I do

di nevaeh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sei ***
Capitolo 7: *** Sette ***



Capitolo 1
*** Uno ***



 

 

Louis William Tomlinson e Eleanor Jane Calder

sono lieti di invitarLa alle loro Nozze

che si terranno il 25 luglio alle ore 10:00 presso Villa Calder.

Cordiali Saluti.

                                                                                  R.S.V.P

 

Niall entrò con uno sbadiglio nell'androne del palazzo in cui viveva quando erano ormai passate da un pezzo le cinque del mattino. Puzzava un po' di fumo e molto di erba, non ricordava buona parte della serata ed era quasi convinto di non aver mai posseduto la maglia che il quel momento aveva addosso. Il giovane si grattò una guancia intontito, notando con disappunto il leggero strato di barba che lo ricopriva; lei lo avrebbe linciato, se fosse stata lì. Con una smofia prese un malloppo di bollette dalla cassetta e si sistemò meglio la chitarra acustica chiusa nel fodero sulla spalla. L'appartamento in cui viveva era piccolo e disordinato, perennemente coperto da uno strato di fumo. Niall nemmeno ricordava l'ultima volta in cui uno straccio era passato sul pavimento, o un qualsiasi detersivo sul piano cottura. Fece una doccia in fretta, tornando nella cucina con solo l'aciugamano che gli cadeva sui fianchi troppo bianchi. Ebbe un'improvvisa voglia di caffè, poi, dal momento che nemmeno ce l'aveva, la macchina del caffè, si decise per un pacco di salatini e la suddivisione della posta. Non era così difficile, bastava prendere tutte le bollette e gettarle nel cestino dei rifiuti, strappare lo spam e ignorare allegramente ogni tipo di cartolina o lettera. Il giovane si sedette e cominciò a scartare le intestazioni delle aziende di luce, acqua e gas, poi gettò via una lettera promozionale di un negozio di articoli sportivi e qualche volantino colorato e di cattivo gusto, infine si alzò soddisfatto e si stiracchiò. L'invito lo notò solo in quel momento. Giaceva lì, in cima alle lettere da cestinare.

«Non è possibile...»esclamò sottovoce, mentre apriva e leggeva l'invito. E non era possibile davvero, soprattutto dopo tutto quello che lei... e allora, complice la sbronza che non gli era ancora completamente passata e la rabbia, prese il cellulare sul tavolo e compose quel numero che ormai conosceva a memoria.

«Cristo, Niall, lo sai che non puoi chiamarmi a quest'ora!»disse concitata la voce dall'altra parte della cornetta. Il giovane notò che erano solo le sei meno dieci del mattino, e probabilmente lei stava ancora dormendo.

«E tu sai che non puoi sposarti, ma lo stai facendo lo stesso!» urlò allora il giovane. Eleanor allora rimase in silenzio, e Niall continuò« dimmi se ti sembra normale, El.» sibilò quasi nel ricevitore.

Eleanor sbuffò, poi sentì un fruscio come se stesse spostando le lenzuola; Niall immaginò Louis dormire lì accanto e gli venne un conato di vomito «ne avevamo già parlato.»

«Già, e non ricordo di essermi detto d'accordo. Cristo, El, io ti amo!» quasi urlò il ragazzo, forte per il rhum nelle vene e per la stanchezza.

La giovane rimase in silenzio, poi mormorò «anche io ti amo, ma sai che non possiamo stare insieme.»

«No, El, non lo so! Perché?»

Eleanor, nella sua casa a Manchester, si passò una mano sul volto «Louis è un bravo ragazzo, ha un ottimo lavoro e mi da sicurezza. I miei genitori lo adorano...»

«Tu non lo ami.»proferì Niall. Eleanor non rispose, quindi il giovane scosse la testa «sai che non verrò al matrimonio, vero?»

«Sei il mio migliore amico, Niall. Non farmi questo.»lo pregò lei.

Niall rimase un attimo in silenzio, alzandosi per raggiungere la stanzetta che usava per dormire «No, El. Tu non farmi questo. Non farmi rimanere a guardarti mentre mandi all'aria il nostro futuro.»

Eleanor si arrabbiò, nel giardino dove si trovava digrignò i denti «il nostro futuro, Niall?»quasi urlò nella cornetta. Poi ricordò che tutti stavano dormendo e cercò di darsi una calmata «non vivi nello stesso posto per più di sei mesi, non vuoi impegni seri, non hai un lavoro e una casa... Quale futuro possiamo costruire?»

Niall rimase ammutolito: era tutto vero, e lui si odiava per questo «non deve essere per forza così, io...»

«No, Niall»rispose Eleanor, con un sorriso amaro «e lo sappiamo entrambi. Io ho bisogno di una famiglia, di un uomo su cui fare affidamento e su cui poter riporre tutta la mia fiducia. Tu cosa puoi darmi?»lo sfidò.

Il giovane però quella volta non accolse la provocazione «io ti amo» ripeté allora «ed è questo che ti fa paura, Eleanor» non la chiamava mai col suo nome completo, e la ragazza sospirò sconsolata, «meglio Louis e il suo bel lavoro e la sua bella auto e la sua bella casa, non è vero?»

Eleanor ribatté piccata: «è sempre stato questo il tuo problema, Niall: mandi tutto a rotoli e poi ti lamenti di come la colpa sia stata del mondo. Se io non ti ho voluto seguire Barcellona era colpa della paura di avventure nuove, non per la tua allergia alle relazioni serie. Se io ho cominciato a frequentare Louis è stata colpa della mia infedeltà, non del tuo essere sparito per sei mesi senza telefonare nemmeno una volta. Se lui mi ha chiesto di sposarlo e io ho accettato è per la mia incapacità di amarti, non perché tu eri in un altro Stato a suonare la chitarra e fare l'autostop invece di impedirmelo.» il risentimento trapelava da ogni singola sillaba. Eleanor dovette addirittura riprendere fiato. Niall non ebbe nessuna ragione per controbattere, e saggiamente decise di rimanere in silenzio «allora, Niall? Chi è che ha paura, dei due?»di nuovo il ragazzo non rispose. Eleanor sbuffò e decise che poteva bastare, ad essere presa in giro in quel modo.

«Non sposarlo, El.» un secondo prima che chiudesse la chiamata il ragazzo si decise a parlare, quasi in una supplica.

«E poi?»

Niall nemmeno ci pensò, «cambierò, te lo giuro.»

Eleanor si espresse in una risata amara, «e quanto durerebbe, Niall? Un mese? Due? Non sei fatto per il tipo di vita di cui io ho bisogno, e non ho la minima intenzione di costringerti ad essere quello che non sei.» il tono della ragazza si era fatto dolce, quasi premuroso. Niall si beò della sua voce, e allora di decise.

«Dimmi che mi ami e farò di tutto per riconquistarti, El.»

La ragazza rise, «lo sai che ti amo, ma è troppo tardi. E non è più solo per noi o per Louis.»e senza dargli il tempo di controbattere chiuse la chiamata.

Niall rimase in asciugamano, grondante d'acqua dai capelli e con il cellulare all'orecchio. Guardò l'invito che aveva ancora in mano, ormai quasi illegibile per la forza con cui l'aveva stretto durante la conversazione con lei. Sospirò, sedendosi e passandosi distrattamente una mano sul volto. Fu con la convinzione di star facendo la cosa più importante o più idiota della sua vita, quando pochi minuti dopo comprò un biglietto per tornare a Londra.


***


«Merda, merda, Mer...» Charlie chiuse il cellulare e lo poggiò senza troppi complimenti sul tavolo della cucina; Zayn Malik alzò lo sguardo dal suo pc per un istante, infastidito.

La piccola cucina nella periferia di Bristol era calda e stranamente soleggiata, Charlotte Calder sedeva scompostamente con una tazza di caffè tra le mani e l'espressione accigliata sul volto, i capelli rossi disordinatamente raccolti in una treccia che posava sulla spalla. Erano i primi giorni di Luglio, e il caldo cominciava a farsi sentire: Lena Malik, in improbabili pantaloncini fiorati, entrò nella stanza con una montagna di libri dall'aria estremamente pesante tra le braccia e un sorriso sul volto. quando li scaraventò con uno sbuffo sul tavolo, Zayn Malik la fulminò con lo sguardo.

«Non guardarmi così, tu! Sei mio fratello e mi hai lasciata portare da sola tutti questi libri.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle, «è il peso della cultura, no?» borbottò, questa volta senza nemmeno alzare gli occhi dal pc.

Lena gli fece una linguaccia, «spero che tu non ti creda simpatico, perché non lo sei per niente. E tu,» passò a rivolgersi all'altra ragazza nella cucina «chi era al telefono?» Lena frequentava il primo anno di legge all'Università e si sentiva quindi autorizzata a fare domande più o meno indiscrete a chiunque le capitasse a tiro.

«Mia sorella Eleanor.» rispose allora Charlie, senza nemmeno rifletterci su. Da quando si erano incontrate per la prima volta, quando Charlie aveva affittato il monolocale accanto a quello della famiglia Malik, avevano stretto una bella amicizia.

Lena sedette al tavolo e aprì uno dei tomi, inforcando poi un paio di occhiali da vista che le pendevano storti sul naso un po' a patata «mi piace tua sorella.»

«Anche a me, quando non parla di mamma e papà.» sospirò Charlie, per poi stiracchiarsi e alzarsi e urtando così leggermente il tavolo.

Zayn alzò per la terza volta gli occhi dal computer e chiuse lo schermo con uno scatto infastidito, «ma è possibile che non è possibile studiare in pace, in questa casa?»

«Dovrai parlare con i tuoi genitori, prima o poi.» Lena ignorò completamente suo fratello e sorrise a Charlie, ormai pronta per uscire.

«Meglio poi, credimi. E comunque» la ragazza si rivolse a Zayn che stava radunando le sue cose stizzito «potresti essere anche più cortese, non credi?»

Zayn non rispose nemmeno, limitandosi a sbuffare e a uscire dalla stanza carico di libri. Le due ragazze rimasero in silenzio, Lena si strinse nelle spalle.

«E' sempre stato strano, tranquilla.» la rassicurò ridendo.

«A volte sembra che mi odi, anche se so che non è vero. Comunque, mia madre ha chiesto ad Eleanor se sarò al suo matrimonio.»

Lena annuì «E lei le ha detto di sì?»

Charlie annuì, «vorrà parlarmi, non so se vorrò farlo.»

«Credo che tu debba stare solo tranquilla, non sarai costretta a farlo.» Lena sorrise «hai deciso con chi andarci?»

«Dove?»

La padrona di casa sbuffò, «al matrimonio di tua sorella, mi pare ovvio.»

«Non lo so, stavo pensando anche che in fondo la mia presenza non sarà tanto indipensabile.» Charlie si morse un labbro, pensierosa.

«Stai scherzando? Non torni a casa da due anni!»

L'altra ragazza sbuffò, cadendo di nuovo a sedere sulla sedia, «appunto. Sarò nella fossa dei leoni praticamente da sola!»

«Mi dispiace davvero non poterti accompagnare.»

«Stai tranquilla, Lena,» Charlie prese la borsa e ci mise dentro chiavi e cellulare mentre si alzava e si sistemava il top «lo so che devi studiare per l'esame. Davvero, non c'è problema.»

Lena si alzò a sua volta e scortò l'amica fino all'ingresso, «Magari potresti prendere un permesso al lavoro, uno di questi giorni... Potremmo andare a cercare qualcosa da metterti!»

«Ho appena detto che non sono sicura di andarci e tu mi proponi di andare a fare shopping?» chiese divertita Charlie, inforcando gli occhiali da sole.

Lena sorrise «Ovviamente! Dai, vai che è tardissimo, ci vediamo più tardi!» e senza troppe altre cerimonie la sospinse fuori dalla porta. Charlie scosse la testa uscendo, senza però stupirsi troppo. Aveva conosciuto Lena e Zayn in un pomeriggio di due anni prima, dopo soli pochi giorni a Bristol. Non conosceva nessuno e si era ripromessa di non fare troppe amicizie, ma la voce dei due fratelli che bisticciavano davanti all'ascensore come due bambini l'aveva subito fatta sorridere; erano entrati nella sua vita senza che lei potesse fare niente , forse a causa del fatto che fosse completamente sola lì, o forse perché era difficile respingere una personalità come quella di Lena. La ragazza aprì la porta del bilocale che aveva affittato e lasciò la borsa in un angolo, dedicandosi subito al letto sfatto e alla casa completamente in disordine. In un modo o nell'altro le piaceva quella sistemazione, nonostante a volte la ritenesse abbastanza piccola; c'era una piccolissima cucina componibile che fungeva anche da salotto, una porticina portava al bagno e l'altra alla stanza da letto, composta solo da un letto matrimoniale e da una cassettiera. C'era anche una culla, in un angolo, e fu lì che Charlie si precipitò non appena finite le sue faccende. Sophie, un anno e mezzo, la guardava con gli occhi verdi identici ai suoi.

«Mamma!» bofonchiò soltanto, accennando un sorriso: era quello il vero buongiorno per Charlie.

Accese la radio e preparò la colazione per la bambina in silenzio, poi la preparò per il nido e si lavò il viso per alleviare il caldo. Quando bussarono alla porta, Charlie e sua figlia erano ormai pronte per uscire.

«Pronte?» Lena entrò e prese in braccio la bambina, per poi metterla subito a terra quando quella cominciò ad agitarsi. L'altra ragazza annuì prese le ultime cose che sarebbero servite al lavoro. Non poteva permettersi una macchina, e Lena non le aveva mai fatto pesare il passaggio che le dava al lavoro tutte le mattine; Charlie gliene era grata, anche se si vergognava un po'.

«Allora,» Lena riprese a parlare quando tutte e tre furono pronte per parire, «a quale giorno stavi pensando per andare a vedere il vestito?»

Charlie sbuffò, «Ti ho detto che non mi va tanto di andarci.»

«Sai che è importante per tua sorella, Charlie! E poi non riesco a capire per quale motivo hai cambiato idea, visto che fino a ieri eri entusiasta di rivedere tua sorella e la casa al lago.»

«Probabilmente non avevo realizzato che avrei dovuto passare la giornata con tutti i parenti, con i miei...»

Lena annuì e rimase in silenzio per qualche secondo, apparentemente concentrata sulla strada. Poi disse: «E' per Sophie?».

Charlie scosse la testa «lei è l'unica cosa bella della mia vita, lo sai. E' per... con che faccia mi presento lì? Mi sono a stento diplomata, cresco una figlia di un anno e mezzo in un bilocale nella periferia di Bristol da sola perché Sean, dopo avermi messa incinta, ha preferito l'erasmus in Spagna. E come dargli torto...»

le strinse la mano «odio quando ti autocommiseri. Pensa a quello che hai fatto per Sophie,» fece una pausa, durante la quale Charlie si girò verso la bambina nel seggiolone e le accarezzò distrattamente il piedino «hai diciannove anni e vivi da sola e stai tirando su un figlio. Perché dovresti sentirti umiliata? Le persone dovrebbero tenerti a mente come esempio da seguire.»

Charlie non rispose a quelle parole, limitandosi a sorridere distrattamente. Non sentiva di aver fatto qualcosa di eccezionale, anzi spesso si chiedeva se quello che faceva per la sua bambina fosse abbastanza. L'auto accostò davanti all'insegna di un asilo nido.

«E poi,» riprese Lena a parlare, senza guaradare la sua amica in faccia «Sean è stato davvero un idiota. Non dovresti pensare a lui.»

«L'idiota» ribatté Charlie «è suo padre. E non posso non pensare a lui. Come mi presento davanti a tutti... loro» riprese poi, come se ci stesse riflettendo solo in quel momento «da sola, senza... Non lo so nemmeno io senza cosa, Lena, ma la questione è chiusa: io non andrò a quel matrimonio.» si decise infine la ragazza, che poi scese e sganciò Sophie dal saggiolino. Le due amiche si separarono con un saluto e un mezzo sorriso: una nuova giornata cominciava.


***


In casa c'era un silenzio assordante. Louis si guardò intorno sospirando, mentre pensava quanto gli sarebbe mancata quella casa. In cucina c'erano del piatti sporchi nel lavello, un paio di calzini pendevano dal bancone per la colazione e la televisione accesa trasmetteva un programma di cucina. Louis amava ogni muro, ogni spigolo, ogni mobile della sua casa. Della loro casa.

«Harry?» chiamò il giovane addentrandosi nel corridoio.

La loro casa, certo. Quella casa che gli aveva visti stanchi, felici, arrabbiati, annoiati, rilassati. Quella casa che era stata teatro dei loro momenti più importanti e più insignificanti.

«Qua» la voce del suo quasi ex coinquilino lo raggiunse in un bisbiglio, come se in realtà non volesse poi tanto farsi trovare. Louis entrò nella camera che fino a quella mattina era stata sua e scorse con la coda dell'occhio Harry seduto sul pavimento, la schiena contro la parete. Non era abituato, Louis, a vedere la sua camera in ordine, senza vestiti sul pavimento, avanzi di cibo tra le coperte e la scrivania nel caos più completo. Probabilmente in quel momento Harry stava pensando alla stessa cosa, perché guardava il letto con solo il materasso su come se non riuscisse a credere che non fosse ricolmo di cd e avanzi di pizza. Non lo stava guardando, però, e a Louis faceva male.

«Ciao» provò il più grande dopo aver indugiato qualche secondo sulla porta.

«Ciao» freddo, disinteressato. Il tono di voce gli faceva intuire che della sua presenza, lì in quel momento, non gliene importava assolutamente nulla. Gli occhi, però, che continuavano a sfuggirgli, erano più chiari di mille sfumature. Gli erano sempre piaciuti, gli occhi di Harry: riusciva a carpirne lo stato d'animo dal colore e credeva che fosse la cosa più sincera di lui.

Cosa gli stavano dicendo in quel momento?

«Certo che è strano, così tutto spoglio» tentò di cominciare la conversazione il maggiore, con un mezzo sorriso imbarazzato sulle labbra e la voglia contenuta di sedersi accanto a lui sul pavimento. Imbarazzo tra di loro? E da quando? Louis dondolò un po' sui talloni, indeciso «non ricordavo nemmeno più il colore del pavimento» cercò allora di scherzare.

Harry alzò lo sguardo. Gli occhi erano grigi, come una tempesta, e fermi. Incrociò distrattamente le caviglie, piegò il viso di lato, come a voler inquadrare il suo interlocutore «perché sei qui, Louis?» l'ultima volta che lo aveva chiamato col suo nome di battesimo era stato... no, mentre il giovane annaspava alla ricerca di una risposta si ritrovò a pensare che Harry non lo aveva mai chiamato con il suo nome per intero. D'altronde aveva pienamente ragione, in quel frangente: perché era lì? La sua auto lo aveva portato lì da sola, in realtà. Avrebbe mai potuto dirglielo, però, questo?

«Credevo che avrei potuto passare un po' di tempo con il mio migliore amico.»

Harry rise, di una risata gutturale e forzata «e io credevo che saresti andato a fare l'ultima prova dello smoking, pensa un po'»

«Dobbiamo ancora parlarne?» chiese - codardamente - stancamente Louis.

«Ne abbiamo mai parlato?» gli fece allora notare il più piccolo, che sciolse l'intreccio delle caviglie e si staccò dal muro come pretendendo una risposta che - sapevano entrambi - non sarebbe mai arrivata.

La lettera, spiegazzata e strappata da un lato, giaceva accanto al corpo del giovane, che la prese e cominciò a leggere, con nota ironica: «Louis W. Tomlinson e Eleonor J. Calder sono lieti di invitarLa al loro matrimonio, che si terrà il...»

«Ok ok, non serve leggere. Lo conosco il testo dell'invito» Louis sventolò le braccia come a voler cacciare una mosca fastidiosa «credevo che saresti stato felice, che almeno io...»

«Almeno tu cosa, Louis? Che almeno tu sia riuscito a seppellire la verità? Che sei riuscito a trovare una perfetta ragazza fantasma che possa essere una perfetta moglie fantasma? Che...»

Louis strinse le braccia al petto, scivolando a sedere contro il muro di fronte a quello cui era poggiato Harry, «cosa avrei dovuto fare?»

«Non lo so, Louis. La sparo se dico – e il tono divenne nuovamente ironico – dichiarare a tutti che stai con me, che ami me e lasciar perdere la ragazza fantasma?»

Di nuovo Louis boccheggiò, preso alla sprovvista dalle parole dell'altro. Non gli aveva mai detto che lo amava, ma riusciva a sentirlo. E faceva male. E stava per sposarsi; «è... complicato» cercò allora di rispondere, ripetendo quelle parole come un mantra.

È complicato.

Per la sua famiglia, che non avrebbe capito e che non lo avrebbe supportato.

È complicato.

Per Eleonor, per tutte le persone che erano intorno a loro e che non poteva certo deludere. Il matrimonio perfetto, i figli perfetti, il lavoro perfetto. La moglie perfetta.

È complicato.

Per lui, che aveva paura di un sentimento così grande e così sbagliato. Per lui che voleva solo piangere e nascondere il viso nella camicia azzurra di Harry e baciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene.

È complicato.

«Cosa?» implacabile, Harry non aveva intenzione di dargli tregua. Lo sguardo era sempre così freddo e grigio che Louis rabbrividì, nel momento in cui incontrò i suoi occhi.

«Tutto»

Harry sorrise, amaro «è complicato o è sbagliato, Louis?»

«Tutto» ripeté l'interpellato, chiudendo gli occhi per un secondo e riaprendosi subito dopo. Faceva male tenerli aperti, e lui stava già soffrendo troppo. Harry scosse la testa mordendosi un labbro con i denti, quasi a sangue. Con un colpo di reni si alzò e si pulì distrattamente i pantaloni. Dall'altra parte della stanza Louis continuava a tenere gli occhi abbassati sulle sue mani che erano diventate bianche; la fedina di fidanzamento brillava minacciosa sul suo anulare. Il più piccolo si guardò intorno un'ultima volta, poi si avviò a passi lenti verso la porta, accanto all'altro ragazzo.

«Cosa posso fare?» quasi lo supplicò allora Louis, prendendogli un braccio nel momento in cui Harry gli passò accanto.

Il giovane si fermò senza abbassare lo sguardo «puoi dirmi che mi ami?»

Louis non ci pensò nemmeno un istante, «si» rispose, sorprendendo anche se stesso. Quante volte aveva immaginato di dirglielo, nell'impeto di un amplesso o durante una serata davanti a un film. Non lo aveva mai fatto, però. Per il cellulare che continuava a lampeggiare il nome di Eleonor mentre squillava, per sua madre che già aveva visto una culla per il prossimo erede, per il mondo che “oh, non si può amare un uomo se sei un uomo”.

Harry assorbì quell'unica sillaba in silenzio, senza mutare espressione; «puoi dirmi che lei per te non è niente?»

«Assolutamente niente, lo sai» certo che lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Harry sapeva di essere l'unico destinatario di quel sorriso che lo faceva morire e resuscitare in un respiro, l'unico proprietario di ogni centimetro di pelle e del suo corpo, l'unico padrone dei suoi sensi. E anche Louis lo sapeva, da prima che le loro labbra si incontrassero per la prima volta e che suoi denti si imprimessero a fondo nella spalla dell'altro.

Questa volta Harry si concesse un mezzo sorriso diverso da tutti quelli che gli aveva rivolto quel giorno: un sorriso consapevole, malandrino e sincero; un sorriso che gli perdonava le colpe commesse e lo macchiava di altre ancora più gravi.

«Puoi dirmi a chi pensi, quando sei con lei?»

«A te. Ogni secondo.» rispose Louis, ormai completamente soggiogato da quelle labbra e da tutte le loro promesse.

«Puoi dirmi che non la sposerai, Louis?»

E Louis non rispose. Semplicemente rimase in silenzio e abbassò nuovamente lo sguardo, colpevole. E Harry capì che, nonostante tutto, forse non lo amava abbastanza da affrontare tutto.

«Era quello che volevo sentirmi dire» fu il mormorio del più giovane che, liberatosi dalla stretta dell'altro, lasciò la stanza. Louis lo lasciò fare, stringendo i pugni e i denti e gli occhi e dicendosi che, ehi, forse era meglio così, e che le cose avevano un loro corso e un loro destino. E poi, ehi, si disse, forse era proprio un idiota, e allora si alzò dal pavimento che era diventato bollente e raggiunse la cucina.

Harry stava seduto sul divano, con il telecomando in mano e la televisione che aveva smesso di parlare. Era fermo, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate mollemente; i capelli che ricadevano davanti al viso.

Louis si avvicinò al divano quasi di corsa, e fece quello che aveva sognato per tutto il pomeriggio.

«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace...» il ragazzo cominciò a mormorarlo senza sosta mentre affondava le dita tra i capelli ricci del suo compagno e il naso nel suo collo.

Harry lo accolse immediatamente, circondandolo con le braccia e tirandoselo addosso come a volerlo sentire completamente, come a voler diventare parte di lui.

E poi quello non bastò più. E i singhiozzi di Louis si trasformarono in sospiri e poi in gemiti. E gli occhi di Harry divennero lucidi per l'emozione, prima che per il tocco dell'altro. La camicia azzurra finì sul pavimento, i bottoni strappati; i jeans del maggiore rimasero rovesciati sul bordo del divano e i pieni nudi si intrecciarono tra loro. C'era la rabbia, in quell'abbraccio. La rabbia di non poter urlare al mondo quello che erano. La rabbia del dover abbassare lo sguardo. La rabbia di dover dire “è complicato” e sapere che lo è, ma non per le ragioni degli altri.

Harry sospirò forte mentre le sue labbra incontravano quelle di Louis e tocchi caldi che lo facevano rabbrividire.

Alla fine non ci fu nient'altro che non fosse il respiro di Louis sulla sua pelle, i gemiti di Louis sulle sue labbra, il membro di Louis dentro di lui.

Quanto ci voleva, a dimenticare tutto? Una spinta, un bacio, uno sguardo. Eppure la fedina era fredda contro la sua schiena, l'invito giaceva sul pavimento della stanza vuota in fondo al corridoio e il telefono sotto il tavolino del soggiorno lampeggiava il nome di Eleonor, vibrando.

Dopo, quando tutto finì, rimasero in silenzio. Gli occhi del più grande erano ancora rossi, quelli di Harry erano diventati di un verde così chiaro che sembravano stessero per sparire.

Dopo, quando tutto finì, Harry comprese che non era cambiato niente. Gli occhi del più grande erano sfuggenti, mentre si rivestiva. I suoi si incupirono nuovamente; «puoi dirmi che mi ami?» chiese per la seconda volta il più giovane.

Louis stava di spalle, rivestendosi. Rispose «si», ma non si voltò verso di lui.

«Puoi dirmi che lei per te non è niente?»

«Lei non è niente.» disse di nuovo l'altro, infilando la t-shirt.

Harry si sedette composto sul divano, abbassò lo sguardo «puoi dirmi a chi pensi, mentre sei con lei?»

«Solo a te.»

«Allora perché la sposerai lo stesso, Louis?» il suo tono era cambiato radicalmente, facendosi stanco e tirato e rassegnato. Il giovane di spalle non rispose, limitandosi a prendere il telefono dal pavimento e spegnerlo con un gesto secco. Si alzò, voltandosi verso il suo compagno e lasciandogli un bacio sulle labbra. Bollente e colpevole.

«Non sai nemmeno quanto ti amo, Harry, e non hai idea di quanto sia difficile.» mormorò.

«No! Non lo è se non lo fai!» questa volta il più piccolo lo stava pregando, mettendo da parte l'orgoglio e la dignità. Ne valeva la pena?

Louis non rispose, si raddrizzò e raggiunse a passi lenti la porta d'ingresso, indugiando poi con la mano sulla maniglia.

Harry nel frattempo si era alzato, senza preoccuparsi di coprirsi. Che senso aveva, se poi si sentiva tanto nudo dentro? «lo sai che se vai via non ci sarà più niente che potrai fare, per riavermi?»

Il più piccolo non lo vide, standogli alle spalle, ma Louis mandò indietro una lacrima mentre girava la maniglia «lo so.» disse solo, uscendo dall'appartamento.

 

***

 

Primo capitolo di una storia a cui lavoro da questa estate e a cui sono particolarmente affezionata. Un grazie speciale va a Donatella, che deve sorbirsi ogni giorno i miei complessi, e a Chiara, che non deve sorborsi solo quelli.

L'idea generale è abbastanza semplice: proviamo a scrivere una storia vera, dove ci sono porblemi e incomprensioni, dove non esistono Mary Sue - anzi! - e dove ognuno, come in ogni famiglia che si rispetti, ha i suoi scheletri nell'armadio.

La storiasarà sempre divisa sempre in tre paragrafi e sarà completamente ambientata nell'arco temporale di poche settimane, specialmete in quella che precede il matrimonio tra Eleanor Calder e Louis Tomlinson. Le romance presenti saranno di due tipo: eterosessuali e omosessuali. Personalmente non sono una grandissima esperta in quest'ultimo campo, vogliate quindi perdonare le possibili imprecisioni. Gli One Direction descritti di questa storia, per quanto in OOC, non mi appartengono; Charlotte Calder, Lena Malik, Sophie Calder e gli altri personaggi inventati che compariranno successivamente, invece, sono mia proprietà intellettuale come anche l'idea della trama e la stesura della storia; sono per tanto sono vietati riproduzioni e plagi.

Spero che questo primo capitolo vi piaccia; grazie anche a Jas per lo splendido banner.

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Capitolo 2
*** Due ***


#2

 

 

A Charlie non dispiaceva il suo lavoro. Il piccolo negozio in cui lavorava era silenzioso e quasi sempre vuoto; Mr Chapman, il titolare, era sempre fuori per qualche commissione, così a lei non rimaneva che spazzare il pavimento, mettere le fotografie che sviluppavano nei cartoncini con i nomi dei clienti e fare cassa quando serviva. Niente di troppo speciale, ma pagava abbastanza perché Charlie potesse pagare l'affitto e l'asilo era a pochi passi, quindi era perfetto. In fondo, però, lavorare in quel negozio era più appassionante di quanto penasse all'inizio, nonostante lei non fosse mai stata il genere di ragazza a cui piace l'arte: i pomeriggi interi nella camera oscura, che all'inizio aveva trovato noiosi, erano invece adesso attesi con trepidazione. Allontanarsi, solo per qualche ora, dai rumori della città e dai pianti di sua figlia - spesso, la sera, si chiedeva perché la Cina non gliel'avesse ancora portata via per usarla nella messa a punto di una nuova arma di distruzione di massa, - era quasi un ttoccasana. Purtroppo, però, il lavoro era sempre di meno, tanto da portarla a credere che prima o poi il suo capo avrebbe dovuto chiudere bottega.

«Non se ne può più di questo caldo asfissiante.» Lena Malik entrò nel negozio con due bicchieri con l'inconfondibile marchio verde di Starbuck's e un sacchetto di carta.

Charlie sorrrise chiudendo la pagina di photoshop che stava tentando di decifrare, «Non fa così caldo, Lena. Hai finito di studiare?».

«Ti prego, non ho nemmeno cominciato!» scosse la testa l'altra ragazza, come se la cosa non avesse la minma importanza a due settimane dall'esame; «piuttosto, dovremmo parlare di cose importanti.»

Charlie alzò gli occhi al cielo. Nel negozio non c'era nessun cliente, quindi Charlie prese senza troppi pensieri il suo frappuccino al caramello, «il ché, ovviamente, non comprende il tuo esame di precedura civile.»

«No nella maniera più assoluta, mia cara.»

L'altra ragazza scosse la testa, senza troppa convizione; «allora cosa riguarda?»

Lena si sedette sul bancone, tirò fuori un double chocolate muffin e pronunciò le parole che nessuno vorrebbe sentire da lei: «stavo pensando...»

«Ti prego, Lena, sii seria.»

Lena non diede peso al commento, limitndosi a rivolgere alla sua amica un'occhiataccia, «stavo pensando,» riprese «che se il problema sta nel fatto che non vuoi andare lì da sola, be'... quello di cui hai bisogno è un uomo.»

Charlie strabuzzò gli occhi, il Frappuccino rischiò di andarle di traverso; «Lena,» proferì soltanto, guardando la sua amica come se fosse pazza - cosa di cui era sempre più sicura, in realtà - «prima di tutto non sono sicura di seguirti e poi... Ti rendi conto che hai appena buttato alle ortiche duecento anni di puro e fiero femminismo?».

Lena sventolò una mano smaltata di rosso come se questo non avesse poi tanta importanza, «hai capito quello che sto cercando di dirti?».

«No, e meno male!» rispose Charlie, interrotta però da un cliente che entrava nel negozio. La conversazione venne interrotta per qualche minuto, fino a quando l'uomo che era entrato non lasciò un rullino fotografico sul bancone e uscì.

«Quindi, stavamo dicendo...» Lena seguì la sua amica nella camera oscura nel retro nel negozio, «dobbiamo trovarti un uomo.»

Charlie rimase in silenzio, preparando il composto per lo sviluppo delle fotografie, poi scosse la testa e fece segno a Lena di spegnere la luce.

«Non dire idiozie, Lena.» nel buio totale la ragazza avvolse il la pellicola nella spirale e la chiuse nella tank, versò il bagno di sviluppo e con attenzione attese lo squillo del timer. Lena rimase in silenzio a sua volta fino a quando l'altra non fece uscire lo sviluppo e preparò il fissaggio. «E poi, cosa ti fa credere che possa trovare un fidanzato in così poco tempo e che possa convincerlo ad accompagnarmi al matrimonio?».

«Mica deve essere per forza il tuo fidanzato ufficiale! Ti basta qualcuno che... non lo so, ti stia vicino quando ne avrai bisogno?».

Charlie aprì l'acqua per lavare le pellicole, «Non ho bisogno di un uomo, Lena. Fin ora ce l'ho fatta da sola, no?»

Lena sbuffò, «Che c'entra! Pensavo potesse essere comunque una buona cosa.»

«Ah sì?» Charlie incrociò le braccia al petto, «e a chi avevi pensato?» chiese allora ridacchiando.

«A mio fratello Zayn.»

Charlie rimase in silenzio per qualche secondo, poi, semplicemente, scoppiò a ridere.

«Cos... Perché adesso staresti ridendo?» Lena strabuzzò gli occhi.

Charlie scosse la testa, sempre diverita: «certo che ne hai avute, tu, di idee strane nella tua vita, ma questa le batte tutte senza problemi!» si limitò a rispondere.

«Non vedo per quale motivo, in realtà. Lo conosci da quando sei arrivata e anche tua figlia, è carino, è di buona famiglia e sta per laurearsi in architettura. Scommetto che i tuoi lo adorerrebbero.» proferì Lena.

In effetti aveva ragione, in fondo come si poteva pensare che Zayn Malik non fosse il ragazzo perfetto? C'era solo un problema...

«Lena, lui non mi parla. Nel senso... in due anni che ci conosciamo avremo parlato tre volte, e ho sempre cominciato io il discorso.»

L'altra ragazza si strinse nelle spalle, «è che è timido.»

«Timido?» Charlie spense il timer e tolse le pellicola dalla tank, togliendo le gocce d'acqua con una spugnetta. «Credo tu stia sbagliando vocabolo, Lena: maleducato sarebbe più corretto. E francamente non ho bisogno di stare in compagnia di nessuno con un carattere del genere. Come se non avessi cose più importanti di cui occuparmi, poi.» la ragazza scosse la testa e finì di appendere le pellicole affinché asciugassero, poi entrambe tornarono nel negozio.

Mr. Chapman aprì la porta in quel momento ed entrò nel negozio con la sua solita andatura zoppa. Posò il borsone con l'attrezzatura sul bancone e rivolse un cenno alle due ragazze. Non era sicuramente il tipo più simpatico della città, e sicuramente non rientrava tra i più loquaci, ma Charlie nutriva una profonda stima nei suoi confronti: mai sposato, aveva dedicato una vita intera alla sua passione per la fotografia, nonostante questa non lo avesse mai ripagato. Ne era conseguito un carattere burbero e taciturno, ma lei era sicura che sotto sotto fosse una brava persona, almeno considerando quello che aveva fatto per lei quando aveva bussato alla sua porta in cerca di un lavoro, senza meriti o esperienza.

«Buongiorno, Mr Chapaman, vi trovo bene stamattina!» Lena sorrise all'uomo e prese la borsa carica di libri.

L'uomo non si degnò di rispondere, diede un'occhiata all'orologio e borbottò solo un «ho preso un impegno per questo pomeriggio quindi restiamo chiusi. Torna domani, c'è del lavoro da fare.» e senza aggiungere altro si ritirò nel retrobottega. Charlie e Lena, prendendolo ome un congedo definitivo, si strinsero nelle spalle e recuperarono i bicchieri ancora pieni, uscendo poi nella calura estiva.

«Secondo me è il destino.» Lena sorrise prendendo a braccetto la sua amica. Era ora di pranzo, e Charlie aveva vogla di passare del tempo con sua figlia.

«Ti prego, Lena...» piagnuolò allora.

«No, sono seria. Adesso io e te andiamo a mangiare qualcosa e poi ti troviamo qualcosa di sexy da mettere al matrimonio.»

Charlie sbuffò, intuendo che non avrebbe potuto trovare scuse. «Va bene, ma prima andiamo a prendere Sophie?»

«Certo, così nel fratt...» ma Lena non riuscì a completare la frase, interrotta dallo squillo del suo cellulare.

«Chi è?»

Lena scorse il messaggio in silenzio e digitò una risposta velocemente; «mio fratello, mi chiede se voglio pranzare con lui e Josh.»

«Josh il tipo per cui hai una cotta?»

Lena sorrise, «mi auguro di no, dal momento che ho rifiutato.». Il suo cellulare riprese a squillare.

«Ehy, Zayn... no, no, sono con Charlie e stiamo andando a prendere Sophie al nido. Sì... Va bene, dai... Quando?... Passo dopo, ok. Ci vediamo a casa.» la ragazza fece per chiudere la chiamata, poi si ricordò di qualcosa; «aspetta! Devo chiederti una cosa... hai impegni per la settimana del venticinque Luglio?... C'è il matrimonio della sorella di Charlie, non è che ti vuoi fingere il suo fidanzato per non farle incontrare da sola i suoi genitori?... Non lo so, penso di sì... mh... mh... una settimana.... Va bene, dai. Ciao!».

Charlie era completamente rossa, ferma nel bel mezzo della strada con uno strano prurito nelle mani: «ma sei fuori di testa?!» tuonò.

L'altra sbattè le palpebre, disorientata, «perché, scusa?»

«Dio, è la figura peggiore che io abbia mai fatto in vita mia...»

Nuovamente Lena sgranò gli occhi: «non capisco di cosa ti preoccupi, dal momento che ha anche accettato.»


***


Louis atterrò all'aeroporto di Manchester alle sette di sera, stanco per il viaggio e a causa di Harry. Aveva finito di organizzare il suo trasferimento e dopo una famosa prova dell'abito, in una delle più famose sartorie della capitale, si era dichiarato pronto a dire ciao per sempre a quella che era stata la sua casa per tanti anni.

Ella, ciao! - rispose con un sorriso quando il suo cellulare prese a squillare. L'abitudine di chiamarla Ella era nata così, per gioco, e ormai dopo tanti anni le era così affezionato che anche solo pensare che lei gli stesse parlando lo metteva di buon umore. Eleanor era fresca, giovane, sorridente. La sua compagnia era un toccasana e i suoi consigli preziosi. Louis non riusciva ad immaginare la sua vita senza un'amica così fantastica. Forse era anche per quello che non se la sentiva di mandare tutto all'aria: come avrebbe fatto lei, a una settimana dal matrimonio, lasciata dal fidanzato? No, le voleva troppo bene per farle questo. E poi era giusto così, Harry se ne sarebbe fatta una ragione e forse, in un futuro lontano, avrebbero potuto riconsiderarsi amici. In quel momento, però, l'unica cosa che voleva fare era piangere o urlare. O entrambe, contemporaneamente.

- Finalmente, Lou! Qui stanno impazzendo tutti, ti prego vieni a salvarmi! - lo pregò ridendo, quello di esagerare le cose era uno dei suoi vizi, e Louis sospirò sconsolato.

- Stanno di nuovo litigando per i segnaposti? - chiese trattenendo una risata.

Eleanor sbuffò - e per la confettata. Quando mai hai visto delle confettate viola, Lou?

- Non lo so, cara. Comunque sto tornando a casa e ne parliamo, va bene? Posso solo immaginare quanto sia importante scegliere il colore delle confettate.- e le chiuse il telefono, risparmiandosi un paio di insulti. La sua auto era nel parcheggio custodito di fronte all'aeroporto, il giovane sistemò il borsone di pelle con i vestiti nel portabagagli e si mise alla guida, accendendo la radio. Sulla stazione che ascoltava di solito passavano una vecchia canzone degli Oasis, Louis si mise a canticchiarla portando il ritmo con le dita sul volante. Ricordava ancora quando Harry, un pomeriggio particolarmente freddo, lo aveva costretto ad impostare quella stazione come preferita solo perché ogni tanto ci passavano la hit di Olly Murs, che gli piaceva tanto. Nemmeno si stupì, pensandoci, che ogni piccolo gesto nella sua intimità fosse adattato a Harry: l'aria condizionata spenta perché gli dava fastidio quando stavano in auto insieme, la radio sintonizzata sempre sullo stesso canale, il braccialetto nel portavivande tra i sedili, uno dei tanti che lui indossava ogni giorno. Non era possibile che fosse finita così, ma era anche normale che facesse una scelta una volta o l'altra. Il ragazzo sperò solo che fosse quella giusta, poi cambiò stazione radio, chiuse i finestrini e accese l'aria condizionata nell'abitacolo.

La casa che aveva acquistato con Eleanor era nel centro di Manchester, dove entrambi lavoravano. Quella sera però guidò per oltre due ore, raggiungendo la sua fidanzata nella villa dei genitori a Penrith, centro turistico del Lake District. Eleanor indossava un paio di pantaloncini e una canotta bianca, i piedi scalzi. Stava nella cucina a lavorare al computer e non appena lo scorse gli corse incontro. I due si scambiarono un tenero abbraccio, Eleanor gli sussurrò "mi sei mancato tanto" all'orecchio e gli stampò un bacio sulle labbra.

- Anche tu mi sei mancata, Ella. - Louis si sedette cercando di non pensare al fatto che la ragazza, con il suo bacio, aveva cancellato il sapore di Harry dalle sue labbra. Scosse la testa sovrappensiero e accettò il tè che lei gli stava porgendo.

Eleanor gli si sedette accanto sul divano, mettendogli i piedi in grembo - allora, com'è andata con Harry? - la domanda, buttata lì senza pensarci, fece irrigidire Louis, che smise per un attimo di accarezzarle le caviglie. Quando non rispose, Eleanor sorrise amaramente e gli prese una mano - ha chiamato la wedding planner, dieci minuti fa. - cambiò totalmente argomento. Il giovane gliene fu grato.

«Si sono messi d'accordo sul colore dei tovaglioli?»

Eleanor ridacchiò «si, ora il dubbio amletico è sulla stoffa da utilizzare!»

Louis gettò la testa all'indietro divertito - dio...- sospirò soltanto, passandosi una mano sul viso. Un altro gesto rubato da Harry; ritirò la mano e la posò sulla gamba della sua fidanzata.

«Io propongo di scappare in Messico, cambiare nome e aprire un bar sulla spiaggia. » propose d'un tratto la ragazza, semi seria.

Louis si fece interessato «perché no, io potrei imparare a fare i mojito, che ne dici?» e scoppiarono entrambi a ridere. Eppure sarebbe stato meglio per entrambi, e questo Louis lo sapeva bene. Il cellulare cominciò a squillare sul tavolo dove era stato abbandonato, Eleanor si alzò di malavoglia e fissò lo schermo per qualche secondo.

«Chi ti chiama?» chiese Louis, senza però ottenere risposta. Eleanor rientrò pochi minuti dopo, un'espressione indecifrabile sul bel viso.

«Era il dottore.» annunciò funerea, «sono arrivati gli esami, sono incinta.»


***


Harry Styles, a diciannove anni, poteva ritenersi un ragazzo fortunato. Abitava da solo a Londra, dove lavorava come modello e qualche volta anche come comparsa in video musicali, aveva un sacco di amici e una mamma che non si rifiutava mai di lavargli i vestiti quando tornava nella minuscola Holmes Chapel; aveva abbastanza soldi per poter vivere dignitosamente, una macchina e un gatto, Romeo. C'era solo una cosa che gli mancava,in tutto il quadro praticamente perfetto: una persona con cui condividere tutto quello che aveva.

Harry Styles, a diciannove anni, non aveva mai fatto coming out. In realtà, ed era un concetto che ribadiva con convinzione abbastanza spesso, secondo lui non esistevanno persone etero e persone gay; l'uomo, per natura, ama. Riteneva abbastanza noioso soffermarsi a pensare a chi dovesse essere il destinatario di quell'amore. Ed Harry, nonostante la giovane età, aveva amato un sacco di volte. A cinque anni, il primo giorno di scuola elementare, si era preso una colossale cotta per una bambina bionda di nome Caty, passatagli solo quando, due anni dopo, lei aveva teatralmente rifiutato la sua cartolina di San Valentino. In seconda media aveva dato il suo primo bacio a stampo, inbarazzantissimo e imbarazzatissimo, a Dean, il suo compagno di banco. Harry amava, ed era particolarmente bravo a farlo. Si innamorava della gente, dava loro fiducia, li faceva sentire speciali.

Harry Styles sapeva di essere bello. Glielo diceva continuamente sua madre - ma lei non contava per ovvi motivi -, glielo diceva la sua amica delle superiori Taylor e il suo ex ragazzo Tom. Louis, però, era diverso. Lui non glielo aveva mai detto, non con gli occhi almeno. Harry, con Louis, si sentiva bello. Bello e desiderabile. Quando lui lo guardava, mentre facevano l'amore o da Starbuks durante la colazione. Harry viveva per quello sguardo, non sapeva come avrebbe potuto fare senza. Si erano incontrati per la prima volta a Londra, quando Harry si era appena trasferito per lavorare come modello e frequentare l'università; di quel giorno ricordava vagamente il caldo, il cerone sul viso che gli prudeva. Non avrebbe mai dimenticato nemmeno i suoi occhi azzurri e curiosi che lo squadravano, il suo "ooops!" quando era entrato nel bagno senza bussare, seguito da un poco probabile "che hai in faccia? Comunque sia, si sta sciogliendo!" che lo aveva fatto sorridere istantaneamente. In effetti Harry non avrebbe saputo dire, nonostante fossero passati due anni, il perché Louis quel giorno fosse proprio in quello studio, dal momento che lui studiava letteratura perché voleva fare l'insegnante. Non gli interessava, però, e se proprio doveva rifletterci preferiva vederlo come un segno del destino. Lo amava, nonostante il suo essere tanto lunatico, nonostante non avessero vissuto nella stessa città per i primi quattro mesi. Lo amava perché gli aveva detto che era il primo ragazzo con cui aveva una relazione, perché si era trasferito a Londra e gli aveva invaso l'appartamento, soprattutto perché era disordinato e non riusciva a cucinare nemmeno u uovo senza far esplodere la cucina e dimenticava sempre le chiavi. Nonostante fossero passati solo tre giorni ad Harry mancava, soprattutto perché se si guardava allo specchio non riusciva a sentirsi bello.

Louis Tomlinson, a differenza di Harry, era un tipo a cui le mezze misure non piacevano: l'amore è amore, ma devi decidere chiaramente a chi donarlo. Il fatto, però, che personalmente non riuscisse a farlo era un altro paio di maniche. Eleanor l'aveva conosciuta al college, dove lei studiava scienze politiche. Il genere di ragazza che non passa inosservata, ma abbastanza intelligente da non essere dimenticata il giorno dopo. Louis gli aveva parlato di lei una delle prime volte in cui erano usciti, quando anche solo sfiorargli la mano significava farlo diventare rosso fino alla punta delle orecchie. Harry ricordava con nostalgia quei tempi, quando tutto sembrava troppo facile. Lui lo amava, e Louis ricambiava. Non era bastato, però. All'inizio c'erano stati degli sms che lo avvisavano di non poter rientrare a Londra, poi c'erano le scuse, mormorate nel lettone di notte, mentre Harry fingeva di dormire e tuttavia sorrideva contro il cuscino. E poi le scuse erano diventate monotone, e il tempo che Louis passava a Manchester era aumentato in maniera considerevole. E a un certo punto non era più bastato nemmeno quello che provavano l'uno per l'altro. Eppure Harry asspettava, perché sapeva che Louis era il ragazzo che voleva, e non voleva lasciarlo andare via. Nemmeno questo, tuttavia, si era dimostrato sufficiente. Infine c'erano stati i baci, quelli salati per le lacrime e quelli malinconici; c'erano state le parole, troppe parole, che contenevano promesse che non potevano essere mantenute, c'erano i "ti amo" detti con la voce e con le mani, c'erano i "ti voglio" degli occhi, c'erano i "le dirò tutto" sussurrato dopo i litigi. Nemmeno quello, alla fine, era servito a niente.

Quando tornò a casa dal lavoro, Harry andò a fare la doccia ed indossò un paio di jeans neri e una maglia a mezze maniche bianca, si passò una mano tra i capelli spettinati e umidi e sistemò le collanine che portava appese al collo. La colpa, rifletté mentre prendeva le chiavi di casa e si chiudeva la porta alle spalle, era essenzialmente sua. Sua perché dipendeva tanto dalla sua voce e dai suoi occhi, sua perché aveva fatto in modo per troppo tempo che i "perdonami" fossero abbastanza, sua per essersi permesso ad innamorarsi così tanto. Per quasto quando Josh Devine, un ragazzo che suonava la batteria in una piccola band sconosciuta, gli chiese se potesse offrirgli una birra, Harry sorrise ed accettò.


***


Quando l’aereo atterrò nella minuscola Penrith, Niall ebbe quasi voglia di ritornare in Spagna. Alla fine nessuno se ne sarebbe nemmeno accorto, e poi aveva così tanti posti ancora da visitare. Magari avrebbe potuto raggiungere il suo amico Marco a Verona, o magari quella bionda di Lione… il giovane scosse la testa e decise di affrettarsi ad uscire dall'aeroporto, prima di fare qualche stupidaggine. Solo in quel momento si rese conto di quante volte, alla minima difficoltà, avesse ritenuto più facile scappare. E lei stava per sposare un altro.

Niall compose il numero di cellulare di Eleanor mentre si incamminava alla stazione dei pullman. Non aveva abbastanza soldi per permettersi un taxi, e un chilometro nell’umidità non aveva mai ucciso nessuno. La ragazza rispose al quinto squillo, quando Niall stava per rinunciarci.

- Due volte in due giorni, complimenti. - il giovane trattenne un sorriso, era per quella voce che ci stava provando. Era lei a cui aveva pensato in aereo mentre attraversava l’Inghilterra. In realtà ci pensava sempre, e si sentì ancora peggio, quando lo realizzò.

- Casa dei tuoi è sempre la stessa? - si rifiutò di rispondere alla provocazione, e poi ormai non aveva nulla da perdere.

Eleanor chiuse di scatto una porta, - non lo stai facendo davvero. -

- Vediamo? - la sfidò il ragazzo con un mezzo sorriso, che lei non poté vedere.

La giovane, nella casa sul lago, scosse la testa e si sedette sul dondolo - lascia perdere, Niall, davvero. -

- Cosa? - il tono del ragazzo si alterò appena - El, per favore… -

- Per favore tu, Niall. - e per la prima volta nella voce della ragazza si lesse tristezza- non farmi questo. -

- Non vuoi vedermi? - chiese Niall.

Eleanor non rispose subito, ma quando lo fece sembrava una bambina spaventata - voglio vederti troppo. Voglio vederti come dovrei voler vedere Louis. - ammise allora. Non era in imbarazzo, piuttosto sembrava sconcertata. Era facile fingere di essere la fidanzata e la figlia perfetta quando non c’era lui. Perché quando compariva non riusciva a pensare a nulla che non fossero le sue mani e i suoi occhi e la sua voce. Dio quanto amava la sua voce.

Niall respirò forte nella cornetta, come se stesse trattenendo a stento l’emozione - El… - mormorò appena, la voce rotta.

La ragazza si schiarì la voce, poi deglutì - non venire, prendi il primo volo e vai da qualche parte e non farti sentire per i prossimi sei mesi. Sappiamo entrambi che sei piuttosto bravo a farlo. - era di nuovo diventata fredda, nonostante si sentisse quanto fosse amareggiata. Diceva: va via, ma nemmeno lei sapeva cosa voleva.

- No, El. -

Eleanor sospirò di nuovo - dove sei? -

- Alla stazione di pullman. -

- Avviso il guardiano del club, allora. - cedette alla fine.

Niall sorrise, fermandosi alla stazione dei pullman - grazie. - disse.

Eleanor avrebbe voluto chiedergli per cosa, ma si limitò a un verso affermativo, poi la chiamata si concluse. Il ragazzo fece il biglietto e si sedette alla panca, poggiando il borsone dei vestiti e la chitarra accanto a sé. Sorrise, sentendosi stupido e leggero.


***


Zayn attraversò senza fretta il binario, in quella bollente domenica mattina di metà Luglio, con una sacca di pelle gettata malamente sulla spalla e il cellulare all'orecchio. Gli occhi scuri leggevano sovrappensiero i tabelloni delle partenze, cercando di capire dove avrebbe dovuto prendere il treno. Dopo qualche momento, mentre rispondeva un poco convinto "si, ti chiamo quando arrivo." alla ragazza che stava frequentando in quel periodo, riuscì a scorgere un paio di short a coprire gambe bianchissime e una massa di capelli rossi e lunghi legati in una treccia disfatta. Zayn si avvicinò con un mezzo sorriso sulle labbra e prese senza sforzo le due valige che la giovane stava tentando, non senza poche difficoltà, di caricare sul treno.

«Mi hai spaventata!» furono le prime parole di Charlie quando si accorse della presenza del ragazzo accanto a sé. Quello sbuffò e senza risponderle nemmeno si avviò verso con la sacca e le due valige verso il loro scompartimento. Charlie, già irritata, si limitò a seguirlo tenendo in braccio Sophie per l'angusto corridoio, cercando di non investire nessuno.

«Vieni, questo è libero.» si limitò ad annunciare Zayn sporgendosi verso il corridoio per farsi notare. Charlie entrò e chiuse la porta scorrevole, beandosi dell'aria fresca per qualche secondo. Probabilmente indossare la camicetta bianca, per quanto si intonasse ai pantaloncini, non era la soluzione più comoda per viaggiare con quel caldo. Lasciò andare la bambina che prese a camminare timidamente per lo scompartimento, prima di cadere a terra e cominciare a giocare con un bambola che aveva sotto il braccio. I due giovani non si erano scambiati ancora una parola, semplicemente Charlie aveva notato i bagagli sistemati dove non avrebbero potuto dare fastidio e Zayn, comodamente seduto e con il pc già aperto sul tavolino pieghevole davanti a sé. La ragazza si sedette di fronte a lui e tirò fuori un libro dalla borsa. Sarebbe filato tutto liscio, se dopo qualche minuto il silenzio non si fosse fatto insopportabile tanto quanto il rumore dei tasti del computer, battuti freneticamente dal ragazzo.

«Potresti smetterla, per favore?» chiese alla fine Charlie, che nel frattempo aveva chiuso il libro con uno scatto secco.

Zayn non alzò nemmeno lo sguardo dallo schermo «siamo nervosi? Vuoi un po' d'acqua fresca?» la stava prendendo in giro? Charlie sbuffò e gli rivolse una occhiata gelida, che ovviamente il giovane non notò nemmeno.

«Senti, già che ho accettato di farti venire...»

«No, bimba,» la interruppe lui guardandola, finalmente «sono io che ho accettato di far parte di questa farsa, quindi non ti permettere nemmeno di rivolgerti con quest'aria di sufficienza.» e con queste parole, dette in tono gelido, la conversazione si chiuse. E il ticchettio del computer ricominciò implacabile. Charlie trattenne a stento uno sbuffo, rivolgendo uno sguardo al paesaggio che scorreva oltre il finestrino chiuso «poi mi devi spiegare perché hai accettato.» disse d'un tratto, più a sé stessa che al suo interlocutore. Zayn smise di scrivere ma rimase un po' in silenzio, come se stesse ponderando la risposta.

«Allora, com'è che ci siamo conosciuti, noi due?» il cambio d'argomento, così naturale come se fosse la risposta alla domanda posta dalla ragazza, spezzò quell'attimo di tensione che si era venuto creare. Zayn tolse gli occhiali dalla montatura nera e fissò lo sguardo sulla bambina, che giocava indisturbata lì accanto.

«Grazie a Lena, no?» rispose Charlie, che aveva deciso di lasciar correre. Ci sarebbe stato tempo di approfondire la questione, più avanti.

Il giovane sbuffò, come se stesse avendo a che fare con una bambina di tre anni: «Charlie, per i tuoi io e te abbiamo una relazione. E' normale che ci chiederanno almeno come ci siamo conosciuti.» le spiegò allora con molta pazienza.

«Non lo faranno, stai tranquillo.» liquidò il discorso Charlie.

Zayn si strinse nelle spalle «come vuoi tu. Allora, perché ti odiano tanto?» sparò poi, son un sorrisetto sardonico sulle labbra.

«Non dovrebbe importarti.» gli fece notare Charlie mettendo a posto il libro nella borsa per svincolare in suo sguardo. La metteva sempre in imbarazzo dover parlare della sua vita prima di Sophie, come se quello che era successo tra le e la sua famiglia fosse qualcosa per cui provare vergogna.

«Come vuoi tu un'altra volta.» la assecondò il ragazzo. Si alzò e frugò nelle tasche per trarne degli spiccioli. Indossava una bermuda beige e una t-shirt bianca e attillata, scucita ad arte intorno al collo così che sembrasse sdrucita. Quello, più il fisico che si intravedeva mentre si guardava intorno distrattamente, fecero perdere per qualche secondo la cognizione del tempo. Certo, Zayn era veramente un bel ragazzo, alto e ben fatto, con un leggero accenno di barba e la pelle olivastra. Quello che non era ben chiaro, in tutto quel quadretto, era il perché avesse così poca stima nei confronti di Charlie. Oddio, mai che le avesse mancato di rispetto o chissà cos'altro; semplicemente non le rivolgeva uno sguardo che non fosse di sufficienza, non le parlava se non con aria da superiore, come se si stesse rivolgendo a una bambina. Ed era proprio così che la chiamava nelle poche volte in cui si rivolgeva a lei senza Lena a fare da intermediario. Questa era la cosa più snervante per la ragazza, che oltre lavoro, figlia e stress, si ritrovava a vivere quotidianamente con un personaggio del genere. Non che fino a quel momento ci avesse fatto particolarmente caso, in effetti: quando era arrivata a Bristol non aveva un posto in cui andare o i soldi necessari all'affitto dell'appartamento. E non aveva nemmeno un appartamento, a ben pensarci. Aveva sicuramente altro a cui pensare, che non comprendeva occhi nocciola e sorriso da saputello.

Zayn pescò soddisfatto delle monete e aprì lo scompartimento, senza aggiungere nient'altro. Charlie rimase a vegliare sulla bambina che, stanca della bambola, si era alzata e sgambettava per il scompartimento perdendo l'equilibrio ad ogni scossone del treno. Quello dopo qualche secondo si fermò, erano solo alla prima fermata e i corridoi fino a quel momento deserti si riempirono di schiamazzi e rumori dei nuovi passeggeri, fino a quando la porta dello scompartimento non si aprì.

«Ah, Zayn...» cominciò Charlie, voltandosi. Una donna di almeno settant'anni le sorrise amorevolmente, indicando il posto libero sul sedile.

«Posso sedermi qui?» le chiese con un accento abbastanza buffo, che fece ridacchiare la giovane. Quella annuì e la signora le si accomodò di fronte «ti ho delusa, eh? Aspettavi tuo marito?» ominciò poi a fare conversazione. Charlie, con l'umore che aveva, non volle assolutamente darle retta, così si limitò a un segno di diniego con la testa. Sophie nel frattempo, stanca anche di tirare le ciocche di capelli che sfuggivano dalla treccia di sua madre, pretese con un lamento di essere messa giù; la donna sorrise alla scena.

«E' molto bella, quanti anni ha?» tentò nuovamente, con un tono paziente che solo gli anziani possono avere.

Charlie accarezzò i capelli della bambina «diciotto mesi da poco.» si sentì rispondere.

«Ciao piccolina!» cominciò allora verso la bambina, tirando fuori dalla borsa una tavoletta di cioccolato. Ne staccò un pezzetto e glielo porse - vedi cosa ti do. la invitò ad avvicinarsi. Sophie si girò verso la sua mamma, come se chiedesse l'approvazione, poi sgambettò fino alla signora e accettò il dolcetto, che prese a guardare con curiosità. Zayn rientrò in quel momento dello scompartimento, fece un cenno di saluto alla signora e si accomodò a fianco di Charlie, tenendo comunque le distanze.

«Come si dice, Sophie? Graaaa...?» cercò di istruirla la mamma, senza molto successo. Cleo mise in bocca il cioccolato e parte della mano, poi, contenta del nuovo sapore, si girò verso Charlie per poter condividere la sua nuova scoperta. Zayn allora, stupendola, sorrise e aprì le braccia per invitare la bambina ad avvicinarsi a lui. Quella ci pensò un po', continuando a succhiare il cioccolato, poi a passetti incerti si avvicinò. Charlie guardava la scena in ansia, come se il ragazzo potesse uccidere sua figlia da un momento all'altro. Zayn, semplicemente, non calcolava Sophie: da quando lei e la bambina avevano cominciato a frequentare la famiglia Malik, soprattutto di sera, dopo cena, il rapporto tra il giovane e Lena si era sempre basato su saluti cortesi, come due enstranei che si trovavano insieme in ascensore, e a qualche sorriso stentato a Sophie, che lui chiamava pulce nelle uniche due volte, nei precedenti diciotto mesi, in cui era stato costretto a parlarle. La bambina invece, abbastanza tranquilla, si fece issare sulle ginocchia e rimase ferma mentre il giovane le puliva la mano e il viso ormai marroni.

«Andiamo, pulce! Com'è che ti ha insegnato la mamma? Gra..?» ripeté allora, ma con un tono autorevole che non ammetteva repliche da parte di nessuno. La bimba, offesa per il sopruso, fece una smorfia e si rifiutò di parlare. Zayn ripeté il comando una terza volta, con voce ferma. Sophie guardò Charlie, che scandalizzata non diceva nulla, e prese quell'ennesimo affronto come un totale sconfitta.

Allora mormorò un «azze» rivolto alla signore, che sorrise dicendole "non c'è di che, piccola", e nascose il viso nella t-shirt del ragazzo.

«Brava, pulce.» furono invece le sue parole, mentre le accarezzava i capelli. La bambina, arrabbiata, scivolò allora dalle gambe dell'uomo e ritornò a giocare con la sua bambola.

La signora sorrise a Zayn, «bravo, con i figli ci vuole polso duro e poi sempre una carezza.» si complimentò, mentre Charlie diventava rossa di rabbia.

«Certo,» li interruppe allora «sembra così facile fare i genitori, alle volte... » e guardò Zayn, che sbuffò.

«Ah, in ogni famiglia che si rispetti c'è il poliziotto buono e quello cattivo.» il tono gioviale della signora alleggerì l'atmosfera, tanto che anche Charlie si dovette costringere a sorridere.

Un'ultima scoccata, però, non potette impedirsi di lanciargliela «è stupendo quando si vogliono educare i bambini, senza rendersi conto di essere i primi ad aver bisogno di una dose di buone maniere.»

La signora sorrise bonariamente, forse intuendo il reale significato di quelle parole, e cambiò argomento «mi sembrate una così bella coppia!» riprese allora. Charlie dovette farsi violenza per impedirsi di sbuffare, pensando a quanto quella scena fosse uno squallido fac simile di una fan fiction.

Zayn sorrise, «strano, visto che non stiamo insieme.» rispose catatonico. Odiava e aveva sempre odiato gli anziani ficcanaso, soprattutto perché, tra tutte le domande con cui possono stordirti, vanno a scegliersi sempre quelle più fuori luogo. Quella conversazione, però, non poté più continuare, poiché la voce metallica annunciò l'arrivo della signora, che si alzò e fece una carezza alla bambina.

«Ah, davvero? Be', chissà se la prossima volta che ci vedremo le cose non siano cambiate...» e con quell'ultima frase e un nuovo sorriso, sparì nel corridoio.

Charlie si alzò e chiuse la porta scorrevole, poi si voltò verso Zayn furibonda: «non permetterti mai, mai, mai più a giocare di fare l'educatore con mia figlia. E a farmi fare la figura dell'idiota. So io come riprenderla e cosa dirle. Tienilo a mente.» finito di parlare la ragazza si sedette di fronte a lui e ricominciò a leggere, mentre Sophie la guardava un po' spaventata. Non vedeva mai la sua mamma così arrabbiata, e presto i suoi occhi finirono per essere luccicanti di lacrime. Charlie alzò lo sguardo e si odiò per aver spaventato sua figlia, ma il quel momento Zayn fu più veloce di lei.

«Scusa.» disse solo lentamente, prima di prendere un album e una matita dalla valigetta porta computer «dai, pulce, basta piangere! Guarda cosa ti do!» e così dicendo le porse un foglio e la matita. La bambina, già dimentica delle lacrime, afferrò il suo regalo e si fece issare sul sedile ben volentieri. Charlie rimase in silenzio e non rispose nemmeno alle parole di Zayn.

Il viaggio era appena iniziato, e già non vedeva l'ora di ritornare a casa.


***

 

Secondo capitolo, in ritardo di un giorno sulla mia tabella di marcia (ma chi mi segue sa che è il minimo!).

Grazie per le belle parole tramite Twitter, spero che anche questa parte vi piaccia! Il paagrafo dedicato ad Harry, in realtà, non era previsto nella versione originale della storia, ma spero possiate apprezzarlo comunque dal momento che in un modo o nell'altro racconta la sua storia con Louis; mi auguro solo di non essere stata eccessivamente melodrammatica! A tra due settimane! (O qualcosa del genere!).

 

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Capitolo 3
*** Tre ***


#3

 

 

 

Nove ore di treno passano molto lentamente. Quando, però, le nove ore le passi con una persona che sopporti malapena, senza scambiare una parola e cercando di evitare che tua figlia si svegli, quelle nove ore non passavano proprio. E questo Charlie lo sapeva bene. A mezzanotte e quaranta, dopo tre ore di silenzio e una gamba addormentata per far star comoda Sophie, l’unica cosa che voleva era dormire e risvegliarsi nel suo monolocale di Bristol. La ragazza sospirò, senza osare muoversi troppo. Sophie di solito faceva molta fatica ad addormentarsi, ma quella sera, chissà come, era già un’ora abbondante che riposava. Charlie non osava sperare di mantenere lo status quo per tutta la notte, ma almeno quel po’ di calma se la voleva godere. E poi Zayn continuava a picchiettare sul PC, e lei stava per avere una crisi di nervi.

«Vuoi che la tenga io un po’?» magari quel sospiro era stato male interpretato, eppure non gli sarebbe dispiaciuto sgranchirsi le gambe qualche minuto.

Tuttavia scosse la testa, «tranquillo, non ti voglio disturbare.» rispose allora, sforzando anche un sorriso. Zayn scosse la testa e chiuse il computer per alzarsi e prendere la bambina «attento, attento, che la svegli!» sussurrò con voce preoccupata allora. Sophie invece si mosse un po’ nel sonno e continuò a riposare.

«Sei sempre così in ansia per ogni cosa?» la provocò il ragazzo.

Charlie scosse la testa, «ti sfido a fare cambio di vita per una settimana, non resisteresti nemmeno il tempo per accettare.»

«Addirittura… perché, cosa fai nella vita?» Zayn non si faceva troppi problemi con la bambina, la passò da un braccio all’altro, si mise comodo e sorrise beffardamente alla ragazza.

Charlie sbuffò, «me lo stai chiedendo sul serio?»

«Sono nove ore di treno, dovremo pur passare il tempo in qualche modo.» le fece notare allora.

«Vero, ma stavi lavorando al computer, quindi non ti stavi annoiando.»

Zayn si strinse nelle spalle «con tua figlia in braccio non posso usare il computer.»

«Mica te l’ho chiesto io, di prenderla.» piccata e sulla difensiva, Charlie fece per allungarsi a riprendere la bambina, ma il ragazzo gliela negò.

«Smettila di essere sempre… come se ti stiano per pungere. Prendi un respiro ogni tanto. E rispondi alla domanda che ti ho fatto prima.» il rimprovero venne fatto con un sorriso, tuttavia la ragazza arrossì.

«Non ti interessa, e io non ho voglia di raccontarlo.»

Zayn sbuffò, «andiamo, per i tuoi abbiamo una relazione e non so nemmeno che lavoro fai!»

Charlie ci pensò un po’, poi raccolse le gambe al petto e annuì «ok,» acconsentì mentre raccoglieva le idee «sono rimasta incinta di uno stupido quando avevo sedici anni e… be’, sono scappata di casa.»

«Perché?»

«Non ti interessa saperlo.» liquidò il discorso Charlie, prima di continuare «adesso lavoro in un negozio di fotografia a Bristol. Per lo più sto al banco, però Dan, il proprietario, mi sta insegnando il mestiere.»

Zayn annuì, «e ti piace?» chiese.

«Si, dai. Avrei preferito iscrivermi all’Università ma la paga è buona e nel pomeriggio posso tenere Sophie in negozio, quindi…»

«Bene. Io faccio l’architetto. Cioè, non ancora, ma tra due settimane do l’ultimo esame.» annunciò il ragazzo, con evidente orgoglio. Charlie si chiese perché glielo stesse raccontando, e Zayn rise alla sua faccia perplessa «dai, credi che i tuoi non ti faranno domande su di me?» le chiese con tono ovvio. Sophie aprì gli occhi in quel momento e rimase pietrificata quando vide un volto diverso da quello della sua mamma. Quasi si mise a piangere, ma poi smise e prese a guardarsi intorno con aria intontita. Zayn si ritrovò a sorriderle, toccandole il naso minuscolo.

«Aveva ragione la signora di prima, è molto bella.» disse senza distogliere lo sguardo dalla bambina, che ridacchiava divertita tutte le volte che il ragazzo le sfiorava il naso.

Charlie annuì, «grazie.» si limitò a rispondere «lei è… tutto. Non hai figli e non puoi capire cosa sia un suo sorriso, per me. Quando sono rimasta incinta è stato come se mi fosse caduto il mondo addosso, ma adesso davvero non riesco nemmeno a ricordare la mia vita prima di lei. E poi…» ma si interruppe, rendendosi conto delle confidenze che gli stava facendo.

«E poi?» la invogliò a continuare Zayn, con un mezzo sorriso.

Charlie si schiarì la voce, «niente.» rispose, tornando seria. Zayn annuì, forse capendo il suo imbarazzo «vuoi che la tenga io?»

«No, tranquilla.»

«Ok,» disse alzandosi «allora io vado un attimo in…»

«Certo, si.» si affrettò a rispondere l’altro.

«Si.» l’aria era diventata pesante, e Charlie uscì dallo scompartimento facendo un grosso respiro, come se stesse uscendo di prigione. In bagno si lavò le mani e il viso, rifece la treccia ormai sfatta e camminò nel corridoio per sgranchirsi le gambe. Quando tornò nello scompartimento reggeva un sacchetto con due toast e dell’acqua fresca.

«Grazie.» disse il ragazzo accettando lo spuntino.

«Di niente. Mi spiegherai perché hai accettato di venire e far parte di tutta questa farsa?» provò a chiedere senza guardarlo.

«Ti basta come risposta: mi piacciono le tragedie familiari?» Zayn rise, addentando il panino senza non poche difficoltà. Sophie continuava a tirargli il prosciutto da sotto e si muoveva freneticamente, contenta del nuovo passatempo. Charlie rise e scosse la testa, poi riprese a mangiare e si lasciò cullare dal treno.

Quando si svegliò, erano a Penrith.

 

 

*** 

 

 

«Spero tu stia scherzando, davvero.» Josh finì la sua birra in un sorso e ne ordinò un’altra con un cenno. Harry scosse la testa, prendendone un altro po’ della sua.

«E cosa avrei dovuto fare?»

«Quello che poi hai fatto,» gli fece notare Josh. I due erano seduti in un pub di Londra, Harry gli aveva appena raccontato la disastrosa conversazione con Louis e adesso il suo amico dispensava consigli come la più esperta tra le comari.

Harry scoppiò ridere, «l’ho preso come… sesso d’addio, o quella roba là.»

«Dovresti smetterla di guardare le repliche di Gray’s Anatomy, amico.» gli consigliò caldamente l’altro, scuotendo la testa.

«Io non guard…» cominciò a protestare il ragazzo, ma all’occhiata del suo amico decise saggiamente di evitare «e comunque quando si è rivestito io ero ancora nel post orgasmo e poi… non lo so, Josh, lui se n’è andato anche quando l’ho minacciato e…» ma non continuò quella patetica spiegazione, preferendo finire il suo drink.

Harry e Josh si erano conosciuti un paio di anni prima a un party dell’Abercrombie: Harry ci lavorava come modello, Josh come cameriere. Entrambi gay ma non abbastanza disillusi, avevano fatto amicizia in fretta. E in quel momento Josh era l’unico che poteva capirlo.

«E sei uno stupido.» decise di intervenire l’altro, dando anche un pugno sul tavolo. Harry lo fissò scandalizzato per un istante, cercando di capire se gli altri avventori del locale se ne fossero accorti.

«Grazie, amico.»

Josh sbuffò, «e dai, che hai capito! E’ il tuo uomo? E vattelo a prendere, invece di stare qui con me a ubriacarti!»

«Sei ubriaco?»

«Si,» rispose candidamente l’altro «ma sono quasi completamente sicuro di quello che ti sto dicendo.»

Harry scosse la testa e fece un cenno al cameriere perché si avvicinasse, « non è più il mio uomo, Josh. Anzi, a questo punto mi chiedo se lo sia mai stato.» disse abbassando lo sguardo. Il cameriere si avvicinò e Harry guardò il suo amico, «e poi» aggiunse con un mezzo sorriso «che ci sarebbe di male a passare la serata in compagnia di un vecchio amico e di qualche bicchiere?»

«Niente,» rispose Josh «se non fosse che quell’arpia ti sta portando via Louis in questo istante, mente tu sei con un vecchio amico e qualche bicchiere.»  lo citò sbeffeggiandolo. Harry sbuffò e ordinò due shot, prima di rivolgere l’attenzione e passargli una fettina di limone.

«E cosa dovrei fare, sentiamo?» nel frattempo il barman aveva posato una ciotolina con un po’ di sale sul banco, Josh si inumidì’ la mano tra il pollice e l’indice e catturò il sale. Harry lo imitò e gli passò il bicchierino di Tequila.

«Andare là e riprendertelo?» chiese retoricamente.

Harry scosse la testa, poi rise «dobbiamo per forza parlarne?» quasi lo supplicò.

Josh lo imitò, «sei un idiota, Harry!» esclamò.

«Divertiamoci e basta, ok?» chiese il più piccolo. Josh annuì, poi entrambi brindarono con in un urlo, leccarono il sale e mandarono giù l’alcool. Harry riprese a parlare quando ebbe ingoiato la fettina di limone.

«Cristo, se è forte!» rise battendo un pugno sul bancone.

Josh rise, «se crolli per primo domani mattina prendi l’aereo per Penrith, ci stai?» propose d’un tratto, indicando la bottiglia di Tequila rimasta sul bancone. E Harry, già brillo, sorrise e accettò.

 

 

*** 

 

 

Se c'era una cosa che le trasmetteva allegria, era proprio la casa sul lago di Penrith. Charlie, ancora intontita, scese dal treno con un sorriso beandosi addirittura dell'aria umida che le pizzicava il naso. Zayn, al suo fianco, si guardò intorno incuriosito sistemandosi il borsone che usava come valigia su una spalla. Sophie, contro ogni più rosea previsione, dormiva ancora tra le braccia del ragazzo, la testolina affondata nell'incavo del suo collo.

«Allora, viene qualcuno a prenderci?» chiese Zayn mentre uscivano dalla stazione, ma non ci fu bisogno di risposta dal momento che Eleanor prese a sbracciarsi per farsi notare. Charlie ebbe un colpo al cuore, quasi, quando la vide avvicinarsi mano nella mano con un bel ragazzo con gli occhi azzurri. Indossava un abitino a fiori che le arrivava a mezza coscia, sandaletti senza tacco e i capelli raccolti in una elegante coda di cavallo. Improvvisamente si sentì completamente inadeguata nei suoi shorts, ed ebbe voglia di girarsi e fingere di non averli notati. Eleanor si avvicinò e, inaspettatamente, la abbracciò, come non ricordava avesse mai fatto. Certo, i loro rapporti erano migliorati un sacco da quando Charlie di era trasferita, ma difficilmente le due si concedevano segni d'affetto. Charlie si rese conto che quell'abbraccio le piaceva.

«Come sono contenta di vederti, Charlie!» esclamò Eleanor stringendola. L'altra lasciò la valigia e le strinse le braccia intorno ai fianchi sottili.

«Anche io, Ella.» si ritrovò a mormorare. Intanto Sophie si era svegliata e guardava intontita la scena intorno a sé, sbadigliando.

«E guarda un po' chi si è svegliata! Ciao piccolina!» quasi era irriconoscibile, Eleanor, in tutto quell'entusiasmo. Zayn gliela lasciò tra le braccia, approfittando per riposarsi un po' e si avvicinò a Charlie, un po' in imbarazzo. Anche il ragazzone con gli occhi azzurri, nel frattempo, si avvicinò alla sua fidanzata intimorito e rivolse un sorriso ai nuovi arrivati.

Eleanor sembrò ricordarsi solo in quel momento di tutti gli altri, e ridacchiò imbarazzata, «sono davvero maleducata, scusa amore. Lei è mia sorella Charlotte, ma non chiamarla così perché lo odia. E lui è il suo compagno...»

«Zayn.» le venne incontro il giovane, allungando la mano per stringere quelle della coppia.

«Louis.» rispose l'altro, rivolgendosi anche a Charlie. In breve, Sophie in braccio a sua zia in estasi e le valigie distribuite tra i due ragazzi, la comitiva lasciò la stazione, diretta alla macchina.

«Spero non ti dispiaccia,» prese a parlare Eleanor una volta sistemata con la bambina sulle gambe che le tirava un orecchio «ma a causa di tutti gli invitati abbiamo dovuto rivoluzionare le sistemazioni. E poi adesso ci sono Sophie e Zayn, e vi abbiamo assegnato il cottage accanto alla casa. Noi, mamma e papà e il testimone di Louis staremo a casa.»

Charlie ci rimase un po' male, tuttavia sorrise e annuì ,« non c'è problema. Non sapevo che accanto alla casa di fosse un cottage, però.»

«In effetti è il vecchio capanno degli attrezzi, lo abbiamo ristrutturato da poco. Sarete i primi ad abitarci!» rispose con un sorriso Eleanor. Louis intanto guidava in silenzio tra le strade piene di turisti e batteva le dita sul volante a ritmo di una canzone pop che passavano alla radio.

«Certo che ne sono cambiate di cose.» sospirò la ragazza cercando di non pensare al fatto che avrebbe dovuto dividere la casa con Zayn.

Eleanor si limitò a stringersi nelle spalle, «non me ne parlare, l'ultima volta che sono venuta a Bristol mi hai detto che non avevi intenzione di conoscere qualcuno, e adesso hai un compagno.» le fece notare.

«Si, ma... succede, sai...» cominciò in imbarazzo.

Louis si mise a ridere, «Ella...» la riprese bonariamente, guardandola.

«Ok, scusa! E' che sono curiosa.» si giustificò lei.

Anche Zayn sorrise, «non sono cose che si programmano, sai... quando arriva, arriva.» disse soltanto. Charlie lo guardò e annuì, ringraziandolo senza parlare.

«Allora, Zayn,» riprese Louis «di cosa ti occupi?»

«Sto per finire architettura, ma già lavoro in uno studio. La paga è misera e gli orari assurdi, ma almeno imparo il mestiere.»

Louis annuì meravigliato, «davvero una bella professione. Sarebbe piaciuta anche a me, non fosse che non so nemmeno tenere una matita in mano.» si schernì con una risata.

«Non è difficile come sembra, sul serio!» rispose Zayn e «voi di cosa vi occupate?»

«Pubbliche relazioni,» rispose Eleanor con un sorriso «Louis insegna letteratura. Piuttosto, Zayn, com'è che vi siete conosciuti, tu e mia sorella?» chiese allora, girandosi anche per guardare maliziosamente i due ragazzi sui sedili posteriori.

Charlie sbiancò, quasi, e si girò verso Zayn in una tacita richiesta d'aiuto, «avanti, amore, raccontaglielo tu!» disse con voce quasi stridula.

«No, bimba, diglielo tu come ci siamo conosciuti. Prima sul treno mi hai detto che non vedevi l'ora di raccontarlo!» si tolse il peso il giovane, divertito.

La ragazza annuì fingendo un sorriso, mentre gli prendeva una mano per intrecciarla alla propria; Zayn dovette nascondere un'esclamazione di dolore per quanto forte era quella stretta.

«Allora, quando sono arrivata a Bristol ho conosciuto una ragazza, Lena, che è sua sorella,» cominciò la ragazza «e lui non aveva di meglio da fare che starsene in casa in boxer a studiare.» aggiunse per il puro gusto di metterlo in imbarazzo.

Zayn scosse la testa, «e io che pensavo che ti fossi innamorata di me per la mia passione di andare in giro in boxer!» esclamò, così che l'unica a diventare rossa nella macchina fu proprio Charlie. Gli diede un'altra vigorosa stretta alla mano, poi continuò nel racconto.

«Si, be'... dicevo... ah, si! Ecco, una sera io... non...»

«Si sentiva bene perché aveva mangiato un panino col prosciutto avariato a pranzo. Sai, il McDonald's alle volte gioca brutti scherzi.» intervenne Zayn con espressione giustamente affranta.

Charlie sbuffò senza che nessuno se ne accorgesse, «si, io... comunque, mentre stavo male per il panino col prosciutto avariato Lena mi ha chiamata per sapere come stessi, e...»

«E quando ho saputo che stava vomitando anche l'anima sono andato a casa sua per portargli un digestivo.»  si intromise nuovamente il giovane, che ormai si tirava pizzicotti per non ridere. Charlie quasi gli spezzò il pollice della mano che ancora gli stringeva.

«Che romantico,» intervenne Eleanor con un sorriso «Lou, non è romantico?» si rivolse poi al suo fidanzato.

Quello annuì, poi non riuscì a trattenere una risata «bè, cibo avariato e vomito a parte...» borbottò facendo ridere di gusto tutti nell'auto. Bè, quasi tutti: Charlie ebbe voglia di commettere un omicidio, e Zayn invece di aiutarla le scavava la fossa. Si chiese per l'ennesima volta cosa l'avesse spinta a imbarcarsi in tutta quella farsa.

«E sono rimasto tutta la notte con lei e Sophie.» continuò il racconto Zayn, con un tono così innamorato che fece venire sul serio la nausea a Charlie.

«Che bello, Zayn. Mia sorella è fortunata ad averti incontrato, davvero.» disse toccata Eleanor, che poi strinse la mano a Louis. Tutto in quell'abitacolo era così stucchevole che Charlie dovette mettersi quasi una mano alla bocca per evitarsi di dire qualcosa di inappropriato. O vomitare, che poi non si allontanava più di tanto dal concetto generale.

Il resto del viaggio trascorse tranquillamente, con Eleanor che raccontava eccitata i dettagli del matrimonio e teneva viva la conversazione. Charlie invece nemmeno voleva sapere cosa sarebbe successo all'arrivo a casa, e per il momento si limitava a solleticare Sophie che era voluta passare tra le sue braccia. La bambina ridacchiava soddisfatta, e tutto andava bene. Quello che non si sarebbe mai aspettata, però, fu un ragazzo biondo, bellissimo e senza maglietta che suonava la chitarra sotto il portico di Villa Calder.

«Oh, mio dio,» esclamò Charlie quasi senza parole. Eleanor si girò verso di lei e annuì distaccata «è sul serio...» ma nemmeno terminò di parlare, perché l'auto si fermò, il ragazzo sul portico si accorse della loro presenza e in un attimo lasciò la chitarra e corse verso l'auto. Charlie scese in fretta mollando senza troppi complimenti la bambina in mano a Zayn e si lanciò verso il giovane che le andava incontro a braccia aperte.

«Niall! Sei qui!» urlò quasi, facendosi prendere in braccio con facilità. I due si conoscevano da una vita, in effetti la ragazza non aveva ricordi prima dei sedici anni che non riguardassero in un modo o nell'altro Niall Horan. Migliore amico storico di sua sorella e sua prima cotta delle elementari, Niall era stato una presenza fissa nella vita della giovane, che dopo quasi due anni di separazione, era contentissima di poterlo riabbracciare.

«Sono così contenta di rivederti! Ella non mi aveva detto che saresti venuto al matrimonio!» disse ridendo la ragazza.

Niall sorrise e guardò Eleanor, rimasta accanto all'auto, «già, bé... non lo sapevo nemmeno io fino a ieri e poi... comunque sono qui!» il tono incerto del ragazzo fece impensierire Charlie, che però venne trascinata da sua sorella verso il cottage.

«Allora,» cominciò a spiegare come se l'incontro con Niall non fosse mai esistito« voi starete qui: in bagno abbiamo fatto aggiungere un fasciatoio per Sophie e... niente, gli asciugamani sono sotto il lavello e c'è un cucinino in fondo al corridoio. Se avete bisogno di qualcosa chiamatemi.» Eleanor si girò e si avviò verso la porta, superando Zayn che portava Sophie e Louis con le valigie.

«Eleanor?»- chiamò Charlie allora, senza realmente pensarci.

«Cosa?» rispose sorridendo la maggiore.

«Niente, solo... grazie... per esserci venuti a prendere e... be...»

L'altra scosse la testa, «ci vediamo a cena. Alle otto!» e con Louis lasciò la casetta.

 

*** 


 Liam Payne sorrise stancamente al suo capo e si allentò la cravatta, mentre i clienti giapponesi uscivano dalla sala riunioni. Avevano fatto un buon lavoro e lo sapeva, ma nonostante tutto l’unica cosa che voleva era tornare a casa, fare una doccia e rilassarsi come non aveva potuto fare nelle ultime settimane.

«Siete stati bravi, ragazzi.» stava dicendo intanto il signor Moretti, distribuendo pacche sulle spalle e sorrisi entusiasti a tutti i presenti indistintamente. Liam decise che era arrivato il momento di andare via.

«Grazie, signore. Allora ci vediamo lunedì prossimo.» disse, per congedarsi. Il signor Moretti annuì, gia quasi dimentico di lui, «dove ha detto che va, Payne?»

«Torno in Inghilterra per un matrimonio, signore. Ricorda che ho chiesto le ferie tre settimane fa?»

L’uomo annuì, «certo, certo… L’aspettiamo, allora, si goda la vacanza perché quando torna abbiamo un sacco di lavoro da fare.»

Liam sorrise, con la mente già fuori da quell’opprimente ufficio, «non ne dubito. Arrivederci.» salutò infine, congedandosi. Il lavoro lì in Italia stava bene, e alla fine Milano non era così tragica. Certo, spesso sentiva la mancanza di casa e dei suoi amici, ma ormai si era adattato così bene nella nuova città che, nei momenti di malinconia, gli bastava chiamare qualche amico e uscire per un aperitivo in qualche posto alla moda. Fu proprio lì che si diresse, con ancora la valigetta portadocumenti in mano e il cellulare in mano, che inviava un sms alla moglie. Che Bea fosse l’altra metà di Liam, era stato chiaro sin dal loro primo incontro. Lei era tutto quello che a Liam mancava, tutto quello di cui lui aveva disperatamente bisogno. Lei, con i capelli corti e gli occhi scuri, con la Marlboro stretta tra le labbra sottili e le mani nervose e i jeans attillati, era stata l’unica aria di Liam, l’unico motivo per alzarsi la mattina. L’amore, però, non sempre bastava, e questo lo sapeva bene lui, lo sapevano entrambi.

«Liam, finalmente! E’ quasi un’ora che ti aspetto!» Marco Antoni, Italiano con la i maiuscola, tifoso dell’Inter e suo collega al lavoro, stava seduto al divanetto all’aperto di uno dei mille bar del centro della città, sorseggiando un drink.

Liam sorrise, lasciandosi cadere sul divano e togliendo la cravatta con un gesto secco, «ma se hai staccato mezz’ora prima di me!» gli ricordò, nel suo italiano buono, ma caratterizzato dal forte accento.

«Allora, che hanno fatto i giapponesi?»

«Hanno accettato, ovviamente. Anche se saranno Bianchi e Farletti ad occuparsi del progetto, da quello che ho capito.»

Marco si esibì nella sua migliore interpretazione interdetta, chiamando il cameriere con un cenno della mano, «Bianchi è un’imbecille.» dichiarò, serafico.

Liam si strinse nelle spalle, «probabilmente, ma a me la questione interessa relativamente. Io sono solo l’interprete.» ricordò al suo amico, stravaccandosi soddisfatto contro lo schienale.

Il cameriere si avvicinò al divanetto e prese l’ordine, mentre Liam si guardava intorno annoiato. Milano era bella in estate, semi vuota e bollente; era completamente l’opposto alla nebbia di Londra, e questo era quello che preferiva.

«Allora, come va con la Bea?» chiese dopo un po’ Marco, tra le mani il suo Negroni.

L’altro non rispose subito, limitandosi a sospirare, «non lo so, in realtà. Le ho detto che ci voglio riprovare, ma lei è decisa a chiedere il divorzio.»

«Vi siete sposati solo due anni fa.»

«Lo so, c’ero anch’io.» fu la risposta piccata di Liam, seguita da un sorso del suo Sbagliato.

Marco alzò le mani, come a volersi difendere, «ok, stiamo calmi!» disse ridendo «non c’è niente che tu possa fare per rimettere le cose a posto?»

«Con lei che dorme dall’amica e non vuole né vedermi né tantomeno sentirmi?» il tono era volutamente sarcastico, Liam sospirò passandosi una mano tra i capelli cortissimi.

Marco annuì, «probabilmente tornare a casa per un po’ ti farà bene, lei viene con te?»

«Non lo so,» rispose l’altro ragazzo «non saprei neanche cosa sperare, ora come ora.»

«Non ci pensare. A proposito, di chi è il matrimonio?»

Liam finì il suo drink, poggiò il bicchiere sul tavolinetto e si alzò, «ah, questa è un’altra questione!» sospirò, prendendo la valigetta, «Louis, il ragazzo con cui condividevo l’appartamento al College.»

Anche Marco si alzò, prendendo il portafoglio, «e per quale motivo è una questione?»

«Ti dirò,» rispose Liam, trattenendo una risata, «l’ultima volta che ci siamo visti lui usciva con un modello di nome Harry.»

«Quindi?»

Liam sorrise, «e ora si sposa con una certa Eleanor Calder.»

Marco scoppiò a ridere, scuotendo la testa, «ah be’!»

«Già. Almeno sarà una vacanza interessante!» e con quelle parole e un ultimo saluto, i due si separarono.


***

 

Louis, quasi un’ora dopo aver lasciato la sorella di Eleanor, aveva proposto di andare a cena fuori in un ristorante caratteristico in paese; qui acquistò un caffè d'asporto e prenotò per quattro assicurandosi di avere un tavolo con vista lago. Fu solo mentre stava tornando alla macchina che il suo cellulare cominciò a squillare, lampeggiando un "Josh" poco rassicurante.

«Io... giuro che non voleva essere una cosa cattiva, te lo giuro!» quasi piagnucolava il ragazzo con voce affannata.

«Cosa... Josh, che succede?»

L'altro tirò sul con il naso «Harry, lui...»

«Non me ne importa di cosa capita a Harry. Non più. Anzi, non avrebbe mai dovuto importarmene.» rispose freddamente cercando con la mano libera le chiavi della macchina. Il cellulare in equilibrio tra spalla e orecchio e il bicchiere di caffè nella sinistra.

Josh sospirò, come a volersi calmare, «lui... è in ospedale, Lou. Ieri sera abbiamo esagerato e lui... non lo so, si è sentito male. Abbiamo chiamato l'ambulanza, ma non si riprendeva e...»

«Cosa?!» Louis quasi urlò nella cornetta, lasciando cadere il bicchiere di caffè e le chiavi, che raccolse subito «e non mi hai chiamato stanotte? Sei idiota?» era così arrabbiato che diede un pugno sul tettuccio, facendo girare spaventate due turiste.

«Io non... pensavo che si sarebbe ripreso subito e... mi dispiace così tanto, Lou! E' tutta colpa mia!» piagnucolò nuovamente il ragazzo.

Louis sbuffò mettendosi in macchina, «certo che è colpa tua! Sei uno stupido! In che ospedale siete?» chiese, mentre metteva in moto e lasciava il parcheggio. L'altro comunicò un indirizzo farfugliato, senza prendersela più di tanto per le offese che Louis continuava a rivolgergli.

«Vieni a Londra? Mi dispiace così tanto...» ormai lo ripeteva come un mantra, tanto che il ragazzo pensò seriamente di chiudergli il telefono il faccia. Poi pensò a quanto potesse essere sconvolto, e cercò di darsi una calmata.

«Ci vediamo stasera, Josh.»

 

*** 

 

Terzo capitolo, in anticipo di un giorno :)

Spero che il capitolo vi piaccia, grazie per le due recensioni e anche a chi ha inserito la storia nelle preferite, seguite, ricordate! Mi rendo conto che la storia potrebbe sembrare un po' ingarbugliata, quindi non esitate a contattarmi per qualunque chiarimento, o anche solo per fare due chiacchiere :D

A presto!

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Capitolo 4
*** Quattro ***


#4

 

 

Niall era poggiato contro il muro della casetta e fumava un sigaretta sovrappensiero.

«Ciao, El.» la ragazza si girò quasi violentemente, portandosi una mano al cuore per lo spavento. Gli fece un cenno con la mano e sforzò un sorriso, prima di voltarsi per tornare a casa «dove scappi? Ehi!» Niall quasi corse per raggiungerla, poi riuscì a fermarla per un polso.

«Lasciami, ho da fare.»

Niall scosse la testa «no, perché Louis è andato in paese a prenotare e tua sorella e il suo ragazzo si stanno riposando.»

«Non posso avere del lavoro da fare?» chiese allora piccata la giovane, cercando senza molto successo di liberarsi dalla presa che la teneva bloccata.

Il ragazzo scosse la testa «vuoi sapere cosa sta succedendo, secondo me, invece?» riprese, senza fermarsi per attendere una risposta di lei «che hai paura di rimanere sola con me.»

«Dieci e lode per l'arguzia. Fammi andare in casa, adesso.»

«El...»

«El, El, sempre El! Non continui mai la frase, però! Allora, El cosa?» Eleanor lo sfidò con lo sguardo, oltre che con le parole. E Niall non voleva altro. In un istante le si avvicinò tanto da far sfiorare le loro labbra.

Quando riprese a parlare, aveva quasi l'affanno, come se stesse cercando di trattenersi «sono stato un imbecille, perdonami. Non essere così fredda, non lo sopporto.»

Eleanor rimase in silenzio, tirava su col naso per trattenere una lacrima che comunque le rigò una guancia «invece io ho sopportato così tanto, Niall. Ho sopportato quando te ne andavi, quando non chiamavi, quando litigavamo e dovevo essere la prima a scusarsi tutte le volte. Ho sopportato anche di vederti con altre perché speravo che un giorno ti saresti accorto, e allora...»

«Ma io me ne sono accorto, El! Sono qui, sono...» la interruppe Niall, accarezzandole il profilo del viso.

Eleanor scosse la testa con decisione «troppo tardi. Te ne sei accorto troppo tardi.» e si liberò dalla sua stretta, scappando verso la casa.

Niall rimase qualche secondo fermo nel mezzo del giardino, e solo in quel momento si accorse di Zayn col cellulare in mano che lo fissava quasi allibito.

«Io... non...» fece quello, in imbarazzo.

Niall scosse la testa «tranquillo,» gli rispose con un sorriso «ci vediamo stasera a cena.»

In casa c'era la radio accesa e si sentiva Eleanor canticchiare una vecchia canzone dei Police, in cucina. Il ragazzo si poggiò allo stipite a guardarla di spalle. Quando lei si girò divenne rossa di imbarazzo.

«Che stavi guardando?»

«Te.» rispose sinceramente Niall «mi sono perso così tanto.»

Eleanor annuì «e credi di poter risanare tutto in un settimana?» gli chiese piccata. Niall sbuffò, passandosi una mano tra I capelli.

«Sicuramente così non mi aiuti nemmeno! Ci voglio provare, ti dico! Puoi darmi il beneficio del dubbio?» in pochi passi si avvicinò a lei tanto da poterle stringere I fianchi.

La ragazza non rispose, poi abbassò lo sguardo «credo sia tornato Louis.» e in quel momento anche Niall sentì il motore dell'auto in giardino.

«Louis, Louis... è il tuo fidanzato o la tua scusa?» Nemmeno questa volta Eleanor rispose, limitandosi a scuotere la testa e allontanarsi da quell'abbraccio. Corse incontro al suo fidanzato, sul vialetto, e lui l'accolse con un frettoloso bacio.

«Che succede?»

Il ragazzo non le rispose facendole cenno di attendere, mentre discuteva concitatamente al cellulare con qualcuno, poi chiuse la chiamata e si diresse in camera da letto «Harry è in ospedale.» annunciò solo, afferrando la borsa dall'armadio.

Eleanor gli passò due magliette a mezza manica «come sta?»

«Adesso meglio, ma lo tengono in osservazione.» il ragazzo mise qualche bermuda e un paio di calzini di ricambio «sono riuscito a trovare un volo che parte alle quattro.»

La ragazza annuì «vuoi che venga con te?»

«No, Ella, grazie. Prendila come un'occasione per goderti la tua famiglia.» Louis si guardò intorno per accertarsi di non aver dimenticato nulla e si sporse per accarezzare il viso della sua ragazza «hai pianto?» le chiese.

Eleanor scosse la testa «chiamami quando arrivi. E dagli un bacio da parte mia.» cambiò discorso. Louis annuì e prese cellulare e portafogli, che aprì per controllare la carta d'identità.

«Ciao Niall.» urlò poi. Il ragazzo in cucina si sporse per fargli un cenno, e in un secondo la porta d'ingresso sbatté.

«Cos'è successo?» chiese Niall avvicinandosi alla ragazza.

«Niente. Pranzo con una vecchia amica al club.» annunciò allora, poi prese la borsa e, dopo essersi data un'ultima controllata allo specchio, uscì.


 *** 


Quando Charlie si svegliò, capì che qualcosa non andava. Prima di tutto era sera, e quando era arrivata non era nemmeno ora di pranzo. Poi, Sophie non stava piangendo, cosa molto strana dal momento che non voleva mai dormire. E aveva caldo, come se fosse oppressa d qualcosa. O qualcuno. Zayn dormiva accanto a lei nel letto, una mano abbandonata sul suo fianco e il respiro sul collo. Charlie si irrigidì immediatamente, cominciando a pensare a qualche modo per uscire da quello strano quanto indesiderato intreccio. Provò a spostare la gamba che giaceva tra quelle del ragazzo, ma quando quello rischiò di svegliarsi decise di cambiare tattica. Intanto Sophie, seduta sul lettone sul petto di Zayn, guardava la scena con un mezzo sorriso, emettendo versetti di tanto in tanto e cercando di allungarsi verso la sua mamma.

«Non ora, Soph, ok?» la supplica venne fatta in un sussurro, cercando di non svegliare il ragazzo che le dormiva addosso. Charlie provò a liberare un braccio, e sorrise verso sua figlia quando ci riuscì. Si spostò vero il bordo del letto, attenta a non cadere, e piano riuscì a mettersi seduta, le gambe incrociate e le i capelli disfatti che le coprivano gli occhi.

«Io e te dobbiamo adesso ci andiamo a preparare.» borbottò prendendo sua figlia in braccio con dolcezza; Zayn farfugliò qualcosa mettendosi le mani sul petto dove prima c'era la bambina e si girò, in diagonale sul letto. Charlie cosse la testa, uscì dalla camera da letto e lasciò sua figlia sul divano della cucina. Le valige erano ancora dietro l'ingresso, dal momento che nessuno si era preoccupato di portarle in casa, e la ragazza valutò per un secondo se prendere o meno la sua, soffocando nel frattempo uno sbadiglio.

«Ciao.» in quel momento anche il giovane fece la sua comparsa nella piccola cucina, grattandosi una guancia. Aveva gli occhi lucidi di sonno e la maglietta con cui aveva viaggiato tutta stropicciata. Charlie gli rivolse un mezzo sorriso, con la sola voglia di sprofondare. Anche con i vestiti dismessi e i capelli sconvolti, non poteva certo dire che Zayn non fosse un bel ragazzo, soprattutto considerando le guance arrossate dopo il sonno e le braccia muscolose che si stiracchiavano, facendo alzare la maglietta il poco che bastava per lasciar intravedere la pelle del ventre. E lei, con la camicetta sudata e ormai trasparente, la treccia scomposta e l'espressione confusa, si sentiva quasi ridicola. No, si sentiva ridicola e basta, senza il quasi.

«Io stavo... ci aspettano a cena tra mezz'ora.»

Zayn annuì, mentre si avvicinava per prendere senza sforzo la valigia e la borsa da viaggio «ok, credo di aver bisogno di una doccia.» sorrise. Poggiò tutto sul letto disfatto e cominciò a mettere pantaloni, magliette e camice nella parte destra dell'armadio; Charlie lo imitò e per qualche minuto sistemarono i loro effetti in silenzio mentre Sophie, scesa a fatica del divano, li osservava interessata seduta sul pavimento.

«No, pulce! Non si mette in bocca!» Charlie si girò verso Zayn quando lo sentì parlare, poco dopo, rivolto alla bambina, che mordeva tutta contenta il manico di uno spazzolino caduto dalla valigia. La bimba smise il suo lavoro per un istante e lo guardò, poi allungò la manina come a voler condividere il suo spuntino. Charlie rise sedendosi sul letto, mentre il giovane prendeva con sguardo un po' disgustato il suo spazzolino.

«Magari prima di andare a cena te ne compriamo un altro, che ne dici?» propose la ragazza mentre si alzava i dirigeva con la bambina in braccio a prepararsi per la cena.

Zayn annuì, poi scelse un pantalone grigio e una camicia dall'armadio, li posò su letto e accese il computer, deciso a lavorare almeno un po' mentre il bagno era occupato. Gli piaceva quello che studiava, gli piaceva che già lavorava in uno studio professionale come tirocinante e potersi destreggiare ogni giorno in calcoli e misure e disegni sempre diversi. Nel frattempo Charlie uscì e prese un abitino e un paio di minuscole scarpe, rientrò in bagno e finì di preparare la bambina, poi tornò in camera da letto e gli posò una mano sulla spalla, facendolo sussultare.

«Eri concentrato. Lavori a qualcosa di importante?» chiese, mentre prendeva una gonna a pieghe rosa dalla stampella cui era stata appesa poco prima.

«Revisiono qualche dato, prima di rimandare il progetto al cliente.» si limitò a rispondere.

«Ok, io...» ci aveva pensato un po', mentre era in bagno, ma davanti a lui diventava tutto più difficile. Charlie prese un respiro profondo e si sedette sul letto, mentre il ragazzo la guardava incuriosito «avevi ragione. Non so come ho fatto a non pensarci e... si, in realtà ci ho pensato, ma non volevo crederlo possibile. Poi Ella... nel senso...» Zayn scoppiò a ridere, in risposta a quell'accozzaglia di parole senza senso.

«Respira, stai per andare in iperventilazione.»

Charlie voleva sotterrarsi «no, sul serio... io... grazie. Non ho ancora capito cosa ti abbia convinto ad accompagnarmi in questa cosa folle e ridicola, ma... davvero, ti ringrazio. Mi chiederei a cosa ti porterà tutto questo, ma alla fine credo di poter essere abbastanza egoista da stare zitta e sfruttare la tua generosità

«Io credo che serva a te per trovare l'autostima. E per tenerti Sophie mentre litighi con tuoi genitori.» la mise sullo scherzo il ragazzo, ottenendo di farla ridacchiare per un secondo.

Charlie annuì e si alzò «vedremo. Ad ogni modo adesso siamo qui, e non sappiamo niente l'uno dell'altra.»

«Ci sarà tempo, abbiamo una settimana.» Zayn si alzò per dirigersi verso il bagno «e poi non è del tutto vero.» borbottò infine, prima di chiudersi la porta alle spalle. Charlie rimase interdetta per un secondo, ma poi venne distratta dallo squillo del suo cellulare, ancora nella borsa in cucina. Sophie, nel frattempo, era seduta nel passeggino, vestita e pettinata per uscire. La ragazza prese il telefono ed uscì fuori a rispondere, attenta che l’acqua della doccia scorresse.

«Allora, com’è Penrith?» chiese per prima cosa Lena, nel momento esatto in cui la conversazione iniziò.

Charlie si strinse nelle spalle, «umida come sempre. Abbiamo una dépendance, adesso, a quanto pare.»

«Molto di lusso, complimenti.» fu il commento dell’altra, che poi aggiunse «e mio fratello come sta?»

«Bene, è sotto la doccia.»

Lena lanciò un urletto, «avete già fatto sesso? Allora, com’è stato?!» chiese eccitata.

«Noi non… cosa ti fa credere che abbiamo fatto sesso?» la ragazza boccheggiò, «non abbiamo fatto sesso!»

Dall’altra parte della cornetta ci fu un sospiro, seguito da un “ah” abbastanza sconsolato. «Credi che farete sesso?»

Charlie sbuffò, voleva bene alla sua amica, ma alle volte diventava sul serio imbarazzante parlare con lei; «Lena non… non ho intenzione di fare sesso con Zayn, va bene?» quasi urlò, esasperata.

«Un sacco di ragazze potrebbero assicurarti che non sarebbe una brutta esperienza, però.» la voce di quell’ultimo commento, però, non veniva da Lena. Zayn, con solo un paio di pantaloni addosso, si frizionava i capelli sull’uscio della porta scorrevole che dava sul giardino, un sorriso sardonico sul bel volto. Non sapeva che avesse quel fisico. O quei tatuaggi. O che gli piacesse indossare i jeans in modo tale che si vedesse la V del bacino. No, Charlie non lo sapeva, e fu per questo motivo che deglutì – imbarazzante – e chiuse la chiamata senza nemmeno rendersene conto. Sbatté le palpebre, si diede della stupida. Zayn continuava a sorridere. Imbarazzante, appunto.

«… Andiamo a cena?» ottima tattica, il cambiare argomento.

Zayn scosse la testa, «solo se mi dici perché non vuoi fare sesso con me.»

«Non essere stupido, Zayn.» le guance della ragazza si imporporarono, lui ormai rideva a crepapelle. Solo il pianto di Sophie, dalla camera da letto, la salvò da quella situazione. La ragazza corse a prendere la bambina, Zayn tornò in bagno a finire di prepararsi. Quella volta, però, Sophie non ne voleva proprio sapere di stare buona, e dopo quasi un quarto d’ora passato nel passeggino, Charlie fu costretta a portarla nella piccola cucina, nella speranza che si addormentasse, in un modo o nell’altro.

«Hai finito?»

«Si, c'è ancora del caffè?» Zayn si avvicinò all'angolo cottura e se ne versò una tazza senza chiedere il permesso. Stava davvero bene con i pantaloni stretti arrotolati sulla caviglia, i primi bottoni della camicia slacciati e le espadrillas ai piedi. Charlie rimase un secondo imbambolata, poi lasciò una carezza a Sophie che continuava a piagnucolare e si avviò verso il bagno.

«Te la posso lasciare dieci minuti?» il ragazzo annuì, così lei andò a prepararsi. Lavò i capelli sotto il getto della doccia, poi gli asciugò velocemente e indossò la gonna che aveva preparato e un top bianco, insieme a due bracciali dorati; si fece una treccia morbida che le scendeva lungo la spalla e indossò un paio di ballerine, consapevole del fatto che bimba di nemmeno due anni e tacchi a spillo non andavano minimamente d'accordo. Si truccò poco, si spruzzò un po' di profumo e dopo nemmeno venti minuti tornò nella piccola cucina con in mano una pochette. Sophie, dopo venti minuti, si limitava a borbottare, forse lottando col sonno in arrivo. Charlie fu tentata dal desistere dall’idea della cena e approfittare della tranquillità della sua bambina, ma l’idea di rimanere sola in quella casa che non sentiva per niente sua non le piaceva per niente.

«Pronta.» annunciò allora, prendendo la bambina dal passeggino e una borsa più grande con necessario per cambiarla. Zayn annuì e si alzò dal divano, dove stava facendo zapping, e le prese Sophie dalle braccia, piano per non farla svegliare.

Charlie abbassò lo sguardo imbarazzata, poi uscì di casa e seguita dal ragazzo si avviò verso la villa.


***


Josh faceva avanti e indietro davanti alla camera di Harry già da un paio d'ore quando, alle otto e mezza passate, Louis arrivò col fiatone.

«Tu sei un idiota!» urlò non appena lo vide, saltandogli addosso. Un infermiere, che in quel momento passava, fu costretto lasciar cadere la cartellina che stava controllando per correre a separargli, soprattutto quando vide il nuovo arrivato che caricava un destro con tutta la violenza di cui era capace.

«No, no, no! Non qui, signori!» disse perentoriamente. Louis lo ignorò e spinse via l'altro ragazzo, poi si guardò intorno.

«Lui dov'è?»

L'infermiere lo guardò con aria interrogativa, prima di tornare a riprendere la cartellina a terra, «lui chi?»

«Styles. Harry Styles. L'idiota,» e indicò nuovamente Josh, che sulla sedia guardava in imbarazzo il pavimento «lo ha quasi fatto andare in coma etilico.»

L'uomo annuì, cominciando a sfogliare la cartellina, «eccolo,» annunciò trovandolo nella listai dei degenti «ma non posso dare a lei alcuna informazione, se non è un parente.»

Louis sbuffò, mentre col cuore in gola guardava l'infermiere andarsene, «sono il suo compagno!» urlò allora, imbarazzato ed emozionato insieme. L'uomo tornò indietro guardandolo stupito e quasi spaventato.

«Ah.» disse allora, mantenendo le distanze come se stesse tenendo a distanza un malato infettivo. Louis ebbe quasi voglia di piangere, per la cattiveria della gente e le ingiustizie della vita.

«Sì,» si decise invece a dire, con voce ferma «posso entrare?»

L'uomo annuì, indicandoli la stanza 316 con un gesto sbrigativo della mano, «lo dimettiamo domani mattina, stanotte lo teniamo solo per sicurezza.»

«Va bene, grazie.» l'infermiere andò via e Louis aprì la porta della camera, incenerendo con lo sguardo Josh, che lo stava seguendo «non ci provare nemmeno.»

La stanza era completamente al buio, non fosse per una lucina vicino al letto. Harry giocava con il cellulare, steso comodamente sulle lenzuola. Louis rimase a guardarlo per un po', senza l'altro se ne accorgesse. Era bello così, con un sorrisino infantile quando finiva il livello e una mano tra i capelli, che gli andavano sempre davanti agli occhi.

«Rimarrai per sempre sulla porta?» chiese d'un tratto Harry, con un sorriso impertinente.

Louis la chiuse alle sue spalle, ma rimase poggiato contro la parete «non so se posso entrare.»

«Ormai sei dentro.» gli fece notare il più piccolo, spegnendo il cellulare.

«Allora non so se posso avvicinarmi.» ammise alla fine Louis, le mani incrociate dietro la schiena.

Harry annuì, ma non lo invitò a farsi avanti «come sta Eleanor?»

«E tu come stai?» rispose l'altro, eludendo di proposito la domanda.

Harry sorrise, «strapazzato, ma stanno facendo un dramma per una sbronza.»

«Quando Josh mi ha chiamato non parlava di una semplice sbronza.»

Il più piccolo annuì, «in effetti...» concesse «perché sei qui?»

«Dove dovrei essere?»

Harry finse di pensarci, «a Penrith? Ma la sparo lì, sia chiaro...» lo prese in giro con un sorriso amaro, mentre si metteva seduto a gambe incrociate.

Il ragazzo poggiato contro la parete scosse la testa, «sei uno stupido.»

«Per essermi ubriacato?» Harry continuava a prendersi gioco di lui, e Louis non riusciva quasi a sopportarlo.

«La smetti?»

L'altro sgranò gli occhi, «di fare cosa? Scusa, ma non hai l'aereo?»

«Mi stai cacciando?»

Harry scosse la testa, un nuovo mezzo sorriso disegnato sulle labbra, «hai fatto tutto da solo. Io mi comporto solo di conseguenza.» gli fece notare con ovvietà.

Louis scivolò a sedere contro la parete, si passò una mano sul viso come a voler cancellare tutto. Quando riaprì gli occhi però c'era ancora Harry che lo guardava ironicamente e la lucina che gli illuminava il viso.

«Non voglio parlarne.» decise.

«Stavolta, però, sono io a non volerti qui. Sono stanco, puoi chiudere la porta quando esci?» Harry si distese su un fianco e passò una mano sotto al guanciale. Il più grande annuì e si alzò, aprendo la porta. Poi ci ripensò e la richiuse.

Il letto era bollente quasi quanto il corpo di Harry; quando il giovane si distese accanto a lui e lo abbracciò, facendo aderire il suo torace alla schiena dell'altro, entrambi sospirarono per un secondo.

«Quando sono arrivato ho incontrato un uomo e gli ho chiesto informazioni,» cominciò a raccontargli nell'orecchio, sorvolando volutamente sul mancato pugno a Josh «lui mi ha risposto gentilmente che solo la famiglia poteva essere informata. Allora io gli ho detto che ero il tuo compagno e lui...»

«Ti ha guardato come se fossi il mostro più orribile del mondo?» lo aiutò Harry.

Louis annuì contro i suoi capelli, «e mi teneva a distanza, come se avessi una malattia. Io non sono malato, vero?»

Harry si voltò verso di lui, accorgendosi che stava piangendo, «senti di essere malato, Louis? Senti di avere qualcosa che non va, qualcosa per cui nasconderti?» chiese allora, ottenendo un timido diniego «allora l'unico malato era lui, hai capito? Devi sentirti orgoglioso di quello che sei e di quello che provi.»

«Io voglio solo... che la gente non mi guardi come se fossi un fenomeno da baraccone.»

Il più piccolo scosse la testa, «vorrei dirti che sarà così, ma io ho ammesso di essere quello che sono quando avevo sedici anni, e ancora la gente mi guarda storta. Mia madre mi guarda come se fossi un fenomeno da baraccone.» sussurrò con gli occhi lucidi.

«Perché deve essere così difficile?»

Harry sospirò attirandoselo al petto, «non lo so. Davvero, non lo so.»

Entrambi rimasero in silenzio per un po', fino a quando non si sentì il respiro del maggiore farsi più lento. Harry alzò la testa e sorrise, accarezzandogli i capelli.

«Lou?»

L'altro non rispose, limitandosi a un mugugno.

«Cosa hai detto a Eleanor?»

Louis aprì un occhio, insonnolito, «devo dirti una cosa.» il cambio deciso di argomento fece sgranare un attimo gli occhi al più piccolo, che cominciò a preoccuparsi.

«E questa cosa riguarda quello che hai detto a Eleanor?» indagò, sospettoso.

Louis si alzò, fino a mettersi con le gambe incrociate sul materasso, «no, ma la riguarda. E anche noi due.»

Il ragazzo ancora disteso decise di sedersi a sua volta, prendendo una mano dell'altro sulle lenzuola.

«Quando sono venuto a prendere le ultime cose, qualche giorno fa... non ti ho detto una cosa.» cominciò, incerto «in realtà volevo dirtela, ma non era una notizia sicura, e ho preferito aspettare.»

Harry annuì lentamente, «e ora invece questa notizia è diventata sicura.» dedusse.

L'altro ragazzo annuì, poi prese un respiro profondo, «Eleanor è incinta e, non so nemmeno come sia potuto capitare, il padre sono io.»

Nella stanza piombò il silenzio, mentre Harry metabolizzava la notizia. Si alzò e si fermò in mezzo alla stanza per un istante, dirigendosi poi verso la porta, che aprì completamente.

«Fuori di qui.» disse solo, senza nemmeno guardarlo in faccia. Louis sospirò, si alzò e seguì il comando.


***


Dopo la doccia, Eleanor indossò un vestitino di pizzo bianco, con lo scollo a V e molto corto, che abbinò a un paio di scarpe basse e a una borsetta in cuoio. I capelli, naturalmente mossi sulle punte, vennero acconciati così che il viso fosse lasciato libero. La ragazza si stava guardando allo specchio un'ultima volta, quando Niall bussò alla porta della sua camera.

«Sei pronta?»

Eleanor nemmeno si girò, e continuò a lisciare il suo vestito come nulla fosse. Niall non si lasciò intimorire da quel muro, e si sedette sul letto continuando a guardarla, «sei così bella, El.» sospirò, decidendosi a raggiungerla.

«Non me lo hai mai detto prima di oggi.» gli fece notare la ragazza, irrigidendosi. Niall era alle sue spalle, e con mano incerta le accarezzava il profilo di una spalla. Era sempre stato più alto di lei, ma in quel momento questo la intimoriva, mentre prima, quando tutto era diverso, si sentiva al sicuro.

Il giovane sorrise, spostandole i capelli da una sola parte, «te l'ho sempre detto. Mai a parole, ma non credo che ti abbia mai guardata come se non fossi la creatura più bella del mondo.» mormorò al suo orecchio, continuando a sfiorarla. Eleanor fremette, e desiderò che rimanere congelata in quell'istante perfetto. Quando si riscosse, fece un passo in avanti e si risistemò i capelli dietro le spalle.

«Smettila di fare così. Vuoi essere mio amico? Va bene, siamo amici; ma non mettermi sempre...»

Niall rise, «in difficoltà?» le suggerì, con chiaro sguardo ammiccante.

«In imbarazzo.» lo corresse la ragazza, che poi si allontanò dalla morsa in cui lui l'aveva stretta. Prese un copri spalle dalla sedia e lo mise in borsa, poi controllò il cellulare sovrappensiero. Niall stette fermò davanti allo specchio, a pensare ai fatti suoi.

D'un tratto alzò lo sguardo e le sorrise, avvicinandosi. «Amici. Sì, possiamo provare ad essere amici, se è quello che vuoi davvero.» Eleanor annuì incerta, mentre si alzava al suono del campanello del portoncino d'ingresso «ma sappi che per me non sarai mai solo un'amica, d'accordo? Io ti amo, e anche tu.»

La ragazza annuì, «Niall, non potrà mai esserci nulla tra noi.»

«Louis è così importante, per te?» chiese allora esasperato l'altro, avvicinandosi a lei fino a prenderle le mani, gli occhi chiarissimi la stavano supplicando.

«No. Ma suo figlio, che cresce dentro di me, lo è.» ammise, quasi con le lacrime agli occhi. Niall rimase gelato, poi annuì e le lasciò le mani. Uscì dalla stanza in silenzio, e Eleanor cadde seduta sul letto, fissando nel vuoto.

 

***

 

Grazie mille per le sei recensioni, a chi mi ha scritto su Twitter e a chi leggerà questo capitolo. Spero, come sempre, che il capitolo vi piaccia; cosa ne pensate del pairing Niall/Eleanor? :)

In realtà approfitto di questo spazio soprattutto per chiarire che io non ho alcuna esperienza con i bambini - cuginetti a parte - e quindi mi rendo conto che aspetti della storia potrebbero essere trattati unpo' troppo fantasiosamente. Stessa storia per quanto riguarda la Slash: non so davvero come ci si senta, penso di non poterlo nemmeno immaginare. Mi sono impegnata, però, quindi se doveste trovare qualcosa che "stona", non dovete fare altro che segnalarmelo su una qualsiasi piattaforma sociale. Sono everywhere! 

 


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Capitolo 5
*** Cinque ***


#5

 

 

Sul viottolo che portava alla villa, Charlie e Zayn procedevano lentamente e in silenzio. Sophie camminava impacciata accanto alla mamma, e di tanto in tanto perdeva l'equilibrio sui ciottoli levigati.

«Mi piace questo posto.» esordì il ragazzo dopo un po', guardando fisso davanti a sé.

«L'ho sempre adorato,» Charlie sorrise «ci passavamo tutte le estati, e veniva anche il nonno e zia Beth, che non diceva nulla a mamma se ci tuffavamo dal pontile. Io e Ella mangiavamo schifezze e litigavamo su chi dovesse usare il bagno; ci tenevamo il muso per giorni!» ricordò, con nostalgia.

«Hai un bel rapporto con lei.» notò il ragazzo, mentre svoltavano. Il portico era acceso, ma completamente deserto: probabilmente gli abitanti si stavano ancora preparando.

Charlie scosse la testa, ridendo, «non avresti detto così, se ci avessi viste un paio d'anni fa!»

«E' normale litigare tra sorelle. Voglio dire, io sono un ragazzo e comunque litigo con Lena tutti i giorni!»

Charlie soppesò le parole qualche secondo, prima di riprendere a parlare, «lei è sempre stata... la più bella, la più brava, la più intelligente. Era la figlia modello, quella che i genitori vantavano davanti agli amici a cena.» la giovane salì i tre gradini del portico e si sedette sul dondolo, sistemando poi la bambina accanto a sé.

«E tu non eri così?»

Charlie scosse la testa. «più lei era perfetta, più io recitavo la parte della trasgressiva. Con le relative conseguenze.» concluse, accarezzando la testa della bambina accanto a sé.

«E poi cos'è cambiato tra voi?»

«Il padre di Sophie non ne voleva sapere, i miei mi cacciarono di casa... El è stata l'unica a continuare a supportarmi. Nonostante ancora adesso continui ad essere invidiosa di lei, è stata la mia ancora di salvezza.» rispose con un sorriso la ragazza, mentre si alzava e suonava il campanello della porta. Nessuno venne ad aprire subito, ci riprovò e rimase in attesa qualche momento. D'un tratto Zayn, dietro di lei, richiamò la sua attenzione con una mano, «cred­o» cominciò un po' imbarazzato «che in una coppia sia normale, e... be', è meglio farlo prima che ci vedano anche tua sorella e il suo ragazzo.»

Charlie corrugò le sopracciglia, ma non ebbe il tempo di parlare, perché le labbra del ragazzo si poggiarono sulle sue, fino a costringerla a socchiuderle. La ragazza non ebbe nemmeno il tempo di pensare, perché il profumo di Zayn era troppo fresco e troppo familiare, e la mano ancora sulla sua spalla ingiustamente calda, e il naso che sfiorava il suo assolutamente...

«Mi scandalizzate la bambina, così!» Niall, con un sorriso stampato in faccia e la mano ancora sulla porta, richiamò l'attenzione dei due, che si divisero frettolosamente.

Zayn fu il primo a riprendersi, rispondendo con una risata alla provocazione. Charlie, accanto a lui, rimase in imbarazzo e con lo sguardo basso, fino a quando non decise che fosse più saggio voltarsi per aiutare sua figlia a scendere piuttosto che rimanere lì con quella faccia da idiota. Anche Niall uscì sulla veranda, e si accomodò sul dondolo prendendo in braccio la bambina.

«Guarda che non devi vergognarti!» rise il nuovo arrivato, senza guardare in viso la ragazza. Toccava il naso della bambina continuando a farla ridere, mentre sia Zayn che Charlie evitavano di parlare, «voglio dire... è il tuo compagno, sarebbe stato assurdo il contrario!»

Charlie si ritrovò nuovamente rossa come un peperone, «sì, è che... sono molto riservata.»

Niall rise ancora, più forte di prima, «allora ne sono cambiate di cose, da quando ti facesti beccare con quel tipo... Sam?»

«Sean.»

«Sì, lui. Ancora ricordo le urla di tua madre! Io e Eleanor stavamo rientrando a casa e si sentiva tutto fino al vialetto d'ingresso!» Niall scosse la testa, come intenerito a quel ricordo, e Charlie sbuffò annoiata.

Fu Zayn, a sorpresa, a prendere il comando della situazione, «Sono cambiate tante cose, Niall. Charlie non è più quella ragazza.» e mentre lo diceva le si avvicinò, passandole un braccio sulle spalle.

«Ovviamente, ovviamente.» rispose Niall sulla difensiva, prima di cambiare argomento «allora, dove vivi adesso?» chiese rivolgendosi alla ragazza. Questa però venne interrotta da Eleanor, che uscì dalla casa e chiuse a chiave il portoncino.

Sorrise a tutti, poi si avviò vero gli scalini, «Allora, andiamo?» si fermò un attimo, accorgendosi che nessuno la seguiva.

«Louis?» chiese Charlie.

Eleanor scosse la testa, «ha avuto un problema ed è dovuto partire per Londra alle quattro. Torna domani prima di pranzo.» si limitò a rispondere. Il quartetto riuscì allora ad avviarsi all'auto, Sophie sempre tra le braccia di Niall.

«Bella macchina!» mormorò sorpreso Zayn, quando Eleanor fece scattare la sicura di una BMW nera e nuovissima.

Eleanor si avvicinò e aprì lo sportello, «me l'hanno regalata per la laurea. Credo sia un po' eccessiva...»

«Un po' eccessiva? E' un sogno!» rispose il ragazzo, senza staccare gli occhi dalla vernice lucida. Charlie borbottò un “uomini...” alzando gli occhi al cielo, e sua sorella gli lanciò le chiavi.

«Guida tu, dai.»

«Davvero? Grande!» il ragazzo si avviò contento al posto di guida, e Eleanor si accomodò sul sedile posteriore accanto a Niall. Sophie intanto era passata nelle mani della mamma, che la stringeva cercando di farla addormentare.

Zayn girò un attimo la testa, «ha dormito fin'ora.»

«No, non fin'ora» rispose sconsolata Charlie «quando mi sono svegliata io lei già era sull'attenti.»

Zayn si strinse nelle spalle, «ma quando ti sei addormentata tu l'ho portata sul letto ed è partita in nemmeno venti secondi.»

Charlie gemette, «grande, allora mi toccherà una bella notte insonne. Grande.» era come se Eleanor e Niall, in silenzio sui sedili posteriori, nemmeno ci fossero. E poi era così strano parlare di un argomento tanto normale quanto riservato come la cura di sua figlia, che Charlie non ebbe nemmeno tempo di pensare agli altri passeggeri, troppo impegnata a digerire tutte le novità. Novità che le piacevano, per quanto insulse. E false.

«Dai,» tentò il ragazzo, mentre si passava una mano sul viso, «vorrà dire che stanotte tornando noleggiamo un film. Chissà se ci sono dei popcorn, in dispensa.»

Charlie annuì, d'un tratto intimidita. Non riusciva a capire perché si stesse comportando in quella maniera, ma soprattutto non riusciva a capire perché ciò le piacesse tanto. Quando arrivarono davanti al ristorante, Charlie aveva ormai deciso di non pensarci, e di vivere al momento.

Il cameriere li fece accomodare sulla veranda che dava direttamente sul lago, sistemò la bambina in un seggiolone accanto alla mamma e portò pane, burro e acqua a tavola.

«Allora, come vanno le cose a Bristol?» chiese Eleanor, mentre si imburrava un panino «è da un po' che manco.»

Entrambi i ragazzi si strinsero nelle spalle, «niente di nuovo, davvero. Tu piuttosto!» Charlie sviò in fretta l'argomento, rivolgendosi a Niall «dov'è che sei stato?»

«Spagna.» rispose quello, quasi strozzandosi con il panino che stava masticando. Zayn rise, Eleanor alzò gli occhi al cielo passandogli in silenzio un tovagliolo mentre gli dava pacche sulla schiena.

«Ci sono stato dopo il diploma.» intervenne Zayn «ma per la verità non è che me la ricordi molto. La camera dell'hotel, invece, quella sì che...» ma venne interrotto da Charlie, che lo fulminò con lo sguardo mentre gli colpiva la gamba sotto il tavolo. Gli altri scoppiarono a ridere, intendendo forse quei gesti come conseguenza della gelosia, Charlie invece si avvicinò al ragazzo e sussurrò un arrabbiatissimo «attento a come parli, mi fai fare la figura della stupida!» senza che nessuno se ne accorgesse. Zayn annuì scontento, poi l'avvicinò e, con tutta la scena che poteva creare, la baciò sulle labbra.

«Mi piace quando sei gelosa, piccola.» disse sorridendo, così che Eleanor e Niall potessero archiviare la questione e andare avanti con la cena. Charlie, come la prima volta, rimase un po' scossa per quel gesto tanto naturale e piacevole, ma subito decise di passare avanti e si avvicinò al seggiolone della bambina, che, avendo cenato in precedenza, giocava con un sonaglio guardandosi intorno incuriosita.

Zayn si rilassò contro lo schienale della sedia con il bicchiere di vino rosso tra le mani «e adesso hai intenzione di trasferirti di nuovo qui?» chiese rivolto a Niall. Quello si strinse nelle spalle e guardò Eleanor, che finse di non accorgersene.

«Forse, è da vedere come si evolveranno le cose.» fu la risposta sibillina del ragazzo. La cena proseguì in questo modo tranquilla e sciolta, in un modo che le sorelle non avevano mai sperimentato. Era strano, pensò Charlie con un sorriso, come le cose si evolvessero in maniera così inaspettata a volte. E così la sorella maggiore che avevi invidiato per tanti anni diventava un'ancora di salvezza, il ragazzo che ti odiava fingeva di essere il tuo compagno e una bambina dalla risata facile e gli occhi enormi ti sedeva a fianco e ti chiamava “mamma”. Guardandosi intorno, la ragazza non riuscì ad immaginare nulla di diverso o di più giusto per quella situazione, e istintivamente si avvicinò a Zayn, fino ad appoggiare la testa sulla sua spalla.

«Sei stanca?» gli sussurrò quello all'orecchio, senza dimostrare alcun segno di sorpresa. Charlie annuì e chiuse gli occhi, godendosi la mano del ragazzo che le accarezzava la nuca. Eleanor si alzò in quel momento con una sigaretta tra le mani e l'accendino pronto, e scusandosi con tutti si avviò all'esterno per fumare.

Zayn si alzò e la seguì, così che Charlie e Niall rimasero da soli.

La prima a prendere parola fu proprio la ragazza, che si avvicinò confidenzialmente all'altro «tu lo sai che lei sta per sposare un altro uomo, no?»

Niall sorrise, «certo.» rispose rilassato servendo ad entrambi un bicchiere di vino.

«E non te ne importa nulla.» quella che voleva essere una domanda si trasformò in una affermazione nel momento esatto in cui la giovane si rese conto di quello che stava succedendo. Niall scosse la testa, e Charlie si sentì montare di furia, «non ci provare nemmeno, Niall, mi hai sentita bene? Non sai cosa ha passato quando se te ne sei andato, non sai quanto è stato difficile.»

«Sono qui per rimediare.»

Charlie scosse la testa, poi gli prese una mano sul tavolo, «e quanto credo di rimediare, rovinandole l'unica certezza della sua vita, adesso?»

«Quanto basta per non farle commettere questo errore.» eppure il tono di Niall si era fatto più incerto, tanto che l'ultima parte della frase fu quasi sussurrata. Charlie rimase in silenzio, prese in braccio la bambina e le ripulì il viso dolcemente.

«Se sei così innamorato di lei perché te ne sei andato, eh?»

Niall si strinse nelle spalle, «ero stupido e avevo paura.»

«Fa troppo commedia adolescenziale americana. Ritenta.»

Il ragazzo non riuscì a trattenere un sorriso, «ma è così! Voleva che mi presentassi ai vostri come suo ragazzo, che terminassi l'università, che...»

«Che diventassi un uomo?»

«Era più facile andarmene, per... schiarirmi le idee.»

Charlie sgranò gli occhi, «e ci hai messo due anni a schiarirti le idee? Sei un idiota, Niall,» proferì la giovane «e sappi che non farò nulla per aiutarti.»

«E io che credevo che...» ma il ragazzo non riuscì a continuare, perché in quel momento rientrarono Eleanor e Zayn ridendo, forse per qualche aneddoto divertente. La cena si concluse poco dopo, e tutti si decisero per una passeggiata lungo il lago e un gelato al vecchio chiosco al molo. Eleanor e Charlie rimasero indietro, mentre i ragazzi con la bambina precedevano più spediti commentando il calcio mercato, e ne approfittarono per chiacchierare da sole per la prima volta.

«Ho parlato con Zayn, prima. Mi piace, davvero.»

Charlie, che aveva il cuore che galoppava nel petto per paura che l'inganno fosse già saltato fuori, sorrise rilassata e annuì, «mi ha presa in un periodo.... difficile, diciamo così.» rispose, mentre allungava il collo per controllare Sophie.

«Stai tranquilla, non te la mangiano mica!» scherzò Eleanor, quando notò il comportamento della sorella «anzi, come vive lui questa vita... familiare?»

Charlie si strinse nelle spalle, cercando una risposta adatta, «la viviamo alla giornata, compresa la bambina. Per il momento non stiamo avendo difficoltà.» anche se in due giorni era difficile averne, valutò mentalmente la ragazza.

Eleanor si fece seria, prendendola a braccetto, «devo dirti una cosa.»

«Ok.» rispose Charlie.

«E' una cosa seria, e prometti che non dirai nulla.» la più grande fece una pausa «sono incinta.»

Charlie rimase in silenzio un secondo, poi sbottò in un caloroso, «Che cosa?!» che fece girare alcuni turisti che passeggiavano poco distante.

«Avevi promesso!»

«No, non me ne hai dato il tempo!» le fece notare Charlie, che poi continuò come se nulla fosse «un figlio El? Con Louis? Un figlio?»

Eleanor abbassò il capo, «non sono l'unica che può fare un errore.» borbottò, con chiaro riferimento a Sophie. Charlie sbuffò, poi prese per un braccio sua sorella e la fece sedere su una panchina che fiancheggiava il corso pieno di gente.

«Eleanor, ti rendi conto del casino in cui ti sei messa? Hai appena definito “errore” un figlio dell'uomo che diventerà tuo marito tra qualche giorno.»

L'altra ragazza rimase in silenzio mentre cercava di trattenere le lacrime. Charlie le si fece vicina a le passò un braccio oltre le spalle «El, tu... non lo ami, vero?»

«Sto per sposarlo, Charlie.» rispose monocorde.

«Non ti ho chiesto se stai per sposarlo. Ti ho chiesto se lo ami o no.» Charlie rimase in silenzio per una risposta che non arrivò, poi annuì e la strinse ancora più forte, «c'entra Niall?»

Eleanor annuì, sempre con lo sguardo basso, prima di decidersi a parlare, «lui è stato lontano tanto tempo e io credevo di non provare più nulla per lui. Io credevo di amare Louis! Lui è sempre stato così buono e comprensivo con me, Charlie!» si fermò un istante per prendere fiato «mi ha consigliato di invitare Niall al matrimonio, crede che sia ancora il mio migliore amico e anche io, dopo tutto, ero convinta che potessimo ritornare come quando eravamo bambini.»

«Niall vuole provare a riconquistarti.» le comunicò Charlie senza espressione.

L'altra annuì, «vorrei essere abbastanza forte per respingerlo.» ammise.

«Per Louis o per il bambino?»

Eleanor sorrise amara, «per me, Charlie. Quando se n'è andato la prima volta ho pensato che non mi sarei più ripresa, che non sarei più stata in grado di innamorarmi. Poi è arrivato Louis con i suoi sorrisi gentili e la sicurezza che mi dava... ho il suo bambino in grembo, Charlie, cosa dovrei fare?»

«Il suo bambino in grembo, El... mi suona così romanzato.» sbottò Charlie con il solito tono spicciolo.

Eleanor ridacchiò, mentre i ragazzi tornavano indietro per raggiungerle, «non voglio parlarne. Ho bisogno di tempo...»

Charlie annuì, «ricordati che non ne hai molto, però.» mormorò quasi, e si alzò per raggiungere Sophie che ridacchiava tra le braccia di Zayn, che si faceva pazientemente tirare il ciuffo.


***


Quando Harry e Louis raggiunsero l'aereoporto era giorno da poco e pioveva. Louis, che reggeva in una mano la sua borsa e nell'altra quella di Harry, due passi dietro di lui, continuava a sbuffare cercando le parole giuste con cui iniziare una conversazione. Dio, continuava a ripetersi, era il suo ragazzo! Non poteva di certo fingere di non conoscerlo e non parlargli per niente. Tutto stava nel trovare le parole giuste per cominciare a spiegare, per fargli capire... cosa? Che era uno stupido? Se ne era accorto anche da solo, almeno a giudicare dal fatto che non lo aveva guardato dalla sera precedente, e che aveva cercato di andare a casa loro. No, ricordò il ragazzo con l'ennesimo sbuffo, a casa sua, dal momento che lui aveva rovinato tutto perdendolo per sempre. Ormai resosi conto di essere diventato patetico e melodrammatico, Louis si affrettò verso l'imbarco, sperando di poter dormire almeno una mezz'ora durante il viaggio. La sera precedente, dopo essere stato cacciato dalla stanza da Harry, era rimasto come un imbecille davanti alla porta per almeno mezz'ora, fino a quando, invitato dal custode irritato, non era uscito. Il resto della notte lo aveva passato a casa loro, girovagando per il salotto e la camera da letto. Ovviamente non era cambiato nulla, tranne che per alcuni cd e qualche libro che lui aveva portato via. Harry aveva mantenuto tutto in ordine, persino la tazza da tè che gli aveva regalato per il precedente San Valentino. Era colorata e piena di disegni, con scritto “Boo” al centro. Louis aveva preparato il tè e si era seduto sul bordo del letto rifatto, guardandosi intorno. Era andato via di lì dopo un'intera giornata a digiuno, ma non riusciva a trovare la voglia di prepararsi qualcosa da mangiare. Non che ne fosse troppo capace, poi, considerando che solitamente cucinava Harry e lui non aveva mai avuto lo stimolo di imparare. La mattina dopo, alla fine, aveva fatto una doccia senza la consueta radio accesa, ma nemmeno aveva avuto il tempo di pensarci. Era scappato in ospedale per essere sicuro che, se non altro, Harry non sarebbe scappato alle prime luci dell'alba. E, una volta caricato a forza su un taxi, si era reso conto di quanto tutta la situazione che stavano vivendo fosse irreale. Riparati dalla pioggia entrarono nell'immensa struttura e riuscirono a partire per il rotto della cuffia, soprattutto perché Harry, che già aveva poca voglia di collaborare, si era messo in testa di dover rientrare al lavoro giusto quella mattina. “Non ho intenzione di perdere il servizio di oggi solo per tener contento te e il tuo stupido senso di colpa.” gli aveva sibilato mentre Louis lo spingeva sotto il metal detector. L'altro aveva annuito fingendo di ascoltarlo, ma senza la minima intenzione di lasciarlo solo a Londra, con l'unica compagnia di un po' di birra e colleghi svogliati.

«Harry, ti prego parlami.» erano nell'aereo da qualche minuto, quando Louis si voltò verso di lui con aria supplichevole. Il quasi totale silenzio dall'altra parte gli faceva male, soprattutto perché sapeva di esserne completamente la causa. Harry rimase in silenzio e alzò il volume dell'iPod, mettendo fine a qualsiasi possibilità di dialogo. Louis sospirò e annuì a sé stesso: gli avrebbe dato tempo, per quanto potesse essere importante alla fine. Il volo durò solo cinquanta minuti, più altri quaranta per raggiungere Penrith e la villa. Eleanor stava sul tavolo in giardino con una donna di mezza età vestita in un elegante completo giacca e pantalone, una piantina della sala ricevimenti aperta davanti a loro e il difficile compito di distribuire gli invitati ai vari tavoli. Louis scese dalla macchina forzando un sorriso alla sua fidanzata, che si alzò in risposta rivolgendo un saluto ad entrambi i nuovi arrivati. Harry sbuffò mentre scendeva, fece sbattere lo sportello dell'auto con più forza del necessario e recuperò in fretta la sua borsa, sparendo poi velocemente oltre il giardino. Louis fu tentato per un secondo di seguirlo, ma decise di lasciar perdere ricordandosi della sua promessa di dargli tempo e si avvicinò al tavolo, sporgendosi per poggiare per un secondo e labbra su quelle della ragazza.

«Oh, Lou. Non ricordavo se fosse tua zia Jean ad avercela con la cugina Mary o la zia Joanne. Comunque le ho messe a tre tavoli diversi, mai sia che il pranzo debba trasformasi in un incontro di pugilato.» la ragazza lo salutò così, con l'aria stanca di chi sta facendo qualcosa di oltremodo noioso e senza senso, mentre Louis annuiva e si stravaccava sulla sedia da giardino. In quel momento uscì Zayn dalla casetta con l'aria estremamente imbronciata, come se si fosse appena svegliato.

«Meno male che stai pensando tu a tutto, El! Sono stanchissimo...»

Eleanor gli fece una carezza sul braccio, «hai dormito male? Ti preparo qualcosa da mangiare prima di pranzo?»

«No, grazie. È Harry che...» ma non finì di parlare. In fondo come avrebbe potuto spiegare alla donna che stava per sposare e che aspettava suo figlio che era innamorato di un uomo che ora non gli rivolgeva la parola a causa sua? Poco incasinata la sua vita, pensò con un mezzo sorriso mentre si alzava per stiracchiarsi.

«Credo che andrò a prendere un po' di sole al molo, magari mi addormento un po' prima di pranzo.»

Eleanor annuì, «ricordati la crema. Ti faccio uno squillo quando dovete rientrare.»

«Va bene...» il ragazzo si fermò un secondo, poi ripensandoci si avvicinò alla fidanzata «Ella tu... stai bene?» chiese imbarazzato, gettando un'occhiata al ventre piatto della compagna. Eleanor scoppiò e ridere e gli accarezzò una guancia.

«Benissimo. Vai adesso!» e con un ultimo sorriso tornò a rivolgersi alla wedding planner, che per tutto il tempo aveva continuato a controllare le mail di fioraio, fotografo, servizio catering e avvenuta consegna delle bomboniere. «Sarà una giornata perfetta, cara!» trillò, contenta che il lavoro stesse procedendo per il meglio, Eleanor annuì distrattamente: Niall era appena uscito sul portico esattamente di fronte a lei, i capelli scarmigliati dal sonno, gli occhi languidi e con i soli pantaloncini, accendendosi la prima sigaretta della giornata. Eleanor ebbe solo voglia di scappare da tutto quel delirio e andarsi a rifugiare tra le sue braccia, invece sorrise all'altra donna, «si, sarà perfetta.»

 

Quella sera, a cena, c'era un'aria abbastanza tesa. Zayn, che la notte precedente era stato costretto a stare sul divanetto a due posti della cucina visto che la bambina non aveva dormito per niente e avevano passato la notte guardando la prima stagione di Grey's Anatomy, aveva un gran mal di testa e la schiena che gli doleva nemmeno avesse avuto ottant'anni. Niall, la cui pazienza era stata messa a dura prova dalla mano di Louis che accarezzava i capelli di Eleanor, voleva solo tornarsene nella sua stanza magari anche ubriaco, così da potersi addormentare subito. Charlie, mentre teneva in braccio Sophie per imboccarle la cena, aveva cominciato a pensare a quanto sarebbe stato bello accoccolarsi sul petto di Zayn, e quel pensiero non le piaceva per niente. Louis, invece, si limitava a tenere alta la conversazione mentre continuava a fissare il posto vuoto lasciato da Harry sperando che tornasse presto, dal momento che non si era visto per niente tutto il giorno. In tutto ciò, il cellulare prese a squillare rompendo quella falsa quiete, e LOuis si alzò per rispondere. Rispose contento perché a chiamarlo era Liam, «ehi, straniero!­»  esclamò poggiandosi alla ringhiera del portico. Faceva caldo e non gli dispiaceva, anche se solo per poco, prendere un po' d'aria.

«Ciao, come stai?»

«stressati ma bene, grazie. Voi, a casa?»

Liam fece una pausa, poi rispose, «stiamo tutti bene. Senti...» il ragazzo dall'altra parte si fermò ancora un attimo, come se volesse modulare le parole «volevo dirti che al matrimonio verremo soltanto io e Tommy. Chiamo te perché non voglio disturbare El, immagino che abbia già abbastanza da fare.» avvisò, riferendosi al figlio di tre anni che in realtà si chiamava Tommaso, ma lui chiamava con quel vezzegiativo.

«Sì, in effetti. Mi dispiace, avevo piacere a rivedere Bea dopo tanto tempo,» ammise Louis, «spero non sia successo nulla di grave.»

Liam sospirò, «no, lei... è solo che non può proprio lasciare Milano e...»

Louis rimase in silenzio. Gli bastava fare due più due per intuire il vero motivo della telefonata; in effetti, nonostante Liam lo avesse conosciuto solo all’Università, erano sempre stati in ottimi rapporti, e anche quando si erano dovuti separare per motivi più grandi di loro erano rimasti in contatto e Beatrice, la bellissima donna che Liam aveva sposato, era diventata per il ragazzo una buona amica quando si vedevano, la maggior parte delle volte in estate.

«Liam,» ricominciò allora il ragazzo con discrezione, «spero di vedere te e il bambino presto. Perché non ti prendi un paio di giorni e vieni qui già da domani o dopodomani invece di sabato?» non sapeva come fare a invitare il suo amico senza essere maleducato, così aggiunse «sicuramente al bambino farà bene un po' di aria pulita e a te un po' di tranquillità. Milano è stressante.» provò, facendo ridere il ragazzo dall'altra parte della cornetta.

«Lou, se vuoi che ti racconti qualcosa non hai che da chiedere.»

«Non voglio forzarti.»

Liam sospirò, poi disse in un sussurro, « io e Bea stiamo passando un brutto periodo.»

«Mi dispiace molto, Liam.»

«Abbiamo deciso di separarci.» aggiunse quello. Louis rimase in silenzio, non sapendo nemmeno cosa dire a quel punto, dal momento che il solito e comodo “mi dispiace” era troppo banale.

Alla fine disse, «una buona ragione per venire qui un paio di giorni prima del matrimonio. Magari stare così distanti vi farà riflettere meglio.»

«Immagino che sia così. Tommy piange, devo andare a vedere cosa è successo. Grazie Lou, ci vediamo presto.»

Quello sorrise, «vi aspettiamo allora.» e concluse la telefonata. Rimase in silenzio sul dondolo, rimuginando sulle ultime notizie apprese. Gli sembrava quasi impossibile che una coppia salda come la loro potesse andare in frantumi. E il bambino? E tutto quello che avevano condiviso in quegli anni? Per un istante collegò la storia del suo amico alla sua, ritrovandosi a sorridere come un'idiota. Alla fine non era tanto difficile che ci si innamorasse della persona sbagliata o che ci si rendesse conto di non amare davvero una certa persona. E a quel punto cosa succedeva. Charlie, uscì in quel momento sulla veranda, gli rivolse un sorriso, «EI voleva sapere se potevi raggiungerla un secondo in cucina. Credo abbia un problema con la sistemazione degli ospiti che verranno a stare qui.» gli dosse, sedendosi al dondolo e sospirando, aggiunse «io credo che rimarrò qui, invece. Si sta troppo bene.» che lo fece scuotere la testa divertito.

Il ragazzo entrò e Charlie rimase da sola, rimpiangendo per un istante di aver smesso di fumare. Fu in quel momento che Harry, il migliore amico dello sposo, salì i tre gradini del portico per entrare in casa.

«Ciao.» disse Charlie con un mezzo sorriso.

Harry si guardò intorno come un cane braccato, gli occhi rossi come se avesse dormito o pianto troppo e le labbra leggermente screpolate. Aveva passato tutto il giorno fuori, ricordò la ragazza, e sicuramente aveva fame e sete, «gli altri di là stanno cenando, se hai voglia di mangiare qualcosa.» tentò nuovamente, come con un bambino. Il ragazzo scosse velocemente la testa, e Charlie capì di aver appena commesso un errore: voleva evitare tutta la compagnia, forse Louis più di tutti, quindi aggiunse,«però se vuoi ho latte e biscotti nella casetta in fondo al viale. Sono di Zayn, ma sono sicura che non farà troppe storie.»

Harry ci pensò su un istante, poi rispose «va bene.» e le fece segno di farle strada verso la casetta. Charlie ebbe per un istante voglia di tornare indietro per avvisare tutti, soprattutto Louis che era agitatissimo, ma poi decise di non giocarsi così inutilmente quella strana intimità con il londinese e scese decisa il portico. Harry la affiancò in un istante, le mani cacciate fino in fondo nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo basso.

- Sei stato sul belvedere al tramonto? - chiese la ragazza per tenere la conversazione alta, «quando venivo qui d'estate ci andavo tutti i giorni. È stupendo.»

«Sì, ma c'era tantissima gente. Sono sceso nella baia sono rimasto lì per quasi un'ora. Questo posto è bellissimo.» disse accennando un sorriso.

Charlie colse quel sorriso e ne fu felice, allungando il passo lungo il vialetto. Arrivarono alla casa e, una volta in cucina, cominciò a trafficare nella dispensa, «non c'eri mai stato?» chiese, mentre metteva fuori il pacco dei biscotti con le gocce di cioccolato e le tazze.

«Mai.»

La ragazza accese il gas per riscaldare il latte dispose la lauta cena sul tavolo, «allora è un bene che tu sia venuto oggi, non credi?» disse con un sorriso, per poi versare il latte nelle tazze «miele o zucchero?»

Harry abbassò lo sguardo, e Charlie dedusse di aver fatto un passo falso. Tuttavia rispose «miele, grazie.» e prese un biscotto dal pacco. Rimasero in silenzio per un po', Charlie sorseggiando il suo latte ed Harry divorando biscotti su biscotti. Notò il passeggino in un angolo «hai un figlio? » le chiese.

Charlie si stupì del fatto che avesse cominciato per primo una conversazione, ma si affrettò a rispondere «una figlia. Si chiama Sophie.»

«Sei molto giovane.»

«Le cose che succedono quando credi di essere innamorato di qualcuno tanto da accontentarlo quando ti chiede di non usare le precauzioni.» rispose con leggerezza la ragazza, prendendo a sua volta un biscotto.

Harry annuì, «e non eri innamorata di lui?»

«No. Anche se l'ho capito un secondo troppo tardi.»

Harry rimase in silenzio ancora per un po', approfittandone per finire il latte, «strano, eh, come ci si annulli completamente quando si è innamorati di qualcuno.» rifletté a voce alta, mentre si alzava per riporre entrambe le tazze nel lavello.

«Tu sei innamorato, Harry?» chiese allora Charlie, trattenendo il fiato. Era stata troppo diretta, e aveva paura di aver sbagliato tutto.

Invece Harry scoppiò a ridere, evidentemente più rilassato,«guardami: ho passato la giornata ad ammirare il lago, ho gli occhi gonfi di pianto e parlo d'amore con una persona di cui non conosco nemmeno il nome. Secondo te sono innamorato?»

La ragazza tirò un sospiro di sollievo, «hai ragione. Sono Charlie.»

«Harry.»

«Lo so. Tu e Louis siete migliori amici, giusto? Eleanor mi ha detto che vivevate insieme a Londra.»

Nuovamente il ragazzo si adombrò, e Charlie ripercorse mentalmente le ultime cose che aveva detto. Non poteva aver sbagliato nulla, no? Poi però Harry disse, «sì, fino a domenica scorsa.» e Charlie si rilassò nuovamente.

«Lui sa che sei così innamorato?»

Harry rise nuovamente, ma sarcasticamente, «secondo lui non dovrei intestardirmi per una storia che non potrà mai esistere.» disse quasi sottovoce «Ha ragione.» aggiunse poi.

«Sono parole molto dure. Purtroppo però non possiamo scegliere chi amare.»

Harry annuì, chiudendo gli occhi e riaprendosi subito dopo. Fissò Charlie con un mezzo sorriso rassegnato «sarebbe troppo semplice altrimenti, no?» chiese retoricamente col principio di una risata sulle labbra.

«E non sia mai che qualcosa sia semplice.» subito si mostrò d'accordo la ragazza. Il suo cellulare cominciò a squillare in quel momento, e il numero di Eleanor comparse sullo schermo, «scusami.» disse ad Harry, che annuì. Charlie si allontanò di un paio di passi, poi rispose «El, dimmi.»

«Non sono El. Mi dici che fine hai fatto da mezzora a questa parte?» la voce di Zayn, tanto chiara quanto irritata, riportò la ragazza alla realtà.

«Hai ragione, scusami! È successa una cosa e...» non sapeva nemmeno lei perché stesse dando spiegazioni a Zayn, ma in quel momento le sembrò quasi normale, tanto che non ci fece troppo caso.

«Dove sei?» la interruppe il ragazzo.

Charlie tornò al tavolo, «a casa nostra,» rispose spontaneamente, e non riuscì a fermare un brivido che le corse lungo la schiena.

Zayn rimase in silenzio per un po', poi si schiarì la voce «ok, io... la bambina si è addormentata, torniamo tra due minuti.»

«Va bene.»

Quando tornò al tavolo, Harry la guardò con curiosità, «sei arrossita.» notò con un mezzo sorriso.

«Non è vero.» rispose automaticamente lei, mentre le mani correvano al viso per accertarsi che le guance non fossero calde. Rimase tuttavia delusa, e la sua faccia fece ridacchiare il ragazzo, che poi si alzò e si avviò verso la porta, «a volte, però,­­» considerò con un mezzo sorriso che sicuramente faceva svenire molte ragazze «ci si innamora della persona giusta. A quel punto sta a noi non farcela scappare.» e con quell'ultima frase e un cenno con la mano uscì dalla casetta. Charlie scoppiò a ridere, riflettendo sull'assurdità di innamorarsi veramente di Zayn, che praticamente non conosceva e che sicuramente non era il tipo di ragazzo adatto a lei. Poi sgombrò il tavolo e lavò le tazze, fece sparire le briciole dei biscotti e spense la luce della cucina tranne la lampada della zona soggiorno. In camera da letto di spogliò e indossò il pantaloncino e la canotta che indossava per dormire, preparò il letto per la notte e andò in bagno a struccarsi. Quando uscì, con il viso pulito e i capelli legati in una treccia sulla spalla, trovò Zayn che spingeva la bambina, adagiata sul passeggino, e si sedeva sul bordo del letto. Era a piedi nudi e aveva slacciato un paio di bottoni in più alla camicia che stava indossando; quando vide Charlie le sorrise pigramente e si stiracchiò. La ragazza rimase quasi incantata, non riusciva a distogliere lo sguardo dai suoi movimenti e si diede della stupida per questo.

«Mi dispiace per avervi lasciati durante la cena.» mormorò la ragazza, sedendosi a gambe incrociate sul letto.

Zayn si strinse nelle spalle, «non ti preoccupare. Cos'è successo?»

«Ho parlato con Harry, l'amico di Louis.« rispose Charlie, mentre il ragazzo si alzava e prendeva dal cassetto del comodino una t-shirt grigia che usava come pigiama.

Sbottonò il resto della camicia con naturalezza e la fece scivolare dalle spalle, si stiracchiò nuovamente, «è un tipo strano.» considerò, mentre girava per la stanza per mettere via la camicia.

Charlie, che sentiva i primi segni dell'iperventilazione, deglutì e si costrinse a fingere la stessa naturalezza che mostrava lui, sedendosi meglio sul letto e imponendosi di non seguirlo con gli occhi ogni momento. Cosa abbastanza difficile, però, dal momento che lui aveva slacciato i pantaloni ed era rimasto in boxer.

«Non è strano. È simpatico.» la voce di Charlie era strozzata, tuttavia riuscì a rispondere con una normalità che impressionò lei per prima. Messi via anche i pantaloni, Zayn tornò dalla sua parte del letto e si sedette, Charlie continuò a parlare, «è innamorato, soffre molto.»

«E' esagerato,» la contraddisse il ragazzo con uno sbuffo «e melodrammatico.»

Charlie si inalberò, Harry le stava simpatico e non avrebbe certo permesso a Zayn di denigrarlo così, «ah si? E tu cosa ne sai?»

Zayn scoppiò a ridere, rischiando di svegliare la bambina, «che c'è? Credi che sia fatto di pietra?» la stuzzicò. Charlie ripensò al corpo senza imperfezioni che aveva visto pochi secondi prima ed ebbe qualche dubbio sulla risposta da dare, poi scosse la testa e rispose «no, ma non ricordo di aver mai visto una fidanzata ufficiale o tu che ti strappi i capelli per qualcuna...»

«Ognuno dimostra i propri sentimenti come gli pare.» sembrava che Zayn volesse concludere in fretta il discorso, ma Charlie cominciava ad interessarsi.

«Quindi tu... sei innamorato?»

Zayn sbuffò, «ripeto: non sono fatto di pietra.» e con queste parole cadde disteso sul letto, forse dimenticando per un istante che il suo posto per la notte era il divano della cucina.

Charlie si indispettì, «andiamo, sei sempre così silenzioso! Perché non mi dici di chi sei innamorato?»

«Charlie, ti prego, vuoi veramente parlare di questo all'una e un quarto del mattino?» borbottò il ragazzo, il cuscino che gli copriva quasi completamente la faccia.

«Assolutamente sì.»

Nuovamente il ragazzo borbottò qualcosa che venne soffocato dalla stoffa del cuscino, poi si rimise seduto «io invece no, quindi perché non ci mettiamo a dormire e recuperiamo qualche ora di sonno? Domani Eleanor ha proposto di passare la giornata al lago.» tentò di convincerla.

«Mi piace come idea... verranno anche Niall e Harry?»

«Non lo so, vedremo domani. Da quanto tempo è innamorato di tua sorella?» chiese poi lui.

«Louis intendi?»

«No, Niall.»  la contraddisse.

Charlie si mise a ridere, «oh, da... sempre, credo. Una storia tormentata la loro. E la tua con la bella ragazza del mistero?» ritornò all'attacco subito, per stuzzicarlo.

Zayn tuttavia rise, ignorandola, «perché tormentata? Mi ha detto di essere stato in Spagna, è per quello?» «Diciamo che si sono rincorsi per tutta la vita, ma lui è allergico alle storie serie e lei aveva bisogno di un ragazzo che le desse certezze. A volte l'amore non basta.»

Zayn sospirò, «immagino sia così. È la stessa cosa che è successa a te?»

«Eh no, adesso tocca a te. Rispondi tu a una mia domanda!» Charlie si sistemò meglio con le gambe incrociate e guardò il ragazzo di fronte a lei.

«Una domanda per una domanda.»

«E sia. La ragazza di cui sei innamorato vive nella nostra città?» in un primo momento voleva chiedergli direttamente di fosse, ma poi, intendo che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, aveva saggiamente deciso di cambiare tattica.

«Sì, la conosco da un paio d'anni.» confermò Zayn serio.

«E la conosco?»

Il ragazzo scosse la testa, «no, bimba, adesso tocca a me. Qual è il tuo piatto preferito?»

Charlie strabuzzò gli occhi, «e che c'entra?»

«Niente,» convenne Zayn «ma nessuno aveva posto una regola sull'argomento delle domande.»

«Torta di mele. Non riuscirai a distogliermi dal mio obiettivo di sapere di chi sei innamorato.» lo reguardì la ragazza con un enorme sorriso sul volto.

«Vediamo?» la sfidò Zayn allora. Charlie annuì, accettando la sfida.

 

***

  

Quando Harry entrò in casa, Eleanor e Louis stavano sparecchiando la tavola chiacchierando sottovoce, mentre Niall, comodo sul divano, faceva pigramente zapping tra i canali musicali. Tutti si congelarono per un momento ma, quando Louis ebbe la buona idea di seguirlo, Eleanor prese senza troppi complimenti Niall per un braccio e lo portò fuori, sul portico.

«Che c'è, lasci soli i piccioncini?» chiese ironicamente il ragazzo, col solo fine di beccarsi un'occhiataccia e uno “sta zitto idiota” che non fece che aumentare l'astio dell'irlandese. L'attesa silenziosa e un po' imbarazzante, però, durò troppo poco, poiché dopo solo qualche minuto cominciarono a sentirsi urla non bene identificate dall'interno della casa. Louis a quanto pareva, non era troppo contento di come il suo migliore amico stesse rispondendo all'ospitalità datagli dalle sorelle Calder; il londinese, di contro, cercava di fargli capire con molti esempi coloriti quanto gliene potesse infischiare in quel preciso momento della cordialità di Eleanor e Charlie.

Ad ogni modo, dopo più di venti minuti di grida, Niall sentì il dovere preciso e profondo di dover intervenire in qualche modo in quella situazione, «cinque sterline che Harry gli tira un pugno.» disse allora aprendo il portafogli e mettendo la banconota sul cuscino del dondolo su cui si era seduto.

Eleanor, allora, dall'alto della sua maturità di donna esperta e navigata, alzò gli occhi al cielo ed entrò in casa. Solo per uscirne un secondo dopo con il portafogli tra le mani, «Dieci che Lou lo caccia di casa.» disse tranquillamente, accendendosi una sigaretta e mettendo i soldi su quelli del ragazzo.

«Ma se finisce in rissa mi paghi la colazione, domani mattina.» accettò quello, alzando la posta. Eleanor annuì e si affacciò sul giardino.

«Non finirà in rissa,» fu la sua risposta sicura «Louis è troppo signore per prendere parte ad una rissa.»

Niall scoppiò a ridere, «El,» la affiancò poggiata al parapetto «gli ha appena suggerito un paio di interessanti posti da poter visitare, se proprio non vuole stare qui con noi a Penrith. Non so se mi spiego...»

Eleanor scoppiò a ridere, interrompendolo, «ok, forse non è signore fino a questo punto, ma se è caduto nel turpiloquio fino a questo punto un motivo ci sarà anche.»

«Probabile, ma a quanto pare sono gli unici a saperlo. Ah,» aggiunse poi Niall, mentre la porta si apriva in uno scatto e Louis compariva con le guance rosse e un'espressione parecchio arrabbiata sul viso. Harry lo seguì a due passi, continuando ad inveire senza curarsi minimamente del pubblico: «sei solo un arrogante e presuntuoso, Louis Tomlinson. E sei un bugiardo.» disse arrivandogli alle spalle, la voce più controllata.

«Non prendermi in giro, Harry.» lo rimbeccò l'altro «sto cercando di aiutarti, lo vedi?»

Harry scosse la testa, sconsolato, «dovresti prima aiutare te stesso, ma io non posso stare qui come un imbecille a sperare che tu rinsavisca.»

«Perfetto, allora.» Louis sbuffò, senza accorgersi che Eleanor e Niall si erano ritirati in un angolo del dondolo con espressione abbastanza incuriosita, «sai che ti dico? Vattene da questa casa e dimentica il mio nome e la mia faccia.»

«Va bene.» Harry annuì un paio di volte, come se si aspettasse quella risposta. O forse solo perché ricordava una conversazione dello stesso stampo troppo recente per non bruciare ancora, anche se quella volta le parti erano invertite. E sapeva già come sarebbe andata a finire. «non volevo nemmeno venirci, e lo sai bene.» borbottò. Eleanor sorrise e allungò una mano verso le venti sterline, ma Niall le schiaffeggiò il polso e riportò la sua attenzione sulla lite.

«E lasciarti con quell'idiota di Josh? Certo che te li scegli proprio bene gli amici!» il tono di Louis era esasperato, ma Harry sorrise senza gioia.

«Già,» concordò «me ne sono reso conto anche io. Sai che ti dico, però? Vai al diavolo tu, questa casa, tutte le tue belle parole e la nostra amicizia, che ne ho piene le palle di te e della tua insicurezza cronica.» e, voltando le spalle a tutti, entrò in casa per andare a riprendere il suo borsone da viaggio. Eleanor, con molto tatto, si alzò per andare ad abbracciare Louis e si mise in tasca sua vincita, estremamente soddisfatta. Niall, ingoiando lo sbuffo a quel momento di tenerezza, si alzò e tornò in casa lasciando la coppia sola.

«Ho appena fatto una cazzata, Ella.»

«Può capitare di litigare, in fondo nell'amicizia succede anche questo.»

Louis scosse la testa e si sedette sul dondolo con la testa tra le mani, «è tutto un casino, va bene? È cose se avessi perso completamente il controllo della situazione e...»

«Cosa, Louis?»

L'altro rimase in silenzio, ignorando quella domanda. Tutto rimase immobile fino a quando Harry non uscì di casa con la sacca in mano e le cuffiette dell'iPod nelle orecchie. Louis sembrava non avesse nemmeno il coraggio di guardare alla sua figura, tanto che Eleanor credette per un secondo di poter morire di curiosità. Cos'era successo? Perché, loro così amici, erano arrivati a quel punto? Come se...

«Louis, dimmi cosa c'è che non va.»

«Niente, Ella.» di nuovo il tono del suo fidanzato tornò neutro come sempre. Gli nascondeva qualcosa, e quel qualcosa aveva portato alla fine della sua amicizia con Harry. E la risposta che si dava mentalmente ai suoi interrogatici, concluse Eleanor, non le piaceva per niente.

La ragazza gli scosse un braccio, per richiamargli l'attenzione, «Louis, voglio sapere perché hai appena avuto una litigata furiosa con quello che dovrebbe essere il tuo migliore amico. Voglio, anzi pretendo, di sapere per quale motivo ha detto che sei un bugiardo. E perché ti sta dando del tempo.» attese per un paio di minuti, mentre Louis continuava a fissare il pavimento reggendosi la testa sconvolto. Eleanor cominciò ad allarmarsi. «Louis, perché non mi rispondi?»

Ma Louis non la stava più ascoltando, perché era scattato in piedi e guardava affannosamente al giardino «Ella, mi dispiace.» mormorò solo, prima di correre verso il cancelletto e sparire nella strada. Stava andando da lui, era chiaro, ma Eleanor non riusciva quasi a crederci. Cosa stava succedendo alla sua vita in quei pochissimi giorni? Quando rientrò in cucina, diversi minuti dopo, trovò tutto in ordine e Niall seduto sul divano ad aspettarla.

«E' andato via.»

Niall annuì, «ho sentito.»

«Lui non mi ama.»

«Perché dici così?»

Eleanor non rispose, andandosi semplicemente a sedere accanto a lui sul divano, «tra meno di una settimana ci sposeremo, sono incinta di suo figlio. E non ci amiamo.»

«Non lo ami? chiese Niall, avvicinandosi impercettibilmente alla ragazza.

«No. Cioè, ero convinta di sì ma in realtà... non ci sto capendo più niente, Niall.» ammise allora Eleanor, che poi, improvvisamente, scoppiò a piangere.

«Cosa posso fare adesso per te?» si arrischiò allora a chiedere il ragazzo, sotto voce.

Eleanor scosse la testa, poi si avvicinò al suo viso, «non lasciarmi sola anche tu, adesso.» lo pregò solo. Poi lo baciò, e tutto il resto perse importanza.

 

***

Avrò controllato diecimila volte, ma sono ancora completamente convinta che ci siano delle sviste grammaticali. Io non le vedo, ma se voi doveste notarle fatemelo presente e correggerò! :D

Siamo a metà della storia, più o meno, oggi è Pasqua, abbiamo tutti mangiato come se non ci fosse un domani e sto completando una Shot che... boh... alla fine non sarà nemmeno una Shot. Nel frattempo fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo perché commenti/critiche/pareri sono la parte che preferisco. E per questo contattatemi pure anche su Twitter o tramite il carinissimo bottoncino "contatta l'autore" per qualsiasi cosa, anche solo per un po' di fangirling estremo sulla mia Crush della settimana (non è vero, è la mia cotta da sempre ♥) Georgey Shelley LOL.

A presto!

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Capitolo 6
*** Sei ***


#6

 

 

La stazione dei pullman più vicina distava più di due chilometri, e Harry non ebbe la fortuna di incrociare un taxi o un mezzo pubblico per accorciare la strada. In fondo, però, quella passeggiata poteva aiutarlo a schiarire le idee, soprattutto dopo la feroce lite – l'ultima, sperava – che aveva avuto con Louis.

 

- Mi spieghi dove sei stato tutto il giorno? E perché hai il cellulare staccato? Mi stavi facendo impazzire di paura! - Louis era entrato come una furia, senza preoccuparsi di moderare il tono della voce. Harry, senza dare segno di averlo ascoltato, si era tolto la maglia che indossava e aveva cominciato a passare in rassegna gli indumenti nel borsone, dandogli le spalle.

- Mi vuoi rispondere? Sei sparito, ti ho cercato per tutto il pomeriggio e tu niente! Completamente volatilizzato!

Ancora Harry faceva finta di non ascoltarlo, si stava togliendo con calma i pantaloni e per indossare un paio di bermuda, poi aveva preso una nuova maglia e una felpa. Ancora a torso nudo, si era voltato verso l'altro ragazzo nella stanza sbuffando un – modereresti i toni, per favore? Ci sono altre persone in casa.

Louis a quelle parole si era infervorato ancora di più – ah, meno male che te ne rendi conto! Secondo te è stato bello non salutare nemmeno la padrona di casa?

- Sai che cosa me ne importa di Eleanor e della sua fottuta ospitalità? - aveva urlato allora a sua volta Harry, e da lì era cominciato tutto il litigio.

 

La cosa che lo faceva più soffrire, rifletté il ragazzo mentre intravedeva la stazione ormai a poche centinaia di metri, era che Louis, nonostante tutto, teneva molto – troppo – a Eleanor, in un modo che lo rendeva insofferente e geloso, e che nemmeno la consapevolezza dei suoi veri sentimenti riusciva a placare. In un modo o nell'altro, però, Louis doveva prendere una decisione, e a quella sera l'aveva presa. Harry in fondo non vedeva l'ora di tornare a Londra, dove avrebbe ricominciato a lavorare, sarebbe uscito con i suoi amici e – sperava – avrebbe trascorso così tanto tempo ubriaco che magari non avrebbe nemmeno avuto abbastanza neuroni attivi per pensare a lui. E forse, allora, sarebbe stato bene. In quel momento, però, sentiva solo un grosso vuoto all'altezza dello stomaco, come se avesse preso un sacco di pugni senza potersi difendere. E sentiva le guance bollenti e le labbra secche e la vista appannata. La musica, a volume bassissimo nelle cuffiette, gli stava spaccando il cervello. Quasi non si stupì della voce tanto roca quando parlò con il dipendente per acquistare il biglietto, in fondo aveva urlato quella sera, forse anche a vuoto: a chi importava il tono di voce, se comunque tutte le parole rimbalzavano quasi come contro un muro?

 

- Non dirmi di stare calmo! - urlava Harry parecchi minuti dopo, quando ormai la rabbia era esplosa e non c'era modo di trattenersi – speravi che andandotene sarebbe cambiato tutto, vero? Niente più me, niente più problemi. Allora perché non riesci a lasciarmi andare?

Louis aveva scosso la testa esasperato – speravo che portandoti qui...

- Cosa, Lou? - lo aveva interrotto con tono stridulo l'altro – avremmo potuto parlare? Avrei potuto recitare per l'ennesima volta la scenetta del tuo migliore amico? - il tono di voce si fece improvvisamente più basso – sai cosa si prova, Louis, quando la persona che ami si vergogna di te?

- Mi dispiace, ok?

Harry aveva scosso la testa – di esserti preso gioco di me? Tutte le promesse... “lo diremo a tutti, amore”, “voglio stare per il resto della mia vita con te”, “perché non andiamo a vivere insieme?” - lo aveva scimmiottato – ti dispiace di questo? O per esserti vergognato ogni singola volta che uscivamo insieme? So che andavamo in quei locali in periferia perché avevi paura di poter incontrare qualcuno di imbarazzante; sono gay, non imbecille.

Louis cadde a sedere sul letto, le mani sugli occhi – smettila, per favore.

- No. O quando hai conosciuto Eleanor. Bella, brava, intelligente, donna. Avevi promesso anche lì, ricordi? “E' solo per non rovinare il Natale alla mia famiglia, amore. Presto lo dirò a tutti”. Stavi mentendo ancora, e lo sapevamo entrambi.

- Allora perché non mi hai lasciato allora? - il tono di Louis era diventato stanco, alla fine.

- Per lo stesso motivo per cui non ti sto lasciando adesso. Io ti amo Louis, e questo non può cambiare a prescindere da tutte le promesse che infrangi e tutte le volte che mi ferisci. - aveva mormorato l'altro.

Louis si era alzato dal letto, gli occhi lucidi – be', io non posso fare questo alle persone che amo.

Harry aveva annuito – interessante scelta di parole. - era stata l'unica riflessione. Le persone che amava, non lui. Forse perché non lo amava abbastanza. O forse perché non lo amava affatto.

 

Faceva freddo quella sera, ed Harry si tirò il cappuccio della felpa sui capelli maledicendosi per essersi tolto i pantaloni lunghi. L'attesa comunque non sarebbe durata a lungo, il pullman per Londra sarebbe arrivato in pochi minuti e dopo ci sarebbero stati solo la musica, il ronzio del motore a cullarlo e la liberazione da tutti i pensieri. Che senso aveva pensarci se comunque in quel momento l'oggetto di tutto quel dolore era a casa con la fidanzata, magari abbracciati davanti alla tv o a fare una passeggiata fino al molo? E allora lui avrebbe pensato che non era Eleanor, che voleva baciare sotto luna, ma a quel punto sarebbe stato troppo tardi. Harry sorrise per un istante, senza vergognarsi di quel pensiero. Voleva soltanto che lui provasse un minimo del dolore che gli aveva fatto provare in quei giorni e da quando si conoscevano. E poco importava se, e di questo se ne rese conto mentre il pullman accendeva i motori a pochi passi, alla fine quello che ci sarebbe stato male sarebbe stato comunque lui. Tanto aveva l'alcool, la vita sregolata di Londra e tutto il tempo del mondo per imparare a fingere che non gliene importasse nulla.

Si alzò e prese il borsone in spalla, il cellulare stretto in mano e le cuffiette nelle orecchie; alzò il volume della musica e salì sul pullman mentre una canzone, in riproduzione casuale, si struggeva sul perché we're all wonderful, wonderful people, so when did we all get so fearful? La canzone finì mentre il pullman eseguiva la manovra per uscire dal parcheggio, ed Harry fu tentato di farla ripartire. Non ne ebbe il tempo, però, perché un ragazzo dall'aria abbastanza trafelata entrò in quel momento dal cancello e si piegò sulle ginocchia per prendere fiato un attimo. Poi cominciò a guardarsi intorno, ed Harry scosse la testa sbalordito: Louis, in pigiama e con l'aria abbastanza sconvolta, aveva appena corso due chilometri per raggiungerlo, appena un secondo prima che il suo pullman uscisse in strada. Ricordò, stranamente, la conversazione che aveva avuto solo un'ora prima con la sorella di Eleanor: “strano, eh,” le aveva detto, in una conversazione che sembrava essere avvenuta millenni prima “come ci si annulli completamente quando si è innamorati di qualcuno”. Ebbe addirittura voglia di mettersi a ridere quando, un secondo dopo, si alzò e chiese all'autista di farlo scendere.

 

***

 

Alla quattro del mattino, Zayn e Charlie erano alle quarta sigaretta e a nemmeno della metà degli argomenti che avevano intenzione di sviscerare. Al tavolo di legno davanti alla casa, chiacchieravano sottovoce ridacchiando, attenti alla porta aperta della camera da letto in cui dormiva la bambina.

- Fumi spesso davanti a Sophie? - stava chiedendo il ragazzo mentre spegneva il mozzicone nel posacenere sul tavolo.

Charlie scosse la testa – no, anzi! A casa non fumo mai, magari una durante il pomeriggio e nemmeno tutti i giorni.

- Ah, allora ti sto portando sulla cattiva strada!

- Credo che sia il posto che mi porti alle vecchie abitudini. Il mio primo tiro l’ho fatto quando avevo tredici anni proprio nella casa dietro questa. Era stata affittata da una famiglia con due figlie, e una aveva la mia età. Era esattamente tutto ciò che spero che mia figlia non diventi mai. - ammise con un sorriso.

- E' così che è cominciato il suo periodo da ragazza cattiva? - chiese allora ridendo Zayn. Charlie scoppiò a ridere, annuendo.

- Non mi piace molto parlare con qualcuno di queste cose.

Zayn annuì – be', vedila così: questa settimana praticamente non esiste nella realtà, ok? Siamo solo io e te, e possiamo dirci tutto quello che ci passa per la testa e fare tutto quello che vogliamo fino a quando non saremo nella stazione di Bristol. - propose senza pensarci, sporgendosi verso la ragazza.

Quella ci pensò su per un secondo, poi disse – volevo che i miei si accorgessero di me. Facevo di tutto perché vedessero anche me. Non è una giustificazione per tutte le cose che ho fatto e tutti i dispiaceri che ho portato, - chiarì, sancendo così il patto – semplicemente mi sembrava normale portare i ragazzi a casa perché loro mi sgridassero, o mettermi contro Eleanor o saltare la scuola o fare tutte le cose stupide che facevo.

- Divertente. Io ero un tipo piuttosto noioso, invece. Giocavo a calcio, avevo una ragazza fissa e litigavo con mia sorella per il bagno. - ammise con una risata il ragazzo.

- Sul serio? I miei ti avrebbero adorato, allora!

Zayn rise – quindi odiano l'amico di tua sorella... Niall?

Charlie annuì, stiracchiandosi – è più o meno il motivo per cui lei adesso sta per sposare Louis, credo.

- Non mi sembra una cosa intelligente. - valutò il giovane.

- No, infatti. La vita però è la sua, e più che dirgli che se la sta rovinando non posso fare. Spero soltanto che se ne accorga prima di sabato.

Zayn si strinse nelle spalle – sarebbe una cosa positiva, almeno i tuoi non avrebbero tempo per litigare con te.

Charlie rise, un po' imbarazzata – già, immagino che solo un evento del genere potrebbe distoglierli dal loro obiettivo. Non ci parliamo da quando sono salita sul treno per Bristol, - aggiunse poi, come se ci stesse riflettendo proprio in quel momento – in realtà non ci parliamo da quando gli ho detto di Sophie. Non l'hanno mai conosciuta e non credo che vorranno farlo sabato.

- So che per te è importante, capisco che sono i tuoi genitori ma... quanto sarebbe ipocrita se la conoscessero adesso? Avrebbero dovuto aiutarti quando eri sola e non avevi idea di come cavartela.

Charlie annuì, ritenendo forse opportuno accendersi un'altra sigaretta – lo so, ma sono comunque i miei genitori.

- Spero che le cose vadano per il meglio, allora. - le augurò con un sorriso Zayn.

- O che Eleanor si comporti per una volta in maniera sconsiderata tanto da non pensarmi minimamente. Ehi, - aggiunse poi, con un sorriso – non sapevo che sapessi dire anche cose carine!

Zayn sbuffò divertito – forse perché non ti sei mai fermata un secondo a conoscermi.

- In base a cosa avrei dovuto farlo? - l'ultima parola della frase si smorzò quando si accorse che il ragazzo le si era improvvisamente avvicinato, tanto da toglierle il fiato.

Sorrise, poi, quando si accorse che lei aveva smesso quasi di respirare – giusto. Allora dovremmo cogliere l'occasione.

Charlie aveva praticamente perso il tema del discorso – per cosa?

- Per conoscerci meglio. - rispose, trattenendo un sorriso.

Le guance della ragazza erano diventate viola per l'imbarazzo, tuttavia riuscì a trovare abbastanza fiato per rispondere: - e poi cosa?

- Niente, ci godiamo questa settimana.

Charlie ebbe voglia di urlare che non poteva fare cose del genere, non nella sua posizione. Tuttavia sorrise, decidendo per la prima volta dopo due anni di seguire solo l'istinto – fino a domenica? E poi tutto come prima?

Zayn non rispose, limitandosi a sorridere prima di baciarla semplicemente sulle labbra. Charlie rispose al bacio, cacciando dalla sua mente l'ultima volta in cui aveva seguito il suo istinto. E la conseguenza che dormiva nel passeggino in camera da letto.

 

*** 

 

Quando Eleanor si svegliò in piena notte e realizzò quello che era successo nelle ore immediatamente precedenti, per prima cosa scoppiò ridere. Era Harry, era sempre stato Harry! E si spiegava il perché Louis non volesse trasferirsi a Manchester, le continue assenze, l'amicizia così stretta con quello strano ragazzo. Il suo fidanzato, che l'aveva messa incinta e stava per sposarla, era beatamente gay e innamorato di un modello complessato con strane tendenze hipster e senza alcun futuro davanti a sé. La vita, rifletté la giovane mentre andava in cucina e prendeva l'acqua e un bicchiere dalla mensola, riservava davvero delle sorprese divertenti a volte. Eppure lei lo sapeva, probabilmente sin dall'inizio. Come quella volta in cui lui era sparito per tre giorni dopo un periodo particolarmente stressante, ed erano comparse foto di un weekend a Venezia sull'account di Harry; o quando lo aveva beccato al cellulare in piena notte e lui si era giustificato dicendo che avevano sbagliato numero. Lei lo sapeva che mentiva e anche piuttosto debolmente, eppure aveva continuato a crederci. E non solo, aveva accettato tutto quello che le diceva, tutte le bugie, le scuse campate in aria all'ultimo minuto sul perché proprio non riuscisse ad andarla a trovare nel fine settimana. Ogni cosa. E la cosa peggiore, pensò controllando fuori dalla finestra che Louis non fosse tornato, era che non gliene importava assolutamente nulla. Se aveva creduto alle sue parole, non aveva indagato sui suoi strani comportamenti, non aveva avuto nulla da ridire sulle sue occupazioni, era perché fondamentalmente lui le serviva. Un po' come alla fine gli era servita.

Quando tornò in camera, Niall dormiva con una mano sotto il cuscino storto il viso seppellito nella stoffa. Eleanor rimase sull'uscio della porta pensando a come fosse riuscita per così tanto tempo a vivere senza la quel ragazzo, la sua chitarra che lo accompagnava ovunque andasse e la risata che si sentiva a chilometri di distanza. Lo amava. Lo amava ed era il suo migliore amico, quello che non le rendeva nulla più facile, che la metteva di fronte alle decisioni scomode senza pentirsi; l'unico che non le permetteva di fuggire i problemi, e invece glieli metteva di fronte e poi stava a lei trovare il modo di uscirne. Quello che la guardava come se fosse la cosa più preziosa del mondo e poi se ne andava dall'altra parte dell'Europa senza apparente motivazione. Il ragazzo più divertente del mondo, il più idiota che l'aveva fatta soffrire per anni e che l'aveva fatta innamorare di lui silenziosamente, con un film dopo la scuola e una nottata per le strade di Manchester mangiando schifezze e parlando di qualsiasi cosa venisse loro in mente. Che la amava, dimostrandoglielo nel modo più doloroso del mondo.

- Ehi. - Niall aprì un occhio e sorrise vedendola a qualche metro di distanza e allungando un braccio verso di lei, nonostante fosse troppo distante per poterla toccare veramente – vieni qui. Eleanor non se lo fece ripetere, in pochi passi raggiunse il letto e si stese di spalle al ragazzo.

- Sono contento. - mormorò lui, posandole un bacio sulla spalla nuda. Eleanor sorrise contro il cuscino, poi si girò rimanendo a qualche millimetro dal suo viso.

Gli diede un bacio, poi un altro: - anche io. - mormorò contro le sue labbra, procurandogli un leggero solletico.

Niall sorrise, poi sospirò – allora perché sei così tesa?

- Oltre tutte le ragioni ovvie, intendi? - sbuffò, un mezzo sorriso aleggiava comunque sulle sue labbra.

Il ragazzo annuì, le posò un altro bacio sulla punta del naso – ne abbiamo passate tante, cosa vuoi che siano un matrimonio programmato e una gravidanza?

Eleanor scoppiò a ridere – non è divertente, Niall, sul serio.

- Lo so, ma potremmo rimandare a domani tutti i conflitti esistenziali e i sensi di colpa?

La ragazza annuì e chiuse gli occhi. Ne riaprì uno un secondo dopo con una smorfia sul bel viso – cosa ti fa credere che io abbia i sensi di colpa?

- Non lo so, io... - cominciò Niall, bloccato un secondo dopo dalla ragazza, che sbuffò.

- Appunto. Non ho fatto nulla che non volessi fare.

Niall annuì – e allora perché l'hai fatto?

- Perché ti amo. - rispose semplicemente Eleanor, poi chiuse gli occhi e tornò a dormire.

 

***

 

La mattina del mercoledì faceva così caldo che alle otto sia Charlie che Zayn, nonostante si fossero ripromessi di dormire per approfittare di quei giorni di vacanza, erano entrambi nella piccola cucina a preparare il caffè – lei – e a cercare di far funzionare il ventilatore – lui -.

- Non è possibile che in questa casa ci sia la vasca idromassaggio e che non funzioni un diamine di ventilatore! - stava borbottando Zayn mentre tentava per l'ennesima volta, a vuoto, a far partire le pale. Niente, anche quella volta dovette accontentarsi di un timido movimento, seguito da un nuovo fallimento. Charlie scosse la testa e gli portò una tazza di caffè nero, che lui bevve avidamente. Non si erano ancora rivolti la parola quel giorno, dal momento che non avevano poi molto da dirsi, soprattutto dopo quella notte. Davanti a tutti facevano la parte della coppietta affiatata, e a Charlie quella storia cominciava a piacere seriamente, nonostante sapesse troppo bene che sarebbe svanita una volta tornati a Bristol. E poi c'era quella questione del bacio e della promessa che si erano fatti, e la paura di Charlie di potersi abituare al buongiorno caloroso del ragazzo e alla sua passione del girare per casa senza maglietta. E poi,nonostante tutto, quella storia cominciava a piacergli. Non che gli altri potessero farci comunque caso, o almeno non Eleanor con tutti i suoi problemi, e nemmeno Louis e quel suo amico complessato che era stato tutto il giorno al lago e che si era confidato con lei. Chissà chi era la ragazza che lo tormentava tanto. Charlie comunque non voleva pensare proprio a nulla, in quel momento, considerandosi abbastanza fortunata perché faceva caldo, era in vacanza, sua figlia miracolosamente se ne stava zitta e buona nel seggiolone e un ragazzo sexy – per quanto strano – gironzolava nella sua cucina. Sì, i piccoli piaceri della vita. Ovviamente Eleanor scelse proprio quell'istante per bussare. Charlie si gettò un'occhiata attorno sentendosi per un attimo in imbarazzo per Zayn che consumava la sua colazione mezzo svestito.

- Potresti mettere una maglietta? - chiese educatamente al ragazzo, mentre andava ad aprire. Quello nemmeno rispose, limitandosi a guardarla come se fosse stata una pazza. Eleanor entrò in casa senza chiedere alcun permesso, poggiando in malo modo un sacchetto di dolci sul tavolo del salottino e fiondandosi da Sophie, che la accolse con un sorriso mezzo sdentato e una vigorosa tirata di capelli.

- Giorno, El. - salutò sua sorella mentre le porgeva una tazza di caffè.

- Siete ancora in pigiama? Andiamo, ragazzi! Andiamo al lago tra mezz'ora. - ricordò la maggiore, voltandosi verso Zayn che si stava sbattendo una mano in fronte. Charlie sbuffò, ricordando che la sera prima lui aveva accettato, sotto proposta di Louis, di trascorrere tutti insieme una giornata al lago per rilassarsi prima del matrimonio. In effetti non ci aveva pensato più di tanto, troppo occupata a conoscere Zayn e a giocare alla quattordicenne che pomicia sul tavolo da picnic. Perché era stata così stupida?

Zayn annuì e poggiò la tazza nel lavello – hai ragione, ce ne eravamo completamente dimenticati. - borbottò, per poi dirigersi nella stanza da letto per cambiarsi.

Eleanor scoppiò a ridere non appena il ragazzo fu fuori dalla porta – be', Charlie, sfido chiunque a non dimenticare le cose mentre uno così ti passeggia per la zona giorno in quelle condizioni! -

- E dai, El! - sbottò rossa di vergogna Charlie, mentre un ricordo un po' sfocato di quella notte si faceva spazio tra i suoi pensieri.

- E dai El cosa? Hai un bronzo di Riace come fidanzato, dovresti passare la vita a vantartelo! - continuò la più grande, mentre Charlie scuoteva la testa sempre più in imbarazzo. Prese la bambina tra le braccia e, non appena il ragazzo uscì con i pantaloncini del costume, una maglietta a maniche corte e una camicia sbottonata con le maniche tirate fino al gomito, Charlie entrò per prepararsi a sua volta.

- Io sono qui fuori, bimba. - annunciò lui mentre metteva in una sacca due teli da mare. Charlie annuì, un po' infastidita da quel nomignolo che proprio non riusciva a mandare giù, e prese un costumino rosa per la bambina. Eleanor, seduta sul bordo del letto a gambe incrociate, gli occhiali da sole da diva tra i capelli sciolti e un sorriso impertinente sul bel viso, la guardava in silenzio mentre preparava tutte cose per la giornata. D'un tratto, non appena ebbe finito di allacciare il costume, Charlie sbuffò e si voltò verso sua sorella. Era da quando erano rimaste sole che lei voleva parlarle, e ormai non riusciva quasi più a trattenersi. E si vedeva.

- Avanti, dimmi.

Eleanor ebbe anche la faccia tosta di sgranare gli occhi stupita – cosa?

- El? - la richiamò, stavolta più gentilmente, Charlie. La maggiore scoppiò a ridere e si accomodò meglio sul lettone, agitandosi per estrarre dalla tasca un portasigarette da dieci e l'accendino.

- Non dovresti fumare in gravidanza...

L'altra sbuffò una nuvola di fumo – sono incinta da dieci minuti, non c'è nulla di consistente a cui poter nuocere. - Charlie sbuffò e aprì la portafinestra che dava sul giardino per far uscire il fumo. Zayn, che stava seduto al tavolo di legno con un libro tra le mani, rivolse un attimo l'attenzione alle ragazze, prima che Sophie uscisse a sua volta sulle gambe incerte.

- Ti dirò, quest'aria da paparino sexy gli si addice molto. - valutò Eleanor, guardando il ragazzo che prendeva la bambina tra le braccia un secondo prima che questa cadesse col sedere per terra.

Charlie sbuffò, sempre più imbarazzata – Non è questo il punto, El. Che cosa vuoi dirmi?

L'altra finì di fumare in silenzio, poi spense il mozzicone in un bicchiere che stava sul comodino e poggiò i gomiti sulle cosce – fondamentalmente due cose – cominciò – numero uno: sono contenta che tu sia qui, e che hai deciso di affrontare mamma e papà e gli zii e tutto il resto. E sono contenta che abbia portato Zayn; sembra un bravo ragazzo e te la meriti, un po' di sicurezza. -

Charlie sorrise – perché non eri così carina quando vivevamo sotto lo stesso tetto? - chiese, col solo fine di beccarsi una cuscinata in pieno viso.

- Non interrompermi, sono lanciata. Inoltre – continuò, mentre ancora sua sorella rideva – ho parlato con Louis, ieri sera. - il tono della ragazza divenne improvvisamente serio.

- Riguardo cosa?

- Cose. - si limitò a rispondere Eleanor – e poi sono andata a letto con Niall.

Charlie rimase in silenzio, mentre cercava di digerire la nuova notizia; Eleanor nel frattempo si era alzata, e camminava avanti e indietro per la stanza. Alla fine Charlie si alzò e prese la borsa da mare piena di tutto ciò che potesse servire a Sophie durante il giorno.

- Eleanor... - fu il solo sospiro che emise la ragazza, mentre abbracciava sua sorella. L'altra la strinse forte, soffocando un singhiozzo.

- Lo odio, Charlie... non poteva restarsene in Spagna? - mormorò contro la sua spalla – doveva essere il mio testimone, ci tenevo così tanto che fosse presente il giorno più importante della mia vita...

Charlie continuò ad accarezzarle la schiena in silenzio, lasciandola sfogare. Poi, dopo qualche minuto, Zayn entrò un po' imbarazzato dalla porta finestra e si schiarì educatamente la voce.

- Gli altri sono pronti e in macchina. Aspettano solo noi.

Eleanor e Charlie si staccarono, la più grande si asciugò gli occhi e sorrise al nuovo venuto, che aveva in braccio la bambina.

- Veniamo subito, Zayn. - disse con un sorriso Charlie, che poi prese le chiavi e si assicurò che tutte le porte fossero chiuse. Infine, quando tutti si furono accomodati fuori, chiuse la portafinestra e sospirò contro il vetro trasparente chiedendo che qualcuno, chiunque fosse, le desse la forza di affrontare quella giornata.

 

***

 

Ok, siamo in dirittura d'arrivo e già sto male! Buongiorno, popolo di EFP! Dopo due simulazioni della terza prova, tre One shot (che quasi non ho il coraggio di pubblicare), la vita reale e tutto il resto, torno su questi lidi con quello che, probabilmente, è il capitolo più breve della storia!

Grazie mille per le nove recensioni e per tutte le persone che inseriscono la storia (o me "xD) nelle preferite/seguite/ricordate! E stiamo a dire sempre le stesse cose?! Oh, yes, grazie grazie grazie! Mi scuso in anticipo per l'editing fatto coi piedi (io già non lo so fare, quel minimo poi lo trascuro anche... lasciatemi stare!) ma spero che apprezzerete comunque l'impegno di cercare di postare! 

 

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Capitolo 7
*** Sette ***


#7

 

 

 

Mentre Eleanor toglieva la canotta corallo e i pantaloncini di jeans, Niall pensò che fosse un grandissimo stupido. Davvero, in tutta la sua vita, poteva mai aspettarsi che una così potesse innamorarsi di lui? Aveva un fisico perfetto, era alta, i capelli scuri che aveva lasciato sciolti e fermati da un frontino in tinta col bikini; e poi era intelligente, spiritosa, arguta. Niall si gettò per un istante nello sconforto, ma poi lei gli sorrise, e tutto tornò a splendere. Louis e Harry, seduti l'uno accanto all'altro su un telo da mare, si godevano la brezza del lago senza rivolgersi la parola. In realtà, nelle ore in cui aveva avuto a che fare con Harry, Niall si accorse che raramente il londinese si era preso il disturbo di pronunciare più di un paio di parole di cortesia e mai aveva iniziato un discorso, quella mattina a colazione o poco più tardi in auto. Intanto il nuovo venuto aveva preso un telo e si era allontanato dal resto del gruppo, stendendosi quasi a riva con gli auricolari dell'iPod nelle orecchie e Niall si guardò intorno: Charlie, sbarazzina nel suo costume a pois gialli, teneva d'occhio sua figlia che giocava poco distante, Eleanor faceva un bagno di sole, anche se si vedeva che stava beatamente dormendo e Louis e Zayn fumavano tranquillamente una sigaretta sotto l'ombrellone, chiacchierando pigramente. Gli piaceva quella compagnia e, per quanto detestasse cordialmente Louis, si rendeva conto di che bravo ragazzo fosse: attento a ogni bisogno della sua fidanzata, premuroso e sempre sorridente, con gli occhi azzurri e l'accento della provincia che rendeva buffo tutto ciò che diceva. Praticamente era come Ken, ma più vivo e più problematico di lui; non gli sfuggivano le occhiate che continuava a rivolgere al suo migliore amico, e per un secondo si chiese quale segreto nascondessero quei due. In fondo l'improvvisa comparsa dello scontroso londinese non era del tutto passata sotto silenzio, e anche il taciturno Zayn, la sera precedente dopo cena, aveva avanzato delle perplessità circa il nuovo venuto. Niall però aveva altro a cui pensare, come al modo di sabotare delle nozze – per quanto l'essere rimasto solo con lei fosse stata una mossa azzeccata – e convincere la ragazza che amava che la meritava più di Louis. In quel preciso momento, però, la necessità primaria era rappresentata dal bisogno di nicotina, e così si avvicinò agli altri ragazzi.

- Andiamo, nemmeno zio Zayn? - stava ridendo Louis, mentre Zayn continuava a fumare senza guardarlo in faccia. Era strano vedere come due ragazzi che sembrano non avere assolutamente nulla in comune – bastava pensare alla logorrea di Louis e alla riservatezza di Zayn – andassero poi così d'accordo.

Zayn sbuffò, – mi stai mettendo in imbarazzo, amico. Nemmeno zio. - a quanto pare, considerò l'irlandese mentre faceva scattare il meccanismo dell'accendino, l'argomento di conversazione era la piccola Sophie, e Louis ne stava approfittando per prendere bonariamente in giro l'altro ragazzo. Rimase in silenzio lì vicino a fumare, godendosi la vista della schiena nuda di Eleanor a pochi centimetri di distanza. Pensò che avrebbe potuto accarezzarla, ma subito cambiò idea e rivolse l'attenzione ai due accanto a sé.

- Ma lei vuole che sua figlia ti chiami papà? Andiamo, siete una coppia stabile, no? - Louis intanto insisteva con un tatto che avrebbe fatto saltare di gioia un elefante, e Zayn cercava con sempre meno forza di evitare di scoppiare a ridere. Niall non aveva mai speso troppa attenzione con il timido compagno della piccola Charlie, un po' perché non ce ne era stato mai il tempo necessario e un po' perché difficilmente era solito stare attento a tipi così tranquilli e taciturni. Anche in quel momento, per esempio, Zayn seguiva Charlie e Sophie con lo sguardo mentre finiva di fumare e si liberava del filtro; era esattamente l'immagine della tranquillità: un uomo innamorato – perché non poteva che essere innamorato il suo sguardo che non si muoveva dal bagnasciuga – che viveva tranquillamente con la donna che amava. Solo Charlie, in quel perfetto connubio, sembrava stonare. Difficilmente si avvicinava al ragazzo di sua iniziativa, e la maggior parte delle volte che lui la toccava arrossiva o si voltava di scatto, come se il tocco del giovane la sorprendesse ogni volta. Ad ogni modo, rifletté Niall mentre a sua volta finiva di fumare e schiacciava il filtro nel posacenere, lui sembrava pronto a fare qualsiasi cosa per lei, e questo era abbastanza.

- Andiamo, non dire che non ti piacerebbe che lei ti chiamasse papà! - continuò Louis.

Zayn sbuffò con un sorriso – stiamo cercando di andare con calma e Sophie è molto piccola. Non ci abbiamo mai pensato.

Niall scoppiò a ridere – non hai risposto alla domanda, amico! - esclamò inserendosi nel discorso per la prima volta. Zayn gli stava relativamente simpatico, quindi non si pentì dell'intervento. Il povero malcapitato, invece, cominciò a guardarsi intorno con l'aria di un cane braccato, e fu ben contento di correre verso la bambina che era caduta col sedere per terra non appena ne ebbe l'occasione.

- Oh, si! Corri corri, paparino! - continuò a ridere Louis, mentre per ultimo finiva la sua sigaretta e si guardava intorno, come alla ricerca di qualcuno; – hai visto Harry? - chiese infatti a Niall pochi secondi dopo, quando notò che il telo era sparito dal bagnasciuga e il ragazzo con esso. Niall fece segno di no con la testa, poi prese a sua volta un telo dalla sacca e due Corona, e andò a raggiungere Eleanor che arrostiva al sole. Quando si diede un'occhiata intorno, mentre si stendeva accanto al corpo perfetto della ragazza, si accorse che Louis era sparito a sua volta e non riuscì a reprimere un sorriso. Eleanor, invece, aprì un occhio e non appena lo mise a fuoco si alzò a sedere abbastanza spaventata. Non avevano più parlato, dopo la sera precedente, e sicuramente un posto affollato da amici e parenti non era l'ideale.

- Dovresti mettere la crema solare sulla schiena. - disse Niall con un sorriso

- E tu dovresti allontanarti da qui, Niall. Sul serio, non voglio rendere le cose ancora più difficili.

Il biondo sorrise, senza tuttavia allontanarsi dalla sua postazione nemmeno di un millimetro – non dicevi così, ieri sera.

- Non mi hai dato modo di farlo. - fu la risposta piccata della ragazza, che poi si ristese col la schiena al sole e voltò la testa verso il lago.

Niall si guardò per la seconda volta intorno, poi si chinò fino a raggiungere l'orecchio di Eleanor – non mi è sembrato un atto non consenziente. - le fece notare, ridendo sottovoce.

La ragazza si voltò verso di lui, dimenticando per un istante la paura di essere vista – ero sconvolta.

- Bugiarda.

- Approfittatore.

Niall represse un mezzo sorriso, – è così difficile ammettere che volevi stare con me?

Eleanor socchiuse gli occhi, – sì.

- E per quale motivo?

- Te ne serve ancora un altro oltre tutti quelli già noti? - non si riusciva a capire se il tono fosse sarcastico, ma Niall scosse la testa e disteso accanto a lei sul suo telo. Rimasero in silenzio per un po', poi Eleanor disse: - devi andartene, Niall.

- Va bene, se vieni con me.

La ragazza scoppiò a ridere, forse tentata sul serio da quella proposta, – e allora cosa dovremmo fare?

- La prima volta che abbiamo parlato, quando ancora ero in Spagna, - rispose in un sussurro Niall – mi dicesti che non avevo coraggio perché preferivo fuggire le scelte difficili, preferendo partire e lasciarmi tutto alle spalle. Ora sto provando a non avere paura; ma devi provarci anche tu.

Eleanor guardò fissa il ragazzo che le stava di fronte, probabilmente già intuendo quello che stava per chiederle – paura di... far cosa? - si arrischiò lo stesso a chiedergli, però.

Niall sospirò prima di rispondere, come se avesse bisogno di quante più energie possibile. Poi disse solo: - annulla il matrimonio.

*** 


Il problema di quella giornata praticamente perfetta stava soprattutto in Louis. Non aveva praticamente ricolto la parola ad Eleanor e scattava persino se Zayn, seduto al suo fianco, lo chiamava per chiedergli se volesse della birra. Continuava a guardare Harry che, ormai tranquillo, sorrideva a Charlie e a sua figlia mentre mangiava un pezzo di pane. Gli piaceva vederlo così, senza nessun pensiero; in effetti non ricordava nemmeno l'ultima volta in cui lo aveva visto così tranquillo, dal momento che anche quando erano solo loro due, da soli, Harry era sempre teso e gli sembrava impossibile invece che in quel momento fosse lì, in costume con dei perfetti estranei a mangiare panini stesi al sole scherzando e sorridendo come se non avesse un problema al mondo. Era felice anche lui, si rese conto Louis, semplicemente sapendo che Harry era felice. Forse era quello che significava essere innamorati, anche se lo aveva capito quasi troppo tardi. Come poteva non pensare alla sua famiglia, agli invitati del matrimonio, ad Eleanor e a tutto il resto, quando c'era il ragazzo che amava a qualche metro da lui che finalmente rideva e alzava lo sguardo e gli diceva – non vuoi un altro panino, Lou? - con voce limpida e con sguardo innamorato? Come aveva fatto Louis, poi, a vivere fino a quel momento senza quello sguardo addosso?

- Louis? Lou? - Eleanor gli stava sventolando una mano davanti al viso, richiamando rumorosamente la sua attenzione.

- Ella, dimmi.

- E' il tuo cellulare, sta squillando. - gli fece presente lei, indicandogli il telefono che effettivamente vibrava e lampeggiava una molto poco promettente foto di sua madre. Lanciò uno sguardo ad Harry, che proprio in quel momento lo stava guardando; in un secondo entrambi erano in piedi e il più grande stava sfiorando lo schermo per aprire la telefonata. Harry senza parlare si allontanò dalla comitiva che continuava a chiacchierare, e Louis lo seguì verso le scale di pietra che portavano al parcheggio.

- Mamma?

Dall'altra parte del telefono ci fu rumore per un paio di secondi, poi il ragazzo riuscì a scandire la voce di sua madre che lo salutava con un allegro – e meno male che almeno io ogni tanto mi ricordo della tua esistenza, figlio degenerato che non sei altro! - Louis rise a quelle parole, rendendosi conto che effettivamente negli ultimi tempi, tra tutti i problemi e il lavoro, non aveva avuto tempo per telefonare a casa nonostante sentisse ogni tanto per sms la sua sorellina adolescente.

- Andiamo mamma, vuoi sul serio rovinare una bella conversazione madre-figlio? - chiese ridendo.

- E cosa ti dice che sarà una bella conversazione madre-figlio?

- Il fatto che stia parlando con la mamma migliore del mondo...? - tentò il ragazzo, guadagnandosi un “ruffiano!” dall'altra parte della cornetta. Poi continuò – come state a casa? Le gemelle?

- Benissimo, potrai vederlo da te Sabato. Mi dispiace che non possiamo venire prima ma sai, tra il lavoro di tuo padre e la scuola...

Louis deglutì abbastanza spaventato, tanto da guadagnarsi un'occhiata preoccupata da parte di Harry; - ah, sì. Il matrimonio. Mamma io... - cominciò abbastanza incerto, bloccandosi poi a metà della frase non sapendo bene come continuare. Certo era che Eleanor, a quel punto, non l'avrebbe più sposata. E nemmeno lei avrebbe mai accettato di presentarsi in abito bianco davanti all'altare, non se il suo futuro marito era corso dietro a un altro ragazzo per proclamargli il suo amore. A proposito, pensò per un istante, doveva ancora trovare un modo per parlare con Eleanor, anche se sarebbe stata solo una chiacchierata pro forma.

- Lou? - sua madre richiese la sua attenzione, Louis guardò il suo ragazzo allarmato, il quale decise appena in tempo di prendere in mano la situazione – Jay?

Il tono della donna fu abbastanza sorpreso quando rispose un – Harry, caro? Sei tu? - non troppo convinto.

- Sì, io... Louis mi ha detto che era lei al telefono, volevo salutarla. - imbastendo la prima scusa che gli venne in mente, Harry si guadagnò uno sguardo grato dell'altro ragazzo, che poi gli fece cenno di continuare.

- Meno male che almeno tu sei educato, mica come Louis! Come stai? Tua madre?

Harry per poco non scoppiò a ridere, rispondendo tuttavia – Cerco di insegnargli l'educazione, signora, ma è un caso perso in partenza! Mia madre sta benissimo, comunque, la ringrazio. Ci vedremo tutti sabato, vero?

Jay scoppiò a ridere – Suppongo di sì. Saluta tutti, mi ripassi Louis?

Il diretto interessato, che nella tragedia che si stava consumando aveva anche trovato il tempo per mettere il broncio per le parole del suo ragazzo, cominciò a scuotere freneticamente la testa facendo anche ampi segni di diniego con le braccia (e buona parte del corpo, anche) quando Harry borbottò un incerto – Che le ripassi Louis, dice? -

- No, Harry. No! - mormorò quasi senza emettere suono il più (solo anagraficamente) grande. L'altro, sebbene tentando per un secondo di metterlo in difficoltà solo per il gusto di vederlo contrariato, decise all'ultimo secondo di schiarirsi la voce, dicendo solo – mi dispiace, Jay, ma è tornato al lago. E' una giornata bellissima, è in acqua a fare il bagno. Ti faccio richiamare, comunque, eh? Va bene, saluta le gemelle, e anche l'altra. E quell’altra ancora. Te lo ha mai detto nessuno che hai fatto decisamente troppi figli? Ciao! - e mise giù, senza dare l'opportunità alla donna di risponde. O anche solo capirci qualcosa.

Louis, a un passo di distanza da lui, incrociò le braccia al petto abbastanza arrabbiato – ti pare il modo? - chiese retoricamente, anche se si vedeva che stava trattenendo una risata – ha fatto troppi figli, dici? - aggiunse poi, avvicinandosi pericolosamente all'altro ragazzo, che sorrideva col cellulare in mano e i capelli sconvolti come sempre.

- Decisamente troppi. - confermò quello, mentre Louis si avvicinava annullando le distanze tra loro. Fu quando i petti si sfiorarono, che Harry aprì la bocca e disse – il primogenito se lo poteva anche risparmiare. - con un sorriso talmente innocente e talmente falso che fece ridere il suo ragazzo.

- Lo credo anche io, visto che deve passare l'esistenza a combattere con un tipo impossibile come te. - lo disse con un tono scocciato mentre gli passava le braccia intorno alla vita.

Harry scoppiò a ridere, - addirittura l'esistenza! Non ci staremo sbilanciando un po' troppo? - chiese fintamente ingenuo, posandogli le braccia intorno al collo per accarezzargli i ciuffi più scuri con la punta delle dita.

Louis colse la provocazione in quelle parole, tuttavia rispose – solo se vuoi che mi sbilanci. - mentre faceva aderire il bacino contro quello dell'altro, mozzandogli il respiro per un secondo.

- Mi piace quando ti sbilanci così. - e questo Harry glielo sussurrò all'orecchio, con un sorriso sul volto e il suo odore che gli faceva girare la testa. Quante volte lo aveva sentito? Eppure lo faceva ancora impazzire.

Louis rise,avvicinandosi maggiormente al più piccolo. Erano vicini, molto vicini, ma quando si scambiarono un bacio sembrò che persino le loro pelli fossero l'impiccio. Si poteva essere tanto vicini ad una persona e non averne comunque abbastanza? Louis pensava di no, ma in quel momento, abbracciando più forte Harry, fino quasi a fargli male, dovette ricredersi. In quell'abbraccio ci mise tutte le sue mancanze, tutte le volte in cui non c'era stato. In quel bacio ci mise tutte le loro liti, tutte le parole che aveva detto e quelle che non aveva avuto mai il coraggio di pronunciare. Ed Harry ci mise tutto il perdono, tutta la devozione e tutto l'amore che troppe volte non aveva potuto dimostrargli. Ci mise ogni singola volta in cui lo aveva forzato, ogni singola lacrima che aveva versato per lui e per loro. Quel bacio era peccato e redenzione; era il ricordo di tutto quello che erano stati, la promessa di tutto quello che avevano intenzione di diventare. Una sola persona, un abbraccio stretto come quello in cui si stavano stringendo in quel momento. La fine e l'inizio di tutte le cose.

- Mi dispiace così tanto. - mormorò Louis senza staccare le labbra da quelle di Harry.

- Lo hai già detto stanotte. Tante volte. - gli ricordò l'altro. Ed era vero, aveva pianto e lo aveva baciato e si era scusato non ricordava nemmeno quante volte. Ed Harry lo aveva accolto, lo aveva cullato; lo aveva perdonato.

Louis scosse la testa, – non sono abbastanza.

- In tal caso abbiamo un sacco di tempo davanti a noi. - rispose con un mezzo sorriso il più piccolo, tornando poi a baciarlo. Louis annuì, e poi di nuovo nulla tornò ad avere importante al di fuori della pelle di Harry, delle sue mani e delle sue labbra.

- No pulce! Non puoi andare da quella parte! - fu la voce di Zayn ad interromperli, costringendoli a dividersi con un gemito.

- Oh guarda – disse con la voce roca Harry – la bambina di Zayn e Charlie! -. Harry adorava i bambini, era il genere di ragazzo che poteva guardare Palyhouse Disney per ore canticchiando le canzoncine con in braccio un numero sconsiderato di neonati per il puro gusto di farlo. Prese in braccio la bambina, che si era avventurata nel parcheggio ed andò incontro al ragazzo che stava arrivando in quel momento correndo, in costume e senza ciabatte.

- Perso qualcosa? - chiese con un sorriso a Zayn, che scosse la testa e si passò una mano tra i capelli.

- Dicono che sia l'età in cui sono curiosi e vogliono scoprire le cose. Dico io, proprio quando tocca a me tenerla d'occhio deve giocare a fare Indiana Jones? - borbottò abbastanza contrariato, sorridendo tuttavia alla bambina tutta presa dai capelli di Harry.

Harry si limitò a ridacchiare imitato da Louis che era rimasto un passi indietro, poi i tre tornarono verso gli altri ragazzi, trovando Niall placidamente addormentato sullo stesso telo su cui Eleanor, a gambe incrociate e con una sigaretta tra le labbra, giocava a carte con sua sorella. Charlie diede un'occhiata a sua figlia e ritenendo fosse in mani più o meno sicure tornò a concentrarsi sulla partita.

Zayn si stese sul telo della ragazza, con la testa al riparo dal sole e il naso praticamente infossato nella sua schiena bianchissima. Charlie si irrigidì un istante, poi sorrise scartando un re di picche.

- Harry non preoccuparti per Sophie, se vuoi la tengo io. - Charlie guardò il londinese apprensiva, nonostante tutto quello si limitò a scuotere la testa e si sedette all'ombra con la bambina tra le braccia. Louis, rimasto praticamente solo come un idiota in mezzo al groviglio di teli mare e borse da spiaggia, prese la saggia decisione di recuperare un po' del sonno che aveva perso quella notte e si mise steso sul suo telo all'ombra, lo sguardo al suo ragazzo che faceva smorfie e cantava canzoncine per far ridere la bambina. Sorrise, un secondo prima di addormentarsi.

***


C’era qualcosa, nell’aria inglese, che faceva venire voglia a Liam di scoppiare a ridere. Probabilmente stava nell’umidità, sicuramente c’entrava qualcosa con le nuvole che minacciavano pioggia un minuto si e l’altro anche. Persino lo smog che usciva dagli scarichi delle auto lo metteva di buon umore. Non tornava a casa da quasi due anni e la verità era che gli era mancata incredibilmente.

- Papà? - Tommaso aveva i capelli chiarissimi come i suoi e gli occhi grigi. Da chi li avesse presi risultava tutt’ora un mistero, ma l’espressione sempre malinconica che gli davano lo rendevano adorabile.

- Cosa?

Il bambino gli tirava la stoffa del jeans con la mano libera, dal momento che Liam lo teneva stretto a sé da quando erano atterrati.

- Ho fame, perché non mangiamo? – Liam annuì, sospirando. Aveva decisamente troppe valige, una giacca per sé e una per suo figlio, il cellulare che squillava nella tasca, Tommaso che lo tirava verso il primo punto ristoro al ritiro bagagli.

- Devi avere un po’ di pazienza, va bene? – gli parlava in italiano, perché lui l’inglese non lo capiva tanto bene, e cercando di stare calmo. Alla fine riuscì a recuperare il trolley, a fissarci sopra il borsone di cuoio che aveva usato come bagaglio a mano, a mettere la giacca di jeans a suo figlio e nascondere il suo maglione in valigia. Prese il telefono e notò le due chiamate perse, mentre accompagnava Tommaso a prendere qualcosa da mangiare.

- Lou.

Louis, dall’altra parte, sospirò. – Meno male, Liam! Sono due ore che ti chiamo! – Liam sbuffò una risata al tono dell’amico mentre indicava all’impiegato le ciambelle da mettere in busta – sei atterrato?

- Sto per prendere il treno. Vieni tu a prendermi?

Dall’altra parte sentì qualcuno che rideva, poi Louis disse: - Certo. Avvisami quando ti manca una stazione così parto.

- Va bene.

- Bea è con te?

Liam, fermo poco distante dall’aria fumatori, si passò una mano tra i capelli. Tommaso si guardava intorno interessato dallo strano accento che sembrano avere tutti, lì, e prestava poca attenzione a suo padre, che poté così rispondere – No, ma lo sapevo già – senza essere sentito.

- Merda.

Liam, tuttavia, non riuscì a soffocare una risata. Louis era l’unico ad essergli rimasto vicino quando aveva accettato il lavoro in Italia, il suo testimone di matrimonio, l’unico vero amico che gli rimaneva dalla giovinezza.

- Non è così grave. Non l’ho fatta funzionare. – Liam avvistò il tram, afferrò senza troppi complimenti una mano di suo figlio e incastrò il telefono tra guancia e spalla per poter prendere anche le valige; - sono stato uno stupido e l’ho persa. – continuò. Trovò un posto a sedere, fece accomodare Tommaso e lasciò il trolley.

- Non è troppo tardi, Liam. Puoi riprendertela, ancora.

- Non credo, ma grazie lo stesso. – di nuovo ci fu una risata dall’altra parte della cornetta – Louis, ma dove sei?

La risposta non arrivò immediatamente. La voce di Harry Styles mentre diceva “dai, amore, smettila!2 seguita da quella del suo migliore amico che rideva arrivò indistintamente all’orecchio di Liam. Poi Louis rispose, ansimando – abbiamo appena finito in spiaggia, veramente.

- E c’è qualcosa che devi dirmi?

Sentì Louis sospirare, poi disse solo – le cose hanno presa una piega inaspettata.

E Liam, di tutto cuore, non riuscì a fare a meno di sorridere. – Quella giusta, mi auguro.

***


- Se vuoi posso cucinare io, stasera. – Harry si era avvicinato ad Eleanor con un sorriso che era tutto fossette e che faceva ben capire il perché lavorasse come modello. Be’, oltre al corpo statuario.

Si ritrovò ad annuire senza nemmeno rendersene conto, un sottile velo di imbarazzo era sceso tra loro ma nessuno dei due aveva voglia di aprire la bocca. Fu Louis, stranamente, a risolvere la situazione.

- Potremmo andare noi a fare la spesa, se fai la lista. – guardava Harry col sorriso sul volto che non riusciva a mascherare l’agitazione, eppure era lì, a cercare di mettere a posto le cose.

Le parlerà, si ritrovò a realizzare Harry. Le parlerà, finalmente.

Annuì e si sedette al tavolo della cucina, Charlie entrò in quel momento e si avvicinò al piano cottura già vestita e con i capelli umidi legati in una treccia disordinata come sempre. Harry scribacchiò pochi ingredienti, si alzò per controllare in dispensa che ci fossero almeno la farina, il sale e le fragole, tornò a scrivere qualche altra cosa e passò il foglio ad Eleanor.

Fu solo quando furono entrambi in auto, da soli, lei si permise a guardarlo in faccia.

- Come lo hai capito?

Louis capì subito a cos si riferisse, mise in moto l’auto e strinse le mani al volante; - avevo quattro anni, andavo all’asilo. Un giorno mia zia continuava a chiedermi se avessi la fidanzatina e io non volevo risponder perché mi vergognavo da morire. – fece una pausa, sorrise amaro – che stupido che ero, mi vergognavo perché non volevo dire il suo nome. Ero così ingenuo.

Eleanor prese un respiro profondo, - perché, qual’era il suo nome, Louis?

- Andrew. Era il mio compagno di banco.

Rimasero in silenzio per un po’, allora, Eleanor si mordeva un labbro guardando fuori dal finestrino mentre Louis raggiungeva il supermercato più vicino e parcheggiava l’auto.

- Ed Harry?

Fu il turno di Louis, di sospirare. Sorrideva, comunque, e non riusciva ad impedirselo. – Ho combattuto contro me stesso per tutta la vita. Avevo un piano perfetto: conoscere una donna, uscirci insieme, sposarla, avere dei figli. Harry non era calcolato.

- Ma?

- Ma è entrato nella mia vita. Lui è un bambino, Ella, è il mio bambino. – si fermò un attimo, le guance rosse per l’imbarazzo e lo sguardo basso – devo tagliargli la bistecca e sbucciare la mela. Non riesce a dormire se c’è anche uno spiraglio di luce nella camera, indossa sempre gli occhiali da sole perché se no gli lacrimano gli occhi. Lui è… non mi fa sentire speciale, perché non è speciale che voglio sentirmi. Mi fa sentire amato, se mi guarda allora ho un senso, perché se una persona come lui ti sorride allora sai che non sei completamente sbagliato.

Eleanor rimase in silenzio, le braccia incrociate intorno al busto e gli occhi lucidi; - sono andata a letto con Niall.

Louis annuì soltanto, nemmeno lei la guardava. Sospirò, tolse gli occhiali da sole e li mise a posto in modo che penzolassero dalla t-shirt: - cosa facciamo adesso?

- Non lo so, ma ho paura.

E Louis, semplicemente, abbracciò Eleanor forte, con il mento sulla sua testa e le lacrime sulla maglietta. Non gli importava, però, perché amava davvero quella ragazza e lo avrebbe fatto nonostante tutto.

- Dobbiamo annullare il matrimonio.

Eleanor annuì, il naso contro la stoffa ruvida di Louis, - mia madre mi ucciderà. Louis… - fece una pausa, si asciugò una lacrima – come facciamo con il bambino?

- Ce la faremo in qualche modo, va bene? – le prese le spalle minute, la guardò negli occhi tentando addirittura di sorriderle. – Ella, io ti amo davvero, nonostante Harry e Niall e tutte le gravidanze di questo mondo. E noi ce la faremo insieme.

Eleanor rispose al sorriso, lo abbracciò di nuovo, - sei il mio migliore amico, Louis.

- E tu la mia.

***

  

Liam vide Louis immediatamente. Stringeva la mano di Harry come se ne dipendesse la sua vita e gli faceva contemporaneamente ampi cenni. Non poté fare a meno di sorridere, vedendo come era felice. Era quello che significa essere innamorati?

Pensò per un attimo a Bea, a tutte le volte che era stato lontano, a tutte quelle in cui i regali non erano stati abbastanza. O forse era lui, a non ritenersi abbastanza?

- Zio Lou! – Tommaso sciolse la presa della sua mano e cominciò a correre verso l’uomo, che si era abbassato sulle ginocchia per prenderlo. Non riuscì nemmeno ad arrabbiarsi con suo figlio, dal momento che era già tra le braccia del suo padrino di battesimo.

- Tommy quante volte devo…

Louis rise, interrompendolo – Eddai, Liam! Neanche sei arrivato e già fai il pesante! – lo prese in giro.

Harry rimase in silenzio, accennando soltanto un sorriso timido ai nuovi venuti. Liam considerò che era davvero bellissimo, e guardava Louis con l’amore negli occhi. E questo, comunque, era abbastanza.

 

***

 

Il ragionamento, in un modo o nell'altro, è stato: prima o poi dovrò aggiornare, perché non farlo adesso con un scco da sudiare, la casa in disordine, i miei via e un mal di testa martellante? Così ecco il capitolo! Grazie mille per le recensione e per le bellissime parole che continuano ad arrivarmi un po' a casaccio da web, non sapete quanto piacere possa farmi! Perdonate, intanto, anche gli eventuali errori, ma ho i pallini davanti agli occhi e quindi in caso fatemi notare e sistemerò tutto!
Alla prossima! ♥ 

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