I love you, baby.

di justdieinyourarms
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** capitolo due. ***



Capitolo 1
*** capitolo uno. ***


Io e la mia famiglia viaggiavamo verso la mia nuova vita in auto, con i finestrini abbassati. L’aria fresca mi colpiva il viso, facendomi sentire bene. A Londra faceva freddo, il cielo era pieno di nuvole, ma tutto sommato era un bene che non piovesse. Indossavo la mia maglietta preferita, a maniche lunghe con le righe bianche e verdi. Non era la prima volta che venivo a Londra, ci era capitato spesso di passarvi qualche giorno, e questo durò fino a che io non mi opposi e così riuscimmo a cambiare finalmente meta. E adesso ci stavo tornando, a vivere. Una decisione che avevano preso i miei genitori e io che potevo fare? Nulla, se non seguirli.
Amavo la mia città. Amavo i miei amici. Amavo il sole che qualche volta spuntava. Ed ero sicura che avrei detestato Londra.
<< Ash>>, mi chiamò mia madre, forse la millesima volta, mentre stavamo viaggiano <<vedrai che Londra ti piacerà e ti rifarai tanti amici>>.
Mia madre mi somiglia tanto, a parte gli occhi. Mentre li fissavo, pensai a un sacco di cose. Come avrei fatto senza la mia migliore amica? Certo, mi sarei fatta altri amici eppure..
<< Certo >> risposi. Non ero mai stata brava a mascherare le mie emozioni, ma avevo assunto un tono di voce così tranquillo che ormai poteva sembrare quasi convincente.
<< Vuoi telefonare a Carly?>>.
<< No mamma, tranquilla. >>
<< Tesoro, sono sicura che troverai un’altra persona dolce come lei qui. >> insistette. << Comunque puoi chiamarla quando vuoi. Se hai bisogno ti do il mio cellulare. >>
Capivo dal suo sguardo che era visibilmente preoccupata per me.
<< Mamma, non preoccuparti. >> tagliai corto.
Per arrivare a Londra dalla città in cui sono nata ci vogliono tre ore, più mezz’ora per raggiungere la nostra nuova casa. Non mi dispiaceva viaggiare; era il viaggio più tranquillo che avessi mai fatto in tutta la mia vita. I miei genitori si erano comportati veramente bene dal primo minuto di viaggio, e anche se mia mamma mi faceva spesso domande, era stata molto brava anche lei. Sembrava che le dispiacesse davvero di vedermi triste, e un po’ effettivamente lo ero ma non volevo rovinare la permanenza a Londra ai miei genitori. Mi avevano già iscritta a scuola e mia mamma mi aveva promesso che se fosse andato tutto bene, mi avrebbe regalato uno scooter con cui potevo viaggiare da Londra alla mia vecchia città per trovare tutti i miei amici. Quando percorrevamo la strada per andare verso casa nostra, pioveva. Era inevitabile. Avevo già salutato il sole un sacco di tempo fa. Arrivammo alla nuova casa e notai che c’erano due persone. Una coppia, saranno stati sulla cinquantina.
<< E’ un piacere rivederti, Ash. Scommetto che non ti ricordi di noi. >> mi dissero sorridendo, mentre mi stringevano le mani. << Beh, d’altronde è passato davvero tanto tempo. >>
<< Uhm, scusatemi davvero ma non ho mai avuto una buona memoria. >> dissi, arrossendo. Era sempre stato così, ci avevo passato la vita a Londra eppure non mi ricordavo di nessuno, nemmeno un viso familiare.
<<Non preoccuparti cara, siamo amici dei tuoi genitori. Ora dobbiamo proprio andare, ci vediamo presto. >> dissero, lasciando in mano a mia madre un piatto con qualche pietanza dentro.
Iniziammo a portare in casa i bagagli.  Avevo poche valigie. La maggior parte dei vestiti che portavo nella mia vecchia città erano troppo permeabili per Londra. Io e la mamma avevamo unito le nostre risorse per arricchire il mio guardaroba invernale, senza riuscirci. << Ah, Jess. Ho trovato un buono scooter per te, un affarone >>, mi annunciò, una volta entrato in casa.
<< Davvero? >>
<< Sì. Beh, in realtà è un po’ vecchiotto, ma per ora penso che possa andare bene. >>
<< Dove l'hai trovato? >>
<< Ti ricordi Bobby Horan, quello che stava a Mullingar? >>. Mullingar, quanti ricordi..
<<No>>.
«Veniva con noi quando andavamo in vacanza, d'estate», suggerì mio padre.
Ecco perché non lo ricordavo. Si trattava di secoli prima.
<< Me lo ha ceduto perché lui si è comprato una moto. >> Continuò papà, in assenza di una mia risposta, << e quindi mi ha suggerito di darlo a te. >>
<< Quanto costa? Dovrei avere qualcosa da parte. >> chiesi.
<< Ma non ci pensare nemmeno. E’ un regalo. So che ti pesa stare qui, quindi mi sembrava il minimo. >> disse, passandosi una mano tra i capelli. Mi si strinse il cuore. Davvero pensava che odiassi tutto questo così tanto? Un po’ era vero, però non volevo che pensassero che mi avevano trascinato lì contro la mia volontà. << Non ce n'era bisogno, papà. E comunque non è un peso per me..>>.
<< Voglio che qui tu sia felice >>.
«È un bellissimo pensiero, papà. Grazie. Mi fa davvero piacere». Inutile aggiungere che la possibilità di essere felice a Londra mi sembrava irrealizzabile. Non c'era bisogno che compatisse le mie sofferenze. Meglio far credere di essere felice.
Scambiammo qualche veloce commento sul tempo, e la conversazione finì. Con un solo viaggio finimmo di portare tutte le mie cose al piano di sopra. La mia stanza era al piano di sopra, vicino a un bagnetto. Beh, la cosa positiva era che almeno avevo un piano tutto per me.  La camera era molto carina. Il pavimento di legno, le pareti color lilla, il soffitto di un color crema molto acceso. Vidi tutti i miei vecchi mobili bianchi. Sulla scrivania ora c'era un computer, e sul pavimento c’era un bellissimo tappeto bianco.  Mio padre si guardò intorno e poi scese e lasciò che disfacessi le valigie e mi sistemassi da sola, impresa che per mia madre sarebbe stata impossibile, ma era riuscita a convincerla. Era bello stare per conto mio, senza essere obbligata a sorridere e mostrarmi contenta; un sollievo, starmene a guardare avvilita la pioggia fitta fuori dalla finestra e lasciare cadere soltanto poche lacrime. Non ero dell'umore giusto per una vera crisi di pianto. Quella me la sarei conservata per l'ora di andare a dormire, al pensiero di ciò che mi attendeva il mattino dopo. Certo, il panorama era bellissimo, non potevo negarlo. Tutto era verde: gli alberi, i tronchi coperti di muschio, che ne avvolgeva anche i rami come un baldacchino, la terra coperta di felci. Eravamo poco distanti dalla città, giusto dieci minuti di macchina.
<< Hey Ash, vieni a vedere il tuo scooter. >> mi annunciò.
Scesi le scale e uscii dalla porta dove c’era il mio scooter. Era di un grigio metallizzato. Con mia grande sorpresa mi piacque e non poco.
<< E’ carinissimo, mi piace. Grazie. >> gli dissi, abbracciandolo.  
Tornai in camera e finii di sistemare le ultime cose. Era ormai tardi, così decisi di saltare la cena e riposarmi subito, per affrontare l’indomani. Nuova scuola, nuove facce, nuova vita.
<< Tesoro, vieni a cena? >> mi disse mia madre sulla porta.
<< No mamma, voglio riposarmi subito. >> le dissi, sorridendo.
Mia madre annuì, asciugandosi le mani sullo strofinaccio e chiudendo la porta. << Buona notte. >> mi urlò. Entrai nel bagnetto per darmi una ripulita dopo la giornata di viaggio. Mi guardai allo specchio, mentre pettinavo i miei capelli annodati e umidi. La mia pelle era molto chiara, sembrava quasi trasparente. Qui non avevo colori. Osservando il mio pallido riflesso nello specchio, fui costretta ad ammettere che mi stavo prendendo in giro da sola. Non sarei mai stata capace di inserirmi. Non ero capace di entrare in sintonia con le persone della mia età. Ogni tanto mi chiedevo se i miei occhi e quelli del resto del mondo vedessero le stesse cose. Forse ero io difettosa. Tornai in camera, mi cambiai e mi misi sotto le coperte, chiedendomi che cosa mi sarebbe capitato il giorno dopo. 

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Capitolo 2
*** capitolo due. ***


La scuola superiore del mio paesino doveva essere un inferno. Era una scuola poco conosciuta, vicino a casa mia. Si conoscevano tutti e io mi sentivo un mostro, quella nuova, l’emarginata. Quella notte non riuscii a dormire bene, neanche dopo aver pianto a dirotto. Presi sonno soltanto dopo le due di notte, quando riuscii a calmarmi un pochino.Il mattino dopo, dalla mia finestra non vedevo altro che pioggia. Pioggia, pioggia, pioggia. La colazione con i miei genitori fu uno strazio. Mia mamma mi faceva mille domande, e ci mancava poco che mi scoppiasse la testa. Mio padre si limitò ad augurarmi la buona fortuna e ad abbracciarmi. Uscirono presto di casa per il nuovo lavoro e io, rimasta sola, presi solo una ciambella al cioccolato, indossai una giacca e mi incamminai verso il mio scooter. Piovigginava ancora ed io ero in scooter e mi maledì per non essermi portata un ombrello o una giacca più pesante con me. Trovare la scuola non fu difficile, malgrado non ci fossi mai stata prima. Parcheggiai di fronte all’enorme edificio. Non c'erano altre auto, perciò era senz'altro zona vietata, ma decisi di entrare a chiedere la strada, invece di girare in tondo sotto la pioggia come un'idiota. Mi trovai davanti alla porta e un senso di ansia mi pervase. Mi feci coraggio e aprii la porta.  All'interno c'erano più caldo e luce di quanto avessi sperato. Vagai un po’ per il corridoio finchè non vidi la scritta ‘’Segreteria.’’ed entrai. L'ufficio era piccolo: una minuscola area con delle poltroncine, pavimento di legno scuro, muri dipinti di un caldo color giallo e le pareti tappezzate di avvisi. C’era un bancone e dietro c’era una scrivania, occupata da una donna minutina. Aveva biondi capelli corti, un colorito pallido, due occhi azzurri e le labbra colorate di rosso. La donna alzò lo sguardo. « Posso esserti utile?». Chiese, sorridendo.
«Sono Ashley Page, la nuova studentessa. »le dissi.
«Ah, certo. La nuova studentessa. I nostri studenti sono impazienti di conoscerti. »mi informò, rovistando in una pila di documenti sulla sua scrivania. Entrasse un paio di fogli e mi disse che c’erano i miei orari e la lista dei libri. La ringraziai e uscii dalla segreteria. Seguii un lungo corridoio e feci un giro della scuola, notando con piacere che era un posto davvero accogliente. Camminavo con il volto nascosto dal cappuccio, l’ansia stava prendendo il sopravvento. Guardai il foglio che mi aveva dato la segretaria e la mia prima lezione era scienze, aula 17. Camminai per il lungo corridoio finchè non la trovai, e più mi avvicinavo alla porta, più sentivo l’ansia aumentare. Cercai di concentrarmi e convincere me stessa che sarebbe andato tutto bene. Entrai e notai che l’aula era piccola, c’erano tre file di banchi e quasi tutti erano occupati. Entrarono due ragazze che appesero i loro cappotti su una lunga fila di ganci. Erano due ragazze bellissime: una era alta e bionda, con due occhi nocciola molto caldi, e l’altra era leggermente più bassa con lunghi capelli neri e occhi azzurri. Nascosi il viso nel cappuccio, pensando a quanto ero diversa da quelle ragazze. Mi recai alla scrivania dalla professoressa, e le dissi che ero appena arrivata.
« Bene ragazzi, un momento di attenzione. » disse.
Tutti si zittirono all’istante e ci guardarono, confusi.
« Lei è la vostra nuova compagna, Ashley Page, vi prego, siate gentili con lei. » mi presentò, costringendomi a salutare i miei nuovi compagni, impalata di fronte alla cattedra. Ovviamente io arrossii violentemente, ma almeno mi fece sedere in ultima fila. Tutti mi osservavano e io mi sentivo davvero in imbarazzo, avrei voluto urlare a tutti di smetterla di fissarmi ma non volevo passare dalla parte della mocciosa imbarazzata. Cercavo di concentrarmi su quello che diceva la professoressa, con scarsi risultati. Qualche minuto dopo la campanella suonò e una ragazza si catapultò al mio banco.
« Hey, tu sei Ashley Page? Qui tutti aspettavano il tuo arrivo. » mi disse, sorridendo. Aveva l'aria simpatica e gentile.
« Sì, ma puoi chiamarmi Ash. », spiegai.
« Piacere Ash, io sono Susanne, ma puoi chiamarmi Susy. Che lezione hai ora? ».
Presi in mano il foglio e scrutai bene le scritte. « Uhm, letteratura. » risposi.
« Fantastico, abbiamo un’altra lezione in comune. » disse, ridendo. «  Possiamo andarci insieme, se ti va. »
Sorrisi. « Certamente, grazie. »
Presi la mia borsa e ci incamminammo nel lungo corridoio.
« Così, vivi a Londra da poco? C’eri mai stata prima? », chiese.
« In realtà venivo ogni estate qui, quindi posso dire di conoscere Londra molto bene. »
« Ah, beh fantastico. » mi disse, sorridendo.
« A me non piace Londra, senza offesa. Sento già la mancanza della mia vecchia città. » confessai.
« Posso immaginare. » disse, guardando avanti.
Continuammo il tragitto in silenzio, nessuna delle due sapeva più che cosa dire. Superammo un paio di aule e finalmente arrivammo.
« Eccoci arrivate. Hai capito la strada, più o meno? »
« Certo, grazie ancora. »
Mi rispose con un sorriso ed entrammo. Il resto della mattinata trascorse tranquillo, mi trovai bene nella classe di letteratura e il professore era molto gentile e evitò di presentarmi alla classe, cosa che apprezzai tanto. Stetti vicino a Susy durante tutta la lezione, e scoprimmo di avere altre lezioni in comune. Poco dopo la campanella suonò e ci recammo in mensa, visto che era l’ora di pranzo. Susy era una ragazza molto allegra e carina: era bassa, aveva lunghi capelli castani e gli occhi verdi e aveva un sorriso bellissimo. Ci sedemmo in fondo a un tavolo pieno di suoi amici, che mi presentò. Mi sembravano tutti ragazzi apposto, erano molto allegri e facevano tantissime domande. Addentando la mia mela, notai qualcosa, anzi, qualcuno per la prima volta in quella giornata. Erano seduti in un tavolo, erano in cinque. Ridevano e si tiravano pacche affettuose. Erano troppo impegnati a litigare scherzosamente, quindi potevo osservarli attentamente. Erano bellissimi. Uno era magro, biondo, con due occhioni azzurri e un sorriso dolcissimo.  Uno era più alto e muscoloso, con i capelli rasati e due occhi scuri. Il terzo era smilzo, meno robusto, con i capelli castani e gli occhi azzurri. Un altro aveva gli occhi color nocciola, i capelli neri e la pelle olivastra. E quello che attirò maggiormente la mia attenzione era alto e magro, con i capelli castani e ricci scompigliati, due occhi verdi bellissimi, e un sorriso incorniciato da due fossette dolcissime. Erano lontano dagli altri studenti, lontano da qualsiasi cosa, per quel che potevo capire. Mentre li osservavo, il ragazzo con gli occhi verdi mi guardò e mi sorrise, per poi ritornare a fare quello che stava facendo. Arrossii violentemente e tornai a guardare il mio vassoio.
« Uhm, posso chiedervi una cosa? Chi sono quelli? » chiesi ai ragazzi seduti al tavolo con me. Susy guardò verso il tavolo, come tutti gli altri.
« Sono i ragazzi più popolari della scuola, sono quasi inavvicinabili. Si chiamano Liam Payne, Zayn Malik, Niall Horan, Louis Tomlinson e Harry Styles. » mi spiegò Susy.
Spostai di nuovo lo sguardo sul loro tavolo. Ora quello riccio stava tirando un pezzo di pane addosso al biondino e mi scappò una risatina.
« Sono bei ragazzi. », dissi, osservandoli.
« Assolutamente, sono i ragazzi più desiderati della scuola. » mi spiegò Susy.
« E’ inutile che metti gli occhi su quel tavolo nuova arrivata, tanto non faranno mai caso a una come te. » mi disse una ragazza che non avevo ancora visto prima. Era alta e molto magra, aveva i capelli biondi e un paio di occhi azzurri scintillanti. Sembrava una Barbie. Fantastico, avevo già qualcuno che mi odiava.
« Perché non te ne vai in mezzo al tuo gruppo di galline? »  disse Susy, prendendo le mie difese.
La ragazza le lanciò uno sguardo pieno d’odio e senza dire niente, tornò al suo tavolo, dalle sue amiche. Immagino che quelle erano le ragazze più acclamate della scuola invece.
« E’ una schifosa vipera, lasciala perdere. » disse Susy, con la voce piena di rabbia e mi fece intuire che quella ragazza non le piaceva, per niente. A giudicare dagli sguardi che lanciava al loro tavolo, doveva essere una questione tra di loro. Decisi di lasciar perdere e cambiare discorso.  << Comunque, quindi sono i ragazzi più popolari della scuola, giusto? »  Durante la conversazione, non potevo fare a meno di lanciare continuamente svelte occhiate al tavolo dei cinque ragazzi più belli della scuola. Continuavano a ridere e scherzare, senza pensieri.
« Esatto. »  rispose Susy, addentando un pezzo di pizza.  « Gente che ha avuto l’occasione di parlarci, dice che sono degli stronzi patentati. »  mi avvisò. Mentre li studiavo, quello riccio alzò lo sguardo di nuovo verso di me e stavolta la sua espressione era evidentemente incuriosita. Mi voltai di scatto, arrossendo, e allora mi sembrò di notare che il ragazzo sorrise.
« Chi è quello riccio? », chiesi. Lo sbirciavo con la coda dell'occhio, lui continuava a fissarmi. Penso che avesse capito che stavamo parlando di loro.
« E’ Harry. È uno schianto, ovviamente, ma non sprecare il tuo tempo, come ha detto Anny. Non guarda nessuna ragazza della scuola, lui è sempre uscito con quelle di altri quartieri. » ammise. Mi morsi un labbro, pensierosa. Dovevo capirci qualcosa di più, ero curiosissima. Poi guardai di nuovo verso Harry.  I suoi occhi erano rivolti verso quello biondo, e sembrava stesse ascoltando ciò che aveva da dire. Dopo qualche minuto, i cinque si alzarono da tavola assieme. Tutti si girarono, ammirandoli. Un sacco di commenti volarono dal mio tavolo, tutti complimenti.
« Hey Harry! » sentì urlare. Mi girai e vidi Anny che corse tra le sue braccia e Harry, con sguardo sorpreso, ricambiò l’abbraccio.
« Ehm, ciao Anny. » disse, confuso.
« Come stai? Non parlavamo da secoli. » disse.
« Bene, scusa, avevo altro da fare. Ci vediamo dopo magari. » disse Harry, sorridendo.
Passarono vicino al nostro tavolo, senza degnarci di uno sguardo.  Rimasi seduta a tavola con i miei nuovi compagni più di quanto mi sarei trattenuta se fossi stata da sola. Consultandomi con i ragazzi scoprimmo che avevamo moltissime lezioni in comune. La mia prossima lezione era matematica, materia che odiavo. L’unica cosa positiva? Susy era con me.
Entrammo in classe e andai alla cattedra dal professore. Mi sorrise e mi diede il suo libro, senza nemmeno presentarmi alla classe. Mi fece accomodare all’ultimo banco, vicino a Susy. Guardandomi incontro riconobbi gli strani capelli di Harry Styles, era seduto vicino a un ragazzo che non conoscevo. Mi lanciò uno sguardo con la più strana delle espressioni sul volto e ritornò a parlare con il suo compagno di banco.
« Styles, adesso mi hai veramente stancato. Page, vieni al posto di Jordan. Jordan, vai vicino alla signorina Brume. » disse il professore, furioso.
Arrossendo, presi le mie cose e mi spostai vicino ad Harry. Non osavo guardarlo ne tantomeno parlarci, ma mentre mi mettevo a sedere notai che aveva uno sguardo arrabbiato. Come se fosse stata colpa mia di questo spostamento. Immersa nei miei pensieri, cercai di seguire il professore, senza risultati. Presi appunti, senza staccare gli occhi dal quaderno. Non potevo trattenermi dallo sbirciare di tanto in tanto quello che stava facendo. Prendeva anche lui appunti in tutta tranquillità, non degnandomi di un solo sguardo. La lezione pareva durare più delle altre, era perché finalmente la giornata stava finendo o perché ero vicina a lui? Beh, mi avevano avvisata della sua cattiveria. Dopo un pò la campana prese a squillare e Harry sgattaiolò via. Ci rimasi male, perché in quella scuola mi odiavano tutti? Che cosa avevo fatto di male? Era colpa di qualche cosa che avevo detto o fatto?
« Hey Ash», disse una voce maschile.
Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo, era un amico di Susy, lo riconobbi subito.
«Ciao», salutai, con un sorriso.
«Allora come sta andando?».
«Abbastanza bene, è dura, ma me la caverò».
«Che cos’hai adesso?».
«Devo fare chimica. Che bello».
«Ci vado anch'io». Sembrava entusiasta. Sorridendo, uscimmo dall'aula e ci incamminammo verso la classe, chiacchierando del più e del meno. Scoprii che avevamo un po’ di corsi insieme e ne fui felice, mi sembrava un ragazzo molto simpatico. Mentre entravamo in classe, mi chiese: « Sbavi anche tu dietro al gruppo più famoso della scuola? Ho visto che eri vicino a Styles ».
Rimasi impalata, guardandolo. « Uhm, no. E’ stato il professore a spostarci » dissi, prendendo posto. Durante la lezione, inziai a non sentirmi troppo bene, sarà stato per colpa dello stress.
« Scusi professoressa, potrei uscire un secondo? » chiedi, speranzosa.
« Oh, ma certo. » rispose, sorridendo.
Uscii in cortile per prendere una boccata di aria fresca. Mi recai verso la macchinetta e presi una bottiglietta di succo all’arancia. Afferrai il collo della bottiglia bevendo l’ultimo sorso, e lo scagliai dentro il cestino. ‘’Ti troverai bene’’ mi dicevano.  Tornai in classe e finsi di ascoltare gli ultimi minuti di lezione, scarabocchiando sul mio quaderno. Finalmente la campanella suonò, segno che la giornata era finita. Mi trascinai verso il bagno per darmi una sistemata e bere un sorso d’acqua. Qualche ragazzo mi salutò ma io ne riconobbi giusto uno. Quando arrivai vicino alla porta del bagno sentii una risata. Appena la riconobbi, mi bloccai. Era la voce di Anny. Riuscii a captare immediatamente l'argomento della discussione: stava parlando di me.
« Hai visto la nuova arrivata? Non ci tengo nemmeno a commentarla. E’ così sfigata. » disse a qualcuno, ridendo. Non potevo credere che parlasse di me alle mie spalle, senza nemmeno conoscermi. Ma chi si credeva di essere? Perché mi odiava così tanto? Di scatto la porta si aprì e mi ritrovai di fronte a Anny e a una ragazza mai vista prima. Anny mi guardò con uno sguardo pieno d'odio. Per un istante mi sentii triste, che cosa le avevo fatto di così male per farmi odiare?  « Guarda chi abbiamo qui. » disse, velenosa. « Origliamo pure le conversazioni adesso? ». Senza aggiungere altro, girò i tacchi e uscì dalla stanza. Io mi appoggiai sullo stipite della porta, pensando alla scena successa qualche secondo prima. Fantastico, ora mi odierà ancora di più. Mi incamminai verso l’uscita ma venni fermata da una voce che urlava il mio nome.  « Com'è andato il primo giorno? » chiese un amico di Susy, di cui non ricordavo il nome.
« Bene, molto bene »,  mentii. Il ragazzo non sembrò convinto. « Ne sei sicura? »
«Certo. »dissi, sfoggiando il sorriso più falso che potessi fare.
Tornai al mio scooter, uno degli ultimi mezzi rimasti nel parcheggio. Faceva davvero freddo ed io ero costretta a tornare a casa con solo una misera giacca addosso. Ma perché capitava tutto a me? Tornai a casa, sforzandomi per tutto il tragitto di non piangere.

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