Heart of a star.

di GasPanic
(/viewuser.php?uid=211922)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The dreams we have as children. ***
Capitolo 2: *** Panic is on the way ***
Capitolo 3: *** D'yer wanna be a spaceman and live in the sky? ***



Capitolo 1
*** The dreams we have as children. ***


Questa è una raccolta di one- shot sulla vita di Noel Gallagher. Non intendo offendere nessuno, e ci tengo a precisare che in questa ff racconto a modo mio sia avvenimenti realmente accaduti che fatti puramente inventati. Spero vi piaccia. Buona lettura!

1. The dreams we have as children.

“Noel, devi correre a casa!” trillò allarmato un bambino sui 6 anni al fratellino più piccolo, che con un gruppo di amichetti era impegnato a giocare alla guerra, armato di un rozzo ma inoffensivo pezzo di legno che fungeva da fucile. Una smorfia di disappunto si dipinse sul suo visino sporco di terra. “No che non ci vengo. Stiamo vincendo, guarda!” replicò puntando il dito verso un gruppo di bambini che giacevano schiamazzanti, nonostante la loro condizione di caduti di guerra. Il più grande sbuffò, afferrando il fratello per un braccio. “E' urgente, ti dico!”. Ma il piccolo puntò i piedini, sotto gli occhi curiosi dei 'commilitoni', che li fissavano senza dire una parola.
“Guarda che faccio la spia” incalzò nuovamente il maggiore, riuscendo finalmente a trascinare il fratellino verso casa. Noel mise il broncio per tutto il tragitto, chiedendosi perché mai quello stupido di Paul fosse così contento. Trascinava i piedi, mentre 'fucile' in spalla, avanzava con aria rassegnata dietro il fratello, che saltellante, ogni tanto si doveva fermare ad aspettarlo.
“Vedrai” gli diceva di tanto in tanto con un sorriso entusiasta, in risposta alle sue occhiate infastidite. Il visino sporco di Noel si illuminò fugacemente solo dopo qualche metro, quando vide in lontananza la Station Wagon della zia parcheggiata davanti a casa loro. Forse gli avevano organizzato una festa a sorpresa con un sacco di regali perché giorni prima aveva perso il suo primo dentino? Spero mi abbiano comprato il camion dei pompieri, o dei soldatini nuovi, pensò il piccolo, immaginando con un sorriso malizioso un Paul invidioso di tutti i suoi giocattoli nuovi.
I raggi rossi del tramonto settembrino proiettavano lunghe ombre sul rozzo marciapiede semi deserto. “La mamma sarà furiosa” borbottò Noel, con un velo di malcelata preoccupazione nella voce. Se l'avesse visto così conciato, e Noel era sicuro che la cosa sarebbe stata inevitabile, l'avrebbe lasciato in punizione tutto il pomeriggio successivo. E il papà l'avrebbe picchiato più del solito.
Paul dal canto suo non sembrava preoccuparsene, dal momento che trotterellava allegro su per il vialetto senza levarsi quel sorriso sornione dalla faccia.
“Ehi, aspetta!”, strillò Noel, sull'orlo della disperazione. “Non fare la spia” lo ammonì, succhiandosi il dito con aria diffidente.
“Ma no, tranquillo” lo rassicurò il fratello maggiore socchiudendo la cigolante porta sul retro. I due bambini avanzarono timidamente nella penombra della piccola cucina. Noel teneva una manina serrata attorno al polso del fratello maggiore, mentre continuava imperterrito e con un certo nervosismo a succhiarsi il pollice della sinistra. Percepiva un vociare indistinto provenire dal piano di sopra: magari c'era davvero una festa, in camera sua. I due bimbi si guardarono con aria complice, per poi precipitarsi, tra una spinta e l'altra, ai piedi della scala.

“Bambini!” Noel poté distinguere, associata a quella voce, una figura familiare in cima alle scale.
La zia Augustine rivolse loro un caldo sorriso, e in men che non si dica i due fratellini si ritrovarono avvolti in uno dei suoi abbracci, stritolanti ma piacevoli. “Ma... Noel, che hai fatto? Vieni con me, se la mamma ti vedesse così si arrabbierebbe”, sentenziò la zia con occhio critico. “Paul, comincia a salire su, tesoro”, dandogli un buffetto delicato sulla guancia.
“C'è una festa?” chiese finalmente Noel, mentre la zia gli passava insistentemente una spugnetta bagnata sul visino sporco di terra. “Ma certo, piccolo. Di sopra ti aspetta una bella sorpresa” annunciò la donna, schioccando un sonoro bacio sulla fronte del bambino. Questi storse il naso, contrariato: non gli piacevano affatto i baci, erano roba da femmine e da innamorati, e lui non era nessuna delle due cose.
La mamma giaceva abbandonata sul letto, con aria stanca ma felice. Paul, al suo fianco, giocava a fare l'infermiere, chiedendole, di tanto in tanto, se volesse dell'acqua o delle medicine. Lo sguardo della donna si illuminò, quando vide il suo secondogenito fare il suo ingresso nella stanza tra le braccia di Augustine. Noel scrutava la madre con aria preoccupata. Non solo non c'era una festa, ma la mamma sembrava anche stare male. La donna si mise a sedere a fatica, con il piccolo al suo fianco, che continuava a osservarla senza proferire parola. “Tesoro, ho una sorpresa per te. Paul l'ha già vista” cominciò Peggy, con voce leggermente roca. Ma Noel era già scattato in piedi, guardandosi morbosamente intorno alla ricerca di un qualcosa che potesse somigliare anche solo vagamente a un camioncino dei pompieri. Paul scoppiò a ridere, prendendogli la mano e conducendolo dall'altra parte del letto, verso una voluminosa culla, troppo alta per lui. Lo sguardo di Noel passò saettò immediatamente dal ventre coperto della mamma alla culla che gli stava davanti. Un'espressione compiaciuta si dipinse finalmente anche sul suo volto. “Mamma!” trillò festante, salendo sul ciglio del letto per sbirciare dentro la culla. “E' una femmina, vero? Possiamo chiamarla Mary? Eh?”. Il bimbo saltellava qua e là ai bordi del letto, tutto concitato. Riuscì a scorgere il nuovo arrivato dormire beatamente tra le lenzuola immacolate, il petto che si alzava e si abbassava regolarmente. Noel si chiese cosa stesse sognando.
“Si chiama William, ed è il vostro nuovo fratellino”sancì Peggy, carezzando dolcemente la guancia del maggiore dei suoi figli. “Ora lascialo riposare, su.”
“Uffa” si lagnò il bimbo, gettando un ultimo sguardo curioso a quella buffa creaturina addormentata. “Andiamo Noel, Paul Hewitt mi ha insegnato un nuovo gioco troppo divertente”, vociò Paul, cercando di mantenere alto il morale del fratello, mentre uscivano dalla stanza seguiti dall'occhio vigile della zia. Per una volta Noel fu felice di non aver ricevuto in dono la camionetta dei pompieri. Sapeva che William sarebbe durato per sempre.









































Eccomi con l'ennesima ff, l'ennesima sperimentazione. So che scrivere alle 5 del mattino è controproducente ma l'ispirazione mi è venuta così, dal nulla. E quando l'ispirazione chiama, io rispondo (?). Ok, a parte questo... Volevo fare una ff seria, ed eccola qua. Almeno spero di essere in parte riuscita nell'impresa, sebbene sia solo il primo capitolo. Comunque non vi annoierò oltre. Hasta la vista! 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Panic is on the way ***


Panic is on the way.

 

Voglio giocare con voi” mugolò il bimbetto biondo incrociando le braccia sul petto. “Dai Liam, torna a giocare con i tuoi amichetti”.
Paul cominciava a perdere la pazienza. Quel nanerottolo paffuto cominciava a dargli sui nervi. “No”, ribadì testardo il piccolo.
Paul sbuffò, cercando aiuto nello sguardo di Noel, che però teneva la testa bassa, pensieroso, come se la cosa non lo toccasse. Quello era uno dei difetti (o pregi?) di Noel: aveva la capacità innata di estraniarsi dal resto mondo da un momento all'altro.
Mammaaaa!” piagnucolò il piccolo, con una luce maliziosa negli occhi. “Paul e Noel non mi fann..”
Ma prima che potesse finire la frase Noel aveva già provveduto a tappargli la bocca con la mano. “Ascoltami bene. Se tieni la bocca chiusa ti regalo due delle mie macchinine. Va bene?”. Mollò la presa, attendendo la reazione del piccolo con le sopracciglia inarcate. Questi osservò prima l'uno e poi l'altro per accertarsi che non lo stessero ingannando, poi annuì debolmente asciugandosi una lacrima col palmo della manina paffuta. “Ora fila in casa, o passerai dei guai” continuò Noel, autoritario, con un cenno del capo.

Come fai?” chiese poco dopo Paul, mentre, pallone sotto braccio, arrivavano in prossimità del parco. “Eh?” rispose Noel, cadendo ancora una volta dalle nuvole. Stava immaginando di essere un grande calciatore del City, la sua squadra preferita, e di giocare il derby contro lo United al Maine Road. Gallagher il capocannoniere del derby, pensò mentre un sorriso sognante gli si dipingeva in faccia.
A farti obbedire da Liam, dico. A me non da retta” continuò Paul seccato, sferrando un forte calcio al pallone, che con un tonfo vellutato finì sull'erbetta fresca poco più in là.
Noel scrollò le spalle, disinvolto. Che ne sapeva, quel marmocchio era intimorito da lui. E dopotutto la cosa non gli dispiaceva, perché a volte riusciva ad essere davvero fastidioso.
Gli occhi ridotti a due fessure, Noel scrutò in lontananza. Il resto della squadra stava arrivando.

Erano pochi ragazzini tra gli 8 e i 10 anni, sporchi di terra e di erba, un po' malconci. Qualcuno aveva uno squarcio nel pantaloni in corrispondenza delle ginocchia; altri ancora, come lo stesso Noel, indossavano indumenti di seconda mano di qualche taglia più grandi, probabilmente appartenuti a cugini o fratelli maggiori. A vedersi, comunque, non erano un bello spettacolo. Per delimitare i pali della porta avevano usato due giacconi, decisione presa, ovviamente, non senza un acceso dibattito. Idioti, pensò Noel scuotendo la testa, mentre con il solito broncio in viso andava a sistemarsi a centrocampo. Le risate e le grida concitate dei bambini colmarono presto quell'atmosfera tristemente silenziosa che regnava nel parco di mercoledì pomeriggio. “Noel!” gridò il suo amico Charlie, passandogli la palla. Il ragazzino non attese un attimo, immediatamente cominciò a correre verso la porta avversaria, scartando con agilità tutti i difensori che goffamente gli si paravano davanti. Individuò il suo bersaglio: Paul, tra i due giacconi, osservava le sue mosse come una pantera in agguato, pronto a scattare. Noel caricò il tiro, indirizzando mentalmente la palla verso l'angolo destro della porta, dove Paul non l'avrebbe potuta prendere. Chiuse gli occhi, assaporando quell'istante, immaginando ancora una volta di ritrovarsi a Maine Road durante il derby, e non in uno squallido parco di Burnage.
Ma che ca...LIAM!” l'urlo di suo fratello maggiore lo riportò bruscamente alla realtà, facendogli calciare un tiro troppo alto per la sorpresa. Noel imprecò, prendendo coscienza solo in quel momento del bimbo che con una risata divertita correva via, portandosi dietro uno dei due giacconi. I due ragazzini partirono all'inseguimento. Come di consueto Noel arrivò per primo, agguantando con rabbia il polso del fratellino. “Sei scemo? Potevi farti male!” lo rimproverò, ancora con il fiatone. Il bambino gli scoccò un'occhiata di fuoco, ma non disse niente. “Andiamo, ti riporto a casa” sbraitò ancora una volta Noel, prendendo Liam per il colletto.

Sempre a rovinare tutto, pensò furente, mentre avanzava con incedere militaresco verso casa sua, con Liam che trotterellava come se niente fosse alle sue spalle. “Noel” biascicò il bimbo a mezza voce. Il maggiore roteò gli occhi al cielo, prima di voltarsi a guardarlo con la fronte aggrottata. Gli si avvicinò intimorito, afferrandogli un lembo dell'abbondante maglietta. “Le macchinine me le dai lo stesso, vero?”. 
Noel rise, e anche il timore sul viso paffuto del bimbo più piccolo sembrò diminuire. “Solo se la pianti di disobbedire. Intesi?” fece, avvicinandosi alla maniglia del portoncino di casa. Il bimbo annuì, tutto felice. Un botto, forte abbastanza da essere udito dall'esterno, seguito da un urlo. No, non di nuovo... pensò rabbrividendo. Si voltò di scatto, quasi per accertarsi che Liam stesse bene. Con sua somma sorpresa il piccolo se ne stava lì, a sgranocchiare il suo biscotto e a guardarsi intorno con aria innocente. Gli si avvicinò, chinandosi alla sua altezza per guardarlo bene negli occhi. Le iridi limpide del bambino lo guardarono piene di curiosità. “Voglio che torni al parco da Paul, ok? La strada la conosci, tanto. Sta' attento”, concluse in tono grave arruffando il caschetto biondo del piccolo. Questi non se lo fece ripetere due volte. Aveva capito che qualcosa non andava, aveva capito cosa stesse succedendo. Noel lo osservò dirigersi trotterellando al parco, poco lontano da casa loro.
Trasse un respiro profondo, girando il pomello del portoncino malconcio. L'istante successivo, si ritrovò in piedi nell'atrio della modesta casa, le orecchie tese per captare il minimo rumore. Che non tardò ad arrivare. “Vattene da questa casa!” la voce di Peggy, rotta dal pianto, sferzò il silenzio come una lama. Immobile nell'atrio, il ragazzino serrò i pugni, in ascolto.
Si udì una risata maschile. Una risata perfida, proprio quella che Noel sperava di non udire. Proprio quella che ogni giorno pregava di non risentire mai più. E invece eccolo lì, ancora in quella casa, a maltrattare sua madre. Perché quello non era suo padre. Un essere del genere non poteva esserlo. Avanzò deciso in direzione della cucina.
Peggy giaceva rannicchiata in un angolo, vicino a quello che a stento poteva definirsi 'piano cottura', in lacrime. Noel si precipitò subito in suo soccorso, senza proferire parola. Senza notare lo sguardo folle che si fece strada sul volto di suo padre non appena lo vide. Peggy guardò il figlio terrorizzata; aveva un occhio nero e il naso grondante di sangue. “Cosa ci fai qui? Sparisci, ragazzino, ne ho anche per te” tuonò Thomas, avvicinandosi minacciosamente. Noel sentì la rabbia ribollirgli in corpo. Sapeva benissimo che suo padre lo odiava, non ne aveva mai fatto mistero. “Lascia in pace mia madre”. Fu un attimo, un dolore forte allo zigomo, e poi il buio. Non fece in tempo a vedere sua madre che si precipitava in lacrime sul suo corpo senza sensi, temendo il peggio. Né riuscì a vedere quell'orco abbandonare la stanza con raccapricciante disinvoltura. Ripiombò nel suo mondo di sogni, fatto di sciarpe celesti, cori da stadio e luci abbaglianti. E finalmente riuscì a segnare quel gol. 


















Eccomi, non ho resistito alla tentazione di scrivere un altro capitolo. Speravo fosse più carino, ma fa niente, mi accontento. E spero facciate altrettanto! In teoria questo avrebbe dovuto essere tipo più drammatico, non credo di esserci riuscita.. Dettagli. Beh, non potevo non rappresentare una tappa fondamentale della sua vita, ovvero la violenza del padre. Anche se come episodio lascia un po' a desiderare, dato che in parte me lo sono inventato, lascio a voi i commenti. Ringrazio in anticipo tutti coloro che mi recensiranno e chi segue/seguirà la mia storia. Siete grandi! Cheers x

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** D'yer wanna be a spaceman and live in the sky? ***


03.D'yer wanna be a Spaceman and live in the sky?

Il ragazzo sedeva su un muretto, sorseggiando una cola ghiacciata. Gli piaceva quella sensazione di freschezza, un sollievo in quell'afosa giornata di agosto. Assaporava la solitudine, gli dava il tempo di pensare, di riflettere sulla sua situazione, sul suo odio per suo padre, su quel desiderio impellente di volare via.Libero. Come un uccello. Un ultimo sorso, il ragazzo reclinò la testa in un modo innaturale, perché anche le ultime gocce di quel dolce nettare ghiacciato andassero a rinfrescargli la gola.Con un balzo scese dalla sua postazione, lanciando un'ultima occhiata alla lattina abbandonata. Infilò una sigaretta tra le labbra. Eccola, la sua fuga da tutto- fatta eccezione per la musica, naturalmente. Immaginò la faccia che avrebbe fatto quello stronzo di suo padre vedendolo in quel momento, e suo malgrado non riuscì a trattenere un sorriso divertito.

Tutto era pronto. Noel sferrò un calcio alla sua logora valigia, tanto piena che non voleva saperne di chiudersi. “Ahia!” si lagnò Liam, accovacciato là vicino, massaggiandosi una caviglia. Probabilmente la valigia di Noel doveva averlo sfiorato appena, ma Noel era certo che pur di litigare con lui Liam avrebbe inscenato una tragedia greca. “Lo dirò alla mamma”, minacciò il bambino, scrutando il fratello con gli occhioni verde acqua
Piantala di fare il moccioso, hai undici anni, cazzo”.
Il bambino ammutolì e prese a fissare contrariato un angolo della stanza che condivideva con Noel.
'Bingo', pensò questi soddisfatto di aver messo ancora una volta a tacere quel lagnoso rompiscatole. Fu quando finalmente la prepotente valigia cedette alla forza di Noel, chiudendosi- perché il ragazzo non ne voleva sapere di alleggerirla un po'- che il maggiore dei tre fratelli Gallagher si affacciò allo stipite della porta, l'aria decisamente agitata. “Allora? Avete finito coi bagagli?”, i capelli arruffati contribuivano a farlo sembrare ancora più emaciato.
Io sì”, rispose Noel staccando distrattamente l'ultimo poster del City dalla parete accanto al suo letto. “Tu, scimmietta?” chiese beffardo rivolgendosi a Liam, che lo fulminò con l'ennesima occhiataccia.
Vaffanculo, con te non ci parlo” piagnucolò nuovamente il bambino scattando in piedi come una molla. “Ehi!” lo ammonì Paul, mentre Noel si rotolava letteralmente dalle risate.
Paul e Liam uscirono dalla stanza trascinando due grossi bagagli pieni quasi quanto la valigia di Noel. Continuavano a battibeccare, ma le loro voci si diradarono presto mentre scendevano le scale. Noel poté appena sentire un ultimo “Muoviti!” di Paul- poi le voci non furono che echi lontani. Ed eccolo lì, di nuovo, da solo. Il ragazzo si sporse dalla finestra spalancata, osservò per l'ultima volta quel panorama così familiare, quella immensa distesa di anonime case e palazzi che sonnecchiavano sotto la luna, il vecchio Maine Road in lontananza. Quante domeniche passate sulle gradinate di quello stadio, tra cori di incitamento e bandiere del colore del cielo! Quanti pomeriggi assolati trascorsi tra le mura di quella stanza, a desiderare di uscire a giocare con gli amichetti- desiderio spesso irrealizzabile a causa della tirannia di quel mostro di Thomas.
Noel si sorresse la testa con una mano, gli occhi – dello stesso colore della sua squadra del cuore- persi nel vuoto. Ecco, si era di nuovo estraniato dal mondo, immaginando di essere libero, come il vento. Nemmeno la vista della valigia abbandonata al suo fianco servì a destarlo dalla profondità dei suoi pensieri. Ormai era già vento che soffia sulle cime degli alberi, o l'uccello che vola più in alto di tutti, o come un astronauta che fluttua nell'infinito spazio tra pianeti variopinti e luminose costellazioni. E ora cosa sarebbe successo? Cosa avrebbero fatto?
Non senza un certo sforzo Noel diede le spalle alla finestra. Diede le spalle a quel panorama. Alla sua infanzia. Il peso di quella maledetta valigia era così reale, del resto. E il ragazzo si fece coraggio, varcando la soglia di quella stanza ormai spoglia, cercando invano di soffocare sul nascere quella morsa di nostalgia che nonostante tutto si fece prepotentemente strada in lui.


Chissà la faccia che farà papà trovando la casa vuota” mormorò Paul nella penombra dell'auto dello zio John , dove sedevano stretti stretti lui, Noel e Liam.
Tornerei indietro solo per immortalare quel momento” ghignò Noel divertito. Ormai la nostalgia aveva lasciato il posto al sollievo. L'auto sfrecciava per le vie deserte di Burnage, così che in meno di un quarto d'ora arrivarono a destinazione.
Lo zio inchiodò davanti a una casa non più grande di quella che avevano appena lasciato, e non diversa da tutte le altre in quell'isolato.
Noel fece per aprire lo sportello ma si accorse che Liam si era addormentato con la testa sulla sua spalla. 'Ed è anche convinto di essere un duro',pensò scrollandoselo di dosso. Il bambino mugugnò qualcosa. Noel non poteva vedere bene la sua faccia ma era certo che lo stava fissando strabuzzando gli occhi assonnati.
Muoviti, siamo arrivati.” ordinò burbero, poco prima di precipitarsi fuori a scaricare le valige.
E così è questa, eh?” il tono di Paul suonava incerto, come al solito negli ultimi tempi. Noel scrollò le spalle, con l'aria di uno che si accontenta con poco. “Per me basta che non ci sia più lo stronzo in mezzo ai piedi”.
Già”, sospirò il maggiore con un sorriso sereno dipinto in faccia. Sferrò una pacca affettuosa sulla spalla del fratello, poi Noel lo vide trascinare il bagaglio dietro Peggy, che avanzava incerta lungo il vialetto buio. Il ragazzo osservò con un moto di affetto e compassione quella figura dall'aria stanca, che tanto aveva combattuto per loro, e continuava a farlo per dare ai figli un futuro migliore.
Andiamo Weetabix”. Ora il tono di voce di Noel si era un po' raddolcito, mentre si rivolgeva al fratellino che con l'aria ancora assonnata si trascinava di malavoglia dietro di lui, portando una valigia stracolma di roba. Liam non disse niente. Per una volta parve contagiato da quel clima di ottimismo che aleggiava in famiglia. Incrociò lo sguardo di Noel. L'ombra di un sorriso comparve sul suo volto. E Noel sorrise di rimando. Se non altro, il piccolo Liam avrebbe pensato di esserselo sognato. 'Dopotutto', pensò Noel mentre abbandonava la valigia sull'uscio, 'senza il mio rompiscatole personale la vita sarebbe una noia.'

 

Salve a tutti, mads :3 Allora, sono tornata con un nuovo capitolo di questa raccolta. Inizialmente non avevo idee per continuarla, ma ho visto che avete molto apprezzato e la cosa non può che farmi piacere, a dire il vero nemmeno mi aspettavo un tale successo -come dico sempre, questa raccolta è una specie di esperimento-. Quindi grazie di cuore a tutti voi, le vostre meravigliose recensioni mi hanno motivata a scrivere di nuovo! :) Presto, spero, aggiornerò anche le altre ff. Spero di non deludervi. A presto, cheers. <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1603402