Questione di stile
Uno
continuava a fissare il cielo terrorizzato, guardando sì e no dove metteva le
zampe e schivando faticosamente la folla terrorizzata. Gli evroniani
si stavano dirigendo proprio alla Ducklair Tower, come Uno temeva. Ma perché?
In un attimo
di ispirazione, il papero tornò indietro di un paio di strade. Con tutta la
folla che stava scappando dall’edificio, un papero che invece avesse cercato di
entrarci a forza sarebbe risultato quantomeno sospetto. Meglio optare per una
delle entrate segrete di Padron Ducklair.
Non
appena però aprì l’ingresso segreto, Uno dovette fare i conti con un’altra
esigenza biologica: « Bleah… sapevo che i biologici
sono sensibili agli odori, ma non credevo che le fogne potessero fare questi
effetti! Non riesco quasi a respirare… e mi escono le
lacrime dagli occhi… ora capisco perché Padron Ducklair non l’ha mai usata! Non so se sia peggio questo o
gli evroniani… »
Cercando
di reprimere l’estremo bisogno di chiudere il tombino e scappare, Uno s’infilò
nel tunnel cercando un ingresso specifico, custodito da un codice segreto che
solo lui ed Everett Ducklair conoscevano. Una volta
che la porta si aprì, Uno s’infilò a tutta velocità all’interno e respirò di
nuovo quello che poteva identificare come ossigeno. Era salvo.
«
Prometto che non insisterò più con Pikappa sul fatto che le fogne siano la via
più sicura per le missioni… »
Respirò
ancora profondamente per un paio di minuti, appoggiandosi a una delle celle
criogeniche. Doveva muoversi, Paperino non poteva individuarlo da lì perché era
una delle zone segrete della torre che aveva schermato quando si erano
scambiati. Conoscendolo, sicuramente lo stava cercando con le telecamere per le
vie di Paperopoli senza poterlo individuare.
S’avviò
senza esitazione per il corridoio. Non aveva timore, non poteva averne lì
dentro, nella sua casa. Per quanto gli scocciasse ammetterlo, gli era mancata
quella sensazione di sapere esattamente dove si trovasse e chi avrebbe potuto incontrare…
Aprì la
porta, tornando visibile ai sensori di Paperino.
« Uno? »
« Ciao,
socio. »
« Uno, ma
da dove sei sbucato fuori? »
« Da una
delle entrate segrete alla torre che ti ho criptato. »
« Ok… posso chiederti una cosa? »
« Certo.
»
« Con la
tua intelligenza superiore ed elettronica, quale parte di “Scappa, Uno, non tornare alla Ducklair Tower” non hai compreso? »
Uno
sorrise mentre entrava nell’ascensore: « Non potevo lasciare che gli evroniani conquistassero la mia casa…
e te, socio. A proposito, perché stanno attaccando proprio qui? »
Paperino
sospirò dagli altoparlanti dell’abitacolo: « Da quello che ho capito dalle loro
comunicazioni, per una volta nostri amici viola hanno avuto un’idea
intelligente: hanno pensato di sorvegliare Pikappa per poi attaccarlo in massa
in casa, quando meno se lo sarebbe aspettato… »
Uno
completò il ragionamento: « … e visto che ieri sera sei rientrato qui e non ti
hanno più visto uscire in costume, hanno dedotto che dovevi essere ancora
all’interno dell’edificio, tutto chiaro! A quanto pare su Evron
non hanno il concetto di “identità segreta”… »
Il papero
ridacchiò immaginando il suo socio andare a fare la spesa o andare a prendere i
nipotini a scuola con il costume da Pikappa, mentre le porte dell’ascensore si
aprivano sul piano segreto.
« C’è un
problema molto serio, invece, Uno. Quelli là fuori vogliono Pikappa e hanno
intenzione di distruggere la torre fino a quando non uscirà allo scoperto. »
Uno
impallidì leggermente: « Ah… »
Paperino
continuò: « Ho attivato tutte le difese della torre e sto cercando di
programmare degli ologrammi, ma credo che non li inganneranno molto a lungo… »
Si fermò.
Paperino si odiava per le parole che stava per pronunciare. Non poteva
chiederglielo, era troppo per un papero che aveva imparato a muoversi in poche
ore! Ma che scelta aveva?
« Uno, te
la sentiresti di… impersonarmi fino in fondo? »
Uno
sapeva benissimo cosa voleva chiedergli fin dall’inizio e in condizioni normali
non avrebbe avuto nulla da obiettare. Era la cosa più logica da fare, se fosse
stato dall’altra parte dello schermo avrebbe elogiato il socio per la
razionalità che stava dimostrando. Ma ora che toccava a lui scendere in campo,
era preda di una serie di curiose sensazioni che stavano mandando all’aria ogni
sorta di razionalità: aveva il becco secco, il cuore che gli batteva a mille,
il corpo paralizzato e il vuoto assoluto nel cervello. Che strano, un
supercomputer come lui che non riusciva a pensare!
« È… è che io… io…
»
Perfetto,
ora anche la lingua si rifiutava di funzionare come avrebbe dovuto! Ma perché i
biologici non avevano l’opzione di un backup completo di controllo? Perché si
era messo improvvisamente a balbettare? Perché il corpo non gli rispondeva come
avrebbe voluto? Perché non riusciva a rispondere al suo socio di sempre che sì,
avrebbe indossato volentieri i panni di Paperinik al posto suo, perché era la
cosa più giusta e razionale da fare? Erano quelle le parole giuste da dire!
E allora
perché il suo becco si rifiutava di pronunciarle?
« … io
pensavo di aiutarti… non so…
con la parte meccanica o elettronica… »
Che
diavolo stava dicendo? Non era quello che doveva dire! Uno non capiva più
niente.
Paperino
sorrise, comprensivo: « È normale avere paura, Uno, non ti sto chiedendo una
cosa facile… »
Paura?
Quella che stava provando era… paura? Paura
biologica? Era molto diversa da quella che Padron Ducklair
simulava nei suoi circuiti per l’autoconservazione del suo software. Non era
minimamente paragonabile!
Paperino
continuò tranquillo: « Non sarei un vero supereroe se ogni volta, prima di varcare
quella porta vestito di tutto punto come Paperinik, non avessi paura. Paura di
sbagliare, di deludere chi conta su di me, di farmi male, di causare dolore a
qualcuno. Sarei un pazzo sconsiderato con mantello e mascherina se non
l’avessi! Non vergognarti della paura, Uno, nessuno ne è immune, tutti hanno timore
di qualcosa… e ti assicuro che affrontare un esercito
di alieni rientra nell’elenco delle cose più paurose della maggior parte delle
persone! »
Uno si
sentì un po’ rincuorato, e Paperino continuò a parlare: « Sai cosa ho detto ai
primi coolflame che ho incontrato, ancora prima di
conoscerti? »
Uno
scosse la testa.
« Quando
il gioco si fa duro… vorrei essere da un’altra parte!
»
Il papero
ridacchiò: « Esattamente come mi sento io adesso! Ma allo stesso tempo mi vergogno… sono solo uno stupido egoista! »
« Perché?
»
« Perché
là fuori è pieno di alieni che stanno terrorizzando la città e io mi preoccupo
solo della Ducklair Tower!
»
« Non è
vero! Sei tornato qui anche per aiutare me, l’hai detto prima! Non
sottovalutarti, Uno, non sei diventato inutile solo perché ora non sei più il
supercomputer più sofisticato del mondo! Nei panni di Pikappa avresti
addirittura due armi in più che io non ho mai avuto! »
Uno alzò
un sopracciglio, scettico: « Davvero? E sentiamo, quali sarebbero? »
« Una
conoscenza a dir poco perfetta del terreno di scontro (non negare, me l’hai
appena dimostrato) e il manuale dell’Extransformer stampato nella memoria! »
Uno rise
e Paperino rincarò la dose: « Massì, scommetto che me
lo sai recitare cantando, a differenza mia che non l’ho mai aperto…
»
Il papero
sospirò: « E va bene, mi hai convinto! Passami il costume…
»
Una mano
robotica passò a Uno l’abito di Pikappa: « Non credevo che le maniche fossero
così lunghe… »
Paperino
sospirò: « Se solo quelle fossero le maniche… »
Uno
controllò ancora la tuta e si rese conto, arrossendo, che nei buchi con cui
stava trafficando avrebbe dovuto infilare le zampe.
« Ops! »
Dopo
qualche minuto, Uno era pronto per scendere in campo. O quasi.
« Ehm… socio? »
« Sì? »
« Non per
darti l’idea che ci stia ripensando… ma cosa
succederebbe se per errore mi coolflamizzassero? »
« Il mio
corpo di sicuro finirebbe come qualunque coolflame…
per quanto riguarda la tua coscienza, Uno, non ne ho idea…
potrebbe essere annullata oppure potrebbe scomparire del tutto…
»
Il papero
respirò profondamente: « Bene, dopo questa confortante notizia ho ancora una
domanda: come faccio io, che ho imparato sì e no a camminare, a schivare tutti
quei raggi azzurri delle evrogun? »
«
Scherzi? Ma se ti ho visto prima, correvi come una gazzella! Tranquillo, il mio
corpo ha un sofisticatissimo istinto di sopravvivenza e poi non sarai solo, ci
sarò io a coprirti le spalle… e anche i lati, sopra,
sotto e da qualunque direzione, se sarà necessario! »
Uno
sorrise: « Grazie socio… bene, direi che è il momento
di andare in scena! »
« Non
dimenticare la battuta d’ordinanza! »
« E come
potrei? »
« Ehi!
Cos’è questo, un party evroniano non autorizzato?
Perché non fate i vostri festini su Evron, invece che
disturbare il vicinato terrestre? »
Gli evroniani presenti sulla terrazza al centodiciannovesimo
piano si voltarono verso il papero: « Pikappa! »
Uno sentì
un sussurro all’orecchio: « Non era un granché come battuta…
»
« Socio,
ringrazia che mi sia venuta quella, in questo momento non sono proprio in vena
di scherzare… »
Il
gruppetto di evroniani, dopo un attimo di esitazione,
puntò tutte le evrogun contro l’eroe. Uno si sentì
mancare la terra sotto i piedi. Per un istante pensò che fosse un ulteriore
effetto collaterale della paura, poi esclamò: « Ehi! Perché mi hai ridato i
tuoi vecchi stivaletti a molla??? »
« Per
aiutarti a scappare, Uno! Ho aggiunto un sensore che mi permette di
controllarli, così almeno per questa volta possiamo contare sull’effetto
sorpresa, gli evroniani non conoscono i vecchi assi
nella manica del vendicatore mascherato. »
« Se è
per questo neanche io! Avvertimi, cavolo, stavo per avere un infarto! »
« Il tuo
battito è regolare, tranquillo, lo sto monitoran… do… »
Seguì un
silenzio imbarazzato fra i due soci. Uno arrossì, Paperino avrebbe fatto lo
stesso, se avesse potuto. Avevano improvvisamente realizzato che stavano
reagendo in modo esattamente speculare al solito. Ci pensarono gli evroniani a scacciare via l’imbarazzo, continuando
l’attacco di massa.
Uno deviò
qualche colpo con l’Extransformer: « Ma perché fanno così? Perché concentrarsi
solo su di me… pardon, su
di te? »
Paperino
aspettò qualche secondo per riflettere, elaborando tutti i dati che aveva a
disposizione: « Con buona probabilità l’obiettivo è eliminarmi con un attacco
massiccio così che non possa più impedire la coolflamizzazione
della Terra. »
Uno
annuì. Probabilmente l’analisi era corretta, ma questo non l’avrebbe salvato.
Aveva paura. Aveva maledettamente paura. Non vedeva l’ora di poter tornare a
essere un computer; non per togliersi di lì, ma per smettere di provare quel
sentimento così spiacevole e tornare finalmente a sentirsi utile. Era una
situazione talmente assurda, irreale e confusa che Uno ebbe l’impressione di
stare vivendo un incubo, uno di quei brutti sogni dove ci si rende conto di
star dormendo e nonostante tutto non si riesce a tornare alla realtà.
Fino a
quel momento era riuscito ad evitare lo scontro diretto riparandosi in ogni
modo possibile negli anfratti della Ducklair Tower, ma in un momento in cui decise di uscire allo
scoperto per capire la posizione degli avversari un evroniano
gli saltò praticamente addosso. Senza quasi che se ne rendesse conto, il papero
flesse le ginocchia e balzò lateralmente, schivando il colpo. Quando sentì il
contatto con il pavimento freddo, istintivamente Uno rotolò su se stesso e si
ritrovò in piedi, con lo scudo puntato contro il nemico. A quel punto nella
testa del papero si visualizzò chiaramente, come se lo avesse avuto davanti
agli occhi, una pagina del manuale d’istruzione dell’Extransformer e pigiò
velocemente una serie di piccoli comandi. L’evroniano
si ritrovò paralizzato e venne scaraventato giù dalla torre.
Uno
sorrise con evidente soddisfazione, dando un’amorevole occhiata allo scudo: «
Sto cominciando a prenderci la mano con gli istinti biologici. Devo ammettere
che non sono niente male, se affiancati a un po’ di logica elettronica…
a noi, evroniani dei miei…
degli stivaletti a molla del mio socio! »
Paperino
sorrise. Aveva avuto ragione: le uniche cose che mancavano a Uno erano la
fiducia in sé e un pizzico di coraggio, ma ora che sembrava aver trovato
entrambi era diventato un ottimo combattente. Gli bastava macchinare un po’ con
quello scudo che conosceva meglio di chiunque altro per compiere delle mosse
che il vero Pikappa non avrebbe mai nemmeno immaginato, delle piccole magie.
Osservò con un certo stupore che un evroniano,
colpito da una serie di raggi dell’Extransformer, sembrava essere diventato una
sorta di “magnete”, attirando a sé molti dei suoi colleghi alieni che, una
volta ammassati insieme, vennero buttati giù dalla torre da un pugno di Uno.
« Cavoli,
mi devo ricordare di farmi spiegare un po’ di trucchi…
»
Fino a
quel momento Paperino non aveva smesso di proteggere Uno con ogni apparecchio
della torre, cercando di spremere ogni circuito del sistema per trovare una
soluzione a quel gigantesco pasticcio. Ma ogni piano che creava comportava un
forte rischio per Uno o per la città. No, non riusciva a venirne a capo. Forse Uno,
al suo posto, ci sarebbe riuscito, ma lui no. Eppure non poteva, non doveva arrendersi. Il finto Pikappa si
stava impegnando al massimo per compiere l’impossibile, non poteva essere da
meno.
« Come
fanno i computer a farsi venire i lampi di genio nelle situazioni disperate?
Eppure Uno ci riesce sempre! »
Analizzò
nuovamente tutti i dati a sua disposizione. Era una situazione disperata: Uno
ci stava davvero mettendo l’anima nel combattimento, ma presto o tardi la
stanchezza si sarebbe fatta sentire. Cosa sarebbe successo allora?
Quali
dati doveva ancora analizzare? Come avrebbe dovuto comportarsi un computer in
quella situazione? Cosa doveva inventare? Cosa avrebbe fatto Uno al suo posto?
Cosa? Cosa? COSA???
Sì, Uno
ci stava prendendo gusto a quella lotta. Si era scoperto, con grande sorpresa,
un combattente più bravo di quanto si fosse mai immaginato. La paura c’era
ancora, relegata in un angolino della sua coscienza, pronta a impedirgli di
compiere mosse avventate, ma era stata quasi completamente sostituita da quella
che identificò come adrenalina. Ma forse Pikappa l’avrebbe chiamata in un altro
modo.
Forza della disperazione.
Folle
quanto efficace.
Un’idea
si fece chiara nella mente elettronica di Paperino.
Era uno
stupido. Ormai era chiaro che continuando a ragionare come aveva fatto fino a
quel momento non l’avrebbe portato da nessuna parte. Doveva smettere di
analizzare i dati come un qualsiasi calcolatore. Doveva smettere di cercare di
imitare Uno. Preso da mille meraviglie, da mille potenzialità, aveva scordato
la cosa più importante.
Lui non
era Uno. Non era un computer.
Era un papero. Era
Paolino Paperino. Era un supereroe.
Era Paperinik, il paladino di Paperopoli, il terrore
di Evron. Nulla di più.
Era giunto il momento di tornare a comportarsi
come tale.
Cosa
avrebbe fatto Pikappa in un caso del genere?
Paperino
si rispose all’istante: se una situazione andava oltre i suoi mezzi, avrebbe
chiesto aiuto agli amici!
Iniziò
una semplice esclusione: Uno lo stava già aiutando più del dovuto, Lyla era occupata a mettere in salvo gli occupanti della Ducklair Tower, Urk era tornato a casa, il Razziatore era chissà dove nel
tempo e Xadhoom se ne stava tranquilla e beata a
riscaldare Nuova Xerba, da brava supernova.
Chi gli
era rimasto?
Paperino
sorrise alla strana idea che gli era venuta. Calcolando le probabilità con i
suoi nuovi potenti mezzi era una follia, ma decise di ignorare deliberatamente
i calcoli.
« Come
direbbe Uno, sto per affidare tutto all’imprevedibilità dei biologici…
perfettamente in linea con lo stile di Pikappa, dunque! Diamoci da fare! »
« Uno,
devo chiederti un paio di cose. »
Il papero
tirò un gancio destro al mento di un evroniano: «
Spara ma in fretta, non credo di avere molto tempo da dedicarti! »
Paperino
sospirò: « Ti fidi di me? »
« Eh? »
« Le
soluzioni convenzionali non sembrano avere molto successo, per cui sto
studiando un piano abbastanza assurdo per aiutarti. È fuori da ogni schema
razionale che tu avresti mai preso in considerazione, perciò ti chiedo: ti fidi di me? »
Il papero
rispose senza esitazioni: « Sei l’unico al mondo che può riportare tutto alla
normalità, perciò sì, mi fido di te. Mi fido sempre di te, socio, anche se non
te lo dico mai. »
« Bene,
seconda domanda: puoi resistere senza il mio supporto per un po’? »
Uno
s’irrigidì: « Un po’ quanto? »
« Almeno
una decina di minuti. Non potrai parlarmi, sarai solo. Credi di farcela? »
Uno
deglutì rumorosamente. Dieci minuti gli sembravano improvvisamente un’enormità
di secondi in cui farsi coolflamizzare.
Paperino
lo incalzò: « Non ti prometto nulla, ma cercherò di diminuire il tempo più che
posso. »
« Ok. »
Uno si
stupì della velocità con cui pronunciò quelle due lettere.
« Grazie,
Uno. Comincerò quando te lo dirò, fino ad allora continuerò a coprirti le spalle… »
Paperino
chiuse il collegamento e si mise all’opera. Aveva già avviato la sala IIT prima
ancora di sentire la risposta di Uno, e a tempo record programmò
l’ambientazione e l’ologramma su cui si basava la sua idea. Doveva fare in
fretta, molto in fretta.
Uno non
capì cosa poteva aver pensato Paperino di così assurdo e, anche volendo
spremersi il cervello per comprenderlo, non ne aveva il tempo. Gli evroniani non gliene lasciavano. Ormai si muoveva nella
battaglia velocemente, senza più pensare a nulla, in una sensazione spaventosa
e appagante di vuoto mentale, dove tutto sembrava chiaro e confuso insieme. Per
la prima volta nella sua esistenza, si rendeva conto di essere al mondo solo
perché era in movimento, e non perché era in grado di pensare. Assurdo, per un
computer e, fino a quella mattina, credeva lo fosse anche per un biologico.
Su quante
cose si era dovuto ricredere in poche ore…
Era tutto
pronto. Aveva preparato il programma. Aveva impostato il programma di richiamo:
entro otto minuti al massimo sarebbe tornato pienamente operativo. Doveva solo
dare l’inizializzazione alla sala IIT. E avvertire il socio, ovviamente.
« Uno, io
sono pronto. »
« Io no,
ma non importa. »
« Starò
via otto minuti. Meno non posso proprio… »
«
Qualunque cosa tu debba combinare, ti auguro buona fortuna! »
« Non
farti coolflamizzare in mia assenza, chiaro? »
« Ti
dirò, il blu non mi è mai piaciuto… »
Paperino
rise: « Buona fortuna, Uno. »
Diede
l’avvio al programma. Nella sala IIT apparve il giardino della sua villetta e
Paperino, tornato momentaneamente nel suo corpo virtualmente ricostruito con
perfezione maniacale, guardò per un paio di secondi quell’ambiente così
familiare, dimentico per qualche istante del fatto che tutto, compreso il suo
aspetto, era in realtà un ologramma. Cosa avrebbe fatto Paperino se si fosse
trovato realmente nel suo giardino, davanti alla sua adorata amaca stesa fra
due alberi e cullata dal vento? Ovvio, si sarebbe messo a dormire! E così fece,
sperando di prendere subito sonno e di riuscire nella sua impresa. Aveva otto
minuti prima che suonasse la sveglia che l’avrebbe riportato pienamente e
coscientemente nel mondo elettronico.
Otto
minuti per ricreare un miracolo del passato.
Uno era
solo. Completamente solo. Solo come quando Padron Ducklair
lo aveva lasciato per ritirarsi nel suo eremo tibetano. Solo come lo era prima
che quel papero mascherato di nome Paperinik mettesse zampa nella Ducklair Tower sconvolgendogli
l’esistenza. Solo come allora.
Il
pensiero gli fece gelare il sangue nelle vene, ma nonostante questo non smise
un secondo di combattere. Il suo braccio e la sua mente erano ormai una cosa
sola con l’Extransformer. Intorno a lui non vedeva altro colore che il viola
dei suoi avversari. Inconsciamente pregava di continuare a vederli così: se
avesse iniziato a vederli blu sarebbe stata la fine di tutto. Ma mai otto
minuti gli erano sembrati tanto eterni, nemmeno quando era da solo nella Ducklair Tower, senza il suo
padrone, senza il suo socio. Aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto
dirgli ancora qualcosa d’importante prima che se ne andasse, ma non riusciva a
ricordare cosa…
Combatteva
ancora, senza quasi avvertire la stanchezza, ma la sua testa non era più vuota.
Era piena di speranze e di preghiere, dell’unico pensiero che continuava a
ripetersi come un disco rotto.
Quanto manca?
Paperino
sentì il fastidioso suono della sveglia. Allungò una mano per spegnerla, ma
cadde dall’amaca. Urlò, aspettandosi una botta da record che non avvenne mai.
L’ambiente intorno a lui si sfaldò in miliardi di pixel e solo a quel punto si
rese conto di essere tornato nella sfera di Uno.
Dopo un
paio di secondi di intontimento, il primo pensiero andò al suo socio. Sì, i
sensori gli segnalavano che era ancora vivo e cosciente. Paperino tirò un
sospiro di sollievo.
« Rieccomi, Uno, che mi sono perso? »
« Socio!
»
« Hai
visto che ce l’hai fatta anche senza di me? »
« Il tuo
piano ha funzionato? »
« Lo
sapremo fra poco. Per il momento dobbiamo solo continuare a resistere. »
« Non so
per quanto ce la farò ancora… ma non finiscono mai? »
«
Smettila di citare pubblicità sulla carta igienica e diamoci da fare! »
Paperino
non voleva mostrarsi preoccupato, ma in effetti Uno aveva ragione. Stava
lottando da più di mezz’ora a ritmi massacranti, era solo una questione di
tempo prima che crollasse del tutto. Per fortuna il suo fisico era abbastanza
abituato a ritmi del genere, però non era un androide; Uno era così agitato da
non sentire la stanchezza, ma presto questa avrebbe mostrato i suoi effetti.
Ora doveva essere lui a proteggerlo, almeno fino a quando non avesse capito se
il suo piano aveva effettivamente funzionato o meno.
Un colpo
di una evrogun passò pericolosamente vicino a una
tempia di Uno, che si rese conto che i suoi riflessi non erano più pronti come
prima. Paperino imprecò. Quanto avrebbe voluto potersi scambiare con Uno, lui
era ancora fresco come una rosa…
« Socio… pant… pant…
io… non ce la faccio… più… »
Un attimo
di distrazione e il papero vide una pistola proprio di fronte a lui. Paperino
gridò, cercando di attivare le difese dello scudo, ma dubitava di fare in
tempo. Uno deglutì. Le gambe non gli rispondevano come avrebbe voluto, era
troppo stanco.
« Scusa, socio… »
Vide
distintamente l’evroniano premere il grilletto e il
raggio azzurro partire. Solo che non lo raggiunse mai, rimbalzando invece
contro quello che sembrava essere uno scudo invisibile.
Il papero
allungò una mano di fronte a sé, inutilmente: « Socio? Sei stato tu? »
Uno non
poteva vederlo, ma l’ologramma di Paperino stava sfoggiando un sorrisone a
trentadue denti: « No, ma questa è la prova che il mio esperimento è riuscito!
»
« Ovvero?
»
«
Arrivano i rinforzi, amico mio! »
A quelle
parole una scheggia marrone attraversò il campo di battaglia stendendo alcuni evroniani a colpi di arti marziali. Uno sbarrò gli occhi:
non poteva credere a quello che stava vedendo. Probabilmente stava sognando…
Un voce
tremendamente familiare gridò: « Paperinik! Attiva il protocollo 7845/534 bis!
Autorizzazione superiore ED683. »
Sì… non
poteva sbagliarsi, anche se non poteva analizzarlo con i sensori, non poteva
avere alcun dubbio.
« P…padron Ducklair? »
Il becco
del papero incappucciato s’incurvò in un sorriso, intenerito dalla voce
spezzata dall’emozione che l’aveva appena chiamato: « Sì, Uno, sono io. E scusa
per prima, il mio scudo ineffabile è ancora imperfetto…
»
Le gambe
gli cedettero di colpo e il papero si ritrovò seduto a terra. Ora che il suo
creatore era lì si sentiva al sicuro, come sempre, come un bambino fra le
braccia della mamma, e la stanchezza si stava facendo sentire tutta d’un colpo.
Dopo quella sfacchinata, si ritrovò a rimpiangere i tappi di Paperone, dovette
ammetterlo.
Paperino,
intanto, aveva attivato il protocollo nominato da Everett. Un arsenale di robot
di cui non era neppure a conoscenza saltò fuori da ogni angolo del palazzo
sistemando gli alieni.
« E
questi? »
Uno
rispose stancamente: « Devono fare parte dei dati che ti ho bloccato…
mi dispiace, ma è la mia programmazione… i segreti di
Padron Ducklair vengono prima di tutto…
e poi ammetto che più tempo passa e più inizio a dimenticare i dettagli della
torre, sono troppi dati per una mente biologica…
anche volendo rivelarteli durante il combattimento, non me li ricordavo più… »
Paperino sorrise
comprensivo, osservando Everett che si avvicinava alla sua creatura elettronica
traslata in un corpo reale.
Uno
continuò a parlare prendendosi la testa fra le mani: « Mi sto rendendo conto di
non ricordare dati che fino a poco prima sapevo benissimo…
non so più precisamente come ho fatto a entrare nella torre senza farmi
scoprire da te, socio, ed è passata solo poco più di mezz’ora… inizio a temere
che se passassi troppo tempo in questo corpo biologico potrei perfino scordarmi
di essere stato un computer, un tempo… »
Il monaco
abbassò il cappuccio esibendo un gran sorrisone: « Non succederà, non
preoccuparti per questo. Scusa il ritardo, ma ho impiegato un po’ per
convincere i monaci superiori a traslarmi qui come l’altra volta…
»
Sì,
questo Uno se lo ricordava bene. Stava riferendosi a quell’episodio dove quel
mago pazzo di Ahrimadz aveva tentato di tutto per
togliere i gargoyles della Ducklair
Tower rischiando un’invasione di creature demoniache.
In quel caso, eccezionalmente, erano intervenuti i monaci di Dhasam-Bul in persona per impedire l‘apocalisse.
« E come
li avete convinti? »
Everett
fece un occhiolino: « Ho detto la verità: dovevo tornare d’urgenza per aiutare
un amico… anzi, due! »
« E come
avete fatto a sapere della nostra situazione? »
Il monaco
prese un braccio di Uno lo trascinò all’interno dell’edificio: « Ho avuto una soffiata… onirica! »
Il papero
sbarrò gli occhi: « No… non ci credo…
»
L’ologramma
di Paperino sorrise: « Ho faticato un po’ per addormentarmi come se fossi
ancora un papero biologico, ma alla fine, grazie alla sala IIT, ce l’ho fatta e
sono riuscito a mettermi in contatto con Everett Ducklair
come avevo fatto inconsciamente un po’ di tempo fa…
ma riuscirci volontariamente non è stato uno scherzo! »
Il papero
annuì, muovendo i suoi lunghi capelli neri: « In effetti siete riuscito ancora
una volta a sorprendermi, signor Paperinik… »
Uno ed
Everett uscirono dall’ascensore ed entrarono nel piano segreto: « Adesso però
dobbiamo risolvere questo problema… »
Paperino
chiese: « Ne siete in grado? »
Uno
rispose deciso: « Certo che ne è in grado! Stai parlando con il più grande
scienziato del mondo, socio… »
Rendendosi
conto che lo scienziato lo stava guardando sorpreso, Uno arrossì e si zittì.
Everett sorrise intenerito e gli mise una mano sulla spalla: « Non posso che
essere felice della alta considerazione che hai di me…
ma non sono così infallibile come credi, anch’io ho fatto i miei errori. Per
oggi mi limiterò a cercare di mettere riparo a questo pasticcio. »
Paperino
sorrise: « Se permettete vi darò una mano io, credo che per oggi Uno abbia
fatto già abbastanza… »
Il papero
protestò, cercando di dissimulare uno sbadiglio: « Cosa dici, Pikappa? Posso
benissimo fare qualcosa, non sono… così… »
Prima
ancora di finire la frase, il papero cadde addormentato. Per fortuna l’I.A. riuscì ancora a mettergli una poltrona sotto il portapiume.
« Eheh, Uno non ammetterebbe mai i suoi limiti, per di più
davanti al suo creatore… »
Everett
annuì: « Lo so. Temo di averlo programmato megalomane come il sottoscritto… »
« Uno… »
Il papero
si voltò dall’altra parte: « Ancora dieci minuti… »
La voce
rise: « Stai prendendo un po’ troppe abitudini biologiche, non ti avevo
programmato così pigro! »
Uno
scattò a sedere riconoscendo la voce: « Padron Ducklair!
»
Impiegò
qualche secondo a svegliarsi del tutto e a ricordarsi degli ultimi eventi: «
Allora, siete riusciti a trovare una soluzione? »
L’ologramma
verde annuì: « Tutto liscio come l’olio, a parte la bomba a idrogeno che il tuo
creatore ha cercato di assemblare per errore… »
Everett
sorrise imbarazzato: « Il mio solito vecchio viziaccio che torna a farsi sentire… ma Pikappa me l’ha smontata subito, per fortuna! »
L’ologramma
alzò gli occhi al cielo, poi si rivolse a Uno: « Pronto a tornare alla vecchia
vita? »
« Sì.
Credo di non essere ancora pronto ad avere un corpo tutto mio, anche se l’esperienza
di oggi è stata senza dubbio istruttiva. »
Everett
sorrise, come se capisse più di quello che mostrava. Il monaco guidò Uno fino
all’ingresso della sala IIT.
« E ora?
»
Paperino intervenì: « Tu non dovrai fare altro che stare qui sulla
porta, al resto penseremo noi! »
Volutamente
l’ologramma non approfondì i dettagli tecnici, ma prima che potesse fermarlo
Everett era già partito in quarta con la spiegazione: « Il fulmine che ha
colpito la torre ha sovraccaricato i circuiti TRFZ714, mandando il tilt il
sistema di ricomposizione elettronica che ha scambiato i dati delle due entità
elettroniche allora presenti nella sala e… »
Uno alzò
le mani in segno di resa: « Vi prego, Padron Ducklair,
abbiate pietà di me. È tremendamente imbarazzante starvi a sentire e non
riuscire più a capire di cosa state parlando. Per favore, rimettete tutto
com’era prima, questa situazione sta diventando insopportabile! »
Paperino
rise, pensando a quante volte si era ritrovato nella stessa situazione.
Messosi
in posizione di sicurezza, Everett guardò il papero intensamente: « Pronti? »
Paperino
rispose senza esitazione: « Sì! Sono un papero d’azione, io, e non ne posso più
di questa immobilità forzata! »
Uno non
fu pronto nella risposta come il suo socio. Per quanto quel corpo biologico gli
avesse dato tanti problemi e preoccupazioni, si era dovuto rendere conto che le
informazioni che poteva ricevere con esso erano molto diverse da quando
analizzava il mondo con i sensori. Diventavano più… reali, in un certo senso. Benché una
parte di lui avrebbe voluto fare ancora mille esperienze, si limitò ad annuire,
lentamente.
Everett
premette un pulsante e tutto si fece nero per entrambi.
Gli ci
volle parecchio tempo prima che riuscisse ad aprire gli occhi. Era
profondamente confuso.
Chi… o cosa era?
« Socio… »
Paperino
rispose con voce impastata: « Uno… sei tu? O sono io ad essere ancora te? »
Everett
lo guardò comprensivo: « Mi sa che siete ancora un po’ intontito, signor
Pikappa, ma del resto è più che comprensibile… »
Paperinik
afferrò la mano che gli veniva posta, poi, una volta in piedi, si rese conto di
una cosa. Stava osservando una mano, la
propria mano, che afferrava quella del monaco. Timidamente, provò a muovere
un dito. Poi le sue mani corsero al volto e il tatto gli restituì la sensazione
delle piume sotto le dita, la rigidità del becco, il tessuto elastico della
mascherina.
Uno si
prodigò di fornirgli uno specchio ed ebbe la conferma tanto sperata. Il volto
si allargò in un enorme sorriso di sollievo.
Pikappa era tornato.
« Uno? »
« Eccomi!
»
Paperinik
allargò ancora di più il sorriso vedendo di nuovo il volto olografico del suo
amico elettronico nella sua solita palla verde. L’avrebbe abbracciato, ma si
trattenne. Del resto, non avrebbe saputo di preciso cosa abbracciare.
Everett
gli mise una mano sulla spalla: « Tutto bene? »
Pikappa
ci pensò un po’ su: « Più o meno, sono un po’ confuso…
ho presente gli eventi della giornata, ma non riesco a ricordare tutto quello
che avevo imparato o scoperto quando ero un computer…
uffa, speravo almeno di ricordare una lingua straniera da poter aggiungere al
curriculum! »
Uno
annuì: « Che vi avevo detto? La mente dei biologici è troppo piccola! »
« O forse
è la tua che è troppo grande. »
Entrambi
i paperi risero.
« Sì,
Paperinik, il vostro riadattamento sarà più complesso che quello di Uno, ma
sono sicuro che fra qualche ora sarà tutto a posto. Bene, ora che la situazione
è risolta, devo andare. »
Uno
rispose con tono leggermente deluso: « Di già? »
Il
supereroe invece lo guardò perplesso: « Vi siete accordato con i monaci per il
ritorno? »
Everett
rivolse gli occhi al soffitto: « Il rientro non era previsto nel contratto… dovrò arrangiarmi con i miei mezzi. »
Uno
s’attivò subito: « Vi preparo l’elicottero immediatamente…
»
Il monaco
alzò una mano: « No. Ti ringrazio per la premura, ma tornerò in Tibet come tornai
quando abbiamo affrontato Due. Vi saluto, buona fortuna a entrambi. »
Senza
aggiungere altro, Everett Ducklair si avviò a piedi
verso l’aeroporto, diretto nuovamente a Dhasam-Bul,
dove i monaci attendevano ansiosamente il ritorno del loro fratello Drago
Dormiente.
Uno e
Pikappa rimasero soli, come un tempo.
Paperino
si tolse la mascherina, lasciandosi cadere su una poltrona: « Fiù… mi sa che mi hai lasciato tutta la stanchezza, Uno, ho
un sonno… »
L’ologramma
sorrise: « È probabile, socio, i corpi biologici sono delicati e sensibili… ma forse è proprio questo il loro punto di
forza. »
Uno si
aspettava una risposta pungente dal suo socio, ma tutto quello che ottenne fu
un rumore di motosega. Paperino era crollato sulla poltrona che su cui aveva
dormito Uno fino a poco prima, esausto sia fisicamente che mentalmente, mentre
tentava faticosamente e forse inutilmente di riordinare i ricordi di quando era
stato una macchina.
L’I.A. sorrise intenerita e con una mano elettronica gli mise
una coperta, abbassando contemporaneamente l’illuminazione, con una cura e una
delicatezza ancora maggiore del solito. Aveva già provveduto a mandare un sms
ai nipotini perché non aspettassero il papero per cena. Al contrario del suo
socio, Uno si era riabituato velocemente alla sua condizione di macchina,
felice di aver ritrovato le sue antiche certezze, i suoi dati certi, il suo
codice binario, il suo mondo dove le cose erano bianche o nere e tutto o quasi
era prevedibile. Si era stupito di come quella stramba avventura non fosse
durata che poche ore. Nei panni di un biologico la percezione del tempo non era
così precisa… Sorrise intenerito al papero in costume
che se la dormiva della grossa. Sicuramente avrebbe impiegato molti giorni a
rielaborare completamente quell’esperienza… e anche
lui.
« Chissà
se un giorno anch’io potrò passeggiare per il mondo senza chiederti le gambe in
prestito… o se rimarrà l’unico sogno biologico di una
mente artificiale… »
Sospirò,
guardando le luci notturne della città.
« Bha, probabilmente ho ancora qualche circuito sfasato dopo
questa giornata! Buonanotte socio! E buonanotte…
mondo. »
Ciao a tutti! Ecco qua il finale di questa breve
avventura… questo capitolo in realtà è lungo
esattamente come gli altri due messi insieme, ma sono dettagli. Ci sono stati
alcuni riferimenti a PKNA#38, ma ho riassunto tutto quello che c’era da sapere
nella storia (in pratica c’è un mago pazzo che cerca di conquistare il mondo,
Pikappa s’addormenta e sogna di chiedere aiuto a Everett che magicamente appare
insieme a tutti i monaci di Dhasam-Bul a salvare il
mondo). Spero che questo non abbia dato problemi nella lettura.
Dunque, essendo questo l’ultimo capitolo, devo
fare alcuni ringraziamenti:
·
Ai lettori silenziosi;
·
A chi ha commentato, ovvero: Nightrun, darkroxas92, Evose, Jan
Itor 19 e 2307;
·
A chi ha messo la storia fra le
preferite, ovvero darkroxas92;
·
A chi ha messo la storia fra le
seguite, ovvero: Crybaby, darkroxas92, Jan Itor 19, mari23 e Talpera.
Bene, dovrei aver detto tutto.
Prossima storia pikappika? Come già
annunciato, una bella avventura nel futuro, con protagonisti il Razziatore e Odin Eidolon. Tranquilli, per i
prossimi riferimenti metterò un bel riassuntino a inizio
storia.
Vi aspetto numerosi!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92