A Wonderful Star ~

di Out of this world
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Villa Cullen. ***
Capitolo 2: *** La visita di Alice. ***
Capitolo 3: *** Pamela. ***
Capitolo 4: *** Pioggia di Sangue ***
Capitolo 5: *** Taglio di vita ***
Capitolo 6: *** Follia. ***
Capitolo 7: *** La verità. ***
Capitolo 8: *** Sogno premonitore. ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Villa Cullen. ***


Non ho Saputo resistere più di ventiquattro ore per postare il sequel di A Beautiful Mortal XD.
La trama che ho utilizzato per questa storia la volevo utilizzare per una storia a parte, ma avendo fatto quel finale a ABM ho deciso che si poteva collegare benissimo a questo. Non va avanti col potere di Bella nel poter tornare indietro nel tempo, perché, come sapete se avete letto l’ultimo cap di ABM, Bella torna umana e se ne va via. Qui riprende quattro anni dopo. Spero che come storia vi piaccia anche questa, anche se sarà priva di azione. Si basa solo sulla storia di Bells e Eddie.
Va bè, vi lascio alla lettura!
Ciao a tutti! E scusate per il capitolo corto, ma è come un prologo!

Bye bye
Minako-Lore

 

 

 

 

a wonderful star ~
- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 1 : ritorno a Villa Cullen.

××

La pioggia batteva violentemente contro il vetro della finestra della mia vecchia stanza. E dietro di me quasi vidi mio padre che mi guardava raggiante come non mai nel vedermi nuovamente a casa.
Sorrisi piano, e mi risvegliai dalla trance in cui ero caduta. Mio padre era morto due anni prima. Credendomi morta in un incidente a diciotto anni…
Sospirai, e cacciai via quei brutti pensieri: in fondo ero stanchissima. Il viaggio da Phoenix a Forks mi aveva spompato. E di certo la mia pancia non mi rendeva le cose facili.
« Mi farò una doccia… » mormorai stanca, arruffandomi i capelli, pensando già alla bell’acqua calda mente mi scivolava sul corpo. Decisamente avevo bisogno di rilassarmi.
Con un sospiro mi presi della biancheria pulita e un ricambio di vestiti dalla valigia ancora fatta sul letto della mia vecchia camera. Con passo strascicato mi diressi in fondo al corridoio, ed entrai nel piccolo bagno. Non era cambiato assolutamente niente: tutto era al suo scrupoloso posto.
Malinconica mi sollevai la maglietta nera buttandola a terra, facendomi poi scivolare già per le gambe i pantaloni chiari. Quindi mi girai verso lo specchio posto per terra, che mi rifletteva la mia figura longilinea. Bè, neanche più tanto, pensai.
La pancia era iniziata a gonfiarsi, e la si poteva intravedere bella rotonda. Soddisfatta mi levai la biancheria ed entrai nella doccia.
L’ondata di acqua calda mi travolse, e sospirai di sollievo.
L’odore tipico di Forks mi fece sorridere amaramente. Incredibile come in quattro anni un posto possa non cambiare per niente.
Io invece ero cambiata pensai, iniziando a lavarmi con la saponetta alla lavanda, che mi fece quasi starnutire da quanto era forte.
Mi aveva convinto Kevin a stare nella vecchia casa di mio padre per un po’. Lui era occupato con il suo lavoro di giornalista, ed era dovuto volare a Singapore per una speciale intervista e non so chi. Me lo avrà detto di sicuro, ma me lo ero già dimenticato.
Con uno sbuffo chiusi l’acqua ed uscii, accarezzandomi d’istinto la pancia.
Quindi mi infilai la biancheria pulita, i jeans più larghi di due taglie neri, una camicia bianca e una giacchetta sopra grigia.
Soddisfatta uscii da quella stanza vaporosa, e mi diressi verso la mia vecchia camera.
Ero stata riluttante nel tornare lì. Tutta la città, in fondo, credeva fossi morta. Ma mi ero ripromessa che non sarei mai uscita senza qualcosa sul viso per non farmi riconoscere da nessuno. E poi mi ero detta che, in fondo, i fantasmi del passato probabilmente erano tutti… scomparsi.
Con un sospiro nervoso mi levai quei pensieri dalla testa, e, una volta chiusa la porta della mia stanza, iniziai a svuotare la valigia. Ne estrassi i vestiti più pesanti che avevo, e mi ritrovai a pensare che l’ultima volta che mi ero ritrovata a disfare una valigia lì non avevo abbastanza soldi per permettermi un guardaroba pesante. Con Kevin era tutta un’altra storia, pensai. Oramai non era più un problema il mio conto in banca, non con mio marito che portava a casa uno stipendio proficuo.
Misi a posto scrupolosamente il tutto, poi appoggiai una foto di me e Kevin al nostro viaggio di nozze in Spagna.
Quindi uscii dalla stanza, e andai in cucina, dove vi era una bella scatola con una pizza all’interno. Prima di tornare a casa dall’aeroporto mi ero fermata per comprarla come mio pranzo.
« Hai fame? » chiesi affettuosa ad un certo punto alla mia pancia.
Risi. « Sono solo al terzo mese. » mi dissi fra me alzando gli occhi al cielo. Neanche mi sente!
Finii di mangiare in silenzio, mentre fuori la tempesta diminuiva.
« Penso farò un giro di perlustrazione. » iniziai. Poi risi. « Ho visto che fuori c’è ancora il mio vecchio pick-up. »
Oramai mi ero abituata a parlare con quel piccolo gonfiore che conteneva il mio bambino. Era come avere una compagnia.  
Mi ripromisi che avrei lavato i piatti al mio ritorno. Quindi andai verso la porta e, una volta infilata il cappotto di pelle scura, salutai con lo sguardo la casa.
Forks non era cambiata, e di certo primeggiava sempre sulle altre città per i maggiori giorni di pioggia dell’intera America.
A parte l’Alaska, naturalmente.
Sofferente aprii la portiera del pick-up, lasciando sul terriccio umido una vera e propria esplosione di ruggine.
Quindi entrai, e il costante odore di tabacco, mi accorsi, non era ancora sparito. Sbuffai, prendendo nota di appendere un qualche profumo per migliorarlo.
Misi in moto con un rombo acuto, e sorrisi.
« Ciao vecchio amico. Ancora rumoroso, eh? »
Misi la retromarcia, e partii.

Feci un giro nei dintorni, ma in dieci minuti ebbi già fatto tutto. Forks, in fondo, non era una metropoli.
Sbuffai, battendo le dita sul volante, aspettando che il semaforo diventasse verse.
Cosa potevo fare?
Che noia… no, non era proprio cambiato niente.
Scattò il verde e ripartii. Decisi di andare un po’ avanti, non rendendomi conto di dove mi dirigevo.
Solo quando notai un’entrata coperta dal verde mi accorsi che stavo per andare a…
Deglutii, e mi imposi di fare marcia indietro. Ma gli occhi non si staccavano da quella strada oramai coperta da fogliame.
Potrei capottarmi con la macchina! Pensai. La verità era che non volevo rivedere quella casa. E se fossi tornata indietro? Lui sarebbe stato ancora lì, come quando me ne ero andata l’ultima volta, con lo sguardo vuoto e una promessa invisibile?
Do un’occhiata, niente di che… continuai a pensare in ansia. Alla fine sbuffai e, constatando che non stava arrivando nessuna macchina, estrassi dalla tasca del mio giubbotto una monetina
« Testa! » esclamai, e la lanciai, riacchiappandola. Chiusi gli occhi.
Aspettai un po’, poi diedi una sbirciata. Testa.
Sbuffando la buttai sul sedile passeggeri, e premetti l’acceleratore. Quindi con sbalzi vertiginosi, tanto da farmi terrorizzare, passai sopra a quelle foglie e quelle radici di alberi giganteschi.
« Maledetta me! » imprecai, tenendo le mani tremanti sul volante. Dopo un po’ di minuti di salti e ingorghi iniziai ad andare meglio. E quando vidi una schiarita in tutto quel buio il mio stomaco fece uno sbalzo. Dinanzi a me gli alberi iniziavano a districarsi e a lasciare entrare un po’ di luce sulla maestosa villa cupa che mi si presentò davanti.
Spensi quel rombo assordante, e uscii alla fredda aria di Forks.
D’istinto incrociai le braccia e boccheggiai, facendo fuoriuscire dalle mie labbra delle nuvolette bianche.
Era come l’avevo lasciata. Solo più malconcia.
Peggio di quando l’avevo rivista dopo che… lui mi aveva lasciato perché pensava fosse la cosa migliore.
Rabbrividii, e mi avvicinai alle scalinate dinanzi al portone.
Sospirando, toccai il portone e, con mia sorpresa, si aprii portando con se un cigolio terrificante.
Prendendomi coraggio – in fondo non ci abitava più nessuno – feci un passo avanti, entrando nell’ingresso.
La polvere la faceva da padrona all’interno, ma quando mi volsi per guardare il salone il mio cuore fece una capriola. Era ancora tutto lì: la tv, i mobili, i quadri…
Tutti coperti di polvere. Solo una cosa, con mio stupore, era perfettamente tirato a lucido. Il pianoforte.
Come se qualcuno si procurasse di pulirlo minuziosamente. Deglutii, e lo sfiorai con un dito.
Non un filo di polvere.
Rabbrividii, poi, quando notai che anche il seggiolino era tirato a lucido, mi venne in mente un’idea assurda.
Com’era possibile che tutto fosse in quelle condizioni e il pianoforte no?
Terrorizzata notai, poi, delle impronte che portavano alla scalinata. Mi sentii tremare, e feci un passo indietro. Alzai lo sguardo, sempre di più, nel buio del piano di sopra. E alla fine…
Driiinnn!
Urlai in preda al panico, uscendo da quella casa con uno sbalzo vertiginoso, rischiando perfino di cadere negli scalini che portavano alla mia macchina.
Ma sentii la tasca dei miei pantaloni vibrare, e mi accorsi con angoscia che era soltanto il mio cellulare. Sollevata ma ancora tremante lo presi, e il nome di Kevin.
« Ciao. » dissi col fiatone.
« Cos’hai? » chiese subito in allarme.
« Niente, è che… sto camminando, e mi è venuto il fiatone. » replicai. Era stata la prima bugia che mi era balenata in mente.
« Ah… non affaticarti troppo! Bè, come va lì a Forks? » chiese entusiasta. Sorrisi.
« Bene, ho già sistemato tutto. » aggiunsi con soddisfazione.
« E brava la mia Bella. » rise.
« Il tuo lavoro? » chiesi poi, moderando il mio fiatone.
« Oh, bè, sì, insomma… »
Perché tutto quel balbettio convulso?
« Va bene. » concluse frettoloso. Alzai un sopracciglio. « Senti, ti devo lasciare. Ci sentiamo domani mattina, okay? Ciao Bells. »
Frettoloso. Troppo frettoloso. Ma lasciai correre.

« Ciao Kevin. »
E mi chiuse la conversazione. Sospirai. A volte era così enigmatico. Ma lasciai perdere, e diedi un’occhiata a quella villa un tempo sontuosa.
Ci avevo vissuto lì, nel mio periodo da vampira.
Arricciai il naso in una smorfia. Cercavo e cercavo di non ricordare quei momenti, ma venivano a galla così facilmente che mi rincresceva ogni volta e mi sentivo sprofondare.
Come anche quella volta.
Avevo una voglia matta di tornare lì dentro. Perché quelle impronte? Perché quel pianoforte così ben curato?
Ci viveva ancora qualcuno?
Eppure in giro avevo sentito che i Cullen se ne erano andati da quattro anni…
Sospirai, e feci un passo in avanti.
« C’è nessuno? » chiesi, e sentii la mia voce rimbombare nell’ingresso. Quindi rientrai.
« C’è nessuno? » ripetei, e risentii l’eco della mia voce entrare in ogni singola fessura di quella casa. Ma niente.
Tremante feci un altro passo avanti. Un ladro? Un molestatore? Un poveraccio?
Mi toccai d’istinto la pancia, come a volerla proteggere.
« Tranquilla, non farò niente a te ne al tuo bel frugoletto che ti porti appresso. »
Alzai lo sguardo terrorizzata, per incontrare una figura longilinea seduta in alto sulle scale.


 

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Capitolo 2
*** La visita di Alice. ***


Ciao a tutti! Sono ancora senza parole… venti recensioni nel capitolo precedente… mio dio, sono contentissima! Grazie! E grazie anche ai lettori! Siete fantastici! Comunque vorrei precisare che l’ultimo capitolo di ABM l’ho fatto in quel modo (strambo, frettoloso, confuso, superficiale) di mia spontanea volontà, per torturarvi un po’ a dire il vero. *me sadica*. Comunque spero che con questa storia vi levi qualche furia omicida verso la sottoscritta xd.
Va bè, per ora non posso che salutarvi! Ciao a grassie!
Minako-Lore

 

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- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 2 : La visita di Alice.

××


D’istinto frecciai via da quella casa, trattenendo le lacrime e la voce che insisteva per uscire e urlare dalla paura. Frettolosamente e con l’adrenalina alle stelle aprii la porta del pick-up, in un’ennesima catastrofe di ruggine. Con le lacrime che mi colavano fin sotto il naso, misi in moto, e la macchina si accese con un rombo sordo. Singhiozzando feci retromarcia e mi infilai in quel vialetto che avevo percorso per arrivare lì.
« Va tutto bene cucciolo, va tutto bene… » ripetevo fra i singhiozzi, accarezzando con una dito la mia pancia poco gonfia.
« Ce ne andiamo a casa. Mamma ha solo avuto un’allucinazione. Non può essere vero, non può esserlo per forza! »

Ero talmente presa da non rendermi conto della velocità che andavo. Il fogliame, la strada, il cielo scuro… tutto vorticava impetuosamente nella mia testa. Mi sentivo male, ricordi vennero a galla in un batter d’occhio, facendomi soffocare. L’acqua intorno a me, il salino nel naso, le braccia che cercavano di tirarmi su a galla quando stavo per morire.
Chiusi gli occhi per due secondi, e il volante deviò.
Il panico era a livelli talmente elevati che non riuscii neanche a urlare quando la macchina andò addosso ad un albero, facendolo scuotere, mentre una pioggia di foglie ricadeva sul tettuccio.
Non capivo più niente, barlumi di impotenza mi avevano colto di sorpresa. E quella voce… quella voce era un inferno, mi rimbombavano nella testa come un tamburo nelle orecchie. E come se non bastasse, il motore continuava a emettere gemiti strozzarti, facendomi venire ancora più emicrania.
« Dio mio, esci!  »

Qualcuno mi stava prendendo la sotto le ascelle per tirarmi fuori da quell’inferno. Due braccia fredde, dure, e mi misi a singhiozzare, quando quest’ultimo iniziò a correre. Quell’aria fra i capelli, quel corpo a stretto contatto con il mio.
Provai a divincolarmi, a parlare, ma quello che uscii fuori fu un singhiozzo soffocato. Poi, un botto terrificante.
Urlai, aggrappandomi alla camicia dell’individuo che stava ancora correndo. Quindi misi a fuoco qualcosa dietro alle spalle a cui ero aggrappata: il pick-up aveva preso fuoco.
Singhiozzando, portai le mani dietro quel collo rigido. Chiusi gli occhi, mentre quel freddo mi faceva annaspare, rendendomi un manichino fra quelle braccia.
« Il bambino… » gemetti, piangendo come una fontana. Il mio cucciolo… con tutta quella paura gli avevo forse provocato qualcosa?
« Va tutto bene. E’ tutto okay, Bella. »
No. Non andava bene niente. Continuai a singhiozzare, poi il buio mi avvolse. L’ultima cosa che vidi furono dei folti capelli rossi solleticarmi un labbro…

Sentivo il naso prudere, e una voglia matta di mettermi a starnutire mi costrinse a mettermi seduta, ancora semi addormentata, per iniziare con la raffica di starnuti.
Stavo male, me lo sentivo nel modo in cui il mio cervello mi batteva forte, costringendomi a sbuffare seccata.
« Tieni. »
Una figura accanto a me mi porse qualcosa, che quando toccai riconobbi come una fazzoletto. Annuendo come a ringraziarlo mi soffiai il naso, facendomi avvolgere in una nube di polvere.
« Scusa per la polvere. » si scusò quella voce calda. E alla fine aprii gli occhi. E mi concentrai sul fazzoletto che tenevo in mano: era bianco, con i bordi blu. E, incisi in un angolo, tre lettere: EAM.
EAM?
Lo stomaco fece una capriola vertiginosa. E come Edward. A come Anthony. E M come Masen.
No.
Non ora.
Non che avevo superato anni di cliniche e psicologi.
No. Non era possibile.
Emisi un gemito soffocato quando alzai lo sguardo, per incontrare due occhi tristi.
Mi portai una mano sulla bocca, e la figura arretrò dal divano dove, mi accorsi, ero seduta.
« Mi dispiace. » mormorò. Capelli rossi, talmente caldi da farmi venire i brividi al solo guardarli per un calore improvviso iradiato in ogni parte del corpo. Occhi ambrati, striati di nero, profondi e intrisi di… terrore?
Edward Cullen non era cambiato. Neanche ora che io avevo ventidue anni ed erano passati quattro anni dal nostro ultimo incontro.
Faceva rabbrividire pensare che quel ragazzo, se solo non fosse stato immortale, in quel momento avrebbe avuto le sembianze di un anziano coperto di rughe, con occhi sbiaditi e capelli bianchi. Incapace di muoversi senza fatica, incapace di spostarsi agilmente, costretto su un letto con tubicini attaccati per farlo tenere in vita.
Più volte lo avevo pensato quando ero con lui. Se Edward non fosse stato morso, che aspetto avrebbe avuto da vecchio, quale, in fondo, era?
Tante volte Alice lo avevo chiamato “vecchio decrepito”, dicendo che non poteva certo fare l’arrogante, perché, in fondo, non c’era molta differenza fra lui e quei vecchietti che raccontavano ai propri nipoti i loro anni di adolescenza in un mondo completamente differente da quello che viviamo oggi giorno.
E, ridendo, affermava anche che avrebbe potuto essere un mio bisnonno.
Perché quei ricordi sembravano tanto distanti?
Deglutii a fatica, annaspando ancora una volta nel vuoto.
« Il bambino sta bene. » sussurrò poi in imbarazzo, dondolandosi da un piede all’altro. « Sento il suo battito. Tu hai solo un taglio sulla testa. »
Quindi, stupita, mi portai una mano alla testa, dove vi era una fasciatura stretta, bagnata.
Mi morsi un labbro, e lui sospirò.
« Sei tornata a Forks. » affermò triste.
Rimasi in silenzio. Cosa dovevo dirgli? Sì, perché pensavo che tu non c’eri?
Preferii tacere, mentre lui deglutiva in continuazione.
« Ti devo invitare ad andartene. » disse poi rompendo il silenzio. Lo guardai sorpresa.
« Tieni. Il pick-up è andato. »

Mi lanciò un paio di chiavi, e riconobbi il portachiavi con il logo delle Volvo.
Quindi, si congedò con un cenno di testa, salendo le scale che portavano ai piani superiori. Rimasi in salotto, coperta di polvere, con un paio di chiavi conosciute e quasi arrugginite.
Deglutii, non capendo ancora niente. Mi alzai barcollando, dirigendomi verso il portone socchiuso. Camminavo a zigzag, la mente vuota, i pensieri fusi.
Notai distintamente una macchia argentata, e quasi non mi misi a piangere quando riconobbi una bella Volvo parcheggiata fuori sul piazzale. Mi avvicinai, e, come uno stupida, l’accarezzai.
Ci misi quasi cinque minuti per incastrare la chiave nella fessura, da quanto mi tremavano le mani. Alla fine riuscii ad entrare, e mi sedetti nel posteggio del guidatore.
Un odore acro e famigliare mi invase le narici, facendomi volare. Il suo odore…
Misi le chiavi e feci partire il motore. Un ruggito tranquillo mi fece sorridere tristemente, mentre facevo retromarcia.
Quindi imboccai l’uscita, accorgendomi che gli alberi erano quasi tutti bruciati. A quel punto notai sul cruscotto che l’orologio segnava le undici. Confusa guardai il mio, e vidi che probabilmente quello della macchina doveva essere scarico, perché erano le due di pomeriggio. Ero stata lì due ore svenuta.
Partii piano mentre il motore faceva le fusa. Da lì a qualche minuto fui a casa.

 

Quel giorno non mangiai niente. Appena arrivata a casa mi coricai sul letto di camera mia, accarezzandomi la pancia con un sorriso sulle labbra.
Dormii qualche ora, fino a che il cellulare non suonò.
Quindi aprii gli occhi ancora assonnata, prendendolo in mano.
« Pronto? » chiesi con voce impastata.
« Bella? Sto facendo squillare il telefono da un po’. Stai bene? »
La voce di Kevin quasi non mi seccò.
« Sì, mi ero addormentata. » risposi. In fondo era la verità.
« Capisco. Allora? Hai fatto un giro? »
« Certo. E’ tutto come avevo lasciato. »
« Mi auguro che non hai fatto qualche pazzia. »
Mi sentii sprofondare.

« A Forks?! Kevin, non sono mica a Las Vegas. » replicai cercando di essere convincente.
« Tu sei capace di tutto. » rise lui. Alzai gli occhi al cielo.
« Certo, certo. E tu? »
« Bene, sono appena tornato da una conferenza stampa. »
« Fantastico! » cercai di essere entusiasta. Ma non mi riusciva.
« Mi manchi. » mormorò piano. Sorrisi, frettolosa.
« Anch’io. Senti, ci sentiamo. »
« Okay. Ciao Bells. »
Sospirai, e chiusi la discussione. Quindi mi guardai intorno. Oramai ero del tutto sveglia, quindi decisi di andare a mangiare qualcosa. Non avevo pranzato, ed erano già le sei e mezza.
Scesi dal letto, sgranchendomi le gambe e le braccia, per poi avanzare verso la porta.
Ma mi bloccai all’istante, quando sentii la porta aprirsi, e un’ombra entrare.
Il fiato mi mancò in bocca, mentre rimanevo immobile per non farmi scoprire.
Deglutii a fatica, e, quando l’ombra si spostò in salotto, feci un passo avanti, afferrando un pesante libro dalla scrivania.
Un ladro?
Poteva essere. Mi ricordavo di non aver chiuso la porta a chiave. Maledetta me!
Con il cuore in gola e la paura per il bambino, scesi piano gli scalini. A quell’ora, grazie anche alle nuvole che la facevano da padrona, la casa era quasi nell’oscurità.
La figura non usciva dal salotto, quindi mi appostai per prenderla di sorpresa appena sarebbe andata da qualche altra parte.

Ad un certo punto sentii dei passi leggeri, e vidi accanto a me la figura in un batter d’occhio.
Spaventata e con il cuore in gola mi misi a urlare, per poi colpirla in piena faccia con il libro.
« EHI! »
La figura accese la luce – cosa che mi stupì non poco: come faceva a sapere dov’era l’interruttore?!
Appena il lampadario si accese chiusi gli occhi, presa alla sprovvista. Li riaprii immediatamente, cercando di abituarmi presto alla luce.
E colui, cioè, colei che mi si parò dinanzi mi sorprese. Capelli neri, occhi chiari, pelle di gesso.
« Alice… » mormorai a mezza voce. Spalancò gli occhi sorpresa, buttando per terra il libro che teneva lontano dalla sua faccia, per poi buttarsi tra le braccia.
« Bella! »
Sospirai di felicità, mentre, più bassina di quanto mi ricordavo, mi stringeva in una morsa senza eguali.
« Oh mio Dio, sei proprio tu! » esclamò, staccandosi per guardarmi negli occhi. Sorrisi entusiasta.
« Sì! Sono appena tornata a Forks. » replicai, mentre saltellava dall’emozione.
« Ma tu che ci fai qua? » chiesi poi, mentre le lacrime di gioia rischiavano di scendermi giù per le guance.
Si fece scura in volto.
« Non ti sei resa conto di quanto sia pulita la casa? » chiese in un mormorio. In effetti ci avevo fatto caso.
« Bè, sai quanto tenevo a Charlie. E lui è morto proprio pochi giorni prima che abbandonassimo la casa. Quindi ogni settimana vengo qui. Prego un po’ sulla sua tomba e pulisco casa. Non so neanche io il perché. » rise in imbarazzo. Le lacrime erano sgorgate.
« Grazie. » mormorai, abbracciandola. Lei rise isterica.
« Ma dimmi, come mai qui a Forks? » chiese con una vena malinconica.
« Oh, mio… »
Mi bloccai. Guardando il viso di Alice mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Lì, con un sorriso malinconico ma comunque capace di paralizzare gli uomini, mi fissava tranquilla. Come dirle che… oh, non ci volevo neanche pensare!
« Bè, mio marito è partito per lavoro, e quindi… »
Si immobilizzò alla parola ‘marito’. E notai una ruga profonda solcarle la fronte liscia di marmo.
« Ah. » disse solamente stupita.
« Già… ma… hai detto che siete andati via qualche anno fa? » chiesi sorpresa. Lei annuì sospirando.
« Ma Edward quindi non è venuto con voi. » al dire il suo nome un buco si impossesso del mio stomaco.
Mi guardò stupita.
« No. Ci ha seguiti. »
Mi bloccai. Ma io l’avevo visto quel pomeriggio!
« … tu non ci crederai, ma sono andata a fare una capatina alla vostra vecchia villa e… mentre ero lì ho visto Edward. »
La paura si impossessò di me nel momento preciso in cui lei mi guardò come se fossi pazza.
« Bella… Edward in questo momento è a
Bethel, in Alaska… »
La fissai spazientita.
« Puoi anche fare a meno di nascondermi queste cose, Alice. Io ho visto Edward! Mi ha salvata quando il pick-up ha preso fuoco! »
Alzò un sopracciglio, guardandomi in modo strano. Quindi mi prese per mano, per poi avviarsi verso la porta di casa. Lì l’apri, e indicò una macchina rossa posteggiata lì davanti.
« Bella, il tuo pick-up è qui… senza bruciature… » mormorò preoccupata. Fissai sgomenta la macchina: era vero, e il mio pick-up. Ma allora…?
« Ci deve essere uno sbaglio, il mio pick-up si è incendiato, bruciando anche gli alberi circostanti! E poi lui mi ha portato in casa, dove c’era il suo pianoforte perfettamente pulito. Vedi questa fasciatura? Me l’ha fat- »
Rimasi impietrita quanto, toccandomi la fronte, non trovai traccia di nessuna fasciatura e di nessun taglio.
Alice mi guardava con un serie di rughe sul viso, preoccupata e spaventata per il mio stato di salute.
« Stai bene? » chiese piano, toccandomi una spalla. Sospirai.
« Senti, se non mi credi guarda la Volvo di Edward! L’ho parcheggiat- »
Guardai frenetica il vialetto. Nessuna Volvo in vista. Nessuna macchina lunga tirata a lucido. Nessuna macchina argentata.
Inizio a tremare, guardando sul tavolino dell’ingresso. Lei chiavi sono scomparse.
« Dev’essere una sua macchinazione per farmi credere che non l’ho visto! » mugugnai tremante. Alice è fuori di se, nei suoi occhi solo preoccupazione e terrore.  

« Bella! Lo vuoi capire quello che ti dico?! Edward è in Alaska! L’ho lasciato alcune ore fa a casa che stava leggendo un libro! » insiste. « E’ impossibile che sia qui! Non ci torna da anni! »
Perché è così cocciuta?! Dannazione, non sono pazza!
« Che veramente irremovibile! Su, vieni con me! Ti farò vedere gli alberi bruciati, e il pianoforte pulito! »
esclamai, prendendola per mano. Mi lasciò fare.
Salimmo in macchina, misi in moto, e l’occhio mi cadde sul sedile del passeggero dove vi era seduta Alice: il fazzoletto che mi aveva imprestato Edward l’avevo appoggiato lì. Ma quando ero entrata non c’era…


Il pick-up emetteva lamentele stridenti non appena misi la quinta.
« Bella, non penso che il pick-up possa resistere. » si lamentò Alice, guardandomi con aria preoccupata. Sbuffai. Mi stava trattando come una pazza. Insomma! Ero guarita! Ero un nuova Bella!
Imboccai una strada poco frequentata, e mi preparai a vedere alberi bruciati non appena mi infilai nella piccola stradina che portava a villa Cullen.
Procedetti piano, guardigna.
Adesso ci saranno, adesso ci saranno…
Ma più andavo avanti, e più notavo che non c’era niente. I soliti alberi spiccavano sopra di noi come a voler creare un tunnel.
Manca poco, erano qui, erano qui, me lo ricordo!
Ma finii per arrivare nel grande spiazzo della Villa. Mi guardai intorno confusa.
« Ma come diavolo… » borbottai, scendendo, seguita da Alice.
« Erano laggiù! Tutti bruciati! » esclamai, indicando con un dito una serie di alberi però in perfetta salute.
Alice mi guardava in modo strano.
« Bella, penso che tu non stia bene… » mormorò. Sbuffai, e corsi verso la porta d’ingresso. Feci per aprirla, ma era chiusa. Strano.
« Dannazione! E’ chiusa! »
« Cosa ti aspettavi?! »
« Quando sono venuta stamani era aperta, semi rotta! Edward deve averla aggiustata quando me ne sono andata! »
Alice strabuzzò gli occhi angosciata. 
« Edward è in Alaska! » ripetè. Non le diedi ascolto.
« Aprila! Ti faccio vedere il pianoforte! E’ pulitissimo! »
Inquieta diede uno spintone alla porta, facendolo cadere per terra con un’esplosione di polvere. Quindi ci passai sopra, andando dallo strumento. Mi irrigidii. Era coperto di polvere.
« Ma io… io… » balbettai. Alice mi si avvicinò cautamente.
« Bella, tu stai male! »
Arretrai.
« No! Lui mi ha salvato, e quando le ho chiesto del mio bambino ha detto che stava bene! » esclamai con le lacrime agli occhi.
« Quale bambino? »
« Quello che porto in grembo! Non vedi la pancia?! »
Alice era terrorizzata.
« Tu non hai nessuna pancia. E non sento la presenza di nessun bambino, Bella. Non sei incinta. »
Mi guardai la pancia, convinta di trovarla arrotondata.
Invece, era piatta.

 

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Capitolo 3
*** Pamela. ***


Buondì! Ecco un altro capitolo. Qui si spiegheranno un po’ di cose, quindi spero di colmare quelle lacune che vi ho provocato nei capitoli precedenti. Ora sono di fretta, ringrazio come al solito tutti, però! Grasssieee**!!
Minako-Lore

 

 

 

a wonderful star ~
- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 3 : Pamela.


××


Il ticchettio incessante di una macchina accanto a me mi dava un fastidio tale da farmi svegliare piano piano, rendendomi conto – purtroppo – di essere sdraiata su un letto duro e rettangolare. Le pareti bianche mi davano un senso di claustrofobia, mentre il famigliare odore di ospedale mi faceva girare la testa.
Cercai di aprire di più gli occhi, e ce la feci.
Piano piano misi a fuoco ciò che avevo intorno, e non mi stupì di trovare accanto un Kevin bianco come un cencio.
« Bells! »
Mio marito mi strinse la mano destra delicatamente, mentre lo fissavo confusa.
« Sei tornato da Singapore? » chiesi piano. Lui parve deluso.
« Ti dispiace? » replicò un po’ seccato.
Feci per rispondergli per le rime, quando mi accorsi che nella stanza c’erano altre due persone. La prima, Alice, era seduta su una sedia dall’aria scomoda, posta alla mia sinistra. Il sorriso che aveva stampato sul volto era inquieto, quasi di scuse, mentre le mani tenevano convulsamente un fazzoletto affusolato, strappato perfino in alcuni punti. Probabilmente si era sfogata su quello per l’agitazione. Il mio cuore si rilassò, comunque, più alla sua vista che a quella di mio marito, che mi fissava con aria truce.
Poi, qualcuno si mosse dietro di Alice. Era una figura longilinea, alta ma non troppo. Era appoggiata alla finestra aperta, con le braccia incrociate e uno sguardo preoccupato. Sembrava quasi un angelo, benché avesse un’aria sciupata e sofferente.
Mi ritrovai a sorridere inconsciamente, mentre chiudevo gli occhi, da cui fuoriuscivano calde lacrime di gioia.
« Edward. »

 

 

« Edward. » mormorai commossa, mentre lo sentivo muoversi verso di me. La sedia a sinistra si mosse, e quando riaprii gli occhi vidi che si era seduto al posto di Alice, mentre quest’ultima usciva dalla stanza.
« Ciao, Bella. » sussurrò con l’ombra di un luccichio negli occhi chiari. Mi sentii dopo tanto tempo sollevata. Felice. Sana.
E poco mi importava se accanto a me, alla mia destra, si ergeva in tutto il suo metro e novantacinque mio marito, quello a cui avrei dovuto fare più feste nel vederlo. In quel momento non me ne importava niente.
Di fronte a me c’era Edward.
« Sono contento che ora tu stia bene. »
La voce pungente di Kevin mi fece distogliere lo sguardo da Edward. Era seccato, si vedeva. Eppure non mi sentivo in colpa. In quel momento, semplicemente, non mi importava più del dovuto di lui. Di fronte a me c’era l’amore della mia vita, perché preoccuparmi di lui? Perché?!
« Oh, si è svegliata! »
Una voce stridula e dolce provenne dalla porta. Mi voltai, mentre Edward stringeva convulsamente le nocche della mani. A parlare era stata una donna minuta, bianca come il gesso, dai lunghi e boccolosi capelli biondi. Gli occhi, di un ambrato brillante, erano grandi e profondi. Inutile fare due più due. Era una vampira.


« Te lo avevo detto che si sarebbe ripresa! » continuò, con un lieve accento italiano, chiudendo la porta dietro di se, per avvicinarsi a Edward, il quale rispose con un gemito soffocato. Si mise vicino a lui, e la prima cosa che notai è come facessero a cazzotti i suoi capelli biondi con il quasi rosso del mio Edward.
« Ora devi uscire. » mormorò frettoloso Edward a quella ragazza. Lei alzò gli occhi al cielo.
« Il medico mi ha detto che posso restare! » replicò stizzita, mentre Edward lo guardava stufo.
« Pamela, devi andartene. E’ una questione privata! » continuò lui, e sentii nella sua voce un velo di rabbia.
Ma a interrompere quel breve battibecco fu il medico che entrò. Sospirai, e cercai di mettermi seduta. Kevin mi aiutò. Incredibile come mi diede fastidio essere toccata da lui quando Edward era accanto a me. Chissà se aveva visto la fede… cercai di non pensarci, e mi imposi di ascoltare il medico, che aveva iniziato a parlare.
« Signora Peirce. »
La fugace occhiata che mi diede Edward mi travolse.
« Lei è stata portata qui da una sua amica, Alice Cullen. Se lo ricorda? »
Negai.
« Mi risulta che lei negli ultimi anni era ricorsa a delle sedute da uno psicologo. Che poi è suo marito. »
Mi sentii male. Non doveva dire quelle cose… non in presenza di Edward!
Idiota pensai, poi. Lui probabilmente sapeva già tutto.
« Mi vuole dire i disturbi di sua moglie? » chiese poi a Kevin.
« Quando iniziò la cura era affetta da visioni. » incominciò. Sentivo lo sguardo di Edward addosso.
« Vedeva dappertutto il suo ex-ragazzo. Che poi è il qui presente Edward Cullen. »
L’occhiata che Kevin lanciò a Edward fu micidiale. Odio puro. E se ne accorsero tutti.

« Visioni, quindi? »
« Sì. L’ho tenuta in cura per tre anni. Nell’ultimo anno ho sospeso, anche se aveva ancora qualche problema. »
Sospirò, e io mi sentii più confusa che mai.
« Ma perché l’ha lasciata venire qui a Forks da sola quando era consapevole che aveva ancora disturbi? » chiesi il medico, stralunato.
« Ha detto che sarebbe andata da suo pare, Charlie Swan. »
Tutti si immobilizzarono sul posto, e mi sentii girare la testa.
« Ma come? L’ispettore Swan è morto ormai da qualche anno… sua moglie non glielo ha detto? »
Kevin mi fissò stupito. Mi tenevo la testa. Stavo male.
« No. Mi diceva sempre che non si muoveva mai da Forks, quindi non ho mai insistito per andarlo a trovare. »
Tutto girava troppo.
« Signora Pierce, la sua amica, Alice Cullen, ha anche aggiunto che aveva “visto” questo ragazzo in casa sua. »
« Io l’avevo visto… » mormorai piano, la testa mi batteva incessantemente.
« Ma non era così. Questo ragazzo ha detto di essere stato sempre in Alaska, con la sua famiglia. Come lo spiega? »
« Kevin… » mormorai, singhiozzando, la vista mi si era annebbiata.
« E la signorina Cullen ha detto che lei… credeva di essere incinta. Quando invece nella sua cartella clinica c’è scritto chiaramente che non può aver figli. »
Stop. In un attimo fu tutto buio.

 

 

 

« Non ci posso credere. »

« Invece è così. »
« Mi sento in colpa, Alice. »
« Fai bene. L’hai lasciata andare di nuovo. E lei si è ammalata psicologicamente. Edward, sembrava convinta di averti visto a casa nostra! E continuava a dire che il pianoforte era in perfette condizioni, quando era coperto di polvere. E gli alberi? E il bambino? »
« Lo so, lo so, me lo hai già detto! Ma io non… oh, Alice, ha tentato di suicidarsi! »
« Cosa?! »
« L’ho letto nei pensieri di quel Kevin. Pare che si fosse buttata in mezzo all’autostrada. Lui per poco non la investii. »
« Fammi indovinare. Lui l’ha presa, l’ha portata in ospedale ed è diventato il suo psicologo. »
« Bingo. »
« Pensi di parlarle di Pamela? »
« Neanche morto. »

Aprii gli occhi, mentre le due voci si interrompevano. E subito Alice si fiondò su di me.
« Come va? » chiese angosciata. Gemei, mettendola a fuoco.
« Bene. » la mia non suonava come la verità. Edward si teneva a debita distanza, le mani nelle tasche dei jeans, lo sguardo vuoto.
« Mi dispiace di aver detto tutto a quel medico. Ma sei malata, Bella. »
Feci una risata amara.
« Lo so, cosa credi? »
Si immobilizzò. La mia voce era uscita rabbiosa, delusa, triste.
« Me lo dicono tutti da quattro anni. » continuai. « Sei malata, Isabella, ti devi curare. Cosa pensate? Che io non volevo?! Non volevo liberarmi di lui e delle mie visioni?! »
Indicai con le lacrime agli occhi Edward, che si era portato una mano alla testa.
« Sai, Edward? Quando mi sono buttata in mezzo a quell’autostrada una moto mi ha presa in pieno! Lo sai che così non potrò mai avere figli?! »
Il singhiozzo di Edward, privo però di lacrime, non mi fermò. Ero arrabbiata. Lo odiavo. Lo amavo.
« E ora ho queste visioni! Ti vedo dappertutto, di nuovo. »
Con le guance coperte di lacrime vidi che Alice uscì dalla stanza con uno sguardo triste. In men che non si dica Edward fece per seguirla.
« Fuggi Edward, fuggi come hai sempre fatto! »
Si voltò verso di me, e in un attimo mi fu accanto.
« Ti ricordi? Eh?! Ti ricordi il tuo potere di vampiro?! » mi mormorò fugacemente, con rabbia.
Gemei. Tornare indietro nel tempo, e rischiare di rimanerci, anche.
« Ti potevo condannare così?! Ti potevo ritrasformare?! » mi chiese.
« Non lo so, va bene?! Però almeno potevi risparmiami una vita così! Sono malata, non posso avere figli, e ora tu sei qui a farmi rivivere un incubo! »
« Vuoi che me ne vada?! »
« No, voglio solo che tutto questo sia un incubo! »
Mi misi a piangere convulsamente, mentre le sue famigliari braccia fredde mi abbracciavano. Piansi a dirotto contro il suo petto, mentre mi accarezzava piano la schiena.
« Mi dispiace tanto. »
Per un attimo quasi dimenticai che ero sposata. Per un attimo mi dimenticai di Kevin, l’uomo che mi aveva aiutata e sostenuta. Alzai lo sguardo e lo trovai lì.
Era più sciupato dell’ultima volta che lo avevo visto. Probabilmente non si aspettava tutto quello, ed era tornato a Forks dall’Alaska senza neanche darsi una sistemata.
La camicia azzurra e spiegazzata, quasi non fosse stata mai stirata decentemente; i jeans neri in alcuni punti erano bianchi (probabilmente si era appoggiato alla parete bianca della sala d’aspetto che si era sporcato); i capelli… se fossimo stati in una situazione diversa mi sarei messa a ridere: non aveva il gel che di solito usava per renderli quasi spettinati. No. In quel momento erano spettinati di loro.
Avevano l’aria soffice e morbida, come se se li fosse lavati proprio in quel mentre; niente gel e tenerli fermi: volavano dappertutto, posandosi sul suo viso, dandogli l’aria di un ragazzo uscito da un film degli anni novanta. Eppure era lì… Edward.
Dio, quanto lo amavo.
Socchiusi gli occhi, avvicinandomi alle sue labbra, così invitanti da rendermi ceca di fronte al fatto che probabilmente mio marito fosse nella sala accanto.
Ma lui si staccò velocemente da me, e all’improvviso entrò il medico seguito da Kevin.
« Allora, signora, direi che può andare a casa con suo marito. » annunciò il medico. « In fondo non ha problemi fisici, il dottor Pierce si prenderà cura di lei. E chissà: magari il suo ex compagno potrà aiutarla anche lui. »
Guardai Edward.
« Senza dubbio. Penso che in questa storia devo dare anche il mio contributo. Sempre che la mia presenza non dia fastidio al dottore. »
Kevin deglutii.
« Certo che no. In fondo è lei, signor Cullen, quello che Bella vede. »
Lo odiava. Senza dubbio. Sapere che era il mio ex ragazzo, quasi sul punto di divenire mio marito, lo aveva sempre reso restio quando lo mettevo in mezzo nelle nostre discussioni.
Edward, comunque, non lo diede a vedere. Sorrise un secondo, per poi allontanarsi, quando il medico mi si avvicinò per controllare la pressione.
« Ma Singapore? » chiesi all’improvviso. Kevin si rabbuiò.
« Oh, dannazione, è vero. »
Notai con la coda dell’occhio che Edward lo stava fissando stupito e rabbioso. Perché?
« Devo tornare là… » mormorò. Il medico lo guardò male.
« Non preoccuparti. » iniziai tentennante. Non volevo essere oppressiva con lui.
« Senti, puoi restare due o tre giorni da sola? Devo finire una cosa e poi torno subito da te. »

Il medico stava per replicare per le rime, ma Edward lo fermò.
« Posso guardarla io. Per accertarmi che stia bene. »
Il mio stomaco fece una capriola.
Kevin lo guardò male. Stavolta, chissà perché, anche Edward gli lanciò un’occhiata di fuoco.
« Va bene. » replicò mio marito con aria truce.
Il medico, non molto d’accordo, mi tolse tutti quei tubicini dai polsi, e mi lasciò libera.

 

 

« Bene, Bella, ci vediamo fra tre giorni. Se ci sono problemi chiamami. »
Sorrisi forzatamente, abbracciando Kevin.
Eravamo appena tornati dall’ospedale, e Edward e Alice erano tornati a Villa Cullen. Io ero a casa mia a salutare mio marito che stava per riprendere l’aereo.
« Ciao Kevin. » replicai. In un attimo lo vidi salire sul taxi, e scomparve dalla mia vista. Sospirai, e mi chiusi la porta alle spalle, sobbalzando per la paura:
Edward era seduto sui primi scalini delle scale.
« Se ne andato? » chiese. Annuii, e mi diressi in cucina, dove mi seguì, per poi sedersi al tavolo. Decisi di farmi una camomilla.
« Resti stanotte? » chiesi piano. Lui alzò un sopracciglio.
« Vorresti? » chiese scettico.
« Perché no? »
« Sei sposata. »
Deglutii a fatica.
« Ma Kevin non c’è… » aggiunsi speranzosa. Lui mi guardò fisso un attimo, per poi sospirare.
« Non posso. Ho detto che ti terrò d’occhio, ma nient’altro. »
« Perché? » chiesi delusa.
Lui rise isterico.
« Bella, ci siamo lasciati, stop! Non stiamo più insieme. »
Quelle parole furono come una frusta sulla pelle. Aveva ragione. Avevo una famiglia, ora.
« Hai ragione, scusa. Ma comunque la mia famiglia non centra niente. Io oramai amo Kevin. »
Era una bugia. Ma lui parve berla, perché s’incupì.
« Questo l’avevo capito. »
Mi morsi un labbro, mettendo su l’acqua per il tè.
« Quindi hai cercato di suicidarti. » iniziò scontroso. Tremai.
« Non parliamone, per favore. » borbottai, fissando ipnotizzata l’acqua che iniziava a bollire.
Sospirò.
« Comunque, ora devo andare. Se hai bisogno, chiamami. Non ti muovere d’in casa! »
Si alzò in piedi, e mi fissò. Io ricambiai.
Quanto avrei voluto andargli incontro e abbracciarlo, baciarlo… oh Edward, mi avevi dimenticata? Perché eri così distante? Era solo per Kevin?
« Vai da Alice? » chiesi con un sorriso sforzato.
« In parte. Vado a vedere anche come sta Pamela. »
Pamela… ah, già! Quella vampira di quel pomeriggio. Lo guardai confusa.
« Ah… Pamela… »
« Già. L’hai vista quella vampira oggi? Era lei » sospirò. Annuii.
« Si è unita al vostro Clun? » cercai di essere cordiale. Lui mi guardò negli occhi, e con le parole che pronunciò mi spezzò il cuore.
« Pamela è mia moglie. »

 

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Capitolo 4
*** Pioggia di Sangue ***


Ufficiale

Buondì! Meno pochi giorni e esce eclipse… sono in fibrillazione!
Va bè, passando alla storia. 17 recensioni! Thanks!!
Oh, siete sempre gentili, non so proprio come ringraziarvi. Spero che vi piaccia questo capitolo, e che dopo averlo letto non vi vengano furie omicide. Xd
Va bè, vi lascio!
Grazie ancora ai lettori e ai commentatori! Siete fantastici1

Minako-Lore

 

 

 

a wonderful star ~
- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 4 : Pioggia di sangue.


××


« T-tua moglie? » balbettai stupita. Lui annuii.
« Ci siamo sposati… bè, un po’ di anni fa. » borbottò, per poi prendere da dentro le tasche dei suoi jeans qualcosa di azzurro.
« Questa è tua. »
Fissai ancora scombussolata l’oggetto che teneva in mano. Lo riconobbi: era un mio vecchio fermaglio per capelli.

« Ecco perché non riuscivo a trovarlo. » mormorai, prendendolo con delicatezza dalle sue mani, cercando di non toccarle. Era azzurro, con dei piccoli brillantini sopra. L’avevo sempre adorato.
« Quando facesti le valigie… probabilmente ti cadde. L’ho ritrovai qualche giorno dopo… » mormorò, sospirando. Me lo rigirai fra le mani.
« Pamela non sembra americana. »
Pamela… Pamela… perché avevo una voglia matta di saltare in macchina, trovarla, e ucciderla?
« Infatti. » sospirò. « E’ italiana. » concluse. Alzai gli occhi. Sempre arrabbiato.
« Ti devi essere fatto parecchi viaggetti quando me ne sono andata. »
Lui mi guardò stralunato, sul punto di esplodere in una pioggia di imprecazioni. Ma non so come, resistette.
Emise un gemito rabbioso, per poi voltarsi e dirigersi verso il bosco.
« Le persone educate salutano! » urlai sdegnata. Lui si voltò.
« Arrivederci signora Peirce. »
Avrei dovuto mettermi a piangere. Avrei dovuto sentirmi in colpa.
La sua era stata una battuta congegnata per farmi cadere nella depressione.   
Eppure mi sentii bene.
Il suo sarcasmo pungente, i suoi modi di fare quasi irritanti… in tutti quegli anni non li avevo più sentiti.
E sapere che quelle battutine mi sarebbero tornate famigliari e sempre più presenti nei giorni avvenire mi facevano star bene…



« Ti capisco, Bells. »
Guardai Alice negli occhi, mentre cercavo di scaldarmi le mani nei confortevoli guanti rossi che indossavo. Era venuta, la mattina dopo, a chiedermi se volevo fare quattro passi con lei. E di certo non avevo rifiutato.
« In che senso? » chiesi curiosa, mentre continuavamo a camminare per le stradine di Forks. Per fortuna non c’era anima viva. Come spiegare, se no, la mia presenza? In fondo per tutti ero morta in un incedente anni or sono…
« Bè, per il fatto… del bambino. » mormorò cauta. Mi irrigidì, guardando per terra.
« Davvero? » chiesi. Lei si mise di fronte a me, fermandomi, prendendomi una mano.
« Sì. » replicò dolcemente. « Come sai, noi vampiri non possiamo… avere figli. » sospirò. Alzai lo sguardo, per incontrare il suo triste.
« Però questo non vuol dire che non ne vorremmo. » sospirò, ricominciando a camminare, continuando a tenermi affettuosamente per mano. La guardai con rammarico.
« Jasper si sente in colpa, a volte. » sospirò. Il mio stomaco fece una capovolta.
« Ma d’altronde non è colpa sua. » concluse. Mi sentivo male.
« Quindi, quello che ti voglio far capire, è che… tutti noi, da me a Emmett, o da Rosalie a… Edward. » deglutii a fatica. « Comprendiamo il tuo stato d’animo. »
Annuii commossa, e lei mi abbracciò.
« E, se non posso essere impertinente o arrogante, aggiungerei che per noi è addirittura… peggio. Guardati! Hai ventidue anni! Potresti… che so, adottarne uno. Oppure farti operare, fare qualcosa! Noi… bè, guarda Edward. Ha più di cento anni. Anche se tu lo vedi così, in forma da diciassettenne, il suo cervello è da… si può dire vecchio rimbambito. »
Risi piano, mentre gli occhi mi si velavano di lacrime.
« Sappiamo come ti senti. »
Mi strinsi forte a lei. Fredda come il ghiaccio, certo non mi dava una sensazione di calore. Ma mi ritrovai comunque a mio agio, con il cuore leggero come l’aria.
« Allora, ci vieni a casa mia? »
Mi staccai per guardarla negli occhi.
« C’è qualcuno che vuole salutarti. » sorrise. Ricambiai, immaginando chi potesse essere.

 

 

 

« Oh, tesoro! »
Fui travolta in un secondo da una cascata di soffici capelli color caramello, mentre intorno a me si affrettavano ad avvicinarsi altri visi famigliari.
Mi lasciai cullare dalle braccia forti e dure di Esme, per poi essere strattonata di qua e di là di quell’orso che riconobbi come Emmett.
« La mia sorella preferita! » esclamò, e sentii intorno a me le risate cristalline dei presenti, mentre venivo stritolata contro il suo abbraccio. Risi anch’io.
« Mi stai strozzando… » boffonchiai, mentre mi lasciava andare con una vigorosa pacca sulla spalla.
« Mi fa piacere rivederti. » le stretta formale di Jasper mi fece avvampare, ma il suo sorriso e una famigliare sensazione di tranquillità mi fece sentire a mio agio.
Quasi non mi accorsi, presa com’ero, che perfino Rosalie mi era accanto, tentennante. Quindi le sorrisi timida, e lei mi abbracciò frettolosamente.
« Sono felice di rivedervi. » sospirai. Mi guardai intorno: tutto era spolverato, a suo posto, come se quegli anni non fossero passati. Una strana sensazione di deja-vù si impossessò di me. Già quando Edward mi… lasciò anni or sono quando tornarono fu una specie di rimpatriata a quel modo.

Prima che potessi fare qualcos’altro, notai ai piedi delle scale due figure. La prima aveva lo sguardo fisso su di me, vestita alla perfezione, di una bellezza che mi lasciava stupita. Ma anch’io da vampiro ero stata così bella? Mi rincresceva ammetterlo, ma no. Io, bella così neanche da vampira ero riuscita ad essere.
« In ospedale ieri non ho avuto la possibilità di presentarmi. » iniziò con voce melodica, con uno strano accento italiano. Si avvicinò a me, lasciando Edward solo vicino alle scale. Si sporse e mi baciò sulle guance.
« Edward te lo avrà già detto, sono Pamela. Spero che diventeremo grandi amiche. »
Di sottecchi notai come Rosalie avesse alzato gli occhi al cielo. Tornai con l’attenzione sulla bionda di fronte a me, sorrisi piano.
« Certo. »
Raggiante si mise da parte, rivolgendosi a Rosalie.
« Ah, Rosalie, casualmente ho rotto il tuo specchio nel bagno. Sai, quello che ti aveva regalato Esme per il tuo… quale? Ah, sì, quello del tuo sesto matrimonio. Mi dispiace. Non l’ho fatto apposta. Scusami sorellina. »

Rosalie sbiancò di colpo, e tutti rimassimo zitti.
« Tu cosa? » sibilò, in posizione d’attacco. Panico.
Alice si mise in un batter d’occhi accanto alla sorella.
« Rose, vedrai che lo aggiustiamo. Dai, Pamela, accompagnami a vedere in che condizioni è. » iniziò frettolosamente, mentre Rosalie respirava con rabbia.
Pamela annuii tranquilla, accompagnandola al piano superiore.
Quando furono svanite, Rosalie battè il piede per terra.
« Io quella la odio. » sibilò stridula, mentre alzavo un sopracciglio.
« Dannazione, dannazione, dannazione! La uccido, te lo giuro Edward, io la uccido. »
« Dai Rosalie, ti sente! » Emmett cercò invano di calmarla, ma lei si scostò.
« Me ne fotto! » sbottò. Esme alzò un sopracciglio di rimprovero. Ma non disse niente.
« Vuoi del thè, cara? » mi chiese poi ciancicando. Annuì, e tutti ci spostammo in soggiorno. Di soppiatto vidi Edward sedersi il più lontano possibile da me, incastrata fra Emmett e una Rosalie alquanto agitata.
Quando Esme andò in cucina, scese un silenzio scomodo. Lanciai uno sguardo a Edward, e la voglia di farlo arrabbiare mi invase lentamente.
« Oggi ti sei pettinato? »
Tutti si girarono verso di me stupiti, mentre Edward mi guardava con un sopracciglio alzato.
« Prego? » chiese educato.
« Sì, insomma, ieri sembravi uno spaventapasseri appena uscito da… hai presente il protagonista maschile di Dirty Dancing? Bè, i tuoi capelli erano identici ai suoi. »
Ci fu un attimo di silenzio, e poi esplosero le risate di Emmett e Jasper, seguite da quelli sorprese di Carlisle e Rosalie. Edward rimase impassibile, con le braccia incrociate, ma un sorrisino comparve sulla sua faccia di gesso.
« Per sua informazione, signora Peirce, ieri ero pettinato. » replicò per le rime. Lo fissai stupita.
« E essere pettinato per lei equivale ad avere una massa consistente di capelli qua e là fissati con del gel che, mi rincresce renderglielo noto, li tiene fermi come tiene fermo uno sputo un quadro sulla parete? »
Mi piaceva quel gioco. Mi piaceva come il suo sguardo di fuoco fosse imprigionato al mio, mentre ci riempivamo di insulti cauti.
E probabilmente divertiva anche i presenti, dato che Emmett se la rideva alla grande e Jasper si continuava a premere una mano sulla bocca gemendo dalle risa.
« Vogliamo parlare dei suoi capelli, signora Peirce? » mi provocò. Mi morsi un labbro. Ero consapevole di come ero conciata, quindi avrei dovuto starmene in silenzio a subire le sue repliche acide. In quegli anni non avevo mai curato il mio aspetto, e i capelli erano pieni di doppie punte, lunghi fino alla vita, e mi cerchiavano il viso come se fossi stata una suora.
« Da quanti anni è che non vede una pettinatrice, signora Peirce? »
Lo odiavo.
« Mi faccia indovinare: vent’anni? »
« Sì, come il numero di anni che aveva quando ha scoperto da dove arrivano i bambini. »
La risata di Emmett rimbombò per tutta la casa, seguita addirittura da quella di Rosalie. Edward sembrava sul punto di esplodere.
Quindi arrivarono insieme Pamela e Alice, che ci guardarono curiose. Inutile dire che avevano sentito tutto.
« Tutto okay? » chiese incerta Pamela.
« Sì sì, Bella stava solo rammentando a Edward che i bambini arrivano dal rap- »
« IL THE’ E’ PRONTO! »
La voce di Esme zittì Emmett, come una raccomandazione a chiudere il becco all’istante. Raccomandazione che Emmett pensò bene di seguire, dato lo sguardo omicida di Esme.
« Grazie, Esme. » la ringraziai, prendendo una tazza di liquido bollente. Dall’odore pareva fosse alla pesca.
« Allora, oggi come stai? » chiese Pamela, avvicinando a Edward, per poi sedergli accanto. Troppo accanto.
« Bene, grazie. Grazie ai sonniferi ho dormito tutta la notte. » mormorai, bevendo un poco di thè. Mossa sbagliata, visto che era caldissimo. Mi sentii la lingua bruciare.
Probabilmente se ne accorsero dalla mia faccia stralunata, perché tutti ridacchiarono, e subito Esme mi porse un bicchiere di acqua fresca, che afferrai prontamente.
« Sempre delicata come al solito. » sbottò Edward, con un luccichio di divertimento negli occhi. Lo fulminai.
« Come lei. » replicai per le rime. « Vedo che il tempo non ha cancellato quel brutto carattere che si ritrova. Non lo pensa anche lei, Pamela? »
Pamela mi guardò con sguardo un po’ irritato, per poi sorridere.
« Con me invece è sempre molto dolce. »
Strinsi fra le mani la tazza di thè bollente, mentre mi irrigidivo. Lei mi guardava tranquilla, come se niente fosse.
Fatti forza, rispondile per le rime, dai Bella. Sei malata psicologicamente, mica sei scema.
« Bè, devo ammettere che anche quando stavamo soli con me era sempre molto affettuoso. »
Quella fu la volta di Pamela di rimanerci male. Tutti i presenti, nessun escluso, notarono che l’aria si faceva pesante, quindi, saggiamente, si congedarono tutti molto velocemente.
« Devo andare a fare il bagno. » esclamò Emmett, alzandosi in piedi con la più falsa delle espressioni.
« Pure io. » lo seguì Jasper.
« Mi duole dirvi che funziona solo un bagno. Quelli dell’acqua non ce li hanno ancora tutti azionati. » spiegò Esme, che non aveva capito il bisogno di fuggire da quel salotto dei figli. Jasper spinse da dietro le spalle Emmett.
« Lo faremo insieme. » disse con un sorriso. Esme li guardò male.
« Sì sì, insieme. Dio solo sa quanto è bello insaponarsi l’un l’altro! » replicò Emmett.
« Così sembri gay. » lo rimbeccò Jasper.
Con una smorfia sparirono.
« Vieni Rose, ti faccio vedere lo specchio. L’ho un po’ aggiustato. » si ricordò Alice, prendendo per mano la sorella.
Mi stupii quando Carlisle, sì – proprio lui – ci guardò tentennante, prendendo un grosso libro dal tavolino.
« Esme cara, vorresti venire con me. Devo farti leggere un articolo molto interessante. »
E, cingendole le spalle, sparirono in sala da pranzo.
In un religioso silenzio, sospirai, per poi alzarmi in piedi, bevendo un’ultima sorsata di thè.
« Bè, pare facciamo piazza pulita. » mormorai.
« Non noi, tu. »
Deglutii con rabbia, mentre Pamela mi guardava con un sorrissetto finto dal suo comodissimo divano.
Vai Bella, replica qualcosa a fa tacere quella brutta oca.
« Hai ragione. In effetti io e Edward anche in passato abbiamo sempre fatto piazza pulita. Ma non per qualcosa di particolare, solo a volte ci facevamo solo prendere la mano e iniziavamo a sbaciucchiarci in pubblico. Ecco perché tutti ci lasciavano soli. Fortuna che ora io sia sposata con un uomo molto più maturo di lui. »
E con un sorriso finto mi diressi verso la porta d’entrata, lasciando in salotto una Pamela arrabbiata e un Edward triste.




« Sei un mito, Bella. »

Alzai lo sguardo stupita da Rosalie, mentre il cameriere del bar dove eravamo sedute mi portava una cioccolata con panna.
« Un mito? » chiesi scettica. Non era da Rosalie tutti quegli onori.
« Esattamente. Come hai zittito Pamela! Uh, come sono stata contenta quando quella sera guardava tutti con sguardo omicida! »
Risi, mentre col cucchiaino portavo alla bocca della panna. Dolcissima!
« Davvero? » chiesi divertita. Alice di fronte a me annuii entusiasta.
« Ha perfino litigato con Edward. Di solito, non capita mai. » sussurrò, come se non fosse sicura di potermelo dire. La notizia mi rese più felice del dovuto.
« Gli ha detto che non l’ha difesa quando tu ‘l’aggredivi con parole offensive’. Al diavolo, quella vecchia strega! Voi ci credete che non l’ha fatto apposta a rompermi lo specchio?! »
Non avevo visto Rosalie così infuriata mai con nessuno. Neanche con me. Il che era tutto dire.
« Comunque, cambiando discorso, stai bene, ora? »
Gli sguardi ipnotici di Alice e Rosalie mi travolsero, e mi sentii sprofondare.
« Ora sì. » risposi piano, rigirandomi fra le mani il cucchiaino della tazza.
« Da quanto hai questi problemi? »
Deglutii a fatica, e sospirai.
« Quando lasciai Edward. » iniziai piano. « Non ce la facevo. Non voglio farla lunga, quindi vi dirò solo che ho iniziato con queste visioni di natura psicologica dopo il tentato suicidio. »
Mi guardarono sulle spine. Mi sentivo male.
« Vedrai che guarirai. » suggerì Rosalie in tono grave. Risi amaramente.
« Io ero guarita. Era da un anno che non avevo più visioni. E poi ho avuto la malsana idea di tornare a Forks. Idea stupida. » scossi la testa rassegnata.
« Però… »
Alzai lo sguardo verso Rosalie. Tentennava.
« Tu vedi sempre Edward? » chiese cauta. Annuii con una smorfia.
« Bè, forse stando con lui, le cose miglioreranno. »
La guardai con aria scettica. Alice la fulminò con uno sguardo.
E bevvi la mia cioccolata calda, pensando che la sua era un’idea assurda. Ero sposata. Punto, e basta.

 

 

 

« Vuoi tu, Isabella Marie Swan, sposare il qui presente Edward Anthony Masen Cullen, nella salute e nella malattia, nella buona e nella cattiva sorte, finchè morte non vi separi? »
Mi girai raggiante al mio fianco, e vedendo Edward sorridermi mi sentii sciogliere. Stavo per pronunciare un sì entusiasta, quando qualcosa accanto a me.
Piano piano Edward stava lasciando il posto a un ragazza dai boccoli biondi, che mi guardava con aria truce.
« Questo non ti serve. Io sono la moglie di Edward. »
E, avventandosi su di me, mi strappò a morsi il vestito, arrivando al cuore. Qualcosa sbatteva contro di me incessantemente, come pioggia. Ma quando aprii gli occhi capii che non era acqua… era una pioggia di sangue. Il mio.

 

 

« BELLA! »
Aprii gli occhi di scatto, divincolandomi in una presa salda, mentre il sangue continuava a bagnarmi.
« IL SANGUE, IL SANGUE! » urlai terrorizzata. La figura che mi stava tenendo mi guardò preoccupato.
« DOVE SANGUE? BELLA, STA PIOVENDO! E’ ACQUA! »
Alzai gli occhi al cielo, e capì che aveva ragione. Ero fuori di casa, con solo un pigiama addosso, zuppa di pioggia. A tenermi al sicuro dopo il mio incubo un Edward terrificato.




 

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Capitolo 5
*** Taglio di vita ***


Ufficiale

Giorno vampiri!
Nuovo capitolo, nuove rivelazioni xd. Sono sempre più contenta che la storia piaccia, sinceramente piace pure a me Xd. *la modestia non manca*-
Quindi ringrazio come sempre lettori, recensori, ragazze, ragazzi, vampiri, ecc.
L’altro ieri è uscito Eclipse! Dio solo sa quanto vorrei averlo fra le mani in italiano. Ma devo resistere e devo stare alla larga da eventuali spoilers xd. Quindi nelle recensioni non dite qualcosa, please!
Va bè, vi lascio alla lettura! Ciao a tutti!
Minako - Lore

 

 

 

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- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 5: ‘Rachel Green’.



××



La cioccolata calda mi riscaldò il corpo e l’animo, animando la mia bocca di un famigliare e confortevole gusto di dolciume.
Sospirai e, guardando di tralice la figura dinanzi a me, mi vergognai come una ladra. Non avrei mai voluto che mi vedesse in quelle condizioni. Ero in imbarazzo.
Non era la prima volta che facevo capatine nel sonno fuori di casa. Altro disturbo psicologico causato dal mio tentato suicidio.
« Mi dispiace. » mormorai, mentre le guance si imporporavano. Lui alzò un sopracciglio, mentre mi rivolgeva l’attenzione, togliendo la mano dal sotto il viso che lo teneva fermo a osservare fuori dalla finestra.
« E di che? » chiese piano. Il suo sguardo mi trafiggeva.
Sospirai. Già. Di che? In realtà, gli stavo chiedendo scusa per… forse perché odiavo il fatto che mi avesse visto così. Ma come dirglielo? Mi sarei vergognata ancora di più. Quindi mi limitai ad alzare le spalle vaga.
« Non capiresti. » sussurrai, bevendo un altro sorso di cioccolata calda.
Cadde un silenzio rumoroso. Il suo sguardo era incastonato sul mio volto sciupato e bianco, in un’espressione angosciosa. Come un flash-back mi tornò in mente che quel volto così provato l’avevo già visto in un’occasione. Alzai lo sguardo per incontrare il suo viso, e improvvisamente gli comparvero delle leggere lentiggini sul naso, mentre gli occhi divenivano verdi.
Ma quando sospirò, tornò ad essere normale. Altra visione. L’avevo immaginato umano. Tzè, che stupida. Lui era un vampiro. E io no.
« Sai che giorno è oggi? » chiese tutto ad un tratto, giocherellando con la mia bustina di zucchero vuota. Cercai nella mia mente di farmi un calendario visivo di quell’anno. Ma non mi veniva in mente niente.
« Ehm… Gennaio? » provai, e lo vidi sorridere. Tuttavia non contagiò gli occhi.
« Non posso non correggerti. Ma quando una persona chiede la data del giorno di solito si risponde con un numero o un giorno della settimana. » si accigliò, e mi sentii idiota come non mai. Decisi di lasciar perdere e, con uno sbuffo misto a vergogna, gli chiesi che giorno sarebbe stato quello dopo. Lui curvò la bocca in un sorriso triste.
« 18 Gennaio. » mormorò con sguardo vuoto. Lo guardai con apprensione.
« Cinque anni fa ci siamo incontrati in quel giorno lì. 18 Gennaio 2005. Come passa il tempo, eh? Sembra ieri che ti ho vista seduta a pranzo con Jessica Stanley e fissarmi con sguardo assorto, ingobbita e spaventata da tutto quel mondo nuovo. »
Il mio stomaco fece una capriola. Feci finta di niente, ma deglutii a forza il magone.
« Allora è il nostro anniversario. » replicai gelida. Lui mi fissò, continuando a sorridere.
« Già. »
« E così ero ingobbita? » chiesi con non curanza, sorseggiando il liquido caldo oramai quasi finito nella mia tazza azzurra. Lui sorrise più luminoso.
« Oh, sì. La prima volta che mi vidi mi feci quasi pena. » rise imbarazzato, grattandosi la nuca. « Ti tenevi le spalle con le mani, e i capelli ti ricadevano sul viso. » ricordò. Sospirai.
« La frase fatta ‘bei tempi’ secondo te gli si addice? » chiesi stanca. Lui sembrò quasi infastidito.
« Certo che no. Erano bei tempi, e lo saranno sempre. Tutto il tempo passato con te per me è un bel ricordo. » ammise. Mi sentii male. Cosa stava cercando di fare? Di addolcirmi? Decisi di restare dura.
« Da quanti anni sei sposato con Pamela? » chiesi gelida, mentre si irrigidiva.
« Quattro anni. » borbottò sulle spine. Alzai un sopracciglio, mentre la rabbia faceva breccia su di me.
« Non hai perso tempo. » mormorai, con un risata amara. Lui stringeva convulsamente le nocche sul tavolo vecchio di mio padre.
« E tu? Con Kevin? » chiese poi, a denti stretti.
« Due anni. Dove l’hai incontrata? »
Vedevo che quella discussione non gli piaceva. Per questo continuavo a testa alta sul quel discorso. Volevo fargli male, farlo sentire in imbarazzo, vergognandosi di se stesso. E a giudicare dalla sua espressione ci stavo riuscendo.
« Non sono fatti tuoi. »
Mi bloccai, con la tazza a mezz’asta. Lo fissai corrucciata, per poi sospirare.
« Quale migliore risposta per concludere un discorso? Era solo una domanda, Mister Masen. »
Lo vidi illuminarsi, e finalmente il suo mezzo sorriso contagiò anche gli occhi.
« Buffo. » rise piano. « Era da un secolo che nessuno più mi chiamava così. » mormorò. Sorrisi amaramente.
« E’ una mia prerogativa. » buttai lì. « La tua mogliettina è a conoscenza del tuo strambo nome? » risi poi. Lui si corrucciò.
« Ehi! Non è strambo. E’ solo… lungo. » rise, e io mi unì a lui, per poi rispondere in tono stranamente formale, quasi volessi prenderlo in giro. « Mister Edward Anthony Masen Cullen. E io che pensavo che il mio nome di battesimo fosse lungo. »
Ridacchiò sommessamente.
« Per Edward ci posso ancora stare, ma fattelo dire da un’amica. Anthony è orribile. »
Rise più forte, contagiando anche me.
« Comunque se non avessi preso il cognome di Carlisle sarei stato solo Edward Anthony Masen, e ci stava a pennello. »
« Non dare la colpa al cognome di Carlisle, hai un nome terribile. » replicai decisa, mentre mi faceva una mezza linguaccia.
« Mi cambierò nome. Allora, spara. »
« Mh… un nome d’arte. Che ne dici di Marilyn Manson? »
Mi guardò stupito, stralunato, mentre io scoppiavo in una sonora risata. Alla fine se la concesse anche lui.
« E se ti dicessi che mi piace? » replicò stando al gioco.
« Allora d’ora in poi ti chiamerei Marilyn. » risi.
« E tu chi vuoi essere? » chiese poi finalmente sereno in viso. Ci pensai su, ma lui propose un nome prima di me.
« Madonna. »
Fu la mia volta di sgranare gli occhi.
« Una Material Girl, praticamente. » risi poi. « Guarda che potrei offendermi. Madonna e io non siamo decisamente identiche. Anzi, lei è troppo per i miei gusti. Sono anch’io come lei? » aggiunsi. Lui ridacchiò.
« Sì, perché io sono identico a quel morto patentato di Marilyn Manson. »
« Certo. » risposi facendo la finta offesa. « Comunque… cosa ci facevi a casa mia? » notai io. Lui tentennò.
« Io… » mormorò sulle spine. E la verità mi investì.
« Tu… sei rimasto qui, stanotte? » chiesi in un sussurrò, mentre mollava la testa in avanti, per poi portarsela alle mani.
« Non dovrei essere qui. » mormorò poi, alzandosi di botto. Lo guardai stralunata. Era nervoso.
« Dovrei essere a casa con… con Pam, ecco dove dovrei essere. Mi dispiace. Se stai male chiedi di Alice. Io vado da mia moglie. »
Lo guardai ferita andarsene confuso e spaesato, lasciando in quella vecchia cucina con una tazza vuota e l’animo lacerato.

 

 

Quella mattina rimasi tutto il tempo in soffitta, dove Charlie aveva riposto vecchi album di foto.
Vedere mia madre, mio padre e io mi fece sentir male. Charlie era morto, e Reneè pensava avessi perduto la vita in quell’incidente. Sospirai, e, dopo aver riposto tutto, scesi di sotto. Ciò che non aspettavo era di trovarmi un’Alice vestita con un maglione color cremisi e una Rosalie sedute sul divano a parlottare.
« Ehi! Ciao. » esclamai. Si voltarono insieme, e sul loro volto comparve un sorriso.
« Ciao Bells. » replicò Alice, mettendosi in ginocchio sul divano per vedermi meglio. Rosalie accennò un saluta con la mano.
« Siete qui da molto? » chiesi confusa, entrando in salotto, per poi sedermi sul tavolino di fronte a loro.
« No no, figurati. » rispose Rosalie, tentennante. La guardai confusa.
« Senti, non vogliamo fare tanti giri di parole. » annunciò spiccia Alice, mentre Rose la guardava agitata.
« Vogliamo che torni con Edward. »
Mandai giù il magone, e risi nervosa, per poi sventolare dinanzi a loro la mano sinistra, dove faceva ben mostra di sé la mia fede nuziale.
« Ho visto che Edward ne ha una anche lui. » dissi soltanto. Alice mi lanciò un’occhiata di fuoco.
« Sì, ma non per sua volontà. » bofonchiò. La guardai curiosa.
« In che senso? » chiesi confusa. Rose strinse le nocche convulsamente al suo vestito di lana.
« Niente. » aggiunse frettolosamente. « Capiamo la situazione. Ma se almeno non vuoi tornare con Edward, ti volevo chiedere di… »
« Il piano è questo. » la interruppe accigliata Alice. « Vogliamo levarci dai piedi Pamela. »
Quasi mi misi a ridere.
« E’ vostra sorella e vostra cognata. Non conta niente? »
Rosalie fu subito fuori di se. « Ma che sorella e sorella, quella è una stron- »
« Infatti! » la interruppe di nuovo Alice. « E non è come pensi, Bella. Lui ti vuole ancora bene. »
« Ma io no. Amo Kevin, mi ha aiutata, e di certo non voglio rimettermi con Edward. » replicai furiosa. Mi guardarono scettiche, e Rose addirittura arrabbiata.
« Ma lui no! » esclamò. Alice le diede una gomitata. Le guardai confusa.
« No cosa? » chiesi sulle spine. Alice si morse un labbro.
« Non nel senso che… non è vero che non vuoi bene a Edward. » le sue parole mi suonavano false, ma non le diedi retta.
« Sentite, se volete far sloggiare Pamela non sono fatti miei. Le date un calcio nel sedere e secondo me siete a cavallo dell’asino. » dissi gelida, per poi alzarmi in piedi.
« Eravate venuta per qualcos’altro? » chiese poi in tono formale non da me. Alice e Rose si scambiarono un’occhiata complice.
« Sei tosta come sempre. Ma noi di più. Abbiamo provato con le buone, ora dobbiamo mettere in pratica le cattive. »
Non feci in tempo a replicare. Alice mi aveva già tappato la bocca e Rose mi stava portando in braccio al piano di sopra. Ero nelle loro mani.

 

 

 

Mi fecero una doccia, profumandomi come una… bè, avete capito.
E mi vergognai da matti quando mi guardarono i capelli, lunghi e ruvidi come non mai. Nel mio accappatoio di morbido tessuto bianco mi guardavo allo specchio. Dietro di me una Alice concentrata come solo poche volte l’avevo vista. Teneva in mano un paio di forbici, e pensosa a volte complottava con Rosalie. Ma parlavano troppo veloci perché io potessi sentirle.
Alla fine optarono entusiaste su qualcosa, e, con un colpo deciso, alice mi taglio i capelli, facendomeli arrivare a stento sulle spalle. Aprii la bocca per sdegnarmi, ma Rose, veloce, mi infilo in bocca una susina, e fui costretta a mangiarla, senza pronunciarmi in niente.
Alice iniziò e mettermi mollette in testa, iniziando a sfoltirmi quelli sotto. Quando ebbe finito ne mollò dei altri, che mi tagliò più corti. Feci per parlare (avevo finito la susina) ma Rose quella volta mi infilò un pezzo di mela. Alzai gli occhi al cielo. Da quel momento non provai più a contrastarla. Tanto non mi avrebbe ascoltato e, comunque, Rose era già pronta con una pesca in mano, quindi evitai accuratamente di iniziare un discorso con quelle due pazze vampire.
Decisi di prestare attenzione alle mie mani strette in grembo, lasciando stare l’immagine smunta e smagrita che rifletteva lo specchio. Alice lavorò per un altro quarto d’ora, poi incominciò ad asciugarmi i capelli.
Dopo mezz’ora spense tutto e mi fece segno di guardami allo specchio. Sospirai e alzai lo sguardo.
Non so come era riuscita a farmi delle leggere mesh rosse qua e là, di color scuro che si intonava perfettamente ai miei capelli. Sembravano naturali.
Il taglio era scalato, pomposo, con una frangetta e decorare la fronte.
« Allora? Che te ne pare? » chiese Alice entusiasta. Deglutii.

« Sembro Rachel Green di Friends. »
Mi guardarono male.

 

 

 

Dopo avermi richiesto che mi piacevo risposi di sì. Era vero. Stavo meglio.
Rose, con la sua sincerità maniacale, mi aveva detto che prima somigliavo ad una suora.
Alice era stata più delicata dicendo che somigliavo ad una suora hippy. Bè, sempre suora ero.
Sospirai e mi alzai. Avevo il sedere indolenzito.
« Tutto questo per cosa? » chiesi poi. Mi guardarono alzando le spalle.
« Niente. » disse Alice, mettendo a posto il phon. Rose annuì semplicemente. Non me la davano a bere, ma lascia perdere.

« Edward ha detto che stamattina ti sei sentita poco bene. » iniziò piano poi Rosalie. Maledetto Masen.
« Un incubo che si è tramutato in un attacco di sonnambulismo. Niente di cui preoccuparsi. » borbottai. Non voleva che mi intromettessi nei fatti suoi, però i miei li poteva sbandierare benissimo al vento. Al diavolo.
« Bè, noi andiamo. Ci vediamo Bells. » annunciò Alice, con una borsa in spalla. Mi baciò sulle guance, prima di uscire. Rosalie mi sorrise.
« Grazie. Vi devo niente? » chiesi con un sorriso. Alice si voltò maliziosa.
« Sì. Al matrimonio voglio fare la testimone. »

Lo guardai confusa, ma lei se ne andò. Pensava davvero che avrei sposato Edward? Matta. Era tutta matta.

 

 

 

« Nuovo taglio? Wow! »
Sorrisi all’entusiasmo di Kevin sulla novità.
« Sì. Me lo ha fatto Alice Cullen. » risposi, guardando fuori dalla finestra la nebbia che si stava via via dissolvendo.
« Ah. Senti raggio di sole, devo andare. C’è un sacco di confusione qui. Questa conferenza stampa è un inferno »
Ma proprio in quel momento si sentì una sirena. Bella si immobilizzò.
« Cos’era? » chiese sospettosa. Lui tentennò.
« Cosa? »
« Que-quella specie di sirena. Sì, sirena. Non sei ad una conferenza stampa? »
Ci fu un attimo di silenzio.
« Non ti sento, frigge tutto. »
« Ma io ti sent- »
« Scusa, ciao, ciao! »
Chiuse la telefonata con un colpo secco. Lei rimase lì, frastornata. C’era qualcosa che non le quadrava. Kevin non sapeva mentire. Fece un numero in fretta e furia, per poi portarsi all’orecchio il telefono.
« Pronto? » rispose una voce dolce.
« Esme? C’è Edward? E’ urgente. »
« Stai bene tesoro? » chiese preoccupata Esme. Mi imposi di calmarmi.
« Sì, Esme. Non preoccuparti. Mi serve Edward. »
Mi disse di aspettare un attimo, e subito la voce di Edward, intrisa di preoccupazione, mi arrivò alle orecchie.
« Pronto? »
« A che ora è arrivato Kevin alcuni giorni fa in ospedale? »
« Scusa? »
« Quando hanno avvertito Kevin che stavo male, lui… dopo quanto si è presentato in ospedale? »
Ci pensò un attimo, confuso.
« Qualche ora. Non di più. »
Mi sentii male.
« Edward? »

« Sì? »
« Kevin non è a Singapore, vero? »
Senti il sospiro angoscioso di Edward. E capii.

 

 

 

Edward mi raggiunse a casa, mentre atroci dubbi mi laceravano dentro.
Quando sopraggiunse tirai un sospiro di sollievo.
« Tu leggi nel pensiero. Cosa hai letto in Kevin? »
Era agitato.
« Bella, io… »
« Come diavolo ha fatto ad arrivare a Forks da Singapore in poche ore? » tuonai, con gli occhi lucidi.
Lui sospirò.
« Guardami e dimmi cosa pensava Kevin. » dissi a denti stretti. Lui deglutii e poi sputò la verità.
« Non è a Singapore. Non c’è mai stato. » mormorò. Strinsi forte i lembi della mia polo nera. Alzò lo sguardo.
« E’ a New York con una sua amica. » sussurrò. Mi accigliai.
« Amica? »
« Amante. » precisò lui in trappola. Mi sentii male. Mio marito. L’uomo che mi aveva aiutata. Quello con cui avevo sperato di rifarmi una vita. Colui che amavo… ?
Aveva un’amante.
Ma allora perché in quel momento non versai una lacrima?



Per chi non lo sapesse, Rachel Green è una personaggio della sit-com Friends. Dato che *adoro* la sua pettinatura nelle prima stagioni, ho voluto fare Bella con quei capelli. Quindi i suoi capelli dovrebbero essere così:
 CLICCA PER GUARDARE L’IMMAGINE.

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Follia. ***


Eccomi qui con il sesto capitolo! Sono piuttosto di fretta, quindi vi lascio leggere direttamente il capitolo. Grazie ancora a tutti! Nel prossimo capitolo risponderò a qualche domanda, promesso!
ciao ciao

Minako-lore

 

 

 

 

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- a beautiful mortal  sequel -
CAPITOLO 6: Follia.

××


« Mi dispiace… »
« E’ la ventesima volta che me lo ripeti, Edward. »
Tenevo in mano convulsamente un fazzolettino di carta, mentre mi lasciavo cadere contro lo schienale del divano nel mio vecchio e consunto soggiorno.
« La cosa che mi da fastidio è che… » iniziai, mentre lui si sedeva di fianco a me, guardandomi attentamente. « In questi mesi avrà preso parte, da come mi diceva lui, e decine di manifestazioni, incontri di lavoro, eccetera eccetera. Tu pensi sia andato sempre da… quella? »
Lo vidi irrigidirsi, sulle spine.
« Bè, Bella, non ti ho detto proprio tutta la verità… » mormorò in imbarazzo. Lo fissai confusa.
« Non è una lei. »
Mi senti sprofondare.
« E’… è… » balbettai. Lui sospirò, annuendo.
« Oh mamma mia! Mio marito è a New York con il suo amante! Che è un maschio! Oh! Dovevo immaginarlo, ogni volta che andavano al ristorante lanciava occhiate languide ai camerieri! » mi portai le mani al volto. Che vergogna.
Mi sentivo sporca, offesa, presa in giro.
« Dai, su… » disse Edward, dandomi delle pacche sulle spalle.
« Dai su cosa?! Mio marito è gay, e io non lo sapevo! » urlai stizzita, alzandomi in piedi di botto.
« Mi sembra di essere in Beautiful. » gemei, camminando avanti e indietro.
Lui sospirò. Stava per dire qualcosa, ma lui gli puntai un dito contro e lo feci zittire.
« Non provare a dire “mi dispiace”. » esclamai, mentre mi guardava con un scintillio negli occhi.
« E cosa dovrei dire?! Mi fa piacere che tuo marito è gay?! » replicò, con un mezzo sorriso. Lo fulminai.
« Questa cosa ti diverte, vero? » chiesi gelida. Lui fece spallucce.
« Non mi venire a dire che a te dispiace. Non hai versato una lacrima, non ti sei messa a urlare, ne ti sei strappata i capelli per la disperazione. E aggiungerei meno male, visto che così pettinata stai molto bene. »
Arrossì un poco, ma poi rimuginai sulle sue parole. Aveva ragione. Perché non ero distrutta dal dolore? Quello era mio marito!
Mi morsi un labbro.
« Devo ancora digerire la notizie. » boffonchiai. Lui alzò gli occhi al cielo.
« Certo… » mormorò sarcastico, alzandosi in piedi. Lo guardai allarmata.
« Dove vai? » chiesi sulle spine. Alzò un sopracciglio.
« A casa. Pam mi aspetta. » sospirò. Mi sentii male. Pam, Pam, sempre Pam! Al diavolo Pam! Che muoia sotto atroci dolori!
« E io cosa farò?! » chiesi disperata. Mi guardò.
« Francamente me ne infischio. » replicò sarcastico, imitando il finale di Via col Vento. Lo fulminai.
« Sei ancora peggio di
Rhett Butler! » dissi acida. Almeno Rhett Butler amava seriamente Scarlett (Rossella) O’Hara, non come lui che l’aveva lasciata andare.
Sbuffò.
« Tu invece assomigli molto a Scarlett (Rossella) O’Hara. » disse freddo. Alzai un sopracciglio.

« Questo non è vero. Scarlett (Rossella) O’Hara era viziata, fredda, priva di ogni sentimento! Continuava ad andare dietro ad Ashley Wilkes, pur sapendo che era già sposato. E alla fine ha capito di amare Rhett solo quando lui se ne andato. »
Lui mi guardò triste.
« Mi sono espresso male, temo. » sospirò, avvicinandosi alla porta di entrata. Lo seguii.
« La nostra è una situazione come la loro. » mormorò, girando la maniglia. Uscì e si girò, avvicinandosi al mio volto, mettendomi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
« Scarlett (Rossella) era fintamente innamorata di Ashley, era solo un capriccio adolescenziale, mentre amava sul serio Rhett. Ma se ne accorta troppo tardi. »
Respirai a mala pena. Quel contatto così ravvicinato non lo provavo da anni.
« Non capisco. » mormorai, mentre le lacrime iniziavano a scendere. Sospirò, avvicinandosi alla mia bocca.
« Tu sei Scarlett (Rossella). Kevin è Ashely. Io sono Rhett. » mi alitò sugli occhi.
« Mi hai spezzato il cuore, Bella. Quando te ne sei andata. » mormorò gemendo. Deglutii.
« Me lo hai detto tu di andartene. » mormorai con le lacrime che iniziavano a scendere. Lui mi sfiorò il viso con i capelli.
« Ero confuso. Non ci capivo più niente. Soffrivi, soffrivi a causa mia! » gemette contro la mia guancia sinistra. Si strinse a me, passando le braccia sulla mia vita.
« Ti amo. »
Il mio cuore vacillò, la mia mente mi lasciò senza ossigeno.
Mi guardò con gli occhi illuminati, per poi posare con energia le labbra sulle mie.
« Almeno per oggi, facciamo una follia. » mormorò, staccandosi da me, per poi baciarmi il viso voracemente. Lo dovevo fare?
Non mi sentivo in colpa per Kevin – lui probabilmente era chissà dove a baciare con un uomo, quindi… - ma per Pamela. Amava Edward? Edward amava lei?
« Pamela. »
Si fermò, staccandosi un secondo dal mio viso. Deglutii e mi guardò con occhi supplicanti.
« Sei sposato con Pamela. » gemetti. Lui mi guardò confuso.
« E io sono malata, Edward. » singhiozzai poi piano. Mi continuava a tenere stretta.

« Bella, non dire così. E poi non mi importa. E’ stata colpa mia, vero?! » esclamò malinconico. « Hai avuto tutto questo per me. Se ti stessi accanto forse ti potrebbe passare! »
Singhiozzai più forte.
« Io ti voglio bene, Edward. » mormorai, accarezzandogli la guancia destra. « Mi hai insegnato ad amare. Dio solo sa quanto ti ho amato. »
Singhiozzava senza versare una lacrima.
« Perché parli al passato?! » gemette.
« Perché sei sposato. Ami Pamela. » mille lame mi squarciarono il petto.
« Bella, tu non… non capis- »
Gli posai un dito sulle labbra, provando un brivido lungo la schiena.
« Sì, capisco. Capisco, perché porti questa. » dissi prendendogli la mano sinistra che teneva ancora la mia vita, per sventolargliela di fronte al naso.
« Si questa fede c’è scritto Pamela. Non Isabella. » dissi semplicemente. Lui chiuse gli occhi, allontanandosi. Si ricompose psicologicamente, poi aprì gli occhi.
« H-hai ragione. Non so cosa mi sia preso. » iniziò traballante. Lo guardai persa.
« Però dimmi solo una cosa. » mormorò poi. Fremei.
« Mi ami? »
Deglutii a fatica, mentre le lacrime mi incorniciavano il viso. Aspettava una risposta. Lo amavo?
Sì. Lo amavo.
In un modo maniacale.
In un modo quasi nauseante.
Lo volevo. Volevo baciarlo, abbracciarlo, ridere con lui come due idioti fino a quando, aprendo gli occhi una mattina, ci saremmo resi conto che i nostri destini erano uniti.

Ma non potevo.

Lui sembrò comprendere il mio stato d’animo.
« Mi ami? » ripetè paziente.
« No. »
Quando stavamo insieme a magari gli dicevo qualche menzogna si metteva ridere, premendo un dito sul mio naso. Guarda che ti si allunga il naso Bella! Diceva sempre. Ma in quel momento non lo disse.
Sospirò e si avvicinò al mio viso. Il cuore si sentiva anche ad orecchio nudo. Sorrise laconico, per poi incominciare ad allentarsi. Prima di sparire, mi urlò poche parole.
« Guarda che ti si allunga il naso, Bella! »
La felicità mi esplose in petto. E per un attimo mi sentii di nuovo viva.

 

 

 

« Esme, non dovevi! »
Arrossì, mentre Esme mi metteva di fronte una fetta di torta alla cioccolata. Sorrideva dolcemente.

« Oh, non preoccuparti. Piuttosto speriamo che sia uscita decente. » replicò, iniziando a sgomberare il tavolo.
Quel pomeriggio mia aveva invitata a casa sua e io, se pur riluttante, avevo accettato non appena aveva pronunciato testuali parole: “Assaggia” “Ho cucinato” “Torta al Cioccolato”.
Se pur turbata dal fatto di incontrare Edward o, peggio ancora, Pamela, mi ero diretta da loro. Fortuna volle che erano andati a caccia. C’eravamo solo io, Esme, e Carlisle, che se ne stava accanto a me con un libro davanti, mentre Esme pulita i piatti. Mi offrì, quando ebbi finito di mangiare, di aiutarla, ma non volle sentire ragioni. Quindi rimasi con le mani in mano a fissare Carlisle, immerso nella sua lettura.
« Edward stanotte non c’era. E’ per caso venuto da te, cara? » chiese poi tutta ad un tratto Esme. Arrossì fino alla punta dei capelli.
« No. » rispose abbassando lo sguardo. Carlisle, con gli occhi ancora puntati sul libro, sorrise.
« Senti, Esme, posso farti una domanda… privata? »
Si immobilizzarono, e Carlisle mi lanciò un’occhiata di tralice.
« Che genere di domanda? » chiese sospettoso. Mi sentì in giudizio.
« Ehm… su Pamela. »
Si rilassarono.
« Fiù! L’ultima volta che qualcuno ci ha rivolto questa domanda è stato Emmett. » bofonchiò Esme. Alzai un sopracciglio.
« Lui a cosa si riferiva? » chiesi curiosa. Carlisle alzò gli occhi al cielo quasi in imbarazzo, mentre Esme fece una smorfia.
« Qualcosa di molto privato. »
Capì all’istante. In effetti era da Emmett.
Ridacchiai, e mi guardai in torno.
La casa non era cambiata per nulla.
« Cosa volevi sapere su Pamela? » chiese Esme, facendo la disinvolta. Ma allora perché Carlisle aveva gli occhi puntati sul libro sempre nello stesso posto, segno che non stava leggendo ma solo fingendo? Volevo essere attento alla discussione?
« Niente di che, solo… mi chiedevo… mi sembra strano, tutto qui. » feci spallucce. Carlisle alzò un sopracciglio.
« Strano? » ripetè. Arrossì.
« Non mi sembra il tipo per uno come Edward, tutto qui. » alzai le spalle. Esme ridacchiò.
« Non la conosci molto. » asserì dolcemente.
« Come posso spiegarvi… l’ho capita appena l’ho vista. E’ troppo sofisticata e seria per uno come lui. » replicai decisa, mentre ridacchiavano.
« E io che pensavo che Edward fosse molto serio e sofisticato. Come me lo spieghi questo? » chiese Carlisle divertito.
« E’ proprio questo il punto. Edward è una mummia. »

Mi guardarono un secondo, prima di scoppiare a ridere.
« Mummia? »
« Come aggettivo non è male. Gli si addice. »
« Carlisle! »
Mi sentivo a casa.
Mi sentivo con i miei genitori, con la mia famiglia.
Ma allora perché mi sembrava così sbagliato?
« Gli serve qualcuna che lo rianimi. Una con cui può permettersi di fare lo stupido, ridendo, scherzando… » mormorai assorta, con lo sguardo vuoto. Si zittirono.
« Pensi di rientrare in quella categoria? »
Alzai gli occhi su Carlisle, sorridendo amara.
« Forse un tempo. » ammisi. Alzò un sopracciglio.
« Perché non più? »
« Non lo so… non mi sento con lui. »
Esme mi guardò tentennante. Carlisle sospirò, lanciandole un’occhiataccia.
« Carlisle? » disse implorante Esme, e lui si stizzì.
« Non dobbiamo, Esme. » borbottò, alzandosi di botto. Si girò verso di lei.
« Se lo fai ti fermerò prima che tu abbia la possibilità di terminare la frase. » disse serio. Poi si girò, uscendo. All’ultimo, sotto il mio sguardo confuso, si girò, guardando un’Esme corrucciata.
« Io ora vado nel mio studio, dove non posso ne fermare nessuno ne sentire ciò che dirai. Arrivederci, Bella. »
Esme sorrise, muovendo le labbra così veloci che non riuscì a coglierne il significato. Lui sorrise con amore. Se ne andò.
« Esme, non ci capisco più niente. Voi mi nascondete qualcosa! » l’accusai, mentre sospirava. Si sedette accanto a me.
« Bella, vuoi la verità? » mormorò. Il cuore mi si fermò per la curiosità e la preoccupazione.
« Cosa? » chiesi disperata.
« Bella, Edward si è sposato con Bella perché… »
« Mi ama. »
Ci girammo di scatto, trovando Pamela sulla porta, con uno sguardo cauto.
« Parlavate di me e Edward? » chiese con un velo di fastidio. Esme si ricompose.
« Siete tornati presto. » disse semplicemente. Fece spallucce.
« Jasper e Rosalie sono ancora nel bosco. Siamo tornati solo io, Edward e Alice. Emmett è andato a fare benzina. » spiegò con noia. Mi alzai in piedi.
« Io me ne vado. » dissi. Ero di troppo.
Sulla porta della cucina, però, si presentò anche Edward, stupito.
« Ciao Bella. » mormorò con un luccichio negli occhi. Sorrisi di rimando.
« Sei venuta per quel CD? »
Lo guardai confusa. CD? Quale?
Feci per aprir bocca ma mi si parò di fianco, spingendomi fuori dalla stanza.
« Vieni, te lo do. Quello degli anni ’80, vero? » chiese dolce. Pamela era furente. Sentivo il suo respiro pesante.
« Io… » iniziai, non sapendo se stare al gioco. Quale, poi?
La sua occhiata mi intimò di salire le scale, con lui dietro.
Lontana da Pamela mi sentì un po’ meglio. Emetteva aura negativa.
« Si può sapere cosa spari?! » esclamai poi, giungendo sulla porta di camera sua. Lui fece spallucce, ed entrò. Lo seguì.
Possibile che non fosse cambiato niente?
Chiuse la porta alle nostre spalle.
« Bella, dobbiamo parlare. » iniziò serio. Deglutii.
« Non dobbiamo più vederci. Se ti senti male chiama Alice. » mormorò più stanco che male. Mi sentii persa.
« Perché? » chiesi semplicemente. Si passò una mano fra i capelli.
« I-io… » balbettò. « Impazzisco. » ammise, dirigendosi verso il divano, lo stesso di anni prima, sedendosi a peso morto. Lo seguii, mettendomi di fronte a lui.
« Impazzire? » ripetei acida.
« Averti vicina, non poterti… toccare, amare… » si portò le mani al viso. Mi sentii male.
« Edward, io… » iniziai. Glielo dovevo dire? Gli dovevo dire che l’amavo? No, non potevo. Ma volevo!
« Ti amo, Bella. E non ce la faccio. »
Si sporse e, da seduta, mia cinse la vita con le braccia, appoggiando la testa sul mio ventre piatto.
La voglia di passargli le mani fra i capelli era incontrollabile. Lo faccio? Non lo faccio. Lo faccio? Non lo faccio.
Ma quando lo sentii gemere contro la mia maglietta non resistetti. Mi buttai addosso a lui, mettendosi le mani dietro al collo.
« Edward. » mormorai mettendomi a piangere. Lui gemette nuovamente contro il mio collo. Ma perché quel sospiro straziato era così rauco?
Mi staccai e lo guardai negli occhi. Neri.
« Non hai bevuto?! » chiesi rimproverandolo. Lui chiuse gli occhi.
« Non ce la facevo. Ti amo Bella, ti prego, dimmi che mi ami. Sto impazzendo, non ce la faccio più. Dimmelo. Ti scongiuro. »

« Edward, io… devi bere! »
« Dimmelo! » aprì gli occhi, e mi ci persi dentro. Si avvicinò a me.
« Sai cosa vorrei, Bella? » mormorò a pochi centimetri dalla mie labbra.
« Che Pamela non fosse di sotto ad aspettarmi. » sussurrò. Avevo la gola secca e le labbra in fiamme.
« Perché? »
« Perché se non ci fosse stata questa sarebbe stata la volta buona. »
« Quale volta buona? »
« Quella in cui mi sarei deciso di passare la notte con te. »

 

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Capitolo 7
*** La verità. ***


Ufficiale

Chiedo scusa per il mega ritardo, ma parecchie cose mi hanno frenato. Per esempio la lettura di eclipse e vari incidenti di percorso. Comunque vi avverto che il prossimo capitolo è l’ultimo. Penso che la saga di queste due fanfic possano finire con l’ottavo capitolo di questa. Non prometto niente se sarà un finale triste o felice, deciderete voi quando avrete finito!
E ringrazio i lettori e le ben diciannove recensioni del capitolo precedente! Siete dei tesori!
Bè, bando alle ciance, vi ho fatto già aspettare troppo.
Ciao ciao

Minako-Lore

 

 

 

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CAPITOLO 7: La verità.


××



Sentii dei brividi lungo la schiena al sentir pronunciare quelle parole e un famigliare senso di deja-vù si impadronì di me. Anni or sono avevamo intrapreso una stessa discussione sull’argomento.
Deglutii a fatica, e arretrai un poco.
« Non capisco. » balbettai. Mi guardò disperato.
« Cosa c’è, Edward? Cosa ti succede?! Sei sposato, per Dio! » esclamai, mentre lui si portava le mani sul volto.
« Sono un capriccio? O ti senti in colpa? » iniziai a singhiozzare. Lui gemeva con la mani sul volto.
« Cosa succede, Edward? Dimmelo! Sei sposato con Pamela! »

« PERCHE’ SONO COSTRETTO! »
Lo guardai con sguardo sbarrato, mentre, rendendosi conto delle parole dette, stava sbiancando con un’espressione angosciosa.
« Cosa? » sussurrai. Lui deglutii a fatica, e si alzò.
« Niente. » era sulle spine. Lo afferrai per le spalle.
« Sei costretto?! » mormorai incredula. Lui pareva quasi offeso.
« Tu pensi che io la ami? Tu pensi che in questi anni ti abbia dimenticato? » sussurrò in risposta, malinconico e triste.
« T-tu l’hai sposata. » replicai con le lacrime che scendevano.
« Bella, sono stato costretto, dannazione! » quasi urlò, gemendo. Lo guardai non capendo più niente.
« Da chi?! » chiesi disperata.
« Dai Volturi! » esplose.

 

 

Rimasi di sasso. Da quanto tempo non avevo più sentito quel nome pronunciato da delle labbra umane?
Deglutii a fatica.
« Perché? » chiesi semplicemente. Mi guardò con un sorriso amaro.
« Per te. » replicò semplicemente. Mi sentii male.
« Pochi mesi dopo che te ne sei andata ci hanno fatto visita. » fece una smorfia. « Mi hanno chiesto dov’eri. Gli ho detto che eri morta in un incidente. Non mi credevano. Gli feci vedere la tua tomba, ma sentivo che non erano ancora sicuri. » sospirò, avvicinandosi alla vetrata che dava sui Monti Olimpici. Stavo trattenendo il fiato.
« Alla fine arrivarono al sodo. » sospirò. Mi avvicinai, sfiorandogli la schiena. Rabbrividì e continuò.
« Pensavano che se veramente eri morta, non avevo nulla da perdere sposando e uccidendo Pamela. »
Ci irrigidimmo entrambi. Si girò piano, guardandomi negli occhi.
« Mi dissero di mordere una ragazza italiana, facendola divenire una vampira, per poi sposarla. La loro idea era che io rifiutassi, perché magari eri ancora viva. Ma io feci tutto. Portarono una ragazza italiana in una stanza dove c’ero anch’io… »
Stava tremando. E io ero ipnotizzata dalla sua rivelazione.
« E… la morsi. Dopo la sua trasformazione le raccontai che l’amavo e che intendevo sposarla. I Volturi alla fine si arresero. Pensarono che dicessi la verità. In fondo, se non era vera la mia parola, come avrei mai potuto convivere con Pamela e con te? Quando furono sicuri che eri morta se ne andarono. E mi lasciarono con lei. »
Tremava come un pulcino bagnato. I suoi occhi neri erano intrisi di angoscia e qualcosa di molto, molto profondo: amarezza.
Lo aveva fatto per me. Di nuovo. Mi aveva salvata. Quando lo avevo lasciato.
« Tu mi ami. » mormorai, avvicinandomi a lui. Mi guardò rigido.
« Mi dispiace. » replicò in un sussurro appena udibile. « Bella, io ti amo. Ma se i Volturi vengono a sapere tutto… siamo da capo. »
« Perché siamo arrivati a questo punto? » chiese piangendo piano. Lui alzò le spalle.
« So solo che è colpa mia. Ti ho lasciata andare, di nuovo. Eri mia, eri una vampira, e avremmo potuto vivere felici. » sussurrò. « Forse non è destino, Bella. Forse noi non dobbiamo stare insieme. »
Mi lasciai uscire un gemito.
« Ti prego, Bella, vattene via. »
Alzai lo sguardo stralunata. Aveva il volto sciupato e sconvolto.
« Stai rischiando. » mormorò. Lo guardai spaesata. « Se continuo ad averti vicina non so se ce la faccio. E Pamela lo verrà a sapere. »
Annuì piangendo più forte, staccandomi da lui.
Mi diressi zigzando verso la porta. Quando girai la maniglia, lo sentii in un batter d’occhio dietro di me. Mi appoggiò il viso sulla mia spalla, sussurrando poche parole nell’orecchio.
« Ti amo. Ti prego, ricordatelo. »
Sorrisi amaramente.
« E’ questa la nostra condanna. Amarci. » replicai guardandolo.  
Lo vidi deglutire.
« Bella? »
« Sì? »
« Mi odi se ti chiedo una cosa? »
Lo guardai confusa e curiosa. Sospirò.
« Possiamo passare un’ultima giornata insieme? Da soli, come se questi anni non fossero mai trascorsi? »
Tremai, per poi baciarlo su una guancia.
« C’è ancora la nostra radura? »
Sorrise.

 

 

 

 

« Buon giorno. »
Incredibile come, con quel sorriso e quell’espressione dolce attraverso il finestrino della sua Volvo, mi sentii di nuovo una diciottenne intenta a passare una giornata con il suo ragazzo.
Avevamo deciso di andare alla radura la mattina dopo, giusto per non dare nell’occhio. A Pamela aveva detto che sarebbe andato a caccia, io a fare delle analisi a Port Angels.
E così eccoci lì.
Entrai cauta sulla Volvo, sedendomi al posto del passeggero.
« Mi sento una ladra. » ammisi, guardandolo in volto. Gli occhi che incotrarono i miei erano oro liquido. La sera prima si era cibato vicino al fiume.
« Bella. » mi rimproverò. Sbuffai. Ci eravamo messi in comune accordo di non pensare a tutte quelle situazioni. E anche se in quel momento non pensare a essere una specie di amante era difficile, mi lasciai andare contro lo schienale del sedile. Lui accese la radio, mettendo in moto.
« Mi sembra di esser tornato indietro nel tempo. » mormorò tranquillo. Era decisamente rilassato, glielo leggevo nello sguardo dolce.
Voleva davvero godersi quell’ultima giornata con me, come se quegli anni fossimo restati insieme felici e contenti. E io non volevo certo mettergli i bastoni fra le ruote.
Lo guardai meglio, e notai come i capelli non fossero increspati con il gel che di solito usava.
« Di nuovo con quella pettinatura anni ’80? » chiesi prendendolo in giro. Mi fece la smorfia.
« Non potevo certo mettermi in ghingheri quando Pamela pensava che stessi andando a squarciare qualche povero cervo. »
In effetti non era in massimo forma: aveva un semplice paio di jeans azzurri con una maglietta bianca.
Sospirai. E io che mi ero messa un paio di pantaloni bianchi con un maglioncino nero.
In fondo era ancora Gennaio.
« Meno male che non piove. » disse Edward, guardando le nuvole dissolversi piano piano. Sorrisi. Andava tutto bene. A parte il fatto che io ero sposata e lui pure. Io con un gay che era con il suo amante a New York, e lui con una pazza ingaggiata da mafiosi italiani. Va bè. Quello passava il convento.

« Parti domani mattina? » chiese poi in un sussurro debole. La malinconia si impossessò di me.
« Sì. Ho già chiamato Kevin. » feci una smorfia. Lui alzò un sopracciglio.
« Vuoi vivere ancora con lui? » chiese stupito. Sospirai.
« Certo che no. Ma qualcuno mi deve pur riportare a casa. E chi se non il mio dolce maritino gay che mi ama tanto? » replicai acida. Si voltò, con uno sguardo pensieroso.
« Non mi hai ancora detto dove abiti. » disse con un sorriso.
« Kevin è originario di Los Angeles, quindi abitiamo lì. » replicai. Lui tornò con lo sguardo alla trada.
« Vuoi che ti accompagni io? » sussurrò poi, come se non fosse neanche più sicuro lui di ciò che diceva. Risi amaramente.
« No, Edward. Non farebbe bene a nessuno dei due. » confermai, guardando fuori dal finestrino.
Lo sentii sospirare, e nessuno parlò più per il resto del tragitto.
Procedemmo velocemente, e io, troppo presa dal rimorso e dalla continua consapevolezza di star facendo qualcosa di sbagliato, non mi accorsi che aveva spento il motore e ora stava scendendo dalla Volvo. Quando me ne accorsi fui talmente goffa da aprire la portiera e inciampare nella distanza minima che mi separava da terra. Edward mi tenne per le spalle appena in tempo.
« Grazie. » mormorai.
Sorrise dolcemente.
« Ti va una corsa? »


Era da anni che non sentivo quella sensazione di libertà. Il vento fra i capelli, il silenzio ad avvolgermi.
Si stava così bene, lì, stretta sulla schiena fresca e dura, con la testa all’indietro a occhi chiusi, godendo di quel briciolo di felicità racchiusa. Ma come tutte le cose belle quel momento finì subito.

Sentii Edward rallentare, e infine fermarsi, posandomi a terra con delicatezza. Sorrisi e aprii gli occhi: la radura era ancora lì.

Bella e colorata come la ricordavo. Solo una cosa in quel quadretto era cambiata: io.
« Si sta così bene. » mormorai con un sospiro liberatorio, mentre Edward mi si distendeva accanto rilassato.
« Già. »
Come tanti anni prima restammo in silenzio, lui con gli occhi chiusi a godersi il pallido sole che imperlava la sua figura, e io deliziata a fissarlo.
Il rumore del ruscello faceva da sfondo.
« Ci hai mai portato Pamela? »
Lo vidi irrigidirsi e aprire gli occhi.
« No. »
Quella risposta negativa mi rese felice più del lecito. Allora era ancora la nostra radura. Non la sua e di Pamela. La NOSTRA.
Sorris
i soddisfatta, e respirai a pieni polmoni quel profumo di fiori.
« Bella? »
Mi girai a contemplare quel viso così famigliare. Era serio.
« Sì? »
« Siamo proprio degli idioti. »

Alzai un sopracciglio.
« Lo hai capito adesso? » risi amaramente.
« Avevamo il futuro spianato. »
« Cosa ti costava ritrasformarmi? »
« Il tuo potere era tr- »

« Troppo pericoloso? Mi avevi promesso che avremmo superato tutto insieme. » dissi gelida.
Lui mi guardò apprensivo.
« Cosa posso fare perché tu smetta di odiarmi? » chiese disperato. La risposta mi usc’ dalle labbra contro la mia volontà.
« Mordimi. »
I suoi occhi si allargarono visibilmente, mentre apriva la bocca senza dire niente. La richiuse stupefatto, per poi emettere un gemito.

« Cosa?! » disse stizzito. Mi morsi un labbro. Cosa avevo detto?! Io non volev… o sì? Volevo davvero tornare a fare la vita di quattro anni prima?
« Io… » iniziai titubante. Mi fissava scioccato.
« Bella, io non… tu vuoi davver- »

Era senza parole. Mi fissava confuso e spaesato.
« Mi piacerebbe. » boffonchiai.
« Tu vuoi tornare c-con me? »
Distolsi lo sguardo da lui. Lo volevo? Sul serio?

Subito mi tornarono alla mente ricordi…
E’ possibile amare una persona ma da una parte non volerla?

E’ possibile tornare indietro e riprendere da dove si aveva lasciato senza pensare ad altro?
Non lo sapevo.

E di certo Edward in quel momento non era nelle condizioni di rispondermi da quanto era pensieroso e immerso nel suo mondo.
« Dammi una buona ragione. Una sola. »

Tremai.
Il mio cuore vacillò.
« Ti amo. »
Alzò lo sguardo incontrando il mio sorpreso quanto il suo.
Lo amavo davvero?
Si avvicinò a me piano, per poi posarmi una mano sulla mia guancia bollente.
« Davvero? »
Sospirai e posai le mie labbra sulle sue. Lui si ritrasse.
« Sì, mi ami. »

 

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Capitolo 8
*** Sogno premonitore. ***


Sito Web

Buondì! Eccomi con l’ultimo capitolo! Uff, che fatica! E’ più lungo dei precedenti, stavolta vi meritate un finale adeguato XD
Come al solito ringrazio lettori e recensori. Siete fantastici!
Per vostra fortuna penso che mi prenderò una pausa, giusto per accumulare un po’ di idee per un’altra fic xd Probabilmente la scriverò basandomi su Eclipse… poi bo, vedremo!
Ecco a voi il capitolo!
Ciao a tutti!
Minako-Lore

 

 

 

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CAPITOLO 8: Sogno premonitore.



××


 

Guardai di sottecchi Pamela, impegnata a tenere saldamente la mano di Edward nella sua.
Il vestito color lavanda era un pugno nell’occhio con i suoi capelli biondi, ma di questo pareva non curarsene. Accanto a lei il mio Edward era teso, e cercava in ogni maniera di scollarsi di dosso la sua mano. Impresa ardua visto la stretta soffocante di lei.
Lo stomaco mi si rigirò, e imprecai ogni sorta di maledizione verso di lei. Presi un respiro e sorrisi forzatamente.
« Allora ci siamo. » mormorai. Esme mi si avvicinò impacciata.
« Ci mancherai, tesoro. » disse abbracciandomi. Mi tenni stretta a lei. Quando ci staccammo sorrisi al resto della famiglia.
« Grazie di tutto. Non dovevate disturbarvi ad accompagnarmi fin qui alla metropolitana. » spiegai, ma tutti alzarono gli occhi al cielo.
« Come se non ti avesse fatto piacere. » rise Emmett. Gli feci la linguaccia, e lanciai un’occhiata dietro di me. Da lì a poco avrei preso il treno per arrivare all’aeroporto di Port Angels.  
Tremai.
Edward mi avrebbe seguito.
Non subito.
Mi sentii una bugiarda, una ipocrita. E un vero rifiuto della terra.
Ma lui mi amava. E io amavo lui.
Dovevamo stare insieme.
Saremo scappati.
Semplice. Ingegnoso.
Un piano di sopravvivenza per entrambi.
Chi se ne fregava di Pamela.
Chi se ne fregava di Kevin.
Potevano entrambi andare a buttarsi da un precipizio. Anzi, io non li avrei trattenuti.
Tutto, ora, dipendeva da me ed Edward.
« Sai, Bella, mi mancherai. » mormorò Pamela. Alzai un sopracciglio. Tu invece non mi mancherai affatto.
« In fondo, sei stata come una sorella. » mi si avvicinò, lasciando Edward. Mi cinse con le sue braccia magre in un abbraccio freddo. Poi mi si avvicinò all’orecchio destro.
« Ma è ora di finirla. »
Corrugai la fronte, pronta a replicare qualcosa. Ma non feci in tempo a formulare niente.
Un dolore lancinante mi percosse le ossa, mentre le sue dita spingevano sulla carne della mia schiena.
Mi misi a gemere, e, tra le lacrime, notai lo sguardo terrorizzato dei Cullen. Edward, con un ringhio sommesso mi tolse bruscamente Pamela di dosso, ma non feci in tempo a capire niente che qualcuno mi spinse con forza, e mi mancò il pavimento sotto i piedi.
« FELIX! »
L’urlò di rabbia di Emmett mi rimbombò nelle orecchie, e la scena mi si parò a rallentatore.
Il treno stava arrivando.
Tutti i Cullen a terra gementi. Anche Edward.
Di sottecchi notai Jane a poca distanza da Felix ridere sguaiatamente. Ma era un rombo, un eco troppo distante a farmi ancora più male. Oramai ero sulle rotaie.
E il treno a pochi millimetri di me.
Sentì il mio corpo distruggersi e il mio urlo soffocato dalle ruote.



Aprì gli occhi di scatto, sudata, con le lacrime lungo le guance. Singhiozzando mi misi seduta sul letto, accendendo la lampada posta sul comodino accanto a me.
Quando nella stanza ci fu luce mi misi a piangere più forte.
Era solo un sogno, un terribile sogno pensai tremante. Quindi mi alzai, e, tenendomi saldamente alla parete, mi avviai verso la porta. Uscì da quella camera soffocante, e scesi al piano inferiore. In un tremito disperato aprii il frigo, per uscirne del latte.
Lo aprii a ne bevvi direttamente dal cartone.
Il latte freddo mi gelò le ossa, e il dolore inferto nel sogno da Pamela si fece vivo.
Era un sogno continuai a ripetermi.
Ma qualcosa nella mia testa non riusciva a partire.
Mi sedetti, e ci pensai su. Qualcosa non quadrava. Quel sogno…
Una consapevolezza nascosta si fece largo fra i miei pensieri… e il discorso del giorno prima di Edward mi tornò in mente:

Pensavano che se veramente eri morta, non avevo nulla da perdere sposando e uccidendo Pamela.

Mi dissero di mordere una ragazza italiana, facendola divenire una vampira, per poi sposarla. La loro idea era che io rifiutassi, perché magari eri ancora viva. Ma io feci tutto. Portarono una ragazza italiana in una stanza dove c’ero anch’io…


E… la morsi. Dopo la sua trasformazione le raccontai che l’amavo e che intendevo sposarla. I Volturi alla fine si arresero. Pensarono che dicessi la verità. In fondo, se non era vera la mia parola, come avrei mai potuto convivere con Pamela e con te? Quando furono sicuri che eri morta se ne andarono. E mi lasciarono con lei.

 

Cercai di ricordarmi se aveva detto qualcosa riguardo al risveglio dopo il morso. Eppure non trovai niente. Edward mi aveva detto che le aveva raccontato di amarla, e stop.
E ripensai a Pamela.
Una come Pamela, ci avrebbe creduto?
Quale sarebbe stata la prima cosa che avrei chiesto io se fossi stata nella sua situazione?
Chi erano quelle persone che mi hanno portato da te? E come è possibile che mi ami?
Mi irrigidì.
Edward non era il tipo da tralasciare mai niente.
Eppure… lei lo aveva accettato subito? Insomma, senza chiedere niente? Possibile che gli avesse creduto quando le aveva raccontato che l’amava?
Tremante afferrai il telefono, e feci il numero di Villa Cullen.
Deglutendo a fatica aspettai, fino a quando non rispose Jasper.
« Pronto? »
« Jasper, sono Bella. Senti, mi devi dire una cosa! »
Il respiro di Jasper si fece accelerato.
« Hai la voce traballante. Tutto bene? » mi chiese tenebroso. Cercai di calmarmi.
« Sì, tutto okay. Ascolta… quando Pamela si è risvegliata dopo che Edward l’aveva morsa, quali sono state le sue reazioni? »
Ci fu un attimo di silenzio.
« Io ero presente. » iniziò insicuro. « Quando si svegliò, Edward le si avvicinò. Lei era stranamente felice. Non seppi dire perché. Lo continuava a guardare sognante, come in attesa di qualcosa. Alla fine, Edward le disse che l’aveva trasformata perché l’amava e intendeva passare la sua vita con lei. Lei era al settimo cielo. »
Confusa continuai con l’interrogatorio.
« Ma scusa, quando si è svegliata non ha chiesto per esempio come mai aveva sofferto per tre giorni, cos’era, chi eravate. Cose di questo genere. »
Un altro attimo di silenzio.
« No. In effetti sembrava sapesse già tutto. Ma naturalmente, penso, che era troppo felice per il fatto che uno come Edward le si stava dichiarando per for-  »
Tu tu tu
Mi alzai di botto interrompendo la telefonata. Veloce presi il cappotto. Quella ragazza sapeva. SAPEVA!
Perché non fare quelle domande che le sarebbero venute naturali? Perché no?!
Il mio sogno… una premonizione!
I Volturi.
Improvvisamente sentii la paura salirmi lungo la schiena. Come una scheggia ripresi il telefono, ricomponendo il numero di Casa Cullen. Mi rispose una voce scossa.
« Pronto? »
« Alice! » esclamai terrorizzata.
« Bella! Jasper mi ha detto che gli hai chiuso il telefono in faccia! »
« Oh Alice, non c’è tempo! Pamela! Dov’è Pamela? »
Alice ci pensò un secondo.
« E’ uscita mezz’ora fa. Voleva andare a fare un giro. »
Oddio.
Era a piede libero.
« Alice! E’ qui per conto dei Volturi! »
« Cosa?! »
« I Volturi non devono aver scelto una ragazza a caso! Quelle deve essere una che complot- »
La linea cadde e, confusa, mi accorsi che io non avevo chiuso la conversazione.
« E brava Bella. »
Mi irrigidì sul posto, voltandomi lentamente.
Sulla porta di casa mia c’era Pamela.

« Molto, molto intelligente. Pazza, ma intelligente. » rise. Con terrore notai che i suoi occhi erano rossi.
« Chi hai ucciso? » chiesi a mezza voce. Lei alzò le spalle.
« Un uomo. A pochi isolati da qui. Ma non preoccuparti. Con te farò più veloce. »
Mi cadde il telefono dalle mani.
« Cosa vuoi! » la mia quasi non sembrava una domanda.
« Io? Io niente. Sono qui per i Volturi. » spiegò, leccandosi un labbro.
Dovevo prendere tempo. Di sicuro Alice e gli altri sarebbero arrivati di lì a poco.
« Spiegati! »
Rise, come una pazza.
« Non sono stupida, sai? » disse innocentemente. « Tu vuoi prendere tempo. Peccato che a Villa Cullen sono arrivati Felix e Jane. »
Deglutii a fatica. No. No!
Le immagini dei Cullen del mio sogno si fece avanti. A terra, sotto lo sguardo divertito e folle di Jane. Edward!
« Quindi possiamo parlare. » rise ancora. La sua risata mi fece rabbrividire. Si acciambellò sulla sedia della mia cucina, giocherellando con la tovaglia di plastica a fiori.
« Lavoravo per i Volturi come segretaria. » sospirò. Mi tornò in mente Gianna.
« Sapevo cosa succedeva. Come non capirlo? Intere comitiva che entravano e urla agghiaccianti. Solo uno stolto non avrebbe compreso. Certo, non ero partita credendo fossero vampiri. Magari mafiosi, magari dei killer. Solo quando assistetti alla scena per pure caso capì. Loro mi volevano uccidere. Avevo visto troppo. Io li supplicai di farmi diventare vampira. Ma non erano d’accordo. » il suo sguardo era eccitato, mentre mi guardava tremare.
« Poi un giorno venni a sapere che dovevano cercare una vampira da rifilare ad un americano. Io mi feci avanti, chiedendo se potevo andarci io. Mi raccontarono tutta la storia. Accettai. »
Ti prego, ti prego, Edward… aiutami…
« Arrivò a Volterra Edward, e ne rimasi affascinata. Così mi lasciai mordere, e accettai di sposarlo. Quando venimmo a Forks, sotto richiesta dei Volturi, controllai che fossi morta davvero. Il risultato delle mie ricerche fu negativo, segno che non c’eri veramente. » la sua espressione divenne acida.
« E poi sei tornata. Ti ho riconosciuta subito. » rise. « Poi il resto penso che lo sai. »
« Ma Alice? Ed Edward? Come hanno fatto a non capire grazie ai loro poteri tutto? »
« Edward non ti ha parlato del mio potere? Per qualche assurdo motivo so tenere a bada i poteri altrui. Quindi non hanno mai usato i loro su di me. Che coincidenza. » rise.
Tremai nuovamente. Si alzò. Un senso si deja-vù si impossessò di me. Quella situazione sembrava tanto quando James mi stava per uccidere.
Chissà se sarebbe finita bene anche quella volta. Chiusi gli occhi, piangendo.
« Oh, Bella, no, non piangere. » rise. « Pensa che finirà tutto, non vuoi? »
La sentivo avvicinarsi. A occhi chiusi sentivo perfino il suo respiro eccitato. E nella mente ripensai a quegli occhi rossi, folli. Com’erano diversi da quelli di Edward!
Non mi lamentai neanche quando mi prese la mano nelle sue.
« Uh, qui vedo che qualcuno ti ha giù morsa. » mormorò, disegnando il contorno della mia vecchia cicatrice. La sua pelle fredda mi fece rabbrividire. Edward… Edward? Starai bene in questo momento? Oddio, fa che sia così!
« Cosa farai ai Cullen? » chiesi con voce soffocata. La sentii traballare.
« Niente. Ma Edward riceverà una punizione. Mi ha mentito. Penso che lo torturerò un po’. E poi continueremo la nostra vita di coppia. » rise sfrontata. Deglutii a fatica.
Chiusi più forte gli occhi. E sentì i suoi denti lacerarmi il collo con foga.
La terra mi mancò sotto i piedi, il mio sangue scorreva a fiotti. Aprii gli occhi a fatica, per notare come, ingorda, continuasse a bere con espressione fra il deliziato e il folle.
Poi, dietro di lei, notai un’ombra scura. E in un secondo la sua pelle fredda si staccò bruscamente dalla mia, facendomi cadere a terra. Presi una botta alla schiena contro il tavolo, ma non sentii dolore. Il mio collo stava prendendo fuoco. Mi misi a urlare, e risentì quella pelle fredda contro la mia calda.
Urlai come una pazza, pensando fosse lei.
La bocca fredda tornò al mio collo, e pensai che mi continuasse a mordere. Invece sì fermò, dandomi un bacio, stringendomi quasi soffocandomi contro il suo petto. E solo allora sentii l’odore famigliare di Edward, mentre mi accarezzava la vita, sussurrando parole incomprensibili.
Chiusi il contatto con la realtà nel momento esatto in cui il bruciore arrivò a un livello esorbitante. Quella dannata bastarda mi aveva lasciato tanto di quel sangue nelle vene che il dolore era dieci volte più forte del dovuto…

 

 

 

Quel dolore non finiva più. Era come se qualcuno mi stesse trafiggendo con delle lame. Eppure, attorno a me, sentivo delle voci, lontana, quasi degli echi.
Hai fatto bene, Edward.
Stavolta andrà tutto bene.
Quei dannati Volturi, alla fine, hanno dovuto arrendersi.
Arrendersi? Sorrisi, forse, mentre il dolore mi infliggeva una sofferenza senza limiti.
Gemendo, non mi resi conto che piano piano stava diminuendo…

 

 

***

 

Quando aprii gli occhi della timida neve mi stava cadendo sulla testa. Intorno a me una folla di bambini gridavano allegri, tirandosi delle palle di neve. Alcune mi sfiorarono, per fino, per poi cadermi oltre. Confusa mi girai intorno, notando come tutti stessero indossando dei giaccone d’altri tempi.
Davanti a me un’enorme chiesa faceva capolino, stupenda e agghindata con il suo pallido candore.
Ma dov’ero?
Mi girai nuovamente intorno. Strano come non sentissi freddo. Tutti mi passavano accanto, senza degnarmi di uno sguardo. Sembrava fossi un fantas-
Mi bloccai.
Feci una corsa, senza sforzo, e toccai timidamente il muro della chiesa. La oltrepassai.
La mia mente fece un rapido calcolo, ragionando su quella situazione.
E la consapevolezza si fece largo fra i membri della mia memoria.
« Ho riacquistato il mio potere di vampira. Sono indietro nel tempo. » boccheggiai. « Quindi… nel presente Edward mi ha lasciata trasformare! »
La felicità mi investì con una forza sovraumana, facendomi ridere di gioia. Poi, due figure attirarono la mia attenzione.
Una donna e un uomo: la donna era incinta, si vedeva benissimo. Con stupore e gioia la riconobbi, e quando parlò capii anche a chi si stava riferendo…
« Il nostro bambino sarà speciale, non è vero, Edward? »
« Certo, Elizabeth. »
E tutto prese a vorticare…

***


Apri le palpebre pesanti, incontrando sue grandi occhi neri.
Sorrisi, richiudendo gli occhi.
« Edward? »
« Sì? »
Risi piano.
« Dimmi quello che voglio sentirmi dire. »
« Sei una vampira. »
« E… »
« E ti amo. »
Mi lasciai abbracciare dolcemente, mentre mi baciava sulla fronte. Alla fine, avrò anch’io un lieto ‘the end’?

 

 

 

 

10 ANNI DOPO…


 

« Bella! »
« Grazie! »
« Emmett! E non ti permettere di criticarlo! »
« Non lo farei mai, sorellina! »
« Jazz, eccoti il tuo. »
« Grazie, Allie. »
« Rosie, Esme, Carlisle, i vostri. E il tuo, Ed, anche se non ti meriteresti altro che carbone. »
« E perché, scusa?! »
« Perché sei acido. »
« Non sono acido! »
« Ha ragione lui, Alice. Non è acido. »
« Ecco! Grazie Emmett. »
« E’ solo un rompipalle, poverino, vogliamo fargliene una colpa? »
Risi di gusto, mentre Edward buttava in faccia a Emmett un cuscino del divano.
« Su, basta! Aprite i miei regali! » annunciò frettolosa ed eccitata Alice. Senza farmelo ripetere due volte strappai la carta dal mio, ritrovandomi in mano un completo intimo. Prendendo in mano il reggiseno notai come ci fosse scritto qualcosa a sinistra.
« Ma Alice! » esclamai divertita. Lo girai, facendolo vedere anche agli altri. Tutti scoppiarono a ridere, mentre leggevano la scritta luccicante “I love you, Edward” sul capo intimo.
« Ehi, chi ti ha dato il permesso?! Guarda che sulla mia persona ci sono i diritti di copyrights! »
« Ma smettila! »
Sospirai divertita, riponendo il tutto nella carta. Era la notte della Vigilia e, come negli ultimi dieci anni che abitavo con loro, stavamo aprendo i regali.
Tutto poi era tornato a suo posto.
I Volturi se ne erano andati, oramai da vampira non potevo combinare altro. Pamela era stata sistemata da Jasper ed Emmett, e ora la sua cenere faceva probabilmente parte del Sahara. Kevin, quando era tornato, aveva avuto la lezione che si meritava. Gli avevo detto che sapevo di lui e del suo amico. Così ho chiesto il divorzio.
Io ed Edward siamo felicemente sposati da nove anni. E posso dire senza ombra di dubbio che ora sono veramente felice.
A parte quando torno nel passato. Ma oramai so controllare il mio potere. In fondo, chi non avrebbe imparato a controllarlo dopo aver visto in una delle proprie scorribande nel passato una notte focosa di Rosalie ed Emmett? Bè, forse un ninfomane. Ma non la gente normale. E io, se pur vampira, potevo affermare di essere assolutamente normale. Poco importava se mi nutrivo di sangue. A quel punto faceva tutto parte della normalità. Mi ripresi dai miei pensieri quando scoppiarono altre risa. Quindi mi voltai: Edward stava tenendo in mano un paio di boxer con su scritto “I love you, Bella.”. Mi unì alle risa. Quindi schioccai un bacio sulla guancia ad Edward, dicendogli che in fondo non erano stati dei brutti regali, quelli di Alice…

 

 

- THE END -


 


 

 

 

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