Amore, ti ho ancora accanto.

di DansUnReve
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mary&Josh ***
Capitolo 2: *** Giada&Milena. ***
Capitolo 3: *** Yuna&Akahito ***
Capitolo 4: *** Antoine&Hélène. ***



Capitolo 1
*** Mary&Josh ***


27 Aprile 1985, Indiana.

Mary si avvicinò piano alla lastra di granito nero, sulla quale era stato inciso il nome di suo marito. La accarezzò piano, mentre ancora una volta iniziava a piangere piano. Quello era il giorno del loro cinquantesimo anniversario. Strinse forte a sé la fede di Josh, che le pendeva al collo. Sebbene fosse il segno del loro amore eterno, quella piccola fascetta d'oro non riusciva a trasmetterle calore. Ormai era vecchia a stanca. Aveva sessantanove anni, e, sebbene, in quella società non fosse tanto, sapeva che non sarebbe andata avanti a lungo. In realtà aveva deciso di non andare avanti a lungo. La scienza, la medicina, i dottori le avrebbero permesso di campare fino ai cent'anni, nonostante gli acciacchi; ma erano circa tre settimane che aveva smesso di prende farmaci, e pian piano aveva iniziato a perdere le forze. Non si curava di poter far male a qualcuno con la sua morte. Lei non aveva figli, perché l'unico uomo con cui fosse mai stata era Josh e, nei sette anni di matrimonio che avevano vissuto assieme, lei non era mai rimasta incinta. Non aveva amato nessun altro. Aveva dei nipoti, ma di lei non si curavano.

Posò piano la margherita bianca sulla tomba del marito, chiuse gli occhi e ripensò a quando era giovane. A quando si erano conosciuti e dopo pochi mesi le aveva chiesto di sposarla.

-M'ama; non m'ama; m'ama; non m'ama..
-Signorina!
Mary era troppo presa a contare i petali del fiore per accorgersi che Josh le si era avvicinato. Le guance presero fuoco all'istante e le mani iniziarono a sudare.
-Salve signore!
Rispose non troppo sicura; anzi, quasi balbettante.
-Come sta oggi? La vedo informa.
Josh era sempre così cortese - nelle parole e nei modi - con lei. Era bello, alto, con i capelli neri e gli occhi verdi, come l'erba fresca di primavera. Il profilo ricordava quello di una statua greca, ma nonostante la sua infinita bellezza, non era superbo. Lavorava i campi insieme al padre e, a zappare la terra, le braccia e il petto si erano fatti muscolosi.
Sorrise e il cuore di Mary perse un battito.
-Io sto bene e lei?
-Bene, bene. Come mai è sola?
-Ero venuta a fare due passi. Volevo evitare che il signor Rockfeller mi desse qualche strano compito in preparazione della fiera.
Sapeva che non era esattamente quello che ci si aspettava da una giovane donna come lei e che di certo non avrebbe dovuto mentire, ma quel ragazzo era così puro che raccontargli una bugia le sembrava di profanarlo.
-Come la capisco!
Le disse, inaspettatamente. Mary arrossì di nuovo.
-Senta, io volevo chiederle se le andrebbe di passare il pomeriggio con me domani. Gradisco molto la sua compagnia.
La ragazza sgranò gli occhi e si sentì quasi svenire.
-Cos'ha? Si sente bene?
-Uhm.. Sì, sì. E' una primavera molto calda non crede?
-Sì, ha ragione. Fa caldo persino quì all'ombra.
E vide i grandi occhi di lui spostarsi sulle fronde della grande quercia sotto la quale Mary aveva trovato riparo. Poi tornò a guardare lei e sorrise nuovamente, ancora in attesa di una risposta.
-Allora le andrebbe bene per domani pomeriggio?
-Oh sì, certo! Non vedo l'ora. Anche io gradisco molto la sua compagnia.
-Ne sono contento.
Un ultimo fantastico sorriso, che gli fece venire una piccola fossetta sulla guancia destra, sbarbata da poco. Poi in lontanaza si sentì un fischio e la voce di un uomo che urlava il nome del ragazzo.
-Arrivo.
Rispose Josh, agitando un braccio, per far vedere che aveva capito.
-La devo lasciare nuovamente da sola.
Disse, e nella sua voce Mary colse una punta di rammarico.
-Oh, non fa niente, la comprendo! Non si affatichi troppo e buon lavoro.
-Arrivederci.
E così dicendo il ragazzo si allontanò di corsa. Solo allora Mary si accorse di non aver smesso un secondo di sorridere. Che figura da sciocca che aveva fatto! Seguì la sagoma di Josh in lontanaza, mentre cercava di rallentare il battito del cuore. Le aveva chiesto di uscire e lei gli aveva detto sì.

Un anno dopo Mary e Josh si erano sposati. Era il 27 Aprile del 1935, lei portava un abito semplice e bianco, che le aveva cucito la madre, mentre lui aveva comprato un abito apposta per l'occasione, grazie a tanti sacrifici. Erano innamorati e si guardavano come se fossero l'unica cosa che contasse al mondo. Il loro mondo. Si erano costruiti un focolare, ancora prima di aver trovato casa.

Passarono sette anni, durante i quali si erano stabiliti in una piccola casetta di legno bianco. Lui era premuroso, non le faceva mancare mai niente, nonostante arrivasse sempre stanco la sera per il lavoro. E lei lo amava quanto più fosse possibile, perché le rimaneva al fianco nonostante non fosse ancora riuscita a dargli un bambino. 

Poi lo chiamarono in guerra e lui, che non sarebbe mai stato in grado di far male ad una mosca, dovette partire per il fronte oltreoceano. La sera prima della sua partenza lei pianse, fino ad avere gli occhi gonfi e rossi, mentre Josh la abbracciava, sussurrandole all'orecchio parole rassicuranti, donandole dolci baci sul collo e leggere carezze. Non avrebbe mai voluto lasciarla. Lasciare il dono più grande che la vita le avesse mai fatto. Il giorno dopo, però, partì lo stesso.

Da quella guerra Josh non tornò mai. Morì per la patria, in un conflitto determinato da un odio irrazionale. Tutte le emozioni sono irrazionali, proprio come l'amore. La vita di Josh era stata segnata da avvenimenti irrazionali: il matrimonio con Mary e la guerra in Europa.
Mary avrebbe voluto morire quando le portarono la notizia. Pianse tutte le sue lacrime, decise di non alzarsi mai più dal letto e lasciò che il dolore la consumasse. Solo con l'aiuto della madre si riprese lentamente. Solo lei riuscì a infonderle abbastanza forza, facendole capire che se il suo amore fosse stato veramente così grande, avrebbe dovuto continuare a vivere anche per lui. Mary si convinse di ciò, fino a martellarsi il cervello. Sarebbe andata avanti, solo per Josh. Per il loro amore.

Mary riaprì piano gli occhi e guardò nuovamente la tomba. Le lacrime le bagnavano gli zigomi ricoperti da piccole rughe. Poi all'improvviso sentì il fiato mancarle, un dolore al petto soffocante le impediva di respirare. Spalancò gli occhi e la bocca in cerca d'aria ma alla fine dovette accasciarsi lentamente al suolo. Pensado che quella era la sua fine, capì di essere felice, perché almeno moriva insieme al suo Josh. La sua guancia toccò l'erba sulla tomba di Josh, quando lei finalmente si ritrovò distesa al suolo. Guardò quei fili verdi e ripensò agli occhi del suo amato. Erano dello stesso colore, luminosi allo stesso modo. Con quell'ultimo pensiero nel cuore e nella mente, chiuse gli occhi per riunirsi a Josh.



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Capitolo 2
*** Giada&Milena. ***


14 Ottobre 2011, Venezia.
 
Giada era appoggiata scompostamente alla penisola della cucina mentre con una mano reggeva la tazza di ceramica bianca da cui usciva il vapore del caffè caldo. Il suo aroma si era diffuso per tutta casa e Giada, ancora assonnata, si stava godendo quel momento. Era stata una lunga notte, pensò sorridendo furbescamente. Poteva sentire il rumore dell’acqua che cadeva dolcemente dalla doccia a cascata. La mente indugiò per qualche secondo sull’immagine del corpo di Milena nudo. I lunghi capelli rossi che si appiccicavano ai fianchi, i seni piccoli e sodi, la vita sottile.
 
L’acqua venne chiusa e dal bagno uscì la ragazza scalza e coperta da un corto accappatoio che le lasciava le gambe magre scoperte. Giada si sentì improvvisamente sveglia, più di quanto fosse, mentre una sordida eccitazione le colpiva ogni singolo millimetro della sua pelle. Tremava dal desiderio. Quanto era bella!
 
-Finito?
-Finito.
-Ti ho preparato la colazione.
 
Gli occhi da cerbiatta di Milena si spostarono velocemente dalla compagna, vestita solo di una lunga felpa, al succo d’arancia che le aveva versato Giada in un bicchiere con affianco un toast. Lei mangiava solo salato a colazione. Sorrise a quella piccola accortezza. Si avvicinò piano e, sempre con gesti lenti e misurati, si portò il bicchiere alle labbra. Giada quella mattina era più bella che mai. I capelli neri erano maldestramente legati in uno chignon  e gli occhi erano dello stesso azzurro del cielo. Quell’aspetto trasandato, dopotutto, le donava. Appena sveglia, la mattina, lei era qualcosa di affascinante e irresistibile.
 
-Grazie.
Era così la mattina: poche parole, scambiate fugacemente, tra la stanchezza della notte passata insonne e la quiete del silenzio rotta già dalla confusione che si sentiva provenire dalla calle principale, poco lontana da lì.
 
Giada non ce la faceva più a trattenersi. Sembrava che ogni singolo movimento di Milena fosse calcolato; voleva farla impazzire. Si passò la lingua sulle labbra. Poi si concentrò sulla finestra e guardò fuori: il sole splendeva sulle calli di Venezia, e la laguna a quell’ora era già piena di turisti. Si voltò nuovamente verso Milena. Ora stava sorridendo. Uno di quei sorrisi splendidi, pieni di calore che solo lei riusciva a fare, ma che solo chi la conosceva bene sapeva che nascondeva la malizia di qualcuno che ne ha combinate fin troppe.
 
Milena non si accorse di sorridere. Le capitava spesso quando la guardava. A quel punto vide Giada alzarsi lentamente dallo sgabello ed avvicinarsi piano a lei. Fu presa per i fianchi e, questa volta, sorrise ancor di più. Anche Giada le sorrise. Poi la baciò. Prima lentamente, e furono solo le labbra a sfiorarsi; poi queste si dischiusero piano e le loro lingue si intrecciarono con sempre più passione.

Il desiderio investì entrambe e in attimo si sentirono pervase dal calore del piacere. I baci si fecero bollenti, le delicate carezze divennero prese solide e consapevoli, mentre leggeri gemiti morivano in gola.
 
Milena si staccò di colpo e si appoggiò barcollante al piano della cucina. Aveva il fiato corto per il semplice fatto che avrebbe voluto che quella cosa si protraesse, ma non poteva. Doveva vestirsi e tornare all’università in tempo per la lezione.
 
Giada si era dispiaciuta quando la compagna si era liberata da quel contatto. Staccarsi da lei in quel modo così brusco non era mai un piacere, così dopo esserci stata qualche secondo a pensarci su, la riavvicinò, abbracciandola da dietro. Un lieve bacio nell’incavo tra la spalla e la testa, la bocca che sfiora leggermente il bianco collo di lei. L’altra si voltò di nuovo piano e le due si baciarono di nuovo a lungo.
 
Milena ripensò alla lezione e per la seconda volta si staccò.
 
-Ti amo.
Le sussurrò all’orecchio Giada.
 
Al diavolo l’università. Milena si diresse piano in bagno lasciandosi scivolare addosso l’accappatoio e Giada la seguì poco dopo, mordendosi il labbro inferiore.

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Capitolo 3
*** Yuna&Akahito ***


Scusate se non ho pubblicato prima la storia, ma dover lavorare su personaggi, attraverso il tempo e la cultura non è affatto facile! Ho fatto quello che potevo, ho studiato da brava bimba. Perdonatemi se ci fossero delle imprecisioni! Comunque mi è piaciuto molto scrivere questa storia, perché io amo il Giappone, e vorrei tanto, un giorno, poterlo visitare.

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Anno San dell'era Meiji, primo Mokuyoubi del mese di Gogatsu, Kyoto.
1870, primo giovedì di Maggio, Kyoto.


C'è qualcosa d'importante, unico nelle tradizioni, perché nonostante il mondo vada avanti non ci si può scordare delle proprie origini; ma il fascino della cultura aveva attratto Yuna allo stesso modo da cui veniva sedotta dal luccichio delle lame appese alle pareti di casa sua. Sebbene le amassa, sapeva di non poterle sfiorare, perché ci si sarebbe tagliata e in più il padre l'avrebbe rimproverata.
Ora si guardava allo specchio e vedeva una giovane donna, la cui bellezza naturale era stata nascosta dal trucco per la cerimonia. I lunghi capelli neri erano stati legati in una crocchia sulla nuca. Yuna si avvicino alla finestra, che si affacciava su uno splendido ciliegio. Ne afferrò un fiore e se lo mise tra i capelli, poi tornò a rimirarsi.

Sakura.

Sperava che quel fiore potesse portarle forza, coraggio e fortuna. Poi alzò il kimono e iniziò a scendere le scale. Doveva recarsi al tempio, dove probabilmente già l'attendeva il suo futuro marito.
Akahito era da sempre il suo migliore amico, la persona più bella che avesse mai conosciuto e anche quella con cui passasse più tempo. Lo amava, ma semplicemente come un fratello. Non sapeva se avrebbe potuto essere una buona moglie per lui, ma ciò non faceva alcuna differenza, a quell'unione l'aveva obbligata la famiglia, e lei non avrebbe mai potuto obbiettare.

Forse era stato proprio per il troppo tempo passato insieme a lui che ora l'aveva portata a quell'assurda situazione. Aveva infangato il buon nome della famiglia, frequentando un ragazzo senza esserne legata ufficialmente. Per questo i suoi genitori l'avevano data in sposa al ragazzo, e la famiglia di lui aveva accettato al fine di acquisire fama e ricchezza. Con Akahito lei non aveva parlato della situazione, non sapeva nemmeno se a lui importasse, o se si sentisse male come lei.

Non era il fisico di lui a renderla avversa a quel vincolo, anche perché Akahito era un bel ragazzo ed era orgogliosa dell'avvenenza del migliore amico, tanto da vantarsene. Tanto meno la sua persona, sempre gentile, disponibile, affabile con chiunque. Non sopportava di dover rovinare quel legame che li aveva legati dalla nascita e che aveva coltivato per diciassette anni.

L'amore che aveva per lui andava ben oltre il carnale; di quei pensieri non ne aveva mai fatti Yuna e pensare alla notte che doveva arrivare le metteva i brividi. Lei lo amava di un amore sincero, troppo puro per potersi consumare nella prima notte di nozze, troppo importante per vederlo svanire nella quotidianetà del matrimonio. E se la persona più importante della sua vita avesse inizato a vivere solamente più nei suoi ricordi? Se lui fosse cambiato nel corso degli anni? Sarebbe cambiata anche lei con lui?

Non voleva che il suo viso fosse deturpato da rughe nate dal dolore. Gli unici segni che voleva erano quelli che le avrebbe lasciato il sorriso che Akahito le aveva detto mille volte di essere stupendo. Ecco, forse si stava preoccupando per niente. Akahito avrebbe preservato il suo sorriso. Infondo lui le voleva davvero bene, c'era sempre stato e non l'aveva mai abbandonata, prendendosi persino colpe che non aveva quando lei li cacciava nei guai.

Tra un pensiero e l'altro era giunta al tempio. Akahito era lì ad aspettarla, ben vestito del suo kimono. Le sorrise timido, senza nemmeno mostrare la dentatura quasi perfetta. Era imbarazzato, lo conosceva sin troppo bene, percò forse una punta di felicità c'era nei suoi occhi. Yuna si convinse che quel matrimonio era cosa giusta e così prese il coraggio necessario per salire la scalinata ed arrivare sino a lui che le prese la mano dolcemente e senza dire una parola la guidò alle fontane per la purificazione, cosìcché, poi, tutti gli invitati procedessero anche loro con il rituale.

La cerimonia si svolse solennemente: ecco ancora le antiche tradizioni che riaffiorano. Infondo, lei amava la sua religione e sebbene potesse sentire sulla sua pelle tutto l'attrito dei partecipanti, riuscì a riavere un po' di pace con sé stessa. Solo dopo l'offerta dei rametti alle divinità e allo scambio degli anelli, solo dopo che tutti gli invitati e gli sposi furono al ricevimento la tensione si sciolse un po'.
Ma per Yuna che ancora non poteva parlare con Akahito, riprese l'apnea: doveva intrattenere gli ospiti e sorridere e accendere le candele sui loro tavoli insieme al marito. La festa era animata, tutti sembravano felici, mentre Yuna continuava a cambiarsi d'abito e a lei sembrava che ogni nuovo kimono che indossava le fosse sempre un po' più stretto e le venisse tolta sempre più aria.

Finalmente il ricevimento finì, finalmente Yuna era sola. Sola, ma con suo marito. Quando si trovò nella stanza da letto iniziò a tremare, era nel panico più totale.
In quel momento entrò anche Akahito. Lui le lanciò un'occhiata preoccupata, e lei si osò di guardarlo negli occhi scuri soltanto per un istante, mentre con voce rotta recitava come le era stato insegnato:

-Perdonami se questa notte non ti soddisferò.

Akahito le si avvicinò piano e le prese le mani fra le sue. Sapeva che ora lui poteva sentire i suoi brividi, ma nemmeno lei era in grado di poter dire che cosa li suscitasse; forse l'emozione, forse la paura. L'aria le mancava, sarebbe soffocata, ma ora gli apparteneva. Se l'avesse posseduta quella notte, non era certa che per lui avrebbe ancora provato quell'amore sconfinato. Fu allora che lui l'abbracciò, stringendola forte, e dandole dolci baci sulla fronte. Il gesto fu tanto imprevisto da lasciarla spiazzata.

-So che hai paura. Ce l'ho anch'io. Non voglio perderti, non voglio che svanisca ciò che sei per me ora. Ma forse non è un male quello che ci è successo. Io ti voglio veramente bene Yuna, è un'amore grande il mio. Spero di poter essere un buon marito per te, perché tu, ne sono certo, sarai una buona moglie.

La dolcezza di lui, dei suoi baci, il suo calore sciolsero la matassa che le aggrovigliava lo stomaco e il nodo in scui si erano impigliati tutti i pensieri. Lui l'amava, le voleva bene. Non le avrebbe mai fatto del male, non le avrebbemai fatto nulla contro la sua volontà. Come aveva potutto pensarlo anche solo per un momento? Scambiare quell'unione per una condanna era stato un enorme errore. Lui l'amava e lei ricambiava. E quel sentimento era così grande che faceva di lui un amico, un fratello, ed aveva deciso anche un amate da quella notte ed un marito dal giorno dopo. A quel punto si abbandonò completamente all'abbraccio di lui, mentre calde lacrime le sgorgavano dagli angoli degli occhi, per rigarle il delicato volto, ma nel frattempo rideva di gioia.

-Grazie.

Sussurrò semplicemnte la giovane. Così alla fine i due si concedettero un lungo caldo bacio sulle labbra, e la loro prima notte di nozze si ripeté per giorni, mesi, anni, nella coronazione di un matrimonio che da un pesante onere, era diventato per Yuna il secondo dono più grande della sua vita dopo Akahito.

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Capitolo 4
*** Antoine&Hélène. ***


Lyon, le 6 Décembre 1731.

Antoine stava tornando a casa a piedi con gli occhi puntati sulle sue scarpe, mentre tirava qualche calcio ad un sasso. Guardò l'orologio e pensò che forse era troppo presto per rientrare. Sua moglie lo aspettava per una buona mezz'ora dopo e se fosse rientrato adesso, quello che avrebbe visto non gli sarebbe piaciuto affatto. Hélène lo tradiva. L'aveva scoperta una volta mentre rientrava a casa prima per farle una sorpresa, con un mazzo di rose ed una collana.

Ricordava che dall'atrio poteva sentirla ulrare un nome che non era il suo. Si era spaventato per questo era corso fino alla camera da letto; ma poi si accorse dei vestiti sparsi per il corridoio che precedevano la porta e decise di avvicinarsi più lentamente. La sentiva ansimare, mentre un uomo sguaiato lanciava bestemmie e rideva di gusto. Antoine non ci voleva credere, così aveva scostato appena la porta. Fu così che vide la moglie che si dava ai piaceri della lussuria, perversi e contro natura.

Era scappato di casa e non vi aveva più rimesso piede fino a tardi. La gente che lo vedeva per strada rimaneva sorpresa dal suo comportamento. Si dovette sedere, perché faceva fatica a stare sulle sue gambe senza tremare. In tasca aveva ancora la collana, ma il mazzo di fiori lo aveva lasciato sbadatamente sul tavolo all'ingresso. Hélène avrebbe capito che lui sapeva, ma infondo nulla più importava, perché quella donna gli aveva preso il cuore come se fosse un giocattolo; e si sa che i giocattoli prima o poi si rompono.

Ritornando presente a sé stesso, si decise a rientrare. Faceva troppo freddo e poco importava se sua moglie si stava divertendo nel loro letto. Quella storia andava aventi ormai da un anno e mezzo. Ogni pomeriggio lei se la spassava con un animale, ogni sera lo abbracciava come se nulla fosse. Antoine soffriva immensamente, sentiva il cuore lacerarsi dentro. Infondo Hélène era per lui l'unica donna che avesse mai amato, bella come non mai, aggraziata nei movimenti, tanto da sembrare una ballerina e poi intelligente. La sua mente era piena di colori, luoghi, idee, lei era piena di vita. Lui si ritrovava spesso a darsi la colpa per i suoi tradimenti, forse le aveva tarpato le ali, un uomo come lui non meritava tanto. Poi ripensava a quel maledetto che giaceva tra le sue lenzuola, che alzava le sottane alla moglie e capiva che lui non c'entrava niente. Aveva sempre voluto il meglio per lei, eppure il modo con cui veniva ripagato non era certamente quello desiderato.

Ora quando l'accarezzava non poteva non pensare a quell'altro. Le sue labbra avevano un altro sapore e la sua pelle non vibrava più sotto i suoi abbracci. Il suo era un amore tenero e puro, ma lei aveva bisogno di qualcosa di più carnale, non le interessavano le belle parole. Non più almeno.

Antoine sospirò mentre arrivava finalmente davanti al portoncino di casa. In quel momento usciva un uomo alto con la barba sfatta, che al vederlo ghignò. Esasperato, lui abbassò di nuovo lo sguardo mentre si obbligava a non piangere. Quante parole, quanti baci, quanti doni avrebbe voluto farle ancora alla sua cara Hélène, ma ormai faticava anche a guardare i suo occhi grigi.

Entrò piano in casa, facendo attenzione a non far rumore, ma le cerniere cigolavano e fu inevitabile.

-'Caro sei tu?' lo chiamò dolcemente Hélène dall'altra stanza.
-'Sì, sono io.' Si chiese come poteva fingere tanto amore.
-'Il pranzo è quasi pronto, vieni a sederti di qua con me?'
-'No, devo fare una cosa nel mio ufficio.'

Si chiuse in quella stanza, dove sapeva che lei non sarebbe mai entrata senza il suo permesso. Seduto alla scrivania cercò di smettere di piangere. Si sentiva un bambino, uno sciocco. Come può un uomo piangere? Come può sentire le sue membra straziate da una fiera così dolce come l'amore? Era il sentimento stesso ad averlo tradito. Ah! Se solo non avesse saputo come amare ora non sarebbe stato lì ad odiarsi e a maledire l'unica persona che per lui contava più di ogni altra cosa.

Aprì il cassetto della scrivania e tirò fuori un piccolo cofanetto in mogano. Dentro c'era la collana di perle, quella che un anno e mezzo prima avrebbe voluto regalare ad Hélène. Si chiese come fosse possibile buttare dalla finestra diciassette anni di matrimonio. Non gli importava se tutti in quella società così meschina avessero una relazione clandestina e questo fosse normale o se la maggior parte di matrimoni erano accordi strattamente legati alla politica ed ai soldi. Lui amava Hélène, e sebbene soffrisse non l'avrebbe lasciata. Il suo sorriso era la sua ragione di vita, quando lei prorompeva nella sua risata cristallina non poteva non amarla, e i suoi lunghi boccoli biondi che le si avvolgevano intorno ai fianchi la facevano assomigliare ad un angelo. Nonostante il dolore, Antoine sapeva che lei era la sua salvezza, che lo avrebbe protetto.
Accarezzò le perle lucide e pensò al suo collo bianco, sul quale tante volte aveva appoggiato la sua bocca.
Poi qualcuno bussò e fu costretto a richiudere tutto velocemente nel cassetto.

-'Avanti!'
-'Volevo avvertirti che il pranzo è pronto.' Disse Hélène facendo capolino sulla porta. 'Stai bene?'
-'Sì tranquilla, adesso arrivo.' rispose Antoine sorridendo.
-'Sicuro?' si avvicinò piano lei appoggiandogli una mano sulla guancia affettuosamente 'Hai bisogno di riposarti. Il lavoro ti distrugge e io sono preoccupata per te.'

Antoine assaporò l'odore di lei, poi prese la sua mano candida e se la portò alla bocca baciandola. Capì che lei lo amava. Nessuno è così sciocco da fingere tanto a lungo sentimenti che non prova per davvero; e anche se non si capacitava di come fosse possibile far del male a qualcuno a cui si vuole bene consapevolmente, sapeva di non poterla allontanare da sé. Era come strappare un fiore alla sua terra.

-'Non è un problema il lavoro te lo assicuro. Io sto bene perché, Amore, ti ho ancora accanto.'

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