempo che avevo creato sotto quel letto. Io mi strinsi Sasuke addosso
come un
bambino fa con il proprio peluche.
«Non
avere paura. Sono qui per aiutarti.»
«Sono
venuti» mormorai all’orecchio del mio amante
maledetto. «Sasuke, sono venuti a
prenderci.»
L’uomo
senza volto guardò prima lui e poi me.
«Lascialo
andare, ragazzo.»
La
sua voce sembrava quasi dolce, ma la mano che tese verso di me si
chiuse sulle
mie dita, costringendomi a smettere di accarezzare il viso di Sasuke.
«Lascialo
andare. È morto.»
Allora
io vidi il collo rivolto all’indietro di Sasuke, i suoi occhi
spalancati verso
il nulla e le sue braccia abbandonate tra le mie, e mi diedi dello
stupido
perché non me ne ero accorto prima. Mi immobilizzai
esattamente come quel
cadavere e il vigile del fuoco dovette trascinarmi via con la forza, ma
io
sento di essere ancora lì.
Sono
morto sotto quel letto con Sasuke.
O
forse sono con i nostri fantasmi che quel giorno erano fuggiti,
lasciandoci
indietro.
Non
può importarmi. Non m’importa, sono con lui.
C’era e c’è sempre stato.
Forse
l’ho sognato, forse l’ha detto, forse è
stato il suo cadavere a sussurrarmelo
all’orecchio, però l’ho sentito.
Ti
amo.
Me
lo ricordo bene, suonava proprio così. Al presente.
E
vivo, vivo come Sasuke non era mai stato. Libero come solo la morte lo
aveva
reso.
Muori
con me, vuoi?
Lo
voglio.
Note
dell’autrice:
E
così TTMM è conclusa Y___Y in realtà
non sento alcun senso di perdita perché da
una parte dura tre miseri capitoli, dall’altra nel mio
computer è finita da un
pezzo.
E
poi non è davvero finita :D Metterò
“conclusa”, ma aggiornerò di tanto in
tanto
con capitoli autoconclusivi o divisi in due, massimo tre capitoli, che
trattano
di altri personaggi all’interno dell’universo di
TTMM. Naturalmente
compariranno saltuariamente anche i nostri Sasuke e Naruto, dato che le
prossime vicende saranno ambientate per forza di cose a quando ancora
il giro
di prostituzione esiste, cioè prima della morte di
Sas’ke. Ora, i pronostici li
faccio belli, ma in realtà non so assolutamente quando
comincerò a postare. Sto
già scrivendo una bi-shot legata alla serie per questo
concorso, ma ci vorrà un
po’ (anticipazioni? Bhè, ci sarà
Kakashi *_* e Zabuza *__* e Suigetsu *___*
accoppiati allegramente tra loro o ognuno per conto suo? Lo scoprirete
u__u).
Per il resto non ho idee. Cioè, mi stuzzica scrivere
qualcosa su Gaara e Tem,
magari con l’intervento di Shika, oppure su Sakura e Ino, o
magari un finale
alternativo o la comparsa di Itachi (<3)… non lo so.
Voi che ne dite? Si
accettano suggerimenti!
Bene,
non ho davvero altro da dire se non che… sono commossa.
Questa fic mi ha dato
tanto e spero che abbia dato qualcosa anche a voi. Di sicuro le
bellissime
recensioni che mi avete lasciato mi hanno spronato a non far morire
così questa
fic, almeno per un po’. Quindi grazie, davvero, a tutti
quelli che hanno
recensito e a chi ha letto questi tre capitoli. Sarei davvero felice se
mi
diceste cosa ne pensate di questa ultima parte, indubbiamente la
più difficile
da scrivere, magari anche chi finora ha letto in silenzio.
Grazie,
grazie a tutti voi! Spero che ci sentiremo presto con TTMM e
chissà, magari
qualche altro lavoro che posterò a breve. Baci per tutti
<3
Vostra shirangel
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Capitolo 4 *** Nostalgia del totalmente Altro [Extra] ***
Eccone
un altro.
Non
so se mi faccia ancora pena vederli piegati in due sul pavimento, o se
ormai ci
sia talmente abituato da poterci passare sopra senza neanche rendermene
conto.
Non che mi importi: fa schifo comunque. Noi, questo posto, chi ci
compra. Schifo
totale.
«Ehi,
alzati» questo è nuovo, lo riconosco dalle spalle.
C’è ancora un po’ di carne sopra.
«Dico a te, levati dalle palle.» Tempo tre
settimane e verrà spolpato vivo. Gli
do al massimo un mese.
Il
ragazzo tossisce e uno schizzo di sangue mi arriva sulle scarpe. Mi
sono quasi
deciso a dargli un calcio per spostarlo e poter raggiungere il mio
letto,
quando mi afferra un polpaccio. Non so per quale motivo il suo gesto mi
blocchi;
sarà la forza con cui mi stringe, o il fuoco che ha negli
occhi mentre si gira
a guardarmi, ma io lo vedo vivo, così vivo da non morire.
Non subito, almeno.
«Dammi
una mano» dice, e il suo tono riesce a mostrarsi baldanzoso
anche se sta
strisciando con almeno un paio di costole incrinate su un pavimento
lurido.
Sono tentato dal mandarlo a farsi fottere, poi penso che mancano ore al
mio
turno e che posso anche spendere qualche minuto per rimettere in piedi
quell’idiota. Almeno potrò passare, visto che si
trova proprio davanti al mio
letto.
Lo
afferro per la collottola e lo tiro su senza troppi complimenti. Lui
non si
regge in piedi e quasi mi cade addosso.
«Mi
chiamo Naruto.»
«Pensi
che mi interessi anche solo lontanamente?» lo spingo verso il
muro perché possa
appoggiarvisi. La mia buona azione quotidiana l’ho fatta.
«Cerca di non starmi
troppo tra i piedi, idiota.»
Sembra
indeciso se ringraziarmi o sputarmi addosso. Sii grato, pivello,
perché nessun
altro ci avrebbe pensato due volte a lasciarti lì per terra.
«Non
mi dici il tuo nome?» la mia totale indifferenza sembra non
tangerlo nemmeno.
Devo essermi arrugginito. «Bene, allora. Ti
chiamerò semplicemente bastardo.»
Sogghigna,
l’idiota. A quanto pare non si è ancora reso conto
in che razza di posto è
capitato, ma non sarò certo io a fargli da guida turistica.
Lo sorpasso con un
menefreghismo così plateale che lui mi grida dietro
qualcosa. Non lo ascolto,
non lo farà nessuno. È solo un altro poveraccio
che fra poco, se sarà
sfortunato, morirà restando in vita. Se ha un minimo di
culo, schiatterà
davvero.
Non
gli dico il mio nome perché non ha bisogno di chiamarmi. Se
avesse bisogno di
una mano non lo aiuterei.
Che
muoia da solo, come facciamo tutti.
Nostalgia
del
totalmente Altro
Il
ragazzo nuovo ha contraddetto le mie aspettative.
Tempo
una settimana e già ha mollato. Noi almeno ci proviamo, a
sopravvivere, a lui
sembra che non importi. Si rifiuta di salire in macchina con i clienti
e questo
ai guardiani non è sfuggito; sembra che godano come bestie
quando trovano l’ennesima
scusa per tormentarci, ma non me ne sorprendo. Loro sono
bestie, proprio come noi.
Gli
altri ridono, gli chiedono che sapore abbia il cemento. Io lo guardo e
sto
zitto. Lui si rialza e mostra loro il dito medio. Perde sangue dal
naso.
Ai
nostri aguzzini non piacerà. Basta una settimana, in questo
posto, per capire
se sarai uno di quelli che fra cinque anni sarà ancora qui a
vendere il culo
oppure uno che fra cinque ore dormirà dentro a un cassonetto
o in fondo al
fiume. Il biondo tende pericolosamente verso la seconda ipotesi, ma non
so
quanto questa sia una brutta prospettiva. Se non hai niente per vivere,
allora
fatti un favore e muori. Qui nessuno di noi vive. Sopravviviamo ed
è penoso.
Quel
ragazzo è così stupido da darmi sui nervi. Ecco,
si avvicina un’auto e lui
manda il proprietario a cagare. Un altro volo sul marciapiede; stavolta
il naso
se lo è rotto davvero. È un miracolo che abbia
ancora tutti i denti, ed è
decisamente assurdo che non ci pensi un attimo a rialzarsi. Un pugno
tra le
scapole, di nuovo con la faccia sul cemento. Basta poco per capire che
non imparerà
mai.
Il
cliente cambia preda e accosta davanti a me; io gli chiedo il doppio
della
tariffa e lui sbuffa ma comprende che non è serata. Tra il
biondo psicopatico,
Kiba che ne ha prese tante da essersi ridotto a un cumulo di ecchimosi
ambulanti, e quel
tipo, Gaara, che
sembra perennemente pronto a uccidere qualcuno, non so chi sia il male
minore.
Il bastardo accetta il fatto che, se vuole scopare, gli tocca pagarmi a
peso
d’oro. È conveniente essere l’unica
scelta.
Nemmeno
ci provo, a compiacerlo. Fa tutto da solo e pare non dargli fastidio;
ormai mi
illudo che non ne dia più nemmeno a me. Quando torno dagli
altri quel povero
cane del ragazzo nuovo è seduto per terra con
l’occhio sinistro già in procinto
di gonfiarsi.
La
mia mano si allunga verso di lui dotata di volontà propria.
Guardarlo mi dà
fastidio.
«Il
cliente era tuo» sbotto. «Prendi questi dannati
soldi.» gli lascio cadere le
banconote sul grembo. A me non servono, ho già racimolato
abbastanza da pagarmi
il letto. Domani niente porzione extra,
però, ma tanto il cibo fa cagare e moriremo
tutti di fame comunque,
quindi che importa? Fame di cibo, di libertà, di vita,
ognuno ha la sua. Qualcuno
anche di morte, e sono fortunati perché è la
più facile da raggiungere. Basta smettere
di lasciarsi vivere.
Lui
sembra interdetto. Cristo, perché non ci arriva? Se torna a
mani vuote anche
stanotte quelli lo ammazzano. E meno puttane hanno, più
turni fanno fare a
quelli rimasti. Non ho intenzione di farmi rompere il culo
più del dovuto per
colpa di un ragazzino piagnucoloso, quindi farà meglio ad
accettare quei
dannati soldi.
«Nella
merda ci siamo tutti. Alzati e smetti di piangerti addosso.»
Lui
è seriamente intenzionato a picchiarmi, lo vedo dai suoi
occhi. Non gli
conviene, dato che parte decisamente svantaggiato, ma non mi tirerei
indietro. Sfogare
questa rabbia che mi mangia il fegato sarebbe una buona cosa, una volta
tanto.
«Sei
proprio un bastardo.» dice. Poi si ferma una macchina e forse
è per questo che
non mi colpisce, ma ha una paura fottuta e non ce la farà
mai a salirci. Io gli
lancio un’occhiata di sfida e in quel momento capisco che
invece ci riuscirà,
anche solo per non darmela vinta. Gli trema la mano sulla maniglia
dello sportello.
Poi la macchina lo inghiotte, lo fotte e lo vomita venti minuti dopo.
La
distruzione totale di un essere umano, sia nel corpo che nello spirito,
non
dura nemmeno mezz’ora. Non servono che venti schifosi minuti
per ridurci a
patetiche imitazioni di vita. Basta così poco che non
abbiamo nemmeno il tempo
di disperarci mentre succede: accade e basta.
Il
biondo ha le tasche appesantite ma sospetto che non siano i soldi a
piegargli
le spalle verso terra
Dio,
se piange dovrò davvero prenderlo a calci in culo.
Quasi
a volermi contraddire di nuovo, alza gli occhi e il suo viso
è fermo. Si ficca
una mano in tasca e rovescia il suo contenuto ai miei piedi.
«Tu
non hai nessun diritto di trattarmi come una
nullità.» Solo un tipo come lui
può mostrarsi agguerrito dopo essere stato trattato come il
più misero degli
oggetti da un pervertito qualunque. Gli altri ragazzi dopo il primo
cliente si
chiudono in se stessi fino a inghiottirsi, forse cercando
un’anima che non c’è
più. Lui sta in piedi come un gladiatore sopravvissuto
all’arena, e mi dà sui
nervi perché prima di diventare un guscio vuoto anche io ero
così. Vorrei esserlo
ancora.
Vorrei
fargli notare che si sta trattando come una nullità da solo,
ignorando quella
che probabilmente è l’unica possibilità
di sopravvivere che ha, invece mi
limito ad accennargli con il mento alle banconote sparse sul
marciapiede.
«Fra
neanche un mese sarai pronto a uccidere per una manciata di yen in
più.»
sogghigno. «Proprio come tutti noi. Raccoglili o li
rimpiangerai a ogni calcio
che ti spezzerà le ossa.»
Con
al coda dell’occhio vedo Kiba che guarda tutto quel denaro
con la bava alla
bocca. Lui viene pestato da tre sere di fila perché non
guadagna abbastanza e
sembra pronto a confermare la mia ipotesi; Hinata di tanto in tanto lo
aiuta,
ma stasera non c’è e posso capire il limite che un
essere umano non può in
alcun modo oltrepassare. Kiba vuole vivere. Kiba non può
sopportare di venire picchiato
una sola volta in più. Kiba ha raggiunto l’ultimo
stadio: è una bestia in tutto
e per tutto.
Kiba
vuole quei soldi. Kiba è pronto a qualsiasi cosa per averli.
Poi però vede la
mia occhiataccia e resta dove si trova.
«Non
voglio debiti con nessuno, tanto meno con un bastardo come
te.» blatera intanto
il biondo.
Io
gli volto le spalle senza nemmeno guardarlo perché mi ha
stancato e qui si
devono conservare le energie per qualcosa che valga la pena.
«Qui
c’è la vita o c’è la morte.
Non ci sono
vie di mezzo. Dei tuoi debiti non importa niente a nessuno.»
Lui
non vale la pena. Uno stupido in grado di gettare la sua vita al vento non può valere la pena.
Non
risponde e io quasi sorrido quando, un paio di minuti dopo, sento il
tintinnio
delle monete che vengono raccolte e cozzano l’una contro
l’altra. Allora pure
lui si spezza.
Sto
ancora ghignando quando una mano si infila di forza nella tasca dei
miei jeans.
Sento il peso di qualcosa che prima non c’era e provo
l’irresistibile impulso
di picchiarlo. Cristo, allora è davvero così
stupido come sembra! Non lo pesto solo
perché ci penseranno i guardiani tra poche ore, e poi
perché se comincio a discutere
con uno in procinto di finire schiacciato dalla realtà
significa che sono
davvero messo male.
«Te
ne pentirai.» gli dico solo. Anche se sono girato
dall’altra parte, sento
comunque che sta sorridendo. Pensa davvero di aver vinto una battaglia?
La
guerra non si combatte tra di noi, ci siamo tutti talmente indifferenti
che non
avrebbe senso. È la morte a sfidarci ogni giorno,
l’idiota lo capirà presto. Forse
smetterà di perdere tempo e si deciderà a
svegliarsi. Altrimenti, ci sarà una
puttana in meno a battere la notte. E basta. Non cambierebbe nulla: noi
siamo
invisibili anche a quelli che ci fottono.
Mi
sfilo le banconote dalla tasca e le getto a Kiba, che le prende al
volo. Vorrei
vedere la faccia stravolta dalla rabbia del biondino, ma resisto giusto
per non
abbassarmi al suo livello. Deve capire che siamo inutili, che non
possiamo
esserci d’aiuto nemmeno l’uno per
l’altro. Kiba stasera ha il culo parato –
sempre che abbia rinunciato all’assurda mania di nascondere i
soldi, visto che
lo beccano sempre – ma domani sarà nella stessa
situazione di oggi e non lo
aiuterà nessuno. Arriverà a chiedersi se
è valsa la pena di sopravvivere un
giorno in più, visto che lo sappiamo tutti che ha le
settimane contate. Quando
si arriva al punto in cui si trova lui, è impossibile
tornare indietro. È
troppo a fondo per risalire; lo sa solo lui quanto ossigeno gli rimane
prima di
affogare, ma a occhio e croce direi che la sua scorta d’aria
è quasi a secco.
Quando
torniamo a casa perdo di vista l’Idiota – ho deciso
che lo chiamerò così, non
mi interessa il suo nome e non sono nemmeno sicuro di ricordarmelo
– ma
immagino che si stia prendendo la sua dose di carezze.
Non ha trovato nessun altro cliente e i soldi che aveva non
bastano. Kiba si è infilato quelli che gli ho dato io nelle
mutande e ora sputa
sangue. Mentre Hinata lo medica vedo che gli mancano un paio di denti.
Mentre
mi avvicino al letto trovo proprio la persona che non volevo vedere
prona sul
pavimento lì accanto. Lo ignoro completamente, ma noto
comunque la posizione
innaturale in cui è crollato: di sicuro lo hanno colpito
alla schiena. Vorrei
proprio vedere come dormirà, stanotte, dato che non
può stendersi né sul dorso
né – le sue costole non sono ancora guarite
– a pancia in su. Rantola e
tossisce mentre uno stronzo che passa lo urta senza nemmeno
accorgersene. Quello
che avrebbe dovuto capire già dal primo giorno: non ci
vediamo nemmeno tra di
noi. E va bene così, o morire ogni giorno farebbe ancora
più male.
Non
mi interessa. Davvero, me ne frego. Ma non mi farà dormire
per tutto il resto
della notte se continua così, e in fondo il denaro che ho
gettato a Kiba era
suo.
«Li
sognerai, quei soldi» lo sbeffeggio, senza riuscire a
trattenermi. Magari imparerà
la lezione. «Sempre che riuscirai a prendere sonno. Il
pavimento non deve
essere troppo comodo, dopo i calci che ti sei beccato alla
schiena.»
Si
muove appena. Deve stare male sul serio. «Muori.»
«Non
prima di te. Lo sai, vero?» sono duro, ma ne ha bisogno.
«Non reggerai ancora a
lungo se continui così.»
Esplode
in un attacco di rantolii prima di poter ribattere. «E a te
che cazzo te ne
frega? Non so nemmeno come ti chiami.» Quindi è
questo che vuole. Non lo
accontento.
«Assolutamente
nulla.»
«E
allora sta’ zitto.»
«Idiota.»
Ce
ne stiamo in silenzio per un
po’.
Respira male.
«Senti,
ma come fai? E poi, mi dici come ti chiami?»
«A
far cosa?» non so nemmeno perché gli rispondo. Non
mi interessa, voglio solo
dormire. Meno stai sveglio, meno devi pensare.
«La
puttana.»
Sospiro
e mi sbatto una mano sulla fronte. Sarà una conversazione
lunga, accidenti a me
che perdo tempo a parlargli. Me ne pentirò per il resto dei
miei giorni, ma lo
afferro per la collottola e lo trascino sul letto. È molto
più leggero di quel
che pensassi, o forse i calci gli hanno tirato via tutto quello che
teneva
dentro. Sospetto che se lo scuotessi sentirei che non
c’è più neanche l’anima,
lì dentro. È successo troppo presto perfino per
gli standard di questo posto.
«Non
ti muovere troppo, non tirare calci e non disturbarmi per nessun
motivo» lo
avverto. «O ti sbatto per terra prima ancora che tu riesca ad
aprire la bocca.»
Lui,
da perfetto idiota, sta per dire qualcosa. Sono più veloce
di lui.
«Zitto, ho detto.» lo minaccio.
«Non ho
nessuna delle risposte che cerchi. Non le ha nessuno. L’unica
cosa che devi
fare è sopravvivere, tutto il resto non conta. Se per tirare
avanti devi
pugnalare il tuo migliore
amico, lo fai.
Se devi mangiare un sacco di merda, lo fai.»
Mi
guarda come se stessi enunciando il discorso del secolo. Non so come,
ma riesco
a trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo.
«E
soprattutto, se devi fare sesso con uno sconosciuto, anche se ti fa
schifo non
ti tiri indietro. Lo fai e basta.» Perché gli
parlo? Non mi ascolterà e morirà
nel giro di due settimane. È fiato sprecato, e se non voglio
finire come Kiba
devo conservarlo. «Ora dormi.»
Non
faccio in tempo a girarmi dall’altra parte che lui
già sta parlando. Maledetto
idiota.
«Come
fai?»
«Che
cazzo ne so, lo faccio e basta!» esplodo, ma non lo butto
giù dal letto.
«Inventati qualcosa. Senti la mancanza di qualcosa, qualunque
cosa sia lontana
da questo mondo, anche se non esiste, e pensa che quando uscirai
– anche se, ovviamente,
non uscirai mai – la riavrai. Scegliti una speranza qualsiasi
e credici,
dannazione, ma non chiederlo a me. Non sono la tua balia e mi stai
anche sulle
palle.»
Il
silenzio dura appena un po’ di più.
«Tu
che cosa sogni?»
Chiudo
gli occhi, esasperato. «Mi chiamo Sasuke.» sbotto.
«Contento?» Spero che gli
basti perché non posso dargli altro. Non ho
nient’altro.
Lo
sento sorridere – diamine, perché riesco a sentirlo sorridere? – ma almeno adesso
tace.
Evidentemente
gli basta.
Note
dell’autrice:
In
teoria sì, doveva esserci una bishot con Suigetsu, Kakashi e
Zabusa. In pratica
no perché ho scritto solo un capitolo e non riesco ad andare
avanti. E mi
mancavano questi due idioti di Sasuke e Naruto. E poi ho trovato
finalmente
Minima Moralia di Adorno, e da Adorno ho pensato a Horkheimer, e da
Horkheimer
mi è venuta in mente questa bellissima espressione del
“Nostalgia del
totalmente Altro”, da cui Sasuke-lo-stronzo ha tratto il suo
discorso
incitatore <3
E
poi volevo sapere come si erano conosciuti i nostri due eroi
ç_ç Spero vi sia
piaciuta almeno un pochino e vi ringrazio ancora per tutti i vostri
adorabili
commenti. E un grazie particolare va a ladyaoi
che ha segnalato la storia per inserimento tra le scelte del
sito. Non ho
parole per dire quanto sono commossa. A presto (spero),
shirangel
|
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Capitolo 5 *** Requiem for a Dream [Pt. 1] ***
Requiem for a Dream
-
I’m searching for the sky I lost -
Quando
lo schiacciano contro un muro, con il viso pressato su mattoni freddi
d'indifferenza,
Suigetsu sorride.
Mentre
qualcuno abusa di lui sul sedile posteriore di un'automobile, Suigetsu
continua
a sorridere.
È
quando deve dormire che smette di farlo, perché non
può più sognare di
affondare i denti nella giugulare dei suoi oppressori. Le loro urla di
dolore
non sembrano più reali di una fantasia dimenticata e lui
è da solo con i suoi
incubi.
~°~
Il
sole, fuori, picchia più forte del solito sul mondo che a
loro è precluso; i
ragazzi senza vita lo odiano perché, lo sanno, non
è roba per loro. Preferiscono
vedere solo il buio piuttosto che osservare da lontano la luce che non
possono
raggiungere.
Suigetsu
guarda lo spicchio di cielo che si intravede dalle finestre,
posizionate così
in alto che riesce a sbirciare solo cose troppo lontane per sembrare
vere. Seduto
sulla porzione di pavimento che quella notte gli ha fatto da letto, non
può
fare altro che aspettare. La vita gli scorre davanti ma non dentro, non
riesce
a fermarla né a farla rallentare.
Karin
lo guarda come un avvoltoio. Vede che è distratto e lei
può approfittarne,
perché i guardiani stanno per distribuire la colazione e lei
ha sempre così
fame che negli ultimi tempi si ritrova sempre più spesso a
mordicchiarsi inconsciamente
la pelle dell'avambraccio. Un giorno si mangerà viva e
allora sarà libera di
implodere. È pronta a rubare il pane dalla bocca di
Suigetsu, anche se sa che i
suoi denti sono affilati e che se si chiudono lei ci lascerà
ben più di qualche
dito.
Ma
ha fame e non c’è niente di più
importante.
Juugo,
quel maledetto ragazzone tutto cuore e psicosi, vede i suoi occhi e le
mette
una mano su una spalla. «Non lo fare.»
Lei
se lo scrolla di dosso, incattivita. «Io non ho nessuna
intenzione di
schiattare qui dentro, a differenza tua.» sibila, con gli
occhi ridotti a una
fessura. Ma il suo corpo la contraddice, perché i gomiti
sembrano voler
trapassare la pelle tirata, il seno è scomparso e gli zigomi
ormai occupano
gran parte del suo viso scarno. È già morta.
Lei
sta peggio di Suigetsu e Juugo, perché lei è una
ragazza e lo sanno tutti cosa
succede alle ragazze. Sono le più deboli e perfino un
bambino potrebbe rubar
loro da mangiare. Si consumano troppo in fretta e i ragazzi, che al
lavoro
vengono fottuti, mentre tutti dormono fottono loro. Le donne,
lì dentro, non
sopravvivono mai troppo a lungo.
Stavolta
è Karin a deconcentrarsi e perde l'occasione di rubarsi un
pezzetto di vita che
le sarebbe tornato, in fondo, poco utile. E poi Suigetsu adesso
è tutt'altro
che distratto.
Oggi
a servire la colazione c'è Momochi.
Mentre
passa a distribuire quel pasto infame Suigetsu lo segue con gli occhi,
senza
perderne nemmeno un movimento. Quando tocca a lui Zabuza distoglie lo
sguardo e
gli nasconde tra le mani una doppia porzione. Le dita del ragazzo si
chiudono
attorno a quelle dell'uomo, Karin le vede sbiancare dalla forza con cui
cercano
un contatto.
Zabuza
lascia che quelle mani gli scivolino addosso, senza ricambiare
né scansarlo.
Come se non esistesse. Se ne va ed è come se non si fosse
mai fermato.
«Comodo
scoparsi uno dei guardiani, vero?» mormora la ragazza,
masticando lentamente.
«Forse dovrei cominciare a farlo anche io.»
«Non
credo che qualcuno ti vorrebbe, racchia come sei.» ribatte
Suigetsu, ma non si
fa guardare in faccia perché la delusione è
cocente. Sperava che sarebbe durato
di più. «Non mi sorprende che tu sia uno schifo, a
fare la puttana.»
«Almeno
io non mi vendo per un tozzo di pane a chi gestisce questa
merda!»
«Balle.»
glielo sputa in faccia, sull’orgoglio, sul pizzico di
dignità che è rimasta a
entrambi. «Uccideresti tua madre per qualcosa da
mangiare.»
Karin
non risponde più perché è vero. Quella
massima vale per tutti i suoi compagni
di prigionia.
Suigetsu
torna a guardare Zabuza, che sta ancora passando tra i ragazzi, quelli
stesi
per terra come loro tre e i fortunati dieci che si sono meritati il
privilegio
di dormire su uno dei letti. Quel dannato posto e le sue regole.
Quel
“dannato posto” in realtà è
il più grande giro di prostituzione minorile di
tutto il Giappone, anche se nessuno ha il coraggio di chiamarlo
così. Ragazzi e
ragazze ammassati dentro un capannone fuori città che di
notte strisciano fuori
e si vendono per non morire. L'unica cosa che cercano dalla vita sono i
soldi,
perché se non ne guadagni abbastanza vieni punito, se ne
racimoli una buona
quantità ti becchi un doppio pasto e uno dei letti. Ma
nemmeno Suigetsu è un
granché a fare la puttana e dorme per terra.
Karin
ora guarda uno di quelli che, secondo la perversa logica del loro
mondo, viene
chiamato fortunato. Momochi gli sta
distribuendo una doppia porzione proprio in quel momento, direttamente
sul
letto sgangherato che occupa.
Uchiha
Sasuke. Un tempo Karin lo fissava di continuo, stregata dalla sua
bellezza,
adesso i suoi occhi riflettono solo tutto quel pane che il ragazzo ha
tra le
mani. Lo divide con il biondino accanto a lui e Karin farebbe qualsiasi
cosa
per essere al suo posto.
Zabuza
esce e il rumore dei ragazzi che masticano lo stesso boccone infinite
volte per
farselo durare di più non basta a coprire il clic
dell’unica porta che viene
chiusa a chiave.
Anche
Juugo adesso sta guardando Naruto e Sasuke che si spartiscono lo scarno
pasto,
così come condividono il letto. «Loro sopravvivono
perché si aiutano a
vicenda.» osserva. «Forse dovremmo fare
così anche noi.»
Suigetsu
guarda i suoi due compagni e si sente legato a loro solo dalle
circostanze.
Fuori di lì non li avrebbe neanche degnati di uno sguardo,
ma in quel posto si
sono trovati e hanno cominciato a starsi vicino perché, in
fondo, sono uguali
nell'essere diversi. I ragazzi lì dentro sono orfani
strappati dalla strada,
figli indesiderati comprati alle famiglie, bambini qualunque rapiti
dalle loro
case. Suigetsu spacciava, Karin rubava, Juugo uccideva. Erano marci fin
dal
principio e quel posto, forse, è la loro naturale
destinazione. Loro tre sono
gli unici a non avere paura dell’inferno.
«Uzumaki
sopravvive perché Uchiha gli impedisce di morire.»
risponde Suigetsu atono.
Karin
sbuffa. «È vivo perché Sasuke gli da il
suo cibo e si prostituisce al posto
suo.» ribatte. «Quel ragazzo non gli dà
nulla in cambio. Sasuke sopravvive da
solo.»
Ma
Juugo scuote la testa. «Aiutandolo si dà un motivo
per tirare avanti. Noi quale
abbiamo?»
Né
Karin né Suigetsu rispondono. Nessun altro in quel capannone
potrebbe farlo e
ciò spiega perché, almeno una volta al mese, i
guardiani devono tirare giù il
disgraziato di turno che si è impiccato nel cesso. Suigetsu
pensa a Zabuza ma
non lo dice, lo tiene per sé. È quanto di
più vicino al calore umano che conosce.
Karin
lo vede con lo sguardo perso nel vuoto e capisce al volo.
«Dì un po’, il tuo
padroncino non è geloso?»
«Fatti
i cazzi tuoi.» La ragazza non gli dà ascolto e
continua a stuzzicarlo perché
almeno dimostra di essere viva. Suigetsu la ignora e pensa ad altro.
Il
suo padroncino. Nel loro gergo, un
cliente che si affeziona a tal punto alla sua puttana da scegliere
sempre lui,
tutte le notti, da vezzeggiarlo con regalini che poi finiscono sempre
nelle
tasche dei guardiani. Poi, quando il giocattolo è vecchio o
si rompe, viene
scaricato per un modello nuovo.
Karin
non lo sa, ma Kakashi Hatake non è niente di tutto questo.
Tre mesi
prima
Suigetsu
vuole morire. Tra poche ore si torna al capannone e lui non ha
racimolato che
poche centinaia di yen; sono tre sere di fila che viene pestato e non
crede che
riuscirà a sopportare la quarta.
Karin
scende da una macchina con le tasche gonfie di banconote. Si pavoneggia
con le
compagne ridendo, perché finge che non le importi, pretende
di star bene. Un
striscia di sangue le macchia l’interno coscia scoperto dalla
minigonna
striminzita, ma la vede solo lui.
Suigetsu
sputa per terra perché gli uomini fanno schifo.
Cammina
verso il bordo del marciapiede mentre si sbottona la camicia stracciata
fino al
petto, si abbassa i jeans già a vita bassa per mettere in
mostra il culo e si
unisce al gruppetto che schiamazza per attirare l’attenzione
degli
automobilisti. Uchiha si becca l’unico che si ferma, anche se
a lui basta
mettersi lì in piedi e guardare il mondo con quella sua
faccia da cazzo.
Suigetsu crede che la gente lo paghi solo per poterlo prendere a
schiaffi. Lui
lo farebbe, se avesse soldi da sprecare.
Poi
il mondo sembra cristallizzarsi quando una macchina rallenta proprio
davanti a
lui. Alza il viso per l’ennesima volta mentre fissa il
finestrino che si
abbassa. L’uomo gli fa cenno di salire e Suigetsu ringrazia
un dio in cui non
crede. Se fa bene il suo lavoro, se quel tipo ha abbastanza soldi, per
quella
notte è salvo: avrà un giorno in più,
tutto quello che riesce a desiderare.
Dovrà staccarsi un pezzo di anima, ma che alternative ha?
Si
accomoda sul sedile del passeggero, pronto a snocciolare le tariffe
base, l’uomo
non lo guarda nemmeno mentre parcheggia in un vicolo là
vicino. I guardiani
controllano che non si porti via uno dei loro articoli.
«Chi
ti costringe a prostituirti?»
Suigetsu
resta a bocca aperta. «Cosa…?»
Kakashi
Hatake, ventisette anni, spezzato a metà da una tragedia
qualsiasi che non
mostra i suoi sintomi, prende il portafoglio ed estrae
l’ultima cosa che
Suigetsu si aspetta.
Un
tesserino di riconoscimento della polizia. Potrebbe essere ricoperto di
sangue
e risultare comunque meno spaventoso di quello che appare agli occhi
del
ragazzo.
«Sono
mesi che indago su questo giro di prostituzione senza scoprire nulla.
Chi lo
gestisce sembra un fantasma.»
Suigetsu
comincia a strattonare la maniglia dello sportello, ma l’uomo
è stato più
veloce di lui e ha bloccato le portiere.
«Fammi
scendere.» annaspa il ragazzo, improvvisamente pallido. Si
agita e sente
qualcosa di pesante che sbatacchia in fondo al suo stomaco.
«Se mi beccano a
parlare con uno sbirro sono morto. E tu con me.» Non gli
interessa della sorte
di quel’uomo, in realtà. La sua stessa vita
è la nube di gas e polvere che non
è mai diventata stella, ma è l’unica
che ha e non è pronto a rinunciarci.
Kakashi
gli posa una mano sulla spalla. «Dimmi il nome, ragazzino.
Sarai fuori di qui
in una settimana.»
Suigetsu
fa saettare lo sguardo da Kakashi al buio della notte, temendo che da
un
momento all’altro salti fuori uno dei guardiani con la
pistola puntata. «Io..»
«Una
settimana.»
«Io…
io non lo so.»
Ed
è vero, non lo sa. Non conosce il nome del loro aguzzino.
Può scoprirlo, glielo
dice, lui accetta di aspettare. Almeno un paio di volte la settimana
Kakashi
Hatake va a prelevarlo. Lo paga come se volesse scoparlo. Quando fanno
l’amore
sul serio quasi non se ne accorgono, i soldi che gli dà non
comprano quello e
lo sanno tutti e due. Ne hanno bisogno, non è il capriccio
di una lussuria
imprevedibile: vogliono dare a se stessi la possibilità di
avere qualcosa di normale. Non ci
riescono, ma ne vedono
un tenue luccichio: se lo fanno bastare.
Lampante
caso di sindrome della crocerossina. Kakashi gli porta da mangiare,
antidolorifici
per quando lo picchiano, integratori alimentari per non morire nei
giorni in
cui non c’è. Ha una colpa che evidentemente non si
lava solo con acqua e sapone
e che sa nascondere bene. Il suo nuovo ragazzo si chiede spesso quale
sia il
peccato che Kakashi cerca in tutti i modi di spolverarsi via dalla
coscienza,
ma non glielo chiede mai. Lo renderebbe umano, dietro alla maschera che
non ha
mai tolto, lo renderebbe vulnerabile d’affetto. Non di amore,
Suigetsu non ne è
in grado, ma forse non riuscirebbe più a restarne
distaccato. Forse cederebbe
agli impulsi umani che, per quelli come lui, equivalgono alla morte;
né più, né
meno.
Non
gli piace fare sesso con lui, non gli piace farlo con nessuno. Ma odia
ancora
di più avere debiti, così finge come con tutti e
lo fa innamorare di lui senza
neanche rendersene conto. Può essere un vantaggio, senza
dubbio lui dalla loro
relazione trae molti benefici, eppure quell’uomo non gli fa
né caldo né freddo.
Vuole molto più bene al cibo che gli porta. Le medicine sono
utili, gli
integratori li schifa, ma accetta di prenderli per zittirlo. Dietro
quel
rapporto non c’è altro.
Non
è uno stronzo, Suigetsu. Sono stati i suoi carcerieri a
farlo diventare così.
~°~
Zabuza
arriva poco tempo dopo Hatake. Con lui è molto
più facile.
Il
guardiano lo trova in ginocchio dietro un cassonetto, nel vicolo in cui
deve
battere quella sera. Suigetsu sa che sarà punito
perché non è con gli altri a
mettersi in bella mostra per attirare clienti, ma non gli importa. Sa
che verrà
picchiato, ma non gli importa. L'ultimo cliente lo ha scopato
così forte che
ora non riesce quasi a reggersi in piedi, e non può nemmeno
prendere in
considerazione l'idea di soddisfarne un altro.
Non
ha abbastanza sold: una volta tornati al capannone lo prenderanno a
calci.
Eppure in quel momento stare piegato in mezzo alla spazzatura lo rende
felice.
Non si è mai sentito così libero.
Zabuza
rovina tutto. Lo fissa da dietro la maschera e lui non può
sapere cosa sta
pensando, ma può prevedere cosa arriverà: non
prova neanche a mettersi in
piedi.
L’uomo
lo sorprende con quella sua voce annoiata. «L'altro guardiano
di turno è
Hoshigaki.» dice. «È uno stronzo. Ti
caccerai nei guai se ti trova.»
Lui
non risponde. Un conato gli scuote il petto e si vomita addosso, colto
da una
nausea improvvisa: quella merda di pasticca che gli ha allungato il
cliente
doveva essere proprio una schifezza.
Zabuza
lo fissa disgustato, poi lo prende per la collottola e lo trascina via.
È più
alto di lui e riesce a sollevarlo di qualche centimetro da terra.
«Stupido
ragazzino.» lo sente mormorare, anche se non sembra essere
molto più vecchio di
lui.
Suigetsu
sente in bocca un sapore acido, ma ha paura di sputare per terra
perché, se per
sbaglio beccasse il guardiano, i calci che gli spettano aumenterebbero
vorticosamente di numero. E invece Zabuza lo porta di peso nel furgone
con cui
trasportano i ragazzi al lavoro, prende un fazzoletto e con pochi
movimenti
bruschi gli dà una ripulita. Suigetsu spalanca gli occhi
mentre l'uomo gli
solleva il braccio destro per detergerlo dal suo stesso rigetto. Riceve
dalle
sue mani una bottiglia d'acqua fresca che gli fa pizzicare le ferite,
apertesi
sui suoi palmi quando è caduto bocconi nel vicolo, appena
dopo essere sceso
dalla macchina del cliente.
«Bevi.»
ordina lui mentre si accende una sigaretta. Gli tira una merendina e
gli fa
cenno di mangiarla, ma Suigetsu la divora in pochi morsi. Alzando un
sopracciglio, Zabuza scende dal furgone e va a cercare qualcosa nella
cabina
del guidatore. Torna con mezza dozzina di sandwich confezionati e lo
osserva
mentre lui li scarta uno dopo l'altro.
L’ultimo
boccone sparisce nella sua gola un momento prima che Zabuza termini la
sigaretta.
«Dovrei
tornare al lavoro, signore.» dice il ragazzo, sulla
difensiva. «O finirò sul
serio nei guai.»
L’uomo
lo fissa per un tempo interminabilmente lungo. Poi distoglie lo
sguardo. «Non
c’è bisogno. Dirò che sei stato con
me.»
Suigetsu
apre la bocca e poi la richiude. È plausibile. Ogni tanto i
guardiani scelgono
un ragazzo o una ragazza dal gruppo che devono sorvegliare e se lo
tengono
quasi tutta la notte dentro il furgone. Se la mattina non hanno
guadagnato
abbastanza, come accade la maggior parte delle volte, le botte le
prendono lo
stesso.
Zabuza
sembra leggergli nel pensiero, perché gli chiede quanti
soldi ha. Lui risponde
e non sono abbastanza, così l’uomo gli allunga
qualche banconota da cento.
Suigetsu le prende solo dopo qualche istante.
«Hai
ancora fame?»
Sì,
ce l’ha, e l’avrà sempre. Ma ha divorato
il cibo troppo in fretta e adesso
rischia di rigettare ancora, così cerca di tenere a bada i
conati perché sa che
probabilmente non mangerà più così
tanto per un pezzo. Non può sprecare nemmeno
una briciola.
Zabuza
lancia uno sguardo di sufficienza a quel viso pallido, notando il suo
malessere. «Se stai male, vomita. Troverò
qualcos’altro da darti prima di
riportarvi al capannone.»
Ma
il ragazzo si tiene le mani sullo stomaco come se volesse trattenere il
cibo
con la forza.
L'uomo
sbuffa. «Avanti, vomita o rischi un'indigestione. Sai meglio
di me che i malati
non ricevono certo un trattamento di favore.»
Sì,
Suigetsu lo sa. Karin poco tempo fa ha avuto la febbre e per tutta la
settimana
in cui è stata male i guardiani l’hanno presa a
calci di continuo per
costringerla a stare in piedi. Se avesse impiegato appena qualche
giorno di più
per rimettersi, il ragazzo era sicuro che l'avrebbero uccisa.
Suigetsu
vorrebbe rispondere, ma i conati si fanno insopportabili. Zabuza lo
spinge
verso la strada per impedirgli di vomitare nel furgone e lui sente
l'uomo
brontolare mentre gli tiene i capelli chiari. Una volta rigettata anche
l'anima
il guardiano gli solleva il mento con due dita e gli pulisce la bocca
con un
gesto rude. Non c'è dolcezza nelle sue mani, eppure per
Suigetsu è delicato
come una carezza: nessuno lo hai mai trattato così e non si
abituerà mai.
«Hai
preso qualche droga?»
Il
ragazzo tossisce. «Mi hanno dato una pasticca.»
Tornano
dentro, gli dà di nuovo da bere e gli ordina di sciacquarsi
la bocca.
«Non
accettare mai niente. Una volta o l’altra ci resti
secco.» Poi se ne va e torna
dopo dieci minuti con un sacchetto.
«Fortuna
che i pub restano aperti fino a quest'ora» lo sente
borbottare. «Tieni, e cerca
di non ingozzarti stavolta.»
«Perché
lo fa?»
L'uomo
sbuffa ancora. «Basta un grazie.»
Gli
occhi di Suigetsu non si scollano dalla sua anima. «Vuole che
le faccia
qualcosa?»
«Dio,
voi ragazzini siete insopportabili! Non voglio un accidenti. Mangia e
sta'
zitto.»
Lui
mangia perché non può fare altrimenti, lo fa
lentamente per godersi ogni
boccone, ma non riesce a stare zitto. Nel loro mondo non si fa niente
per
niente e ha paura di scoprire quali saranno le conseguenze di tanta
generosità.
«Le
sono debitore.»
L’uomo
gli getta un’occhiataccia e sembra voler cambiare discorso.
«Ti ricordi di un
ragazzino di nome Haku?»
Suigetsu
vede un volto efebico incorniciato da lunghi capelli neri; lo
chiamavano “la
geisha”. Quelli come lui duravano ancora meno delle donne.
«Non
è quello che si è sgozzato con un coltellino
svizzero?»
Gli
occhi di Zabuza vengono attraversati da un lampo, forse di dolore,
forse di
rabbia, fatto sta che impiega qualche minuto per rispondere.
«Lui è…» scuote la
testa. «Eravamo amici. Tu lo hai salvato. E io aiuto
te.»
Il
ragazzo ci pensa meglio e effettivamente si ricorda di aver spartito
qualche
pezzo di pane con Haku, all’inizio della sua penosa carriera
da prostituta, ma
quel periodo era durato poco. Appena arrivati non tutti si rendevano
subito
conto che lì si moriva da soli, e che stando vicini a
qualcuno si accelerava la
caduta verso l’inferno e basta.
L’uomo
lo fissa. «Come ti chiami?»
«Hozuki,
signore.»
Lui
scuote la testa. «Voglio sapere il tuo nome.»
«Suigetsu.»
Si divincola sulla sedia, è a disagio, non gli va
più di star lì. Gli occhi di
Zabuza lo fissano in un modo strano che lui non riesce a decifrare, lo
paragona
a quelli che vede tutti i giorni ma non trova riscontri. Non lo vuole
fottere,
non lo vuole picchiare, non gli vuole rubare il rancio. Ma allora cosa
vuole?
«Acqua
luna.» mormora Zabuza. «Più che
appropriato, direi. Sei pallido.»
«Perché
vengo da Kirigakure, signore.» ribatte lui sulla difensiva.
Lui
gli lancia un’occhiata strana, forse divertita o magari solo
annoiata. Non lo
sa, non lo capisce. Lo farà mai?
«E
allora? Anche io sono nato lì, ma la mia pelle non
è così chiara.»
Suigetsu
vorrebbe rispondere che lui non è costretto a starsene
rinchiuso tutto il
giorno e a uscire solo di notte. Lui il sole lo vede tutti i giorni.
Però sta
zitto perché capisce che, se non ci vivi, è
impossibile ricordarsi tutti i
limiti della loro prigionia.
«Bene,
torno a controllare gli altri. Tu puoi restare qui.» getta
un’occhiata critica
alle sue occhiaie violacee. «Dormi un po’, magari.
Sei stanco.»
Lui
si stringe nelle spalle. «È Dicembre. I pavimenti
sono freddi.» anche la sua
voce lo è, perché d’un tratto si
ricorda che l’uomo che ha davanti è uno di
quelli che lo costringono a dormire per terra. «Non
conciliano esattamente il
sonno.»
Zabuza
rimane interdetto. Si sfila di nuovo il portafoglio dalla tasca e gli
dà altri
soldi. «Questi dovrebbero bastare per un letto. Domani ti
farò avere delle
coperte, non posso pagartelo ogni notte.»
Suigetsu
non ci pensa due volte ad accettare. Il suo non è un mondo
di convenevoli. Stavolta
dice grazie e basta.
Note
dell’autrice:
-
Suigetsu in Giapponese significa Acqua Luna.
-
“I’m searching for the sky I lost”
è la traduzione di “Nakushitekeita sora wo
sagashiteru”, citazione tratta dalla canzone
“Again” di Yui (nella versione
usata per la prima opening di FullMetal Alchemist: Brotherhood).
-
Questa fan fiction si è classificata 2° al contest
“Potrebbe risultare
interessante” di Jayu
Note
dell’autrice:
Ed
ecco a voi sui vostri schermi la famigerata ZabuSuiKaka (non si
può sentire XDD).
Non vedevate l’ora, eh? E niente, oggi intaso la sezione di
Naruto ma sono
arrivati i risultati del contest (esultate con me \°/) e questa
è tutta per _sweetygirl_ che
si è appassionata a
questo pairing ancora prima di leggerlo. Cara, avrei voluto dedicarti
qualcosa
di migliore ma dovrai accontentarti. Io ti avevo avvertito che non era
venuto
fuori un capolavoro, ma tu lo volevi leggere lo stesso quindi
è colpa tua u.u
Dunque,
è una bishot quindi saranno solo due capitoli. Io non mi
smentisco mai e metto
il SasuNaru ovunque, nel prossimo avranno un ruolo importante (insomma
ò_ò).
Ringrazio
tutti quelli che hanno avuto il coraggio di leggere questa cosa. Non
piace
nemmeno a me, quindi voi potete schifarla del tutto XD Però
mi rendereste
felice con un commentino, lo sapete **
Tornerò
a inquietare i vostri sonni verso sabato/domenica con
l’epilogo di
Autodistruggimi <3
shirangel
|
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Capitolo 6 *** Requiem for a Dream [Pt. 2] ***
Requiem for a Dream
- Who
are you waiting for in the maze of emotions? -
Karin
mugola qualcosa nel sonno e scalcia. Forse sogna di mangiare, forse ha
un
incubo in cui viene stuprata. È impossibile sapere se
durante la notte prevalgano
le paure o i bisogni animali.
Suigetsu
si gira dall’altra parte. Anche se l’unica luce
è quella chiara della luna che
splende solo nel mondo fuori, vede gli occhi di Juugo e sbuffa. Si
volta di
nuovo, ma quello sguardo gli trapassa ancora la nuca.
«D’accordo!»
dice in un soffio rabbioso, caldo come il mostro che gli divora lo
stomaco. Si
toglie la coperta di dosso e la getta sopra la ragazza; Karin si
è ammalata ancora
e non è un bene. Suigetsu serra le palpebre mentre il freddo
comincia già a
divorargli il corpo, ma almeno gli occhi che lo ammonivano adesso si
sono
chetati.
Sta
per scivolare nel sonno, quando sente una mano che lo scuote
bruscamente.
È
Zabuza. Lo riconosce dall’odore di uomo che lì non
si sente mai. Chi lo aveva
lo ha perso, chi è troppo giovane per averlo non lo
otterrà mai.
«Bevi.»
gli ordina il guardiano, spingendogli una tazza tra le mani. Suigetsu
ha lo
dita talmente anchilosate dal freddo che impiega qualche secondo per
avvertire il
calore ustionante della porcellana. Prova a prendere un sorso, ma un
bruciore
doloroso gli invade la lingua e deve rinunciare.
Zabuza
è impaziente; i suoi occhi vagano dappertutto, nel capannone
che a quei piccoli
scarti umani pare gigantesco, tranne che su di lui.
«Sbrigati», gli dice. «Devo
tornare di là. Ho lasciato la porta aperta.»
Basta
un attimo perché gli occhi di Suigetsu comincino a brillare
come fuochi
d’artificio, ma sono solo le ultime fiamme di una candela che
si sta spegnendo.
È un fuoco che nasce e muore dalla bocca di
quell’uomo, che vive e viene
torturato dalle sue mani e dal suo sorriso tanto raro.
Il
guardiano – perché è questo che
è – riesce a leggergli dentro prima ancora che
lui possa capirsi da solo. «Non ci pensare
nemmeno.» brontola, asciutto, ma un
guizzo di compassione ammorbidisce le sue parole. «Se
sparisce anche solo un
ragazzino domani io mi ritrovo dentro a un fosso.»
L’immagine
di una fuga folle, vivida come una macchia di sangue in mezzo alla neve
nella
mente in banco e nero di Suigetsu, esita un po’ prima di
scomparire. Quella
porta non è mai aperta. Mai, tranne ora. Varcarla e uscire.
Non tornare.
Vivere.
Ma
Zabuza lo ha salvato così tante volte che ormai è
come se lo avesse messo al
mondo lui stesso. Il ragazzo abbassa lo sguardo e beve dalla tazza il
the
caldo, che sembra scavarsi a forza una strada nel gelo che lo invade
dappertutto. I suoi occhi emanano una luce sempre più fioca
finché non si
spengono del tutto. Morto.
«Dove
l’hai preso?»
Zabuza
alza le spalle. «L’ha fatto la donna che stanotte
monta la guardia con me. Ora
si è addormentata.» lo guarda con fare critico.
«Dov’è la coperta che ti ho
dato?»
Suigetsu
non risponde, ma indica Karin con un cenno del capo. Sa che si
arrabbierà e
infatti succede. Ormai lo conosce così bene che non
può trattenere un lampo di
fugace contentezza quando riesce a prevedere le reazioni di
quell’uomo tanto
complesso
«Santo
Dio, ragazzino, ho già abbastanza da fare per tenere in vita
te!»
«Sta
morendo.» ribatte lui, ma sa che non è una scusa
valida. Sta morendo anche lui,
ed è così palese che tutti e due lo sentono
nell’aria senza nemmeno dirlo ad
alta voce.
Zabuza
aspetta che abbia finito di bere, poi gli strappa la tazza dalle mani,
perché
se qualcuno gliela trova vicino la mattina dopo nemmeno lui
riuscirà a tenerlo
in vita. Se ne va ed è ancora nervoso per quel ragazzino che
non può salvare.
Ogni passo è la rabbia contro di lui che non si aiuta e
contro se stesso che
non può fare quell’ultimo gesto, che sarebbe
decisivo e che è l’unico davvero
utile.
Suigetsu
sta meglio, con il the che gli riscalda lo stomaco vuoto, ma si sente
così
frustrato che prende in considerazione l’idea di strappare la
coperta dal corpo
di Karin e avvolgervisi dentro. Non gli importa se domattina della
ragazza non
rimarrà che un cadavere freddo; lui vuole solo sopravvivere.
Gli
occhi di Juugo però sono di nuovo aperti. Lo fissano e gli
trasmettono la consapevolezza
che, se non sono più abbastanza umani da provare un pizzico
di compassione,
allora è tempo che muoiano. Suigestu rantola, stringe i
pugni e si costringe a
dormire, aspettando di sapere cosa ha in serbo per lui quella notte.
Paura
o bisogni primordiali? Cos’è che ti fa
più battere il cuore, la morte… o lui?
~°~
La
sera successiva Zabuza riesce a fargli avere un’altra
coperta. Non lo guarda
mentre gliela passa di nascosto, lo ignora come se non esistesse. E
forse è
così, forse sta davvero aiutando un fantasma, forse
è questo a farlo impazzire
di rabbia.
Karin
tossisce e sputa e vaneggia per la febbre, ma si regge ancora in piedi
e la sua
espressione orgogliosa non accenna a sbiadire. È
un’attrice impegnata a fare il
tutto esaurito ai suoi ultimi spettacoli e lo sa. Juugo non sembra
triste
mentre la guarda, non lo è, l’aiuta
perché è giusto
così. Ma lì dentro è davvero rimasto
qualcosa degno di
essere chiamato tale?
Suigetsu
non riesce a scaldarsi nella misera giacchetta di pelle che lo
costringono a
indossare, però preferirebbe morire assiderato piuttosto che
trovare rifugio
nell’auto di qualche cliente. Karin sta morendo e questo gli
dà sui nervi,
perché è – era
– forte e se si
arrende perfino lei allora loro sono tutti condannati. Non è
una vera sorpresa
e questo, se possibile, lo stizzisce ancora di più. I sogni
vengono mandati al
macello prima ancora che riescano ad attecchire nel cuore di qualche
povero
pazzo, cercare di aggrapparvisi con le unghie fa solo sanguinare le
dita.
Nemmeno
l’auto di Kakashi che si fa vivo dopo una settimana di
silenzio riesce a
tranquillizzarlo. Mangerà e si scalderà e
avrà tanti soldi da non doversi
preoccupare di vendere qualche pezzo di sé per tutta la
sera, ma il suo umore
non si calma. Se non è stasera, è domani. Oppure
dopodomani, o il giorno dopo
ancora, o magari tutta la settimana successiva. Non stai a galla
nemmeno se
qualcuno ti tiene sollevato per la collottola: prima o poi
affogherà anche lui.
Il
poliziotto riesce comunque a sorprenderlo.
«Ultimamente
sono stato impegnato.» si scusa, posandogli un bacio sulla
fronte.
Suigetsu
vorrebbe scansarsi da quel tocco, ma non ci riesce perché il
cibo che sta
masticando è troppo buono e l’aria condizionata
che gli solletica il viso è
troppo calda.
«Hai
scoperto il nome?» glielo chiede sempre, ma lui non sa mai
cosa rispondere. Lo
ha chiesto alla maggior parte dei suoi compagni, ma nessuno lo sa,
tutti sono
spaventati. Non si fa niente per niente e lui ha ben poco da offrire
contro la
paura.
Deglutisce
un boccone e gli lancia uno sguardo che lo fa rabbrividire.
«Il tuo capo lo
salverà. Il tuo capo si rifornisce da noi molto spesso.
Tutto questo non serve
a niente»
Lui
sospira e gli accarezza i capelli. Avvicina la mano piano e lentamente,
facendo
in modo che possa vedere tutti i suoi movimenti, perché ha
imparato che i gesti
bruschi lo spaventano. I primi tempi si ritraeva di scatto, come se
temesse di
ricevere uno schiaffo, e a Kakashi ogni volta veniva da vomitare.
Ancora adesso
ha paura di chiedere che cosa quel povero disgraziato abbia dovuto
subire per
ridursi così. Suigetsu non si sottrae più al suo
tocco, china un poco il capo e
gli ricorda un cane che appiattisce le orecchie perché mal
sopporta le moine
del padrone; lo ha addomesticato, ma non sarà mai suo e non
deve scordarselo.
Lo ha già fatto e ama quel ragazzo con tutto il suo cuore
malandato.
«Ho
solo bisogno di quel nome. Ti porterò via da qui,
Suigetsu.»
Suigetsu
non ci riesce. Né a credergli, né a sperarci, ma
si fa forza e finge. Con
Kakashi e con se stesso, perché senza sogni si va avanti ben
poco e lui ha
bisogno di averne uno.
~°~
Karin
qualche settimana dopo non si sveglia più.
Suigetsu
rimane così scioccato dai suoi occhi, ancora spalancati
verso la vita che le è
scappata via, da non provare nemmeno a scuoterla. Vorrebbe solo
chiuderle la
bocca semiaperta, uccisa a metà di un urlo che solo lei ha
potuto sentire, e
vorrebbe chiudere la sua perché sente qualcosa che gli
graffia la gola e non
vuole piangere per niente al mondo.
Non
riesce a fare niente. Quel corpo emana freddo,
non ha bisogno di sfiorare la pelle per assicurarsene. È
rigido e bianco e
spaventoso: lui lo sa che è quel cadavere a gelargli il
sangue nelle vene. Non
vuole toccarlo perché altrimenti morirebbe anche lui.
Juugo
gli si avvicina in silenzio. Nessuno dei due piange, in fondo
è solo un’altra
morte. Ce ne sono così tante che non fa nessuna differenza,
eppure qualcosa
dentro il cuore di Suigetsu se ne va per sempre, insieme a quella
ragazza. Sono
tutte quelle promesse, implicite e non, che Karin aveva fatto loro. Sopravvivrò, ce la farò, non
morirò.
Di
tutti quei giuramenti fatti con le dita incrociate dietro la schiena
rimane un
ammasso di organi e tessuti che ormai non funziona più.
Gli
viene da vomitare, ma non lo fa. Bisogna cercare un guardiano che si
porti via
quel dito puntato verso la libertà con cui fino a poche ore
prima Suigetsu
litigava e tirava avanti.
Chiama
Zabuza perché non può sopportare che lo faccia
qualcun altro. L’uomo guarda lei
e poi cerca gli occhi di colui che, senza che nessuno dei due lo
volesse, è
diventato il suo protetto. Si inginocchia accanto alla vita strappata e
riconosce la coperta che lui stesso aveva dato a Suigetsu, ma non
gliela
restituisce e la alza fino a coprire il volto della disgraziata. La
prende tra
le braccia.
«Ci
penso io.»
Suigetsu
non lo sente dalle sue labbra, ma sa che Karin non finirà in
un cassonetto o in
fondo al fiume, come gli altri cadaveri. Sa che Zabuza farà
in modo che il
posto in cui andrà, qualunque esso sia, le tributi la
dignità che merita.
Quella che non ha mai avuto.
Il
guardiano non lo dice ma Suigetsu lo sa. E capisce anche
perché, quando deve
ricordare i due uomini che tengono in mano le redini della sua vita,
l’incontro
con Kakashi gli appare confuso e approssimativo, mentre quello con
Zabuza è
perfetto e definito nella sua memoria come se lo vivesse ogni giorno.
Lo
capisce e ne ha paura.
Non
si concede nemmeno qualche minuto per ricordare Karin prima di andare a
cercare
Sasuke Uchiha. Hatake gli ha promesso una settimana ed è il
massimo che può
aspettare. Zabuza se ne va e la morte di una prostituta prende solo
quel tempo;
pochi se ne sono accorti, a nessuno importa. Tenersi in vita
è un impegno pressante,
pensare a chi non ce l’ha fatta non serve.
Uchiha
non sembra propenso ad ascoltarlo perché il suo amico,
quello che si trascina
dietro ogni giorno, quello per cui combatte tanto ferocemente, sembra
non stare
molto meglio di Karin. Quando Suigetsu gli chiede il nome del loro
aguzzino,
però, il suo sguardo scuro saetta verso di lui in un lampo
di minaccia.
«Perché
lo vuoi sapere?»
Lui
non risponde: la storia di quel dannato Uchiha è famosa in
tutto il giro di
prostituzione. Si è venduto al proprietario del giro
perché gli erano state
promesse preziose informazioni sul luogo dove si trovava il fratello
maggiore,
colpevole della strage della loro famiglia. Inutile dire che, in tre
anni, non
aveva ricevuto alcuna notizia. Ma con il responsabile del giro in
prigione le
possibilità di averne calerebbero notevolmente, quindi
Suigetsu sta zitto e
lascia che Sasuke guardi in che stato si trova il suo compagno.
Perché
anche Suigetsu è famoso, lì dentro. Lui
è quello che, chissà come, ha sempre un
sacco di medicine. Ringrazia mentalmente Kakashi e le pasticche che gli
nasconde nelle mutande per ogni
evenienza.
«Non
si fa niente per niente, Hozuki.» sibila Uchiha. La nuca
bionda appoggiata sul
suo grembo mugola e lui deve decidere quale vita vale di
più. Quale sogno è
disposto a infrangere. Chi ama di più, tra se stesso e il
corpo bollente di
febbre che si appoggia totalmente e unicamente a lui.
La
pastiglia di antipiretico compare tra le dita di Suigetsu con un
tempismo
perfetto. Gli occhi di Sasuke si assottigliano. La mano di Naruto ha
smesso di
cercare la sua. Uchiha stringe i denti e prende la pasticca. La fa
scivolare
tra le labbra del compagno e la sua voce freme di rabbia mentre sputa
il nome Orochimaru tra i denti,
come se fosse il
più astioso degli insulti.
Suigetsu
non ringrazia. Non rimane a guardare se il biondino ce la
farà. Non pensa a
Karin. Spera soltanto che quella sera Kakashi passi a comprarlo, ma
quando
questo succede tutta la sua spavalderia viene meno. Quando
l’uomo gli chiede
quel maledetto nome, lui non può fare a meno di ribattere
con un’altra domanda.
Quando ottiene la risposta che cerca, quella che deve dare lui gli si
blocca in
fondo alla gola.
«Che
ne sarà dei guardiani?»
«Favoreggiamento
di prostituzione, da due a sei anni.» risponde lui, quasi
annoiato, di fretta.
Vuole sapere il nome, glielo richiede, aspetta.
Suigetsu
ce l’ha sulla punta della lingua. Però Zabuza lo
ha salvato troppe volte per
lasciare che quelle dieci lettere escano dalla sua bocca. Schiude le
labbra, ma
la voce non esce. Serra le palpebre e mente.
«Non
lo so.»
Kakashi
lo guarda e scuote la testa. Non lo sa nemmeno lui, che fine
farà quel povero
ragazzo.
~°~
«C’è
un poliziotto con cui vado ogni notte. Vuole sapere il nome di chi
gestisce
questo posto per poterlo arrestare. Io lo so e voglio
dirglielo.»
Non
si ferma nemmeno una volta mentre parla. Zabuza sta fumando e forse non
ha
ascoltato neanche una parola, perché sta guardando fuori dal
finestrino e dai
suoi occhi chissà che cosa vede.
«Perché
lo stai dicendo a me?» sbuffa fuori dalle labbra nicotina e
rancore. E l’unica
risposta che Suigetsu non si aspettava.
«Non
voglio che ti arrestino.»
«Però
sono uno di quelli che ti tengono qui. Non mi odi?»
Suigetsu
ammutolisce. Tutto il suo coraggio è sparito nel giro di
qualche frase e ora
non sa più cosa fare delle informazioni che, ne era certo,
all’uomo avrebbero
fatto piacere. Non si era immaginato un grazie,
ma nemmeno quell’ostilità latente.
«Vattene
prima che arrivi la polizia.» risponde.
Zabuza
se la prende comoda, finisce la sigaretta e l’uccide nel
posacenere prima di
riprendere la parola. Non sembra spaventato, o nervoso.
«Ora
ti spiego quello che succederà.» dice.
«Il tuo amico poliziotto aprirà
un’inchiesta. Il fascicolo finirà sulla scrivania
del suo capo, che avviserà
Orochimaru. Entro ventiquattrore voi sarete tutti morti, noi senza
lavoro e lui
dall’altro capo del mondo a dare il via ad un altro giro di
prostituzione. La
polizia non si prenderà nemmeno il disturbo di fare
irruzione, dato che quando
avranno uno straccio di mandato ormai il capannone sarà
già stato distrutto da
un incendio.» non lo guarda negli occhi mentre parla. Sta
ancora spingendo con
forza il mozzicone contro la superficie di vetro, più e
più volte, macchiandosi
le dita di cenere pur di non affrontare il crollo di una speranza.
«Lui
lo sa che il capo della polizia è corrotto.»
mormora Suigetsu. «Nasconderà
l’inchiesta.»
«È
il suo superiore.»
«Lui
mi salverà.»
Zabuza
serra i denti. «Sarà lui ad ucciderti, se va
avanti con questa storia.»
«Perché
vuoi tenermi qui a tutti i costi?»
L’uomo
si spinge sopra il tavolo e ormai il suo volto è a pochi
centimetri di distanza
da quello di Suigetsu.
«Lo
sai, ragazzino» soffia contro le sue labbra. «cosa
succede a una puttana che
diventa troppo vecchia per battere?»
Non
lo vuole sapere. Lo sa già.
«La
costringono a fare il guardiano.»
Suigetsu
rabbrividisce, ma non per il freddo. L’orrore gli disegna una
smorfia sul viso e
gli provoca un conato. Si volta dall’altra parte e vomita,
sapendo che non
guarderà più quell’uomo con gli stessi
occhi di prima.
Stavolta
Zabuza non gli tiene i capelli mentre rigetta tutto quello che non ha
mangiato,
forse perché una pallottola che gli perfora il fegato lo
inchioda a terra. Il
sangue che zampilla dalla ferita è l’unico suono
che interrompe il silenzio
dopo il fragore dello sparo. L’uomo muore senza nemmeno un
gemito, ma il suo
ultimo sguardo è per Suigetsu. Non sorride, né
piange. Nel suo cuore non c’è
rabbia o disperazione, solo tanti rimpianti.
Poteva
salvarlo.
Non l’ha fatto.
Suigetsu
quasi non sente la mano che lo afferra per il collo e lo sbatte contro
il muro,
perché la chiazza rossa sotto l’uomo che per lui
è diventato fonte di vita
catalizza tutta la sua attenzione. Cerca gli occhi che, lo sa, non
possono più
ricambiare i suoi. Deglutisce per impedire a un nuovo conato di
sconquassargli
lo stomaco. La vista gli si appanna e tutto intorno a lui comincia a
girare.
Kisame
Hoshigaki lo sta tenendo appeso contro la parete del furgone e sta
urlando.
Suigetsu lo capisce dal furore che gli deforma il viso, ma non riesce a
sentire
nulla. Il sangue che goccia gli riempie le orecchie, lo assorda, gli
ottenebra
i sensi. Annaspa per cercare ossigeno che non gli servirà.
C’è un solo nome che
gli rimbomba nelle vene.
«Chi
è?»
Suigetsu
aggrotta le sopracciglia, non capisce, non è la sua lingua.
Zabuza lo chiama
senza voce ma lui non può aiutarlo. Non riesce
più a respirare. Si morde la
lingua e i denti affilati perforano fino a trovare il sangue.
«Dimmi
chi è quel fottuto poliziotto!»
Allora
Hoshigaki non è stupido. Ha capito che Momochi non sceglieva
sempre lo stesso
ragazzo perché gli piaceva come scopava. Ha capito che
c’era qualcosa sotto. Ha
capito che la puttana si è innamorata del carceriere.
Oh,
dannata sindrome di Stoccolma. Suigetsu sta diventando blu.
Il
guardiano urla ancora. Con la canna della pistola lo costringe ad
aprire la
bocca, gliela ficca in gola, continua a urlare, ma lui scuote la testa
e chiude
gli occhi. Non distingue se il sapore metallico che sente tra le labbra
sia il
sangue o l’arma. Distruzione.
Muore
ancor prima di sentire lo sparo che gli smembra la vita.
Non
è così che doveva andare. Il suo sogno era
così giovane, troppo immaturo. Non
era ancora giunto il momento del suo funerale.
Kakashi
lo cercherà, non lo troverà più. Si
chiederà cosa ne è stato di lui? Lo
capirà?
Magari si servirà di un altro ragazzo per far chiudere il
giro di
prostituzione. Magari sceglierà qualcun altro su cui
riversare il suo amore da
peccato.
Suigetsu
muore lì e non ha cambiato il mondo. Si è
prostituito per poi schiattare come
il più schifoso dei criminali. Avrebbe dovuto farsi uccidere
subito, Zabuza
avrebbe dovuto lasciarlo morire. Prolungare l’agonia
è tipico degli esseri
umani; la speranza di un futuro migliore, la convinzione che qualcosa
cambierà,
cercare di credere che non sarà stato tutto inutile. Balle
come quelle di Karin
che non sarebbe morta. Juugo che blatera di amore e compassione .
Zabuza che
non lo ha preparato a morire, troppo ansioso di farlo vivere.
Niente
di questo ha senso. Non se un ragazzo di appena diciotto anni viene
assassinato
su un furgone da quattro soldi, nella periferia di una metropoli che
balla
mentre lui muore. Non se un uomo appena più grande di lui
sacrifica una vita
che non vale niente per un’altra ancora più misera.
E
i cattivi vincono. Ma è davvero una sorpresa?
Suigetsu
riceve la sua risposta dalla pallottola che gli ha fatto saltare in
aria il
cervello.
No. Non lo
è. E
questa è la cosa peggiore, vero?
Ride,
la stronza, mentre lo uccide.
Note
burocratiche:
-
“Who are you waiting for in the maze of emotions?”
è la traduzione di “Deguchi
mienai kanjoumeiro ni”, citazione tratta dalla canzone
“Again” di Yui (nella
versione usata per la prima opening di FullMetal Alchemist:
Brotherhood).
Note
dell’autrice:
Come
sono cattiva u__u invece di accopparne solo uno stavolta li ho fatti
fuori
tutti e due. Lo ammetto, il mio OTP in questo caso è il
KakaZabu, Suigetsu era
solo un intruso xD Però niente, a me piace che muoiano (e
muore anche Karin,
godo!). Spero anche a voi, ma non sono molto fiduciosa
x’’D
Insomma,
TTMM ha visto la sua fine. Ormai sono troppo
“fuori” da questo ciclo e non ci
ritornerò più, non ha senso allungare il brodo,
però mi rimarrà sempre
particolarmente cara questa storia. Anche se schifo tutto sono
affezionata ai
miei adorabili sgorbietti <3
E
non faccio nomi, ma QUALCUNO (_sweetygirl_ è__é)
riconosca il fondamentale e
irrinunciabile contributo di Sas’ke in questa storia. Nella
mia testa gira
sempre tutto intorno a lui XD
Come
sempre, mi farebbe piacere ricevere il vostro parere (se volete, potete
dire
qualche parola in memoria dei fu Zabuza et Suigetsu u_u)
shirangel
|
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