È tempo.

di LuceBre
(/viewuser.php?uid=198878)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo. ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo. ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo. ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo. ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo. ***


Primo capitolo.


Camminava disperata per la camera.
Erano due settimane che aveva il pensiero fisso su come mascherarsi per Carnevale, ma ancora non era riuscita a trovare niente.
Le avevano anche fatto varie proposte.
Nuvola? No, troppo complicato. Non avrebbe saputo neppure da dove partire.
Sole? Bell'idea, ma dove li trovava un paio di pantaloni gialli?
Girasole? Troppo simile all'albero dell'anno prima.
Sirena? Non sarebbe andata a fare la sirena con dei pirati. Troppo poco alternativo.
Aveva bisogno di qualcosa di particolare, di qualcosa a cui nessuno aveva mai pensato.
Originale e alternativo.
Aveva stressato amici e parenti, ma ci teneva troppo.
Ci teneva a vestirsi con un costume.
Ritornava bambina e con la mente volava a quando si vestiva da pagliaccio insieme a suo papà.
Forse era la festa che sentiva di più.
E la cosa la divertiva. Aveva 18 anni e non si sentiva per nulla ridicola.
Le piaceva.
 - Fratello, caro dolce e amorevole fratello.
 - No, non so come potresti vestirti a Carnevale. Hai rotto le palle.
 - Simpatia portami via. E se magari non avessi voluto chiederti questo? Ora mi meriterei delle scuse.
Lui la guardò male sapendo che mentiva.
Sapevano quando l'altro stava mentendo. Sapevano quando l'altro stava male. Quando era felice. O semplicemente sapevano quando l'uno aveva bisogno dell'altro.
Sembravano quasi telepatici perchè spesso riuscivano ad anticipare le mosse dell'altro.
Secondo loro il motivo di questo era non dovuto al fatto che fossero gemelli, ma al fatto che erano stati in punto di morte. Insieme.
Avevano rischiato di rimanere bloccati durante il crollo di una vecchia casa disabitata. Fortunatamente erano riusciti a scappare. Ma ciò lì aveva legati. Per sempre.
Un banale esempio.
Era un normalissima sera d'estate. Erano in vacanza al mare.
Era l'anno precedente ed era la loro prima vacanza da soli.
Avevano pregato i genitori per mesi affinché permettessero loro di andare per una settimana a Jesolo.
Non era nulla di particolare, ma erano fieri di se stessi perché si erano pagati quasi tutto.
I soldi li avevano guadagnati facendo i baby-sitters o lavoretti simili. E avevano utilizzato anche quasi tutti i lori risparmi.
Erano riusciti a farcela con le loro forze e forse è per questo che sembrava la migliore vacanza inimmaginabile.
Perché se l'erano guadagnata.
Successe che conobbero parecchi ragazzi. Trascorrevano il pomeriggio insieme in spiaggia e capitava che si incontrassero anche la sera.
Nella compagnia c'era un ragazzo. Leonardo. Aveva un anno in più di Anna e Nicola, i due fratelli.
Tra lui ed Anna ci fu subito un intesa particolare.
Lei non si sentiva in soggezione a parlare con lui, al contrario di ciò che succedeva con quasi tutti gli altri estranei, e lui la trattava con una dolcezza infinita e come se la conoscesse da sempre.
Il loro rapporto era simile a quello dei gemelli, solo in versione ridotta, molto molto ridotta.
L'ultima sera però tra loro ci fu qualcosa di diverso.
La serata procedette così.
An e Nic si incontrarono verso le 22 di fronte al loro albergo con gli altri.
L'idea era quella di andare in qualche bar, pub, ma si ritrovarono in riva al mare con quasi una bottiglia di vodka a testa in mano.
La serata era degenerata. Letteralmente.
An aveva bevuto quel tanto che bastava per essere brilla.
Nic aveva fatto qualche sorso ma stava bene.
Leonardo era ubriaco. Ma non da star male. Si stava semplicemente divertendo.
Tutti gli altri invece erano andati. Non ne era rimasto uno di sano.
Si stavano divertendo.
Bevevano. Parlavano. Ridevano. E ribevavano.
Ogni tanto si fermavano e si sedevano per terra sulla sabbia per continuare a parlare in assoluta tranquillità.
Accadde che una volta, mentre il gruppo aveva deciso di non continuare, An e Leo non accorgendosi degli altri camminarono sottobraccio ridendo tra loro.
Si accorsero troppo tardi di essere soli. Ma non ne erano dispiaciuti.
Stavano bene così. Loro due insieme.
Si fermarono in un punto a caso.
Si sedettero vicino, attaccati. Come se avessero bisogno l'uno dell'altro. Come se senza quel contatto fisico si sentissero soli, smarriti.
Per ribadire il concetto, infatti, An appoggiò la sua testa sulla sua spalla e lui le circondò la vita con il braccio avvicinandola ancora più.
Stavano bene così. Loro due insieme. A guardare il mare. A sentire il rumore delle onde infrangersi sugli lontani scogli e sulla sabbia. Ad ascoltare il rumore della città.
Stavano bene così. Niente di più, niente di meno.
Fu un attimo, ma qualcosa nell'aria cambiò.
Loro non lo sentirono come un effetto chiaro e preciso.
Sentirono solo il bisogno di fare una cosa che entrambi volevano fare dal primo giorno, ma che non si erano resi conto di volere perché sopraffatti da altro.
Un bacio. Un semplice bacio. Un semplice tocco delle loro labbra.
Se la presero con calma. Non avevano fretta.
Continuarono a darsi dei semplice baci.
Si fermarono e lei ritornò a guardare il mare.
Non sentiva di aver sbagliato. Era felice di averlo fatto.
Nel frattempo la testa di lui era andata ad appoggiarsi su quella di lei e ogni tanto sospirava.
Non si stava neppure domandando perchè lo faceva.
Le andava bene. Le sembrava normale.
 - Cosa ne pensi?
Lei si stupì di sentirlo parlare. Non se lo aspettava.
Cosa ne doveva pensare?
A lei era piaciuto. A lei andava bene.
 - Cosa dovrei pensare?
 - Ti è piaciuto? Ti senti in colpa? Lo volevi? Non lo volevi?
 - Tu?
Per essere ubriaco era fin troppo serio. Non se lo aspettava un discorso del genere.
Ormai pure lei stava ritonarndo nello suo stato normale.
 - An.
 - Cosa c'è?
 - Rispondimi.
Il sorriso che aveva avuto fino a quel momento stava pian piano svanendo.
Non capiva dove volesse andare a parare chiedendole questo.
 - Non capisco. Non capisco il perché di questa domanda.
 - Tu rispondimi e forse te lo spiego. - Disse con un sorriso ironico.
 - Forse?
 - Forse.
 - Non ci ho trovato nulla di sbagliato. Se così doveva essere, va bene. No, non me ne pento visto che stavo sorridendo, visto che mi sentivo felice mentre lo facevo. Lo volevo? Non lo so. Ma ora che c'è stato ne sono contenta anche se non mi aspettavo queste domande. Non pensavo ne avremmo discusso, ma che ne avremmo solo colto le belle cose come la spensieratezza che ho avuto subito dopo.
Si guardarono seri. Si guardarono e basta. Come se cercassero di capire cosa pensassero veramente l'uno dell'altro.
Lui all'improvviso la ribaciò. Questa volta un po' più forte, più audace.
Lei non si ritrasse. Glielo lasciò fare.
Come aveva detto, non se ne pentiva.
Le andava bene.
Anna aveva sempre voluto sapere come sarebbe andata la serata se il suo telefono non fosse squillato.
Era Nicola. Aveva messo uno suoneria apposta per lui.
 - An, non farlo.
 - Devo rispondere. Magari è qualcosa di importante.
Lui sbuffò e la lasciò rispondere rimanendo comunque attaccato a lei con il suo braccio sulla sua vita.
 - Nic, dimmi.
 - Fermati. Ora. - Disse quasi ansioso.
 - Cosa? - Chiese lei non sapendo a cosa si riferisse.
 - Fermati. Non continuare con quel bacio. Sai anche tu come finirà. E non lo vuoi. Lo sappiamo entrambi che non lo vuoi.
 - E se lo volessi?
 - Non lo vuoi. So che quel bacio ti piace, ti fa sentire felice. Ora. Ma non andare oltre. Non sei pronta per farlo di nuovo. Ci sarà la tua prossima volta, ma non sarà adesso. Fidati An.
 - Cosa hai sentito?
 - Non l'ho sentito. L'ho saputo e basta. Sai anche tu come funziona e sai benissimo anche tu che non siamo in grado di spiegarlo.
 - Ma io sto bene. Puoi sempre sbagliare.
 - An, lo sai che non ci siamo mai sbagliati.
 - C'è sempre una prima volta.
 - Senti, lo so che ora non mi credi, che adesso stai bene con lui. Lo sento. - Disse con una punta di gelosia.
 - Geloso, fratello? - Lo interruppe lei ridendo.
 - Il discorso non riguarda il fatto che io sia geloso o meno.
 - Sei geloso. Sei geloso. - Ormai se la rideva di gusto.
 - Anna, sii seria. - L'aveva chiamata con il nome intero. Era serio veramente.
 - Nic, arrivo e sappi che sei un rompipalle. Sappi che facciamo i conti dopo.
 - Grazie, An. Grazie.

Questo era un esempio dei milioni che si sarebbero potuti scegliere, raccontare.






Buona notte, mia bella gente!
Mi ero promessa che non avrei pubblicato
prima della fine della scrittura di tutta
la storia, ma non ce l'ho fatta.
Perciò eccomi qui ( :
Questo è il primo capitolo .
Spero vi piaccia,
spero troviate lo stesso interessente
che provo io nello scriverla,
spero comunque venga fuori un qualcosa
di decente.
Spero di vedervi e sentirvi presto.
Con affetto,
Vostra Luce.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


Secondo capitolo.

 

“So che ci conosciamo solo da una settimana e al principio ti trovavo decisamente infantile e probabilmente mi sono comportato come un idiota con te. In realtà sei molto complicata, non si può mai prevedere che cosa farai e in certe cose sei proprio spaventosamente... mmm... sprovveduta. A volte mi verrebbe voglia di darti una scrollata.”
“Sì, in effetti si vede che non sei pratico di dichiarazioni d'amore” osservai.

 - An, vieni a cena che è pronto.
 - Sì, un attimo. Arrivo.

“Ma poi torni a essere spiritosa e intelligente e incredibilmente dolce” proseguì Gideon come se non mi avesse neppure sentito. “E la cosa peggiore è che basta la tua presenza per farmi sentire il bisogno di toccarti e di baciarti...”

Probabilmente questa era una della peggiori dichiarazioni della storia. Era ridicola. E lo sapeva benissimo pure lei.
Ma tutte le volte che la leggeva ne rimaneva felicemente colpita. Come se nella sua banalità ci fosse un qualcosa di particolare.
Se l'era pure segnata su un foglio così quando sentiva il bisogno di sorridere se lo riprendeva in mano.
Un'altra dichiarazione che amava era quella del signor Rochester.
Lo stile era completamente diverso.
Tra le due c'erano due secoli di differenza.
Due secoli in cui la cultura era diversa. Lo stile di vita era diverso. Il rapporto con le persone era diverso. La realtà stessa era diversa.
I protagonisti erano diversi. La trama era diversa.

“Lei, essere strano e quasi soprannaturale, è lei che amo come la mia carne. Lei povera e oscura, e piccola e brutta, lei supplico di accettarmi come marito.”

Questa se la ricordava addirittura a memoria. Quante quante volte l'aveva riletta, quante volte la sua mente aveva viaggiato sulla loro storia d'amore.
Non poteva dimenticarsi una frase del genere. Una frase che più reale non poteva essere.
Lui non era il solito innamorato pieno di frasi sdolcinate, piene di appellativi melensi e con immagini irreali.
Lui diceva la verità.
La pura e semplice verità.
Dimostrazione di quanto conoscesse la sua amata. Dimostrazione di quanto l'accettasse nonostante tutto.
An provava per lui una specie di cotta impossibile.
Amava il signor Rochester. Nonostante si dicesse fosse brutto. Nonostante si dicesse avesse un carattere impossibile e difficile. Ma coll'avanzare della storia il suo carattere cambiava e si notava quella dolcezza, quell'apprensione che adorava nei confronti della sua piccola Jane e l'aspetto fisico veniva completamento messo da parte, se non sostituito da puro fascino, dovuto proprio ai suoi modi di fare.
 - An, è pronto!
 - Mamma, sto arrivando. Dammi due secondi.
Era così tutte le sere. Doveva farsi chiamare un paio di volte prima che si alzasse dalla scrivania, perchè sì, lei si sedeva sulla scrivania. La trovava una posizione comoda e rilassante.
Con rammarico lasciò Blue lì sul tavolo per uscire e andare a cenare.
Si, con rammarico perché lei viveva con un libro in mano.
Ormai la sua famiglia, i suoi parenti, i suoi amici non le dicevano più niente. Si erano abituati a vederla lì tranquilla sulla sua scrivania, seduta in bagno, alla fermata dell'autobus, nelle ore buche a scuola a leggere un libro che lei divorava magari in neppure due giorni.
Il suo sogno era quello di avere una biblioteca personale. Una sala dove poter mettere tutti i libri che voleva, nell'ordine che voleva. Cambiarlo in corrispondenza all'umore. Fare quello che voleva con quei libri.
Essere padrona di quella stanza.
C'era un solo problema.
I genitori non volevano che comprasse questi suoi amati libri, ma che semplicemente li prendesse in biblioteca. Dicevano che non c'era il bisogno di comprare un libro quando lo si leggerà una volta sola.
Infatti loro non erano soliti a rileggere libri. Dicevano che non c'era gusto nel leggere qualcosa che si sapeva già come sarebbe andato a finire.
Lei non era d'accordo.
Lei amava rileggere. Da capo. Solo i discorsi. Pagine a caso.
Dava un senso diverso alla storia. Coglieva dettagli di cui inizialmente non si era neppure accorta.
Vedeva la bellezze delle parole. Diventava parte del libro.
Diventava il libro.
Si era ritrovata per questo a ordinare nella piccola biblioteca del suo paese più volte lo stesso libro. Poi, quando ormai si legava troppo a una determinata storia si sentiva in colpa se non aveva la sua copia personale. Se l'andava a comprare e metteva il nuovo acquisto sulla mensola.
Erano tanti, ma erano pochi.
Erano tanti rispetto a una persona normale. Erano pochi rispetto a quanti lei ne volesse.
Ma era felice.
I libri la facevano felice.
La facevano stare bene.

 - Allora, hai deciso cosa fare per Carnevale? E' tra meno di una settimana e se vuoi fare qualcosa è meglio che tu ti decida in fretta così puoi organizzarti bene. - chiese suo papà durante la cena.
 - Grazie papà per avermi ricordato la mia disastrosa situazione. Grazie.
 - An, sei sempre riuscita a trovare qualcosa. Per quale assurdo motivo quest'anno non dovresti farcela? Noi tutti sappiamo che ne sei in grado. - Si intromise suo fratello.
 - Voi lo sapete, non io. Io ho il vuoto nel mio cervellino bacato. Non c'è nulla a cui potrei attingere qualcosa. Nulla. Non so neppure più a chi chiedere. - Piagnucolò lei.
 - Qual'è la tua più grande passione? - domandò la madre cercandola d'aiutare. Forse le era venuta un'idea e probabilmente le sarebbe anche piaciuta. Ma doveva scoprire da sola cosa fosse.
Come aveva avuto da sola l'idea l'anno prima di vestirsi da albero, pure quest'anno doveva farcela da sola.
La conosceva abbastanza da sapere che le idee altrui non le sarebbero andate bene. Se non era farina del suo sacco, lei avrebbe sicuramente trovato qualcosa per cui lamentarsi.
 - Come se non lo sapeste. Leggere ovviamente. Leggere con della musica in sottofondo e con una tazza di te. - Le si illuminò il viso e cominciò a ridere. - Una tazza di te fumante. Capite? Una tazza di te.
Ormai non la smetteva di ripetere una tazza di te, di darsi della stupida e continuare a ridere tra se stessa.
Pure sua madre sorrideva. Forse era riuscita a capire la sua idea.
 - No, An. Noi non capiamo. - La interruppe Nic guardandola come se fosse una pazza aliena.
 - Una tazza di te. Come puoi non capire? Come ho fatto a non pensarci prima? Una tazza di te.
 - An, noi continuiamo a non capire. - Disse il padre ormai curioso.
 - Dove si fa il te? - Chiese Anna a loro.
 - Nel microonde. - Rispose Nicola.
 - Ma sei stupido? Nel microonde bolli l'acqua, ma non fai il te. Idiota.
 - Anna, le parole.
 - Ma papà, è solo idiota. E non l'ho detta in senso cattivo. - Lui la guardò male.
 - Cosa intendevi allora? - Domandò lui.
Lei ignorò queste ultime parole e provò a spiegare ciò a cui lei stava pensando.
 - Facciamo un esempio allora. Vengono ospiti a trovarci per merenda. Cosa si offre generalmente? Te e biscotti. Fin qui ci siete? - Annuirono. Ma suo fratello si intromise di nuovo.
 - Perché non puoi dircelo e basta? La stai tirando troppo per le lunghe. - la guardò sbuffando. - E smettila di divertiti così alle nostre spalle facendoci fare la figura degli idioti. Scusa papà.
 - Guarda che io non mi sto divertendo. - Lui la guardo storto. - Ok, forse un pochino. Ma vorrei che ci arrivaste anche voi come ci sono arrivata io. Dicevamo? Sì. L'acqua è stata messa a bollire. Ma dove? Non rispondermi nel microonde. Sto parlando del contenitore.
 - In una brocca. - Rispose la mamma.
 - Tu inviti gente e offri il te in una brocca? Mamma!
 - In una teiera. - Ritentò lei.
 - Esattamente. - Affermò An saltellando di gioia.
 - E cosa dovrebbe servirti una teiera? - Domandò ancora non capendo Nic-
Sentiva che era contenta. Che stava letteralmente sprizzando felicità da tutti i pori. E se magari si fosse concentrato un attimo avrebbe anche compreso cosa volesse farci con una teiera.
Ma aveva la testa altrove. Tra i suoi problemi. E nonostante sembrasse concentratissimo nella conversazione, stava ascoltando soltanto con un orecchio.
Per questo non capiva.
E se An fosse stata più attenta si sarebbe accorta che qualcosa, in quel preciso istante, non andava.
Ma era troppo presa dalla situazione.
 - Fratello, ma che domande. Io non ci faccio niente con una teiera. Io mi travesto da teiera.
Lui la guardò come per chiederle se fosse stupida. Ma lei, talmente felice, lo ignorò, o forse semplicemente non lo vide.
La madre non aveva pensato alla teiera. Lei aveva pensato alla tazza da te. O magari al libro. Le erano venute queste due idee. Ma pure quella le piaceva.
Sapeva che sua figlia avrebbe avuto, come voleva, un lampo di genio.
Ed il lampo di genio era arrivato. Forse un po' spinto, ma era arrivato.





 

Ciao mia bella gente!
Vorrei dire un paio di cose riguardo
questo capitolo.
1) In questo capitolo c'è tanto di me.
A partire dal fatto che pure io mi sono
travestita a Carnevale da teiera.
Quindi ci tengo particolarmente.
2) Questo capitolo, per quel poco che vale,
è un regalo per una persona
che mi è stata tanto accanto
senza nemmeno accorgersene
e che conosco da sei mesi esatti.
Love you, Mar.
Niente, ora posso dileguarmi.
Sempre con tutto il mio amore,
Vostra Luce.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terzo capitolo. ***


Terzo capitolo.


Mai disturbare qualcuno mentre è impegnato. Potrebbe rispondere male. Potrebbe mandare a quel paese l'interessato. Potrebbe mettere il muso e fare il gioco del silenzio.
Avrà sicuramente un comportamento poco maturo e potrebbe diventare un'altra persona.
E' ciò che accadde in quel momento.
Il suo telefono squillò nel silenzio della camera. Lui era tutto intento a studiare. O almeno, ci stava provando.
Il giorno dopo avrebbe avuto un'importante interrogazione e mirava al nove. Ma aveva bisogno di silenzio, assoluto silenzio per far si che riuscisse a concentrarsi. Cosa che già da solo non era in grado di fare.
Il suo problema aveva messo radici nella sua mente. Ormai pensava quasi solo a quello.
Se poi il cellulare continuava a suonare non poteva assolutamente impegnarsi nello studio della sua amata, ma anche odiata storia.
Il loro era un rapporto parecchio altalenante.
C'erano alcuni argomenti che adorava. Situazioni che avrebbe voluto lui stesso vivere sulla sua pelle.
A loro perciò dedicava tutto il suo tempo e non erano neppure difficili per lui da studiare.
Ma c'erano, al contrario, quegli argomenti che odiava dal più profondo del suo cuore. Vicende di cui non avrebbe neppure mai voluto sentir parlare.
Come quella che aveva proprio in quel momento davanti agli occhi.
Provava un grande odio nei confronti delle rivoluzioni. Di qualsiasi genere.
E dover studiare la rivoluzione francese con subito dopo la prima rivoluzione industriale lo mandava in bestia.
Si rendeva conto che fossero vicende importanti, ma a lui non importava. Non le voleva fare. Ma doveva mantenere la sua media. Doveva continuare a mostrare impegno. Perciò doveva prendere almeno nove.
Il telefono continuava, per come la vedeva lui, a far rumore. Caos. Casino.
Era indeciso se ignorarlo o rispondere con tono irritato.
Ma pure la sua pazienza aveva un limite.
Prese quel cellulare e schiacciò quel maledetto tasto verde senza neppure vedere chi era.
Non ne aveva bisogno. Sapeva già chi era e cosa voleva.
 - Cosa vuoi?
 - Nic, non rispondermi con questo tono. Non voglio romperti le palle.
 - Cosa che invece stai facendo. - Ribadì lui.
 - Per favore, almeno quando cerco di aiutarti, di capire cos'hai, non rispondere.
 - E perché dovresti aiutarmi? - chiese lui sbuffando. Come se non fosse logico il motivo.
 - Perché sono tua sorella, gemella. Perché il tuo macello interiore sta impedendo a me di leggere. E sai quanto è dura come cosa. Quindi dimmi cos'hai e risolviamo questo benedetto problema e io me ne ritorno dal mio dolce It.
 - Sempre a pensare ai tuoi cazzo di libri. - Ribatté lui parecchio incazzato. - Figurati se per una volta il tuo vero scopo è quello di volere aiutare me e basta. Senza avere un secondo fine. Fanculo. - Non lo disse urlando. Lui non urlava.
Nicola aveva una capacità naturale di mostrarsi arrabbiato senza alzare la voce. Riusciva sempre a farsi sentire. Quando parlava tutti ne erano ammaliati. Erano attratti dalla sua voce. Sarebbe potuto diventare il nuovo Cicerone solo per questa abilità.
La sua voce era potente. Tutto qui.
Molti gli avevano chiesto perché non avesse fatto un corso di teatro. Sarebbe stato perfetto.
Ma si era categoricamente rifiutato. Il teatro non faceva per lui. Non ne voleva sapere.
Aveva anche una grande capacità oratoria. Era in grado di persuadere quasi chiunque.
I suoi genitori gli avevano proposto di scegliere come indirizzo universitario giurisprudenza. Lui non aveva propriamente rifiutato.
Ci avrebbe riflettuto sopra.
In realtà lui stesso non sapeva cosa fare della sua vita e pensarci lo spaventava.
 - Nicola, non cominciare a rompere le palle anche tu. In questo minchia di autobus c'è già una confusione assurda e per di più tu ti incazzi in questa maniera con me? Io voglio aiutarti perchè sono stufa di sentire che tu stai male. Tu e solo tu. Quindi ritorna per cinque minuti la persona fine che sei di solito e spiegami il tuo problema perché così non andiamo avanti. Facciamo un passo avanti e tre indietro.
Quando usavano il nome intero era un chiaro esempio di quanto fossero incazzati l'uno con l'altro, o esasperati.
Un altro esempio era il frequento uso di parolacce. Non era una loro caratteristica essere volgari.
Lei si trovava in una situazione di stallo tra le due, ma se lui avesse continuato a rispondere così lei si sarebbe arrabbiata in un attimo e per lui sarebbero stati guai.
Guai seri.
E lui lo sapeva. Lo sapeva bene.
La conosceva quasi meglio delle sue tasche.
Gli bastava osservarla per capire subito il suo umore.
Gli bastava sentire la sua voce per capire il suo stato d'animo.
Gli bastava guardare dentro di se per capire come stava.
E questo valeva palesemente anche per lei.
Lei sapeva che lui aveva un problema.
Lui sapeva che in quel momento era abbastanza arrabbiata, ma pure preoccupata.
Preoccupata per lui.
Nonostante nascondesse questo tentativo nella lettura Nicola lo sapeva che si stava preoccupando.
E che sarebbe diventata ansiosa in non molto se la situazione sarebbe continuata così.
 - An, sai cos'ho. Perché te lo devo raccontare e star male? - Domandò con un tono scocciato e forse un po' sottomesso.
 - Perché parlare di un qualcosa che ci turba, ci rende coscienti che la soluzione è sempre più facile e vicina del previsto. Perché parlandone tu stesso ti sfoghi e poi ti sentirai almeno un pochino più tranquillo. - Disse lei pratica. Come se fosse una cosa logica.
 - Le tue doti da psicologa non valgono un cazzo.
 - Cosa avevamo detto sull'essere fini?
 - Tu l'hai detto. Io non ho avuto voce in capitolo.
 - Parla ed io ti ascolto. - Lo ignorò volontariamente per farlo parlare.
 - An, sto studiando. Storia. - Deviò volontariamente il discorso per non parlare.
 - E qual'è il problema? Sei un genio in storia. - Chiese Anna abbastanza non curante.
 - Le rivoluzioni. - Lui le rispose con ovvietà. Come se non potesse studiare altro.
 - Pace e amen. Ci sono anche quelle nella vita. Pure tu avrai la tua rivoluzione. - Disse lei spazientita. - Ora smettiamola di tergiversare e racconta. Spara.
 - Il solito. - Rispose lui abbattuto.
 - Il solito cosa?
 - Quella stronza mi sta ignorando. - Era arrabbiato.
 - Quella stronza è la tua migliore amica. - Gli fece notare.
 - No, quella stronza non è la mia migliore amica. Quella stronza è una stronza. - Era totalmente incazzato.
 - E cosa avrebbe fatto quella stronza di così stronzo? - Gli chiese.
Voleva farlo parlare. Doveva sfogarsi.
Non poteva tenersi tutto dentro. Si chiudeva a riccio e isolava chiunque.
Teneva fuori pure lei. Sua sorella.
 - Non ne voglio parlare. - Come non detto. Il riccio era spuntato fuori.
Se lo aspettava.
Era indecisa però se lasciar perdere la discussione o insistere.
C'era un limite che sapeva di non poter superare.
Non poteva superarlo sia per rispetto nei suoi confronti, sia per convenienza.
Se c'era qualcosa che li accomunava era proprio la rabbia.
Non si arrabbiavano facilmente. Solo quando toccavano il loro punto debole o il proprio gemello.
Ma quando succedeva diventavano delle bestie. Cattive.
E un conto era se erano incazzati con altri a causa di agenti esterni. Ma un conto era se lo erano tra di loro.
Il clima in casa cambiava.
Cambiava il loro atteggiamento nei confronti degli altri.
Si vedeva se avevano litigato.
Si notava se erano arrabbiati.
Non si parlavano. Se accadeva era per offendersi. Si ignoravano. Perdevano il sorriso.
Sentivano però la mancanza dell'altro.
Facevano affidamento sul loro legame.
Non si parlavano. Non si guardavano. Ma sapevano.
Sapevano come stavano e cosa provavano.
Sapevano quando erano pronti per fare pace.
Probabilmente se avessero perso questo loro collegamento, si sarebbero persi. Non avrebbero più saputo cosa fare. E come rapportarsi con l'altro.
Facevano troppo affidamento sul loro legame.
Perciò non rispose. Non continuò a spronarlo.
Si rendeva conto che prima o poi avrebbe dovuto farlo. Lui non sarebbe mai venuto di sua spontanea volontà.
Nonostante lui sapesse che lei sapeva.
 - Nic, fa niente. Cerca almeno di non pensarci. - Si fermò un attimo aspettando una sua risposta che non arrivò. Riprese allora a parlare. - Facciamo così. Questa sera, appena torno a casa, usciamo io e te da soli e andiamo a cena. Passiamo un po' di tempo come si deve insieme e ci svaghiamo. E non accetto un no come risposta.
 - Ma..
 - Ho detto che non voglio sentire un tuo no. Ho deciso io per entrambi. Ti lascio scegliere cosa fare dopo, ma il ristorante lo prenoto io. Adesso chiamo e ti avviso.
 - Ma..
 - E se il problema fosse storia per una benedetta volta ti puoi anche giustificare. Non devi fare il buon samaritano tutte le volte offrendoti.
 - Ma..
 - E se invece vuoi farti comunque interrogare hai quattro ore per studiare. Per i tuoi standard sono anche troppo. Ti basterebbe solo leggere gli argomenti per saperli già. Ma in questo non voglio mettere becco.
 - Ma..
 - E smettila di dire “Ma”. Ora devo andare. Sono praticamente arrivata. Ti chiamo dopo.
 - Ma.. - Lei aveva già messo giù. Non lo aveva lasciato parlare quando prima il suo scopo era esattamente quello.
Strana la sua gemella, ma lo aveva sempre saputo.
Quando si metteva in mente una cosa, l'entusiasmo l'assaliva e non la fermava nessuno.
E sfortunatamente non era riuscito a dirle che il problema non era storia perchè lo sapeva che in due ore avrebbe saputo tutto.
Il problema era che aveva già un altro impegno.
Doveva uscire con Marco.
Si erano messi d'accordo per passare una serata insieme. Pur essendo compagni di classe non avevano mai tempo di uscire.
Ma si rendeva conto che non poteva dar buca a sua sorella. Ci sarebbe stata male.
Lei lo faceva per lui. Sarebbe stato un cretino se non le fosse stato riconoscente.
Doveva chiamare Marco e posticipare. Era l'unica.
Il gesto di An lo aveva calmato.
La rabbia era scomparsa. Era abbastanza tranquillo da mettersi lì, studiare e concentrarsi.

In quel mentre Anna sorrideva tra se e se. Felice di sentire il fratello non più preoccupato.





 

Buon pomeriggio a tutti.
Questo è il terzo capitolo.
Come avrete notato è maggiormente
incentrato su Nic.
Spero sia venuto bene comunque.
Di essere riuscita a trasmettere
un po' della sua rabbia.
Un po' del suo dolore.
E niente.
Spero vi piaccia e
non abbia deluso le vostre aspettative.
Un grande grande abbraccio,
Vostra Luce.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quarto capitolo. ***


Quarto capitolo


La serata era praticamente finita.
La cena era andata più che bene.
Si erano rilassati e si erano separati per un po' dal mondo per andare in un loro universo parallelo. Dove esistevano loro e solo loro.
L'argomento non era più stato sfiorato. Anna non voleva rovinare quella spensieratezza che aleggiava nell'aria.
 - An, come sta andando con il tuo vestito per Carnevale? - Le domandò.
 - Benone. Sta venendo un'opera d'arte. Vedrai vedrai. - Gli rispose tutta felice.
 - Ne sono sicuro. Nessuno ha mai messo in dubbio le tue capacità.
 - In realtà per un momento ero andata in crisi. Non sapevo da dove partire. Dove sbattere la testa. Nella mia mente il progetto cambiava qualcosa come venticinque volte al minuto. Poi ho smesso di pensarci e ho fatto in modo che le mie mani facessero di testa loro. Come se avessero una loro volontà. Come se il mio cervello si fosse spostato lì. - Raccontò lei tutta entusiasta.
Nic si divertiva a guardare sua sorella parlare. Fare discorsi che fossero anche semplicemente relativamente lunghi.
Anna aveva questa piccola caratteristica di gesticolare. E non poco.
Apriva e allargava le braccia per spiegare la grandezza di ciò che provava. Muoveva le mani come se volesse costruire ciò di cui stava parlando con l'aria.
E lui la guardava come incantato.
Si perdeva tra quei gesti che non avevano quasi niente di magico o di elegante. Di delicato o importante.
Non sapeva neppure lui il perché lo faceva. Cosa gli piacesse realmente di quel modo di fare.
L'unica cosa di cui si rendeva conto è che l'avrebbe guardata anche per ore.
- Lo sai che è strano quello che stai dicendo? Fa quasi paura. - Le fece notare comunque con un tono divertito. Spiritoso.
 - Non è facile da spiegare. È una strana sensazione. Non l'hai sentito? - Chiese stupita.
Non lo aveva per nulla notato il tono giocoso nella constatazione di suo fratello. Si era concentrata troppo sulle parole in sé.
Lui si rese conto troppo tardi di aver innescato una possibile bomba.
Doveva solo aspettare per vedere se sarebbe scoppiata o meno.
E l'idea che, dopo una serata tranquilla come quella che avevano passato, si mettessero a discutere non gli piaceva per nulla.
Incrociava le dita perché andasse tutto bene.
 - Se ti dicessi di no? - Ribatté lui cercando di sondare il terreno.
 - Ti direi che hai fatto bene a non concentrarti su di me anche se sarei particolarmente curiosa di sapere cosa avresti fatto per non esserti accorto di nulla. - Gli rispose seria.
Aveva perso la felicità appena si era resa conto che suo fratello non la stava ingannando.
Che lui non aveva provato nulla.
 - Quando è successo?
 - Veramente non hai sentito niente? - Questo l'aveva spiazzata. Letteralmente. - Due giorni fa. Il giorno dopo il lampo di genio.
Era dispiaciuta. Non se lo aspettava. Nonostante avesse appena detto che il suo comportamento fosse stato corretto, questo l'aveva spaventata.
Ciò che avevano per lei era fondamentale. Sarebbe stato impossibile vivere senza.
 - Ecco, avevo da fare. - Cercò di essere evasivo. Non voleva dirglielo. Ma sapeva che con lei questo giochetto non funzionava.
Era curiosa e sentiva che lui le stava nascondendo qualcosa. E poi era dannatamente preoccupata.
 - Avevi da fare? Cosa avevi da fare? - Partì appunto lei in quarta. Forse una mamma il cui figlio si era appena rotto la gamba era meno ansiosa di lei
 - Niente di importante. - Non stava funzionando. Lo sapeva.
 - Non mi mentire. - La seccava questo comportamento. Perché mentirle quando sapevano entrambi che non lo potevano fare?
 - E tu non essere così triste. - Sperava che cambiando argomento non avrebbe più fatto domande.
 - Non sono triste. - Gli disse lei. Ma pure lei non credeva alle sue parole, pur avendo cercato di metterci più convinzione possibile.
 - Ah, no? E cos'è quella faccia che hai messo su quando ti ho detto che non ho sentito nulla?
Sbatterle la verità in faccia, sebbene la sapesse pure lei, era un'ottima tecnica d'attacco.
O così almeno credeva.
 - Dio, cosa ci succedendo? Perché tu non hai percepito il mio entusiasmo ed io no ho percepito nessun tuo stato d'animo? Cosa ci sta succedendo Nic? Io non lo voglio.
Non era la bomba ad essere scoppiata. Era lei che stava per scoppiare a piangere. E pensare che aveva ormai 18 anni. Sua sorella era troppo legata a quella cosa. Ancora più di lui.
Si stava dando dello stupido perché lui lo sapeva. Lo sapeva quanto fosse importante per lei quel loro legame. Ma non avrebbe nemmeno potuto mentire dicendole cose non vere.
Era una strada senza via d'uscita. E in quei casi la verità era l'unica cosa da seguire.
I suoi genitori l'avevano sempre detto. “Ragazzi, dite sempre la verità. Anche se quella fa male.”
 - An, ascoltami. Va tutto bene. Eravamo solo troppo occupati a fare altro. Ogni tanto dovremmo dedicarci completamente a noi stessi. È vero che siamo legati, ma non possiamo dipenderne
Doveva rassicurarla. Doveva tirarla su di morale. Per quanto stupido e piccolo fosse il problema. Non poteva non aiutarla. Non poteva non fare di tutto per farla, se non ridere, almeno sorridere.
Voleva di nuovo vedere An tranquilla.
 - Nic, ma tu mi hai persino sentito da ubriaco. Con Leonardo.
An aveva tirato fuori quella storia senza pensarci. Cosa che invece avrebbe dovuto fare.
Parlare di quella sera creava un certo fastidio ad entrambi. Non che si arrabbiavano. Il passato è passato. Più che altro si irritavano.
Lei si irritava perché lui aveva interrotto qualcosa in cui lei stava bene.
Lui si irritava perché quella sera avevano parecchio litigato appena erano ritornati in camera ed erano rimasti soli.
Per quando si volessero bene, per quanto si fidassero l'uno dell'altro, pure loro avevano questi momenti. Rari, ma c'erano.
Si erano bellamente ignorati per tre giorni. E solo dopo, lei era andata da lui chiedendo scusa.
Ormai era acqua passata, ma era stata uno delle loro peggiori litigate per questo erano ancora parecchio sensibili all'argomento.
 - Allora non ero ubriaco, ero solo un pochino allegro. E poi ti stavo assolutamente cercando. Ero concentratissimo su di te. Non sentivo più neppure la sabbia entrarmi ovunque. Nella maglia, nei pantaloni, nelle scarpe. Volevo solo sapere dov'eri e come stavi. Mi stavo preoccupando. Poi, quando ho sentito quello che ho sentito, sono andato in panico.
Si era messo sulla difensiva. Si stava scusando per qualcosa che in realtà sarebbe dovuto essere naturale.
 - Cosa che tra l'altro non serviva. Ma non parliamone più.
L'unica cosa intelligente da fare era appunto cambiare argomento.
 - Guarda che l'hai tirato fuori tu l'argomento.
 - Era solo per fare un esempio. Che palle. - Sbuffò lei.
- Ma dimmi An. Lo senti ancora? - Ora il suo tono era curioso, quasi divertito.
La loro mamma aveva sempre detto di avere come figli le due persone più lunatiche sulla terra.
Avevamo la capacità di cambiare umore così. Con niente.
 - Chi? - Gli domandò non capendo.
 - Ma di chi stiamo parlando? Di mio nonno?
Si poteva percepire la sua ironia, il suo sarcasmo da ogni poro.
 - Che tra l'altro è anche il mio. No, non lo sento. Ora che hai messo il dito nella piaga e ti sei divertito possiamo smettere? - Se continuava a sbuffare così avrebbero potuta scambiarla per una locomotiva.
 - Ma era così divertente. Mi togli sempre i giochi migliori.
Mise il muso come un bambino a cui era appena stato tolto il suo gioco preferito.
 - Povero fratellino sottomesso alla sorella cattiva. Che fai ora? Piangi?
Lei si divertiva un mondo a prendere in giro le persone in questa maniera.
Era una delle cose che la tiravano maggiormente su di morale. E lui lo sapeva.
Era riuscito con delle semplice parole a far tornare il sorriso sul volto di sua sorella.
Si riteneva più che soddisfatto.
 - Ma neppure nei tuoi sogni. Mi hai mai visto piangere? - Domandò lui. Come se si stesse paragonando al classico di uomo stereotipato privo di sentimenti.
 - Quella volta al compleanno della zia. Quella volta in piscina. - Iniziò lei ad elencare. Ma lui la interruppe prima che potesse ricordare momenti più imbarazzanti.
 - Ehi, avevo rispettivamente 5 e 7 anni. Voglio ben vedere se tu ti fossi persa in quella mega piscina. Avresti cominciato a piangere disperata. - Le fece notare con ovvietà.
 - Peccato che non sia io quella che si sia persa. Ma tu. - Ormai prenderlo in giro si stava rivelando un hobby fantastico.
 - Toglimi una curiosità. Ma studiare per domani tu, no? - Voleva proprio cambiare argomento. Non poteva farsi trattare così. Era pur sempre lui il più grande. Per pochi minuti, ma lo era.
 - Ma sai con chi stai parlando? Io sono un genio. - Gli rispose An con finto tono superiore.
 - Ma zitta. Arrivi massimo al sette. - Le disse ridendo.
 - Sette è già di per se un voto alto, ma no, domani prenderò otto.
 - E quando avresti intenzione di studiare? - Non capiva se si stava preoccupando seriamente per lei o se faceva finta. Ma la cosa non cambiava molto. Il suo rendimento riguardava lei e solo lei. Infatti la infastidiva il fatto che gli altri le facessero questa domanda e le chiedessero che voto avesse preso a una qualsiasi interrogazione o prova.
 - Babe, questo non è un tuo problema.
 - Non ce la farai mai. - Lui ne era certo.
 - Scommettiamo? - Mai sfidare così Anna. Se si impuntava, se voleva farcela, niente e nessuno l'avrebbe avuta vinta contro di lei.
 - Tutto quello che vuoi, mia dolce sorellina. Se perdi mi devi venti euro.
Lei non rispose subito. Sapeva che avrebbe vinto. Perciò doveva trovare una posta in palio degna di essere chiamata tale.
Una lampadina si accese in lei.
 - Se tu perdi e perderai mi parlerai di Emma. - Gli sorrise. Doveva dimostrargli che non scherzava.
 - Apri già il portafoglio. - Inizialmente non sembrava molto convinto. Ma questa cosa lo divertiva.
Non avrebbe mai scommesso con altri. Ma con sua sorella sì. Non erano quei venti euro che lo preoccupavano.
Appena lui avrebbe avuto un problema di soldi, lei gliene avrebbe dati a vagonate.
E nel caso, invece, in cui lui avesse perso, avrebbe cominciato a pensarci allora su cosa dire.
 - È la convinzione che frega la gente. - Gli disse continuando a sorride. Con tono anche un pochino falso, ma pieno di divertimento.





 

Ma buon pomeriggio cari lettori.
La sottoscritta vi saluta insieme al bellissimo sole che le sta abbranzando solo metà faccia.
Eccomi qui con un altro capitolo.
Sinceramente non so cosa voi vi aspettate da questa storia,
quindi non so se sono di vostro gradimenti questi capitoli.
Cosa che però spero vivamente tanto perché ci tengo.
Parecchio.
Volevo dire una cosa.
An e Nic sono due persone normali.
Sono io, sono il mio vicino di casa, sono voi, sono lo sconosciuto
che incontri per strada, sono l'amica di infanzia, sono chiunque
Quindi si comportano come tale.
Debolezze e non.
Quello che voglio dire, che pur non sembrando,
non ho cambiato i loro caratteri in questi quattro capitoli.
Loro sono tutto questo.
Tutti noi abbiamo mille sfacettature. Così loro.
Hanno comunque un lato che risalta più di un altro.
Come tutti.
Volevo dirvelo solo perchè non volevo che pensaste
che stia scrivendo così, cose a caso.
Spero come al solito che vi piaccia.
Un abbraccione a ognuno di voi,
vostra Luce

Un domandina così:
Chi preferite? Anna o Nicola?

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quinto capitolo. ***


Quinto capitolo.


Anna e Nicola stavano ritornando a casa dopo una classica giornata di scuola.
Era un venerdì e il giorno dopo sarebbe stato Carnevale.
An odiava il venerdì.
Il principale motivo era dato dal fatto che avessero sei ore e tre di quelle fossero le materie che odiava di più: inglese, storia dell'arte e italiano.
Forse più che odiare le materie in sé, non sopportava i docenti che le insegnavano. Erano dei totali imbecilli. Non poteva però mostrare apertamente questo suo odio.
Già era difficile sopravvivere così.
Quel giorno aveva pure avuto storia e suo fratello come previsto si era offerto ed era stato interrogato. Pure lei lo aveva fatto. Lui le aveva lanciato una sfida e lei non avrebbe potuto che accettare.
Il destino volle che venissero interrogati insieme. Logicamente Nic era andato meglio.
Sembrava essere il libro.
An era fiera di lui. Vederlo spiegare un argomento meglio del professore stesso.
E lui ne era invidioso. Non sopportava che ci fosse un alunno più bravo di lui. Laureato in ciò che insegnava.
Nicola mirava al dieci. Ma raramente glielo aveva dato.
Dieci meno, nove e mezzo, nove/dieci.
Questo però lo stimolava a migliorare. A puntare più in alto. A volere di più.
Gli diede nove e mezzo. E ne era felice.
Quell'insegnante era forse l'unico della scuola a dire il voto subito dopo l'interrogazione e non aspettava la lezione successiva.
Ad An diede otto e mezzo. Saltò letteralmente di gioia.
Aveva vinto la scommessa.
Poteva finalmente far sfogare Nicola con la storia di Emma, la sua migliore amica.
Lui era un insieme di emozioni. Fiero di An per aver preso un tale voto. Arrabbiato perché obbligato ad aprirsi non volontariamente. Confuso perché non sapeva cosa dirle, come spiegarle la situazione. Situazione che di per se era parecchio patetica. Speranzoso perché magari lei sarebbe stata in grado di trovare una soluzione. Impaurito perché parlarne, se ne rendeva conto, voleva dire rendere il tutto più reale.
Ma la cosa che An percepiva maggiormente era il fatto che lei gli mancasse. Sentiva che aveva un vuoto dentro che solo lei poteva colmare.
Era furiosa con Emma per aver fatto star male suo fratello, per aver creato questo buco, per aver fatto si che lui si affezionasse così tanto a lei.
Fortunatamente lui non ne era innamorato. E non pensava che lo sarebbe mai potuto essere di lei. Le voleva bene, ma le voleva bene quasi come se fosse Anna. Sapeva che non avrebbe mai potuto conoscerlo come lo conosceva la gemella. Nessuno avrebbe potuto.
Ma Emma riusciva comunque a capirlo attraverso uno sguardo. Se c'era qualcosa che non andava lei lo capiva guardandolo.
Vedeva. Ma non comprendeva.
Non poteva sapere quale fosse il problema se lui non parlava.
Quello che erano stati Anna e Leonardo, lo erano pure Nicola ed Emma.
Solo che con Leonardo lei avevo dovuto darci un taglio. Sapeva che se avessero continuato a sentirsi sarebbe caduta e si sarebbe innamorata.
Cosa che non sarebbe accaduta con Emma.
An lo sapeva.
Sapeva, forse pur non volendo, che sarebbe diventata la migliore amica di suo fratello. Lo aveva capito nonostante l'odio reciproco che inizialmente provavano.


Mi fermai abbacinata. Mi sembrò di riconoscere Saint Saëns. Gli Studi o qualcosa del genere. L'indimenticabile Emma stava suonando. Dalla portafinestra aperta sul parco le note rotolavano per i pochi gradini della scalinata e come una grande onda tumultuosa mi sommergeva. Affogavo. Quando si dice un mare di note. Non mi sarei stupita di trovarmi gabbiani di note impigliati dei capelli. Pesci di note sotto un'ascella. Assolutamente fantastico.

Anna era seduta in cucina con i piedi su un'altra sedia che faceva merenda con una bella tazza di Early Grey fumante leggendo uno splendido libro.
Tazza regalatale per Natale da Nic.
Una tazza personalizzata. Semplicissima.
Nera con il suo nomignolo stampato sopra con un punto.
An..
Alta. Stretta. Perfettamente cilindrica.
L'adorava sia perchè le era stata regalata dal fratello, sia per la forma.
Il caso volle che mentre leggeva quella parte dedicata ad Emma, la pianista, suo fratello entrò in cucina e si sedette sbuffando su una sedia.
Lei lo ignorò volontariamente.
Passarono un paio di minuti.
Lei leggeva. Lui rimaneva lì immobile in silenzio.
Non si toccavano.
Erano uno di fronte all'altro e non si toccavano.
Non si guardavano.
Lei aspettava che lui dicesse qualcosa.
Lui valutava se valesse la pena veramente parlare e se sì, cosa dire.
 - An. - Il tono di voce di Nicola era basso. Quasi un sussurro.
In una semplice parola c'erano dentro tante, troppe emozioni.
Disperazione. Cercare di attirare la sua attenzione. La richiesta di un aiuto.
 - Senti, non sei obbligato. Fai come se la scommessa non fosse mai esistita. Io volevo solo farti parlare perché tu non ti tenessi tutto dentro. Se non vuoi, però non preoccuparti. Sai che comunque io sono sempre qui pronta ad aiutarti e quando sei pronto, quando vorrai sai di poterti fidare di me. Tranquillo. - Fece una pausa. - Tè? - Domandò quasi per cambiare discorso.
Annuì.
 - Grazie. Hai ragione. Dovrei parlarne. Tenerlo dentro non risolve la situazione. Solo che le parole non mi vengono. Non so cosa dire. Non so cosa fare. - Era disperato.
Lei lo guardava sorseggiando il suo tè aspettando che l'acqua bollisse.
 - Nic, va tutto bene. - Calmarlo ora era il suo obiettivo. Ma sapeva che comunque quelle parole non sarebbe mai servite. Anzi, forse avrebbero avuto l'effetto opposto.
 - No, non va tutto bene. Emma non mi parla. Non mi vuole vedere e non so il perché. Darle della stronza allevia il dolore. La paura di perderla. Fare in modo che sia colpa sua mi fa sentire meglio, ma potrebbe benissimo essere colpa mia. Ed io non so cosa ho fatto. E se mi odierà per sempre? Lei è la mia migliore amica e non voglio nessun altro. - Appunto.
 - Ti fidi di me? - Gli chiese allora lei.
Lui annuì di nuovo guardando verso di lei.
 - Ti dico che tutto andrà bene. Farete pace. Ritornerete a fare quello che facevate. Ritornerete ad essere quello che eravate. Sento che ti manca con tutto te stesso e in questi giorni non è stato facile ignorare questa sensazione, ma non puoi arrenderti. Lei è lì fuori e sta aspettando solo te. Se ti potesse aiutare, potrei andare io a parlarle e a sondare il terreno.
Tolse la tazza dal microonde. Mise la bustina nell'acqua bollente e aggiunse un cucchiaino di zucchero e un paio di gocce di miele. Doveva solo aspettare.
Nic nel frattempo non aveva aperto bocca.
Pensava a cosa fare.
Andare lui stessa a parlarle o mandare in avanscoperta sua sorella?
Se fosse andato lui, sarebbe stato sicuramente una scelta migliore. Si sarebbero parlati faccia a faccia e non ci sarebbero stati fraintendimenti.
Se fosse andata lei, sarebbe passato per codardo. Avrebbe avuto, però, la certezza che con lei avrebbe parlato.
Scosse la testa. I capelli chiari e corti si mossero al movimento.
Gli occhi non erano più rivolti verso An, ma verso il pavimento.
In questi istanti di silenzio il tè si era preparato.
Tolse la bustina. La gettò.
Prese la tazza e si avvicinò al fratello.
Gliela mise sul tavolo e si accucciò davanti a lui.
Non era seduto dritto, con la schiena appoggiata allo schienale, ma di profilo.
Gli mise le mani sulle ginocchia.
E lo guardò. Lo fissò.
Lui sentiva il suo sguardo perforargli l'anima. Peggio di un raggio laser.
Ma non trovava la forza di aprire gli occhi e alzarli verso quelli di lei.
Si sentiva un debole.
A tutti era sempre sembrato una persona forte. Allegra. Socievole.
Ma questa situazione, sapere che lei lo ignorava deliberatamente, vedere che lei invece sembrava felice, lo distruggeva.
L'adolescenza è stata per tutti un periodo di alti e bassi.
Anna aveva avuto i suoi. Nicola aveva avuto i suoi.
E per entrambi non erano assolutamente finiti.
Solo che lei li affrontava, o almeno ci provava, a testa alta. Lui invece ne soffriva, si chiudeva in se stesso e cadeva nello sconforto.
An lo aveva sempre preso in giro per questo.
Il suo atteggiamento era più simile a quello del mondo femminile che a quello di un uomo.
 - Domani è Carnevale, Nic. Io vado e tu vieni con me. Se la vediamo decidiamo cosa fare. Se sarai tu a parlarci o se lo farò io. L'importante è che voi due chiariate. Rivoglio vederti veramente sereno. Quindi questo problema dobbiamo togliercelo il prima possibile. Insieme, come sempre. Io e te. - Disse convinta e con un sorriso sulle labbra che lui percepì nonostante fosse ancora ad occhi chiusi.
Lui aprì gli occhi.
Si gettò di slaccio sulla gemella.
L'abbracciò.
L'abbracciò come se non si vedessero da una vita.
L'abbracciò come se fosse l'ultima cosa da fare prima di morire.
L'abbracciò come se non ci fosse un domani.
L'abbracciò come se la stessa ringraziando di tutto. Di essergli sempre stata accanto. Di aver sempre cercato di tirarlo su d'umore. Di aver sempre cercato di fargli spuntare un sorriso sul suo bel viso.
Tutto si poteva dire tranne che lui fosse un brutto ragazzo.
L'abbracciò come se le stesse donando il suo cuore.
L'abbracciò perché era la cosa più giusta da fare.





 

Buonsalve bella gente!
Rieccomi qui a pubblicare.
Personalmente questo capitolo non mi dispiace.
Mi rendo conto da sola che possa sembrare banale.
Che la storia possa sembrare banale.
Lenta.
Però a me piace e spero che piaccia anche a voi.
Non sono brava con i ringraziamenti
però volevo dirvi grazie per le belle parole che spendete per me,
per il tempo che mi dedicate anche solo leggendo,
per il supporto che mi date.
Vi voglio ringraziare perché ve lo meritate.
Grazie.
Un abbraccione forte forte,
Vostra Luce.

Rifaccio la domanda:
Chi preferite? Nicola o Anna?

Ps: volevo solo specificare una cosa.
Sulla tazza c'è scritto "An.".
I due punti che vedete sono divisi.
Uno è il punto stampato.
Uno è il normale punto che si mette a fine frase.
Ho provato a metterlo in evidenza con il corsivo,
ma non si nota comunque.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sesto capitolo. ***


Sesto capitolo.


Fare qualcosa, anche semplicemente muoversi, era un'impresa con quel costume.
L'unica cosa che potesse fare era camminare a piccoli passi. Ma più piccoli erano, più si sentiva come se stesse per cadere e rotolare come una palla.
Un braccio era totalmente bloccato dentro il vestito. L'altro poteva tirarlo leggermente fuori. Ma se avesse avuto fame si sarebbe dovuta far imboccare.
Scoppiò a ridere per l'imbarazzo che avrebbe avuto in futuro.
Nic la guardava con un grande sorriso. Era veramente orgoglioso di An.
Aveva creato una maschera originale, splendida.
Si stupiva spesso della sua capacità manuale di creare oggetti.
Si stupiva spesso della sua fantasia.
Secondo lui il motivo di questa sua abilità era dovuto al numero illimitato di libri letti. Se non avesse letto un'infinità di libri, se non avesse dedicato la maggior parte del suo tempo libero a leggere, a catturare e raccogliere in sé storie, esperienze, vite di miliardi di personaggi non sarebbe quello che era.
Personaggi uno diverso dall'altro. Ognuno con un aspetto particolare.
Dal piccolo Nemecsek.
Amico valoroso, fedele.
Amico che ha rischiato la morte per aiutare i suoi amici i quali lo consideravano quasi l'ultima ruota del carro. Un qualcuno a cui far fare gli incarichi più gravosi o pallosi.
L'unico soldato semplice in una banda di generali, ufficiali.
Alla scontrosa Mary.
Bambina viziata a cui sono morti i genitori.
Bambina che grazie ad un giardino scopre il valore dell'amicizia, di una famiglia.
An nelle storie di personaggi come Jane Eyre, Emma Bovary, Mattia Pascal trovava un mondo, una realtà nuova. E ci entrava.
Apparteneva a due mondi.
Il primo.
Quello nel quale si rapportava con suo fratello, la sua famiglia, i suoi amici. Universo in cui lei andava in giro a divertirsi. Realtà nella quale scopriva ogni giorno un aspetto del suo carattere.
Il secondo.
Quello in cui viaggiava per paesi mai visti, per città sconosciute e per luoghi favolosi senza muoversi di un millimetro. Rimanendo seduta in casa. Universo in cui aveva milioni di amici. Ognuno speciale a modo suo. Amici che le avevano insegnato molto cose su come affrontare la vita.
Se non avesse letto così tanto sarebbe sicuramente un'altra persona. Forse peggiore. Forse no. Ma si piaceva così.
Sapeva di non essere perfetta. Sia caratterialmente che fisicamente, ma si accettava per quello che era.
Cercava di trovare la felicità in tutto ciò che la circondava.
Raramente era triste e se accadeva era solo per alcuni istanti che subito dimenticava ritornando ad essere la solita Anna piena di vita, con un enorme sorriso sul volto pronta ad aiutare chi voleva bene e a ridere di fronte alle difficoltà.
Camminare con quel vestito era sempre più arduo, ma doveva resistere almeno un paio d'ore.
Fortunatamente Nicola era lì vicino a lei. Continuava a rassicurarla dicendole che era bella, che non era per nulla ridicola.
Nic non si era voluto vestire.
Diceva che si sentiva a suo agio così. Senza mascherarsi.
Fin da piccolo aveva avuto un'avversione verso il Carnevale. Verso il mascherarsi mettendosi in ridicolo.
Però non era mai rimasto a casa.
Gli piaceva vedere come si vestivano gli altri. Per divertimento decretava persino il costume migliore. Questo secondo il suo parere.
E non si poteva dimenticare la pasta al ragù che gli alpini offrivano per il paese. Saltava il pranzo solo per poter mangiare tre, quattro piatti. Era la sua fine.
Arrivarono nel piazzale dove sarebbero partiti i carri da lì a un minuto.
Si guardarono intorno alla ricerca di qualcuno di loro conoscenza.
An si nascondeva, per quanto poco fosse possibile, dietro il fratello. Si piaceva, ma comunque si vergognava. Aveva 18 anni e ancora si comportava come una bambina, non che le dispiacesse, solo che ogni tanto si sentiva messa in soggezione dagli sguardi dagli altri. Da ciò che pensavano vedendola.
Era felice però. Si sentiva comunque a suo agio tra tutte quelle persone.
 - Sorella, se vuoi lì c'è Maddalena. Andiamo a salutarla? - chiese indicando un punto nella folla vicino a tanti topini.
Una delle associazioni che aveva aderito alla sfilata aveva deciso di mettere in scena “Il pifferaio magico”. Ed era bellissimo. Erano tantissimi e se fosse stato possibile vederli dall'alto si sarebbe visto un tappeto grigio.
Anna e Maddalena non erano mai andate veramente d'accordo. Andavano a periodi. Sopratutto quando andavano a scuola insieme.
Ora però si salutavano. Ogni tanto di fermavano a dirsi due parole ma tutto finiva lì.
 - Andiamo. Non mi sembra di aver notato nessuno di nostra conoscenza per ora, oltre a lei. - Gli rispose.
Lei non aveva visto nessuno. Ma qualcuno aveva visto loro.
In quella piazza c'era pure Emma.
Li guardava con un'immensa tristezza negli occhi.
Nicola le mancava.
Le mancava vederlo sorridere.
Le mancava parlare con lui.
Le mancava fare muffin con lui e vederlo poi mangiarseli tutti.
Le mancava abbracciarlo.
Le mancava tutto di lui.
Le mancava il suo migliore amico.
Ma non poteva andare lì e parlargli come se niente fosse.
Non poteva.
Con altri sì, persino con sua sorella.
Ma con lui no. Non per niente era il suo migliore amico.
Per Emma era un brutto periodo.
Si sentiva sbagliata.
Si sentiva a disagio con se stessa. Con il suo corpo.
Si sentiva sola.
E non le piaceva sentirsi così.
Voleva, doveva trovare una soluzione. Ma doveva farlo da sola.
L'aiuto degli altri sarebbe stato inutile.
L'unica cosa che però lei non voleva era la compassione degli altri. Voleva essere trattata come sempre.
Perciò fingeva un sorriso.
Per questo non poteva andare da lui. Per questo lo aveva allontanato.
Lui si sarebbe accorto in un attimo che qualcosa non andava.
Si sarebbe preoccupato e avrebbe cercato in tutti i modi di aiutarla. Ma non poteva essere aiutata.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dargli delle spiegazioni, ma non sapeva se sperare nel prima o nel poi.
Prima perché ciò significava che il suo problema era svanito. Che lei si sentisse di nuovo a suo agio con sé stessa.
Poi perché sapeva di non essere per nulla una persona coraggiosa. E andare lì da lui e parlargli voleva dire tirarne fuori tanto.
Si strinse tra le braccia cercando un conforto.
Vedeva i due fratelli vicini che camminavano verso Maddalena.
Le medie erano passate. Non andavano più in classe insieme loro quattro. Anna, Nicola, Maddalena ed Emma.
Le mancavano quei giorni.
Era tutto più facile all'età di dodici anni.





 

Buona sera Ciurma!
Alles gut? Tutto a posto?
Eccomi qui con questo capitolo che, come avete capito,
spiega un po' il comportamento di Emma.
Non pensiate che sia una motivazione assurda, irreale.
Perché no, non lo è.
Niente, volevo ringrazie Dora
per avermi aiutato a correggere il capitolo.
Spero non ci siano più errori, ma se così fosse,
sarei felicissima se me li faceste notere.
Spero che il capitolo vi piaccia e se così non fosse
non abbiate problemi a dirmelo.
Un abbraccio forte forte.
Vostra Luce.

Domanda:
Come ve li immaginati An, Nic ed Emma d'aspetto fisico?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Settimo capitolo. ***


Settimo capitolo.


Quella mattina Anna era particolarmente nervosa.
Già il fatto che fosse lunedì non aiutava, ma contando che la sua scuola era l'unica a non fare il ponte delle vacanze di Carnevale la faceva proprio arrabbiare.
Nicola era calmo. Poco gli importava di andare a scuola o meno. Lui era preparato comunque.
E più An lo guardava più le giravano ancor di più palle.
Non era possibile essere così tranquilli di lunedì alle sette del mattino quando erano gli unici ad andare a scuola, quando l'autobus era in ritardo, quando il tempo era tutto tranne che clemente.
Sembrava una locomotiva. Sbuffava regolarmente. Ed essendo freddo le usciva pure la nuvoletta di aria.
Era uguale ad una locomotiva.
A questo paragone Nic sorrise tra sé e sé.
An sentendolo felice e sapendo perché, si sentì letteralmente presa in giro. Mise su il muso. Proprio come i bambini di cinque anni quando la mamma negava una loro richiesta.
Fortunatamente l'autobus arrivò proprio in quel momento e poté salire.
Oramai tutti coloro che prendevano quel mezzo regolarmente avevano un posto fisso. Così come Anna e Nicola.
Partendo da metà, erano i primi due posti a sinistra. An adorava quei posti perché proprio sotto di loro avevano un condizionatore che sparava aria calda sulle gambe. E in giorni come quelli era una benedizione divina.
L'aria calda la rilassò così tanto da dimenticarsi di tutto e da ritornare a sorridere al mondo come se fosse la giornata migliore della sua vita.
Nic, affianco a lei, invece, oltre a godersi l'aria come sua sorella, pensava. In quell'ultimo periodo ormai si ritrovava a pensare fin troppo. E i suoi pensieri erano sempre rivolti ad Emma.
Era stufo. Lui voleva dimenticare quella brutta faccenda e ritornare a parlarle come se niente fosse successo.
Guardò An. Vedendola felice, sentendola felice, diventò felice pure lui.
Era come la sua personale medicina. Se era triste, arrabbiato, nervoso, lei gli faceva dimenticare i suoi problemi con un semplice sorriso.
Gli venne in mente una frase di un libro che aveva letto An. Lo aveva così tanto ossessionato con quella frase che la sapeva a memoria. L'aveva appesa per la camera, la scriveva su qualsiasi superficie fosse possibile scrivere.

Se qualcuno ci tiene veramente. Che tu sia felice. E cerca di renderti felice. Alla fine, tu diventi felice.

Il caso non era proprio quello, ma vedere sua sorella felice lo rendeva felice.
An questo lo sapeva.
Forse per questo cercava di essere sempre allegra e raggiante. Forse per questo i suoi attimi di tristezza o di rabbia duravano poco.

Era suonata la campanella. Finalmente.
La lezione del noioso professore di latino era terminata.
Poteva godersi la ricreazione e dimenticare Virgilio e tutto ciò che riguardava Didone.
Non che in realtà avesse seguito. Lei e Carlotta, la sua vicina di banco avevano giocato tutta l'ora a tris. Suo fratello, al contrario, seduto affianco a lei, aveva ascoltato ogni singola parola e aveva preso perfetti e meticolosi appunti.
Se li sarebbe fatta passare. Lo sapevano entrambi.
Questa era la fortuna di avere un fratello studioso e amorevole.
Si alzò dalla sedia felice di aver battuto per l'ennesima volta Carlotta e uscì dalla classe andando a farsi un giro.
Prima tappa: il bagno.
I motivi erano vari del perché dovesse andarci.
Dai più ovvio come andare proprio in bagno e bere, al perché era l'unica stanza in tutta la scuola con i termosifoni accesi. E appoggiarsi con la schiena a un qualcosa di bollente era una cosa che adorava.
Soprattutto in quel mese di febbraio. Quell'anno l'inverno era stato particolarmente gelido. E pure nelle giornate di sole il freddo era sempre presente.
Di solito, poi, trovava sempre qualcuno che conosceva e fare così quattro chiacchere.
Ma mentre stava per uscire vide l'ultima persona che si immaginava di vedere in quel bagno.
Emma.
Andavano tutti e tre nella stessa scuola, ma si incrociavano raramente.
La mattina prendevano autobus diversi. Andavano in classi diverse. An e Nic avevano l'aula al terzo piano, Emma al piano zero.
Era strano che lei fosse lì.
Era pure da sola.
Gatta ci covava. An lo sapeva.
E lei era dannatamente curiosa.
 - Ciao Emma. - La salutò Anna con un grande sorriso. Era da giorni che non si parlavano. Circa da quando lei aveva smesso di parlare con Nic. Ed erano passate circa due settimane, se non forse quasi tre.
Doveva parlare con lei.
Doveva farlo per capire meglio il suo comportamento.
Voleva farlo perché era curiosa di sapere cosa ci facesse lì.
Chi la conosceva bene sapeva che dietro quel sorriso non c'era semplice gentilezza. An usava quel sorriso quando aveva un secondo fine.
 - Ciao Anna. E' da un po' che non ti vedo. - Ricambiò lei quasi timida e molto ingenuamente.
Pur conoscendo la ragazza da parecchi anni non aveva ancora capito quando lei fosse sincera e quando invece fingeva.
 - Eh si. È passato parecchio dall'ultima volta che ci siamo parlate. - Frecciatina. Anche il meno sveglio l'avrebbe colta.
Emma arrossì tutta.
Era una ragazza ingenua, ma se l'aspettava. Sapeva che Anna appena avesse avuto la possibilità le avrebbe fatto pesare l'aver cominciato ad ignorare Nic.
 - Ora io devo andare, ci si vede in giro. - Cercò di chiudere il discorso e scappare così dalle grinfie della sorella del suo migliore amico.
Non aveva le capacità per salvarsi da lei.
Non aveva la forza per farlo.
Le erano venuti i sensi di colpa già da sola, se avesse parlato con lei, An l'avrebbe fatta a pezzi.
 - No, aspetta un attimo. Ti posso accompagnare ovunque tu debba andare. Un po' di compagnia non fa mai male. E poi volevo proprio parlare con te. - Le disse prendendola a braccetto. Non poteva rifiutare così.
An sorrise vittoriosa quando sentì Emma prendere un lungo respiro.
 - Come stai? Tutto bene? - le domandò cercando di evitare di parlare di Nicola.
 - Saltiamo i convenevoli dove facciamo finta di non sapere cosa sta parlando l'altra. Sai perché sono qui. Dobbiamo parlare. In realtà io non dovrei farlo. Sei tu quella che deve spiegare parecchie cose.
Ormai erano uscite dal bagno e stavano camminando per il lungo corridoio.
Anna era stata diretta. Non aveva alzato la voce, non aveva urlato e non aveva alzato la voce. Aveva usato un tono serio, perentorio, ma non minaccioso.
Vedendo la faccia spaventata di Emma si sentì cattiva, ma provò una certa soddisfazione.
Soddisfazione nel vederla cercare di scappare dal suo braccio.
Soddisfazione nel vederla spaventata e piena di rimorsi.
 - Non mi sembra il momento. - Bisbigliò lei.
Erano in mezzo un corridoio. Erano circondate da studenti, bidelli, insegnanti.
Non era proprio la situazione ideale per parlare di una così delicata situazione.
Ma Anna non ne voleva proprio sapere di lasciar perdere.
Doveva parlare con lei.
Perciò le fece raggiungere i grandi scaloni.
Lì era molto più tranquillo. C'erano meno persone. C'era meno confusione.
Si separò da lei e le si piantò davanti.
 - Non ti sembra il momento? - Disse lei furiosa. Aveva trattenuto la rabbia per quei pochi secondi in cui si erano spostate. Ma non ce la fece più. Le riversò addosso tutta la rabbia repressa di quei giorni. Ma di nuovo non urlando. Non poteva permettersi di gridare come se niente fosse in mezzo alla scuola. - Spero tu stai scherzando. Sono due settimane che mio fratello sta male per colpa tua. Due settimane. - Al tua le aveva puntato un dito contro. Emma era intimidita da lei. Le faceva quasi paura, ma sapeva che aveva ragione. Sapeva che era colpa sua e che aveva sbagliato. - Da un giorno all'altro tu hai deciso di non parlargli più. Di trattarlo come se non esistesse. Io spero che tu abbia un motivo serio per averlo fatto. Potrei diventare una belva se così non fosse. - Emma si disse di ricordarsi di non far mai più arrabbiare Anna, perchè già in quella situazione faceva paura. Non voleva vederla allora quando si sarebbe infuriata veramente. - Sono una persona buona, solare e ti voglio bene. Ma Nicola, per colpa tua ha sofferto le pene dell'inferno. - Ad ogni tua e tu le continuava a puntare il dito. Non lo faceva volontariamente. Non si stava neppure rendendo conto di gesticolare in una maniera così evidente. - Non si è mai lamentato perché come sai lui odia lamentarsi e fare la vittima della situazione. Agli occhi degli altri è rimasto lo stesso Nicola di sempre. Ma io, tu, sappiamo che non è così. Eccome se lo sappiamo. E io sono stufa di vederlo star male per chi? Per una ragazza che ha deciso di ignorarlo.
 - Posso spiegare.
Appena Anna si fermò per prendere fiato Emma la interruppe e con la sua vocina molto timida aveva detto quelle due parole.
Sentendole, però, Anna si sentì presa in giro.
 - Non puoi. Devi. - Ribadì lei in modo severo. Poi il suo tono si abbassò. Si fece più triste e forse si addolcì pure un po'. - E non dovresti spiegare a me, ma a lui. È lui quello che passa intere giornate a tormentarsi perché convinto, magari, di aver fatto qualcosa di sbagliato. Quando non è così.
Emma si sentì terribilmente in colpa. Sapeva che sarebbe successo, era per questo che non voleva parlare con lei. Le avrebbe fatto pesare di aver fatto male a suo fratello.
Vide una figura avvicinarsi. Non ci fece particolarmente caso però su chi fosse. Era troppo concentrata sul suo dolore. Sui suoi rimorsi.
Ma appena parlò lo riconobbe. Riconobbe la sua voce.
Fu come un pugno nello stomaco.
 - An, cosa sta succedendo? - Domandò lui curioso, preoccupato.
Colse della paura. Le sembrò pure un po' scocciato.
Un mix di sentimenti.
 - Niente, Nic. Stavo conversando amichevolmente con Emma. L'ho incontrata in bagno, l'ho salutata e siccome era da un po' che non ci vedevamo ho deciso di accompagnarla in classe. - Gli rispose innocentemente Anna con un sorriso. Come se fosse la cosa più naturale di sempre.
Nicola sapeva cosa era successo, l'aveva sentito dentro di sé.
Appena si era reso conto che An si stava arrabbiando si era alzato velocemente dalla sedia, scusandosi con Pietro, e si era messo a cercarla.
Le era grato del gesto ma ora voleva solo farla finita lì. Voleva solo trascinare sua sorella in classe e perciò disse la prima cosa che gli venne in mente.
 - An, andiamo via. Tra poco suona la campanella e Piazzoli interroga.
E se la portò via.





 

Ma buondì Bella Gente.
Io non dovrei essere assolutamente qui
ma su un libro di letteratura inglese e di storia dell'arte
e magari pure di filosofia.
Ma ci tenevo ad aggiornare nonostante
questo capitolo mi terrorizzi.
Non per il fatto che possa essere scritto male,
cosa che sta a voi decidere,
ma più che altro per come ho fatto interagire i personaggi.
Ma va beh, queste sono le mie solite seghe mentali.
Niente, spero come al solito vi possa piacere.
So che probabilmente non vi ringrazio abbastanza,
ma vi devo tanto.
E' grazie a voi che questa storia sta andando avanti.
Conoscendomi io non l'avrei mai finita.
Grazie, grazie, grazie.
Vostra Luce.
Un abbraccio infinito tutto per voi.

Per chi volesse, questo è il mio Twitter: https://twitter.com/LuceBre

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ottavo capitolo. ***


Ottavo capitolo.


Appena aveva riconosciuto la voce di Nicola, Emma aveva avuto un vuoto nello stomaco.
Non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi. Non aveva voluto vederci il dolore e la tristezza che pensava avesse.
Anna aveva ragione.
Lei sapeva che stava soffrendo. Lo vedeva.
Lo percepiva da quelle poche volte che, incrociandolo, lo guardava.
Il suo sguardo non mentiva. Non sapeva mentire. Almeno non con lei. Non con An.
Rimase immobile sulle scale. Sapendo benissimo di essere rimasta sola.
Anna e Nicola se ne erano andati.
Una lacrime scese. Una sola.
Aveva ancora la testa abbassata.
Ferma.
Non riusciva a muoversi. Percepiva gli altri camminarle affianco. Sentiva qualche sguardo su di sé.
Lo ignorava.
Il suono della campanella la risvegliò. Con la manica asciugò quella lacrima che lentamente stava ancora scendendo e corse giù dalle scale verso la sua classe.

 - Guarda che non è vero che interroga. - Disse An mentre suo fratello se la stava trascinando dietro di sé tenendola per un braccio in una angolo di un corridoio dove c'era un po' di calma.
 - An, spiegami, per favore, che cosa stavi facendo. Spiegamelo perchè io proprio non capisco. - Parlò lui ignorando il commento di sua sorella.
Sembrava quasi senza parole. Come se non sapesse più cosa dire al comportamento non voluto di Anna.
Ma c'era anche tristezza nella sua voce.
Lei aveva avuto il coraggio di fare ciò che lui non avrebbe fatto neppure in sogno.
E forse c'era anche un po' di isteria.
 - Cosa stavo facendo secondo te? Pettinavo le bambole? Ero lì per giocare alla famiglia felice? - La sua ironia era alle stelle. Quello che stava facendo era logico. Ovvio. - Odio questa situazione. Odio vederti star male. Odio lei.
In verità non la odiava veramente. Col tempo aveva iniziato ad apprezzarla, ma odiava il fatto che lei lo avesse fatto soffrire.
 - Non dovevi intrometterti così senza dirmi nulla. Avevamo detto che ne avremmo parlato insieme. - Il suo tono era serio. Perentorio.
 - Se avessi aspettato una tua mossa probabilmente sarei arrivata a morire di vecchiaia. - Sbuffò lei sapendo di avere ragione. - Senti, Nic, non ho fatto una scenata così per nulla. C'è un motivo. Sapere che io sono arrivata a parlarle, a dirle in faccia che tu stai male. - Nicola la guardò male. Se con uno sguardo avesse potuto torturarla, lo avrebbe fatto. - Oh, non guardarmi così. È la verità. - Ribadì lei con lo stesso tono annoiato di prima. Forse pure un po' sulla difensiva.
 - Non mi importa se è la verità. Non volevo che lei lo sapesse.
Ora era leggermente arrabbiato. Sapere che Emma sapesse che lui stesse male lo faceva star peggio.
Voleva sembrare forte, invincibile. Non voleva avere alcun punto debole. O almeno, voleva mostrare di non averne.
 - Lei era la prima a rendersene conto. - Gli fece notare. Lui continuava a non essere d'accordo con Anna. La guardava storto come se pretendesse una spiegazione. Allora lei gli spiegò il perché del suo gesto. Gli spiegò perché fosse andata a parlare con Emma, o meglio, perché avesse colto al volo l'occasione di parlarle. - Senti, quella ragazza aveva bisogno di una svegliata. Aveva bisogno di qualcuno che le dicesse la verità così come stava. Le ho fatto semplicemente aumentare i sensi di colpa. Entro un paio di giorni vedrà sicuramente a parlarti. Stanne certo fratello. - Lo disse con un sorriso. Era certa delle sue parole e sperava di poterlo calmare. Di poter, per ora, chiudere lì il discorso.
 - Ma se non fosse stata pronta? Forse c'era un motivo per cui non mi parlava. - Era preoccupato per lei.
Anna si aspettava qualsiasi reazione da Nicola, ma sicuramente non quella che ebbe. Come poteva preoccuparsi per lei dopo che lo aveva fatto star male? Non capiva.
 - La stai difendendo? Dimmi che ho capito male e tu non hai detto quello che ho sentito. Fino a ieri le davi della stronza, per motivi idioti, ma lo facevi, ed io cercavo di difenderla perché so che le vuoi bene. Cos'è? Abbiamo invertito i ruoli?
La campanella di fine ricreazione suonò.
Nic si spostò per dirigersi in classe.
 - Dopo ne riparliamo. - Le disse lui.
Era un bravo ragazzo, non poteva arrivare in ritardo a lezione. Ma era contento che la campanella fosse suonata proprio in quel momento.
Salvato in calcio d'angolo.
Non avrebbe resistito alle accuse di sua sorella.
 - Ti preferivo quando ce l'avevi su con lei che con me, ma, come dice il mio libro, meglio incazzati che tristi. - Disse An seguendolo parlando al vento. A sé stessa. A lui.

Piazzoli, meglio conosciuto come l'insegnante di matematica, non aveva interrogato. Aveva continuato con l'argomento del momento: problemi parametrici.
Anna adorava quell'ora.
La matematica era bianca o nera. Giusta o sbagliata. Non si poteva dare più interpretazioni.
Così era e così rimaneva.
Era sempre andata bene. Dalla prima elementare, quando il massimo che dovevano fare era una banale addizione, alla quarta superiore dove si ritrovava circondata di rette e parabole, cerchi e triangoli, seni e coseni, x e y.
Forse questo era dovuto al fatto che fosse la sua materia preferita.
Nicola, al contrario, non ne vedeva tutta questa bellezza che notava sua sorella. Se la cavava, certo. Prendere sette non era assolutamente un problema, ma non era quello a cui lui si interessava.
Lui sapeva che nella vita non avrebbe fatto l'insegnante di matematica o il fisico. La matematica era solo una cosa di passaggio. Nulla di permanente.
Nonostante questo prendeva sempre meticolosi appunti.
Anna, pur essendo l'unica materia in cui non aveva bisogno di seguire e per di più l'insegnante le dava parecchia libertà, era sempre attenta e non si perdeva neppure una parola.
Sempre pronta a correggere il professore nel caso sbagliasse. Sempre pronta a fare domande. Sempre pronta ad aiutare Carlotta o Nicola nel caso del bisogno.
Era un'ora di lezione che le metteva felicità. La tranquillizzava.
I libri erano la sua prima passione, la matematica era un metodo di rilassamento.
I libri erano una realtà, la matematica era una fantasia.
Uscì dall'aula sorridente.
La discussione di prima era stata completamente dimenticata.
Non si ricordava né di Emma, né di Nicola. Infatti si era preparata la cartella ed era andata fuori senza pensare a lui.
Ogni lunedì era così. Dopo le due ore di matematica, Nic doveva affrettarsi per raggiungerla e solo dopo alcuni minuti poteva parlare con lei.
All'inizio vederla uscire così senza degnarlo di uno sguardo, gli aveva dato fastidio. Sentendo però le emozioni della sorella, aveva capito. Aveva capito che per lei quell'ora di lezione era il paradiso e non era in grado di connettere per un paio di minuti dopo aver finito perché doveva ritornare sul pianeta Terra. Doveva ritornare tra i comuni mortali.
Nic, sapendo tutto questo, non aveva osato ritirare fuori il discorso.
Ritornarono a casa tranquilli e poterono studiare in pace, ognuno per conto loro, senza essere minimamente disrturbati.
Nicola aveva fatto in modo di non pensare alla conversazione avuta con Anna. In questo modo non si era rovinato l’umore e non aveva destato sospetti nella sorella che, sentendolo tranquillo, non si era preoccupata.





 

Buon lunedì Bella Gente!
Eccomi qui con un nuovo capitolo.
Spero con tutto il cuore che vi piaccia,
perché nel caso fosse possibile,
mi sono fatta ancora più paranoie che per il capitolo precendete.
Per questo voglio ringraziare Francesca.
E' sempre bello vedere il vostro sostegno
e perciò non posso che dirvi:
GRAZIE.
Con tutto l'affetto del mondo,
un enorme abbraccio.
Vostra Luce.

Twitter: https://twitter.com/LuceBre

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nono capitolo. ***


Nono capitolo.


Il martedì era una giornata noiosa.
Scolasticamente parlando era un giorno noioso. Cinque ore di lezione tra cui tre di educazione fisica e religione.
Sua sorella andava a fare la baby-sitter ai figli di amici di famiglia. Stava via sempre un paio di ore e lui rimaneva da solo.
Anna li andava a prendere a scuola. Li portava a casa. Preparava loro la merenda. Li aiutava a fare i compiti. Giocava insieme a loro aspettando l'arrivo dei loro genitori verso le sei e mezza.
Perciò Nicola si era ritrovato a casa in camera sua ad ascoltare la riproduzione casuale del suo ipod fissando il soffitto.
Era semplicemente annoiato.
I compiti li aveva fatti tutti. Aveva studiato tutto.
Voleva fare qualcosa, non aveva però voglia di alzarsi dal comodo letto.
Niente attirava la sua attenzione e su niente riusciva a concentrarsi.
Aveva il pensiero fisso su Emma, sulla discussione avuta con sua sorella.
Il giorno prima era quasi riuscito a non pensarci.
Aveva avuto da studiare. Aveva aiutato suo papà a sistemare la terrazza. Al contrario di ciò che si aspettava al pomeriggio era venuto fuori un caldo sole ed era una delle prima giornate soleggiate, insieme al giorno di Carnevale, dopo un lungo periodo di freddo e pioggia.
Il mal tempo aveva causato qualche problema che fortunatamente erano riusciti a risolvere facilmente ma con fatica.
Per questo motivo l'unico momento in cui aveva avuto effettivamente avuto tempo di pensare era stata la sera. Disteso sotto le coperte al buio.
E aveva pensato. Pensato parecchio.
Per un paio di ore non aveva chiuso occhio. Troppo concentrato su Emma e su tutto ciò che lei aveva portato nella sua vita.
Dalla splendida amicizia a quella rottura che sperava essere momentanea.
All'una e mezza era ancora sveglio.
Anna sentiva che lui non era per nulla tranquillo. Sapeva a cosa stava pensando. Si rendeva però conto che non poteva fare nulla per aiutarlo. Il massimo che poteva e voleva fare, il massimo che aveva fatto, era dare una spinta affinché si parlassero.
Non di più.
Era una cosa che riguardava loro e loro soltanto.
Lei non c'entrava nulla nella loro coppia.
Il problema in quel momento era che il cervello di Nicola stava lavorando troppo e troppo pesantemente e lei, per questo, non riusciva a dormire.
Pirla, dormi.
Leggendo il messaggio di Anna si sentì in colpa.
Stava pensando troppo e lei lo sentiva. Percepiva tutto ciò che gli passava per la mente.
Dalla gioia alla tristezza. Dalla nostalgia al dolore.
Le impediva di dormire.
Gli venne un'idea. Era una cosa che non facevano da un po' e ora che se ne rendeva conto gli mancava.
Posso?
Sapeva la risposta. Gli avrebbe subito detto di sì, ma preferiva chiedere. Infatti un minuto dopo lei rispose confermando.
Si alzò velocemente dal letto. Forse avrebbe dovuto mettere un pigiama. Aveva fretta e non ci pensò. Uscì dalla camera e più silenziosamente possibile si avvicinò alla stanza della sorella. Entrò e si sdraiò sotto le coperte insieme a lei.
 - Sei freddo. - Parlò An.
Era stanca. Aveva solo voglia di dormire. Si notava dalla sua voce. Dal tono basso e roco e dalle parole mangiate.
Lui si avvicinò ancora di più a lei. Non perchè non ci stessero. Avevano entrambi un letto ad una piazza e mezza. Ma per avere un maggiore contatto fisico.
Lui non rispose. Lei non si ritrasse.
Nic iniziò a carezzarle dolcemente i capelli. Era una cosa che la rilassava e l'avrebbe sicuramente aiutata a dormire.
Le bastarono pochi minuti per addormentarsi. Il respiro si fece più pesante e regolare.
Si concentrò su quello. Non voleva più pensare ad Emma.
Non era come contare le pecorelle che saltavano la staccionata.
Concentrandosi sul respiro della sorella, regolò involontariamente il suo a quello di lei.

Non si accorse di essersi addormentato fino a che la loro mamma venne a svegliarli.
La mattinata a scuola era stata tranquilla.
Appena ritornati a casa aveva ricominciato a piovere.
Dopo pranzo lui si era messo a studiare. Lei invece aveva preso in mano un libro che le ispirava ormai da parecchie settimane e sperava che ne valesse la pena. Io uccido.
Quando poi Anna era uscita si era reso conto di essere solo e di non aver niente da fare.
Per questo si era ritrovato sdraiato sul letto ad ascoltare musica ed a pensare, ancora, ad Emma.
Un suono però lo risveglio dalla sonnolenza che lo stava prendendo, dovuta anche alle poche ore di sonno.
Era il suono del citofono.
Sapeva di dover andar lui ad aprire. Era solo in casa.
Di mala voglia uscì dalla camera e andò verso la porta, dove c'era, appunto, il citofono.
 - Chi è?
Si capiva chiaramente che era stanco, annoiato. Che l'ultima cosa che voleva fare era proprio quella di essere lì a chiedere a uno sconosciuto chi fosse.
Il silenzio fu l'unica risposta che ricevette.
 - Chi è? - Provò lui a domandare di nuovo. Magari non aveva sentito.
Di nuovo nessuno rispose
Stava per riattaccare la cornetta quando sentì un sospiro. E poi il suo nome.
 - Emma.
Con che coraggio si era presentata lì?
Questa era la domanda che entrambi pensarono appena lei pronunciò il suo nome.
 - Emma. - Ripeté lui quasi in automatico. Senza rendersene conto.
 - Ho bisogno di parlarti. Ho bisogno di spiegarti. - Parlava con timore. Con timidezza. Ma lui non diceva nulla. Neppure una parola. - Ti prego.
Lui aprì semplicemente il cancello.
Sperava che la seconda porta fosse aperta. Ne dubitava. Ma ci sperava vivamente.
Il fato non era dalla sua parte perché il citofono suonò di nuovo.
La forza lo aveva abbandonato. Sembrava un robot. Un automa.
Le riaprì la porta e le aprì pure la porta di ingresso.
Lui non sapeva cosa fare. Dove mettersi. Cosa farne delle mani. Sedersi o stare in piedi?
Lei si era fermata all'entrata. Ferma immobile. Senza muovere un muscolo.
Si guardarono negli occhi. Si fissarono. Impressero l'immagine dell'altro nella proprio mente.
Fu Nicola a fare la prima mossa. Fu lui a muoversi per primo. Fu lui a spostarsi dalla posizione in cui era per lasciare passare Emma. Lasciarla entrare in casa.
Questo gesto era molto più del gesto in sé. Aveva un significato più profondo.
Mi fido di te.
Emma entrò con una lentezza quasi esasperante.
Nicola allungò il braccio. Voleva la sua giacca.
Non aveva il coraggio di affrontare la situazione. La formalità era la prima cosa che gli era venuta in mente per posticipare il confronto.
 - Nicola, dobbiamo parlare.
Emma non voleva dargliela. Era venuta lì per un motivo e finché non gli spiegava non si sarebbe calmata. Sapeva che sarebbe rimasta lì poco. Perché togliersela?
 - Emma, dammi la giacca. - Dalla sua voce non traspariva nessuna emozione. Solo stanchezza.
 - Nicola, parliamone.
Perché stava scappando da lei? Perché non le dava la possibilità di chiarire? Perché voleva complicare tutto?
 - Emma, dammi la giacca. - Scandì ogni singola parola. Era categorico. Pretendeva di avere quella giacca. Non avrebbe fatto nulla finché lei non gliela avesse data.
Lei lo guardò negli occhi.
Vide paura. Disperazione.
Lui non se ne rendeva conto. Era stato bloccato dalle sue emozioni. Ma lui aveva bloccato loro.
Emma capì che se voleva risolvere la situazione, doveva assecondarlo. Doveva fare quello che lui chiedeva.
Gli diede la giacca che sistemò velocemente sull'attaccapanni.
Lei era ancora ferma. Non si era mossa.
Non sapeva se era meglio sedersi o rimanere in piedi. Lui però prese la situazione in mano e si sedettero sul divano. E le offrì una tazza di te. Come un perfetto padrone di casa.
 - Nicola, grazie. Ma preferirei di no. - Parlava a bassa bassa voce. Aveva lo sguardo abbassato sulle sue scarpe. Non voleva rivedere quegli occhi pieni di dolore.
Era strano che lei avesse trovato il coraggio di andare da lui e cercare di parlargli. Era sempre stata una persona timida e introversa.
Con Nicola era diverso. Lui era il suo migliore amico. Riusciva ad essere più espansiva, a sorridere di più ed a non diventare rossa ogni volta che qualcuno le faceva un complimento o la ringraziava.
Era una persona gentile.
Se poteva cercava di dare una mano. Le piaceva ascoltare le persone ed aiutarle.
Il suo sogno era quello di fare la psicologa.
Se non fosse stata per questa timidezza ce l'avrebbe fatta sicuramente senza fatica.
Era brava.
Un conto però era aiutare le persone a lei vicine. Un altro era aiutare perfetti sconosciuti. Gente di cui non sapeva niente.
Conoscere nuove persone la intimoriva.
Per questo i primi giorni di scuola delle superiori erano stati abbastanza difficili.
Se non fosse stato per Nicola avrebbe fatto amicizia con loro dopo un anno di convivenza. Grazie a lui era riuscita a creare un buon rapporto con i suoi compagni.
Ci teneva a loro. Ognuno a modo suo era diventato importante. E questo solo grazie a Nicola, il suo migliore amico.
Invece ora era lì. Seduta sul suo divano senza neppure il coraggio di guardarlo negli occhi. Seduta sul suo divano comportandosi entrambi come se fossero due estrani, come se sette anni di amicizia non fossero mai esistiti.
Avevano paura.
Nicola non parlava, la guardava, ma non dice niente.
Emma sentiva il suo sguardo su di sé. Lo sentiva pesare. Più lui la guardava più lei abbassava la testa.
Non potevano rimanere lì seduti a non fare nulla. Non potevano. Uno dei due dove dire qualcosa. Doveva iniziare. Doveva essere coraggioso.
Lui sembrava aspettare Emma. Sembrava volerle concedere l'onore di parlare per prima. In realtà era spaventato. Non sapeva cosa dire. Cosa fare.
Sperava che lei iniziasse. Voleva che lei iniziasse. Non era in grado di dire neppure una mezza sillaba riguardo al vero motivo per cui lei era lì.
La forza che Emma aveva avuto quando aveva deciso di venire a casa di Nicola era scemata. Era scomparsa. Doveva però farcela comunque. Doveva mettere la timidezza e il terrore di non essere capita da parte e parlare.
 - Nicola.
Lui la interruppe prima che lei potesse continuare. Sentirla parlare aveva fatto scattare una molla dentro di lui.
 - Smettila dire il mio nome. Smettila. Cosa sei venuta a fare qui? Cosa? Per rinfacciarmi che sono stato un pessimo amico perché non ti sono stato accanto quando avevi bisogno? - Lei lo guardò sconvolta. Non poteva sapere cosa aveva passato. Non poteva sapere. Aveva fatto di tutto per non farglielo capire. - Pensavi che non me ne sarei accorto? Pensavi, eh? Appena sei apparsa sulla soglia di casa, appena ho visto i tuoi occhi ho capito il perché mi hai allontanato. Ho visto paura. Ho visto dolore. Ho visto tristezza. I tuoi occhi sono pieni, colmi di tristezza. Pure adesso. Pure adesso che mi stai guardando stupita. Senza parole. Pure adesso vedo la tristezza. È padrona di te. Del tuo corpo. Del tuo cuore. Della tua anima. Tu stavi male e io non ti sono stato accanto. Non sono riuscito a vedere. E tu sentendoti sola, sentendoti abbandonata hai deciso di allontanarmi.
Emma parlò interrompendolo. In lacrime.
I suoi occhi puntavano sullo sguardo di Nicola.
 - Taci. Non continuare a parlare. Tu non hai capito. Tu non sai.
Le lacrime scendevano dal suo volto. Non era arrabbiata. Era delusa dal fatto che lui avesse frainteso.
Aveva capito che aveva un problema. Aveva visto che c'era qualcosa che non andava, ma il motivo dell'allontanamento non lo aveva compreso.
Sentirlo darsi la colpa per qualcosa che non aveva fatto, per qualcosa che non stava né in cielo né in terra, le faceva male.
 - Sei la mia migliore amica, so cosa ti passa per la testa, so quando stai male, quando il tuo sorriso è vero, quando mi menti, quando sei effettivamente felice. Lo so.
Era convinto di quello che diceva. Ed era effettivamente vero. Nicola la conosceva bene. Allora perché non capiva?
 - Smettila. - Urlò. Prese un bel respiro profondo eliminando le lacrime dai suoi occhi e asciugandole sul suo viso con la manica della sua felpa. Riabbassando il tono continuò. Flebile, quasi senza voce. - Tu non sai. Sì, sono stata male. Sì, ho e ho avuto dei problemi. Sì, ti ho allontanato. Ma non per il motivo che pensi tu. Tu sei la persona migliore che io abbia mai incontrato. È bellissimo vedere il rapporto che hai con Anna. Siete bellissimi. A volte sono invidiosa di voi. Sono gelosa di lei.
 - Gelosa? Gelosa di lei? - Balbettò lui stupito.
 - Sì. Sono gelosa di Anna. Insieme sembrate, siete inseparabili. Potreste combattere contro il mondo intero e ancora sareste in grado di vincere. Siete quella che viene chiamata perfezione. Insieme siete completi.
Emma parlava a bassa voce. Nicola, però aveva capito ogni singola parola.
Si stupiva che lei li vedesse in quella maniera e che non avesse mai avuto il coraggio di dirglielo. Sentiva la verità nella sua voce, nelle sue parole. Sentiva che era quello che pensava lei veramente.
 - Perché non me lo hai mai detto? - Le domandò lui atono.
 - Perché non era importante. Perché mi fa sentire inferiore. Perché non è questo il problema. Non è Anna. Non è per lei che ho smesso di parlarti. Non è per lei che ora siamo qui a parlare.
 - Allora perché siamo qui? - Chiese Nic con voce ferma.
 - Siamo qui perché io non sono stata bene e non volevo che tu ti preoccupassi per me. Che avessi pena per me. Non volevo. Poi ieri ho parlato con Anna. O meglio, lei ha parlato con me. Mi ha fatto capire che era inutile restarti lontana. Ti ho fatto stare male allontanandomi. Ho agito senza pensare cosa sarebbe successo a te. Ho agito senza pensare alle conseguenze. - Rimase in silenzio per un paio di secondi cercando le parole per continuare. Per arrivare alla conclusione del discorso senza piangere. Le lacrime scese qualche minuto prima erano bastate. - In questi giorni mi sono resa conto che stavi male. Lo vedevo nei tuoi occhi tutte le volte che ti guardavo di nascosto senza che tu mi notassi. Ma non volevo effettivamente rendermene conto. Non volevo credere che stessi veramente male solo perché io me ne ero andata. Perché io avevo cominciato ad ignorarti. Vederti con Anna, vederti felice come solo lei sa fare mi faceva sentire meglio, meno in colpa. E aiutava ad ignorare il tuo dolore. O meglio, aiutava a vederlo e dimenticarlo. - Lei smise di parlare per alcuni istanti per prendere fiato. Per vedere la sua reazione. Per vedere i suoi occhi. Per vedere che lui che la guardava con i suoi bei occhi lucidi. Fermi. Fissi su di lei. Sugli occhi di lei. Continuando a non dire una parola. - Poi Anna è venuta da me. Abbiamo parlato. E ho capito che dovevo finirla. Dovevo finirla di starti lontana. Non potevo continuare così. Io avevo bisogno di te. Ho bisogno di te. Tu avevi bisogno di me. Avevi bisogno della tua migliore amica. Avevi bisogno di tornare a sorridere veramente di nuovo. - Guardandolo bene bene negli occhi, guardando la sua anima nei suoi occhi continuò. - Io avevo bisogno di un tuo abbraccio. Ho bisogno di un tuo abbraccio. Voglio un tuo abbraccio.
Non parlò più. Si guardarono semplicemente negli occhi.
Emma aspettando un gesto di Nicola.
Nicola assimilando le informazioni che Emma gli aveva appena dato.
Perché si era accorto solo ora del suo dolore? Il suo allontanamento era una palese richiesta d'aiuto. Perché non aveva insistito e non era andato ad aiutarla? Avrebbe dovuto capirlo. Rendersene conto. Lei non se ne sarebbe mai andata via così. Senza un motivo.
Non se ne sarebbe mai andata. Punto.
Nicola si stava incolpando per essere stato così cieco, così ottuso davanti ad un suo problema. Davanti al problema della sua migliore amica. Una delle persone più importanti per lui.
 - Cos'hai?
La domanda gli uscì spontanea.
Aveva bisogno di capire. Aveva bisogno di sapere.
 - Nicola, per favore.
Per un momento Emma aveva abbassato lo sguardo. Stanco.
Sentendolo parlare lo aveva rialzato.
Sapeva che le avrebbe posto quella domanda prima o poi. Lo sapeva.
Sperava però non subito.
Aveva bisogno di forza, di coraggio. Cose che non aveva. Cose che un suo abbraccio le avrebbero dato.
 - Cos'hai? Cosa hai avuto? Cosa ti ha portata lontana da me? Cosa è successo? - Domandò lui.
Non demorse. Voleva sapere.
 - Possiamo parlarne in un secondo momento?
Non aveva il coraggio di riguardarlo negli occhi. Si guardò perciò le punte delle scarpe umide a causa della pioggia.
 - Emma. - La riprese lui.
 - Diciamo.. diciamo che non sono stata bene. Ecco. - Si rendeva conto che non bastava come spiegazione e aggiunse un'altra patetica spiegazione. - Ho avuto un piccolo momento di crisi. Ma va bene così.
Mentire non era stato mai così difficile. Ma doveva provarci.
 - Emma.
 - Veramente. È tutto a posto. - Lei ci riprovò a dire che andava tutto bene. Che la situazione ormai era tranquilla. Ma neppure lei credeva alle sue stesse parole.
 - Emma, ti sembro stupido? Perché mi stai mentendo? Perché non mi vuoi dire cosa hai passato? Perché? - Chiese lui non capendo.
 - Perché non è grave. - La voce era bassa. Lo disse come se si vergognasse di quelle parole.
 - Se ti ha allontanato da me, allora è grave. - Ribadì Nicola.
Lei non rispose sapendo benissimo che questa battaglia l'aveva vinta lui.
Non disse nulla. Non lo guardò.
I suoi occhi si erano fatti lucidi, ma non stava ancora piangendo.
Era al limite. Non voleva però crollare davanti a lui.
Nicola la stava fissando. Aspettava cercando di capire i suoi sentimenti, cosa provava dal suo corpo.
Per Emma non era una situazione facile e lui l'aveva messa con le spalle al muro.
Sapeva di star sbagliando.
Sapeva che il suo era solo un atteggiamento egoista, ma aveva bisogno di sapere.
Voleva aiutarla, ma lei continuava a mentirgli.
Lo capiva dal movimento nervoso delle mani e dalle gambe troppo composte e troppo ferme. Immobili. Con i piedi piantati a terra. Entrambi.
Quando era rilassata incrociava le gambe o si sedeva in modo scomposto. Odiava sedersi decentemente. E quando le facevano notare che non era una posa elegante la sua, provava a mettersi composta. Ma dopo tre minuti, senza rendersene conto, si riposizionava come era più comoda lei.
Col tempo aveva imparato a conoscerla. Col tempo aveva imparato ad accettare ogni lato di Emma. Della sua migliore amica.
Adorava il suo lato timido. Adorava vederla arrossire ad un semplice grazie. Adorava i muffin che cucinava solo per lui. Adorava i suoi momenti di crisi quando non si sentiva abbastanza. Li adorava perché lui poteva abbracciarla e tenersela stretta per tanto tempo, dandole tutto l'affetto, tutto il sostegno di cui aveva bisogno.
Era in quei momenti che lei cambiava totalmente.
Non sembrava più la ragazza indifesa, timida, dolce, sempre pronta ad aiutare gli altri.
Si trasformava.
L'agitazione prendeva possesso di lei. Camminava avanti e indietro, tutto rossa in viso con lacrimoni che le scendevano sulle guance. Ignorandole completamente.
L'unico modo per calmarla, per farla sfogare, per farle capire che ciò che pensava non era vero, doveva abbracciarla, dirle parole dolci lasciando che le lacrime uscissero tutte.
Si comportava come se fosse il suo fidanzato.
Si sarebbe però fatto da parte quando sarebbe arrivato. Lui sarebbe stato solo il suo migliore amico. Le sarebbe sempre stato accanto nel caso di bisogno, ma sarebbe passato in secondo piano.
Il suo ragazzo avrebbe avuto il ruolo principale. Avrebbe preso la maggior parte del suo tempo.
 - Emma, per favore. Guardami. Parlarmi. Sfogati. Qualsiasi cosa sia. Fallo. Sono qui per questo. Per farti stare bene. - Decise di cambiare tattica.
Sapeva che se non ne aveva parlato con lui, non l'aveva fatto con nessuno. Voleva dire che erano tre settimane che si teneva tutto dentro. Lui era curioso di sapere cosa fosse successo. Antepose però il bene di Emma.
Se si fosse lasciata andare sarebbe stata meglio.
Lei, sentendolo dire quelle frasi, iniziò a piangere. Non singhiozzava. Le lacrime scendevano però veloci e continue dai suoi occhioni azzurri. Rimanendo sempre con la testa piegata. Con i capelli che le coprivano metà viso.
I capelli mossi e mori che lei tanto adorava.
Nicola continuava a fissarla. Si accorse del suo pianto.
Si sentì morire dentro.
Voleva stringerla forte tra le sue braccia. Voleva trasmetterle tutto il calore e l'amore di cui aveva bisogno.
Senza pensarci, preso da uno scatto, l'abbracciò.
Sentendo le braccia del suo migliore amico che le circondarono il collo le si bloccò il respiro.
Quello che aveva desiderato da giorni finalmente era avvenuto. Finalmente Nic l'aveva stretta a sé.
Dall'emozione che provò iniziò a singhiozzare. Le spalle presero a tremare convulsamente.
Al che lui l'abbracciò ancora più forte. Accarezzandole i capelli.
 - Emma, andrà tutto bene. Non ci sono stato. Ma ora sono qui. Sono qui per te. Sono qui per aiutarti. - Le sussurrò ad un orecchio confortandola. - Emma, Emma, la mia Emma.
Lei non smetteva di piangere. Si sentiva inerme di fronte al mondo. Indifesa di fronte alla vita. Non aveva neppure la forza di ricambiare l'abbraccio tanto desiderato. Ma in quel momento non se ne preoccupava.
Era doveva voleva essere. Il resto veniva dopo.
Pianse. Lasciò uscire le lacrime per parecchio.
Passarono minuti e lui continuava a dirle cose dolci. Parole che sentiva veramente.
Continuava a ripetere che non l'avrebbe lasciata di nuovo da sola e che ne sarebbero usciti insieme da quella situazione.
E lei si calmò.
Il respirò torno normale. Gli occhi erano rosso sangue, ma avevano finito di lacrimare.
Solo dopo aver preso un bel respiro profondo ricambiò l'abbraccio del suo migliore amico. Lo strinse così forte da farlo ridere.
Non si sarebbe più staccata da quelle braccia se non fosse giunta l'ora di parlare, di spiegare.
Si allontanò quel tanto che bastava da rimanere comunque vicinissimi e parlare tranquillamente.
 - Forse quando ho deciso di venire qui, l'ho fatto con l'intento di parlare con te. Non per spiegare il perché delle mie azioni, ma perché avevo bisogno di qualcuno a cui dire tutto ciò che mi passava per l'anticamera del cervello. Sfogarmi. Potermi liberare di un peso e trovare una soluzione a un problema che forse non reputerai importante. A un problema che in questi giorni mi ha afflitto. A un problema che mi portato lontana da te.
Parlava a lui, ma anche a sé stessa. Per la prima volta da quando tutto era iniziato ne parlava a voce alta. E lo ammetteva al mondo.
 - Io ti sono qui accanto. - Nicola la interruppe.
Lei lo ignorò e continuò con il suo discorso.
 - Solo che mi sento stupida. Ho passato ore a nascondere le mie emozioni. Esternarle ora mi sembra come aver buttato ore così nel nulla.
Quasi si vergognava. Si vergognava di aver celato i suoi sentimenti. Si vergognava a parlarne.
 - Cosa che hai effettivamente fatto.
Nic commentava tutto ciò che Emma diceva. Lei però non lo ascoltava.
Non voleva sentire cosa aveva da dire.
 - E non so neppure da dove è partito il tutto. So solo che quando mi sono accorta di star male era troppo tardi per poter tornare indietro o ignorare. Dovevo affrontarlo. Ma mi faceva paura. Mi intimidiva ed ero, sono convinta che è una cosa che dovevo, devo fare da sola. Dovevo capire i miei punti di forza. Cosa dovessi cambiare. Cosa dovevo invece mostrare a me stessa e agli altri.
Lo sguardo era sempre rivolto alle sue ginocchia. Il suo tono era basso e ogni tanto la voce le tremava. Al che Nicola iniziava ad accarezzarle dolcemente la gamba per tranquillizzarla.
 - Tu non devi cambiare.
Se prima aveva semplicemente commentato ciò che la sua migliore amica diceva, in quel momento era la serietà fatta in persona.
Lei non doveva cambiare per nessuno.
Aveva pregi e difetti. Come tutti.
Questo era ciò che caratterizzava ogni persona.
 - Non era un semplice non sentirsi abbastanza. Era più un sentirsi completamente sbagliata. Inutile. Mi sveglio un giorno alla mattina e vedo cose di me che non avevo mai notato. Cose che mi hanno spaventato. Non vedevo nulla di positivo in me. E sentirmi dire belle parole dagli altri non bastava. Perché io non ci credevo. Non credevo che le dicessero seriamente. Ma che lo facessero solo per farmi un piacere.
Con queste parole dimostrava di ascoltare tutti i commentini di Nicola. Di sentirli. Di ignorarli volontariamente.
 - Io ho sempre pensato tutto quello che ti ho detto.
Sulla difensiva. Si era messo sulla difensiva. Come se si sentisse accusato.
Nel suo tono però c'era anche del vanto.
Si vantava perché lui pensava veramente le cose che le diceva e sapeva di aver ragione perché la conosceva.
Conosceva il suo cuore. La sua testa.
 - Per questo ho cominciato ad allontanarmi dagli altri, da te, da tutti. Dovevo farmi un esame interiore. Un esame che mi avrebbe portato via tempo e felicità. Fingere un sorriso in classe non sarebbe stato un problema. A casa i miei genitori non avrebbero fatto domande. Il problema eri tu. Tu avresti capito che qualcosa non andava. Lo avresti capito solo guardandomi. E non volevo che ti preoccupassi. Perciò ho preso le distanze e mi sono isolata.
Già prima il tono della sua voce era basso, dicendo quelle parole si era affievolito ancora diventando un sussurro.
Emma non avrebbe mai voluto andarsene. Avrebbe preferito rimanere in contatto con i suoi amici. Con Nicola.
Ma non poteva.
L'unica soluzione era restare da sola.
Voleva risolvere. Per questo aveva messo sé stessa al primo posto.
 - Perché in effetti non mi sono preoccupato. - Ironia. Pura e semplice ironia. - Ho passato semplicemente alcune delle settimane più dure di sempre.
 - Ma non è servito. Non sono riuscita a capirmi. Non sono riuscita a trovare una soluzione. E questo mi fa solo sentire peggio. Sbagliata e incapace. - Vergogna. Non voleva dire quelle cose a voce alta. Già ammetterle a sé stessa era un problema. Dirle a qualcun altro significava renderle ancora più reali di quando già non fossero. - Io vorrei solo che questa cosa finisse. Vorrei solo dimenticare. Ma non posso. - Prese forza. Il tono si alzò leggermente. - Ogni volta che volto lo sguardo verso qualcuno trovo aspetti che dimostrano che mi è superiore. E vado sempre più in crisi. Ma è una cosa che devo affrontare. Da sola. Nessuno mi può aiutare.
Era convinta delle sue parole. Sembrava che nulla potesse farle cambiare idea.
In verità dentro di lei c'era un mare di tristezza e involontariamente stava chiedendo una mano.
Voleva che qualcuno la tirasse fuori da quella situazione che stava odiando con tutto il suo cuore.
 - Emma, io ti posso aiutare. Fatti aiutare.
Era come una supplica.
Nicola l'avrebbe aiutata. Indipendentemente dal suo consenso o no.





 

Buona sera miei bei lettori!
Come state? Alles gut?
Io sono qui a pezzi, ma fa nulla.
Come avete visto questo capitolo è più lungo del mio solito.
E' per questo che ho impiegato più tempo a scriverlo.
Non solo, ma siccome è anche un capitolo importante volevo renderlo al meglio.
Volevo che tutto fosse perfetto e ho messo l'anima nello scriverlo.
Nel correggerlo.
Perciò spero sia venuto un buon lavoro e che lo apprezziate.
Niente, sapere cosa ne pensate per me sarebbe il massimo.
Veramente.
Ringrazio Francesca per aver cercato i più piccoli errori.
Grazie per essere andata a cercare l'ago nel pagliaio.
Con tutto l'affetto del mondo e con i miei più sentiti ringraziamenti a voi che leggete,
Vostra Luce.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Decimo capitolo. ***


Decimo capitolo.


Anna camminava per strada. Ritornava a casa dopo aver passato un paio di ore con quei bambini che tanto adorava. Con quei bambini che la facevano sentire ancora come se avesse sette anni.
Si divertiva un mondo a giocare con loro. A giocare con Filippo e Daniele.
Filippo. Otto anni di gioia, forza, entusiasmo. Non aveva problemi a scuola. Se poteva però cercava di farsi aiutare da Anna. Era convinto che in futuro lui ed An si sarebbero sposati, perciò voleva renderla partecipe di tutte le sue imprese. Cercava di passare più tempo possibile con lei. Le raccontava dei suoi compagni di calcio. Di quanti goal avesse parato e di quanto fossero forti o scarsi i suoi avversari. La invitava alle partite. Quando perdeva o secondo il suo punto di vista accadeva qualcosa di grave, il suo visetto dolce diventava triste ed Anna non poteva che riempirlo di baci per la sua tenerezza. La cosa lo faceva tornare a ridere ed aumentava le sue fantasia sul loro matrimonio.
Daniele, invece, era un bambino più tranquillo. Frequentava il primo anno di scuola elementare e aveva incontrato qualche difficoltà. In particolare nella lettura. Per questo Anna aveva passato ore a leggere con lui e per lui allo scopo di aiutarlo. Parlava poco e adorava giocare con le macchinine sul tappeto del soggiorno mentre faceva merenda con un bel panino con la nutella. Tutte le volte che lei doveva tornare a casa lui l'abbracciava forte forte e la lasciava sulla porta senza aver detto una parola ritornando alle sue macchinine.
Camminava con Demons nelle orecchie a volume abbastanza elevato.
Era preoccupata.
Erano le sette e voleva solo andare a casa e parlare Nicola.
Quel martedì era stato parecchio movimentato.
Inizialmente tutto era andato bene. Tutto era tranquillo. Verso le cinque però suo fratello si era agitato tutto d'un tratto.
Era andato in crisi.
Lo sentiva dentro di sé e non poteva fare nulla. Non poteva chiamarlo.
Sapeva cosa stava succedendo. Sapeva che finalmente Emma aveva trovato il coraggio per parlargli.
Non poteva interromperli.
Doveva lasciargli il suo spazio.
Non poteva assillarlo e fargli da balia come con Filippo e Daniele.
Perciò non aveva chiamato. Non aveva fatto nulla. Aveva fatto finta di niente.
Come se lei non sapesse.
Si era comportata come sempre con i due fratelli. A quanto pare però non ci era riuscita.
Daniele oltre al suo solito abbraccio le aveva dato anche un bacio. Un bacio che l'aveva stupita e tranquillizzata.
L'agitazione però dopo un po' era ricomparsa.
Sentiva che la situazione era migliorata. Sentiva che Nic non ce l'aveva più con Emma nonostante An non capisse il perché.
Lo immaginava. Lo percepiva. Ma non lo comprendeva.
Aveva sentito pure un cambiamento improvviso. Di pura gioia. Sapeva non essere collegato ad Emma, ma era troppo preoccupata per la loro discussione da riuscire a capire cosa avesse cambiato l'umore del gemello così rapidamente.
Si fermò davanti al cancello e si mise a cercare le chiavi. Se le portava nonostante sapesse che a casa ci sarebbe stato qualcuno.
Odiava il suono del citofono. Non lo sopportava.
Sperando che Nicola e i genitori la imitassero usava sempre le chiavi. Così da non disturbare in caso ci fosse stato qualcuno in casa.
Lo aprì e presa da un gesto automatico, nonostante sapesse essere inutile, guardò se fosse arrivata posta.
Sempre la solita pubblicità.
Le dava fastidio.
Dovevano riempirle la cassetta di pubblicità quando avrebbe preferite ricevere lettere.
Sedersi sul letto.
Aprirle con il massimo dell'attenzione.
Emozionarsi alla prima parola.
Sorridere in lacrime all'ultima.
Aperta la porta di casa la invase un bel tepore.
A quanto pare qualcuno aveva acceso la stufa.
Si tolse al volo le scarpe bagnate mettendole sopra alla legna lì vicina così da farle asciugare.
Si diresse verso la cucina per salutare i suoi genitori e avvisarli di essere arrivata, prima di andare da Nicola. Aprendo la porta però trovò una sorpresa.
Seduti a tavola c'erano pure i suoi nonni.
Era una vita che non li vedeva. Un paio di mesi.
Abitavano circa a una settantina di chilometri di distanza.
Di per sé non erano neppure molti, ma per loro era un viaggio duro da affrontare essendo ormai anziani. Loro, invece, avevano poco tempo disponibile per andare a trovarli. Nonostante si sentissero molto spesso al telefono, averli davanti era tutt'altra cosa.
Vedendoli Anna si dimenticò per mezzo secondo di Nicola, dell'incontro, delle domande che voleva fargli. Si dimenticò di tutto.
Era felice.
Capì allora a cosa era dovuta la felicità improvvisa del fratello.
An e Nic erano molto legati ai genitori del loro papà.
Quando i due gemelli erano piccoli, avevano passato moltissimo tempo insieme, in quanto erano vicini di casa. Erano loro che li avevano tirati su andando entrambi i genitori a lavorare.
Col nonno Anna aveva imparato ad andare in bicicletta senza le rotelle all'età di quattro anni per fare una sorpresa ai suoi.
Con la nonna Nicola aveva sviluppato il suo palato. Rimaneva in cucina con lei quando cucinava e si divertiva ad assaggiare per capire se mancava sale, se la cottura era giusta. Ironico era che lui non sapesse cucinare. Che pur provandoci era totalmente negato.
Dalla nonna Anna aveva preso la passione per i libri. Lei le era stata dietro quando aveva imparato a leggere e dall'età di otto anni aveva cominciato a consigliarle libri che alla sua età aveva letto pure lei.
Dal nonno Nicola aveva preso la passione per lo studio, per la cura in tutto ciò che faceva.
Il nonno pure per tagliare il prato lo faceva impegnandosi. Voleva fare un buon lavoro e così faceva.
Il ragazzo aveva imparato a fare il meglio che poteva, a dare il massimo in tutto ciò che faceva.
Erano stati una grande fonte di ispirazione. Un grande modello.
Durante l'estate dei loro undici anni, prima di iniziare la prima media, si erano dovuti traferire.
Il loro papà era uno dei capi di un'azienda alimentare, la quale aveva deciso di allargare i suoi orizzonti creando una filiale ad un'ottantina di chilometri di distanza. Avevano offerto a Giacomo, il papà, di prendere le redini della nuova fabbrica e lui aveva accettato, dovendosi così trasferire non potendo andare avanti e indietro tutti i giorni.
Per Anna e Nicola il colpo fu duro. Dovevano ambientarsi in un piccolo paese in cui ci si conosceva tutti già dall'infanzia.
Anna fortunatamente non aveva mai avuto problemi a fare amicizia. Era sempre stata una bambina solare, con un grandissimo sorriso. Ispirava simpatia e gli altri ragazzi erano come attratti da lei. Dalla sua forza d'animo, dalla sua innata simpatia e dal suo modo di fare.
Nicola era sempre stato più timido e introverso. Non che non gli piacesse conoscere altre persone, solamente nei primi incontri preferiva rimanere in disparte e guardare. E fu proprio mentre guardava la sorella parlare durante la ricreazione con i loro nuovi compagni di classe che si avvicinò ad Emma.
Era pure lei una loro compagna, ma non avevano mai avuto l'occasione di parlarci.
Anna ci aveva pure provato, ma lei era talmente timida da balbettare qualche semplice monosillabo. Nicola l'aveva semplicemente osservata. La trovava un soggetto curioso. Gli sarebbe piaciuto conoscerla.
Emma era seduta sulle scale d'entrata che mangiava la sua merenda da sola.
Non sembrava triste, però Nic si sentì mosso da un sentimento che lo portò a sedersi accanto a lei.
Forse lo aveva fatto perché pensava di assomigliarsi. Forse lo aveva fatto perché voleva capire come mai fosse lì sola. Forse era solo curiosità.
Seppe di star facendo la cosa giusta quando le domandò di assaggiare il nuovo tipo di cracker che aveva visto in una pubblicità e che lei stava mangiando, ma che non era ancora riuscito a trovare. Seppe di star facendo la cosa giusta quando le offrì le sue schiacciatine in colpa per aver fatto cadere la merenda di lei. Seppe di star facendo la cosa giusta quando tutti i giorni si sedeva lì affianco a lei.
Se Anna entrava nella vita come un fiume in piena, Nicola bussava delicatamente e aspettava che qualcuno gli aprisse.
Ritrovarsi i suoi nonni a casa quindi per An fu una pura sorpresa e fu gioia.
Tanta gioia.
Giacomo e Letizia, la moglie, avevano voluto fare una sorpresa ai figli perciò finito il lavoro, la madre era andata a prendere i suoceri.
Tornata a casa, aveva trovato il figlio sdraiato sul divano a guardare il soffitto, come in catalessi. Non volle fare domande, preferì comunque fargli pensare ad altro.
 - Nicola, ti sembra il caso di occupare tutto il divano? Abbiamo ospiti.
Il tono era allegro, gioviale.
Si girò a guardarla, stupito di sentire qualcuno parlare.
Era talmente assorto nei suoi pensieri da non essersi accorto dell'arrivo in casa della mamma.
Affianco a lei vide i suoi nonni.
Li vide e un grande sorriso spuntò sulle labbra.
Si alzò velocemente in piedi e corse ad abbracciarli.
Gli erano mancati tanto e lui era mancato a loro.
Avevano passato il tempo a parlare in cucina davanti ad una tazze di te fino all'arrivo di Anna.
Anna pure sorpresa, lì abbracciò e si sedette al tavolo con loro e chiacchierarono aspettando che la cena fosse pronta.
Un ottimo risotto ai funghi preparato da Letizia che nel tempo libero si divertiva a provare nuove ricette scovate su internet, in televisione o passate da amiche.
Giacomo era arrivato subito dopo Anna il quale si era unito pure lui alla conversazione felice di vedere i suoi genitori e felice di vederli stare bene.
Dopo aver mangiato in tranquillità i due gemelli si guardarono e dopo un cenno si alzarono dal tavolo con la scusa di finire alcuni compiti.
Non avevano la minima intenzione di mettersi davanti ai libri di scuola. Volevano parlare tra di loro senza alcuna interruzione.
Anna avrebbe preferito affrontare subito il discorso, ma l'arrivo dei nonni aveva scombussolato i suoi piani e aveva dovuto posticipare.
Ora erano entrambi in camera di Nic.
Seduti sul letto.
Lei a gambe incrociate che fissava Nicola. Lui appoggiato alla testiera che guardava Anna.
Non era un semplice vedersi.
Era un'indagine.
Stavano esaminato le emozioni, gli stati d'animo dell'altro. Capivano senza aver bisogno di parlare.
An ad un tratto interruppe quell'avvolgente silenzio.
 - Cosa hai intenzione di fare, ora?
 - Cosa ho intenzione di fare? Sicuramente starle accanto. È il minimo che posso fare, ma è pure quello che voglio. Voglio aiutarla. Il problema è un altro. Non so quanto accetterà il mio aiuto e quanto impiegheremo a risolvere tutto questo casino.
Era preoccupato.
Voleva tirarla fuori da quella situazione. Voleva vederla sorridere di nuovo come un tempo. Voleva farla sentire bene.
Non sapeva però cosa fare. Non sapeva cosa le serviva per andare avanti e crescere grazie a questo periodo. Non sapeva come rendersi utile.





 

E finalmente siamo arrivati a giugno.
Alleluia!
Come capitolo non mi convince molto,
ma io spero comunque a voi piaccia.
Se così non fosse, non abbiate problemi a dirmelo.
Spero non ci siano errori, ma nel caso in cui ci fossero,
sarei contenta se me li faceste notare.
Niente, io vi voglio ringrare ancora.
Si ancora perché siete un incentivo a scrivere e a dare il meglio di me.
Perciò grazie mille gente ( ':
Un abbraccione enorme,
Vostra Luce.

Dora, questo capitolo è per te.
Buon diciottesimo compleanno!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo. ***


Undicesimo capitolo.


Non aveva mai avuto la passione per lo shopping.
Non pensava che fare compere, che andare in giro per negozi a spendere l'ira di Dio per vestiti che mai avrebbe indossato l'avrebbe fatta sentire bene. Meglio.
Non riusciva però più a restare chiusa in casa. Circondata da quattro muri freddi e colorati. Inespressivi e pieni di ricordi.
Prese la giacca, le chiavi e se ne andò.
Prese il primo autobus che portava in città e si mise a girovagare per il centro.
Senza un obiettivo. Senza uno scopo.
Senza rendersene conto si ritrovò in un parchetto nascosto. Vicino ad una scuola.
C'erano alcuni bambini che nonostante il freddo giocavano sullo scivolo e con la sabbiera.
Emma adorava giocare con la sabbia.
Da piccola costruiva vulcani.
Faceva una montagnola bella compatta. La bucava lateralmente e sopra. Suo papà metteva dentro un foglio di giornale bruciante. Vedeva uscire il fumo e le sembrava un vero vulcano. Un grido di gioia riempiva le orecchie di chi la circondava e girandosi verso di lei la si poteva vedere seduta con le gambe aperte con un mega sorriso mentre batteva le mani. Come solo una bambina di quattro anni poteva fare.
Con il passare del tempo aveva smesso di andare al parco a giocare con la sabbia, ma quando si ritrovava su una spiaggia anziché prendere il sole come sua mamma la istigava sempre a fare si permetteva di tornare piccola. Scavava una fossa sperando di trovare l'acqua.
Si dondolava sull'altalena fissando quei bambini.
I suoi pensieri non si fermavano. La sua mente era una macchina attiva.
Lavorava. Lavorava. E lavorava ancora.
Era proprio quello che lei non voleva.
Lei non voleva pensare. Lei non voleva rivivere tutti quei momenti. Lei non voleva rimuginare sopra le esperienze fatte, sopra le parole dette, sopra i discorsi avuti.
Lei voleva avere la mente vuota. Libera. Come quando si incantava a fissare un qualcosa. Lo sguardo perso. Il cervello si prendeva una pausa. Quando si risvegliava da quei pochi istanti di torpore non ricordava cosa aveva pensato. Cosa le era passato per la testa.
Ricordava solo di aver fissato senza alcuna ragione una piastrella, una lampadina o un dettaglio della tenda senza nemmeno guardarlo. Come se la sua essenza fosse volata via.
Era questo che lei voleva. Era questo che lei cercava.
Niente problemi. Niente domande. Niente incertezze. Nessuna compassione. Nessuna tristezza. Nessun aiuto.
Nicola.
Alla fine la sua mente ritornava sempre su di lui. Su quello che sta facendo per farle superare quel periodo.
Le scriveva. La chiamava.
Spesso non rispondeva.
Sapeva che lui non si sarebbe offeso. Lo faceva per dimostrarle di essere presente. Di essere lì per lei.
Non riusciva però a cogliere tutte queste occasioni per sistemare il suo animo.
Aveva passato settimane a nascondersi. Aveva passato settimane ad ignorare.
Non era facile accettare il tutto così. Al volo.
Era passata una settimana da quando lei si era rifugiata tra le sue braccia per parlare.
Era passata una settimana e niente si era risolto. Niente sembrava essere migliorato.
Lei non sembrava essere migliorata. Sembrava non voler migliorare.
Si rese conto che se lei non si metteva in testa di voler chiudere questo periodo, di voler andare oltre, nessuno avrebbe potuto smuoverla da quella posizione. Da quello stato buio. Cupo.
Doveva fare lei il primo passo. Doveva trovare la forza dentro di sé. Doveva sentire di essere abbastanza. Di essere importante per qualcuno. Doveva sentire di non essere sbagliata. Doveva sentire di valere. Doveva sentire che niente poteva abbatterla. Forte come una roccia.
Prese il cellulare. Andò sulle chiamate e schiacciò sull'ultimo numero.
Il telefono squillava.
Non si era neppure posta il dubbio se stesse disturbando o meno.
Era stata presa dall'adrenalina. Da una forza che aveva cercato e che forse aveva trovato.I dubbi cominciarono ad assalirla sentendo lo squillo e non avendo nessuna risposta.
Era fortemente tentata di rimettere giù.
Era stato un errore chiamare. Era stato un errore mettersi così in gioco.
 - Emma. Ciao. Tutto bene?
Stupito. Curioso. Non si sarebbe mai aspettato una sua chiamata.
Leggere il suo nome sullo schermo l'aveva riempito di gioia. Gioia subito sostituita da preoccupazione.
Lei non chiamava. Lei non cercava.
 - Sì. Tutto bene. Ti ho chiamato perché... Non lo so il perché. Volevo solo farlo. Ti ho chiamato perchè ho sentito il bisogno di farlo. - Lui non rispose. Stava sorridendo. - Ma non eri impegnato? Avevi altro da fare? Non volevo disturbarti. Ci sentiamo un altro giorno. Scusami.
Nicola rise. Forte. Libero.
Un'Emma angosciata aveva iniziato a sparare domande.
 - Emma, Emma. Dove sei? - Domandò lui appena si era ripreso da quel momento di gioia.
Dalla voce traspariva ancora allegria.
 - In centro. Nel parchetto dietro al classico. - Rispose non capendo.
 - Vengo da te. Se vuoi aspettami lì. - Senza darle il tempo di rispondere mise giù.
Mise da parte i compiti e si preparò.
Emma aveva la precedenza.
Emma era più importante dei compiti.
Era in soggiorno a mettersi le scarpe. Arrivò Anna. Lo guardò.
 - Vengo anch'io. - Disse lei.
Nic la osservò di lato ancora concentrato sulle scarpe.
Alzò le spalle lasciandole la possibilità di fare come voleva. Sicuro che avevo le sue motivazioni per accompagnarlo. Sicuro che sapeva quello che faceva.
Aveva tanti difetti An, ma non era una sprovveduta. Non faceva niente solo per il gusto di farlo. C'era una motivazione in tutto.
 - Se facciamo in fretta riusciamo a prendere quello dei 47. - Notò Nic mentre la sorella andava a prendersi gli stivali.
Accelerò i movimenti e nell'arco di 30 secondi erano entrambi pronti.
Scarpe. Giacca. Sciarpa. Cappello. Chiavi. Portafoglio. Telefono.
Giusto il tempo di arrivare alla fermata che l'autobus si fermò. Salirono e trovarono i loro posti liberi. Posti sui quali Anna si lanciò.
Fuori faceva ancora freddo. Era quasi fine febbraio.
L'anno prima in quei giorni nevicava. Nevicava come se dovesse venire giù il mondo.
Nicola si sedette affianco a lei con tranquillità.
Nulla poteva distruggere quella pace interiore.
Anna si beava di quella sensazione. Ne attingeva forza. Più vicino gli era e più ne assorbiva.
Per questo aveva deciso di venire. Di seguire i suoi passi.
Per un motivo estremamente egoista.
Il viaggio durava circa una decina di minuti. Giusto il tempo di riscaldarsi e di abituarsi a quella bella temperatura che già dovevano scendere.
Nic mandò un messaggio all'amica per sapere se si trovasse ancora lì. Per sapere se si trovasse ancora al parchetto.
La risposta affermativa arrivò abbastanza velocemente.
Appena i gemelli lo videro, Emma era seduta su una delle altalene. Si dondolava lentamente. Dolcemente. Guardando il cielo.
Una bambina la osservava vicino all'impalcatura.
Aspettava il suo turno.
Sperava qualcuno le lasciasse il prima possibile il posto, ma non voleva disturbare né i bambini né la ragazza.
La osservava stupita.
Agli occhi della bambina non era normale vedere un grande giocare. Non le sembrava possibile.
La sua mamma e il suo papà non giocavano mai. Quella ragazza sì.
La osservava. Stupita. Curiosa.
Emma girò la testa e vide quella bambina dai capelli rossi e i codini con lo sguardo fisso su di lei. Con il cappello ben ben calato sulla testa. Con il cappotto verde ben ben allacciato.
Si alzò con un movimento rapido.
 - Vuoi andarci tu? - Domandò con sorriso.
La bambina timida fece un cenno con la testa. Al che Emma si spostò e le lasciò volentieri l'altalena.
La vide salirci a fatica e provare a dondolarsi con le sue piccole gambe.
Non riusciva a muoversi di neppure mezzo centimetro.
Quella bambina le faceva una tenerezza. Un'enorme tenerezza.
Si avvicinò a lei.
 - Vuoi una spinta? - Domandò nuovamente con un sorriso.
La bambina timida fece di nuovo un cenno la testa. Strinse fortemente entrambe le mani alle catene.
Emma si mise dietro di lei. Prese il seggiolino. La spinse. Una, due, tre volte.
Alla bambina sembrava come di volare. Gridava dalla gioia.
Era convinta che sarebbe riuscita a toccare le nuvole se solo quella ragazza, la sua nuova amica, l'avesse spinta un po' più in alto.
 - Più in alto. Più in alto. Ancora più forte. - Continuava a ripetere. Voleva toccare quelle nuvole.
 - Più di così non si può. - Le rispose dispiaciuta Emma.
La bambina provò a girarsi per guardarla. Per vedere se le stava dicendo la verità, ma aveva paura di cadere. Pur volendo andare più in alto aveva paura che l'altalena si spezzasse e la lanciasse tra le nuvole. Insieme alle stelle.
Emma sentì l'attimo esatto di tristezza e sollievo che invase la bambina.
 - Come ti chiami? - Un altro sorriso.
 - Teresa. - Parlò la piccola. - Ed ho quattro anni.
Ne era orgogliosa. Era orgogliosa di avere quattro anni e di dimostrarli.
Emma fece rallentare il dondolio del gioco. Si mise davanti a lei. In piedi. Le allungò una mano. Con un sorriso parlò.
 - Teresa di quattro anni ti va di venire a giocare con me con la sabbia? Possiamo costruire un grande grande castello con un fossato.
La proposta piacque subito alla bimba che prese la sua mano velocemente e la condusse in fretta alla sabbiera.
Tre persone non avevano perso neppure un gesto di quei pochi attimi.
La mamma di Teresa.
Preoccupata che la sua figliola potesse disturbare quella ragazza che fino a qualche secondo prima guardava il cielo persa nei suoi pensieri.
Felice di vedere però la sua bambina così contenta.
Nicola ed Anna.
Si erano avvicinati lentamente e si erano nascosti dietro un grande albero spoglio per sentire quello scambio di battute.
Nicola non si era perso neppure uno di quei sorrisi. Neppure uno di quei sorrisi che sembravano così veri. Così puri.
Anna guardava Emma. La guardava e basta.
Si rendeva conto che per molti aspetti si assomigliavano parecchio.
Entrambe amavano passare un po' di tempo con dei bambini. Entrambe trovavano in Nicola un punto di riferimento. Entrambe amavano leggere. O così le era sempre sembrato.
Quei sorrisi. Questo era quello che Nicola voleva. Questo era tutto quello a cui lui aveva puntato.
La felicità di Emma. La spensieratezza di Emma.
Era riuscita a trovare un qualcosa che la facesse sentire a posto.
Questo era l'importante.
Sapeva che la strada da quel momento sarebbe stata più semplice.
Un sentiero fosforescente in una notte buia. Illuminato.
Non significava che percorrerlo sarebbe stato facile.
Era però un punto di partenza. Un grande punto di partenza.





 

Buona giornata di sole, gente!
Io sono qui in casa a pubblicare quest'ultimo capitolo
della mia storia nonostante fuori ci sia un sole caldo caldo.
Sì, gente, siamo arrivati alla fine.
Questo è l'ultimo capitolo di questa mia storia.
Mettere un punto mi crea tante emozioni.
Sono soddisfatta di essere riuscita a terminare una storia.
Ne ho cominciate tante e questa è la prima che finisco.
Mi dispiace schiacciare sul tastino "Completa"
perché mi mancherà scrivere di loro.
Ci ho messo il cuore, l'anima.
In ognuno di loro c'è qualcosa di me.
In ognuno dei personaggi che avete incontrato leggendo questo racconto.

Non so se riuscirò a scrivere altre storie,
ma questo non vuol dire che non ci proverò.
Scrivere è una delle emozioni più belle che ci sia.

Ora che siamo giunti alla fine voglio ringraziarvi uno ad uno.
PiccTn.
Francesca. Colei che mi ha fatto spesso da beta.
Colei che ha messo questa storia tra i preferiti dando e avendo
estrema fiducia nelle mie capacità.
D_Bitte.
Dora. Grazie per aver sopportato i miei continui scleri.
I miei continui dubbi. I miei alti e bassi.
IndelibleSign.
Emma e Nicola non si sono messi insieme come tu speravi,
ma la storia ha una sua vita.
Non potevo scegliere io cosa farle fare.
Mar, grazie comunque per aver sempre creduto in me e in essa.
Iysse.
Grazie per aver recenisto quella volta il primo capitolo.
E' stato una botta di gioia e mi sono esaltata un sacco
leggendo le tue parole.
Spero di non averti delusa.
chiaraviolinista.
Che se non erro è stata la prima a dare un segno di vita per questa storia.
Se non erro sei stata la prima a mettere questo scritto tra le seguite.
Grazie per avermi fatta sentire "presa in considerazione".
Too alive for labels.
Grazie per aver messo la storia tra le seguite.
Vedere che a sempre più persone piacesse la mia storia,
mi ha fatto sentire bene.

Grazie a tutte/i voi.
Grazie per avermi dedicato il vostro tempo.
Grazie per tutto ciò che avete fatto.
Consciamente e inconsciamente.
Grazie.

Spero di rivedervi presto.
Spero di sentire i vostri pareri
e di coloro che non hanno mai dato un cenno di vita
in questo ultimo capitolo.
Così da potervi ringraziare personalmente.

Un bacione, un abbraccio.
Con tutto il mio affetto,
con il grazie più grande che io possa dirvi,
Vostra Luce.

Nel caso aveste voglia di parlare con me
potete trovarmi su:
Twitter https://twitter.com/LuceBre
Ask http://ask.fm/LuceBre

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1600383