Piccolo Mare

di vannagio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Piccolo Mare ***
Capitolo 2: *** Extra ***



Capitolo 1
*** Piccolo Mare ***


Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”







Piccolo Mare


A Natale tutte le strade conducono a casa
Marjorie Holmes




2 dicembre


«Allora?».
Collin si agita nervoso sulla sedia, fissa la sua compagna di banco e cerca di decifrarne l’espressione. Annie ha la fronte aggrottata per la concentrazione. Gli occhi, ridotti a due fessure sottili per lo sforzo, seguono attentamente i versi che Collin ha scarabocchiato frettolosamente su un foglio a quadretti. Finalmente solleva lo sguardo e Collin intravede qualcosa sul suo viso. Indecisione? Tentennamento? Dubbio? Pena?
Non le piace. Fa schifo. Lo sapevo.
«Allora?», ripete.
L’attesa diventa quasi un’agonia.
«Be’, è… bella».
Suona quasi come una domanda. Annie stiracchia le labbra in un sorriso poco convinto che però dura poco. La fronte invece è talmente corrucciata che le sopracciglia si sono unite a formare una linea continua.
È come pensavo: non le piace.
«Okay. È bella. Ma?».
«Deve esserci per forza un ma?», tenta di rassicurarlo lei. «Credimi, è bella. Tutte le rime al posto giusto. Baciate, vero? Le rime, intendo. E queste cosa sono? Quartine? Wow. Sul serio, Collin. Sei bravo. Si vede che lei ti piace».
Per un attimo Collin prova l’istinto lupesco di azzannarla a un braccio. Non lo sopporta quando usa quel tono. Il tono da Fingo Di Capirci Qualcosa Così Collin È Contento E Non Rompe Più.
Si lascia sfuggire un sospiro rassegnato. Sa bene che non dovrebbe insistere viste le premesse, ma non resiste, è più forte di lui. Ha bisogno di un parere.
«Dici? Però… a me interessava sapere altro. Voglio dire, è chiaro il messaggio? Tu cosa hai capito?».
«Che... la ami».
Un’altra affermazione che sembra finire con un punto interrogativo.
«Lasciamo perdere, va’».
Strappa il foglio dalle mani di Annie, lo piega meticolosamente in quattro e se lo infila nella tasca posteriore dei jeans. Sbuffa e si accascia contro lo schienale della sedia.
«Collin, che vuoi che ti dica?». Annie si stringe nelle spalle, dispiaciuta. «Non capisco un accidente di poesia. Sono bravissima a sellare i cavalli, a mungere le vacche e a guidare un trattore. Me la cavo abbastanza bene in matematica. Ti serve aiuto in trigonometria? Perfetto, sono a tua disposizione. Ma non chiedermi di fare un’analisi del testo, perché i miei parametri di giudizio si fermano a “bella” o “brutta”, okay?».
Collin sbuffa una seconda volta e Annie gli assesta uno scappellotto sulla nuca. Lui non batte ciglio, lei trattiene a stento un lamento e una parolaccia.
«Secondo me dovresti fargliela leggere», aggiunge poco dopo, mentre si massaggia la mano con la quale l’ha colpito. «Oppure regalargliela per Natale. Sarebbe un bel pensiero».
Collin fissa la parete davanti a sé. «Certo, certo».
«Non scimmiottare quel cretino di tuo cugino Jacob, per favore».
«E tu non dire idiozie».
Anche se non lo vede, Collin avverte lo sguardo spazientito di Annie addosso e si muove a disagio sulla sedia. Un armadio di ragazzo messo alle strette da uno scricciolo alto un metro e un tappo. Se Brady lo venisse a sapere, lo prenderebbe per il culo a vita.
Ah, giusto. Questo lo fa già.
«Sul serio, Collin. Che cosa hai da perdere?».
«Non saprei. La faccia, ad esempio?».
Questa volta è Annie a sbuffare. Fortunatamente il professore entra in classe e non le dà il tempo di replicare.



5 dicembre


Kim solleva lo sguardo dal foglietto a quadretti che sta leggendo. Tre grossi scatoloni impolverati, impilati uno sopra l’altro, dotati di bermuda e due lunghe gambe muscolose, sono appena entrati in soggiorno barcollando.
«Sai, quando mi hai detto che i tuoi genitori sarebbero stati fuori per tutto il pomeriggio e che potevamo approfittarne per addobbare l’albero di Natale insieme, non pensavo che per addobbare l’albero di Natale intendessi davvero addobbare l’albero di Natale».
Kim si lascia sfuggire un risolino.
Gli scatoloni vengono poggiati sul tavolo da pranzo e finalmente il sorriso di Jared compare da dietro il cartone. Con un cenno del mento indica il foglietto che Kim ha ancora tra le mani. «Che leggi?».
«Nulla di importante», risponde lei. Ripiega frettolosamente la pagina di quaderno e la mette di lato. «Ma se vuoi…». Ammicca in maniera maliziosa, stupendo perfino se stessa. «…possiamo rivedere la definizione dell’espressione addobbare l’albero di Natale. Nessun problema a riguardo».
«Eh, no, bella mia!». Jared scuote la testa con espressione severa, mentre con pacche ben assestate si scrolla la polvere degli scatoloni dalla maglia e dai bermuda. «Adesso è troppo tardi. Hai perso il treno. Mi hai chiesto di addobbare l’albero di Natale insieme e questo faremo. Nient’altro».
Kim mette il broncio. Jared sorride, si china su di lei e la bacia sulle labbra. Lei non si lascia pregare e risponde subito al bacio. Prima che possa cingergli il collo con le braccia, però, Jared afferra il foglietto a quadretti e si allontana rapidissimo.
«Ehi, giochi sporco! Ridammelo!».
Kim scatta in piedi e cerca di riprendersi il foglietto. Purtroppo Jared è troppo alto e troppo veloce per lei: anticipa le sue mosse e le schiva tutte senza nemmeno impegnarsi tanto. Quando legge il primo rigo, però, sgrana gli occhi e si paralizza accanto al grosso abete ancora spoglio di addobbi.
«Sono in tempesta un piccolo mare, che dal vento si lascia agitare… che diavolo è ‘sta roba? Che vuol dire?».
«Non ti riguarda. Restituiscimelo!».
Kim allunga una mano in direzione del foglietto, ma Jared la tiene lontana con un braccio e continua a leggere.
«Dell’amore le onde impetuose, di acqua chiara sembrano…». Jared si volta verso Kim. «…bramose?» È mortalmente serio, adesso. Il foglietto finisce accartocciato per terra. «Okay, chi è l’idiota che ti scrive questa merda? Gli faccio passare la voglia in due secondi».
Kim non si lascia intimidire dal minaccioso tremore che scuote le spalle del suo ragazzo.
«Jared, calmati».
E Jared obbedisce.
I muscoli contratti si rilassano all’istante, i pugni si allentano, soltanto la mascella rimane serrata nel vano tentativo di trattenere un ringhio. Kim sospira di sollievo: l’imprinting è proprio una figata sotto questo aspetto. Si avvicina a Jared, si alza sulla punta dei piedi e lo bacia sulla guancia.
«È una poesia che ha scritto Collin. Ma non per me», si affretta ad aggiungere quando nota una strana luce negli occhi di Jared. Gli accarezza il braccio per calmarlo. «È per Leah».
Jared sbarra di nuovo gli occhi nel sentire quel nome, ma non c’è più alcuna traccia di rabbia sul suo viso. E per fortuna.
«Leah? Quella Leah? La nostra Leah?».
«Tu quante Leah conosci, Jared?». Kim incrocia le braccia sotto il seno. «Certo che sì. Quella Leah, chi altri se no? Mia cugina Annie è amica di Collin. Lui voleva un parere sulla poesia e lei non ha saputo aiutarlo, così si è rivolta a me. Ovviamente l'ha fatto senza il consenso di Collin, perciò questa storia della poesia non deve uscire da qui. Mi stai ascoltando, Jared?».
A quanto pare, no.
Jared raccoglie la pallina di carta dal pavimento. Spiega il foglietto, che quasi si perde in quelle mani grosse come pale, e cerca di lisciarlo il più possibile. Kim lo vede aggrottare la fronte, mentre rilegge i versi del suo compare.
«Guarda qua». Kim indica il primo verso. «Sono in tempesta un piccolo mare. Piccolo Mare, Littlesea, Collin Littlesea. Ti dice niente?». Jared continua a fissare il foglio in silenzio. «Invece qui, dell’amore le onde impetuose di acqua chiara sembrano bramose, Acqua Chiara è Leah Clearwater. Non dirmi che non lo avevi capito!».
Jared sposta lo sguardo dal foglietto a Kim, e da Kim al foglietto. Sbatte stupidamente le palpebre. Poi ritorna su Kim. «Dimmi che è uno scherzo, ti prego».
Kim scuote la testa, seria. «No che non lo è.»
Come se avesse ricevuto il permesso, Jared butta la testa indietro e scoppia a ridere.
«Aspetta che Paul lo venga a sapere!».



13 dicembre


Rachel lancia un’ultima occhiata ansiosa ai fornelli. Il borbottio della pentola e lo sfrigolare dell’olio nella padella sembrano volerla rassicurare, ma lei non riesce a fidarsi di quegli infidi traditori.
Oh, cosa vuoi che succeda nel giro di due minuti?
Per niente tranquilla, volta le spalle alla cucina e spalanca la porta d’ingresso. Non appena mette il naso fuori, viene investita da una folata gelida di vento invernale. Rachel rabbrividisce e tira su la lampo della felpa fin sotto al mento.
All’improvviso, un tonfo sopra la sua testa la coglie alla sprovvista.
Scende correndo i tre scalini del portico, ma non fa in tempo a voltarsi per guardare in alto, che qualcosa di grosso ruzzola giù dal tetto.
«Ma che cazz… PAUL!».
Rachel fa un salto in dietro e per poco non finisce con il sedere per terra anche lei.
«Sto bene, sto bene. Niente di rotto, stai tranquilla».
Il deficiente si rialza come se nulla fosse, senza neanche un graffio. Ha pure la sfacciataggine di sorridere. Dove sono le mazze da baseball quando servono?
«Stai tranquilla, dici? Sei caduto dal tetto, Paul Lahote. Dal. Tetto. Mi dici come faccio a stare tranquilla?».
Paul si gratta la nuca, imbarazzato. «Dai, su. Non ti arrabbiare. Lo sai che ho la pellaccia dura».
Rachel lo fulmina con lo sguardo, ma le risate sguaiate di Jacob la distraggono dall’idiozia del suo così detto fidanzato.
«E tu? Cazzo ridi, eh?», sbraita, il naso rivolto all’insù. Seduto sul cornicione con le gambe ciondoloni, Jacob si tiene la pancia dal troppo ridere. Gli addobbi natalizi penzolano mosci, flosci e spenti da un angolo del tetto. «Scendi da lì, idiota. Vi avevo chiesto un favore: appendere le luci di Natale. È così difficile? Possibile che non possiate fare a meno di azzuffarvi?».
«Ha cominciato lui», rispondono all’unisono, additandosi a vicenda.
Rachel alza gli occhi al cielo, esasperata.
«Suvvia, zucchero». Paul si stringe nelle spalle. «Non te la prendere. È quasi Natale. Non dovresti essere più buona? E poi ci conosci, ormai. Siamo fatti così».
«Come perfetti idioti, intendi?». Rachel gli rivolge un’occhiata sprezzante. «E la storia del Natale non dovrebbe valere anche per voi?».
Jacob sghignazza. «Mi sa che a Natale il tuo ascendente lupesco non funziona, fratello».
Inaspettatamente, Paul sorride. «Suggerimenti?».
«Prendi esempio da Collin. Prova con una poesia».
«Giusto! Com’è che faceva?». Paul assume una posa pensosa.
Collin? Poesia?
«Si può sapere di che diavolo stat…».
Le parole rimangono incastrate in fondo alla gola, quando Paul si inginocchia di fronte a lei, allarga le braccia e a occhi chiusi comincia a declamare «Sono un piccolo mare increspato, da pioggia vengo insidiato…» versi in rima. Rachel sgrana gli occhi e indietreggia lentamente verso gli scalini del portico. «…quando dei grossi nuvoloni foschi, di acqua chiara celano gli occhi». Il telefono. Deve raggiungere il telefono e chiamare l’ospedale. «Sono un piccolo mare appagato, sereno, tranquillo e rasserenato…». Evidentemente Paul non sta bene. Nella caduta deve aver sbattuto la testa. Ha bisogno di un medico. «…se il sole innesca sul bel viso, di acqua chiara il raro sorriso». Ma di uno bravo, però.
Intanto Jacob sta ancora ridendo. «Rachel, dovresti vedere la tua faccia!». Le gambe ciondolano veloci e seguono il ritmo delle risate.
«Io invece muoio dalla voglia di vedere la faccia di Leah», aggiunge Paul, che nel frattempo ha smesso di recitare - cazzo, ha davvero recitato una poesia? - quello che è e si è unito alle risate di Jacob.
«Qualcuno si decide a spiegarmi?». Paul si rimette in piedi, Jacob scende dal tetto con un balzo e insieme continuano a sghignazzare sotto i baffi. Rachel sospira, rassegnata. «Lasciate perdere. Non lo voglio sapere. Entriamo, piuttosto. Papà sta per tornare e la cena è quasi pronta».
I risolini cessano all’improvviso.
«Ah. Ehm. Ra-rachel?». Paul balbetta. Brutto segno. «È la nostra cena la puzza di bruciato che sento?».
Un brivido freddo attraversa la schiena di Rachel.
«Silenzio assenso», borbotta Paul.
Jacob annuisce, tetro in volto. «A Natale vado a mangiare da Emily, parola mia».



18 dicembre


Sam abbraccia Emily da dietro. «Hai un buon odore».
Gli piace cingerle la vita con un braccio, far scorre la mano libera giù, tra le pieghe della gonna, sentire la sua schiena contro il petto, affondare il naso nelle ciocche scure, strusciare le labbra contro il suo collo. Respirarne l’odore.
Emily ride per il solletico. «Non sono io. È la cannella».
Sam inspira a occhi chiusi. Ha ragione: il profumo di cannella è ovunque.
Proviene dal forno, caldo e fragrante, dove i dolci di Natale stanno cuocendo e dall’impasto in cui Emily ha affondato le braccia fino al gomito. Lo sente sul maglione rosso che lei ha addosso, tra i suoi capelli. Accarezza la guancia di Emily con la sua e lo avverte pure lì, sulla pelle bruna. Chissà se anche le sue labbra sanno di cannella.
Le cose belle profumano di cannella, si sorprende a pensare: la casa della sua infanzia, il Natale, Emily. Pure Leah.
Sam si irrigidisce all’improvviso.
Non riesce a credere di aver pensato a lei, mentre sta abbracciando Emily.
«Sam, comincia a mancarmi l’aria».
Il respiro affannoso di Emily lo riscuote.
«Scusa. Ero sovrappensiero». Allenta la presa e scaccia i cattivi pensieri lasciandole un bacio sulla fronte. «Hai bisogno di aiuto con i biscotti?».
«No, me la cavo. Ma se hai voglia di fare qualcosa, perché non raccogli i giocattoli che Quil e Claire hanno lasciato in giro questo pomeriggio? Mi faranno impazzire. Devo ancora capire chi sia il vero bambino tra i due».
Emily si lascia sfuggire un sospiro stanco, ma sul suo viso Sam vede soltanto un sorriso affettuoso. Sorride di rimando e mentre Emily continua a impastare, infornare biscotti e riempire la casa col profumo di cannella, lui riordina il soggiorno.
Tra i pastelli colorati e gli album da disegno, Sam trova un foglio di quaderno a quadretti, piuttosto malridotto. È tutto spiegazzato e stropicciato. Claire l'ha usato per disegnare un grosso albero di Natale, proprio nel centro, sopra le parole. E quelle macchioline untuose? Impasto alla cannella, probabilmente.
«Cos’è?». Emily si pulisce le mani appiccicose di zucchero e farina con uno strofinaccio. Gli si avvicina e sbircia curiosa sul foglietto. «Oh, sì». Ridacchia. «Quil me l’ha fatta leggere oggi».
«L’ha scritta lui?».
«No, il piccolo Collin. Ha una cotta per Leah, lo sapevi? Certo che voi lupi siete davvero precoci. Quanti anni ha? Tredici? Quattordici? Però è dolcissimo. Non è da tutti scrivere poesie d’amore».
Sam non la sta ascoltando.
Il suo cervello si è fermato a Leah, e a Collin che ha una cotta per lei. Non è una novità, però…
«Quil non smetteva di ridere e fare battutacce, ma a me piace. Soprattutto l’ultima strofa. Sono piccolo mare, niente di più, ma come la goccia che cade giù, la caparbia pietra, lentamente, di acqua chiara scalfirò solerte. Suona bene».
…però gli fa strano, ecco.
Gli tornano in mente stralci di una vita che non esiste più, quando solo lui aveva il diritto di fantasticare su Leah. E qualcosa lo pungola dall’interno. Sa che non dovrebbe esser così, ma in fondo in fondo gli dà fastidio che qualcun altro pensi a Leah in quel modo. Non ha alcun senso, perché nessuno più di lui spera che Leah trovi qualcuno con cui essere felice.
Non con il moccioso, però.
Preferiresti un quarantenne biondo con gli occhi azzurri o un vampiro platinato, forse?

«Sam?».
«Hai detto qualcosa?».
Emily scruta il suo volto, seria. «Di nuovo sovrappensiero?».
«Eh, sì. Scusa». Abbozza un sorriso impacciato. Un po’ di impasto le è schizzato sulla guancia e Sam glielo tira via con il pollice. «Dicevi?».
Emily sospira, ma lascia correre. Come sempre, del resto. «Che sarebbe carino se Leah ricevesse la poesia di Collin per Natale».
Sam serra appena la mascella. Di nuovo quel fastidioso pungolare allo stomaco. Qualcosa dentro di lui sostiene che no, non sarebbe una buona idea.
«Uhm… non so», biascica con poca convinzione. «Sai quanto è suscettibile Leah».
Emily gli circonda il collo con le braccia e sorride. Il fastidio scompare, rimane soltanto il profumo della cannella ad avvolgerlo come una coperta calda.
«Secondo me le piacerebbe. Non lo ammetterebbe mai, ovvio, ma le piacerebbe».
Sam se la stringe al petto. La bocca di lei sempre più vicina.
«Allora gliela faremo avere. Promesso».
Sì, anche le labbra di Emily sanno di cannella.



25 dicembre, ore 9:48 a.m.


La mattina di Natale è sempre un frenetico andirivieni a casa Clearwater. Non ha importanza dove si tenga la festa, è sempre Sue a occuparsi del pranzo.
Leah getta un’occhiata in tralice all’orologio. Mancano esattamente dodici minuti prima che sua madre sbraiti per chiederle aiuto in cucina. Così sprofonda tra i cuscini del divano, poggia i piedi sul tavolinetto e cerca di godersi il più possibile la sua fumante tazza di caffè nero bollente.
Il salotto sarebbe completamente al buio se non fosse per le luci intermittenti dell’albero di Natale. Il loro bagliore rosso e verde si riflette sulla carta dorata dei regali appena scartati e produce strani ma ipnotici giochi di colore sulle pareti.
Tutto molto Natalizio, non c’è che dire.
Se il caffè non fosse così amaro, forse Leah riuscirebbe ad apprezzarlo. Forse.
Un’altra occhiata all’orologio. Ancora sei minuti di pace.
«Ehi, Leah».
Come non detto.
Seth si è appena seduto sul divano accanto a lei. Leah prova a ignorarlo, magari capisce l’antifona e si toglie dalle palle. Non ci spera davvero, però: suo fratello non è così perspicace.
Seth rimane in silenzio per un bel po’, a fissare il vuoto. O forse le luci. A Leah sta bene, basta che non parli.
«Ho incontrato Sam, ieri».
Leah rotea gli occhi. Era troppo bello per essere vero.
«Ti saluta», continua Seth.
Probabilmente spera in una sua reazione o, quanto meno, in un cenno che lo incoraggi a proseguire. Povero illuso. Gli arrufferebbe i capelli e gli direbbe “Bel tentativo, cucciolo”, ma non vuole dargli corda.
«Mi ha chiesto di darti questo».
E tira fuori dalla tasca dei jeans un foglietto stropicciato. Leah non batte ciglio, anche se la curiosità comincia a rosicchiare come un topolino l’orlo del suo autocontrollo. Seth tiene lo sguardo fisso sul piccolo foglietto mentre se lo rigira tra le mani.
«Dice che l’ha scritta Collin per te», butta lì a caso.
Leah si volta di scatto. «Chi? Come?».
Seth ghigna con aria saputa. Lascia il foglio sul tavolino e si alza in piedi.
«Spiegati immediatamente!».
Ma non si chiamerebbe davvero Seth Clearwater, se per una volta facesse quello che gli viene chiesto. Volta le spalle ed esce dal salotto.
«Non essere troppo dura con Collin», la ammonisce dalle scale.
Leah grugnisce qualcosa in risposta e afferra stizzita il foglietto.
È unto, e odora di cannella. È tutto stropicciato, come se qualcuno lo avesse appallottolato più volte, l’angolo destro è un po’ bruciacchiato. Leah inarca un sopracciglio, quando nota l’albero di Natale disegnato sullo sfondo. Poi, sotto il fitto strato di pennarello verde, intravede delle parole. Avvicina il foglio al viso e aggrotta la fronte.
Legge una volta, due volte. Tre volte.
Sue la chiama dalla cucina, ma Leah non la sente neanche.



25 dicembre, ore 11:57 a.m.


Quando Collin spalanca la porta di casa, quasi non riesce a credere ai suoi occhi. Prova un’irrefrenabile voglia di scappare, ma le gambe sembrano aver messo le radici.
Deglutisce a fatica e stira le labbra il più possibile. Non è molto sicuro del risultato, perché Leah Clearwater - proprio lei, a casa mia, il giorno di Natale. Babbo Natale esiste, allora! - lo sta guardando con una faccia che dire nera è poco.
«Ehm, ciao», squittisce.
Sì, ha proprio squittito. Accidenti a lui, che figura del cavolo.
Invitala a entrare, imbecille!
Non fa in tempo ad aprire bocca per articolare una frase di senso compiuto, che Leah lo prende in contropiede.
«Questi sono per te». Gli porge una scatola infiocchettata che Collin fissa a occhi sbarrati senza capire. Gliela preme contro il petto con insistenza. «Che stai aspettando? Prendila».
Finalmente il neurone mostra segni di vita e Collin mette a fuoco la situazione: Leah è andata a casa sua, di proposito, per portargli un regalo.
Se sto sognando, vi prego, non svegliatemi.
«Pronto?».
Leah gli fa ciao ciao con la mano davanti agli occhi. Collin torna bruscamente alla realtà, prende il regalo di Leah e nel farlo sfiora accidentalmente le sue mani. Quel fugace contatto lo fa sentire come se avesse messo le dita nella presa della corrente.
«Sono dolci fatti in casa», spiega Leah, che lo scruta con cipiglio perplesso. «Alla cannella. Spero ti piacciano perché sono gli unici che so fare. Ma non farti strane idee, okay?».
Dio, come sono belle le sue labbra così imbronciate. Gli piacerebbe vederle distese in un sorriso, per scoprire se l’effetto è lo stesso o se diventano ancora più belle.
«Ehm… grazie». Questa volta non ha squittito, ma solo farfugliato. È un inizio.
«Grazie a te. E Buon Natale».
Leah si avvia verso il bosco e Collin rimane imbambolato a contemplare le sue movenze sinuose.
Sì, le movenze, come no. Raccontalo a qualcun altro.
All’improvviso si rende conto di una cosa.
«Aspetta, grazie per cosa?».
Troppo tardi, è già sparita.










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Note autore:
Questa fanfiction è stata scritta per l’iniziativa Il Calendario dell’Avvento, organizzato da Fanworld.it.
Collin Littlesea è poco più di un nome nella Saga di Twilight. Fa parte del branco di Sam Uley ed è uno dei licantropi più giovani. Su di lui la guida dice solamente che ha una cotta per Leah Clearwater.
Dedico questa ff al mio compagno di banco delle superiori (ma lui non lo saprà mai, per fortuna!), perché mi ha ispirato questo Collin innamorato-non-corrisposto, che scrive poesie per la ragazza di cui è cotto. Indovinate un po’ chi ha ispirato Annie, invece? ;)
Tutti i personaggi di questa storia appartengono a Stephenie Meyer, ad eccezione di Annie che è un mio OC (non si era capito, vero?). Anche la poesia di Collin è di mia invenzione. E sì, so che non è una cosa di cui dovrei vantarmi.
Chi ha letto Una giornata di sole di Dragana e Harvest Moon di chiaki89, forse avrà individuato un pizzico di fan-service in questa fanfiction. Se no, che aspettate? Correte a leggerle!
Qui trovate un altro Collin, tanto ma tanto carino. Andate a dare un'occhiata.
Ringrazio lo Staff di Fanworld.it per avermi chiesto di partecipare: è stata una bella esperienza e sono contentissima di aver accettato.
Grazie anche alle mie preziose e numerose beta: Fila, Kagome_86 e OttoNoveTre. In particolare grazie a Dragana, che mi ha aiutato nella ideazione della trama: il brainstorming è una figata pazzesca.
Oh, grazie anche a IlMalee, preziosO beta anche lui, che ha testato la storia per primo pur non conoscendo il fandom.
A presto, vannagio





Questa fan fiction partecipa al "Christmas Countdown 2011!" indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 ».

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Capitolo 2
*** Extra ***


Taglio





Lo sciabordio delle onde spazza via qualsiasi altro suono, ed è come guardare un film muto: Leah siede su un telo da spiaggia, i piedi affondati nella sabbia fino alle caviglie, sussurra qualcosa all’orecchio del suo Nonno-Fidanzato-Biondo.
Bleah.
«Si è tagliata i capelli».
Annie inarca un sopracciglio. «Collin, hai fumato roba pesante? Sono secoli che li porta così!».
Lui scuote la testa, lentamente, con lo sguardo fisso su Leah. È inquietante, sembra lo zombie R.
«Erano cresciuti, adesso li ha riaccorciati. Adoro le donne coi capelli corti».
Annie abbassa lo sguardo sulla sua lunga treccia, poi lo riporta su Collin che nemmeno la vede.
Forse è arrivato il momento di fare una capatina dal parrucchiere.







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Note autore:
Drabble scritta per il contest La Sfida di San Valentino, indetto da jakefan sul gruppo facebook Gruppo Lampo Flash!Contest.
La giudiciA fornirà fino alla mezzanotte di giorno 14 febbraio una serie di immagini, alle quali i partecipanti devono ispirarsi per scrivere le loro drabble. Più drabble si scrivono, più si accumulano punti.
L'immagine che ho scelto per questa drabble è questa.
Il Nonno-Fidanzato-Biondo di Leah è questo affascinantissimo avvocato ed è proprietà di Dragana.
Che altro dire? Speriamo che Collin si svegli presto e si accorga di chi gli gira intorno.
Ah, sì, probabilmente sparpaglierò altre drabble un po' qua e un po' là, spacciandole per extra, ancora per qualche altro giorno. Portate pazienza.
A presto, vannagio

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