I don't care, I'll be there for you

di CAMM
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one ***
Capitolo 2: *** Chapter two ***
Capitolo 3: *** Chapter three ***
Capitolo 4: *** Chapter four ***



Capitolo 1
*** Chapter one ***


I don’t care, I’ll be there for you
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Questa storia la dedico a mio fratello,
per farmi sempre ridere di gusto,
per il suo modo di amare la vita.

 

CHAPTER ONE

 
Il suo sorriso sfuggente colpiva in pieno il petto di Connie.
I due al lato della ragazza si stavano allegramente ficcando la lingua in gola, altri due di fronte a lei erano già passati ad altro; mentre un tipo poco lontano stava vomitando anche l’anima.
Quel sorriso, quegli occhi; non riusciva a definirli.
Connie era sempre stata una ragazza solitaria, preferiva semplicemente tenere le sue cose per sé. Connie, dì la verità almeno a te stessa.
La vocina dentro la sua testa continuava a farsi sentire.
Quegli occhi perforanti, si posarono ancora una volta sul viso di Connie, la sue guancie si tinsero immediatamente d’un rosso acceso.
Tom avanzò di qualche passo e rivolse la parola alla ragazzetta: -Ehi, hai visto mia sorella per caso?-
Le guance di Connie scottavano.
-Mi pare sia ancora dentro al locale, l’avevo vista in buona compagnia-
-Oddio, non dirmi che devo staccarla da un manico sessuale!-
Connie amava più di qualsiasi cosa quella sua ironia, la faceva ridere di gusto, poi si punì mentalmente di aver anche solo pensato una cosa del genere.
Tom accennò un: -Vado a recuperarla- e sparì.
Dopo non molto uscì nuovamente un Tom con una Demetra in spalle; la scena era alquanto comica, la sorella che urlava e calciava, mentre il fratello che se ne sbatteva altamente delle urla.
Connie non riuscì a trattenere una risata e si precipitò dai due.
-Hai bisogno di una mano, Tom?- Arrossì violentemente, era più forte di lei. Stramaledì mentalmente la sua carnagione troppo chiara e cercò di decifrare le intenzioni di quello strano soggetto.
Tom stava bestemmiando in aramaico, sua sorella era decisamente una cogliona.
-Tranquilla, Connie, ora ce ne andiamo a casa- E così dicendo tirò una pacca nel culo della sorella che nel frattempo era passata da uno stato di angoscia ad uno di passività totale.
Connie riuscì solamente a sorridere lievemente al ragazzo e ad osservare la sua camminata strana percorrere tutto il parcheggio.
Connie, a quel punto, tornò a sedersi e si strofinò il viso più volte.
Sospirò rumorosamente.
Che merda.
Pensò troppo forte.
-Già, un vero ammasso colossale di merda!- Affermò un tizio che, senza che nessuno se ne accorgesse, s’era appostato al fianco della ragazza.
Connie s’irrigidì, ci mancava solamente l’ubriaco di turno, cazzo.
No, non era aria.
Il tipo la fissava ambiguamente, che voleva?
-Senti, ma noi siamo amici? Perché stasera ho visto una cosa che tipo assomigliava ad un misto di un alieno e un velociraptor assassino- Quello cominciò a ridere sguaiatamente, come una gallina agitata.
Connie non era in grado di gestire certe situazioni, che ci faceva lei lì? Che centrava con tutta quell’ammasso di gente? Forse, in comune con tutti quegli adolescenti bruciati, aveva solo i capelli tinti d’un verde scuro.
Si alzò timidamente, lei, in generale, era il ritratto della timidezza, che odiava e cercava in qualsiasi modo di nasconderla con degli anfibi troppo larghi.
Si sentì afferrare il polso da quel maniaco, fu obbligata a voltarsi.
-Almeno dimmi il tuo nome, dolcezza-  La ragazza era decisamente spaventata, cominciava a tremare, un po’ per il freddo pungente, un po’ per l’ansia.
Staccò la presa del tizio con uno strattone secco.
-Io sono Mark, comunque…-
Connie si voltò e cominciò a correre, a correre fino a perdere il fiato in gola, fino a sentire l’ossigeno mancarle e il cuore accelerare i battiti.
Che ore saranno state?
Tardi, molto tardi.
Lei non sapeva precisamente dove andare, correva senza quasi più sentire le gambe, senza far troppo caso alla sua iperventilazione.
Si fermò di scatto, nel bel mezzo della strada.
Era arrivata inconsciamente alla sua destinazione.
Il parco era sempre la risposta alle sue domande, scavalcò con un po’ di difficoltà il cancello d’entrata. Il guardiano era un ciccione spaventoso, uno di quegli anziani degradati dalla società.
E quale degrado più grande c’era al mondo se non un’adolescente fin troppo poco vestita per una notte di febbraio e dai capelli troppo colorati? L’avrebbe ammazzata all’istante se l’avesse beccata; ma d’altronde, dove mai avrebbe potuto rifugiarsi?
Connie ripensò un attimo alla serata, un completo fallimento. Tutti ubriachi spolpi che nemmeno riuscivano a reggersi in piedi, vomito ovunque, baci che non sapevano di carezze e risate troppo sguaiate. Odiava tutto questo, non si sentiva parte di questa allegria collettiva, anzi la odiava.
Non rimase a pensare molto a lungo, il sonno prese il sopravvento e si risvegliò al primo spiraglio di sole. Il suo primo pensiero fu rivolto al ciccione del guardiano, perciò istintivamente corse verso l’entrata, scavalcò il cancello e corse via fin quando il fiato cominciò ad accorciarsi, allora decise ch’era abbastanza lontana e si fermò.
Connie portava i capelli corti, quasi rasati da una parte e nelle nottate di febbraio di certo questi non contribuivano a frenare il gelo. Si mise il cappuccio con un gesto rapido.
Camminava velocemente, era sempre abituata ad avere un passo rapido.
Arrivò presto alla piazza del paese, cercò il cellulare per guardare l’orologio, era ancora abbastanza presto, il sole era appena sorto, eppure la pasticceria era già aperta.
Aprì la porta della pasticceria e un profumo dolciastro le inondò le narici, era piacevole.
Il caldo dei termosifoni la abbracciava. Non c’era ancora nessuno all’interno.
Connie si sedette ad un tavolo e ordinò una brioche ed  un cappuccino.
Amava fare colazione in quel posto, amava tutto di quel locale, era talmente dolce e confortevole che la metteva sempre di buon umore. Si gustò con calma quella brioche, era da parecchio che non mangiava, in effetti. Cercò di ricordare mentalmente, forse persino un paio di giorni.
La porta si aprì e la ragazza col cappuccio non si voltò a guardare, era completamente immersa nella sua calda brioche al cioccolato fin quando una sagoma si accomodò nella sedia di fronte alla sua.
Oddio, lo psicopatico della sera prima, l’alcolizzato maniaco.
Connie smise di masticare e fissò l’elemento frastornata.
Nell’oscurità della sera prima non aveva notato quegli occhi chiari, la colpirono in pieno e le sue gote s’arrossarono.
-Che vuoi?-
La voce quasi le si strozzava in gola, era praticamente paralizzata, Connie era una tipa che si faceva sempre prendere dall’agitazione del momento, ma non lo dava mai a vedere ed era brava in questo.
Mark si stampò un sorrisetto sghembo sul viso che la irritava molto.
-Conosci i DeLonge?- Il sorrisetto sparì per lasciare invece un’espressione più seria nel suo volto.
Ma che aveva quello?
-Conosco Demetra,sì, perché?-
Il ragazzo mugugnò qualcosa sottovoce, Connie cominciò a sentirsi addosso tutto il peso della stanchezza accumulata. A proposito di Demetra, sarebbe dovuta passare da lei, voleva come minimo accertarsi che non fosse finita in coma etilico, dopo la sera precedente.
-Senti, mi dici che cazzo vuoi da me? Perché ho un paio di cose da fare, io!-
-Alle sei e mezza di domenica mattina?-
In effetti poteva suonare molto una scusa, ma lei doveva davvero andare da qualche parte, per esempio a casa, a darsi una lavata come minimo.
-Ma che cazzo vuoi da me, si può sapere?-Connie aveva sempre la tendenza a proteggersi alzando la voce. Si alzò di scatto. Appoggiò una banconota al tavolo.
-Ah, fanculo, me ne vado io- Disse per poi girarsi e marciare decisa verso la porta d’uscita.
Si incamminò verso la casa dei DeLonge, non aveva ancora voglia di tornare a casa sua.
Non ci mise molto ad arrivarci, la casa era una piccola villetta che si estendeva su un unico piano, scavalcò l’inferriata, come ormai era abitudine, fece il giro del giardino e bussò forte alla porta-finestra dell’amica.
Demetra dormiva ancora, dopotutto erano ancora le sei e mezzo del mattino anche per lei, si alzò di mala voglia dal suo letto e aprì la finestra inarcando il sopracciglio.
-Che ci fai qua? Perché non vai a casa, Connie?- L’amica odiava quelle irruzioni notturne che ormai erano consuetudine per Connie.
-Sì, ora ci vado a casa è che prima volevo accertarmi che non fossi finita in coma etilico-
-Oh, Connie, non star sempre a preoccuparti per me, cazzo, ce la faccio a badare a me stessa, non m’occorre la badante- Demetra, di prima mattina, era sempre più scazzata del solito.
-Ho visto come sai badare a te stessa, Tom t’ha dovuto portare in spalle fino alla macchina, non ti reggevi manco in piedi-
-Strano …Non lo ricordo-
L’avrebbe ammazzata, giura, l’avrebbe ammazzata.
-Vabbè, hai fatto colazione, tu?- Chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
-No-Mentì Connie, aveva bisogno di altro cibo, il suo stomaco vuoto cominciava a borbottare.
Uscirono dalla stanza di Demetra, i suoi genitori andavano spesso via durante i weekend, per affari, o almeno questo era quello che dicevano.
Si prepararono del latte caldo e mangiarono metà sacchetto di biscotti.
Demetra bevve svariati bicchieri d’acqua, l’alcol la disidratava.
Nonostante tutto Connie e Demetra erano amiche sincere, passavano volentieri il tempo a chiacchierare. Parlando il tempo cominciò a correre più veloce fino a che arrivarono le nove.
A quel punto, si svegliò anche Tom e, diciamocelo, Connie non aspettava altro.
I suoi occhi si posarono sulle due ancora sedute al tavolo della cucina, si avvicinò e si sedette con loro. Non aprì bocca, si poteva capire che era abbastanza devastato.
Connie lo riteneva piuttosto bello persino in quello stato, ma non azzardò ad osservarlo.
Ci fu un periodo di silenzio durante il quale Connie fissò l’orologio, aveva ancora tempo per rientrare a casa.
-Deme, ti ammazzo la prossima volta- La voce di Tom era roca e terribilmente sexy, che appena finì la frase Connie si portò le mani sulla fronte, come a cercare di nascondere la pelle tingersi d’un acceso rosso.
Demetra non rispose alla provocazione del fratello.
-E fammi un caffè per farti perdonare!- suonava come rimprovero, ma Demetra non lo udì come tale.
La verità?
Tom era un emerito coglione, in tutto e per tutto, un ragazzo cresciuto in fretta, troppo preso dal suo ego, fin troppo spavaldo ed estroverso, che amava scherzare con la vita.
Connie era tutto il contrario, aveva paura della vita, lei.
Connie non era stupida e quando ripensò ai loro mondi opposti le venne istintivo alzarsi dalla sedia, congedarsi sbrigativamente con l’amica e infilare in quattro e quattr’otto la porta.
Si ritrovò presto per strada, di nuovo e le sue gambe cominciarono istintivamente una corsa, quasi una fuga da cosa-chi non si sa bene.
Raggiunse casa ansimando, una goccia di sudore le scese lungo la fronte, sebbene ci fosse un freddo del cazzo, quella mattina di febbraio.
Aprì il cancello e la porta con le chiavi. Sempre la solita ansia si fece risentire, la mani cominciarono a sudare freddo, Connie si tolse la scarpe cercando di non far troppo rumore.
-Connie, sei tu?- Sentì urlare dalla cucina.
La ragazza senza dire nulla si presentò sulla soglia della cucina, vide la madre indaffarata ai fornelli, le sorrise delicatamente, senza sforzo.
-Com’è andata dai DeLonge? Avete dormito almeno un pochetto ieri sera?-
Sua madre si beveva sempre tutte le cazzate di Connie.
-Certo, ma’, abbiamo solo chiacchierato un po’, nulla di che-
Certo, come no.
Le due si scambiarono una minuscola discussione, dopo la quale Connie s’infilò nella sua camera intenta a restarci per il resto della giornata. Fortunatamente il padre non era in casa, o almeno non lo aveva incrociato.
Il vero problema di Connie era suo padre, la trattava come l’ultima cretina della terra, lui non la voleva una figlia, non l’ha mai voluta. Questo, a Connie, non piaceva rivelarlo in giro.
Presto, forse troppo presto, la madre la chiamò per il pranzo.
Connie scese di malavoglia, ormai i pranzi in famiglia erano rari e silenziosi, Connie preferiva sempre evitare quei momenti, ma la domenica era un rituale sacro a cui non poteva assolutamente sottrarsi.
Sbuffò un paio di volte scendendo le scale, poi girò l’angolo ed entrò in cucina.
Si sedettero tutti a tavola. Connie, la madre, il padre e il fratello Gregory.
Gregory era più grande di lei di quattro anni, era all’ultimo anno, in classe con Tom, ma con lui non aveva nulla da condividere, anzi, Gregory odiava profondamente tutto quel modo di essere, di vestirsi,  di bucarsi il corpo con dei piercing e scriversi nella pelle a vita, quel mondo nel quale era immersa la sorella; forse era proprio per questa diversità che i due non si calcolavano minimamente.
I rumori delle forchette accompagnavano il pranzo, Connie cercava di mangiare più rapidamente possibile, così da metter fine in fretta quella tortura.
-Così tua madre mi ha detto che hai preso un altro richiamo scritto dalla preside, Connie- Seguì un minuto di silenzio nel quale la ragazza per poco non si soffocò con quel petto di pollo troppo crudo.
-Che pensi di fare, Connie? Di prenderci in giro tutti? Che hai in quel fottuto cervello?- Tutti i componenti della famiglia, ormai, avevano posato le forchette e le loro mandibole si irrigidirono contemporaneamente.
-Non pensare di scamparla liscia questo giro, Connie, andrò io di persona dalla preside-
Connie sentiva già il nodo alla gola che gli saliva piano. Serrò i pugni. Deglutì rumorosamente cercando di trattenere le lacrime. Connie era quel tipo di ragazza che aveva la sensazione di scoppiare a piangere mentre la sgridavano.
Rimase immobile, paralizzata da tutte quelle parole, si sentiva morire. Come poteva un padre rinnegare sua figlia? In che modo? Con quale coraggio?
Connie strinse i denti, finì di mangiare e, sempre con la stessa espressione neutra, salì le scale.
Scoppiò a piangere solamente dopo aver chiuso la porta della sua stanza a chiave.


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Hola mundo! 
Allora, questa storia è un'esperimento, è la mia prima storia sui Blink e mi fa abbastanza strano, bboh vabbè. Non so se riuscirò a portarla a termine, anche se ho abbastanza idee.
Spero vi piacciaa, lasciate un recensione se vi va, ragasssssiii.
Muchlovve, 
  Cami 

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Capitolo 2
*** Chapter two ***


CHAPTER TWO

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Il mattino seguente Connie non aveva voglia d’alzarsi, appena la sua sveglia la costrinse ad aprire gli occhi sentiva le occhiaie gonfie che le pesavano.
Cercò in qualche modo di alzarsi, si vestì nascondendo come sempre la sua timidezza dentro una felpa troppo larga, non fece colazione ed uscì di casa accendendosi una Marlboro rossa, sentì il catrame percorrerle le vie respiratorie. Come al solito passò per casa DeLonge, aspettò all’ingresso fino a che i due, in inevitabile ritardo, uscirono dal ciglio di casa.
La mattina, per tutti e tre, era una dura situazione. Perlopiù si limitavano ad un lieve segno di saluto.
Arrivati davanti all’ingresso del liceo, Connie notò subito una figura che avrebbe preferito non vedere. Quel tipo alcolizzato, stupratore, maniaco. Com’è che si chiamava? Forse Matt o forse Mark, non ricordava.
-Deme, ti prego, cambiamo strada, quel tizio è un maniaco- Sussurrò all’orecchio dell’amica cercando un appoggio. Tom, dopo poco, si avvicinò al losco tizio e gli battè il cinque, ci mancava solo che fosse un suo amico.
Troppo tardi per fuggire, Connie.
Ehilà, chi non muore si rivede!- Il maniaco sfoggiò un ampio sorriso, Connie era completamente paralizzata, il massimo che riuscì a fare fu alzare il labbro superiore in una sottospecie di smorfia abominevole.
-Vi conoscete?- Chiese allora Tom guardando la ragazza stupito.
Connie cominciò a scuotere la testa in modo ossessivo compulsivo, le sue guancie si colorarono in un attimo.
-Mi ha fatto compagnia sabato sera, vero baby?- Esclamò infine lo psicotico, leccandosi le labbra e facendole l’occhiolino con fare sexy. Se possibile, le guancie di Connie diventarono ancora più rosse. Demetra dette un colpetto al braccio dell’amica e la fissò incredula.
-Non è un cazzo vero, maniaco, degradato, pervertito- La lista di insulti continuò per una decina di minuti, era assurda l’ampiezza di sinonimi che conosceva quella ragazza.
Finita quella lista, Connie fece dietrofront e si addentrò rapida nella scuola.
Incontrò Gregory nel corridoio che la bloccò per un braccio e la fece voltare verso di lui.
-Che cazzo vuoi, Gregory?-
-Mamma ha detto di tenerti d’occhio che ti vede strana, devi dirmi qualcosa?- 
Come se a lui interessasse veramente quello che aveva da dirgli Connie. Il nervoso che quelle poche parole le crearono, le iniettarono gli occhi di odio.
-Ma che cazzo vuoi, Gregory? Come se a te importasse davvero… Ah, vaffanculo!- Furono le uniche parole che il cervello di Connie riuscì a sputare fuori.
-Comunque mamma ha detto anche che non puoi uscire questo pomeriggio… Dobbiamo andare dalla nonna- Furono poco efficaci quelle ultime parole, Connie ormai era distante, non gl’importava nulla del permesso di sua madre, lei sarebbe uscita lo stesso, figuriamoci se sarebbe andata da quella ritardata della nonna.
Connie era decisamente troppo misantropa in quel periodo, doveva darsi una calmata.
Entrò in classe in ritardo, tutti già ai loro posti, fulminò la prof che la stava guardando male. Per fortuna di Dio che Demetra le aveva tenuto un posto affianco a lei, in terza fila.
Si sedette sbuffando, lanciando la cartella al suo fianco per poi stravaccarsi nel banco cercando un qualsiasi conforto, come se quella superficie potesse infonderle un pochino d’amore.
Gli balenò in un istante, come un flash, l’immagine di Tom che andava in skate. Doveva smetterla di pensare a lui, doveva decidersi una volta per tutte che lei e Tom non avevano nulla a che fare; doveva essere realista un volta tanto nella vita.
Si sentì un po’ più pesante di prima con quell’immagine ancora nella testa, come se le sue spalle dovessero portare un altro masso in più.
-Connie, cazzo, mi ascolti?- La rimproverò l’amica al suo fianco.
Connie la guardò di sbieco, come per dirle di cominciare il suo racconto, perché la ragazza conosceva fin troppo bene Demetra e sapeva da quello sguardo che ora l’amica avrebbe cominciato una lunga storia.
-Hai presente Trevis? Quello dell’ultimo anno, l’amico di mio fratello?- Connie aggrottò la fronte cercando di focalizzare un’immagine di una persona con quel nome, ma non riuscì a trovarla. Scosse la testa.
-Dai, Connie, quello pieno di tatuaggi!- 
Oh, cazzo. No, quello era un tossico, Connie le percepiva queste cose, quel tipo era sicuramente un tossico, maniaco e stupratore. Tre in uno.
-Ah, sì, ho capito chi è… Non dirmi che ti sei scopata quel tossico, Demetra!- Lo sguardo che Connie mandò all’amica fu penetrante.
-Oh, che palle che sei! Non è un tossico, cazzo! Guarda, Connie, la prossima volta non ti dico un cazzo così non rompi le palle- Era incredibile il numero di parolacce che Demetra riusciva ad inserire in una sola frase.
A Connie non interessava quella stupida situazione. Ci fu un periodo di silenzio, Demetra cercava di seguire un minimo la lezione mentre Connie si addormentò sul banco.
Demetra le tirò uno spintone nel gomito, Connie sobbalzò.
-Connie, cagami per l’ultima volta. Senti, questo lo dico solo a te e se quella tua boccaccia oserà a divulgarlo in giro per la scuola, ti strappo le ovaie! Va bene?- Connie odiava quelle sue rivelazioni mattutine, non poteva dormire e tacere?
-Senti, io-io credo c-che- no, un attimo, una Demetra che balbettava non s’era mai vista.
-Sì, insomma, Connie, ci sto sotto!- 
-Che schifo, Cristoiddio, Demetra, non voglio sapere i vostri loschi dettagli sessuali! Teneteli per voi!- La ragazza continuò a borbottare quanto la cosa le provocasse mal di stomaco.
-Ma che cazzo hai capito, Connie? Ci sto sotto nel senso che mi piace seriamente quel Trevis. Dio mio quanto sei pervertita, tu- Connie si sentì un completa rincoglionita a quel punto e sprofondò lentamente nella sedia.
-Ammesso che non posso affermare che è un tossico perché tu me lo vieti, cos’altro dovrei dire? Di essere felice per te? Beh, non pensavo ti piacessero dei tipi del genere, Deme- Connie alzò leggermente la voce, com’è che quel giorno aveva la tendenza ad alzare la voce con tutti?
-Parli tu, Connie, che ti imbamboli ogni volta che c’è mio fratello trai paraggi e non riesci a formulare una frase coerente. Guarda che non sono stupida, lo so che muori dietro a Tom- 
Quello era troppo. La goccia che fece traballare la poca stabilità mentale di Connie.
Tutti i ragazzi della classe si erano voltati a guardare le due, Demetra aveva urlato troppo forte le ultime parole. La prof le fissava basite.
Connie non poteva sopportare tutto questo, si alzò di scatto dal banco e corse fuori dall’aula con il cuore pieno d’odio.
Corse per i lunghi corridoi della scuola, la Madison  assomigliava di più ad un’università che ad un liceo.
La stessa sensazione di sempre, le gambe che corrono, la testa da tutt’altra parte.
Uscì dal portone principale della scuola, un bidello cercò di rincorrerla invano.
Connie sapeva essere veloce come il vento quando voleva, il suo sguardo si fece appannato dalle lacrime.
Demetra l’aveva ferita.
Connie faceva sega a scuola molto spesso, sua madre era troppo ingenua e la sua firma era facilmente riproducibile. Corse ancora un po’, fino a che il fiato il gola era talmente corto da farle girare la testa, per un attimo ebbe l’impressione di svenire. Si sedette negli scalini sotto i portici.
Quello era il posto dei tossici, dei barboni e di chi, come lei, faceva sega a scuola.
Si rannicchiò su se stessa, cercando di comprimere le emozioni in modo che non facciano troppo male, eppure sembrava un tentativo vano, le fitte al ventre la prendevano e la facevano versare alcune lacrime salate. Connie era una ragazza dalle lacrime facili, le capitava spesso che la sera, prima di coricarsi, le veniva una malinconia che le prendeva lo stomaco e la faceva singhiozzare.
Come aveva potuto dirlo? Non riusciva a capacitarsene. Tom l’avrebbe saputo sicuramente entro l’arco della giornata. Fanculo.
-Perché hai i capelli verdi?-
Connie sussultò in preda al terrore. Possibile che non si fosse accorta di quella presenza?
Si asciugò con la manica le lacrime e inspirò forte una boccata di quell’aria gelata.
Tom era di fronte a lei e non se n’era nemmeno resa conto.
Tom le aveva fatto una domanda, avrebbe dovuto come minimo rispondere.
Arrossì quando capì che Tom si sedette di fianco a lei.
-Non lo so perché, mi piacevano … Ecco sì, mi piaceva il colore, tutto qua- 
-Ah- Quella risposta non fu molto entusiasmante.
Il cuore di Connie cominciò a accelerare appena Tom rimase con gli occhi puntati sul viso della ragazza, le guancie di Connie erano paonazze come mai prima.
-Mi ha appena chiamato Demetra, che è successo, Connie?- La ragazza abbassò lo sguardo, era una cogliona. Cos’era successo non lo sapeva nemmeno lei, nella sua mente era solamente impressa l’immagine degli occhi iniettati d’odio e delle parole troppo forti. Non riusciva a trattenere quelle fottutissime lacrime, la gola si annodava e delle morse allo stomaco la facevano scattare.
Demetra era l’unica amica che Connie avesse mai avuto e questo era il punto più dolente della situazione.
Tom era paralizzato dalle lacrime ch’erano sempre state la sua più grande paura. Un ragazzo tanto grande e grosso, immobilizzato da quelle lacrime.
-Mi-mi sembrava abbastanza in panicata, comunque se vuoi parlarne, altrimenti fa nulla- La voce di Tom era sommessa, Connie non l’avrebbe mai riconosciuta se non fosse stata certa che c’era solo lui, lì di fianco.
Per un attimo, per un solo istante, la mente di Connie si bloccò. Assaporò quel secondo di fianco a lui, si sentì per la prima volta a suo agio accanto a Tom, le sue guancie smisero di bagnarsi e tornarono al loro solito colorito cadaverico. Avrebbe voluto fermare il tempo un altro secondo, per restare ancora un po’ lì, con lui.
-Non è successo nulla, Tom, risolveremo presto.- Le sue parole scivolarono fuori pulite, candide, senza problemi, ma sopra ad ogni cosa quelle poche parole erano vere. Connie, era sicura, il giorno seguente sarebbe ricominciato tutto da capo, come sempre anche se a Connie questa storia bruciava sotto la pelle.
-Ti credo, Connie, ma non farla star male, intesi?-
Tom sparì portandosi dietro un pezzo di Connie, trascinandosi addosso le emozioni della ragazza dai capelli verdi.
Connie non tornò a casa a mangiare, non mangiò affatto.
Andò all’uscita della scuola, cercando con la vista Demetra. Dov’era finita?
Il piazzale si svuotò nell’arco di un quarto d’ora e di Demetra nessuna traccia.
Connie non riusciva a sopportare quella situazione ancora per molto, sfilò il telefono dalle tasche e compose rapidamente il numero dell’amica che sapeva a memoria.
Prima che la destinataria rispondesse, apparve la sua figura magra camminare lentamente affianco ad un tizio completamente avvolto di tatuaggi dalla testa ai piedi, Trevis.
Connie, d’un tratto chiuse la telefonata e si sentì di troppo.
Appena l’amica s’accorse della presenza di Connie, le corse in contro.
-Che cazzo di fine hai fatto, sei fuori di testa ad andartene così?-
Lo sguardo di Connie si rivolse a terra.
-Hai ragione, Deme, non so che m’è preso- 
-Non rifarlo mai più, stupida-
La accolse tra le sue braccia, non ci abbracciavamo spesso, noi due, anzi, quasi mai. Erano calde e confortevoli le sue braccia, anche se aveva ancora l’amaro alla bocca per essere stata sottomessa ancora una volta.
Sciolto l’abbraccio, Demetra si rivolse a Trevis che nel frattempo le aveva raggiunte, farfugliarono qualcosa d’incomprensibile e poi Deme chiese all’amica di mangiare a casa sua. Connie accettò con un sorriso.
Mangiarono di gusto nella tavola della cucina.

 
 
-Dove cazzo stiamo andando, Deme?- Connie era piuttosto in imbarazzo, affrontare la giornata con quel Trevis di mezzo non era affatto una passeggiata.
L’amica non le rispose, Connie si rassegnò e continuò a camminare dietro ai due che si tenevano per mano. Che cosa estremamente ripugnante e iperglicemica.
Arrivarono ad un capannone disperso in mezzo al nulla, un capannone di cemento abbandonato, devastato di murales ovunque. Connie adocchiò un tizio che ne stava disegnando uno, sembrava stesse formando una scimmia o qualcosa di simile.
Entrarono dentro questo ammasso di cemento. Era vuoto, deserto, enorme e dispersivo.
All’interno ci saranno state una decina di persone, alcune sedute a terra, altre in piedi. Connie non capiva.
Un tipo poco più alto di Connie si avvicinò a loro, salutò Trevis, si dovevano conoscere abbastanza bene dalle parole che si scambiarono. Trevis presentò la sua ragazza, passandole il braccio attorno alle spalle.
Si dirisero verso un angolo del capannone, Connie li seguì a testa bassa.
C’era un ragazzo per terra, tra le dita aveva una canna e l’odore di quell’erba solleticava le narici di Connie.
Era Tom.
Connie cominciò a sentirsi a disagio ed inappropriata. Si chiese mentalmente cosa avesse da condividere con quella gente. Nulla. Non centravano nulla con lei e non capì perché Demetra l’aveva portata con sé, forse per compassione.
Si strofinò gli occhi e sbuffò rumorosamente. Percepì quella strana sensazione di voler cominciare a correre e lasciare che tutto il resto venga da sé, ma riuscì a controllarsi e si sedette di fianco a Demetra.
Osservò Tom, aveva gli occhi semichiusi e sembrava tranquillo, in pace con il mondo. Connie si chiese cosa stesse sognando, cosa stesse immaginando in quel momento. Chissà se anche lei era parte del sogno di Tom.
Il tizio che li aveva ‘accolti’ all’interno del capannone passò a Demetra e Trevis degli spinelli ben rollati, poi si rivolse a Connie e gliene porse uno. La ragazza cominciò subito a far cenno di no con la testa, non era roba per lei, quella.
-Dai, Connie, non fare la rompi cazzi e prendila!- Le quasi urlò dietro Demetra.
Che cazzo faceva?
La sua mano si allungò a prendere quella cosa maleodorante.
Che cazzo stava facendo?
Con la coda dell’occhio osservò Tom, immobile, ancora gli occhi semichiusi.
A turno si passarono l’accendino, anche Connie l’accese.
Inspirarono quasi simultaneamente i primi tiri.
Perché lo stava facendo? Aveva davvero bisogno di quello schifo?
Dopo alcuni minuti sentì pervadersi di una sensazione strana, la vista era annebbiata, la confusione che aveva in testa non le faceva percepire la sensazione del tempo che scorreva.
Come se tutto si fosse bloccato, come se il tempo non corresse più veloce.
A quel punto Connie chiuse gli occhi, la prima immagine, come sempre fu Tom. Tom in skate, Tom la mattina, Tom in macchina, Tom sorridente, Tom scazzato, Tom con Demetra appresso, Tom con lei. Le labbra di Tom, gli occhi di Tom, il sorriso di Tom.
Riaprì gli occhi di colpo, lui era ancora seduto tranquillamente a pochi metri da lei.
Si guardò intorno, Demetra e Trevis stavano per spogliarsi, avrebbe assistito ad un filmato porno in diretta se fosse rimasta lì ancora un poco. Che merda.
Tentò di alzarsi, cercò a stento un briciolo di equilibrio. Fissò Tom e in quel momento l’unica cosa che aveva voglia di fare era sedersi di fianco a lui e sentire la sua presenza.
Lo fece. Forse, per la prima volta in vita, fece solamente ciò di cui aveva voglia e fu una sensazione talmente leggera e libera le pareva di volare; lì, affianco a lui le pareva di volare.
Tom scrutò dall’alto al basso la ragazza, stava recuperando pian piano la lucidità.
Il ragazzo si alzò d’un tratto, allungò la mano verso Connie che l’afferrò d’istinto e s’alzò anche lei.
Cominciarono a correre. La testa girava, l’equilibrio barcollava, ma esistevano solamente le loro gambe che correvano veloci e le loro mani che si stringevano, come se per la prima volta si fossero accorte d’essere complementari e avessero paura di perdersi ancora una volta.
Il campo d’erba dove correvano era fangoso, ma a loro non fregava di nulla. Loro stavano volando sopra ogni emozione, sopra ogni regola. Si gettarono a terra sfiniti e il fango s’inzuppò nei loro vestiti.
Le loro bocche si aprirono in dei sorrisi sinceri.
Erano pieni. Pieni di vita, pieni di emozioni, pieni di felicità, pieni di speranza, pieni di vitalità e pieni di nulla.
Era una pienezza vuota, la loro.
Si sedettero uno di fronte all’altro.
-Vedi il cielo, Connie, lo vedi? Il cielo è il mio sogno, arrivare dove nessuno può, vincere l’impossibile. Non voglio smettere di sognare, di chiudere gli occhi e catapultarmi altrove. Capisci, Connie? Voglio continuare ad avere delle speranze, a credere nel cielo-
Connie rimase esterrefatta, perché diceva questo?
Quella sensazione di leggerezza e spontaneità che aveva addosso riuscirono a farle dire ciò che pensava, ciò che voleva.
-Allora prenditelo il tuo sogno, Tom, vai là e prenditelo. Ce la puoi fare, io credo in te, Tom-
Erano decisamente fatti, quella era veramente roba buona, eppure un fondo di verità c’era, le loro parole, in fin dei conti non erano del tutto insensate.
Il loro occhi affogarono gli uni negli altri; insignificanti occhi scuri che si immergevano tra loro, si univano come in un unico sguardo.
Restarono ancora lì, ad osservare il cielo che quel giorno era d’un azzurro intenso, faceva quasi male agli occhi guardarlo.
Connie voltò il viso e notò la poca distanza che c’era tra i loro corpi.
Le sue guancie si tinsero d’un rosso scarlatto, ancora una volta.

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Buondì ragaa,
allora vorrei esplicitare che volevo inserire la droga, per essere abbastanza realista, perchè queste cose capitano agli adolescenti (?) però penso questa sia la prima e l'ultima volta che la metterò. Che poi, alla fine, è come parlare dell'alcool e qui molti autori lo fanno. Voi che dite? Ho sbagliato? In effetti sono abbastanza incerta su ciò che ho scritto. A dirvela tutta, cari lettori, questo capitolo mi fa abbastanza cagare, ma vabbè, pace.
Volete un spoilerr? 
Nel prossimo capitolo parlarò di Demetra e Trevis principalmente.
Spero davvero di non annoiarvi. A me piace scrivere e vi giuro che mi sta prendendo abbastanza questa storia, perciò ringrazio di cuore tutte le persone che hanno recensito il primo capitolo, davvero, non me l'aspettavo. 
Se volete contattarmi per qualsiasi cosa, qualsiasi! Passate sul mio profilo twittah: kayas15 oppure se volete vedere il mio blog vi lascio il link: Cammciaomao's world
Grazie di tutto, lo so, ho scritto uno spazio autore lunghissimo e io odio sti cosi lunghissimi. Ahah, ok, vi prometto che d'ora in poi sarò più sintetica (?)
Scrivetemi le vostre impressioni, a presto.
Cami

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Capitolo 3
*** Chapter three ***


CHAPTER THREE

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Demetra si alzò dal letto e lungo la schiena nuda percepì un brivido gelido. Afferrò da terra una felpa del fratello e un paio di pantaloni troppo larghi, della tuta di suo padre.
Diede una manata alla sveglia già malridotta.
Osservò la sua stanza, era un totale casino, s’appuntò mentalmente di sgombrare almeno il percorso letto-porta nel pomeriggio. Si preparò svogliatamente notando che il fratello, stranamente, non aveva occupato il bagno prima di lei.
-Tooooom!- Urlò allora la sorella guardando ancora una volta l’orologio, erano già in ritardo.
Entrò nella camera di Tom continuando a urlare qualche minaccia e imprecando tutti i Santi del Paradiso.
Tom non era letto, non era in bagno, non era in cucina e nemmeno in sala. Era sparito.
Beh, cazzi suoi.
A quel punto, uscì di fretta da casa componendo il numero del fratello al cellulare.
Prima che Tom riuscisse a finire di dire ‘Pronto’ Demetra cominciò a urlargli dietro: -Si può sapere dove cazzo sei andato a finire? Madonna, Tom, ti prenderei a sprangate quando fai così-
Tom riattaccò senza risponderle, non aveva voglia di scazzi quella mattina e sua sorella incazzata era decisamente uno scazzo.
Demetra camminò decisa fino al cancello della scuola, quella mattina non era decisamente cominciata al meglio.
Con gli occhi cercava Travis, ma nulla da fare, non c’era. Pensò mentalmente che facesse sega quel giorno, ma due minuti dopo le sue braccia inchiostrate le avvolsero i fianchi. Erano quelle le piccole gioie che amava, le sue braccia calde, i suoi occhi chiari, il suo sorriso.
Demetra si girò di scatto per dargli un lieve bacio a fior di labbra, Travis impose più passione a quel bacio e le loro lingue si incontrarono piacevolmente.
Si divisero solamente dopo che Tom impose la sua presenza punzecchiando la spalla della sorella.
-Dem, dì a mamma che mi fermo da Mark dopo scuola, per provare-
Demetra osservò gli occhi nocciola del fratello. Mentiva.
-E dove vai?- Gli disse fissandolo e provocandogli un leggero senso di oppressione.
-Cazzi miei, Demetra!-
La ragazza entrò a scuola con il viso rivolto verso il pavimento.
Come un automa che programmato va da sé, Demetra entrò in classe, si sedette, appoggiò i libri al banco e sprofondò lentamente nella sedia. Liberò la sua mente da tutti i più piccoli pensieri e cominciò a canticchiare mentalmente una di quelle canzoni  che aveva nell’iPod, di quelle che di cui nemmeno sapeva il titolo, di loro sapeva solo il fresco sapore delle note che facevano da sottofondo ai suoi pensieri.
Cercava di non pensare, di non ricordare.
20 febbraio 2007.
20 febbraio 2013.
Erano già passati sei anni, sei anni spazzati via dal vento delle primavere precoci, sei anni.
Tom spariva nel nulla ogni 20 febbraio da sei anni.
Non si sapeva cosa facesse, con chi stesse, spariva nel nulla, come a non voler ricordare.
I due fratelli detestavano quel giorno, pesava loro nelle spalle più di qualsiasi altro giorno dell’anno, si sentivano carichi di sentimenti, di consapevolezze, di amaro.
Il cielo prometteva pioggia e le nuvole cupe non facevano altro che far ricordare tutto.
 
-Babbo, ti prego, portaci al mare- Aveva supplicato la mora ragazza tutta entusiasta.
-Sì, papi, ti prego, portaci al mare!- Continuava a ribadire anche il fratello. I due avevano sempre il sorriso da complici stampato sulle piccole labbra sottili.
-Va bene, ragazzi, salite in macchina, famiglia- Accontentò il padre, dopo le mille suppliche.
Grant era sempre stato un padre facilmente corrompibile, non riusciva a dire no agli occhi grandi di Demetra e Thomas, più li guardava e più li amava, erano le due più grandi soddisfazioni della sua vita. Nessuno più di loro due riusciva a rendere ogni momento allegro e pieno di leggerezza. Ogni tanto ci pensava, pensava a come sarebbero cresciuti in fretta, pensava a come un loro sorriso gli faceva tornare l’energia anche dopo un’infernale giornata di lavoro, pensava a loro ed era soddisfatto; quella soddisfazione che ti colpisce il cuore e ti rende pieno.
Di certo non avrebbe mai detto che tutto sarebbe potuto finire così.
Grant, quel 20 febbraio, guidava la macchina felice, pensando a come quella giornata sarebbe scivolata via tranquilla e troppo in fretta; a come avrebbero potuto giocare con la sabbia e come si sarebbero potuti divertire nell’acqua salata del mare.
-Papà, accendi la radio?- Chiese Thomas che sedeva nel sedile posteriore, affianco alla sorella.
Grant accese quell’aggeggio da cui uscì l’ultima canzone di Mika, Relax. Il ritmo era coinvolgente e tutti e quattro, pure Caroline, la madre, si ritrovarono a cantare a squarcia gola quel singolo.
Erano una famiglia felice, con i loro alti e bassi, come tutti, ma erano legati per davvero.
Demetra ricordava perfettamente la strada per il mare, uscirono dall’autostrada ed al primo incrocio, una macchina non rispettò la precedenza.
Andava ad una velocità impressionante, quella macchina.
Grant non aveva allacciato la cintura.
Demetra poteva ancora sentire lo stridulo rumore delle ruote sull’asfalto, dei freni che tentarono di alleviare quello scontro.
Il corpo di Grant si catapultò in avanti, sfondò il parabrezza e cadde a terra.
Privo di vita.
 
Era inutile cercare di dimenticare, quel tarlo nella mente di Demetra e Thomas continuava a mangiarsi i loro sentimenti, a mangiarli dentro.
Le lezioni mattutine finirono presto, la pausa pranzo arrivò prima che Demetra potesse accorgersene. La sua mente, quella mattina, apparteneva ad un altro pianeta completamente differente.
-Dem, hai capito cosa ho detto?-
Demetra non aveva minimamente calcolato Connie, anzi, a dir la verità non s’era nemmeno accorta che le fosse accanto.
-No, Connie, non ti stavo ascoltando- Connie si accorse subito che l’umore di Demetra era alterato, ma cercò di non darne troppo peso.
-Ti ho chiesto dove è finito Tom, è da quel pomeriggio che non l’ho più visto, ma ti ha parlato almeno,t’ha detto qualcosa?-
Connie non sapeva nulla del 20 febbraio.
-Cazzo, Connie, smettila di rompere il cazzo con Tom, non ‘ha detto nulla e non credo che gliene sbatta qualcosa di una come te; quindi non rompere più il cazzo con questa storia, intesi?-
Stava per fare la sua uscita di scena trionfante quando si voltò un’ultima volta verso l’amica –E cerca di dimenticarti Tom, è pur sempre mio fratello, Cristo!-
Ancora una volta Demetra non era riuscita a tenere a freno il tono di voce; le teste di quasi tutta la scuola erano rivolte verso Connie che sfoggiava un colore scarlatto nelle gote.
Demetra era nervosa, nervosa e suscettibile; con il vassoio in mano si dirise verso il tavolo rotondo più in disparte di tutti gli altri.
Travis si accorse che la ragazza dai fluenti capelli castani non sedeva al solito tavolo, la cercò tra l’ammasso di ragazzi. La vide in disparte e la raggiunse.
-Che hai, Deme?-
Che domande erano? Cosa conosceva lui di Demetra se non i suoi dolci fianchi e le sue fragili gambe snelle?
-Un cazzo- Rispose determinata la ragazza, addentando parte della cotoletta che le era stata servita.
-Bene, cosa tu abbia non lo posso sapere, senti, se sei una donna mestruata, rilassati, non sputarmi in faccia e ci vediamo tra cinque-sei giorni- Il ragazzo tatuato si alzò e tornò da dov’era venuto.
Ma che cazzo voleva? Che ne sapeva lui di Demetra?
Travis non capiva un cazzo, non era un ragazzo interessato ad andare veramente a fondo nei problemi altrui, a lui bastavano anche solamente le dolci curve di Demetra.
Il nervosismo cresceva dentro lo stomaco di Demetra, pensò che forse avrebbe fatto bene a sparire anche lei, quel fottutissimo 20 febbraio.
Scappare dai problemi sarebbe stata una soluzione? Avrebbe davvero avuto un senso?
Fece un sospiro profondo, socchiudendo gli occhi.
No, scappare non aveva senso.
Si alzò senza far caso al cibo ancora nel suo piatto, uscì dalla mensa e raggiunse i bagni.
Alzò il rubinetto al massimo cercando di sciacquarsi la faccia.
Alzò gli occhi dal lavandino e si ritrovò un individuo peloso che si specchiava con attenzione e narcisimo.
-Mark?!- Disse alzando un sopracciglio.
-Oh, ma che brava, sai il mio nome- Disse con un tono d’ironia.
Ce l’avevano tutti con lei quel giorno?
-Sei nel posto sbagliato, è il bagno delle ragazze!-
-Oh, no, non sono nel posto sbagliato- Concluse la discussione con nonchalance ed uscì dal bagno.
Demetra lo rincorse chiamandolo.
-Mark! Sai dov’è finito mio fratello?-
Scosse la testa accompagnando il tutto con un: -No, avrà fatto sega-
 
Tornò a casa accelerando il passo più del solito, sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò un breve messaggio di scuse per quello che era successo a mensa indirizzato a Connie.
Arrivò davanti a casa e notò una chioma troppo colorata seduta sul marciapiede, la testa china.
Demetra picchiettò la spalla dell’amica, i loro occhi si lanciarono uno sguardo di scuse reciproche.
Scuse sincere, di quelle che valgono più di mille parole dette al vento.
Fu in quel preciso momento che Demetra decise che dopotutto Connie era l’unica persona che conosceva da così tanto tempo che poteva definirsi quasi migliore amica.
L’unica con cui aveva condiviso momenti di pazzia, di felicità, di serietà; l’unica con cui si sentiva sempre a suo agio; l’unica con cui riusciva a litigare. Era la pura verità, Demetra non aveva mai quel coraggio che bisogna avere quando si litiga, quando alzi la voce e dici le prime cazzate che ti passano per la testa.
Demetra questo riusciva a farlo solamente con Connie.
Le due si abbracciarono timidamente, non erano solite a questo tipo di effusioni, erano due ragazze talmente orgogliose che non si concedevano mai nemmeno un piccolo contatto fisico.
Le due entrarono in casa DeLonge ancora ammutolite, salutarono Caroline che stava stirando.
Andarono in camera della mora e si sedettero a gambe incrociate, una di fronte all’altra come facevano sempre quando Connie dormiva dai DeLonge.
Nella mente di Demetra passarono rapidamente tutte le conversazioni che aveva avuto con l’amica in quel letto, in quella posizione. Erano infinite, ore ed ore passate a chiacchierare, a ridere, a giocare. Cercò di ricordare quando anche Tom si infilava nelle loro discussioni, come se si fosse sentito escluso dalla loro amicizia; cercò di ricordare gli sguardi di Connie nei confronti di Tom, quegli sguardi colmi di semplicità e di sorrisi.
Scrutò quegli occhi chiari dell’amica.
-Connie, ti devo dire una cosa-
Connie la guardò con quegli occhioni grandi, sembravano quasi ingenui.
-Dimmi- La sua voce risuonò gentile e disponibile.
Le due passarono tutto il pomeriggio a parlare, Demetra le raccontò tutto ciò che non sapeva su suo padre, su Grant.
Fu difficile, non l’aveva mai raccontato a nessuno, l’aveva sempre visto come qualcosa di suo, a quella sera si fogò, sputò tutto fuori e, andando a letto la sera si sentì un po’ meno pesante.
 
 
Thomas era salito sulla collina dai fiori azzurri.
La collina dove lo portava papà la domenica, era un posto loro, un luogo che sapeva ancora il suo profumo.
Si sedette in cima alla piccola collina, nell’erba ancora bagnata dalla rugiada, si accese una sigaretta. Il fumo della sigaretta, l’odore del tabacco contrastavano a pieno con quel posto.
2007-2013.
Sei anni. Un’eternità, pensò.
Cominciava a dimenticare i lineamenti del suo volto, i loro ricordi diventavano sempri più vacui ed offuscati. Stava cominciando a dimenticarsi di suo padre.
Spense la Marlboro rossa senza finirla, si portò le mani alla faccia e in quel momento cercò disperatamente di ricordare il suono della sua voce, il respiro caldo sul suo volto, i suoi sorrisi sinceri.
Strinse la mani a pugno.
Non riusciva più a ricordare, non riusciva più a sentire le sue mani che s’appoggiavano delicate al suo volto.
Guardò il cielo, era vero che le anime stanno lassù?
Cercò tra le nuvole grigie uno spiraglio, una speranza.
-Dove sei, papà?-
Una lacrima gli rigò il volto, si asciugò.
Si alzò, c’era un albero lì di fianco. Aveva rabbia in corpo, Dio se ne aveva.
Cominciò a prendere a pugni quel tronco d’albero, come se fosse stata colpa sua se suo padre era morto.
Gli occhi bruciavano, quasi non riusciva a tenerli aperti mentre le nocche s’arrossavano e sanguinavano.
L’adrenalina e la rabbia cessarono.
Abbracciò l’albero.
Sentì nell’aria per l’ultima volta quel profumo che tanto lo ricordava.
S’accasciò a terra, s’asciugò le lacrime e s’addormentò.

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Sciao a todos!
Prego di avere pietà di me per questo schifosissimo capitolo, è stato un parto atroce! non sapevo che scrivere, seriamente.
Rigrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito, continuate a farlo :)
Vi lascio il link della mia storia originale se volete leggere qualcos'altro di mio: I won't let you go

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Capitolo 4
*** Chapter four ***


CHAPTER FOUR

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Connie guardava il cielo e sentiva l’intenso profumo dei fiori azzurri solleticarle le narici. Quel giorno era tutto azzurro, il cielo, i fiori, persino le sue iridi erano più azzurre di sempre.
Aveva sempre amato la cima di quella collina, era un luogo in cui si rifugiava a volte, un luogo dove il tempo si fermava, dove esisteva solamente lei.
Spesso ascoltava la musica quando sedeva nel prato verde della collina e cantava senza vergogna, sapeva che nessuno sarebbe mai passato di lì e la sua voce ogni volta intonava delle tristi canzoni leggere, di quelle che ti accarezzano il viso mentre le lacrime scorrono.
Connie non piangeva, ma cantava.
Alzò il volume quando passò una delle sue canzoni preferite, quelle note, quelle parole le ricordavano sempre Tom e chiudendo gli occhi si lasciò andare la testa in dietro per assaporare fino in fondo quella sensazione che le inebriava tutto il corpo. Le note delicate uscivano dalle sue labbra senza fatica.
Il ragazzo con il cappello col frontino girato all’indietro, arrivò in cima alla collina sentendo quella voce quasi familiare che, soave, cantava una musica soffice, come le nuvole nel cielo.
Riconobbe senza fatica la sagoma della ragazza distesa nel prato, ma rimase nascosto dietro ad un albero ad osservarla.
 
Connie prese quasi un infarto, quando si sentì punzecchiare la spalla da un indice indiscreto. Si girò di scatto, sorpresa dal viso che ritrovò a pochi centimetri dal suo. Le sue guancie si tinse istintivamente d’un rosso scarlatto.
-Che cazzo, m’hai fatto prendere una paura del cazzo- Connie, ancora ansimante dallo spavento, sistemò la forcina che impediva al suo ciuffo di ricadere sulla sua fronte.
Tom sorrise alla sua reazione, si sedette affianco a lei senza proferire parola, la vista mozzafiato sopra la loro città era ancora più bella condivisa con lei. Appena si rese conto di ciò che aveva pensato, si alzò di scatto corrugando la fronte.
-Come fai a sapere di questo posto, tu?- Chiese allora minaccioso.
-Ci sono tante cose che non sai di me, DeLonge- Sorrise amorevolmente, senza farsi vedere dal ragazzo.
Tom cominciò a camminare, per raggiungere la quercia nel mezzo del prato, come consueto si lasciò andare, sedendosi ai piedi dell’enorme pianta. Connie si alzò d’istinto per raggiungerlo, lasciò le sue cose incustodite e una volta giunta di fronte a lui affermò: -Possiamo conoscerci, però-
Tom lasciò spazio per un largo sorriso tra tutte le sue insicurezze, Connie era semplice e lo faceva sorridere. Lei si sedette al lato sinistro del ragazzo, guardava l’erba imbarazzata, le sue guancie divampavano ancora una volta e si sentiva talmente stupida ad aver detto quelle poche parole che avrebbe voluto rialzarsi e cominciare a correre, come sempre. Impose a se stessa di rimanere ferma, ad aspettare.
-Credo tu sia la ragazza più strana che io abbia mai conosciuto-
-Dovrei prenderlo come un complimento?-
Tom scrutò a fondo il viso pallido di Connie accendersi d’un pudico rossore, i suoi occhi grandi si abbassarono ancora una volta, quella situazione era talmente imbarazzante che nemmeno Tom sapeva bene come comportarsi.
Fortunatamente, il cellulare di Connie cominciò rumorosamente a squillare.
Nello schermo appariva in sovrimpressione il nome di Demetra.
-E’ tua sorella… Dovrei risponderle?-
Tom, a quel punto, non esitò un momento di più e strappò di mano il cellulare della ragazza, per poi premere il tasto rosso.
-Adesso mi ammazza- Continuò a dire la ragazza, tentando di estorcere qualche parola al ragazzo apparentemente muto.
Dopo quasi un minuto il cellulare vibrò, segnalando un nuovo messaggio non letto.  Tom con molta nonchalance aprì il contenuto, leggendo e ripetendo il contenuto ad alta voce: -Dove cazzo sei? E’ sparito di nuovo Tom e ora sei sparita anche tu, dove cazzo siete tutti? Chiamami appena puoi, ho bisogno di voi!-
Connie s’allarmò immediatamente e ordinò a Tom di restituirle il cellulare.
Il ragazzo osservò le mosse di lei, prima di infilare il suo cellulare in una tasca dei pantaloni ed alzarsi in piedi per poi urlare: -VIENI A PRENDERLO-
Connie si chiese di quali disiagi mentali soffrisse quel ragazzo, malauguratamente si alzò anche lei in piedi e cominciò a rincorrerlo svogliata.
-TOM, davvero, ridammi il cellulare, non fare il coglione-
Tom le fece il verso, continuando a correre per il campo.
Cercò più di una volta di placcarlo, ma lui era rapido e sfuggiva dalle sue minute mani, Tom cominciò ad addentrarsi in una piccola boscaglia, urlando alla ragazza insulti senza cattiveria. Le loro risate gioiose colmavano il silenzio spaventoso che li circondava.
La voce di Tom sparì d’un tratto e solamente dopo alcuni passi Connie capì il perché.
La veduta da quel piccolo spiazzo era mozzafiato, si poteva vedere tutta la città e le colline affianco; si poteva perfino intravedere le macchine che correvano nella strada.
Tom non riusciva a parlare, quella vista gli aveva tolto le parole di bocca e pensò che, forse, non era un caso l’averla scoperta assieme a Connie.
La ragazza, da parte sua, aveva lo sguardo perso, sognante. Pensò a tutte le persone che stavano conducendo una vita frenetica e piena d’impegni, sotto la sua attenta visione e si promise di non diventare come tutta quella gente là fuori, si annotò mentalmente che la sua vita aveva molto più gusto lì sopra, assieme a Tom.
Il colpo di tosse del ragazzo fece spezzare i pensieri intrecciati di Connie e le ricordò che il vero panorama in quel momento, era il sorriso spontaneo di Tom.
Il corpo massiccio di Tom si sedette a terra precipitosamente, i suoi occhi color nocciola si volsero ad indagare il cielo cercando invano una nuvola bianca. Connie lo imitò, sedendosi però a debita distanza.
-E’ decisamente un tuo capello- Mentre la ragazza si era persa nuovamente a guardare le colline, Tom stringeva tra l’indice e il pollice un corto capello verde.
Connie ridacchio, chiedendogli: -E con ciò?-
-Di solito mi capita solamente dopo aver portato a letto le ragazze, di trovarmi i loro capelli addosso- E per lui era sempre stato un fatto quasi d’orgoglio, ma con Connie era tutto diverso, poteva pure far sprofondare negli oscuri meandri di se stesso l’orgoglio, perché lo sapeva bene, lei era diversa.
Il solito rossore comparse nelle guancie timide di Connie, rimase in silenzio, non trovava parole adatte a replicare ciò che aveva appena detto il ragazzo di fianco a lei.
-Tom, ti ricordi cosa mi hai detto al capannone, riguardo al cielo?-
Il ragazzo esitò: -Sì, vagamente. Perché?-
-Perché l’hai detto proprio a me?-
-Non lo so, sembra che le cose siano più facili quando ci sei te-
Connie accennò un sorriso.
Tom si spostò pericolosamente vicino alla ragazza dai verdi capelli ed istintivamente, i battiti cardiaci di quest’ultima cominciarono a spiccare il volo.
-Non trovi che tutte quelle persone- indicò con l’indice la città sotto i loro piedi –siano talmente complicate da far spavento?-
La ragazza non aveva mai fatto caso a quello che diceva Tom, semplicemente non c’aveva mai pensato. Eppure era totalmente, assolutamente vero. Tom, pensò Connie, aveva la capacità di esternare tutto ciò che la sua timidezza le impediva di farlo, era una sensazione strana. Come se lei fosse la fonte e lui la foce, due estremi opposti, ma entrambi bisognosi l’uno dell’altro.
-Hai proprio ragione- Sorrise lui dolcemente.
I loro occhi si incontrarono, forse per la prima volta nel corso del loro pomeriggio inaspettato e fu l’incontro che pose fine a tutti i loro pensieri e rivelò loro quanto semplice fosse scrutare a fondo le anime altrui.
Era come se tutto fosse già scritto nei loro occhi.
Tom avvicinò il suo volto a quello della timida ragazza che si immobilizzò subito, gli occhi grandi di Connie erano persuasi da una grande ansia che si polverizzò appena le loro labbra finirono malauguratamente a contatto.
Malauguratamente perché, dopo quel bacio, Connie si sarebbe illusa.
Le loro labbra si muovevano in sincronia, come se si fossero conosciute da così tanto tempo che quel gesto fosse ormai un’abitudine per loro.
Le loro lingue erano così insieme che fu difficile lasciare il vuoto, alla fine.
Un vuoto che fece arrossire immediatamente le gote di Connie e fece abbassare lo sguardo a Tom. Erano entrambi imbarazzati dalla situazione, non potevano credere che fosse davvero successo.
Quel malaugurato bacio avrebbe cambiato tutto il loro rapporto.
In bene?
O in male?
Tom si alzò velocemente, fissò la ragazza minuta che abbracciava le sue ginocchia, le porse una mano delicatamente.
-Torniamo giù?- Propose allora. Connie non aveva la minima voglia di tornare alla normalità, a quella quotidianità che le toglieva le energie e sopra ogni cosa non voleva tornare a casa, dai suoi genitori.
Connie accettò la mano del ragazzo, alzandosi osservò il tatuaggio che gli ricopriva tutto il braccio, era un tatuaggio ben fatto e gli si addiceva, alzò gli occhi fino a incontrare il suo viso sghembo con impresso un sorrisetto a mezz’aria. Cercò di regolarizzare il fiato prima di chiedergli indietro il telefono, a quel punto Tom ridacchiò e controllò un’ultima volta lo sfondo del cellulare per poi porgerlelo.
I due s’incamminarono silenziosi, dopo aver raccattato le loro attrezzature. Silenziosi come la notte, quando tutto si ferma e i nostri cervelli rimangono spenti, ad assaporare il silenzio.
Un silenzio buono, spontaneo.
Finita il rapido sentiero sassoso, i due ragazzi si fissarono rapidamente, timidamente.
-Ci si vede allora- Riuscì a pronunciare flebile Connie, che aveva voglia di sfuggire da quella situazione d’imbarazzo che si era creata.
La ragazza dopo alcuni secondi, senza aver trovato una risposta, si voltò per proseguire la sua strada. Venne bloccata dalla mano arrogante di Tom che le afferrò il polso, facendola girare.
-Ehi, quello che è successo lassù rimane lassù- Il carattere forte e determinato, era riapparso nelle parole scontrose del ragazzo, Connie abbassò lo sguardo verso il marciapiede asfaltato sotto i suoi piedi. Annuì timidamente.
Le dita di Tom afferravano ancora prepotenti il piccolo polso della ragazza, con la mano sinistra Tom raggiunse il volto di lei per poi farlo alzare, premendo sotto il mento con l’indice ed il pollice.
Connie distoglieva lo sguardo dagli occhi nocciola di lui, non sarebbe riuscita a reggere ancora una volta quel contatto visivo.
-Guardami, Connie- La ragazza si morse il labbro inferiore, per poi posare le sue iridi chiare su quelle nocciola di lui.
-Sono sempre il fratello di Demetra- tentennò un paio di secondi, volgendo gli occhi al cielo -sarebbe tutto troppo difficile-
Connie non era affatto d’accordo con le sue parole, ma annuì timidamente ancora una volta.
Le braccia muscolose di Tom cinsero d’un tratto la stretta vita di Connie in un abbraccio, la ragazzo legò le sue braccia al collo di lui sospirando profondamente. L’amaro che le giunse alla bocca non riuscì a giustificarlo, ma le lasciò la bocca impastata.
Sciolto l’abbraccio, la ragazza si girò di scatto per poi continuare il suo cammino verso casa, senza salutare Tom.
 
Entrò in casa, ritrovandosi i suoi genitori seduti nel divano scarlatto della sala che guardavano la televisione. Pregò mentalmente tutti i Santi del Paradiso che i suoi genitori non le facessero il solito interrogatorio, cercò di sgattaiolare in silenzio per le scale, ma appena tentò di salire il primo scalino, la voce autoritaria del padre le ordinò di presentarsi di fronte a lui.
-Che c’è, papà?- Gli rispose, avvicinandosi al tavolino di vetro al centro del salotto.
-Connie, ha chiamato il preside poco fa- Gli occhi della ragazza si allargarono, stupita.
-Ci ha raccontato cos’è successo due giorni fa-
In effetti Connie non se l’era scordato, dopotutto scappare da scuola non era cosa da nulla; cercò di massaggiarsi la testa contraendo i muscoli facciali.
-Io mi chiedo cosa ti salta in testa ogni tanto, sei per caso fuori di testa, Connie?- La timida ragazza abbassò istintivamente lo sguardo al pavimento e tentò di soffocare le lacrime, mordendosi le guancie internamente.
-Sei la mia più grande delusione, perché non sei nata come tuo fratello?- Connie chiuse le mani a pungo, sentendo le unghie premere contro i palmi.
-Il preside ci ha anche riferito di tutte le assenza che continui a fare- La frase lasciata a mezz’aria fu pronunciata flebilmente dalla madre, mentre accavallò le gambe per darsi un’aria più autoritaria.
-M-mi dispiace- Riuscì a sussurrare la ragazza, tentando di respirare a fondo per non farsi sopraffare dalle lacrime.
-Ormai non ce ne facciamo più nulla delle tue scuse, Connie- Il padre riprese la parola, Connie alzò solamente allora lo sguardo ed incontrò gli occhi del padre colmi di delusione.
Il cellulare della ragazza vibrò a lungo nella tasca, qualcuno la stava chiamando. Ignorò la chiamata, lasciando squillare il telefono.
Suo padre si avvicinò al corpo minuto della figlia, portò la mano grande sotto il mento di lei, per indirizzarle lo sguardo diritto nei suoi occhi.
-Tua madre ed io siamo giunti perciò ad una conclusione- La presa sotto il mento diventò più arrogante, le guancie della ragazza si colmarono di quelle lacrime che aveva cercato di reprimere.
-Da ora fino alla fine della scuola non esci più e se cerci di prenderci in giro ancora una volta, cara la mia principessina, oltre a non rivedere più la luce del sole per il resto della tua esistenza, ti ritireremo da scuola e comincerai a lavorare per me, perché io non ti ho cresciuta nullafacente!- L’irriverenza del suo tono, fece aumentare le lacrime sul volto di Connie che tentò di liberarsi di scatto. La mano pesante del padre colpì con un sordo schiaffo il piccolo viso della ragazza che, esterrefatta dal gesto, si coprì la guancia dolorante con le mani.
-Sei un padre di merda, ti odio, cazzo, ti odioo!- Urlò la ragazza, per la prima volta da quando aveva ricordo alzò la voce con suo padre, aveva sempre abbassato la testa e chiesto scusa ogni volta prima d’allora, ma quelle parole erano troppo pesanti per una ragazza così fragile.
Chiuse le mani a pugno, socchiuse le palpebre e serrò le labbra in una dura linea.
-Fila in camera, signorina! E non osare mai più!-
Connie, con ancora le lacrime agli occhi ed il cuore in subbuglio, scappò per le scale fino a raggiungere la porta della sua camera e sbatterla dietro di sé. Si accasciò a terra, con la schiena appoggiata alla porta e tenendosi il viso tra le mani.
Dopo alcuni istanti, una mano violenta picchiò tre volte alla porta della ragazza che lestamente si asciugò le lacrime ed aprì lentamente la porta per rivelare dietro di essa l’alta figura del fratello.
-Tutto ok, Connie?- Gli occhi chiari che avevano in comune si fissarono a lungo, prima che la sorella riuscì a spiaccicare parola: -S-sì, sì!- Riuscì a pronunciare balbettando.
Le braccia grandi del fratello le cinsero le spalle. Loro due erano talmente differenti che più volte Connie s’era chiesta se fossero davvero fratelli di sangue. Erano agli antipodi, lei piccola e fragile, lui grande e tenace.
Fu il primo abbraccio che poteva ricordare la ragazza, non erano abituati a quel tipo di effusioni.
Le lacrime della ragazza ricominciarono a sgorgare, bagnando la T-shirt celeste di Greg.
-Greg..-
-Sì?!-
-Mi ha baciata-
-Chi?-
-Tom-
Gregory sciolse subito l’abbraccio, pressando le grandi mani attorno alle braccia della sorella. Le portò due dita sotto il mento, facendole alzare il capo come aveva fatto il padre pochi minuti prima.
-Dio, Connie, sai che c’è?-
La ragazza, inerme, scosse la testa.
-C’è che ha ragione papà, come fai ad essere così stupida?- Imprecò –Smettila di fare la vittima da consolare, il male lo vuoi solamente tu se continui a fare queste cazzate-
Un momento di silenzio, le dita del fratello premevano ancora sotto il mento di Connie.
-Va al diavolo, Gregory- Spinse la figura davanti a lei con tutta la forza che aveva in corpo. Che sciocca! Per un attimo si era illusa che qualcuno, in quella famiglia, le volesse ancora bene. Povera illusa.
Connie era proprio quello.
Un’illusa.
Il fratello uscì da quella camera, sbattendo la porta dietro di sé.
Connie, a quel punto, non ci pensò un minuto di più, aprì la porta-finestra della sua camera e la richiuse lentamente dietro di sé, strinse forte la grondaia vicino al suo petto, scavalcò piano la ringhiera grigia del balcone e lentamente scivolò giù, fino a toccare terra.
Scavalcò cercando di non far rumore il cancello d’entrata.
Cominciò a correre, le sue gambe si susseguivano veloci, il respiro sempre più affannoso e il cielo sempre più scuro. Arrivò all’angolo della strada che portava a casa DeLonge.
Corse fino a raggiungere l’entrata dell’abitazione, ricordò che il venerdì sera la madre ed il patrigno di Demetra e Thomas andavano sempre al cinema.
Rimase immobile, davanti al cancello s’entrata di quella casa, prima di suonare il citofono.
Si affacciò dalla porta di casa Demetra, con i capelli arruffati e una canotta semi-trasparente.
-Aprimi, Deme-
-Connie, non posso farti entrare, che ci fai in giro a queste ore?- Non che l’amica fosse veramente sorpresa al vederla a quell’ora, Connie si presentava a casa sua sempre ad ore improponibili.
-Perché non mi puoi far entrare? Ho bisogno di dirti delle cose-
-Scusa Connie, ma stasera non posso, tornatene a casa- E detto questo, persino la sua migliore amica sbattè l’ennesima porta della serata.
La minuta ragazza, scavalcò quel cancello con più agilità di quello di casa sua, entrò nel vialetto e scappò nel retro.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans scoloriti e compose un messaggio:
 
A: Tom
Sono nel giardino di casa tua, raggiungimi.
Connie
 
Da: Tom
Non sono a casa, Connie. Sono al parco, raggiungimi.
Tom
 
A: Tom
Arrivo tra cinque minuto
C.
 
La ragazza scavalcò nuovamente il cancello di casa DeLonge per poi ricominciare la sua corsa, le metteva sicurezza correre.
La sua mente si spense e le gambe l’accompagnavano frenetiche.
Il parco era deserto, il cancello verde scuro era ancora aperto. Entrò correndo, riconoscendo la sagoma robusta di Tom ed affondando il volto bagnato dalle lacrime, sul suo petto.
Poteva sentire il suo respiro regolare, la sua cassa toracica che si alzava ed abbassava costante ed il suo battito cardiaco leggermente accelerato.

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Spazio autrice
Ciaooo!
Sono desolata, mortificata,tristemente sconfortata e tutti gli aggettivi negativi che possano esitere. E' da tantissimo tempo che non aggiorno e fate bene ad odiarmi, ma il liceo mi porta via un sacco di tempo e non riuscivo più a scrivere questo capitolo. E' stato veramente un parto... Spero dunque vi piaccia, lasciate una recensione se vi va. Prometto di aggiornare (si spera) più velocemente d'ora in poi.
Much love, Cami :)

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