Il bello del Natale in casa Cullen

di StelladelLeone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ventitrè Dicembre ***
Capitolo 2: *** Il ventiquattro Dicembre ***
Capitolo 3: *** Venticinque dicembre: Natale! ***



Capitolo 1
*** Il ventitrè Dicembre ***


 Yo minna!!! Ecco la mia prima fanfiction sul tema Twilight, nata da un sogno che ho fatto stanotte (no, non ho bevuto ne fumato niente, sono demente di mio) sul tema del momento: il Natale! (lo so che ho una long in corso, tranquilli: è in scrittura!) La mia idea erano di scrivere tre capitoli sui due giorni che precedono il Natale e il Natale stesso in casa Cullen. Forse ho leggermente modificato il carattere dei personaggi (esagerandoli un po’), spero vi piaccia lo stesso; ma anche se vi facesse schifo vi prego: RE-CEN-SI-TE!!

Buona lettura!

IL VENTITRÈ DICEMBRE

Jasper si guardò intorno: c’era qualcosa che non andava. Ma cosa? Emmett era seduto di fianco a lui a guardare la partita di baseball ed Edward era seduto sulla poltrona a leggere, il silenzio regnava sovrano e…

Il silenzio regnava sovrano?!

E le ragazze dov’erano finite?!

Edward alzò gli occhi dal libro, concentrandosi sui pensieri delle sue sorelle: niente. Erano pensieri normali, banali. Fin troppo banali. Come se stessero cercando di nascondere qualcosa.

Jasper avvertì l’improvvisa tensione di Edward.

“Va tutto bene Jazz, solo che…le ragazze…sento i loro pensieri, ma sono strani, artificiali, poco naturali…non saprei come spiegartelo...” rispose lui alla domanda non posta di Jasper, mettendo un segno nel libro
e alzandosi in piedi.

Anche Emmett spostò la sua attenzione sulle parole di Edward. Quando le ragazze erano calme, c’era sempre da preoccuparsi.

“Sono d’accordo, Em…”

“Forse dovremmo andar su e chiedergli cosa sta succedendo, magari non è niente di grave”

“Se mi mascherano i loro pensieri è di sicuro qualcosa di grave e dubito proprio che ci svelerebbero qualcosa.”

“Chiedere a Carlise?”

“È al lavoro.”

“Esme?”

“È uscita anche lei…la faccenda si fa strana…” disse Ed dopo aver setacciato alla ricerca dei pensieri della madre.

“Potresti ricattare tua figlia, magari ci svela qualcosa…” propose Emmett sempre più preoccupato.

“Mmh…ne credo, ormai è caduta tra le grinfie di Alice e Rosalie…” disse grave Edward.

I suoi fratelli annuirono seri mentre un brivido di terrore scendeva lungo le loro schiene.

La cosa si faceva sempre più inquietante.

“Basta,” esplose Emmet, “io non ce la faccio più, vado su e…”

Un sagoma indistinta con la pelle diafana e i capelli castani entrò nella stanza fulminea, urtando Jasper ed Emmet, per poi schiantarsi su Edward che ricadde sulla poltrona.

“Bella amore cosa succ…” provò a dire il povero vampiro, ma Bella lo afferrò per i lembi del colletto della camicia e lo alzò di peso.

“Hai fatto il pieno alla Volvo? Dimmi che l’hai fatto Edward!” urlò lei scuotendo suo marito in piena crisi isterica.

“S-sì, l’ho fatto ier…”

“Dammi le chiavi della macchina! Subito!” riprese a scuoterlo lei con gli occhi sgranati per la paura ma un tono di comando nella voce che avrebbe fatto scattare chiunque.

Jasper ed Emmet erano a dir poco scioccati. Si erano perfino dimenticati di respirare.

Edward scandalizzato e con il cervello bloccato tese alla dolce mogliettina le chiavi della macchina. Bella le afferrò fulminea e si lanciò verso la porta, prima di uscire si girò e li guardò con occhi pieni di
compassione.

“Mi dispiace ragazzi…” mormorò prima di lanciarsi fuori nella fredda aria invernale. Dopo meno di trenta secondi sentirono il ruggito della Volvo che partiva in quarta, sgommando, lungo il vialetto Cullen.

Passarono dieci secondi di pura immobilità

Venti secondi.

Trenta secondi.

“MA CHE COSA STA SUCCEDENDO?!” esplose Edward, scongelando finalmente il cervello ed uscendo dalla catalessi. Fece per lanciarsi fuori dalla finestra e inseguire Bella, ma Jasper lo fermò prendendolo per un braccio.

“Aspetta Ed, magari non è niente di grave…prova a chiamarla sul cellulare, se non ti risponde la andiamo a cercare.”

“Ma hai visto com’era ridotta?! Nemmeno quando capì che stavano arrivando i Volturi fece quell’espressione!”

“Ed, chiamala!” disse Emmet a cui la questione stava inquietando sempre di più. Era in stato di allerta, pronto a qualsiasi nemico.

Edward prese il cellulare dalla tasca dei jeans e veloce digitò i tasti per chiamare Bella.

“Tuuuu-tu, tuuuu-tu, tuuuu-tu”

“Pronto Ed?” rispose finalmente Bella al cellulare, la voce era più rilassata ma la nota di panico rimaneva comunque.

“Bella? Bella, tesoro, cosa succede?”

“Mi dispiace Ed, mi dispiace…ma non potevo sopportarlo anche quest’anno…”

“Cosa Bella? Cos’è che non puoi sopportare? Dimmelo ti prego, mi stai facendo impazzire!”

Jasper ed Emmet ascoltavano tesissimi la conversazione, immobili come statue

“Davvero vi siete dimenticati che giorno è oggi?”

“…”

“Oggi è il ventitré di Dicembre Edward.”

Il telefono cadde con un tonfo sordo  sul tappeto beige di Esme.

Jasper, Edward e Emmet erano impietriti. Lo shock gli impediva di pensare o reagire

Come avevano potuto dimenticarselo?!

Tutti gli anni, ogni ventitré Dicembre accadeva la stessa cosa.

“Sì Emmet, siamo morti.” Disse Edward che aveva letto i pensieri del fratello.

“Avrei dovuto capirlo quando oggi Alice mi ha preparato i vestiti da mettere…” mormorò Jazz.

“Io quando Nessie non faceva altro che lamentarsi per farsi portare qua mentre Bella per rimanere a casa…” disse Edward con voce fioca.

I due fratelli guardarono Emmett che alzò le spalle.

“Io non me ne sarei mai accorto” rispose suscitando due sospiri esasperati

Passarono altri trenta secondi di puro silenzio vampiresco, poi Jasper prese in mano la situazione.

“No, possiamo ancora farcela, c’è ancora tempo… il nemico non agirà prima delle undici e ora sono le dieci e mezza!” disse, più per convincere se stesso che i suoi fratelli, entrando in modalità stratega e cercando di infondere un po’ di coraggio agli altri due che sembravano sul punto di suicidarsi.

“Ed, Em! Veloci, andiamo in garage: forse abbiamo qualche speranza…”

I tre fratelli si lanciarono a velocità sovraumana verso il garage; arrivati davanti alla porta si guardarono negli occhi e trattennero il fiato, poi, Jazz abbassò la maniglia ed entrarono.

Tutti e tre, contemporaneamente, fecero un lungo sospiro di sollievo.

“Quest’anno se ne sono dimenticate!” disse Edward con un sorriso che avrebbe potuto illuminare tutta Forks, vedendo che tutti i possibili mezzi di fuga erano al loro posto.

Edward saltò nella Lamborghini, Emmet nella Chevrolet e Jasper sulla sua moto.

Tutti e tre inserirono le chiavi.

Tutti e tre girarono le chiavi.

Tutti e tre i mezzi ruggirono.

Tutti e tre i mezzi si spensero.

Tutti e tre i ragazzi presero a testate il volante.

“Non è possibile…non è possibile…hanno tolto la benzina!” urlò Emmet al culmine della disperazione.

“Potremmo sempre barricarci qui in garage…” propose Edward mentre scendeva dalla macchina.

“Certo Ed, così poi dovremmo pure ricostruirlo! Lo sai che pur di trovarci farebbero a pezzi la casa…” rispose Jasper sarcastico, che se fosse stato umano sarebbe stato sull’orlo delle lacrime di una crisi isterica.

Mogi tornarono in salotto.

Un’improvvisa corrente di terrore e ansia pervase Jasper, che guardò interrogativo il fratello.

“Li sento Jazz, sento i loro pensieri…sono piani terribili…hanno smesso di nascondersi…” disse con il vuoto negli occhi, guardando le scale che portavano al piano superiore.

Il campanello suonò spezzando il loro lamento funebre.

I tre fratelli si guardarono intensamente.

Una nuova minaccia? O Bella che mossa a pietà era tornata a salvarli?

“Ohi succhiasangue, mi fate entrare sì o no?!” la voce calda del licantropo, che non vedeva l’ora di abbracciar la sua ragazza, giunse alle loro orecchie.

Edward andò ad aprire la porta.

“Ciao Edw…che ti è successo?! Hai la faccia di uno che è appena stato ad un funerale!” disse Jacob un po’ scioccato ma senza perdere il suo buon umore seguendo Edward in salotto.

“Em, Jazz, anche voi…” disse gesticolando verso le loro facce e iniziando a preoccuparsi seriamente.

“Tra poco assisterai ai nostri funerali, che faccia dovremmo avere?!” disse Edward tagliente lasciandosi cadere sul divano con la faccia tra le mani.

“JAAAKEEEE, sei tu vero? Rimani qui ti prego! Dopo ho bisogno di te!” la voce trillante di Renesme rimbombò per la casa.

“Certo tesoro!” disse sorridente Jacob.

In qualsiasi altro momento Ed avrebbe ringhiato al ‘”tesoro’” rivolto alla figlia, ma la depressione era troppa.

“Mi sa che quest’anno assisteremo anche al tuo di funerale lupacchiotto…” ghignò Emmett.

Jake li guardò preoccupato.

“No Jake, non siamo noi il pericolo, me qualcosa di molto, molto peggio…” rispose Ed.

Prima ancora che parlasse al lupo venne data la risposta.

“Sai che giorno è oggi? Esatto, il ventitré. Di solito cosa si fa in questo periodo? Esatto, ci si prepara al Natale…” disse Edward senza lasciare il tempo a Jake di parlare, con suo grande scorno.

A questo punto si intromise Jasper, per evitare che il licantropo strozzasse suo fratello.

“Ma cosa si prepara in particolare Jacob?”

“I…regali?!”

“Esatto!” esplosero in coro i tre Cullen, spaventando Jake: sembravano assatanati.

“No, non c’è nulla di male nei regali in sé, Jake, il problema è che bisogna andare a prenderli…”

In quel momento Jake capì: dopo quindici anni in casa Culle aveva avuto il tempo di conoscere bene Alice e Rosalie, nonché di accorgersi anche di come la sua Nessie fosse stata plagiata dalle due streghe e di
imparare le loro torture usanze tipiche.

“Andava bene anche la parola ‘”torture’” Jake” lo corresse Edward.

“E voi dite che io quest’anno…?”

“Sì” lo gelarono i tre poveretti.

Tutti e quattro si sedettero intorno al tavolino in cristallo, concentrandosi per trovare una soluzione.

“Potremmo chiedere l’intervento dei Volturi…”

“Non arriverebbero in tempo, Ed.”

“Un aiuto da parte dal Clan dei Denali?” chiese Emmett,

“Oh certo” disse Jazz sarcastico, “come tre anni fa, quando poi quelle traditrici si erano unite alle nostre nemiche!”

Ci furono altri lunghi minuti di silenzio in cui nessuno riusciva a trovare una soluzione.

“Ah, no! Non mi arrendo così a questo sopruso!” ringhiò Jake battendo un pugno sul tavolo (e incrinandolo: poverino! Esme avrebbe incrinato lui una volta tornata) spremendosi le meningi.

Sembrava che non giungesse a nessun risultato quando…

Ed si girò di scatto e lo guardò con gli occhi scintillanti.

“Davvero hai una motocicletta?”

Gli altri due vampiri lo accerchiarono con gli occhi speranzosi.

“Certo, l’ho lasciata in giardino!” disse orgoglioso il mutaforma, capendo finalmente il piano dei tre vampiri.

Veloci i quattro si incamminarono verso il giardino, fin quando a Jake non vene in mente un particolare.

“Scusa Ed, ma siete vampiri. Perché semplicemente non scappate via?” disse fermandosi di botto, folgorato dalla sua geniale intuizione.

“Un anno ci abbiamo provato…” rispose Jasper rabbrividendo, “ci sono venute a cercare… ci hanno letteralmente cacciato…non puoi nemmeno immaginare…per punizione ci hanno torturato per DUE giorni di fila…”

Emmett ed Edward sbiancarono al ricordo.

“Ah. Capisco.”

Ripresero la loro corsa verso la moto e una volta arrivata la scrutarono commossi.

“Ma come facciamo se la moto è una e noi quattro?”

“Ehi Jazz, ti ricordi quella volta, cinquant’anni fa, che facemmo gli equilibristi in quel circo…”

“NO!” urlò Jake buttandosi davanti alla sua amata bambina moto per proteggerla con il suo corpo in caso di attacco di quei tre vampiri fumati.

“Non abbiamo fumato niente Jake e quella di Em era solo un’ipotesi” disse Ed alzando gli occhi al cielo.

Jake maledisse le capacità di Edward mentalmente e in risposta l’altro sogghignò

“Va bene, se il lupacchiotto non si fida delle nostre capacità, dovrà fare tre viaggi.” Disse Jasper trattenendo un sghigno.

Jacob annuì piccato, rilassando le spalle.

Dopo una breve zuffa decisero i turni per le partenze.

“Per primo,” continuò Jazz, “andrà Emmett; dovrete arrivare il più lontano possibile nel minor tempo, chiaro?” detto questo mise una mano sulla sua spalla e gli augurò buona fortuna.

Jacob saltò in sella.

Emmet saltò in sella.

Jacob inserì le chiavi.

Emmett ringhiò, ebbro di gioia per la sua imminente libertà.

Jacob girò la chiave.

La moto ruggì.

La moto si spense.

Jacob tirò una testata al volante.

“Com’è possibile?! Ho fatto il pieno ieri!” urlò disperato. Non riusciva a capacitarsi.

“Sono state loro” dissero in coro Ed e Jazz ghiacciati, con gli occhi pieni di terrore.

Lentamente tutti si girarono a guardare casa Cullen, meno ospitale che mai.

Deglutendo a vuoto si incamminarono lentamente per rientrare.

“Ci hanno sconfitto anche quest’anno…” disse Emmet stringendo i pugni ed emettendo un basso ringhio.

Jasper era più serio che mai. “Ci rimane ancora un’ultima strenua possibilità: dobbiamo coalizzarci nel nostro rifiuto. Non possono attaccarci se stiamo uniti.”

Gli altri annuirono ed entrarono in casa.

Le risate delle ragazze, trillanti e argentine, risuonavano nella casa.

I giovani martiri si misero in formazione difensiva: stavano arrivando.

Le prime a scendere furono Rosalie e Renesme: camminavano piano, con grazia mettendo un piede, fasciato in stivali con tacchi vertiginosi, davanti all’altro.

Jasper strinse i denti: avrebbe dovuto aspettarselo che l’organizzatrice di questa associazione a delinquere sarebbe stata l’ultima a scendere.

Edward batté un pacca di fraterna comprensione a Jasper che sospirò sonoramente.

Quando finalmente le due vampire giunsero ai piedi della scala, suscitarono lo scalpore generale: Rosalie era fasciata in un paio di jeans, mooolto aderenti, e in un top rosso scarlatto, come gli stivali con il tacco
alti fino al polpaccio, che si allacciava dietro al collo, lasciando così tutta la schiena scoperta. Nonostante i vampiri non sentano il freddo, per sembrare più umana, aveva una giubbetto in pelle nera corto, anche questo aderente. Il trucco si limitava a matita nera, mascara e rossetto rosso sangue. Il povero Emmet era stato messo K.O in partenza.

 La vampira si avvicinò al malcapitato con sguardo seducente.

“Ecco il mio scimmione! Io e Alice abbiamo stilato una lista di posti e negozi fantastici, non vedo l’ora di partire!!” trillò entusiasta dando un lungo e sonoro bacio a Emmett che, dopo aver lanciato un guardo
inebetito di scuse ai suoi fratelli, si lasciò trascinare fuori verso le macchine.

E forse non sbagliava troppo visto che Edward e Jakob facevano fatica a riprendersi dallo shock

Renesme infatti aveva un vestitino nero senza spalline, sopra il ginocchio, con un fiocco rosso che le fasciava la vita; per tenersi al caldo era stata fornita dalla sorella di una specie di mini-poncho in pelo bianco che indossava sulle spalle e dei manicotti sempre dello stesso materiale per le braccia diafane. Lo stivale bianco la slanciava di dodici centimetri buoni e con i capelli color castano chiaro sciolti sulle spalle sembrava una bambola.

Edward emise un ringhio profondo.

“Cane censura i tuoi pensieri! è mia figlia!”

“Vorrei vedere te se Bella si vestisse così” disse arrossendo l’altro.

Edward pensò che non aveva tutti i torti.

“Jake” lo chiamò con un sorriso smagliante Nessie avvicinandosi al suo lupacchiotto, “vorrei tanto andare a far shopping con le mie sorelle, ti dispiacerebbe venire con me?”

Jake si irrigidì capendo la trappola, ma non poté farci niente perché…

“Se non vuoi venire non è un problema, chiederò a uno dei licantropi più giovani…” lo ricattò informò lei, mogia.

Jake sentì il fuoco della gelosia ardere in lui e con un ringhio sommesso le assicurò che sarebbe venuto, guadagnandosi anche lui un bel bacio.

A questo punto Nessie si accorse che suo padre era ancora in stato di shock e gli si avvicinò preoccupata.

“Papà? Papà va tutto bene?”

“N-Nessie…c-come sei vestita?”

“Oh,” disse lei facendo una giravolta su se stessa, “questo me lo ha dato la zia Alice, in realtà mi sento un p’ a disagio, ma se l’avessi detto alla zia si sarebbe offesa…” spiegò abbassando la voce.

“… papà non è che verresti con me a fare shopping? Così se qualche malintenzionato provasse a farmi qualcosa di male tu mi proteggeresti!” conclusa sbattendo le ciglia e con gli occhioni luccicanti.

“Ma ci sono i…” Jake venne interrotto da un invisibile calcio negli stinchi.

Jasper alzò gli occhi al cielo: quel piccolo demone era stato istruito alla perfezione da Alice.

Edward lo guardò affranto e annuì; in fondo non aveva scelta, non poteva certo lasciarla sotto la custodia di Jake dopo che aveva visto i suoi pensieri e quelli di tutto l’universo maschile per più di cento anni.

Sconfitti, i due poveretti seguirono la vittoriosa Renesme in garage.

Jasper attese: era l’ultimo sprazzo di difesa, non poteva soccombere.

Il folletto prese a scendere con grazia, Jazz quasi si aspettava che le spuntassero le ali dalla schiena, lasciata scoperta dal tubino blu oltremare che la avvolgeva. Un fiocco bianco le cingeva il petto esattamente
sotto il seno, abbinato a quello che aveva tra i capelli, leggermente brillantato.

Le ballerine bianche col fiocco blu toccarono terra e è portarono Alice vicino a lui.

“Sei pronto Jazz?” trillò lei fermandosi a pochi centimetri da lui, che si sforzava di non correre ad abbracciare la sua fatina.

“Non ho ancora detto che verrò.” le rispose accennando un sorriso.

Lei si fece improvvisamente triste, gli diede la schiena e sfoderò la sua arma segreta.

“È-è perché non mi ami più, vero Jazz?” a un osservatore qualunque sarebbe parso che Alice fosse sul punto di scoppiare a piangere, ma Jasper la conosceva e conosceva questa tecnica poiché l’aveva usata
anche l’anno precedente.

Camminò verso di lei e la cinse con le sue braccia.
“Certo che ti amo, folletto e te lo dimostrerò…” disse appoggiando il suo viso sulla sua spalla, a fianco di quello di Alice che si girò con gli occhi che le scintillavano e un sorriso speranzoso.

“…che ne dici se per dimostrarti il mio amore ti portassi in una baita sperduta fra le montagne, solo io e te, lontani, molto lontani dalle luci della città, dai centri commerciali, dai negozi…”

Alice non poté nascondere la sua espressione terrorizzata e schifata, che le rimase gelata sul volto. Jasper ghignò e lei offesa, si stacco da lui e gli sibilò contro.

“Non è divertente Jasper!” disse arrabbiata.

Jasper scoppiò a ridere vedendo che lei stava mettendo il broncio, una cosa che lui trovava tenerissima.

“Dimmi Jasper,” chiese lei perforandolo con i suoi occhi dorati, “perché non vuoi mai venire a far shopping con me? Tutti gli anni mi devo ingegnare in nuovi trucchi e stratagemmi per costringerti!”

Lui alzò gli occhi al cielo, “Per almeno un centinaio di buoni motivi.”“Dimmene almeno tre!”

Jasper ci pensò un attimo, poi annuì.

“Uno” disse alzando l’indice, “tendi ad esagerare: compri un sacco di roba che non metterai mai, sia per te che per gli altri, e fai portare tutti i pacchi a me.”

“Li posso portare io, allora!” disse lei compunta.

Jazz sbuffò. “Non sta bene che sia la ragazza a portare i pacchetti quando è con il suo ragazzo.”

Alice aggrottò le sopracciglia e infine sospirò, sotto lo sguardo incuriosito del vampiro biondo miele.

Con mano tramante prese la sua adorata pochette, sempre blu con il fiocco bianco, la aprì e guardò al suo interno sconsolata.

“Signor Jasper Withlock questo è il sacrificio più grande che io abbia mai fatto, lo tenga bene a mente!” disse lei scrutandolo minacciosa; dopodiché tirò fuori un elegante portafoglio, sempre blu scuro, che dopo
qualche attimo di esitazione, tese al suo ragazzo.

Lui lo prese guardandola interrogativamente.

“È il mio portafoglio, quello con tutte le carte di credito: così potrai impedirmi di esagerare…” mormorò sull’orlo delle lacrime.

Jasper fece un sorriso smagliante e se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans, distruggendo le vane speranze di Alice.

“Due” riprese implacabile Jazz, “ci trascinate in giro per un tempo infinito di ore. E già è parecchio noioso e faticoso, se in oltre ci mettete così tanto…”

“Possiamo ridurre da ventidue ore di shopping a diciannove…” disse lei speranzosa.

“Dieci!”

“Diciotto!”

“Undici!”

“Diciassette!”

“Dodici!”

“Sedici!”

“Quindici! Quindici o niente!”

I due si guardarono in cagnesco prima che Alice annuisse, sconfitta.

“Terzo,” riprese, ma stavolta con un sorriso che Alice trovava molto affascinante sulle lebbra, “non voglio che ti allontani da me! Tutti gli anni corri in giro abbandonandomi dove capita, mezzo sepolto dai pacchi e non mi permetti di seguirti nei negozi, e così sono costretto a sentire tutte le emozioni che scateni negli uomini che ti sono vicini, a guardare senza poter far niente le loro occhiate lascive o i loro tentativi di avvicinarti!” concluse guardandola teneramente.

Alice era rimasta a bocca aperta poiché era l’ultima motivazione che si sarebbe mai aspettata: ecco perché amava Jasper, era l’unico che riusciva a sorprenderla.

Con un urlo di gioia gli saltò in braccio e gli circondo la vita con le gambe mentre lui la baciava dolcemente.

“Quindi vieni?” chiese lei sbattendo le ciglia che nascondevano due enormi occhioni magnetici.

Lui si bloccò per un millisecondo: sapeva benissimo che Alice avrebbe esagerato anche quest’anno e che sarebbero stai in giro per venticinque ore, ma almeno sapeva che le sarebbe stata vicino…

“Certo che vengo folletto!”

"TI amo Jazz!"

"Anche io ti amo" sorrise lui.

Lei entusiasta gli diede un altro bacio e, dopo averlo preso per mano, lo trascinò in garage,

Rosalie aveva rimesso la benzina a tutte le auto e tutti erano già saliti sulla Lamborghini, riempiendola, quando Alice si bloccò pensierosa.

“Mmh...forse sarà meglio prendere due macchine…”

“Perché?” le chiese Jasper guardandola incuriosito.

“Perché avevamo tolto quasi tutta la benzina anche alla Volvo: Bella è ferma a prendere a testate il volante a cinque chilometri da qui.” rispose lei candida mentre a Edward cadeva la mascella per lo shock.

Jasper sospirò: anche quest’anno avevano vinto loro.
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Il ventiquattro Dicembre ***


 Yoooo minna! Mi prostro davanti a voi per il ritardo indecente ma sono state delle settimane da incubo, roba da film horror. Quindi vi prego: perdonatemi!! (e abbassate quelle armi)
In questo capitolo ancora una volta descrivo tutto dal tragico punto di vista dei ragazzi di casa Cullen, per cui ho una vera adorazione, nonché una grande compassione visto cosa gli accadrà per mano delle nostre affascinanti e terribile vampire, che nonostante ciò loro amano la follia. Ammetto di aver dato spazio al mio lato demente anche in questo capitolo, spero vi piaccia lo stesso.

Al prossimo aggiornamento (presto stavolta)

Buona lettura!

Il ventiquattro  Dicembre


Alice saltellò per l’ennesima volta dentro la sua gigantesca cabina armadio; quando finalmente ne uscì aveva un’espressione di profonda soddisfazione sul volto, che faceva a pugni con quella visibilmente scocciata, per non dire irritata, del giovane biondo appoggiato alla parete.

Il piccolo folletto piombò davanti a quella statua.

“Jasper…sei ancora arrabbiato con me…?” chiese incrociando le mani dietro la schiena e sbattendo gli occhioni dorati.

Il suddetto Jasper non si mosse di un millimetro: le braccia incrociate sul petto e i pugni serrati, il viso atteggiato in un evidente espressione di rimprovero, gli occhi puntati in quelli di lei.

” Dai Jazz…” continuò lei abbracciandolo nonostante la sua immobilità.

“Avevi promesso…” mormorò la statua prendendo vita: le sopracciglia si aggrottarono visibilmente.

“Beh…non era mia intenzione fare ventisette ore di shopping e anche il fatto che la carta di credito di Rosalie fosse in mano mia è stato un incidente! E ricorda che per tutto il giorno ti sono stata accanto e ti ho lasciato ringhiare contro tutti i ragazzi che volevi!” disse lei con un velo di rimprovero nella voce e allacciandogli le braccia al collo per vederlo meglio in faccia, mentre l’espressione del vampiro diventava scettica, molto scettica.

Ci fu una silenziosa battaglia di sguardi: quasi si vedeva l’elettricità scaturire dall’incontrarsi dei loro occhi; ma non era una semplice battaglia era più una guerra in cui si decideva il destino di molte vite, infatti si combatteva per uno dei punti fondamentali in casa Cullen, ovvero come passare il ventitré dicembre, e, per l’ennesimo anno, era prevalso il volere della ragazze che, vista la tenacia del loro piccolo e letale comandante, non avevano intenzione di cambiare.

“Sei proprio un piccolo mostriciattolo!” cedette infine Jasper avvolgendo le braccia intorno ai fianchi della sua ragazza (in senso lato).

La piccoletta sorrise soddisfatta della sua vittoria e depose un bacio delicato sulle sue labbra; poi, repentinamente, sfuggì alla sua forte ma delicata presa e, conducendolo per mano, lo trascinò giù dalle scale per raggiungere il resto della famiglia giù nel salotto.

Edward stava beatamente seduto tra la sua amata Bella e Renesme, scherzando e parlando con loro: l’immagine del relax fatto a persona; Emmet stava giocando con la playstation, anche lui appena rilasciato dalle grinfie di Rose che, una volta finito di fargli sistemare i suoi acquisti nell’armadio, era andata in garage a risistemare tutte le macchine che il giorno prima aveva sabotato.
Carlise leggeva il giornale, tranquillamente seduto sulla poltrona, mentre di Esme non c’era traccia.

Jasper si guardò in giro chiedendosi dove fossi finita la mamma-vampiro.

“È tutto il giorno che setaccia la casa alla ricerca di qualcosa, ma si è rifiutata di dirci cosa, pensa che è riuscita perfino a nascondermi i suoi pensieri, e di farsi aiutare” rispose Edward attirando l’attenzione di tutti: non era nel carattere di Esme tenere qualcosa segreto ai suoi figli.

Mentre Bella e Renesme si lanciavano occhiate incuriosite, i maschi ebbero un moto di inquietudine.

“Li ho trovati! Li ho trovati, ragazzi!” trillò la voce di Esme, seguita da lei in persona, interrompendo le speculazioni sul misterioso oggetto della sua ricerca; la materna figura che irruppe nel salotto era oscurata da una gigantesca pila di scatoloni in precario equilibrio tra le sue mani. Nell’aria si espanse un odore di qualcosa di vecchio, polveroso e famigliare.

Sette paia di occhi curiosi si girarono a guardarla. Il primo a muoversi fu Carlise che, raggiunta la moglie, prese dalle sue mani gli scatoloni e li pose sulla poltrona su cui si era precedentemente seduto, come se Esme non fosse una vampira dalla forza sovraumana e dai riflessi impareggiabili, ma una semplice donna in difficoltà. Perchè la cavalleria non muore mai, soprattutto nei vampiri pluricentenari. Fortunatamente.

Jasper con la sua particolare abilità saggio le sensazioni che Esme irradiava: euforia, nostalgia, dolcezza e una strana sensazione a cui non sapeva dare un nome, come quando un soldato davanti ai nemici capisce che è giunto il momento di lottare. Un’emozione che aveva sentito raramente in Esme.

Il volto di Edward, invece, subì delle strane trasformazioni: inizialmente, con ancora il sorriso sulle labbra, si girò a guardare la madre incuriosito, poi si fece vagamente perplesso, inarcando le sopracciglia, e infine, con grande inquietudine dei fratelli che tenevano d’occhio il loro unico allarme in caso di pericolo, la paura si fece strada nei suoi occhi.

Carlise, che, a insaputa di tutti, osservava anche lui, preoccupato dalle idee della moglie, il figlio, si avvicinò alla dolce vampira, che saltellava e sorrideva come una bambina che ha appena scartato un regalo a lungo desiderato, con un sorriso leggermente teso.

“Tesoro, potresti spiegarci cos’è che hai trovato da renderti così felice?” Ogni suo gesto e parola esprimeva cautela. Mai svegliare improvvisamente la bestia che dorme.

“Ma come caro?! Non lo riconosci?! È il nostro scatolone delle decorazioni di Natale! Non ci posso credere: sono quasi sette o otto anni che non lo prendo” disse lei con le lacrime di commozione agli occhi (in senso figurato), aprendolo e tirando fuori dalla micidiale scatola di cartone delle palline e stelle di Natale panna e oro.

A Edward vennero le lacrime agli occhi. E non di commozione. Di terrore puro.

A Emmet cadde il joystick di mano. E a un vampiro non cade mai di mano niente. Niente.

A Jasper cadde la mascella, mentre la sua mente di geniale stratega si attivava, vegliando centinaia di soluzioni e strategie al minuto che potessero portare la salvezza a sé e ai suoi alleati in quella nuova e feroce guerra che si prospettava all’orizzonte. Forse più a se stesso che agli altri.

La prima domanda che sorse nella sua brillante mente fu: “Come Ha fatto Esme a dimenticarsi cosa accadde otto anni fa?!”

La seconda e più preoccupante fu: “Dov’è Alice?”

Edward si girò verso di lui, gemendo dal terrore.

Emmett, accortosi della situazione, incominciò a sudare freddo.

Esme…” la voce di Alice colse Jasper di spalle; era dolce e suadente, come quella del cacciatore che cerca di convincere la sua preda a non scappare.

Ahi.

Jasper corse a rifugiarsi alle spalle di Edward, ancora seduto sul divano.

La piccola vampira danzò sulle punte dei piedi fino al divano, opposto a quello dove si nascondeva suo marito, e lì, con grazia e senza bisogno dell’aiuto di nessuno (non che qualcuno avesse intenzione di fare una mossa azzardata quale avvicinarsi alla piccoletta), depose tre grandi scatoloni con scritto in cima, in grande: “Alice”.

Esme cara, senza offesa, ma credo che quelle decorazioni non siano adatte…” propose sorridendo ed estraendo dallo scatolone dei piccoli fiocchi blu e argento.

Nella stanza non si udì nemmeno un respiro.

Esme lasciava fare qualsiasi cosa ad Alice, per quanto costosa o assurda che fosse, tranne che mettere in discussione le decorazioni natalizie di casa Cullen. Era un punto d’onore.

“Alice cara, senza offesa, ma credo che siano le tue decorazioni a non essere adatte…”

I maschi di casa Cullen capirono che le cose si mettevano male da tutti quei vezzeggiativi e titoli di cortesia; avevano un solo significato: la tempesta era vicina. Troppo vicina.

Alice fece un passo verso di lei, stringendo leggermente le mascelle.

“Esme, carissima, credimi se ti dico che sono le mie decorazioni la cosa migliore!” il tono si era fatto leggermente perentorio e raggiungeva ottave più alte del solito.

Anche Esme fece un passo verso Alice e strinse i pugni, facendo sbiancare le nocche.

“Alice, tesoro, ho qualche centennio in più di esperienza e ti dico per certo che sono meglio le mie!” la voce di Esme, di solito dolce e materna, si alzò di un ottava.

Alice sibilò minacciosa accucciandosi.

Esme ringhiò apertamente.

Carlise non aveva nessuna intenzione di vedere la sua testa staccarsi dal collo e quindi rimase fermo dov’era.

“ORA BASTA!” la voce perentoria di Rosalie congelò la due avversarie che, lanciando occhiate assassine, si voltarono molto, molto lentamente.

“Siete ridicole! Vi comportate come delle bambine! Come potete litigare per delle decorazioni tanto brutte?!” ringhiò estraendo da dietro la schiena uno scatolone da cui trasse un lungo festono natalizio di un bel rosso sangue, abbinato al suo smalto e al riflesso che baluginava nei suoi occhi.

Emmet cercò di nascondersi dietro la colonna mentre Jasper si lasciava cadere sul divano, coprendosi il volto con le mani ed Edward usava sua figlia come scudo; ma Bella e Nessie non se ne stettero lì a proteggere il padre/marito osservare, anzi, si avvicinarono alle tre contendenti che si scrutavano minacciose per vedere meglio come sarebbe continuata la battaglia.

Piccola Alice, dolce Esme, dovrete essere d’accordo che sono lemie decorazioni ad essere le migliori, vero?!” disse sorridendo mentre i suoi canini scintillavano di una luce minacciosa.

“Sorellona, non immischiarti in cose che non ti riguardano!”

Cara, lascia che ce la vediamo io e la tua dolce sorellina.” La liquidarono le due per poi tornare a scrutarsi con fare minaccioso.

“Certo che mi riguardano” ringhiò lei irritata, “io vivo qui, ricordate?!”

“Solo perché tu ed Emmet questa volta non avete distrutto solo la camera da letto ma l’intera casa che Carlise vi aveva regalato solo tre settimane fa!”

“E allora?”

“Amore, ufficialmente tu sei residente nell’Alaska orientale; è come se tu non fossi qui!”

“Ma SONO QUI, Esme! E non intendo vedere quelle cose ridicole appese per sull’albero!” disse parandosi davanti all’albero gigante di Natale che torreggiava in un angolo del salotto, come per proteggerlo.

“Emmet!! Aiutami!” urlò lei accecata dal furore, avendo scorto la testa del marito spuntare da dietro la colonna.

“M-ma R-rose…” balbettò cercando una via di fuga: forse avrebbe potuto sfondare la finestra e chiedere asilo politico ai Quileute…

“Visto sorellona?! Anche Em pensa che siano orribili! Vero fratellone?!”

La bionda si girò con fare glaciale verso il vampiro più forte di casa Cullen (dopo Bella).

“Scimmiotto… se non vuoi venire a fare shopping con me per i prossimi tre mesi, prestami il tuo aiuto…”

Il povero Emmett era in trappola.

Alice e Esme litigavano animatamente sotto lo sguardo scioccato di Jasper e quello attento di Bella, mentre la piccola Nessie camminava inquieta su e giù lungo il salotto.

Ecco che improvvisamente il campanello della porta congelò tutti quanti.

Suonò una volta.

Due volte.

Tre volte.

“EHI CULLEN!! MI VOLETE APRIRE?!” Finché Jacob, con i suoi modi aggraziati e leggiadri, svegliò i Cullen dalla loro situazione di stasi.

Nessie si fiondò come un razzo ad aprire la porta, con un sorriso che avrebbe illuminato il mondo: finalmente era arrivato. Non sapeva come avrebbe potuto fare senza di lui a questo punto. Era di vitale importanza. Era la sua unica speranza. L’unica cosa importante in quel momento.

“Amore!” esclamò Jake sentendo la porta aprirsi e l’odore di lei raggiungerlo.

La piccola emise un trillo di gioia.

Afferrò gli scatoloni che coprivano il volto di Jake con gioia selvaggia.

Sbattè la porta in faccia al povero licantropo.

Il licantropo cadde a terra stordito dalla botta.

La piccola Nessie si fiondò in mezzo alle donne di casa Cullen urlando: “Sono le mie decorazioni le migliori! Guardate che belle!” dopodiché estrasse delle bellissime decorazioni bianche e argento.

“COSA?!” esplosero tutte ringhiando e perdendo il controllo.

“Come hai potuto Nessie?! Io che ti ho viziata come nessun’altro!” esplose Rosalie, beccandosi un occhiataccia da Bella

“Perché mi hai tradito?! Io che ti ho pure aiutato a convincere tuo padre a lasciarti fidanzare con Jake!!” Alice era in preda ad una crisi isterica, mentre Jasper, dopo esser quasi stato morsicato dalla sua affascinante metà, aveva deciso, sotto consiglio della sua mente da stratega, di rimanere lì fermo a osservare la sua morte che si avvicinava e la sua adorata Alice trasformarsi in una belva assetata di sangue.

“Come hai potuto dare un dolore tale alla tua nonna!” esclamò Esme portandosi le mani al cuore, quasi glielo avesse spezzato.

“PAPÀÀ!! LE ZIE E LA NONNA GIOCANO SPORCO!!!!” esclamò la piccola (si fa per dire) mentre il padre, che in un momento di cameratismo maschile aveva appena recuperato il povero Jake ancora seduto a terra per la botta presa fuori dalla porta, aggiornava il compagno di sventura.

Edward si guardò in giro in cerca di salvezza ma Jasper stava guardando fisso il vuoto davanti a sé, Emmet si era nascosto dietro l’albero oggetto della guerra e Jake era in preda allo shock mentre cercava di metabolizzare che la sofferenza inflittagli il giorno precedente non era che un assaggio del sadismo femminile e vampiresco, o forse era ancora rintronato dalla botta; si stava ormai disperando quando vide la sua salvezza, la sua anima, l’unica persona che lo abbia mai davvero capito: Bella!

“Bella, amore…” mormorò tendendo le sue mani verso di lei e scatenando vigliaccamente il suo sguardo magnetico e irresistibile, spinto dal terrore che il senso di autoconservazione della moglie vincesse sul
suo amore per lui.

Lei lo guardò dubbiosa.

Si morse il labbro, indecisa.

Una ruga di preoccupazione le increspò la mente marmorea.

Edward sorrise, certo di essere ormai approdato su una spiaggia sicura.

Bella assunse un aria decisa.

Guardò fissa negli occhi Edward.

Gli allacciò le mani dietro al collo mentre lui la attirava a sé.

Sorrise con gli occhi luccicanti

“Edward voglio che tu dica a tutti che sono le mie le decorazioni più belle!!!!” gli ordinò lasciandolo di botto e correndo a prendere uno scatolone nascosto dietro la poltrona da cui spuntavano delle decorazioni verdi e argento.

La spiaggia sicura altro non era che una distesa infida di sabbie mobili.

Edward crollò in ginocchio per lo shock.

“BELLAAAA!!”

Tutte le altre si erano fermate dalle loro liti e scrutavano assassine la vampira.

“Io che ti ho accolto in casa mia e ti ho dato a mio figlio nonostante fossi umana!”

“Sei la mia migliore amica! La mia sorella preferita!”

“Traditrice! Ti ho anche aiutato ad accudire Renesme quand’era piccola!”

“Mamma! Sono il sangue del tuo sangue!”

 Bella le guardò serafica, innalzando leggermente un sopracciglio.

“Non è colpa mia se le mie decorazioni sono più belle delle vostre!” mugugnò poi prima di lanciarsi nella rissa, scoppiata nuovamente.

La casa era tutto un risuonare di trilli e ringhi rabbiosi nonché insulti espressi con parole eleganti e forbite che raggiungevano ottave sconosciute agli umani.

“ORA BASTA!!” le bloccò Carlise, ricomparso dal nulla, con gli occhi fuori dalle orbite.

 E pensare che far perdere la pazienza a un vampiro pluricentenario è reputata cosa impossibile.

“Ragazze sedetevi sul divano! Subito!” un’occhiata glaciale impedì alle delicate creature di replicare.

“Ragazzi, voi sull’altro; sì, anche tu Jake: ormai fai parte della famiglia.” A malincuore i ragazzi obbedirono al capofamiglia.

“Anche otto anni fa è successa la stessa identica cosa e alla fine non siete giunte a capo di niente! Quest’anno le cose andranno diversamente, organizzeremo una competizione di decorazioni: la giuria saranno i ragazzi e voi metterete in mostra i vostri addobbi; il voto della giuria sarà assoluto.”

Le ragazze si guardarono in cagnesco, prima di annuire incerte.

I ragazzi si guardarono un attimo disperati, prima di fronteggiare il loro peggiore incubo.

“Bene, sono contento che siamo giunti a una conclusione. Ora se permettete ho ricevuto una chiamata dall’ospedale…” detto questo Carlise cercò di congedarsi.

“Caro, ma tu di solito non lavori la domenica…” fece notare angelica Esme.

La mano di Carlise si paralizzò sulla maniglia in ottone.

Si girò e la tensione era evidente anche per chi non aveva il talento di Jasper.

“Cara, era una chiamata urgente…”

Esme digrignò i denti e il sorriso dell’angelo si trasformò nel ghigno del demonio.

“Eppure, caro, non mi sembra di aver sentito il tuo cellulare suonare…”

Carlise si inchiodò dov’era.

“…Forse è meglio se mando loro un messaggio per avvisarli che non sarò presente all’operazione…”

“Sarà meglio.” concluse soddisfatta Esme guardando il marito sedersi al suo posto.

Poi tutte le giovani aspiranti arredatrici di alberi natalizi si diedero da fare per mettere in mostra i pezzi forti delle loro armi decorazioni.

“Bene ragazzi; votate!” La voce di Alice diede inizio al massacro.

I poveri vampiri di casa Cullen si guardavano disperati: cosa avrebbero potuto fare?!

Di scegliere neanche a parlarne: le perdenti avrebbero compiuto una strage di massa.

Di non scegliere non c’era speranza: non li avrebbero lasciati muovere da lì fino a che non avessero dato un responso.

I pensieri di tutti concordano con quello di Edward: Carlise avrebbe pagato per questo.

E la parte peggiore doveva ancora iniziare: l’attacco psicologico.

“Emmet, amore, se convincerai gli altri a votare le mie, passeremo un bel week-end io e te da soli su qualche isola sperduta. Che ne dici?” insinuò Rose seducente.

“Emmet, fratellone, per quanto hai intenzione di lasciarti schiavizzare?! Vedo già un futuro più roseo per te se deciderai di votare le mie e… Jasper? Sai che oggi, dopo aver finito di sistemare l’armadio ho visto che c’era un enorme spazio vuoto ancora da riempire…” La voce angelica del folletto danzò nelle loro menti, che inutilmente cercavano di trovare una via di uscita.

“È inutile: non c’è…” mormorò Edward affranto.

“Jake, ovviamente, credo non ci sia nemmeno bisogno che io ti minacci come certe persone per farti votare per me, vero? Papà, tu invece, ricorda quando mi sedevo sulle tue ginocchia ad ascoltare le favole che mi raccontavi: è un ricordo così dolce! Sei sicuro di non voler votare per la tua bambina?” Sembrava che Nessie avesse ingoiato un cucchiaino di miele tanto era dolce e i due poveri mosconi ci si sarebbero immischiati decisamente se non fosse intervenuto un uragano a salvarli. O forse a finirli definitivamente e in modo più veloce?

“Edward, amore, mi sembra di ricordare che sia io la donna a cui tu abbia giurato fedeltà e amore eterno giusto?! Non vorrei mai che te lo dimenticassi…Ah Jake, se vuoi poter ancora uscire con mia figlia ti consiglio di votare per la tua migliore amica…” Gli occhi dorati di Bella scagliavano lampi e saette che paralizzarono i due mosconi.

Esme sovrastò tutte le altre voci.

“Figli miei, non vorrete mai dispiacere la vostra cara e adorata mamma, vero?! Carlise amore, tu sei libero di votare per la donna che ami di più…”

Edward lesse i pensieri degli altri martiri che corrispondevano più o meno a questi.

Emmet: Se non voto per Rosalie non riusciremo più a fare un week-end insieme per i prossimi trecento anni e le cicatrici delle sue unghie rimarranno visibili per sempre sul mio viso…ma Alice mi saprebbe rendere anche lei la vita impossibile ed Esme mi caccerebbe di casa…cosa devo fare?! Edward, trova una soluzione!

Jasper: Se non voto per Alice mi rinchiuderà per sempre in un centro commerciale e le mie carte di credito diverranno un sogno lontano…ma…Esme arrabbiata…è qualcosa che nemmeno io posso combattere…potrei scappare da Carmen ed Eleazar e… no, Alice mi troverebbe e la sua vendetta sarebbe la mia fine…Edward! Qualsiasi idea che possa salvarci, la seguirò!

Jacob: stupida psicologia inversa! Se voto per Bella la mia piccola Nessie mi farà a pezzi, squartandomi pezzo dopo pezzo, ma forse Bella mi proteggerebbe…no, mi abbandonerebbe nelle sue mani per decorare l’albero…se invece voto per Nessie, Bella la murerà viva in casa e mi sparerà a vista…succhiasangue?! Tu mi proteggeresti dalle due belve?! Oppure rimarresti a guardare il martirio di un innocente?!

Carlise: Credo che Esme mi stesse un tendendo un trabocchetto…se scelgo le decorazioni di chiunque altro che non sia lei sarebbe come dichiarare che non la amo più di tutte e ciò porterebbe al mio decesso istantaneo…ma come posso tradire la fiducia delle ragazze che sono come figlie per me?! Edward, ragazzo mio cosa mi consigli?

Edward avrebbe voluto mandare al paese tutti gli altri giudici, che lo guardavano imploranti, in particolare Carlise, ma era troppo preoccupato dal ghigno malvagio e dal luccichio folle negli occhi di Bella e dall’aura rossastra che volteggiava intorno alla figlia per poter anche esprimere un insulto decente.

Una volta tanto (prima e ultima volta), però, la fortuna fu favorevole ai giovani (si fa per dire) Cullen: le ragazze, arrabbiate per i tentativi di manipolazione dei ragazzi che amavano si distrassero completamente dalla competizione, lanciandosi nuovamente in una lotta accanita che ben presto degenerò.

“Alice!! come ti permetti di manipolare il mio scimmione!” urlò Rose alzandosi in piedi sul divano e sovrastando la sorellina che ghignava guardandola con lo sguardo più fintamente innocente che si fosse mai visto.

“Io dico solo la verità cara Rose…ma la persona che più di tutti sta massacrando psicologicamente il mio povero Jazz sei tu: Esme! Come puoi fare una cosa del genere ai tuoi figli!?” ringhiò la piccoletta mentre il povero Jasper cercava di far notare che tutte loro li stavano manipolando e per questo prendendosi da Alice un cuscino in faccia lanciato con tanta forza che cadde all’indietro del divano.

“Cosa c’è Alice? Hai appena visto che Jazz vuole più bene a me e che quindi voterà le mie decorazioni!” chiesi angelica Esme scatenando l’ira del folletto e dovendo quindi, poi, schivare il cuscino lanciato da Alice.

“Renesme lascia stare tuo padre e il mio migliore amico!” scatenò la sua furia Bella, pizzandosi a difesa dei due poveretti appena citati che, in realtà, avrebbero voluto essere protetti dagli artigli di entrambe le due donne.

“Ma è il mio ragazzo, mamma!”

“Sei ancora minorenne e in casa mia comando io!”

“Siamo a casa della nonna!”

“È lo stesso!”

Sotto lo sguardo spaventato dei ragazzi, che si erano rifugiati davanti all’albero di Natale, schiena contro schiena per difendersi da eventuali attacchi a sorpresa, iniziò la Grande Guerra delle Decorazioni di Natale.

Esme con un balzo felino si riempì le braccia di delicate palline con grandi fiocchi panna e oro; senza dare al tempo di capire cosa succedeva all’avversaria cominciò a scagliare le sue munizioni sulla testa di Alice.

Alice ruggì come una bestia ferita, facendo tremare Jasper, per poi armarsi di piccole stelle, da appendere come decorazione, blu e argento che brillavano graziosamente; dopo aver compiuto un carpiato all’indietro ed esser atterrata con grazia letale sul divano, incominciò a lanciare come se fossero shuriken le stelle, mirando a Esme.

Con acrobazie da far invidia ad una ginnasta Esme evitò i colpi di Alice, mentre gli shuriken natalizi si conficcavano nel muro.

Rosalie, sentendosi esclusa, prese alcuni babbo natali in porcellana da appendere e li scagliò contro la sorellina, dimenticandosi però che sapeva prevedere il futuro e che quindi si abbassò all’ultimo secondo mentre il babbo-proiettile si schiantava contro la testa di Nessie.

Edward si pietrificò trattenendo il respiro, mentre Jake si sentiva soffocare a causa dal terrore.

Nessie si girò a guardare la lanciatrice di Babbi indifesi con un ghigno che avrebbe fatto tremare i Volturi al completo, dopo di che prese due di quelle lunghe e grosse candele argentate che avrebbe voluto utilizzare per decorare ed illuminare la casa; a questo punto si lanciò urlando e roteando le due candele come se fossero due scimitarre contro la zietta che, afferrato un candelabro dorato dallo scatolone, rispondeva colpo su colpo.

Intanto Edward praticava la manovra di Heimlich su Jake che giaceva a terra privo di conoscenza.  

Rosalie era stata quasi messa al muro da Nessie, o la bestia feroce che aveva preso il suo posto, quando con la coda dell’occhio vide la sua amica di parto Bella che, afferrato il suo scatolone come un giocatore di rugby tiene la palla correndo verso la meta, correva verso l’albero urlando a squarciagola nella speranza che ciò spostasse il gruppo impaurito di vampiri che si erano riuniti davanti al suo obbiettivo per uno sfortunato errore di prospettiva.

Ancora prima che raggiungesse e spazzasse via i miseri difensori dell’albero, Rosalie prendendo la rincorsa si gettò su di lei atterrandola.

Erano ancora a terra a rotolarsi avvinghiate l’una all’altra nella speranza di mettere k.o. l’avversario quando un fulmine coi riccioli ramati le superò con un balzo e si lanciò come una belva affamata sopra i ragazzi.

Ancora prima che le sue mani sfiorassero il volto di Jasper, obbligato a stare in prima linea poiché gli altri lo avevano eletto loro comandante in caso di situazione estrema e che quindi aveva il dovere di proteggere i suoi soldati, un palla di cannone dai capelli corti e neri schiantò al muro la piccola Nessie.

 Infatti Esme era stata sopraffatta da Alice grazie alle sue previsioni azzeccate delle mosse della sua avversaria, e giaceva inchiodata al muro da numerose stelle-shuriken con l’espressione più incollerita che potesse mai avere.

 Rosalie gettò da un lato Bella e si riappropriò del suo fidato candelabro pronto a servirla fino alla morte, ma Bella, rialzatasi in piedi con la velocità e la grazia di un gatto, si lanciò su un lunghissima ghirlanda verde smeraldo sbrilluccicante, che avrebbe voluto arrotolare intorno all’albero per abbellirlo, e incominciò a farlo scattare come una frusta.

Rosalie ringhiò qualcosa a proposito di armi scorrette ma Bella si era già lanciata contro il muro per usarlo come superfice di rimbalzo e avventarsi sopra Rosalie, che incominciò a venir sopraffatta dalla giovane vampira.

Nessie, invece, dovette ricorrere all’arma segreta di ogni donna per togliersi di dosso il folletto malefico: con forza la tirò per i capelli. Il suo errore fu lasciare la presa appena Alice gemette, perché questa saltò come un razzo verso il suo scatolone e si riequipaggiò con nuovi shuriken, che prese a lanciare con precisione infallibile contro Nessie.

Renesme non si lasciò prendere dallo stupore e, afferrato lo scatolone, ne estrasse il lungo puntale bianco con una stella appuntita argento per poi lanciarsi all’inseguimento di Alice che evidentemente preferiva il combattimento a distanza.

Durante la sua fuga precipitosa ebbe la fortuna, per lei, di schiantarsi contro Esme che, riuscita a liberarsi, stava scattando verso l’albero; il rumore prodotto dallo scontro dei corpi di Esme, Alice e Renesme, che non era riuscita a fermarsi in tempo, fu quello di due autocarri che si scontrano. Le tre vampire finirono a formare una montagna di corpi, ma il motivo per cui non si rialzarono subito non era perchè il colpo le aveva rincretinite, ma perchè una visione inaspettata le aveva tolto la capacità di ragionare.

Finalmente si rialzarono, con lentezza esasperante e la stessa espressione allucinata di un serial killer psicopatico.

Il movimento attirò l’attenzione di Bella che, in quel momento, aveva appena finito di legare Rosalie alla poltrona con il suo festone natalizio verde e, dopo avergli infilato al collo per immobilizzarla ulteriormente una ghirlanda di quelle che si appendono alle porte, la stava imbavagliando con la sciarpa che il suo adorato marito le aveva regalato l’inverno scorso. Molto utile.

Con la stessa identica espressione delle altre due, Rosalie e Bella, si paralizzarono, prima che Bella sciogliesse Rosalie ed insieme si congiungessero alla linea di fronte femminile che si stava formando.

Davanti a loro stavano Jake, Edward, Jasper ed Emmet con un’espressione fissa nel vuoto e, dietro di loro, un bellissimo albero addobbato con decorazioni oro ramato.

Le ragazze ruggirono all’unisono.

I ragazzi si svegliarono dalla loro trance.

Seguirono lo sguardo delle loro dolci metà fino alle loro mani a si accorsero che, a loro insaputa, reggevano delle decorazioni oro ramato uguali identiche a quelle sull’albero.

Edward sbiancò.

Bella fece schioccare il suo festone-frusta.

Jake vide farsi tutto nero e solo con un grande sforzo non svenne nuovamente.

Nessie cominciò a puntare la sua gola con il puntale.

Jasper, con un movimento moolto naturale e indifferente, nascose tutto dietro la schiena.

Alice trasse dalle tasche le sue amate stelle-shuriken

Emmet le lasciò cadere sul pavimento, terrorizzato sia dagli addobbi che si era trovato in mano si dalla faccia di Rosalie.

Rosalie fece roteare i due candelabri.

Esme fece saltare le palline di Natale nelle sue mani

“B-Bella, amore…n-n-on è come pensi…”

“N-Nessie ti g-giuro! n-n-on ne so niente!”

“A-A-lice… c-c ’-è u-una spiegazione t-tesoro…lo s-sai c-che non fare m-mai…n-n-non so c-c-come siano f-f-finite nelle m-m-mie m-mani…”

“R-R-R-R-R-Rose…t-t-t-t-i p-p-prego no-no-non u-u-uccidermi!”



“Ehi figlioli guardate, ho trovato il puntale: sta benissimo! Nonostante la fatica è venuto un albero bellissimo!” Carlise, salito sulla scala appoggiata all’albero, aveva messo il puntale e lo fissava soddisfatto; non ottenendo risposta, si girò per vedere cosa succedeva e sbiancò di colpo.

"CARLISE!!!!"

“RAGAZZI!!!!!”

 

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Capitolo 3
*** Venticinque dicembre: Natale! ***


 YOOOO MINNAA!!! Sono tornata con un nuovo capitolo! Se devo dire la verità questa volta, avendo cercato di puntare più sul romantico, non ho idea di come mi sia venuto e mi abbandono al vostro giudizio. Ovviamente il pairing centrale è il Jasper/Alice, ma ho dedicato momenti di dolcezza anche agli altri. Per farmi perdonare nel caso di fiasco completo, ho deciso che scriverò un capitolo extra e lo pubblicherò entro due settimane (credo e spero):D

Buona lettura!!!

Il venticinque Dicembre

 
Jasper assaporò la calma e gioia che in quel momento pervadeva la loro casa; finalmente erano tutti seduti a tavola: Carlise ed Esme a capotavola, Edward e Bella di fronte a Jacob e Renesme, a sua volta vicino a Seth che parlava animatamente riguardo a ad una partita di rugby con Billy ed Emmet, che teneva la mano a Rosalie, che invece spettegolava di moda con Alice, seduta di fronte a lei e vicino al nostro vampiro biondo che chiacchierava con Charlie e Sue Clearwheter.

Quella mattina aveva creduto che avrebbero finito col trasformare l’allegro pranzo di Natale (pranzo per gli umani) in una strage di massa…
 
“ESMEEEEEEEEEE!!!!!!” Alice si precipitò in cucina come un tornado seguita da un esasperato Jasper che non sapeva più a capire come fermare le donne di casa Cullen: nemmeno con i suoi poteri riusciva a tranquillizzarle.

“ESMEEE!!” urlò ancora il folletto, disperato, alla povera donna immortale che stava lottando accanitamente con un sbattitore elettrico a fruste.

“Amore cos’è successo? È tanto grave? Perché in questo momento sarei un po’ occupata…”  Stringendo le labbra in una buffa smorfia di concentrazione Esme cercò di imporre la sua volontà al malefico strumento elettrico: perché quella stupida crema non si montava?!

“Non riesco a trovare le lame del robot da cucina che mi hai chiesto!! Sono sparite!” disse lei affranta scuotendo per le spalle la madre che aveva finalmente smesso di lottare col suo acerrimo nemico e l’aveva riposto sul bancone in marmo, pronta a riprender battaglia una volta affrontato il nemico sul secondo fronte.

“Sei sicura? Ne ho assolutamente bisogno per tritare il farcimento del tacchino!” La cosa era grave e Jasper captò immediatamente la tensione nell’aria.

“Assolutamente.” Rispose con tono tragico Alice.

“Bene, allora passiamo al piano B: Alice, Jasper, prendete la Porsche gialla e volate al supermercato a prendermene una scatola nuova. Avete…mezz’ora al massimo.” Impartì il comandante supremo del
dipartimento Cucina al suo fidato luogotenente e alla sua guardia del corpo.


I due assentirono prima di sparire in un battito di ciglia.

Esme si girò con lentezza esasperante a guardare il malvagio sbattitore: la crema al mascarpone doveva riposare almeno tre ore in frigo per raggiungere il perfetto consolidamento e lei doveva ancora cucinare altre sei portate, ma quella si ostinava a rimanere liquida e per niente spumosa; Esme non capiva: nel libro e nel video di cucina sembrava così facile! Quell’anno aveva deciso che il pranzo si sarebbe fatto a casa Cullen invece che da Charlie e Sue, ormai sposati, e che avrebbe cucinato lei insieme alle sue figlie adottive nonostante loro non avrebbero mangiato niente, ma la missione si era rivelata più ostica del previsto.

Con aria battagliera afferrò per il manico lo strumento del demonio e con forza lo immerse nella crema.

Fece un inutile respiro profondo.

Con le dita schiacciò il pulsante per l’accensione.

Con un ruggito lo sbattitore prese vita.

Esme cominciò a compiere dei cerchi regolari in senso antiorario nella crema.

La bestia cercò di farla desistere spruzzando crema ovunque, in particolare sul suo grembiule bianco e blu e sui suoi capelli.

Esme non si arrese e con un trillo di gioia selvaggia si accorse, grazie alla sua vista perfetta, che si stava solidificando.

Dieci minuti dopo Esme lanciò vittoriosa il suo nemico sconfitto nel lavandino, ammaccandolo, e pose il premio di quella disputa, nel frigo. Morbida e spumante anche più di quella del video.

“E-Esme…?” Ancora con la luce della vittoria negli occhi Esme si girò a guardare la figlia bionda che, sulla porta del suo regno, insieme a Emmet, la guardava con gli occhi spalancati per lo shock.

“Cosa c’è cara? Ho appena finito la crema al mascarpone: è perfetta!” esclamò trillando prima di lanciarsi verso Rosalie.

Rose spalancò gli occhi per il terrore mugolando un “no” terrorizzato.

Il mostro al mascarpone, alias Esme, proseguì imperterrita a braccia spalancate.

Rose chiuse gli occhi per non vedere.

SPLASH!

Rose aprì gli occhi sorpresa, non sentendo nessun’abbraccio alla crema di mascarpone stingerla in una morsa soffocante.

Davanti a lei Esme, con la faccia estasiata in versione cucciolo, abbracciava il martire Emmet, che, per la donna della sua vita, si era frapposto fra lei e il mostro ricoperto di dolce e appiccicosa, non ché
impossibile da togliere dai vestiti senza rovinarli, crema, salvando il vestito da cocktail della moglie e sacrificando il suo completo con un sorriso rassegnato.


“Emmet…?” chiese Esme un po’ stupita di trovarsi tra le braccia il figlio sbagliato.

Lui, con un sorriso tirato la abbracciò ancora di più e la strinse tra le sue braccia irsute con più delicatezza che poteva.

“Avevo voglia di abbracciarti Esme: era un po’ che non lo facevo!” si giustificò staccandosi.

Esme fece un sorriso scintillante e commossa gli schioccò un bacio sulla guancia prima di tornare al campo di battaglia.

Emmet si girò verso sua moglie trovandola a guardarlo anche lei commossa per il suo gesto.

“Grazie Em!” disse sincera prima di avvicinarsi a lui e stampargli un dolce bacio sulle labbra, sempre attenta a non sporcarsi di crema.

“Ora vatti a ripulire: se ti vede Alice gli viene un infarto!” Emmet, ancora rimbambito, si diresse a passo umano verso camera sua.

“Esme ti ho portato gli ingredienti che mi avevi chiesto…” disse Rosalie cauta, spostandosi in modo da mettere fra sé e la madre adottiva un tavolo blocca-abbracci.

“Grazie cara! Mi dedico subito al tacchino; tu potresti iniziare a preparare gli antipasti?” la chiamata in causa annuì, grata che non dovesse far niente che la potesse ridurre nello stato di Esme, che invece estrasse il
tacchino dal sacchetto brandendolo come un arma.


Rose si interrogò per un po’ su cosa potesse preparare e infine il suo lato artistico optò per dei crostini con caviale, funghi, gamberetti e salsa rosa (già pronta), formaggio, prosciutto e altri condimenti vari.

Ridacchiando come una bambina iniziò a cercare gli stampi natalizi e aprì quindici sacchetti di pancarré; una volta trovati, li dispose sul tavolo e incominciò a tagliare il pane a forma di alberello, di stellina, stella cometa, pallina di natale, babbo natale, renna e di un’altra infinità di forme.


“Esme, Rose! Siamo arrivati!” Edward, Bella e Nessie entrarono in cucina sorridenti.

Edward, avendo sentito i pensieri della sorella mentre cercava le “formine” e si dilettava a cucinare i suoi antipasti, incominciò a ridacchiare.

“È bello vedere che anche tu hai un lato bambino, Rose.” Commentò infine.

“Mph, taci e renditi utile, Ed!” borbottò lei infastidita e imbarazzata senza però riuscire a trattenere un sorrisino divertito.

“Ovvio: sono qui per questo!” rispose Edward poggiando a terra un sacchetto gigante che si era cavallerescamente offerto di portare al posto della moglie, “Ecco a voi tutto l’armentario per produrre biscotti di distruzione di massa!” spiegò orgoglioso, già in linea con i pensieri di Esme.

“Ottimo lavoro Edward! Nessie, Bella al lavoro!” il comandante mise in riga i suoi soldati.

“Sissignora!” esclamarono i tre cominciando a spargere la farina sul bancone e a preparare gli ingredienti per l’impasto.

DRINNN!

Il campanello interruppe le operazioni di guerra: che fosse già il luogotenente con le armi per l’operazione farcitura?!

“EHI CULLEN! MI VOLETE APRIRE?! SONO VENUTO AD AIUTARE!! EHIIII!”

Rosalie sbuffò sonoramente e borbottò qualcosa riguardo i cani che non possono entrare, mentre Nessie si precipitava alla porta.

Edward incominciò a canticchiare Jingle Bells cercando di zittare i pensieri urlati da Jacob al mondo su sua figlia.

Dopo qualche minuto Jake e Nessie fecero la loro apparizione, tenendosi per mano, in cucina.

“Jake, caro, sei stato molto gentile a venire per aiutarci” iniziò Esme ignorando i brontolii di Rose, che ancora non lo poteva soffrire, “ora, ti dispiacerebbe aiutare Rose con gli antipasti?”

Jake spalancò la bocca per lo shock.

“NO ESME! CON IL CANE NO!”

“Scusa Esme ma non credo sia un buona idea che io collabori con la bionda psicotica.” Disse digrignando i denti Jacob, che non aveva il coraggio di comportarsi da cafone con Esme, troppo “mamma” dal suo
punto di vista.


La figura di Esme parve ingigantirsi a dismisura mentre i suoi occhi lampeggiavano e un’aurea nera la circondava.

Rose e Jake, abbandonato vigliaccamente da Nessie che aveva ereditato lo stesso senso di autoconservazione della madre e che era corsa a fare i biscotti con Bella ed Edward, che sogghignava soddisfatto, si fecero piccoli piccoli.

“P-però s-se c-ci t-tieni tanto p-potremmo p-provare…” balbettarono entrambi intimoriti.

Lei si ritrasformò in se stessa e con un sorriso gigante li ringraziò, prima di girarsi ad affrontare le insidie di un tacchino arrosto.

“Cane: se mi rovini i crostini ti stacco la testa a morsi e la getto nel fiume!”

“Bionda psicopatica: dammi ordini o fammi sgridare ancora da Esme che do fuoco al tuo guardaroba!”

Dopo essersi guardati in cagnesco per alcuni secondi fecero partire una gara a chi preparava i crostini migliori, senza esclusione di colpi.

 
 
Intanto Alice e Jasper sfrecciavano lungo la strada asfaltata sulla poco appariscente macchina di Alice alla ricerca di un centro commerciale; Jasper aveva provato ad obbiettare che anche un il piccolo
supermercato di Forks avrebbe potuto averle, ma la sua dolce metà si era intestardita che un centro commerciale vero e proprio era meglio e non c’era stato verso di convincerla.


“Alice, rallenta.” riprovò esasperato il vampiro per la tredicesima volta. Stava andando talmente veloce da preoccupare perfino un vampiro.

La moglie per ripicca schiacciò ancora di più il pedale.

“Voi maschi non potete capire: è una questione di vitale importanza!” trillò infine mentre Jasper, prendendole le mani tre le sue, la obbligava a calmarsi.

“Capisco, che tu ci tieni che questo pranzo sia perfetto e soprattutto che non vuoi deludere Esme, ma credo che tu stia leggermente esagerando.” La rimproverò cauto Jasper mentre lei, sentendosi scrutata nel profondo da quegli occhi dorati, in poco tempo cedette.

“Solo per te!” mugugnò mentre decelerava e prendeva la prima svolta per Port Angeles, per raggiungere il supermercato, invece che proseguire per Las Vegas, suo obbiettivo primario.

Dopo qualche minuto si fermarono in un enorme parcheggio dove lasciarono la macchina.

Alice scese, sbattè la sua portiera e ringhiò all’indirizzo del supermarket: aveva pochissimo tempo per trovare le pale perfette e doveva comportarsi da umana!

Jasper scese, sbattè la portiera e si portò a fianco del folletto cingendole le spalle con un braccio: sia per scoraggiare eventuali ammiratori, sia per trattenere la piccola furia.

Dopo aver oltrepassato le infide porte automatiche ed esser giunti nel cuore del supermercato, i due si dedicarono ad un’attenta ricerca del reparto elettrodomestici.

Alice era trattenuta a stento dalle braccia di Jasper e avrebbe voluto fiondarsi a cercare la sua preda, ma sapeva che troppo gente li stava guardando…

Infine si trovarono di fronte ad un infinito corridoio pieno di centinaia e centinaia di elettrodomestici, che dall’alto delle loro postazioni li guardavano maligni.

Jasper gemette scoraggiato mentre la sua dolce metà ringhiando si dirigeva a passo di carica verso il primo scaffale; aveva una missione da compiere e avrebbe fatto qualsiasi cosa per portarla a termine.

Insieme, come sempre, si misero con ostinazione vampira a cercare quel maledetto modello di lame del robot; a metà del corridoio, circa trecento quattro prodotti dopo, Jasper era entrato in modalità stratega e stava pianificando cento modi diversi per sfuggire a quella orrenda tortura: avrebbe potuto rovesciare i prodotti, saltare in cima allo scaffale, cominciare a saltare da uno scaffale all’altro per poi correre verso l’uscita ed essere libero…oppure avrebbe potuto abbattere direttamente gli scaffali…tutto questo ovviamente senza farsi prendere dal suo luogotenente che l’avrebbe ritenuto un ammutinato, un traditore della causa e della patria…

“JAPEEEEEEERRRRRRR!!!!!” trillò Alice spaventando a morte e forando il timpano del chiamato in causa che, giratosi, la trovo ferma immobile con il dito puntato verso un punto imprecisato del corridoio con un’espressione di gioia folle sul volto che spaventò a morte Jasper.

“Jasper: l’ho trovato!” senza dare nemmeno il tempo al suo ragazzo di esprimersi si lanciò alla conquista.

Dieci passi.

Otto passi.

Tre passi.

Allungò la mano.

Sorrise vittoriosa verso l’ultimissimo modello di lame da robot che voleva Esme.

Un mano bianca e rugosa afferrò l’ultima scatola di tutto il supermercato.

La faccia di Alice si distorse in una smorfia di orrore.

Alice, aggrappandosi al vuoto, cadde a terra di faccia.

“Alice!” Le mani di Jasper afferrarono la piccola vampira, ancora stordita della sua prima caduta da quando era diventata un essere perfetto e immortale, e nella sua voce si lessero rimprovero e preoccupazione:
Alice era troppo confusa e su di giri perfino per i suoi standard.


Lei si fece tirar su come una bambola di porcellana, ma, una volta in piedi, si mise a fissare insistentemente la rattrappita vecchietta che le stava davanti che a sua volta fissava Jasper.

“Mi scusi, signora, sarebbe così gentile da lasciarmi quella scatola? È una vera emergenza!” Alice approcciò il suo nemico con voce suadente e ammaliante, mentre Jasper, che stava contemplando l’idea di rifugiarsi in Antartide, la guardava esasperato.

“L’ho presa prima io!” disse la vecchietta strizzando gli occhi.

“Lo so, ma vede, è molto, molto importante…” Alice fece un passo in avanti tendendo una mano, gentile e aggraziata, come una pantera prima del balzo che la porterà a sbranare la sua inconsapevole preda.

La nonnetta fece un passo indietro, abbracciando convulsamente la scatola e puntandogli contro il bastone da passeggio.

“Anche a me serve urgentemente, ragazzina! Non ho intenzione di cederla!” intimò poi brandendo il bastone davanti al suo naso.

Alice impietrì. Esme, la persona che l’aveva accolta in casa sua, che l’aveva tratta come una figlia, che l’aveva protetta ogni santa volta che aveva esagerato con lo shopping, che assecondava tutte le sue piccole pazzia, le aveva chiesto una sola cosa: quelle lame da robot! E le aveva fatto capire che erano di vitale importanza per il pranzo, a cui teneva più di qualsiasi altra cosa. Non poteva deluderla. A qualsiasi costo.

Alice ringhiò scoprendo i denti e si accucciò in posizione di attacco.

Ebbe una breve visione: lei, che si scagliava contro la vecchietta, che incominciava a colpirla con bastone e borsetta, ma che nonostante i suoi sforzi non riusciva a difendere il suo bottino; poi Alice glielo strappava di mano e la scagliava lontano. Ed ecco che Alice alzava al cielo il suo premio, vittoriosa.

Alice sogghignò.

Esme l’avrebbe lodata e si sarebbe commossa.

Fece un passo verso la nonnetta, terrorizzata.

Tese tutti i muscoli.

Due braccia forti e decise l’afferrarono per la vita, la sollevarono, la capovolsero in modo tale che lei si trovasse faccia a faccia con la schiena del loro proprietario.

“Jasper?!” Mugolò Alice sorpresa.

“Mi scusi signora, le assicuro che la mia ragazza non aveva cattive intenzioni; deve sapere che l’hanno appena ricoverata in un ospedale psichiatrico…” la voce di Jasper era un cucchiaiata di miele mentre si scusava con quella nonnetta e ignorava Alice, che si era messo in spalle come un sacco di patate.

“JASPERRR!!!” urlò Alice iniziandolo a prendere a pugni sulla schiena.

La vecchietta fece un sorriso comprensivo, conquistata dalla bellezza e affabilità del giovane, nonché dalla strana calma che emanava.

“Si figuri giovanotto e tenga pure questa scatola, se può far felice la sua povera ragazza…” concluse infine guardandolo adorante e porgendogli l’agognata scatola, che lui prese ringraziando quasi commosso.

Senza curarsi dell’uragano che si abbatteva sulla sua schiena, Jasper si diresse alla cassa, dove pagò il prezzo richiesto sotto lo sguardo attonito di tutti, per poi uscire da quel luogo infernale e dirigersi all’aria aperta.

Con destrezza e velocità scaricò Alice sul sedile, la bloccò con la cintura di sicurezza, le mise tra le mani la scatola, si sedette sul posto del guidatore e ingranò la marcia.

Il silenzio scese nell’abitacolo.

Alice, con un’espressione da cucciolo ferito, abbracciava la scatola e guardava il tappetino immacolato della sua amata Porsche.

“Jasper…sei arrabbiato?” chiese infine titubante Alice portandosi le ginocchia al petto e circondandole con le braccia.

Jasper sospirò.

Alice si allarmò ancora di più e si voltò a guardarlo con il terrore negli occhi.

Lui la guardò impassabile.

Lei, per un infinitesimo di secondo, temette che stesse per dire le parole che popolavano i suoi “incubi” più oscuri: “Mi sono stufato di te, Alice! Torno da Maria.”

Jasper sorrise, illuminando e riscaldando il cuore della piccola vampira pazza.

“Se non sapessi che l’hai fatto per una buona causa…cavolo Alice!! Quella vecchietta era terrorizzata!” disse alzando gli occhi al cielo esasperato.

“Le sta bene…” borbottò Alice mettendo il broncio, sollevata che non avesse detto le parole che più temeva, e stringendosi al petto la scatola.

“Perché?” chiese Jasper incuriosito, percependo l’umore del folletto che, da sinceramente dispiaciuto e spaventato era passato a un misto di felicità, rabbia e gelosia.

Lei sfuggì il suo sguardo e voltò la testa, guardando gli alberi che sfrecciavano fuori dal suo finestrino.

“Alice…” la richiamò il biondo prendendole delicatamente il mento e obbligandola a guardarlo negli occhi.

Lei si mordicchio il labbro inferiore.

“Le sta bene…” ripeté, prima che un lampo di collera passasse nei suoi occhi ambrati, “Quella nonnetta ti guardava come se ti volesse mangiare! E non è nemmeno un vampiro! Probabilmente è andata a casa a creare un Jasper fan-club! Ti rendi conto?! E lo sapeva benissimo che io ero la tua ragazza! Se non l’avessi distratta ti sarebbe saltata addosso!” urlò Alice in preda ud una furia omicida: si capiva benissimo che, se fosse stato per lei, sarebbe tornata indietro a staccare la testa alla nonnetta, a suo dire, assatanata.

Jasper la guardò un attimo sbalordito, senza parole per lo shock, poi scoppiò in una risata fragorosa che riempì tutto l’abitacolo; Alice si fermò un attimo in contemplazione della sua risata, che per molto tempo in passato aveva pensato di non sentire più, poi mise il broncio e si girò a osservare i particolari del vetro del finestrino, offesa.

Jasper ridacchiò ancora per un po’ prima di osservare la sua ragazza.

“Alice…non ci posso credere che fossi gelosa di un ultra-ottantenne!” disse posandogli una mano sulla schiena.

“IO. NON. SONO. GELOSA. JASPER WITHLOCK!!” urlò lei arrabbiata puntandogli un dito in faccia.

Lui la guardò scettico, sollevando un sopracciglio.

“Stai cercando di mentire a uno che riesce a percepire le emozioni degli altri?!” chiese Jasper retorico mentre parcheggiava la macchina nel garage (o parco auto) dei Cullen.

Lei emise un trillo infastidita e scese di corsa dalla macchina, scardinando la portiera, con sua grande frustrazione.

Stava già per lanciarsi in casa quando la mano di Jasper l’afferrò per il polso e la costrinse a girarsi vero di lui, per poi baciarla con passione e dolcezza.

Inizialmente Alice fece resistenza, ma se c’era un persona che poteva convincerla o scioglierla, quella era Jasper Withlock, che ci riuscì anche questa volta, egregiamente.

Quando si staccarono, lei lo fulminò con lo sguardo ma lui le sorrise di nuovo.

“Non ho intenzione di scappare da te per andare da un ultra-ottantenne.”

Alice lo continuò a scrutare risentita.

“Né per andare da Maria”.

A quelle parole Alice abbassò lo sguardo colpevole, cercando di liberarsi dalla sua stretta, ma evidentemente la cosa non garbava al biondo.

“Mi leggi nel pensiero Jazz?”

“Io no.”



“EDWARD!!!” trillò Alice scioccata e arrabbiata: quello stupido di suo fratello aveva riferito tutte le volte che in quei tempi aveva avuto paura di perdere Jasper! Lo avrebbe sicuramente ammazzato!

Jasper ridacchiò.

“Non è colpa sua: glielo chiesto io; sai mi stavi incominciando a far preoccupare, cadendo così improvvisamente nel terrore quando mi guardavi mentre pensavi che non me ne sarei accorto.”

Colpevole, abbassò nuovamente lo sguardo: essere così gelosa la faceva sentire come una bambina capricciosa e insicura, e mai avrebbe volito che Jazz lo sapesse, nel terrore che anche lui pensasse che era una stupida.

Sapendo che Edward era in casa mandò vari messaggi di morte e insulti a suo indirizzo.

“Alice? Perché non me l’hai detto?” mormorò: era evidentemente turbato, mentre la tratteneva tra le sue braccia.

“Perché…” iniziò lei titubante, “perché avevo paura o che ti arrabbiassi o che mi rispondessi che facevo bene a essere gelosa perché te ne volevi andare…” la voce le tremava leggermente mentre pronunciava queste ultime parole.

Jasper venne travolto da un’ondata di paura repressa, insicurezza, amore e malinconia che lo stordì momentaneamente.

Poi la abbracciò di slancio, sorprendendola, e la strinse più forte che poteva senza farle male al suo petto.

“Ti giuro, Alice, ti giuro che non ti lascerò mai!” disse con gli occhi che gli ardevano.

Quelle poche parole ebbero il potere di un balsamo sul cuore di Alice. Perché Jasper Withlock non era un ragazzo sdolcinato che sbandierava i suoi sentimenti al mondo, anzi era chiuso e riservato: se diceva quelle parole in quel modo non si poteva non credergli.

Alice annuì mentre un’immensa dolcezza prendeva il posto delle altre cupe emozioni.

Per un instante infinto stettero così, a cullarsi l’uno nelle braccia dell’altra; poi, silenziosi, si presero per mano ed entrarono nella casa: Alice, Jasper e le lame del robot.
 
 

Entrati in cucina impietrirono per lo shock, assistendo ad una scena che mai avrebbero voluto vedere.

Al centro, sopra il tavolo, Jake e Rose si lanciavano piatti, cucchiai, coltelli e barattoli, dandosi la colpa per qualcosa accaduto ai loro antipasti; Esme invece sul bancone, a cavalcioni del tacchino, mentre cercava di sventrarlo barbaramente.

Bella, Edward e Nessie erano impegnati in una difficilissima battaglia con la farina: dal modesto punto di vista del generale Withlock era indiscutibilmente Bella ad avere la meglio e Edward la peggio; Nessie si teneva un po’ ai lati, colpendo all’occorrenza uno dei due.

“ESMEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”

L’urlo di Alice ebbe la forza di riportare la calma sulla cucina: tutti si girano a guardare la dolce creatura a fianco del biondo.

“Esme! Le ho trovate!” urlò senza curarsi degli altri e andando incontro ad una commossa Esme.

Jasper guardò interrogativo gli altri, ma ricevette in risposta solo sguardi sconsolati e scuotimenti di testa.

“Oh cara! Sei fantastica! Ora potrò preparare il ripieno.”

“Il ripieno di cosa?” chiese Emmet scendendo tranquillo e ignaro sul campo di battaglia

“Del tacchino, caro.”

“Intendi quello su cui sei seduta?!” chiese Emmet aggrottando le sopracciglia confuso.

Esme, ricordandosi solo in quel momento della sua situazione, scesa da lì per contemplare afflitta il martoriato e smembrato ex-pennuto.

“Ehm…Rose? Passami il robot per favore, dovrebbe essere sul tavolo.”

“MI dispiace Esme, ma qui non c’è…” disse Rosalie guardandosi intorno preoccupata.

“Come non c’è?” borbottò l’altra mentre tutti si scatenavano alla ricerca del fantomatico aggeggio.

“Ehi aspettate un attimo!” esclamò Emmet, folgorato da un’intuizione geniale, “No ditemi che il robot che cercate è quella specie di coso che è volato fuori dalla finestra una quindicina di minuti fa?!”

Tutti si girarono a guardare, prima la finestra, allibiti, dove si vedeva la sagoma dell’oggetto in questione e poi, arrabbiati, Rose e Jacob, che erano sicuramente i colpevoli.

I due si guardarono un secondo prima di urlare, indicandosi: “E’ COLPA SUA!!!”

Esme li fulminò, prima di spiegare che bastava andare a recuperarlo in giardino, sperando che non fosse ammaccato.

“F-forse n-non sarà così facile…” mormorò Em guardandoli come se temesse un attacco a sorpresa, “...q-quando ho visto che lo avevate lanciato via…h-ho pensato che non vi servisse più e l’ho scagliato nella foresta…”

Tante statue di ghiaccio non facevano che fissarlo.

“R-ragazzi…?” chiese titubante, arretrando.

“Tu…hai fatto cosa?” chiese Alice mentre tutti cominciavano a ringhiare verso di lui: con la sua forza, ora, quel maledetto affare poteva benissimo trovarsi in Canada!!”

“Hai idea di quanto ci ho messo a recuperare quelle lame?! Di quello che ho dovuto affrontare?!

Alice mirava sicuramente alla gola del fratello e gli altri non sembravano intenzionati a fermarla, quando una mano le si pose sulla spalla.

“Jasper…?” chiese lei guardandolo interrogativamente.

“Stai tranquilla Alice…” disse con un sorriso che avrebbe fatto ghiacciare per il terrore tutto l’esercito dei Volturi, “…ci penso io.”

Il vampiro più forte di casa Cullen ebbe la fortissima tentazione di scappare per non tornare mai più…
 


 
Jasper ridacchiò, ricordando di come aveva obbligato Emmet a perlustrare tutta la foresta fino a che non aveva ritrovato il robot, mentre Esme obbligava Rose e Jake a collaborare, sotto la supervisione di Alice, e Bella, Edward e Nessie a ripulire la cucina da tutta la farina che avevano lanciato in giro.

Era stata una mattinata davvero impegnativa, ma il risultato, a quanto dicevano gli ospiti, era eccezionale.

“Ehi Jake, cosa hai fatto all’occhio?” chiese ad un certo punto Seth, ingozzandosi con i biscotti dei Nessie.

I ragazzi di casa Cullen impietrirono al ricordo del giorno prima che, sotto tacito accordo, avevano deciso di dimenticare.

Jacob fece una smorfia, toccandosi il livido violaceo; ovviamente, era l’unico su cui i lividi erano visibili, ma ciò non stava a significare che gli altri se la fossero passata meglio.

“Abb…Ho avuto una piccola…discussione con Nessie…” mugugnò infine.

“Immagino che il motivo sia lo stesso per cui la vostra casa ha per ogni stanza decorazioni di colori diversi, vero?”

Tutti i maschi annuirono.

“Immagino anche che Nessie ti abbia massacrato per bene, vero?” continuò Seth ridacchiando all’immagine che la sua fantasia stava producendo.

Tutti i maschi annuirono.

“Pfui! Per favore! L’ho fatta vincere apposta.” Esclamò Jake ferito nel suo orgoglio maschile.

“Ah davvero?!” chiese gelida Nessie,

Jake deglutì aspettando l’arrivo dell’uragano sotto lo sguardo divertito di Edward.

La piccola e adorabile Nessie, però, si voltò a parlare con Seth: aveva in mente un piano ben peggiore.

“Seth? Che ne dici se uno di questi giorni io e te usciamo insieme? Da soli, ovviamente.” Disse candida a un lupo sbalordito, che però si riprese piuttosto velocemente dalla sorpresa, sorridendo smagliante.

“Certo Nessie, ma tu intendi uscire con me non come semplice amico, vero?”

“Ovvio.”

Jake sputò tutta la coca che stava bevendo.

“Papà a te va bene, se ho voglia di cambiare un po’? Sai ultimamente mi sento piuttosto attratta da Seth…” disse con voce seducente prendendo per mano Seth, che le passò un braccio intorno alle spalle.

A Jake cadde la mascella e si girò a guardare Edward, non sapendo che altro fare a causa della morte improvvisa del suo ultimo neurone per lo shock, aspettando la sua reazione.

“Certo amore. Lo sai che considero Seth uno dei miei migliori amici e sarei felicissimo se riuscisse a darti la felicità e magari chissà, in futuro, anche una famiglia e un bambino…” disse il padre serio e comprensivo.

“CHE COSAAAAA?!?!?!?!” sbraitò Jake, balzato in piedi alla sedia, "TRADITORI!!!!!!"
 
Poi cadde a terra, svenuto.

“Edward, Nessie, Seth! Avete esagerato!” li rimproverò Bella cercando di sovrastare le risate che si alzavano da tutta la tavola e andando a soccorrere il povero malcapitato. Nessie e Seth si scambiarono un cinque mentre Edward cercava di soffocare le risate con una mano, senza ottenere grandi progressi.
 


Il pranzo, dopo che Jake si fu ripreso e gli fu spiegato lo scherzo, proseguì liscio fino al momento dei regali. Il momento più temuto dai nostri eroi, ma soprattutto da Jasper che era l’unico la cui ragazza
prevedesse il futuro.

Solitamente i due si accordavano così: Jazz le regalava qualcosa che gli piaceva e che lei avrebbe sicuramente previsto, poi la vampira gli chiedeva un regalo che desiderava e lui provvedeva. Ovviamente le scelte di Alice erano assurde e imprevedibili.

Mentre Esme scartava commossa il suo nuovo e super accessoriato sbattitore elettrico, generosamente donato da Carlise che aveva notato quello distrutto nel lavandino e che intanto leggeva il suo nuovo libro regalato dalla moglie, e Rose il suo buono per un week-end da due persone a Parigi, città dell’amore, Jasper porse ad Alice una scatolina in velluto nero.

Quando lei l’aprì, spalanco gli occhi per la semi-sorpresa ed emise un gridolino estasiato.

“Ti piace?” chiese leggermente ansioso Jasper; lei in risposta gli gettò le braccia al collo ringraziandolo con un bacio ardente, prima di obbligarlo a metterle al collo quella stupenda collana in oro nero con un ciondolo fatto da una goccia perfetta di ambra dorata, lo stesso colore degli occhi di Jasper.

Dopo essersi rimirata due o tre volte allo specchio e aver “ringraziato” ancora una volta un soddisfattissimo vampiro biondo, si risedette sul divano a fianco a lui per esprimere seria il suo “desiderio”.

“Jazz, ci ho pensato a lungo dopo aver visto lo scherzo che Nessie ha fatto a Jake, e ho deciso che come regalo…” il ragazzo trattenne il respiro, “voglio un primo appuntamento!”

Al poveretto cadde la mascella per la sorpresa e Alice, notandolo, si affrettò a spiegarsi.

“Jasper, guardando mia nipote, mi sono resa conto che anche io voglio provare la gioia di essere invitata fuori dal ragazzo che mi piace e passare con lui una serata normale, dolce e romantica come una qualsiasi altra ragazza!!”

A questo punto i suoi occhioni da cucciolo incominciarono a scrutarlo entusiasti e pieni di aspettativa, mentre lui finalmente riconnetteva il cervello e cercava di capire cosa dovesse fare.

Nella sua mente apparve un’immagine di lui stesso con lo smoking che, inginocchiato davanti ad Alice, le chiedeva se voleva fare una passeggiata con lui al chiaro di luna.


Stava già per esprimere il suo invito quando vide, alle spalle di Alice, Edward, abbracciato a Bella, che scuoteva furiosamente la testa spaventato, sillabando “m-o-d-e-r-n-o”.

Dopo averlo guardato ancora per qualche secondo capì il messaggio subliminale del fratello e creò nella sua mente l’immagina in cui lui, in jeans e camicia bianca, la invitava ad andare con lui al cinema.

Edward si mise ad annuire come un forsennato.

“Va bene, Alice. Vorresti venire con me al cinema sabato prossimo? Ti passo a prendere alle otto!” disse con il suo sorriso sghembo, ignorando che vivevano nella stessa casa.

Alice, commossa, gli saltò addosso, atterrandolo.

“SI’!!” gli urlò felice come non mai. Felice perché questa era una cosa che Jasper, lo sapeva, non aveva mai chiesto a nessun’altra; nessuna era andata con lui ad un appuntamento per veder insieme a lui un film, come due persone normali. Nemmeno Maria. E Alice invece sì. Sapeva che era stupido, ma l’idea che avrebbero avuto un momento tutto loro, che lui non aveva mai vissuto con nessun’altra, la riempiva di sicurezza e amore verso di lui.

Amore che investì in pieno Jasper, inebriante e forte come il vento di primavera ai primi di Marzo.

“Ti amo Alice” gli sussurrò all’orecchio, ancora sdraiati sul tappeto.

“Ti amo anche io Jasper. E buon natale!”

 
 
 
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