Someone's hero

di EliCF
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Best friends ***
Capitolo 2: *** The last dance ***
Capitolo 3: *** Don't run away ***
Capitolo 4: *** One day, baby ***
Capitolo 5: *** Daddy, I'm just- ***
Capitolo 6: *** My pink bowties ***
Capitolo 7: *** Everything is gay and nothing hurts! ***



Capitolo 1
*** Best friends ***


nda: probabilmente l'introduzione lascia intendere molto meno di quanto avrei voluto, quindi sono costretta ad inserire una nota a inizio capitolo. Solo per questa volta, spero! 
Adoro le raccolte. Quindi questo è il primo capitolo di una raccolta di one shot. Quello che mi premeva chiarire è che non verranno raccontati momenti che abbiamo visto nella serie (ad esempio - i pensieri di Blaine quando incontra Kurt) ma un avvenimento precedente che ho immaginato abbia potuto influire sulle decisioni, le azioni o le parole di Blaine. Penso sia più difficile a dirsi che a farsi! 
Per ora sono pronti cinque capitoli e non saranno pubblicati secondo un ordine, quindi non partirò dalla seconda serie. Avevo pensato di farlo, ma mi sono accorta di conoscere molto meglio il Blaine della terza/quarta serie piuttosto che quello della seconda, nonostante seguissi Glee già allora. Quindi i momenti più lontani sono ancora da costruire, ma mi piaceva l'idea di dare il via a questo nuovo lavoro in questo giorno significativo, anche perché è tanto che aspetta di essere pubblicato. Mi piacerebbe aggiornare settimanalmente, quindi cercherò di farlo ogni martedì. Spero di riuscire a mantenere fede a questo impegno! Oh, quasi dimenticavo. Il pezzo in corsivo nell'introduzione è una rielaborazione della traduzione di un piccolo poema inserito in un video. Purtroppo l'ho scaricato tempo fa e risalire al link sarebbe chiedere troppo alla cronologia del mio pc (che tra l'altro è stata cancellata qualche sera fa in seguito alla visione di una serie di fanart klaine piuttosto... spinte? Smut. Sì, piuttosto smut). Però ho il suo nickname e il link di tumblr! Quindi: poem by Neaf (neaf.tumblr.com). Buona lettura e buone feste! 


Best friends.

Blaine sapeva che non avrebbe mai trovato parole adatte per descrivere il disagio di quel momento così come sapeva che avrebbe faticato a lasciarlo scivolare via dalla sua memoria per un bel po’.
Alla luce dei suoi quindici anni aveva insistito per prendere parte alla festa organizzata dal club di lettura che aveva iniziato a frequentare quell’anno: i compagni erano piuttosto simpatici e aveva conosciuto un ragazzo che, quasi senza accorgersene, era diventato una specie di… amico.

Era stato facile ad abituarsi alle occhiate che schizzavano nella sua direzione quando entrava in aula, ma nessuno aveva mai proferito parola riguardo la sua sessualità e praticamente tutti si risparmiavano battute e risatine, almeno in sua presenza. Erano quasi buoni con lui, tanto da guadagnarsi il titolo di unici coetanei con cui avrebbe voluto trascorrere la festa in occasione della vigilia di Natale.

“Migliore festa di Natale di sempre!”

Blaine stringeva il suo bicchiere di plastica rosso e sentiva le bollicine di champagne pizzicarne i bordi. Harry, vicepresidente del club e ragazzo con cui aveva avuto l’occasione di stringere qualcosa di molto simile ad un’amicizia – ancora faticava a crederci – stringeva il microfono e gesticolava, gli occhi di tutti gli invitati puntati su di lui.

“In questo ventiquattro Dicembre terrei a ringraziarvi tutti per la passione e l’impegno che dimostrate ad ogni incontro. Grazie per essere venuti. Sono felice di avere conosciuto ognuno di voi, in qualità di vicepresidente e amico. Grazie di cuore. Buon Natale ragazzi!”

Esultò agli applausi che ottenne in risposta, porse il microfono al ragazzo al suo fianco e volse lo sguardo nella direzione di Blaine. Scese dalla pedana e lo raggiunse al tavolo, raggiante.

Harry era un ragazzo estremamente dolce. Aveva i lineamenti sottili e morbidi, i capelli biondo cenere e gli occhi verdi. Lui e Blaine si fermavano in caffetteria dopo ogni incontro pomeridiano e continuavano a discutere della lettura affrontata poco prima. Era un ragazzo intelligente ed interessante.
Ed etero.

Blaine aveva scoperto tempo prima di essere gay ed aveva sempre avuto paura che potesse accadere. La cosa più imbarazzante e dolorosa e sbagliata che gli potesse succedere, gli era successa. Ed era inevitabile, lo sapeva.
Prima o poi, ogni ragazzo gay si innamorerà di un ragazzo etero. E non potrà farci niente.

Blaine, dal suo tavolino, si era scoperto a ripercorrere i lineamenti del suo viso e le curve appena accennate dei muscoli degli avambracci mentre l’amico stringeva il microfono e augurava buon Natale a tutti. Aveva scosso leggermente la testa e si era imposto di piantare di nuovo lo sguardo sul tavolo.
Non si era nemmeno accorto che Harry avesse preso posto al suo tavolo.

“Blaine” aveva mormorato, cercando il suo sguardo, “sei triste”. Non era una domanda, così Blaine non rispose.

“Cosa c’è che non va? Troppi palloncini? I capelli scappano via dal gel?” 
Blaine sorrise senza smettere di fissare il bicchiere. 
“E’ successo qualcosa? Qualcuno ti ha dato fastidio?”
Il viso di Harry si era fatto serio e probabilmente nemmeno lui fece caso al fatto che strinse entrambe le mani in un pugno, pronunciando l’ultima parte della frase.

Ma Blaine ci fece caso e si affrettò nel dargli una risposta.
“Oh, no. No Harry, è tutto ok” gli rivolse un sorriso sincero e triste e si guardò intorno, sforzandosi di trovare un qualsiasi argomento a cui aggrapparsi per cercare di scrollare via tutta quella malinconia che il pensiero di essersi innamorato della persona sbagliata aveva portato con sé.

Non era semplicemente il problema di non poter, chiaramente, mai essere ricambiato: era qualcosa di più. Lui e Harry avevano un bel rapporto; erano confidenti, amici, compagni di chiacchierate e amatori di cioccolate calde: ogni settimana ne assaggiavano un tipo diverso e a fine anno ne avrebbero stilato una classifica. Blaine non aveva mai compreso l’amore di Harry per il cioccolato alla menta, ma cercava di non pensarci troppo.

C’erano state notti in cui aveva stretto il cuscino tra le braccia immaginando che fosse lui e aveva deciso nel dormiveglia che il giorno dopo gli avrebbe confessato tutto. Perché essere amati è sempre una cosa bella, no?

Magari Harry gli avrebbe detto che, nonostante fosse etero, era onorato di sapere che Blaine provasse qualcosa di forte nei suoi confronti. Forse si sarebbe scusato di non poterlo ricambiare, ma l’avrebbe abbracciato ugualmente e avrebbe aspettato che Blaine smettesse di piangere, comprendendo che fossero lacrime consapevoli.
Perché Blaine era consapevole. Consapevole del fatto che non avrebbe ottenuto niente di materiale da quella confessione, ma consapevole del fatto di aver fatto la cosa giusta: avrebbe detto la verità. E Blaine diceva sempre la verità.

Puntualmente, il giorno dopo non aveva mai il coraggio di confessare niente ad Harry. Si limitavano a parlare di romanzi brevi e poesie, entrambi crogiolandosi nell’idea che presto sarebbe uscito al cinema un nuovo film di Harry Potter. Blaine adorava il modo in cui Harry andasse fiero del suo nome e si esaltasse ogni qualvolta qualcuno, dopo essersi presentato, gli rivolgesse un amichevole “Harry? Di cognome non farai mica Potter?”; ma non poteva sapere quanto Harry adorasse il suo modo di indossare le bretelle al di sopra delle camicie o il fatto che abbinasse il colore della sciarpa con quello delle scarpe. Se gliel’avesse detto, Blaine non avrebbe mai potuto credere al fatto che lui, etero, ci avesse fatto caso.

Harry era anche un ragazzo estremamente intelligente. Sapeva che se l’avesse fatto Blaine avrebbe iniziato a farsi delle domande sul suo conto e avrebbe pensato che dopotutto hanno solo quindici anni e che forse, prima o poi, insomma… avrebbe scoperto che anche a lui piacciono i ragazzi. Ma i suoi genitori erano terribilmente religiosi e non avrebbero mai accettato un figlio gay. E per fortuna lui non lo era.

A casa sua l’omosessualità era un tabù. Harry ricordava di quando suo padre aveva definito contro natura quel suo collega discreto ed educato che, oramai, era rinomato fosse omosessuale. Sua madre aveva annuito ed aveva iniziato a recitare un passo della bibbia che parlava del fatto che l’unica unione sacra fosse quella tra uomo e donna.
Harry non aveva quindici anni e non aveva ancora un amico gay, ma nonostante questo ebbe la prontezza di parlare in modo schietto ai genitori.

“Ma la bibbia dice anche di aiutare ed accettare il prossimo. Perché tanti problemi se un uomo è attratto da un uomo o una donna è attratta da una donna? Io credo-  insomma suppongo che non si possa scegliere di chi innamorarsi, che l’amore sia una cosa che non dipende da noi. Altrimenti chiunque potrebbe scegliere di non innamorarsi di qualcuno che non lo ricambia. E nessuno soffrirebbe più per amore. Romeo avrebbe scelto di non amare Giulietta al posto di scegliere di uccidersi per lei. Mamma, non è così?”

I genitori si erano scambiati un’occhiata preoccupata e lui aveva spostato lo sguardo dal volto del padre a quello della madre, preoccupato. A volte proprio non li capiva.

“Harry, cosa stai cercando di dirci?” chiese il padre. Il ragazzino strinse i pugni, proprio come quella vigilia di Natale con Blaine, e – senza cogliere il reale senso della domanda – gli rispose sommessamente.

“Sto cercando di dirvi che a volte sembra che interpretiate quel libro come più vi interessa! Non vi rendete conto del controsenso che avete appena detto? Non vi accorgete di quanto siete stupidamente devoti ad un pezzo di carta che non riuscite nemmeno a decifrare?”

Quando sentì quelle accuse scivolargli via di bocca, quasi faticò a credere che fossero realmente parole sue. Era strano. Si stava ribellando ai suoi genitori e si sentiva bene, si sentiva libero. Sentiva di star facendo la cosa giusta.

I suoi genitori si arrabbiarono molto con lui a causa delle sue parole e lo costrinsero ad andare in chiesa a confessarsi. Lui non si ribellò perché sapeva che sarebbe stato un atto inutile con cui avrebbe dimostrato immaturità: sarebbe stato maturo capire ed accettare il fatto che vivesse in una famiglia così pesantemente bigotta. Avrebbe imparato a conviverci e non avrebbe mai detto loro di avere un amico gay, se mai lo avesse avuto.

Aveva sempre considerato Blaine un ragazzo estremamente coraggioso, ma anche un po’ avventato. Il suo corpo avrebbe potuto sopportare le violenze che subiva giornalmente a scuola, ma la sua mente no.
Tuttavia, non aveva mai cercato di diventare suo amico: era successo e basta. Quando Blaine si era iscritto al club lui era stato felice di accoglierlo come un qualunque altro membro ed era stato ancora più felice di scoprirlo interessante e profondo. Quando trascorrevano del tempo insieme, tuttavia, aveva avuto modo di conoscere anche il suo lato triste e spaventato, e questo non aveva fatto altro che confermare il disprezzo che nutriva nei confronti dell’ottusità dei suoi genitori.

“Perché sai, le persone sembra si dimentichino del fatto che io sia una persona. Sembra che mi classifichino solo come gay, come se fosse qualcosa di diverso da un essere umano. Non un modo di essere, ma un essere differente.”

Un essere sbagliato. Ecco come si sentiva Blaine Anderson. Ed ecco con quali parole glielo spiegava, quando cadevano sull'argomento in caffetteria. E lui sarebbe mai riuscito a fare qualcosa per aiutarlo?

“Sei sicuro che non ci sia niente di cui parlare? Sono qui apposta per ascoltarti.”

Blaine sorrise, guardandolo finalmente in viso e scoprendo che quel giorno gli occhi di Harry fossero di un verde particolarmente intenso. Non che la cosa lo aiutasse, insomma.

“E’ tutto grandioso. Tutto quello di cui devo preoccuparmi è di non averti ancora fatto degli auguri di Natale decenti. Ormai sei diventato così popolare che è impossibile avvicinarti!”

Harry ignorò le sue parole e strinse le labbra, sempre più preoccupato. Odiava sapere che il suo migliore amico gli stesse nascondendo qualcosa. E se aveva il potere di renderlo così triste a Natale, non doveva essere qualcosa di semplice da risolvere.

“Andiamo via da qui.” disse, e poi batté una mano sul tavolino. Blaine lo guardò a bocca aperta, senza muoversi.

“Prendiamo un po’ d’aria fuori, così potrai dirmi cosa c’è che non va”.

Era un tono dolce ma che non ammetteva repliche. Blaine ingoiò lo spumante tutto d’un sorso e lo seguì con riluttanza fuori dal locale.

---

“Respira, schiarisciti le idee e dimmi la verità.”

“Vuoi darmi ordini anche sul tempo da impiegare per farlo?”

Harry rise. Blaine sapeva essere spiritoso in ogni momento.

“Non sono ordini. Sono istruzioni!” e a quel punto Blaine rise con lui.

Le risate si spensero troppo presto per entrambi, che si ritrovarono improvvisamente incapaci di scherzare come avevano sempre fatto.

Blaine era semplicemente nel panico. Cosa avrebbe dovuto fare? Continuare a mentire? No, lui non stava mentendo: ometteva di parlargli del fatto che fosse innamorato di lui. Non credeva ci fosse qualcosa di male.

D’altro canto Harry non era in una situazione migliore. Combattuto tra il desiderio di scoprire cosa lo turbasse e la preoccupazione di essere troppo indiscreto, non sapeva in che modo far capire a Blaine che se c’era una persona a cui potesse dire qualsiasi cosa, quella persona era lui. Doveva e sentiva di essere lui.

“Non mi va che tu ti preoccupi così tanto per me. Non oggi, almeno.”

“Cosa ne dici di lasciare che sia io a decidere di cosa preoccuparmi?”

Blaine incassò di buon grado. Harry aveva dimostrato in più occasioni di tenere a lui, ma quel giorno stava decisamente superando se stesso. Rimasero nuovamente in silenzio.

“E’ che… davvero, sono stanco, Harry. Stanco. Di vedere come il tempo passi e di quanto ognuno di voi cresca e di come io rimanga sempre qui, incapace di muovermi e di fare anche un solo passo verso le cose più semplici.”

Blaine si strinse appena un po’ di più nel cappotto ed Harry, comprensivo, attese che continuasse.

“Non ho ancora dato il mio primo bacio. Non sono mai uscito né con una ragazza né con un ragazzo. Non ho la minima idea di come funzionino queste cose e magari sono ancora giovane ma sono sicuro che tra tre, cinque, dieci anni sarà ancora così. Sarò ancora esattamente qui dove sono ora e ogni anno sarò più vecchio e meno capace e diventerò un uomo sempre più triste e solo, fino a che-“

Harry lo interruppe stringendogli un braccio con fermezza disarmante.

“Capisco quello che vuoi dire: ogni passo avanti è un passo indietro, per te. Tutte quelle che ti sembrano vittorie si rivelano sconfitte, posso immaginarlo. Purtroppo posso solo immaginarlo.”

Parlò in un sussurro che a Blaine fece venire la pelle d’oca al di sotto del cappotto. Trattenne il fiato, in attesa.

“Mi vergogno di non poter dire che ti capisco, ma purtroppo non capisco. Non ci capisco un bel niente, Blaine. Prima hai parlato di farmi degli auguri, ma non hai nemmeno pensato al fatto che nemmeno io te li abbia fatti.”

Blaine arrossì e sorrise lievemente, ammettendo in questo modo la sua colpa. Harry sorrise di rimando.

“Tu sei forte, Blaine. Non fai solo finta di esserlo. Affronterai le tue sconfitte a mani nude, ma conquisterai così tante vittorie da non poterle contare. Imparerai ad essere libero dal tempo e dai suoi vincoli, saprai aspettare qualcuno da amare… qualcuno che forse ancora non c’è, ma arriverà. E questo ti auguro, Blaine, per questo Natale. Niente di più.”

Era una situazione surreale. Quel discorso era stato surreale, il fatto che fosse indirizzato proprio a lui era surreale, persino i fiocchi di neve che avevano iniziato a imbiancare le strade erano surreali.
Harry aveva voluto che uscisse per prendere una boccata d’aria e schiarirsi le idee, ma si sentiva più confuso che mai.

“Voglio essere io il tuo primo bacio.”

Oh cazzo.
Censurate i pensieri di Blaine Anderson. Aveva il cervello in panne, non era colpa sua. Harry gli aveva appena detto di voler essere il suo primo bacio. Il ragazzo – etero – dei suoi sogni gli aveva appena detto di voler essere baciato da lui.

“Co- cosa?”

Come se ci fosse bisogno di ripetere. Harry lo sapeva e, per questo motivo, non lo fece. Solamente, attese. Attese che qualcosa dentro Blaine si muovesse e reagisse alle sue parole. E qualcosa si mosse.

---

Blaine non raccontava a nessuno quali fossero state le dinamiche del suo primo bacio. Non che se ne vergognasse, o forse solo un po’. Aveva paura che la gente fraintendesse, che credesse che Harry lo avesse fatto solo perché Blaine gli faceva pena, oppure perché in realtà era gay anche lui.
Non era assolutamente così.

Harry gli voleva un gran bene e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vederlo felice. Non aveva mai avuto dubbi sulla sua sessualità, per questo non aveva faticato nel decidere di fare un regalo al suo amico, facendo in modo che potesse dare il suo primo bacio ad una persona che gli voleva bene e a cui voleva bene. Senza il rischio che lo facesse troppo tardi, perché quel ragazzo era davvero ossessionato dallo scorrere del tempo e in questo poteva aiutarlo ben poco. La sua mente era un fiume in piena, traboccava di preoccupazioni riguardanti il futuro ed era misera di fiducia nei confronti di sè e del futuro stesso.

Harry sapeva che Blaine era innamorato di lui, il suo migliore amico. Fortunatamente si era innamorato di una persona capace di comprendere e assecondare il suo sentimento per una ragione nobile. Blaine sapeva che non avrebbe mai trovato il modo di ringraziarlo abbastanza. Il suo migliore amico aveva fatto la cosa giusta.

E aveva lasciato che anche Blaine la facesse.

---

“…ma è il Ringraziamento e ci sono le Provinciali e… mi manchi da morire.”

Il viso di Blaine si contrasse in una smorfia nel tentativo di non lasciarsi scappare il singhiozzo che gli aveva scosso il petto. Gli mancava da morire. A quelle parole, paradossalmente, una parte di sé ricominciò a vivere.

“E non sopporto di non parlarti, anche se sono arrabbiato con te… perché sei ancora il mio migliore amico”.

Forse è vero, pensò Blaine. Forse alcuni eventi sono destinati sul serio a ripetersi, nel corso di una vita intera.

“Anche tu sei il mio…”

Perché Blaine era di nuovo innamorato del suo migliore amico.

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Capitolo 2
*** The last dance ***


nda: E’ martedì! Avevo detto martedì e oggi è martedì e sono qui! (Lo so, avevo detto anche niente più note a inizio capitolo, ma una cosa alla volta!)
Sarò breve: ringrazio chi ha deciso di continuare a tenere d’occhio la raccolta inserendola tra le seguite, ricordate o addirittura (pazzi!) le preferite. Ringrazio una volta in più chi ha recensito, perché amo leggere le vostre impressioni quanto amo il formaggio. E amo davvero tanto il formaggio, credetemi.
Ci ho messo tipo tutta la settimana per scegliere la shot da pubblicare oggi e spero di non essermela sparata troppo presto. Questa volta non ci sarà una frase finale incisiva come quella dell’altra volta, ma vi assicuro che per ora è l’unica della raccolta strutturata in questo modo. Ci sarà una… situazione. Non so spiegarlo. E poi voglio scrivere, è una cosa normale?
Nota a fine capitolo!

The last dance.

Blaine Anderson era un ragazzo magro – forse troppo, bassino e dalle sopracciglia triangolari.
Sì, sopracciglia triangolari. E non c’è niente da ridere.

Quando camminava tra i corridoi del liceo faticava nel trasportare la borsa strapiena di libri che no, non poteva dividere con qualche compagno semplicemente perché non ne aveva. Guardava nervosamente a destra e a sinistra e, ogni volta che si rendeva conto di starlo facendo, si sforzava di fermare il braccio che faceva ondeggiare come un pendolo. Era ansioso e aveva le unghie totalmente mangiucchiate, tanto che le dita nemmeno gli bruciavano più.

Aula di storia, aula di biologia, aula di matematica, bagno. Filava dritto quando passava di fronte all’aula coro perché era un po’ come il serpente che convinse Eva a cogliere la mela: pericolosa, tentatrice e assolutamente troppo forte per lui. Non avrebbe mai saputo resistere, una volta che i suoi occhi si fossero posati su di essa.
Quindi, meglio fare in modo che non lo facessero mai.

Gli faceva male la schiena a causa del peso della borsa e dei lividi. No, niente football.
Non che non gli piacesse - andava matto per le partite di football, ma non avrebbe mai potuto giocare né nella squadra della scuola, né in quella di qualsiasi altro posto dell’intero mondo. Era solamente uno sport grazie al quale sarebbe potuto rimanere secco o avrebbe potuto essere spedito in orbita da uno di quei bestioni che puzzavano di hamburger andati a male. I suoi lividi erano dovuti alle spallate.

Proprio così, spallate. Nei corridoi, appena fuori la scuola, a volte anche nel cortile di casa sua.
Spallate seguite dal puntuale “ringrazia che mi stia fermando a questo, frocio di merda!”

Il suo aggressore non aveva né un volto, né un nome: semplicemente, non era mai lo stesso. Spinte occasionali, occhiatacce occasionali, minacce occasionali.
Era un meccanismo accurato e calcolato, lui lo aveva capito. Non avrebbero mai sospeso – o addirittura espulso –qualcuno per aver dato un paio di spallate ad un compagno. Potrebbe non averlo fatto apposta almeno una delle due volte e a quel punto come avrebbe provato le violenze che subiva? Poteva essere capitato che qualcuno dei suoi aggressori venisse ammonito ma, se accadeva, Blaine Anderson era costretto a chiudersi in casa e a fingere coliche e attacchi di mal di testa o vomito persino con i suoi genitori per non mettere piede a scuola.
Perché lo cercavano più spesso.

I suoi nascondigli, dopotutto, erano limitati. Sul retro della pasticceria vicino la scuola, tra le macchine esposte dal meccanico, spalle contro il muro di fianco alla stage door del teatro della città. Ormai li conoscevano tutti, i suoi luoghi di fuga. Sarebbe stata una sorpresa se non si fosse nascosto, più che altro.

“Papà, non ci posso andare a scuola”.

Suo padre non capiva. Doveva andare a scuola, doveva dare il massimo, doveva essere il migliore. Aveva un altro milione di doveri, e uno di quelli era quello di non trovare scuse per saltare la scuola.
Blaine Anderson era incastrato.
Proprio così, incastrato. Tra la sua debolezza e il bene che nutriva nei confronti del padre.

Lo aveva già deluso comunicandogli che fosse… sì, insomma, gay. Ma proprio gay, assolutamente gay, evidentemente, ingiustamente e irrimediabilmente gay.
Diverso. E la diversità ha bisogno di riflessione, tempo. E il tempo è prezioso in un’America alle prese con l’inizio del millennio. Svantaggio.

La diversità si traduceva in svantaggio, diamine! Perché diavolo ci aveva pensato solo dopo averlo confessato a suo padre? Se ci fosse arrivato prima avrebbe pensato ad un modo per nasconderlo anche a lui, almeno un po’. Ma sapeva bene che non era mai stato troppo bravo a conservare quel segreto.
Come se ci fosse un modo per tenerlo nascosto, dopotutto.
Come se ci fosse unmotivo per doverlo tenere nascosto.

Cosa c’era di sbagliato in lui? Cosa c’era di sbagliato nelle sere in cui preferiva rimanere a casa piuttosto che uscire con i suoi compagni di corso – perché erano solo questo: compagni di corso – la cui unica passione era quella del fumo e dell’alcool e del sesso? Proprio no, davvero, non ce la faceva.
Almeno, non quella sera.

L’anno scolastico stava volgendo al termine, e ciò voleva dire una sola cosa: ballo di fine anno. Oh diavolo.

Ragazzi vestiti di tutto punto la cui unica preoccupazione è quella della scelta del fazzoletto giusto da mettere nel taschino, ragazze profumate di lacca per capelli e luminose di brillantini, uniti entrambi dall’eccitazione per il dannato ballo di fine anno.

E lui? Che avrebbe fatto, lui? Chi avrebbe invitato al ballo? O –un brivido gli percorse la schiena – sarebbe stato invitato al ballo?

Dopotutto non aveva molta scelta: avrebbe parlato con l’­­altro ragazzo gay dichiarato del liceo e avrebbe provato a convincerlo ad andarci insieme. Da amici. Da amici coraggiosi e fieri di essere quello che erano. Insieme.
Ma sarebbe stato difficile estorcergli un .

Era sempre stato un ragazzo riservato e timido, quanto o persino più di Blaine, e non gli piaceva per niente mettersi in mostra. Davvero. Però aveva avuto il coraggio di fare coming-out al terzo anno e Blaine aveva apprezzato un sacco il suo gesto.
Non lo aveva fatto sentire meno solo, no. Non era una questione di solitudine – a quella ormai era abituato – ma di coraggio. Sapere che nel mondo… no, non esageriamo.

Sapere che nel liceo ci fosse qualcuno abbastanza coraggioso da, semplicemente, dire cosa… chi fosse, lo rallegrava e gettava dentro di lui il seme della speranza. Si sentiva vivo, sentiva che ci sarebbe stato un posto per lui in quel mondo, perché non era l’unico ad essere così diverso.

E questo significava che allora, forse, non lo era poi molto.

Ma tutto questo non contava, quando si trattava di esporsi ancora una volta.
Sapeva che il suo compagno avrebbe avuto paura di accettare il suo invito al ballo perché ne aveva un sacco anche lui. Ma cosa avrebbero dovuto fare? Non andarci? Dargliela vinta ancora una volta? Come tutte le volte in cui non aveva la forza di rialzarsi dopo uno spintone o di mantenere lo sguardo dopo un insulto?
No. Quel ballo sarebbe stato il suo riscatto.

Fu spaventosamente facile. Blaine ottenne un sì quasi subito ed entrambi ne parlarono con i rispettivi genitori. Si guadagnò persino il passaggio a casa.
Finalmente tutto sembrava stare girando a suo favore.

Il suo abito era terribilmente semplice, niente che desse nell’occhio. Si consolò pensando che avrebbe scelto quella giacca in ogni caso. Impastò i capelli con la consueta quantità di gel, questa volta impiegando meno tempo del solito ed ottenendo un risultato addirittura migliore. Era in anticipo quando salutò i suoi genitori con un cenno della mano per uscire di casa.

Fu in ritardo quando riuscì effettivamente a lasciare il piccolo cortile di casa sua, bloccato da sua madre che gli stampava grossi e umidi baci sulle guancie e, quasi con le lacrime agli occhi, gli intimava di stare attento, non fare tardi, non esagerare.
Come se ballare con un amico fosse stato esagerato.

“Mamma, balleremo. E’ questo che si fa, ad un ballo”.
Sua madre accennò un sorriso che non fece altro che alimentare la portata delle sue rughe di preoccupazione. Blaine sospirò e le assicurò che sarebbe stato divertente.

Divertente. Stava andando a dimostrare di essere uno che vale, per la miseria. Avrebbe affrontato occhiatine divertite, risate di scherno, battute di pessimo gusto, a causa della sua scelta.
Non sarebbe stato solo, certo, ma non sarebbe stato tanto diverso. Era una scelta che avevano preso insieme e insieme ne avrebbero raccolto i frutti.
Ma i genitori sono convinti che i propri figli vivano per questo, per divertirsi. Allora perché deluderli?

---

Ringraziò il Signore di essere un tipo realista perché, come aveva previsto, non fu una passeggiata.

Aveva lasciato a casa tutti i tranquillo! e Ma di cosa ti preoccupi? e Devi solo pensare a divertirti! che facevano parte del piano di auto-convincimento di suo padre – abbondantemente spazzati via dal pianto trattenuto di sua madre poco prima che uscisse – e si era armato di una corazza difficile da tenere su a causa del grosso peso, ma estremamente forte.
La speranza.

Era stato previdente perché quello che lo accolse furono occhiatine divertite, risate di scherno e battute di pessimo gusto, per l’appunto. Vide il suo accompagnatore stringersi appena un po’ di più nel cappotto semplice, proprio come il suo. Si scambiarono un’occhiata complice quando decisero di farsi coraggio e ballare un lento in un angolo della camerata. Sorrisero quando si accorsero di quanto fosse semplice e rilassante e naturale un gesto del genere. Si chiesero come mai le persone vedessero in una cosa del genere qualcosa di scandaloso o indecente. Scossero la testa quando nessuno dei due riuscì a trovare una risposta.

La serata era trascorsa bene, solo il loro arrivo aveva destato un po’ di scalpore e aveva sollevato qualche commento osceno che erano riusciti a farsi scivolare addosso perché in due è più semplice. E perché, davvero, non gli interessava.
A nessuno dei due ragazzi piacevano le feste che si prolungavano troppo, anche se si trattava del ballo di fine anno e anche se tutto sembrava essere andato fin troppo bene, per i loro standard.

In realtà, entrambi avevano paura del fatto che ci fosse ancora tempo perché potesse succedere qualcosa.

Blaine si sentiva terribilmente fiero mentre aspettava fuori che il padre del suo compagno li andasse a riprendere. Se qualcuno gli avesse chiesto come si sentisse, avrebbe potuto addirittura lasciare da parte il suo “perché me lo chiedi?” e rispondere con un tanto sospirato “bene”.

Davvero, bene. Si sentiva bene.
Così bene che non si accorse nemmeno dei tre ragazzi in smoking che spuntarono dalla porta sul retro della palestra.

“Ti sei divertito, Anderson?”
“Furbo da parte tua. Fai il fighetto tutto il tempo in cui i professori stanno al ballo e appena se ne vanno…”
“Ti dilegui!”

Risate. Blaine odiava profondamente il modo in cui avessero l’abitudine di completare le frasi l’uno con l’altro.
Li guardò in volto e li riconobbe. Come avrebbe potuto non riconoscerli? Non avevano un nome, ma sapeva che tutti e tre lo avevano aggredito. Tutti e tre più di una volta.
Ricordò che uno gli avesse rovesciato il pranzo sul pavimento per una settimana intera prima che qualcuno se ne accorgesse e lo ammonisse, un altro gli aveva sfondato la porta dell’armadietto ma aveva trovato il modo di provare che non fosse stata colpa sua. O meglio, aveva trovato il modo di far stare zitto Blaine.
Un altro ancora lo aveva minacciato con un coltellino, ma Blaine non ne aveva mai avuto paura perché prima di riuscire a tirarlo fuori dai pantaloni aveva sempre un grosso vantaggio di tempo. Sapeva che prima o poi quel bisonte sarebbe morto a causa di tutti i chili di troppo che aveva accumulato e dell’ingente numero di sigarette che fumava. Una bestia obesa e pelosa che camminava su due zampe. Disgustoso.

“Ce ne andiamo prima e non è un vostro problema.”

 “No, infatti. E’ un vostro grosso problema quello di trovarvi al buio proprio qui dietro, dove nessuno può vedervi!”
 
Quello al centro rise sommessamente e gli altri due lo seguirono a ruota.
Blaine sentì il ragazzo al suo fianco prendere un respiro profondo prima di parlare. Pronunciò le parole in un tono così basso che Blaine non capì mai se stesse effettivamente parlando a loro, a lui o a se stesso.

“Mio padre sarà qui tra pochi minuti…”

“Allora faremo bene ad iniziare subito.”

---

Certo che voglio accompagnarti al ballo, Kurt.

Certo che voleva accompagnarlo. Ma era semplicemente terrorizzato all’idea di mettere piede ad un altro ballo. Avrebbe sicuramente riaperto ferite mai chiuse totalmente, gli avrebbe ricordato della sua sconfitta e del fatto che partecipare ad un altro ballo in un’altra scuola non l’avrebbe resa una vittoria. Sarebbe stato inutile, doloroso, persino umiliante. Per se stesso.
Sarebbe stato come fare finta di aggiustare qualcosa che non si sarebbe mai aggiustato sul serio.
O, almeno, così credeva che sarebbe andata.

Kurt era l’unico motivo per cui quella sera sarebbe stato disposto ad accettare qualsiasi tipo di trattamento. Avrebbero anche potuto picchiarlo ancora una volta, sarebbe stato ripagato con un altro dei sorrisi che gli aveva rivolto quando gli aveva detto di sì. Lo avrebbe accompagnato al ballo, anche se non sarebbe andata come credeva lui. Non ci sarebbe stato nessun riscatto. Ma non c’era bisogno che lo sapesse.

Non poteva sapere che, in realtà, sarebbe stato tutto semplicemente perfetto.

Nessuno li insultò, nessuno rise, nessuno li spinse dentro una vasca di ponce o semplicemente contro un muro. Ascoltarono i ragazzi del Glee cantare canzoni dai ritmi sfrenati o lente e ballarono, persino.
Era diventato così impensabile ballare, dopo quel suo ultimo ballo. E lui aveva persino liquidato sua madre con una frase in cui la assicurava che l’avrebbe fatto, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Non per quelli come lui, evidentemente.

Stavano bene, ma non era solo quello. Erano felici perché si erano trovati e questa volta era diverso. Non era semplicemente non essere da solo, era essere in due. Era avere quattro braccia, due teste, quattro occhi. Era avere il doppio della forza. Ed era splendido.

Poi, come per Cenerentola, il loro tempo sembrò finire.
Kurt venne eletto reginetta del ballo e scappò via dalla palestra, pianse seduto in corridoio, riaprì tutte le ferite di Blaine senza volerlo quando parlò di come nessuno imparerà mai ad accettarli, ma rifiutò di tornare a casa.
Decise di farsi incoronare reginetta del ballo, al microfono esclamò “Beccati questa, Kate Middleton!” e ricevette un applauso fragoroso.

In quel momento Blaine fu orgoglioso. Vide in Kurt lo stesso ragazzo impaurito che fu lui, durante quel ballo che gli spaccò la vita e qualche osso, ma la cosa più dolorosa fu il non vedere se stesso nel Kurt che sfoggiava corona e scettro, convinto della decisione da lui presa.

Allo stesso tempo fu splendido.

Fu per questo che, quando David Karofsky si rifiutò di ballare con quel bellissimo angelo con scettro e corona, fu finalmente naturale fare il primo passo ed invitarlo a ballare.
Quello sarebbe stato quanto di più vicino ad un riscatto sarebbe riuscito ad avere. Niente di più.

Ma se riguardava Kurt andava bene.

Finalmente si era sentito al posto giusto perché lo aveva, in qualche modo, salvato. Era stato il suo re.  Lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva visto sorridere un po’ di più ad ogni passo. Era stato semplicemente come sarebbe dovuto essere.

Per la prima volta nella sua intera vita non gli importava che tutti lo stessero fissando.

Non c’entrava niente con l’esibirsi: lì le persone non possono avere pregiudizi sulla tua sessualità e, per di più, devono guardarti per forza. No, non c’entrava decisamente nulla.
Era semplicemente pieno di orgoglio. Senza contare il fatto che stringeva tra le braccia l’amore della sua vita, sorridente e con lo sguardo pieno di gratitudine.

Improvvisamente si sentì stupido ad aver pensato, anni prima, che quello sarebbe stato davvero il suo ultimo ballo.


nda: Niente paura, non devo dire niente. Mi piacerebbe solo saper caricare di quei link in cui si scrive “clicca qui!” e compare tutto quello che deve comparire. Pazienza. Questo è un regalino per este: questa foto l’abbiamo trovata insieme! EDIT: clicca lì! Io amo Abigail 


Al prossimo martedì!

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Capitolo 3
*** Don't run away ***


nda: SCORDIAMOCI definitivamente di quando dissi no note a inizio capitolo. Devo parlare sempre.
Questa shot sarà un po’ più breve delle altre e non era nemmeno tra quelle già pronte. Visti gli spoiler Klaine che ci allietano le giornate ho pensato a qualcosa di puramente Klaine. Spero vivamente che la frase che ho scelto per la fine sia abbastanza giusta. Parte del testo è liberamente ispirato alla canzone della Perri "A Thousand Years" :) Grazie infinite a coloro che recensiscono. Adoro leggere i vostri pareri… e con qualcuno di voi sto anche iniziando a fare amicizia! Potrei immaginare qualcosa di meglio?
La shot di questo martedì è per i veri Klainers. Quelli che non si urlano addosso che “è stata colpa di Blaine” o “E’ stata colpa di Kurt”. Klainers e basta. E per Abigail. Soprattutto il titolo. Love you, honey…

 
Don’t run away.

Caro Kurt,

Blaine si fermò con la penna a mezz’aria. Cancellò quello che aveva scritto.

Caro Kurt,
Kurt,

molto meglio. Sorrise tra sé e sé e continuò.

ho scelto il duetto per le regionali, sai? Ci ho messo un po’ (la nuova hit di P!nk continuava a tentarmi) ma ho capito che non era quello di cui ho abbiamo bisogno. Senza contare quanto sia difficile rendere duetti gli assoli di P!nk.

Rise dell’imbarazzo che gli impediva di confessare persino a quel pezzo di carta quello che voleva… quello che doveva confessare. Non che ci fosse molto da ridere, chiaramente.

Si chiama “Candles”. Non sono nemmeno sicuro che tu la conosca…
Mi è capitato di sentirla ieri sera per la prima volta, quando sono uscito per prendere un caffè al Lima Bean. Ero da

Da solo. Ma c’era davvero bisogno di specificarlo? Insomma, avrebbe creduto che ci fosse andato perché aveva bisogno di pensare a qualcosa di importante o avrebbe intuito qualcosa riguardo la crisi che gli si era scatenata nel petto dopo averlo ascoltato cantare Blackbird. No, non ce n’era alcun bisogno.

Quando sono arrivato alla radio stavano trasmettendo un pezzo di Rihanna. Facevo ondeggiare la testa in maniera imbarazzante mentre ero in fila, lo ammetto. Se fossi stato con me, mi avresti preso in giro ancora una volta… ma non riesco proprio a far fuori quest’abitudine. Peggio per me.

Quella lettera rischiava di diventare uno dei temi che si fanno scrivere alle matricole. “Scrivi come hai trascorso le vacanze estive” o roba del genere. Blaine si prese la testa tra le mani facendo picchiettare la penna sull’orecchio.

Poi hanno dato questa e ho pensato a te. Non è una canzone che parla d’amore, no. Non di un amore felice, almeno. Ho pensato a te perché
Avanti, Blaine. Si disse. Non aver paura di dire… quello che devi.

Ho pensato a te perché ogni giorno sono morto un po’ in più aspettando che arrivassi. Quando ti guardo sento il cuore pulsare con il ritmo giusto e vedo i colori più brillanti.

Non voglio mentirti e non lo farò, Kurt.
Ho avuto paura. Grazie ai bulli ho imparato a correre più veloce ma a causa loro… sono scappato. Ho abbandonato la mia vita, la mia scuola. Per sempre.
Li ho fatti vincere, capisci? Ho dato loro quello che volevano ed è il mio rimorso più grande. Ma ti confesso che non sarei ancora in grado di affrontarli, oggi. Perché sono debole.

Sono vulnerabile, ho dei punti deboli. E, da oggi, dalla fine delle note di Blackbird, ne ho uno in più. E sei tu, Kurt. Sei tu il mio punto debole. Perché… oh, eccoti qua. Cerco uno così da una vita.

Disegnò distrattamente un cuoricino all’angolo del foglio e ne colorò con l’inchiostro anche l’interno. Sovrappensiero, ricominciò a scrivere.

Quando l’ho capito, un lampo di luce mi ha illuminato gli occhi. Io li ho visti, li ho sentiti brillare mentre ti guardavo e ti vedevo sul serio per la prima volta. E quella luce non li ha ancora abbandonati.
E’ come se avessi iniziato a vivere nel momento in cui me ne sono reso conto, come se una vena avesse ricominciato a funzionare o qualcosa del genere.
Oh, sì! E’ come se la parte di te che risiede in me si fosse messa in moto rimproverandomi di averci messo troppo tempo a capire che… tu mi emozioni, Kurt.

Sento di… essere nato per amarti. E’ strano. Potrà sembrarti esagerato, forse, ma è quello che sento.

Sento di amarti da prima di nascere. Sento di amarti da una vita precedente in cui sarei potuto essere chiunque qualunque cosa. Ti avrei amato se fossi stato un fiore, un gatto, il mattone della tua casa. Sento di amarti da mille anni e sento di poterti amare per altri mille anni ancora.

Sento di aver capito come essere coraggioso solo guardandoti. Sento di essere un passo più vicino a te ogni volta in cui non tremo al ricordo delle vecchie ferite. Sento che non lascerò che niente ti porterà via… non adesso. Non adesso che sono così vicino.

Scusami. A San Valentino mi sono sentito un cretino. Mi sento un cretino. Sono un cretino.

Scusami se ci ho messo così tanto. Scusami se ti ho fatto stare male. Scusami se non ti ho capito. E’ che credevo di non poter amare avendo paura di cadere ancora. Di nuovo. Avevo paura di fidarmi e avevo paura di essere felice, dopotutto. Avevo paura di vivere, Kurt. E tu mi hai salvato.

Una lacrima bagnò il foglio e Blaine si accorse di star piangendo su un foglio di carta nel bel mezzo della caffetteria affollata. Si asciugò il viso e continuò a scrivere,  senza sentire più il pavimento sotto i piedi, l’odore del caffè, il chiacchiericcio dei suoi compagni.

Sarò coraggioso. Non crederò di non poter farcela e non sbaglierò più. Andrò ogni giorno in caffetteria stringendoti la mano, se lo vorrai. Ti pagherò i biscotti e il pranzo. Ti farò un regalo ogni giorno. Cercherò i tuoi occhi in quelli di ogni sconosciuto e le tue mani tra quelle che stringerò per la prima volta. Imparerò ogni giorno dai tuoi gesti e ti giuro… ti giuro che ogni battito del mio cuore sarà per te.

Ti ho detto che ho avuto paura, e ne ho avuta per davvero. Ma il tempo ha portato il tuo cuore da me e non potrei mai far finta di non vederlo. Non lo farò ancora.

Non mi opporrò mai più al destino semplicemente perché mi raggiungerebbe ugualmente. Non vorrò mai più morire ogni giorno aspettandoti. Non smetterò di sperare, ma farò di tutto per realizzare concretamente ogni mio sogno. Sarò il tuo migliore amico, le labbra che cercherai nei momenti peggiori, sarò la tua guida e lascerò che tu rimanga la mia. Mi avvicinerò sempre di più a te e, forse, ti confesserò che quel duetto è solo una scusa per trascorrere più tempo con te.

Pregherò che tu continui a scorrere dentro di me e ti renderò felice fino a che lo vorrai. Ti proteggerò dagli spintoni e dalle granite e lo farò anche quando sarai tu stesso a sbagliare e a farti del male. Mi farò da parte solo quando deciderai di dirmi addio ma farò di tutto per far sì che non accadrà mai.

Accenderò una candela quando avrai freddo e ti stringerò a me ogni volta in cui lo vorrai. Guarderemo l’alba. Il tramonto. L’oceano. Mangeremo al cinese ogni volta in cui lo vorrai. Non morirò mai più ogni giorno aspettandoti.

“Blaine?”

“Non ora, Wes”.

“Oh… scusami. Volevo solo dirti che non hai ritirato il tuo caffè. La cassiera te lo tiene al banco”.

Blaine alzò lo sguardo dalla sua lettera per Kurt e incontrò lo sguardo del suo compagno. Sembrava dispiaciuto e preoccupato.

“Grazie. Ero così preso che me ne sono dimenticato…”

“Il che mi fa pensare che tu non sia qui esattamente per prendere un caffè. Hai bisogno di parlare? Da cosa stai scappando, Blaine?”

Blaine sorrise. Sentiva di stare iniziando a mantenere le sue promesse ed era meraviglioso.

“Oh, no. Non scapperò mai più… da nulla”.

---

Sai cosa? Fanculo alle lettere.

Era tornato in camera e reggeva la lettera spiegazzata con dita tremanti. Avrebbe parlato con Kurt. L’avrebbe guardato negli occhi e, se ne avesse avuto il coraggio, gli avrebbe preso la mano. Sarebbe scappato di nuovo se non l’avesse fatto, giusto?

Ficcò la testa fuori dalla porta della sua camera.
“Nick?” chiamò, “Hai visto Kurt?”

Il compagno annuì e gli indicò il corridoio principale.

---

“Vederti cantare Blackbird l’altro giorno… mi ha davvero aperto gli occhi. Ho capito una cosa. Tu mi emozioni, Kurt… e questo duetto sarebbe una scusa per passare… più tempo con te”.

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Capitolo 4
*** One day, baby ***


Warning: spoiler! Ma se avete un account Facebook, Twitter o tumblr… lo sapete già.

Per este. Perché, per finire di scrivere la prima versione di questa shot, l’ho fatta aspettare da sola in stazione per un quarto d’ora. Spero che le mie scuse siano gradite <3


One day, baby.

“Io direi che è il caso di smetterla con questa storia.”

“Io direi che è il caso che tu ti faccia gli affari tuoi!”

Cooper Anderson sapeva essere estremamente frustrante. Blaine credeva che non ci fosse persona più odiosa di lui, in particolare in quel momento in cui sventolava in alto il suo cd de “Il Moulin Rouge”, approfittando delle sue gambe lunghe per tenerlo fuori dalla portata del fratellino.

“Ridammelo!” Gli avrebbe accorciato le gambe a morsi, se avesse potuto. Cooper sventolava il cd sopra la testa come fosse un campione olimpico che mostrava il suo trofeo e smise di ghignare solo quando la madre glielo sfilò di mano per restituirlo al fratello.
Dal canto suo, Blaine strinse il suo piccolo tesoro sul petto e gli rivolse la linguaccia più cattiva che avesse mai riservato a qualcuno. Persino peggiore di quella che si meritò quel bambino più grande di lui che a scuola si guadagnò un ammonimento per averlo chiuso in bagno.  

“Credi che continuando ad ascoltarlo, i personaggi di quello stupido musical usciranno fuori dallo stereo?”

Blaine fece finta di non averlo ascoltato. Era diventato facile ignorare Cooper da quando era sempre fuori per la scuola o i corsi pomeridiani e serali alla scuola di teatro e cinema fuori città che aveva deciso di frequentare. Non gli dedicava attenzioni ed era persino peggio di quando, quando era più piccolo, non faceva altro che criticare ogni suo movimento. Nel bene e nel male, Blaine interpretava le sue critiche come una forma di interesse nei suoi confronti. Ora, invece, era decisamente troppo concentrato su se stesso e sui suoi sogni per accorgersi del fatto che anche suo fratello potesse averne qualcuno.
Quello del Moulin Rouge era il suo cd preferito. Lo preferiva persino ad un classico intramontabile come Cats o alla storia avvincente di Les Miserables. La storia dell’inguaribile romantico innamorato della prostituta, la storia di un amore impossibile eppure irrinunciabile. La storia di due amanti tremendamente giusti l’uno per l’altra ma non per il resto del mondo. Il racconto di una minoranza. Di chi non si sente, appunto, giusto.

Oh, insomma, qualcosa del genere.

Blaine si sentiva giusto. Amava la musica e amava ballare e sapeva di essere davvero molto bravo per un bambino della sua età nonostante i costanti rimproveri di suo fratello. La carriera di Cooper era piuttosto promettente ma non ne era mai stato geloso perché sapeva che se la fosse meritata trascorrendo gran parte del suo…inutile tempo rinchiuso in una di quelle scuole che spillano mensilmente somme esorbitanti ad ognuno degli allievi e non insegnano niente di quello che servirebbe effettivamente conoscere.

“Invece di prendermi in giro perché non lo ascolti con me? E’ uno scandalo che non ti abbiano parlato del Moulin Rouge. Sei sicuro di aver frequentato il corso di teatro e cinema e non quello di taglio e cucito?”

Cooper puntò il dito nella sua direzione.
“Fratellino. Quello che conta nel mondo dello spettacolo è il corpo. Sai, viso, gestualità, espressione. Pretendi di insegnarmi qualcosa attraverso una… radio?”

Beh sì, insomma, bastava che gli dicesse qualcosa come “Leggere? Ma non ci sono figure!” e sarebbe stato incoronato Gaston Anderson dell’anno. Complimenti e pollici in su per il fratello più intelligente del mondo!

Blaine sospirò frustrato e si rassegnò all’idea di dover ascoltare il cd da solo. Non che gli dispiacesse, è chiaro.
“Vorrei solo che provassi a conoscermi un po’ di più, sai com’è. Sei sempre così concentrato sugli affari tuoi che ti dimentichi di non essere figlio unico. Specie con mamma e papà che ti preparano feste a sorpresa e cibo italiano ogni volta che torni a casa.”
“Hei, hei, fratellino!” esordì Cooper abbassando finalmente il braccio e avvicinandosi a lui con un’espressione teatralmente sconvolta. Blaine capì che non stava fingendo perché sembrava davvero allarmato. Quando recitava, generalmente, sembrava stesse avendo una colica. “Non sarai mica geloso del tuo fratellone che finalmente sta iniziando a far carriera? Sai, questa potrebbe essere la volta buona… mi hanno parlato di una pubblicità, e sai i canali statunitensi quante volte mandano in onda pubblicità?” Si fermò, quasi si aspettasse che Blaine sapesse o avesse voglia di rispondergli.
Tantissime, amico, una marea! Sii felice per me una volta tanto, ok?”

Blaine avrebbe voluto. Davvero avrebbe voluto essere felice per il fratello, ma tutto quello che riusciva a pensare era che quella scuola lo avesse rimbecillito. Non era colpa di nessuno, in fondo.

Sono felice per te, Coop!” mentì, frustrato. “E’ a te che non interessa praticamente niente di me! Non sai cosa mi interessa, non conosci nessuno dei miei amici, non ti chiedi quale possa essere uno dei miei sogni! Quale sarà il prossimo passo? Dimenticarti il mio nome, Cooper?”

Negli occhi del ragazzo comparve una scintilla di indignazione. Si strinse le braccia attorno al busto e lo guardò, ferito. “Davvero credi questo di me?”
Blaine annuì debolmente ma senza pentirsene. “Capisco che tu non lo faccia per-“

“Hai ragione, ometto.” rispose inaspettatamente. “Sono un fratello distante e… mi dispiace. Ti prometto che, carriera o non carriera, arriverà un momento in cui mi fermerò e parleremo. Magari verrò a prenderti a scuola e andremo a pranzo insieme! Poi una delle tue insegnanti mi chiederà di autografarle… il sedere magari. O una tetta.”

Blaine ridacchiò e asciugò le lacrime che avevano iniziato a bagnargli le guance. Commosso dalle parole del fratello, ebbe l’impulso di abbracciarlo stretto e di chiedergli di portarlo con lui. Aveva così tanto bisogno di qualcuno che gli promettesse del buono. Fino a quel momento la sua mente era stata completamente occupata dalla paura di non essere abbastanza. Aveva aspettative alte. Aveva voglia di fare della sua vita uno spettacolo meraviglioso. Ma sapeva che gli sarebbe costato molto.

“Spero che non avrò professori che si abbasseranno a questo…”

“Ma io sarò assolutamente irresistibile!”

Sorrisero entrambi e Cooper strinse suo fratello in un abbraccio dolce.

“Allora, piccolo hobbit. Qual è il tuo sogno?”

“Non lo dirai a nessuno, vero?” Blaine lo strinse un po’ in più.

“Prometto. Su tutte le confezioni di borotalco della mamma!” Dio solo sa quante ne consumava Cooper credendo che la madre non se ne accorgesse. I genitori non avrebbero mai creduto che tra i due quello etero fosse proprio lui.

“Voglio lavorare a Broadway. Come attore.” Sollevò la testa per guardare il fratello negli occhi e con tono solenne lo ammise.

Cooper sorrise, comprensivo. “Sono sicuro che sarai splendido. E quando salirai sul tuo primo palcoscenico, sarò orgoglioso di puntare il dito verso di te e urlare che hei, quello è il mio fratellino!
Blaine sorrise e si immaginò la scena. Cooper, tra il pubblico, che continuava a spintonare la signora al suo fianco durante la standing ovation che il fratello stava ricevendo, sbracciandosi e urlando a squarciagola “Hei, hei, andateci piano e non me lo consumate! Quello è mio fratello, sangue del mio sangue! Abbiamo condiviso il bagno!”

“Allora, Blainey. Cosa ne dici di mettere da parte questo cd… e andare a fittare il dvd? Mi hai proprio fatto venire voglia di vederlo. Di cosa parla, questo Moulin-“

Non ebbe il tempo di finire la frase che Blaine iniziò ad illustrargli la trama a grandi linee. Si infilò il cappotto e spintonò il fratello fino a che non furono fuori casa.

---

Gli occhi di Blaine luccicavano di meraviglia e quelli di Cooper di lacrime.

“Stanno per cantare la canzone d’amore più bella di tutti i tempi.” Trillò Blaine mentre le note di una nuova canzone iniziavano ad irradiarsi nella camera da letto di Christian e Satine e nel salotto di casa Anderson.

“Più bella di Your Song?” chiese Cooper stringendo più forte il cuscino al petto. Avrebbe guardato il fratellino, se avesse avuto la forza di staccare lo sguardo dallo schermo.

“Più bella di Your Song. E’ una promessa, Coop. La promessa più bella che due persone possano mai farsi.”

Cooper strinse il labbro inferiore tra i denti, sinceramente commosso.

“Un giorno, piccolino, qualcuno ti dedicherà questa canzone. O troverai qualcuno a cui dedicarla. Sei un dannato romanticone e te lo meriti.”

“Grazie.” Gli sorrise.

Il fratello, con gli occhi incollati al televisore, non se ne accorse.

---

Le luci di New York illuminavano molto meno di quanto già facessero le lanterne di carta che circondavano Kurt. Sembravano essere state messe lì di proposito. Ogni respiro e ogni soffio di vento urlava due semplici ed essenziali parole: romanticismo puro.

Blaine si avvicinò al ragazzo ed iniziò a cantare una canzone che sapeva essere ben nota anche all’altro.

Il cd che Cooper continuava a rubargli quando era un bambino. La serata trascorsa tra le braccia del fratello. La promessa più bella di tutti i tempi.

Blaine notò quanto Kurt fosse combattuto. Aveva le braccia strette attorno al corpo e continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore nervosamente, sgranando gli occhi appena un po’ in più quando riconobbe la canzone.

Never knew I could feel like this… like I’ve never seen the sky before…



nda: Lo so, lo so. E’ lunedì. Ma proprio non ce la facevo ad aspettare! E poi due ore fa il mio pc è finito in manutenzione e sono andata anche a riprendermelo in tutta fretta per paura di non poter aggiornare domani. Quindi, un po’ questo e un po’ quello, mi sono detta: ma sticazzi! (ops) Aggiorno adesso.
La shot era completamente diversa. Aveva lo stesso inizio, ma il musical in questione era un altro. Doveva essere una cosa solo tra Blaine e Cooper, poi è diventata una cosa tra Blaine e Burt e alla fine si è trasformata in questo. Le mie shot si evolvono come i Pokemon. Insomma, la scena a cui ricondursi era un’altra (anche perché quando la scrissi, doveva ancora uscire lo spoiler riguardo CWM) e il giorno in cui Ryan ha postato il video ho sentito il bisogno impellente di cambiare praticamente tutto. Quando ho pensato di riprendere le parole di Ryan mi sono sentita un dannato genio del male e, venuto il momento di scrivere il finale, non trovavo il video da nessuna parte. Volevo strapparmi i bulbi oculari ahah
Anyway, oggi credevo di avere davvero poco da dire! Finalmente non mi rimane che augurare, qui (nella sezione Glee di EFP) ed oggi (21 Gennaio 2013), buon San Valentino a tutti!!! (Anche se ci hanno spostato la 4x15. Credo che chiederò a mia madre di ampliare la mia camera e piazzarci un sacco da boxe con su scritto FOX. O Ryan Murphy, devo ancora decidere.)

E sempre grazie

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Capitolo 5
*** Daddy, I'm just- ***


Daddy, I’m just-

Un uomo sulla quarantina si stringeva nervosamente le mani nelle mani. I capelli scuri iniziavano a diventare brizzolati, gli occhi erano scuri e profondi ed esibiva una statura piuttosto modesta.

Se ne stava in piedi davanti a una porta chiusa. Era semplice nella sua laccatura bianca e aveva delle scanalature lungo i bordi. La maniglia di ottone era rotonda, dalla serratura si intravedeva la luce che doveva invadere la stanza dall’interno. Sospirò un’ultima volta asciugandosi  le mani sudaticce sui pantaloni grigi e, senza bussare, aprì la porta.

---

Il ragazzo che si pizzicava nervosamente i palmi delle mani sembrava sul punto di avere una crisi di nervi.

Aveva i capelli scuri ma senza l’accenno dei colori del tempo, gli occhi altrettanto scuri ma macchiati di verde. Era piuttosto basso ma, alla luce dei suoi quindici anni, si dichiarava ancora speranzoso.
Se non fosse cresciuto, si sarebbe accontentato di essere definito un hobbit carino.

Aveva seriamente bisogno di far spazio nell’armadio. Stava approfittando di quella domenica mattina per scartare jeans, t-shirt, camicie e bretelle che non avrebbe più indossato.
Purtroppo fino a quel momento aveva avuto il cuore di mettere via solo una t-shirt verde mela e paio di pantaloni che una volta dovevano essere stati bianchi, ma che in quel momento sfoggiavano un rosa tenue. Colpa dei lavaggi in lavatrice e che diamine.

Sospirò di fronte al mare di indumenti che aveva riversato sul letto e si passò una mano tra i capelli, sentendosi a disagio per la mancanza di gel. Dopotutto erano solo le nove di mattina, era ancora in pigiama e non aveva fatto colazione. Davvero non era quello il momento di occuparsi delle vertigini che aveva in testa.

Mise via a malincuore un paio di pantaloni grigi un po’ larghi alle caviglie e si stropicciò gli occhi, ancora assonnato. A malapena riusciva a distinguere i poster che tappezzavano la porta dall’interno. Era buffo pensare a come quella stessa porta dall’altro lato apparisse così semplice e anonima, mentre nel volto che rivolgeva nella sua stanza mostrava tutta la sua eccentricità.

C’era la locandina di Cats che lo fissava con grandi occhi gialli proprio di fianco ad una manciata di stelle filanti raccolte dal pavimento dopo la prima visione di The Beauty and The Beast e attaccate con il nastro adesivo. C’era quel calendario fermo da un anno e più sul mese di febbraio solo perché c’era la foto di Ramin Karimloo a petto scoperto, che era riuscito a farsi autografare quella volta che lo aveva incontrato dopo un suo concerto.

Non aveva potuto assistere allo spettacolo. Era a Londra , lui era lì con la scuola ed era già stato abbastanza difficile evadere dall’albergo per quei venti minuti.
Era stato difficile, ma non come fu difficile convincere i suoi genitori a lasciarlo andare in gita con gli altri ragazzi.

“Che necessità c’è di andare a visitare Londra se ci andiamo ogni volta in cui tuo fratello ha una rappresentazione lì?”

“C’è la necessità di andarci da solo, mamma! Quando ti arrenderai al fatto che io stia crescendo e abbia bisogno del mio spazio? Abbiamo abbastanza soldi per mandarmi a fare il giro dell’Europa e di tutto il mondo!”

La sua povera madre non poteva mica sapere che il suo piano era quello di sopportare dieci giorni in compagnia con i suoi orribili compagni di corso in cambio di quei quattro secondi che Ramin avrebbe impiegato a firmare un foglio?
Semplicemente, l’aveva avuta vinta. Impossibile fermare un fanboy, specie se gli hanno tolto il concerto del secolo.

Calendari a parte, quella camera era un disastro. Tutti i suoi papillon conservati segretamente in una scatola sotto il letto ora erano sparsi tra la scrivania e la prima mensola dell’armadio, le bretelle – avrebbe potuto costruire tredici molle per  bungee jumping considerate tutte le bretelle che aveva – erano allineate sul pavimento, le magliette, le camicie e i pantaloni lo guardavano dal letto e gli chiedevano pietà, aria, respiro.

Ma fu a lui che mancò il respirò quando suo padre fece capolino in camera senza alcun preavviso.

Da quando non si usava più bussare? Non che in casa sua ce ne fosse mai stato il bisogno, ognuno si è sempre fatto i fatti suoi. Nessuno piombava in camera sua perché a nessuno interessava farlo, insomma.

“Papà.” Sarebbe dovuto suonare come un saluto ma, in realtà, parve come un lamento alle orecchie di entrambi.

Era un “Papà, non avresti dovuto vedere questo” quello che risuonò nella mente di Blaine. Al contrario, il padre si aspettava una… cosa del genere, così sentì solo una voce lontana e vagamente somigliante a quella del figlio mentre farfugliava “Papà, arrenditi. Sarò sempre troppo diverso dal figlio che ti eri immaginato.”

Blaine lesse lo sgomento e la pacata delusione nel viso del padre: nelle labbra increspate e tremanti, nelle braccia inermi lungo i fianchi, nello sguardo che guizzava da un indumento strano all’altro.
Si sentì come un ladro che è appena stato scoperto, un traditore, un assassino. Fu come se suo padre avesse scoperto del suo progetto di mettere in scena la versione ridotta di Spring Awakening o - PEGGIO – lo avesse beccato nel bel mezzo di una delle sue maratone di Queer As Folk.

Eppure no, insomma, cosa c’era da vergognarsi? Perché arrossire fino alla punta delle orecchie? Erano solo vestiti – i più erano colorati in modo improbabile, certo – e centinaia di paia di bretelle, diamine.
Era davvero così necessario strizzare gli occhi in quel modo?

“Ecco che fine fanno i tuoi cinquanta dollari di paghetta…”

Quella storia non avrebbe avuto mai fine. La storia di come Blaine arraffava la sua somma mensile e la sperperava tutta in tre sessioni di shopping in solitaria e la storia di come sua madre facesse finta di non accorgersene e la storia di come suo padre non se ne accorgesse sul serio. Ma faceva dei sacrifici: niente schifezze al distributore della scuola, niente uscite al pub il venerdì sera, solo shopping. Ed ecco a cosa lo avevano portato le ultime ventiquattro visite fatte a quel negozio di GAP in centro.  Se qualcuno avesse detto che era solo per quel commesso biondino Blaine avrebbe negato fino alla morte, per inciso. Era troppo vecchio! Avrà avuto diciotto anni.

“Ha- Hai bisogno di qualcosa?” farfugliò abbracciando una manciata di sciarpe e buttandole sotto il letto. Il padre sembrò svegliarsi da uno stato di trance quando rispose. “Sì, sì. Di te.”

A Blaine cadde la giacca di pelle dalle mani. “Il motore è a pezzi e Cooper è fuori per quello stage sulla dizione inglese”.

Gli aveva detto di non andarci. Adesso, oltre ad essere completamente inutile, quello stage si stava rivelando anche distruttivo, seminatore di discordia. Tra l’altro, il solo pensiero di ritrovarsi un Cooper dall’accento britannico gli diede la nausea.

Suo padre aveva detto motore. Oh, auto. Si era di nuovo rotta l’auto. E suo padre gli aveva appena detto che Cooper non c’era. Oh certo, Cooper. Il figlio speciale, quello che studiava per diventare attore. O forse era solo una sua impressione? Che quello diverso fosse Cooper, insomma. Magari Coop era quello normale. Magari era Blaine quello diverso. Quello malato. Quello da aggiustare a suon di motori da riparare.

Quello doveva essere solo il primo motore rotto di una serie di motori che avrebbero continuato a rompersi nella speranza di farlo diventare, ritornare normale, e Cooper non ci sarebbe mai stato perché, davvero, quegli stage su come parlare, muoversi, puntare il dito, non sarebbero finiti mai. Come se non si compiessero gli stessi gesti che si compiono nella vita normale, davanti ad una telecamera.

“Beh sì certo. Sì, certo. Però lo sai che non so niente di motori-“

“Non preoccuparti. Voglio dire… preoccupati solo di metterti qualcosa di comodo perché ci sarà da sporcarsi parecchio!” e se ne andò così, senza aggiungere altro, come era arrivato.

Fantastico.

Blaine non seppe se essere più sollevato dal fatto di essere di nuovo solo o da quello di aver trovato un nuovo impiego per quella t-shirt e quei pantaloni scambiati che stava per buttare via.

---

Avrebbe dovuto dire di no.

Avrebbe dovuto dire di essere assolutamente troppo impegnato con tutta quella stoffa da sistemare e suo padre si sarebbe messo il cuore in pace senza dover passare per tutti quei “Allora, ragazze?” e “La figlia della signora Swan è diventata una ragazza davvero carina”.

Papà, sono solo… gay. Ma sono sempre tuo figlio.

“Papà, sono gay. Ne abbiamo parlato tempo fa e non capisco perché continui a far finta di non aver capito.”

Lo aveva costretto. Si era sentito come un uccello messo in una gabbia senz’acqua. Non avrebbe resistito un attimo di più.

“Ma hai quindici anni, Blaine. Come puoi sapere cosa-“

“Lo so e basta” tagliò corto lui, “come tu hai sempre saputo che io non sarei mai stato perfetto come Cooper. Beh, non lo sono. Non sono Cooper e mi dispiace infinitamente deludervi, ma-“

“Nessuno ha mai parlato di tuo fratello-“

E avevano continuato ad interrompersi fino a che sua nonna, il motivo fondamentale per cui suo padre aveva bisogno di rimettere in moto l’auto, arrivò a piedi direttamente da casa sua.  Aveva giustificato il suo atto eroico con un: “Venite a mangiare ogni domenica a casa mia e mi costringete ai lavoracci. Mi sarei scocciata di lavare i piatti per tutti e quattro per la quinta settimana di fila”.
 
Le nuore servono a questo, dopotutto.

---

Quell’ultimo tentativo di degayzzare Blaine si era trasformato in una totale sconfitta.
Sia per lui, che si era arreso all’idea di un’accettazione solo passiva da parte dei genitori, sia del padre, che si era arreso all’idea di avere un figlio a cui proprio non andava di fare cose normali.

Avrebbe potuto fare quello che voleva. L’avrebbe protetto, l’avrebbe sostenuto se ce ne fosse stata ragione. L’avrebbe lasciato scegliere dove trascorrere il suo compleanno e le vacanze di Natale. Avrebbe fatto tutto quello che un padre responsabile farebbe per il figlio, niente di meno ma niente di più. Avrebbe fatto quello che gli avrebbe permesso di vivere senza rimorsi.

Avrebbe affrontato una vita in solitaria, il giovane Blaine. E avrebbe sempre ripianto il rapporto che avrebbe potuto coltivare, se solo avesse avuto un altro padre.

Burt Hummel aveva una testa enorme. Davvero grande e senza capelli. Doveva essere per quello che era così intelligente ed aperto. E doveva avere anche un grande cuore, perché sembrava davvero imbarazzato dal discorso che stavano avendo.

Forse Blaine si era gettato una zappa sui piedi ogni volta in cui aveva insistito con quella storia del rapporto padre-figlio che avrebbe potuto salvare Kurt dalla disinformazione. Era stato davvero brutto e deprimente doversi andare a cercare quelle informazioni su internet, specie se non si sa cancellare la cronologia del pc, per non parlare di quanto si sarebbe sentito sporco nei giorni successivi. Non avrebbe mai augurato a Kurt una sensazione del genere, senza contare che nemmeno stesse correndo il rischio, perché Kurt non avrebbe cercato un bel niente.

Ma in questo modo correva un rischio ancora più grande.

“Non immagina quanto invidi il rapporto che avete voi due. Mio padre non ha sistemato quell’auto con me perché gli piaceva… lo ha fatto solo perché credeva che sporcandomi le mani sarei diventato etero.”

E pronunciare quella frase lo rese incredibilmente triste. No, Kurt non avrebbe mai vissuto una situazione del genere e Blaine lo sapeva.

Burt Hummel non lo avrebbe permesso.




nda: Questa shot l’ho scritta tre ore fa e mi chiedo ancora perché non ne ho pubblicata una delle due già pronte invece di scapizzarmi a scrivere all’ultimo minuto. Ah, già: perché ieri ho passato la serata a sclerare.
Comunque! Ecco a voi (sono puntuale, eh?) la quinta shot. In serbo per voi ne ho altre due, salvo imprevisti. L’idea iniziale era quella di arrivare a sette (dal titolo della fic che richiama il tema portante della settima puntata della quarta serie… lo so, sto male) ma se dovesse venirmi qualche altra idea sarò felice di scrivere ancora e ancora! Tra l’altro, siccome sono una fissatona di raccolte, è possibile che ne parta un’altra incentrata su un altro personaggio… just saying.
Come al solito ringrazio chi continua a recensire, seguire, ricordare, preferire e, più semplicemente, leggere. E’ l’appuntamento della settimana più bello, quello del martedì.

La mia compagna di classe bravissima e adorata mi ha partorito un’altra (la prima la pubblicherò in allegato all’ultimo capitolo… tanta roba!) fanart, ispirata alla shot precedente. Ma è un po’ per tutti voi. Peccato non avere lo scanner. Fanart semplice ma figa!

Buon martedì sera! E buona 4x12 in anticipo!

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Capitolo 6
*** My pink bowties ***


My pink bowties.

“La mia vita è uno schifo”.

Blaine camminava lungo il marciapiede inumidito dalla pioggia mantenendo l’ombrello sia per lui che per la sua compagna di classe, Annie. Entrambi tenevano le mani nelle tasche, nella stessa tasca. Era quella del cappotto di Blaine che - essendo la più profonda - permetteva ad entrambi di scaldarsi non solo con la stoffa, ma anche grazie all’intreccio delle due mani.
Lei aggrotto le sopracciglia e lo guardò un po’ accigliata.

“Perché mai dici questo, piccolo Blaine?”

Piccolo Blaine. Non avrebbe mai più dimenticato quell’appellativo, ma non poteva saperlo.
In ogni caso, Annie era più grande di lui di ben sei mesi. Aveva tutte le ragioni per chiamarlo piccolo Blaine. Era un privilegio riservato a pochi, quello di chiamarlo piccolo, e Annie era l’unica che aveva il permesso di farlo. Insieme a sua madre, ovviamente.
C’era stato un periodo in cui aveva provato ad opporsi ai nomignoli e agli appellativi e ai vezzeggiativi che sua madre utilizzava per avvisarlo che fosse pronta la cena, chiedergli di portarle gli occhiali che aveva dimenticato sul tavolo della cucina e dargli la buona notte. Ovviamente aveva dovuto rinunciare alla sua lotta, e allora: che nomignoli siano.

“Ma perché sì, perché guardami!” Blaine agitò le braccia e fece scivolare giù un po’ dell’acqua depositatasi sull’ombrello, “Gli altri mi trovano divertente! Quando mi vedono, ridono e-“

“Non è un difetto quello di far ridere le persone. Molti lavorano sulle risate del pubblico. Dovresti rifletterci bene prima di lamentartene, sai?”
Annie era sempre stata estremamente saggia. Ma no, non in quell’occasione.

“Non sono divertente in quel senso! Ridono di me perché mi prendono in giro. Inventano barzellette. Fanno miei disegni e poi li colorano tutti di rosa. Voglio dire, che razza di disegno è se lo colori tutto di rosa? E poi, perché proprio di rosa?” Blaine si sforzò di ricacciare indietro le lacrime che sgomitavano per scivolargli sul viso sventolandosi una mano davanti agli occhi, “Tu lo sai, Annie? Perché mi infilano tutti quei fogli colorati di rosa nella borsa mentre non guardo?”

La bambina arricciò il naso e fece finta di non accorgersi del crollo del suo amico per dargli il tempo di ricomporsi, concentrata sulla risposta da dargli. Ma no, proprio non le veniva in mente niente.
Blaine era simpatico, era dolce, la aiutava a scegliere il colore del cerchietto ogni giorno prima di andare a scuola, prima di andare a dormire le augurava buona notte affacciandosi al davanzale della finestra, precisamente di fronte al suo. Era un buon vicino di casa, un buon amico e un buon compagno di classe. Non aveva mai capito come mai i ragazzi più grandi lo prendessero in giro.
Era forse a causa di tutto quel gel che si metteva nei capelli?
Decisamente no. Avrebbero avuto più motivi di farlo se fosse andato in giro senza tutto quel gel che si metteva nei capelli.

“Forse ci sono!” esclamò fermandosi e costringendo anche lui a farlo, in quanto mantenitore ufficiale dell’ombrello che riparava entrambi, “Forse è perché hanno visto quel tuo papillon, quello rosa!”

“Quello che indosso ogni venerdì, dici?”
“Sì, proprio quello! E’ di un colore fantastico, si vede che dev’essere piaciuto e ti identificano con quello. E’ una cosa carina, non credi? E’ come per dire Io indosso un papillon rosa anche se non sono una ragazza. Anche se non ci sono divieti riguardanti i papillon rosa per i ragazzi. Non credi? Nessun ragazzo indossa la gonna, ma i papillon rosa sì. Li ho visti. Mio padre l’altra sera stava vedendo un film in cui un sacco di uomini indossavano pantaloni, sciarpe, magliette rosa! Alcuni erano persino vestiti da donna. Ha detto che lo facevano perché la gente si diverte. Proprio come li fai divertire tu, capisci piccolo Blaine?”

Blaine la osservava con attenzione, rapito da ogni singola parola e ignaro del fatto che il film in questione fosse Priscilla, la cui trama tratta di drag queen. Evidentemente nemmeno Annie ne era al corrente ma, per essere una bambina di appena otto anni, aveva portato a termine un ragionamento a dir poco coerente e logico.

Identificano, Annie? Dove hai imparato queste parole così difficili?”
La bambina sbuffò, tra il divertito e l’irritato. “Hai ascoltato il resto della mia teoria o devo ripetere tutto da capo?”
Blaine ridacchiò e la invitò a ricominciare a camminare. “Ma certo che ho ascoltato. Ascolto sempre quello che dici perché sei mia amica e mi vuoi bene. So che se lo dici è perché vuoi che io stia bene. Quindi, se davvero credi che sia come per gli uomini che indossavano i pantaloni rosa nel film che guardava tuo papà, io sono tranquillo. Sono Blaine Anderson e il venerdì mattina indosso un papillon rosa!”

La bambine sorrise, soddisfatta. Amava quando riusciva a far sorridere il suo piccolo Blaine.

---

C’è una donna, in ogni casa. In ogni locale, in ogni negozio c’è sempre una donna, la stessa.
Accarezza i capelli delle bambine prima che vadano a letto, il ventre delle ragazze quando si guardano allo specchio. Mina la loro bellezza e già traccia con le dita le rughe che ne solcheranno il viso. Si compiace pensando che non sarà a causa della vecchiaia, ma delle smorfie di dolore.

C’è una donna che non ha bisogno di guardare attraverso la serratura quando un uomo di spoglia. Non prova alcun piacere nel guardarlo dormire, non come lo proverebbe una donna. Ascolta il suo respiro e sorride tra sé e sé quando si rigira tra le coperte. Non parla spesso ma, quando lo fa, la sua voce si trasforma in un soffio di vento, alle orecchie degli uomini.

C’è una donna che donna non è, e si chiama malattia. Ha il desiderio di entrare in ognuno di noi, ma non sempre ci riesce. Quando ce la fa, è terribilmente dura da abbattere e da estirpare. Spesso vince lei e consegna corpi e anime di uomini e donne tra le braccia della sua più grande amica.
La morte.

“Mamma, che cos’è la leucemia?”

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Alla donna scivolò di mano il piatto che stava lavando e Blaine lo vide finire direttamente nella schiuma, insieme agli altri ancora da sciacquare.

“Chi te l’ha insegnata?”

Il bambino avrebbe voluto battere i piedi per terra. Era una domanda che richiedeva una risposta importante ed era davvero urgente conoscerla.
Quella mattina Annie si era seduta insieme alle sue amiche e non lo aveva degnato di un’occhiata. La sera prima non si era affacciata per la buona notte. Dopo scuola i suoi genitori erano andati a prenderla con l’automobile e non gli avevano nemmeno chiesto se volesse un passaggio.
Quando lui era rimasto sul ciglio della strada un gruppo di ragazzine più grandi di lui gli erano passate di fianco parlando tra loro e dicendo che Annie ha la leucemia, per questo non torna più a casa da sola.

“Annie ha la leucemia! Ho bisogno di sapere perché non può più tornare a casa con me a causa di questa leucemia! Che cos’è la leucemia, mamma?”

La donna ricominciò ad insaponare i piatti senza sapere cosa rispondergli.
Blaine sapeva che quella leucemia, qualsiasi cosa fosse, stava facendo del male ad Annie e, di conseguenza, stava facendo del male a lui.
In realtà non gli interessava sapere cosa fosse. Sarebbe stato più utile, pratico e interessante scoprire chi dei due fosse più forte. Se lui o questa leucemia.

“E’ una malattia, Blaine. Una malattia molto difficile da curare,” il bambino sgranò gli occhi ed emise un piccolo lamento, costringendo la madre a guardarlo, “ma non impossibile” aggiunse.

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“Annie, ti vergogni di parlare con me?”

La bambina continuò a scrivere sul suo quaderno a quadrettoni facendo attenzione a non lasciare che le dita macchiate di pennarelli colorati imbrattassero anche il foglio. Nonostante non gli parlasse, non aveva cambiato posto. Il fatto che fossero ancora compagni di banco era l’unica cosa ad essere rimasta normale, giusta tra loro.

“Avanti, perché non mi parli? E’ per colpa  del papillon rosa?” piagnucolò Blaine, affranto.
Non sapeva più come fare, come comportarsi, cosa dirle. Credeva che si fosse ammalata a causa sua?
Che anche Blaine avesse questa malattia e gliel’avesse trasmessa a causa di uno starnuto o di un bacio sulla guancia? Era per quello che ce l’aveva con lui?
O forse aveva iniziato a vergognarsi di essere amica del bambino con il papillon rosa?

“E’ per il mio papillon rosa, vero? Oggi è venerdì e, guarda, non l’ho messo. Ho pensato che poteva darti fastidio stare seduta vicino a uno che mette i papillon. Rosa, per di più!”.

La bambina mollò immediatamente la penna con cui stava scrivendo con attenzione e lasciò che il suo sguardo si posasse sugli indumenti del suo amico. Al collo, niente papillon rosa.

“Ma no, no, piccolo Blaine!” esclamò lei afferrandogli un braccio, “Non devi mai smettere di indossare i papillon, specie quello rosa! Sono il tuo simbolo, il tuo segno. Quando non ci sarai più, tutti quelli che ti vogliono bene potranno indossare un papillon per ricordarsi di te, e fare in modo che se ne ricordino gli altri! Non fare come me, che non sono stata abbastanza coraggiosa da fare qualcosa che valesse la pena di essere notato o ricordato. Morirò presto e nessuno si ricorderà di me.”

Era terribile sentirle dire quelle parole. Niente, nessuno sarebbe dovuto essere in grado di rendere Annie così triste.
Un po’ triste poteva andar bene, ma non così tanto triste. Rendeva troppo triste anche Blaine.
E Blaine era già tanto triste di suo.

“L’unica persona che indosserebbe un papillon per fare in modo che gli altri si ricordino di me sei tu” pianse, le gettò le braccia al collo e smise di contenere le lacrime che aspettavano di schizzare fuori da un momento all’altro.
Annie rimase ad accarezzargli la testa piena di gel fino a che non smise di singhiozzare. Trattenne le lacrime, impegnata ad allontanare gli sguardi dei compagni con occhiatacce.

“Promettimi che indosserai papillon per sempre” mormorò contro i suoi capelli profumati.

“Te lo prometto” rispose lui.

---

Ha preso uno dei suoi papillon e se lo sta annodando al collo, concentrato e pronto. Deciso a lasciare un segno in quella scuola, deciso a battere Brittany e diventare rappresentante d’istituto.
Giacca, cravatta e lacca per capelli. Ovviamente gel, immancabile.

Blaine è al liceo, Annie è morta anni fa. Lui l’ha sempre portata nel cuore e ha evitato gli ospedali per un bel po’.
Fino a che non ci è finito lui, purtroppo.
L’ha sempre ricordata, prima di ogni esibizione e in ogni nodo che si fosse mai stretto al collo, dal giorno della sua morte in poi.

Ha provato a chiedere a Kurt quale papillon fosse più adatto indossare il giorno del dibattito. Lui non gli ha risposto, così ha provato a pensare a quello che gli avrebbe consigliato lei.
C’era  stato qualcosa di sbagliato in quell’atto, ma quando un paio di lacrime avevano minacciato di tornare all’attacco aveva preferito smettere di pensare a lei e a Kurt. Al fatto che tutti quelli che ama, prima o poi se ne vanno.  
E allora lui che senso aveva?

E’ per questo che, quando Sam gli rivolge l’attenzione a suon di via quel papillon!, risponde quasi con leggerezza.
“Mi sa che hai ragione, è meglio così. Ti ringrazio”.




nda: E anche la penultima è andata. Oggi (giorno del compleanno di Darren, aw) parte il countdown per la fine di questa piccola raccolta di shot su Blaine. Spero che questa passeggiata in mia compagnia vi abbia divertito ed emozionato almeno un po’. OH quasi dimenticavo: ho aperto un nuovo profilo facebook. Se volete, inviatemi l’amicizia qui! :)
A martedì con l’ultimo capitolo… e grazie!
Ps. Spero che abbiate cliccato l'immagine "nascosta" in alto... ;)

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Capitolo 7
*** Everything is gay and nothing hurts! ***


Everything is gay and nothing hurts!

Non sono mai stato capace di tenere un diario ma, alla luce dei miei diciotto anni, credo sia arrivato il momento di imparare.

Caro diario,
probabilmente è colpa del fatto che non abbia mai scritto niente a parte compiti di letteratura e testi di canzoni. E’ una parte di me che dovrei esercitare, ora che ci penso. Fa schifo non saper scrivere!

In realtà non credo di non saper scrivere. Non credo esistano manuali per imparare a scrivere, a parte gli abbecedari e quelle schede con cui i bambini imparano a coniugare. Ho sempre immaginato fosse una questione di cose da dire. Non si è un artista se non si ha qualcosa da dire. Altrimenti che bisogno si avrebbe di parlare agli altri? Che poi sia attraverso le parole o la musica, cosa importa?

Personalmente, credo nulla. Ma i miei voti in letteratura parlano da sé: sono un bravo studente. So cosa voglio dire e so come dirlo. Nella maggioranza dei casi so anche quando dirlo, e se può sembrare che mi stia vantando troppo stai calmo: io ti ho creato e io posso decidere di distruggerti. Quindi non ti conviene lamentarti.

D’accordo, d’accordo. La mia acidità non è giustificata dal fatto che tu sia – senza offesa – un oggetto inanimato, hai ragione. Mi dispiace. Posso giustificarmi dicendo che sono davvero molto nervoso all’idea di dover davvero parlare di questa cosa.

Vedi, le tue pagine gialline devono sapere che mi chiamo Blaine Anderson e sono gay. Niente da dire su questo.
O, insomma, magari io e te potremmo non avere niente da dire, ma posso assicurarti che nel mondo in cui si parla e non si scrive (non volermene, è così che funziona dalle mie parti) navigo in correnti tempestose. Ma non è un problema così urgente.

Non ho sempre saputo di essere gay, però  ho sempre immaginato che avrei avuto un ragazzo e, nonostante sapessi che gli uomini stanno con le donne, ho sempre immaginato (sì, ero un bambino dalla grande immaginazione) che fosse una cosa normale quanto l’andare in giardino a potare il cespuglio. Solo dopo qualche anno, un trauma cranico e qualche ricostruzione dentale ho scoperto che purtroppo non è così.
E’ interessante ricordare il momento in cui ho scoperto di essere gay. Dovevo essere davvero piccolo, perché mio fratello Cooper era nel suo periodo “sto iniziando le lezioni su come prendere i primi piani quindi devo mantenere la pelle liscia” e si era rifiutato di andare ad aprire la porta di casa perché era impegnato a raccogliere il borotalco che aveva sparso in bagno nel tentativo di prenderlo dalla mensola dove c’erano tutte le cose della mamma.

Dico c’erano perché adesso che sia io che mio fratello frequentiamo casa davvero poco, hanno occupato praticamente ogni mensola non solo del bagno, ma dell’intero appartamento.

In ogni caso l’immagine di mio fratello piegato in due a raccogliere polvere bianca borbottando qualcosa sul fatto che fosse estremamente importate avere sempre a portata di mano un prodotto che combattesse le irritazioni da contatto continua a ripetere nella mia testa “se tuo fratello etero appare così gay, immagina che effetto potresti fare tu nella sua stessa situazione”.
Andai ad aprire la porta. Feci un po’ di fatica ad arrivare alla maniglia perché sono sempre stato basso, ma al momento non è un problema. Un bassotto avrà sempre la meglio su un chihuahua, c’è chi mi apprezza.

Era l’idraulico. La nonna stava male e mia madre era a casa sua e solo ora che sono più grandicello ringrazioDioperché, volendo dar retta a tutte le leggende metropolitane riguardo gli idraulici, saremmo stati davvero in allarme sta per arrivare un altro fratellino e un divorzio. E Cooper non avrebbe mai avuto la forza di separarsi né dai prodotti idratanti di mia madre né dai soldi con cui mio padre glieli regalava. Quindi, tragedia evitata. Meno male che la nonna non avesse digerito la pizza del giorno prima, insomma (nonna perdonami!).

E devo dire che l’idraulico smosse dentro di me quel qualcosa che l’universo aspettava si smuovesse. Insomma, era davvero bello.
…ripensandoci doveva essere quella salopette di jeans a renderlo particolarmente attraente. Ma aveva un viso carino e una chiave inglese. Molto caratteristico.

“Non c’è la mamma?”

Inizialmente mi chiesi per quale motivo papà non andasse bene, ma in ogni caso non c’era nemmeno lui. Se solo fosse andato Cooper ad aprire la porta, probabilmente avrebbe avuto la prontezza di sbattergli la porta in faccia per salvare sia nostra madre da una gravidanza che me dall’omosessualità. Non che ora mi dispiaccia, voglio dire… è parte di me. Certo, avrei preferito che ad avere l’onore di rubarmi il cuore per primo fosse stato un attore di Broadway piuttosto che l’idraulico. Tra l’altro abbiamo scoperto che avesse sbagliato pianerottolo, e che casualmente la signora del piano di sotto fosse rimasta incinta nonostante fosse vedova.

Arrivarono i giorni in cui capii di essere diverso dagli altri. Capii di dover assecondare quello che ero e di doverne essere fiero. Però, caspita, l’idraulico mi aveva messo in crisi.

Nei momenti di frustrazione non potevo fare a meno di vederlo come l’oggetto del peccato, la tentazione, tutto quello che ero e che non avrei voluto essere. Poi ho smesso di violentare la mia giovane mente e mi sono deciso ad accettare ed amare la cosa. Ero piccolo ma sapevo che sarebbe stata dura. Era dura per quella cassiera del supermercato particolarmente brutta, figuriamoci se non sarebbe stata dura per un diverso come me. Senza contare il fatto che non avevo idea del fatto che ci fossero altre persone come me.

Quando ho conosciuto Sebastian Smythe mi sono sentito di nuovo messo in crisi. Non che ne fossi innamorato – non ero innamorato nemmeno del signor idraulico, dopotutto – ma non potevo negare il fatto che fosse un attraente adolescente gay. Anche un po’ sfacciato, a dire la verità.

Capii che mi avesse messo in difficoltà anche lui solo quando una notte il mio subconscio mi rifilò un sogno in cui piombava a casa mia nel bel mezzo della notte e mi salutava con un “Salve, sono Sebastian, faccio l’idraulico e indosso una salopette. Ah, ho una chiave inglese.”
Quella notte decisi che non avrei mai più mangiato Thailandese.

Sebastian, come l’idraulico, era tutto quello che avrei accettato di avere se non avessi già avuto quell’universo che è Kurt. Come l’idraulico, era la piega sbagliata che avrebbe potuto prendere la mia vita.

 Allungare il caffè col cognac, ma dai. A Lima, per inciso. Ma che gente frequento?

Per fortuna la condotta di Sebastian ha preso una svolta decisiva. Improvvisamente ha iniziato a girare dal lato giusto ed è diventato quasi un bravo ragazzo. Ho sempre creduto che il fatto di essere sempre così protetto dalla famiglia lo abbia svantaggiato riguardo la costruzione di rapporti umani: ha sempre dovuto fare qualche casino prima di rendersi conto di starne facendo. Eppure si impara. Si impara sempre…

Sono felice di quello che ho imparato in questi anni. E’ la cosa di cui sono più orgoglioso, forse.
Devi sapere che è poco che ti scrivo e sono già affezionato a te, non credevo che sarebbe potuto accadere. Per questo voglio rivelarti un segreto.

Mi hanno buttato a terra un sacco di volte, davvero. Tantissime. Ad un certo punto ho smesso di contarle, ma sono sicuro che se avessi continuato a farlo sarebbe uscito fuori un numero vergognoso. Ma se potessi tornare indietro le conterei, in modo da poterti dire quante volte sia riuscito a rialzarmi.
Avrei potuto avere un’idea di quante volte abbia urlato che sì, sono gay e non è un tuo problema! o di quante volte abbia sussurrato alle ragazze chesono davvero sicuro di essere gay. Davvero, piccola. Non me ne farei niente del tuo numero… ma grazie comunque.

Il mio nome è Blaine Anderson, ma questo lo sai già.
Sono stato insultato, preso a calci e picchiato. Sono scappato da demoni, ho dovuto accettare compromessi e sono stato messo in gabbia. Ho accettato di affrontare incubi per un uomo che avrei conosciuto solo un giorno… l'uomo di cui mi sono innamorato. Ho cantato canzoni d'amore. Sono stato in piedi di fronte a folle, forte e senza paura. Ho vissuto, ho amato, sto ancora combattendo la mia guerra.
Il mio nome è Blaine Anderson.  E sono l'eroe di qualcuno.

---

“Sì, sono gay. Cento per cento gay!”



nda: E, con questa, siamo alla fine. E’ stata una delle prime ad essere stata scritta, mi sono divertita un sacco e mi sono persino fatta disegnare Seb in versione idraulico. (Sempre grazie Anny!)
E’ stato strabello leggere ogni settimana i vostri pareri e aggiornare ogni martedì mi mancherà UN SACCO. Per adesso ho in cantiere una long Klaine e una long un po’ strana, un po’ Klaine, ma incentrata principalmente su Sebastian. Ho i contatti di tutte voi che recensite, se volete posso avvisarvi se la pubblicherò! Oltre a questo, non credo ci sia molto altro da dire. Solo grazie, grazie, grazie e grazie a quell’eroe che… tutti noi sappiamo bene chi sia.
Alla prossima!

EliCF

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