Un imprevisto di onelux (/viewuser.php?uid=30790)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'appostamento ***
Capitolo 2: *** le cose si complicano ***
Capitolo 3: *** la sera sopra la neve ***
Capitolo 4: *** cominciare a crescere ***
Capitolo 5: *** sangue e pensieri ***
Capitolo 6: *** nel frattempo... ***
Capitolo 7: *** nell'attesa del giorno sta il senso della notte ***
Capitolo 1 *** L'appostamento ***
Il freddo pungente penetrava gli spessi abiti.
Stare fermi ad attendere che gli uomini uscissero dalla casa di legno era estenuante ma non potevano fare altro. Dovevano aspettare che fossero tutti fuori per ucciderli.
Se avessero sparato, ed uno solo della banda fosse rimasto dentro l'abitazione, sarebbero stati troppo esposti, e non li avrebbero presi tutti.
Quindi rimasero ancora nascosti tra alberi e cumuli di neve. in attesa.
Era quasi l'imbrunire che la porta d'ingresso si apri e cominciarono ad uscire gli uomini della banda di William Earp.
William Earp era stato un impiegato postale prima di darsi alla razzia ai furti ed agli omicidi. Aveva cominciato rapinando per ripianare dei debiti di gioco e nel tempo aveva raccolto intorno a sé un gruppo di balordi ed ex delinquenti di basso livello, che però, seguendo le direttive di William, che conosceva bene come funzionavano le poste e i trasporti di valori, avevano cominciato ad essere un serio problema.
Molto serio. Molto grave. Molto pericoloso.
E come diceva il suo amico King.
“più sono cattivi, più alta è la ricompensa”
E la ricompensa era pari alla loro reputazione.
Per il capo banda erano addirittura 2500 dollari, 1000 per Robert Cherries ( per la sua riconosciuta spietatezza durante le rapine) e 500 dollari per ognuno degli altri 7 complici. Per un totale di 7000 dollari in un colpo solo! In un colpo solo perchè dopo vari appostamenti, girovagare e offerte di birre nei vari saloon del territorio erano riusciti a scovare dove si nascondeva l'intera banda. Tutti insieme. Forse pronti ad organizzare un nuovo colpo.
Mancava poco.
Lui e King si erano appostati davanti alla casa disposti in un angolo di 45°, per poterli colpire meglio.
Sapevano che erano in 9. Si erano quindi accordati che avrebbero sparato quando l'ultimo del gruppo avrebbe chiuso la porta dietro di sé e fosse salito anche lui sul cavallo.
questi era appena uscito e aveva già dato la spinta al proprio corpo dopo aver messo il piede nella staffa quando, di colpo ritornò a terra. Forse si era improvvisamente ricordato di non aver preso qualcosa o, in previsione di un lungo viaggio, improvvisamente riteneva di dover svuotare la vescica non del tutto sgonfia.
Fatto sta che tutto avvenne in fretta. Troppo in fretta per poter chiaramente capire come mai tutto andò a rotoli.
Non ricordavano chi di loro due avesse sparato il primo colpo, forse avevano sparato in contemporanea. Era strano come ormai si intendessero senza parlarsi, avevano trovato una bizzarra sintonia in questo crudele “lavoro”. Ma stavolta questa sintonia, questa capacità di lavorare in squadra, aveva incontrato un imprevisto.
L'imprevisto si chiamava John Scott Watson. Era stato velocissimo a lasciare il cavallo e al primo colpo sparato era già sulla soglia della porta. Fu un attimo. Chiuse la porta dietro di sé e velocemente si diresse verso la finestra. Non capiva chi ci fosse la fuori a sparare ma capì subito che per sopravvivere doveva sparare a sua volta, non sapeva a chi al momento, ma doveva sparare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** le cose si complicano ***
il primo colpo di fucile
che partì,
centrò in pieno petto uno dei ragazzi della banda che stava
più
vicino a Django. Il colpo fu così potente che il corpo cadde
a circa
10 piedi da dove stava con il cavallo.
Fu il caos.
Alcuni della banda, tra cui
William
Earp, estrassero subito le pistole e spararono nella direzione da cui
avevano sentito arrivare le prime esplosioni, gli altri, quelli non
ancora colpiti cercarono di tenere i cavalli che si agitavano.
Ma il vero problema si
rivelò essere
John Scott Watson. Django si era accorto, sebbene tardi, che questi
si era riparato in casa ed era armato. Mentre King no. Quindi quando
il bandito cominciò a sparare lo fece con la certezza di
essere al
riparo e potendo vedere meglio dove fossero, e quanti fossero, gli
aggressori. King era quello più vicino a lui ed era anche
quello più
esposto, visto che proprio per colpa della sua stessa ottima mira era
anche rimasto scoperto. Avendo colpito 2 banditi e 3 cavalli che
erano sulla traettoria tra lui e l'uomo nascosto nella casa. Per John
fu facile individuare la sua posizione e, più per un colpo
di
fortuna che altro, colpirlo.
Django non smise per un
attimo di
sparare, colpì 3 banditi. Due li uccise subito
perchè li prese in
pieno nel cuore, per uno era solo questione di tempo in quanto stava
annegando nel suo stesso sangue che gli si spandeva nei polmoni.
Un altro era rimasto a
terra sotto il
peso del suo stesso cavallo. Impossibilitato a muoversi. Rimanendo li
tutta la notte sarebbe morto prima dell'arrivo del giorno. Ucciso dal
freddo.
Django realizzò
immediatamente che
qualcosa era successo a Schultz, in quanto non prevenivano
più
colpi dalla posizione in cui stava il suo socio ed amico.
Ma che fosse vivo o fosse
morto era
ininfluente.
Se era morto spostarsi per
accertarsene
lo avrebbe esposto ai colpi dei banditi rimasti.
Se era vivo non aveva senso
andare da
lui per controllare ed aiutarlo, visto che la priorità era
un'altra
al momento.
Uccidere tutti i banditi.
Ma la cosa si stava
complicando.
La posizione da cui sparava
John Scott
Watson aveva dato la possibilità, il tempo e la copertura
necessaria
a due degli altri ricercati di entrare nella casa.
Tra quelli vi era anche
William Earp ed
un altro della banda. Cornell Cussler, segni particolari
“rosso di
capelli”, come diceva il foglio della taglia. Di sicuro
Cornell era
stato ferito ma solo di striscio, ad un braccio, mentre William Earp
era rimasto incolume.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** la sera sopra la neve ***
Il silenzio regnava.
Dopo la feroce sparatoria
improvvisamente non si sentiva più nessun suono.
Qualche flebile lamento
dell’uomo rimasto sotto il cavallo ma nulla di più.
Django pensò di
approfittare di questo momento in cui i banditi, all’interno
dell’abitazione, stavano probabilmente facendo il punto della
situazione per capire come comportarsi, per andare a vedere il suo
socio.
Decise di farlo tenendosi
il più nascosto possibile. Sebbene il buio cominciasse ad
avvolgere tutto rimaneva ancora troppo rischioso esporsi.
Si mosse verso la
postazione di King.
Mantenendo un occhio alla finestra dove, fino a poco
prima,
John Scott Watson sparava.
La neve scricchiolava sotto
i suoi passi. Man mano che si avvicinava la preoccupazione aumentava
nel non sentir nessun suono provenire dal suo amico.
Era a circa 15 piedi
quando sentì l’inconfondibile rumore del
caricamento del cane di una Remington calibro 44...
Django non seppe se
preoccuparsi o tirare un respiro di sollievo.
Schultz era vivo. Si
fermò dov’era. “Sono io. Django. Posso
avvicinarmi?”
La preoccupazione espressa
nella domanda era evidente.
Senti la tensione di
Schultz uscire con un forte respiro a lungo trattenuto. E nessun altro
suono o parola emessa. Non gli sembrò un buon segno. Si
avvicinò e si chinò sull’uomo.
“Come stai? Sei
stato ferito?” la
domanda era sciocca lo sapeva. Era ovvio che era stato ferito, ma gli
sembrava la cosa più facile da dire.
“Non bene amico.
Il nostro cattivo ha
fatto un colpo buono”. La voce era stanca e prendeva delle
pause
tra una parola e l’altra. Si chinò e pose le sue
mani sul giaccone
di pelliccia. Si chiese che tipo di ferita avesse e dove.
“il
braccio…”. Proprio quando l’amico gli
disse così senti
dell’umido sotto la sua mano nuda, e la tipica fastidiosa
vischiosità del sangue. Accidenti.
“Senti ce la fai
ad alzarti e
camminare, dobbiamo andare ai cavalli e cercare un posto tranquillo.
Ormai qui non possiamo fare molto.”
“credo di farcela
Django ma ho
necessità di un aiuto. Dubito di riuscirci da solo”
Ormai mancava poco al buio
completo ma era certo che i banditi rimasti avrebbero sicuramente
ancora visto due ombre spostarsi nel bianco della neve,
pensò quindi che prima di alzarsi fosse meglio
procedere bassi nella direzione opposta alla casa, finchè
gli alberi li avrebbero nascosti.
Raccolse la pistola di
Schultz mentre gli lasciò il fucile che fu usato come
appoggio.
Cercare di spostarsi
rimanendo chini si
dimostrò meno facile del previsto. Django dovette
farsi carico
di parte del peso dell’uomo debilitato e, mantenendo a tratti
lo
sguardo verso l’abitazione per ogni evenienza, cominciarono
ad
avvicinarsi al bosco.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** cominciare a crescere ***
Il piccolo bivacco era a
circa un
miglio di distanza da dove erano. Unico suo scopo della sua esistenza
era quello non avere troppa distanza. tra le loro cose e i corpi da
portare via a lavoro finito.
E i corpi dei ricercati,
almeno di quelli che erano stati colpiti, avrebbero atteso il giorno
dopo.
Adesso serviva fare il
punto della situazione, capire come stava il dottore e organizzarsi per
i tre banditi sopravvissuti.
Percorrere quel miglio era
stato estremamente difficile. Quando si erano allontanati abbastanza
dalla casa ed erano al sicuro coperti dagli alberi avevano acceso una
lanterna, Perchè ora mai diventato buio.
Seguirono il percorso
lasciato dai loro passi nella neve all'andata, più di una
volta Django dovette fermarsi per permettere a Schultz di riprendersi
dallo sforzo. Gli ci volle quasi un ora per raggiungere la tenda.
“Forza, ci siamo
quasi. Adesso basta entrare e poi potrai riposarti”. Anche
Django era stanco. Il freddo, la neve, la sparatoria, la fatica della
camminata, la paura per il compagno e lo sforzo nel sostenerlo verso
l’accampamento. Si sarebbe volentieri buttato dentro le
pellicce senza neppure togliersi gli stivali. Oh e se ne aveva voglia.
Era stanco. Era arrabbiato. Era incazzato.
Ma non poteva lasciarsi
andare. Il lavoro non era finito.
Dentro la tenda accese
un'altra lampada ad olio. Aveva bisogno di luce e, sebbene facesse
freddo. Spogliò King.
La pelliccia di lupo.
Il soprabito.
La giacca.
Il gilet.
Il cravattino.
La camicia.
La maglia.
Tutto era intriso di
sangue.
Lo coprì con una
pelliccia e gli lasciò fuori solo il braccio ferito. Il
sinistro.
Prese un po’ di
acqua dalla borraccia e bagno un pezzo di stoffa della camicia. E
cominciò a pulire.
Subito vide il foro del
proiettile. Piccolo. Probabilmente la presenza di tutto quel vestiario
aveva in parte fatto perdere la velocità alla pallottola.
Perche non era uscita. Era ancora dentro.
“Django. Adesso
ti chiedo una cosa.” La voce lo aveva quasi spaventato. Non
aveva detto nulla per tutto il tempo della camminata, ed adesso, quasi
in un sussurro, gli stava parlando.
“Immagino di
sapere cosa vuoi. Ma io
non sono capace, non ho mai estratto una pallottola, non so come si
…”
“non ti devi
preoccupare. È
semplice. Prendi un coltello ben affilato lo infili nel foro. Sarebbe
stato meglio avere una pinza ed altri strumenti ma al momento va
bene così. Non aver paura c’è
già il buco”. Sorrise king. Un
sorriso sbilenco. “Ovviamente dovrai disinfettare prima il
coltello
su una fiamma. Non vorrai salvarmi dall’emorragia e farmi
morire di
infezione vero?”…una piccola risata usci per
morire subito sulla
sua bocca. “Sbrigati. Sono stanco e immagino anche tu. Quindi
prima
facciamo prima finiamo. AH!”. Lo guardò serio.
“Qualsiasi cosa
accada. Qual-si-a-si. Devi finire il lavoro domattina presto.”
“Non
capisco?”
“Django.
Domattina devi essere davanti alla casa dove sono quegli uomini
ricercati. Devi finire il lavoro. Non possiamo permetterci di lasciarli
andare.” Django non capiva se dicesse sul serio o era solo
una specie di delirio legato alla perdita di sangue ed allo sforzo.
“Schultz, io non posso, non sono ancora capace
…”
“Sciocchezze. Sei
capace e prima o
poi dovrai farlo da solo. Tanto vale farlo stavolta. Loro non sanno
quanti li aspettano. Non immaginano che tornerai. E più
importante.
Non sanno quanto è bravo quello con cui hanno a che fare. Ma
adesso
basta procedi.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** sangue e pensieri ***
La fiamma delle lanterne
era l’unica
cosa che riscaldava la piccola tenda.
Fece scaldare la lama del
coltello su una delle fiammelle fino a che non la ritenne abbastanza
disinfettata; pulì ancora un ultima volta quella piccola
ferita che sembrava aver smesso di sanguinare. Vicino a sé
aveva preparato una benda ed una compressa con le parti rimanenti della
camicia.
Afferrò
saldamente il braccio del dottore per evitare che facesse movimenti
improvvisi mentre usava il coltello.
Non era la prima volta che
si prendeva cura delle ferite di qualcuno.
Nessun bianco faceva curare
da un medico uno schiavo, era quindi normale che gli schiavi si
prendessero cura dei loro stessi compagni di sventura. Ed era logica
conseguenza che fossero a conoscenza di qualche rudimento di
assistenza. Di conoscenze tramandate più che altro e apprese
con la pratica.
Ma stavolta era diverso.
Non aveva mai assistito una persona che non fosse un nero, e per quanto
fosse da Schultz considerato un amico e un suo pari, si sentiva
improvvisamente responsabile, per la prima volta, della vita di un
bianco.
Realizzò che una
vita di schiavitù di violenze di soprusi, non solo lo aveva
fatto sentire diverso dai bianchi. Ma per la prima volta si rese conto
quanto nella sua anima fosse radicato l’odio per essi.
Di come l’odio
genera odio.
Tremava. Non sapeva per
cosa. Il freddo.La paura di sbagliare. La paura di non essere
all’altezza.
Forse un ricordo della
paura di venire punito, se avesse sbagliato.
Guardò negli
occhi l’uomo che aveva
sotto di se.
Vide in quegli occhi lucidi
di febbre e semichiusi dalla stanchezza non un uomo, ma un amico.
La
responsabilità che aveva era la vita di un amico, non di un
bianco.
Infilò la punta
del coltello nella ferita.
Il sangue
cominciò nuovamente ad
uscire, scese a coprire l’altra sua mano, fece in fretta a
cercare la pallottola e, fortunatamente senti subito la presenza di
quel pezzo di metallo nel muscolo. Allargò la ferita e vide
il
luccichio del proiettile nel sangue, lo mantenne in punta di coltello
e lo tirò fuori.
Il sangue dalla ferita
scorreva come un
fiume in piena. Il tempo di prendere un tampone fatto di stoffa,
premerlo sopra la lacerazione, che già la pelliccia su cui
giaceva
King si era insanguinata.
Django prese un profondo
respiro. E
cominciò a fasciare il braccio.
Compresse il più
possibile la ferita per fermare l’emorragia.
Guardò il
dottore. “Come va?” … Nessuna risposta.
Chinò la testa sul torace dell'uomo e senti il battito.
C’era.
Non forte e potente ma
c’era. Questo contava. Si pulì le mani dal sangue
e dal sudore, tocco il viso di King e lo trovò insolitamente
caldo per il freddo che faceva.
Sistemò
l’uomo nelle coperte, spostò la parte sporca di
sangue, lo adagiò in una posizione più comoda. Si
sdraiò nelle coperte di pelo anche lui e lo strinse a
sé. Faceva troppo freddo per stare distanti.
Come lo cinse con il
braccio lo sentì mormorare qualcosa. Ma non capiva le
parole, forse era tedesco, forse era un miscuglio di lingue, forse
erano solo suoni senza senso.
Ma una cosa la sentiva. La
paura nel tono della voce.
Sarebbe stata una lunga
notte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** nel frattempo... ***
“Quanti pensi che
fossero la fuori?” chiese Cornell Cussler
mentre si guardava la ferita sul braccio.
“Non credo
più di due. Ed uno di sicuro è
ferito!!”
rispose John Scott Watson.
Dentro la casa di legno la
temperatura cominciava ad essere confortevole
grazie al fuoco acceso.
“Sono sicuro di
averlo ammazzato! Bastardi cercatori di
taglie, pensavano di fregarci eh!! Idioti!!! Li abbiamo fregati
noi!!!” John
rideva istericamente fino alle lacrime.
“TACI! Non ti sei
accorto che la maggior parte dei nostri
compagni stanno fuori morti nella neve!? E tu pensi di averli
fregati!!! Quei
bastardi, di sicuro, che sia uno o più, torneranno di
certamente. Non sono così
idioti da lasciare dei soldi nella neve. Domani saranno di sicuro qui.
Ma
saremo pronti. Stavolta.” William Earp era lucido nella sua
esposizione. Sapeva
perfettamente che sarebbe rimasto vivo solo se avesse agito in fretta e
specialmente se avesse fatto l’unica cosa saggia da fare.
Scappare.
Cornell guardo con aria
stupita “Li facciamo fuori?
Vendichiamo i nostri amici giusto!?”
“No
scappiamo” Lo sguardo perso tra le fiamme del camino e
la mano che puliva la pistola. “non ho nessuna intenzione di
morire e diventare
il contante di qualche d’uno che vuole fare denaro in fretta.
Nossignore. Ho rubato
per potermi garantirmi IO un futuro più tranquillo da
qualche altra parte di
questo paese. Non per diventare il futuro più tranquillo di
altri. Intesi!”
Si guardarono in faccia e
convennero che si, questa era la
soluzione migliore. Più sicura.
Questo non voleva dire che non
fossero pronti ad ogni
evenienza, ma di sicuro l’obiettivo era scappare evitando
qualsiasi possibilità
di rimanere feriti, o peggio. Uccisi.
Cominciarono a prepararsi per
il mattino dopo.
Sacca con dentro il
necessario, pistole pronte e cariche. E
turni per dormire. Si sarebbero alzati presto. Ancora con il buio. in
quel
momento in cui il sole non è ancora sorto ma è
già pronto per farlo, sarebbero
usciti velocemente diretti verso il bosco. Se aveva funzionato da
riparo per i
bounty hunter avrebbe funzionato anche per loro. Sarebbe stato
più difficile
essere colpiti ed essere visti tra le ombre del mattino in mezzo a
tutti gli
alberi. Conoscevano la zona molto meglio di chi li cercava, ed era di
fatto
l’unico loro grosso vantaggio. Avevano perso i cavalli,
fuggiti durante la
sparatoria. Dovevano quindi percorrere il bosco a piedi fino al paese
più
vicino, circa 10 miglia.
questa è la mia prima storia.
mi farebbe piacere avere un ritorno, sia sulla storia che sulla
esposizione.
grazie a chiunque leggerà e recensirà
: )
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** nell'attesa del giorno sta il senso della notte ***
Tentare di dormire si
mostrò
impossibile.
La tensione delle ore
trascorse era difficile da smaltire e l’uomo che aveva tra le
braccia non tranquillizzava per niente.
Il dottore alternava
silenzi pesanti a momenti di agitazione. Entrava ed usciva
continuamente dall’incoscienza. E la febbre sembrava
bruciarlo. Ogni tanto si alzava e prendeva un po’ di neve
fuori dalla tenda, l’avvolgeva in una pezzuola e gliela
poneva sulla fronte nel tentativo di abbassargli la temperatura.
Per un paio d’ore
sembrò calmarsi. Sembrava meno caldo. Appariva
più tranquillo.
Gli sembrava che qualcuno
lo chiamasse.
No. Qualcuno lo stava
chiamando.
Aprì gli occhi.
King lo stava chiamando. Girò la testa e incrociò
gli occhi del dottore a pochi pollici dai suoi.
“Sei sveglio?
Dovresti dormire.” Disse Django guardandolo perplesso.
“Django. Se mi
muoio voglio che tu prenda tutti soldi, che vai a liberare Broomhilde,
e che andiate via da qui. Lontano” gli occhi di King si
riempirono di lacrime. La voce tremava. “In California.
È bello. In riva all’oceano si sta bene. Gli
inverni non sono mai freddi. Si vive bene dicono. Voglio che andiate
lontani. Ti prego. Lo farai?”
Django guardo
l’uomo che aveva vicino. Sentì
un’emozione crescergli dentro.
“Lo
farete?!” ripeté King, con un'urgenza nella voce
che sembrava che la tutta la sua esistenza avrebbe avuto un senso solo
alla risposta dell'uomo.
“Lo
farete!?” le lacrime cominciarono a sgorgare dagli occhi.
Sentì la mano del braccio sano stringergli i vestiti.
“Si. Si certo. Lo
faremo. Ma tu sarai con noi. Non ti preoccupare, non è
niente questo, passerà , è solo un momento,
domani mattina sarà passato tutto.”
King stava già chiudendo gli occhi continuando a piangere in
silenzio.
Django lo guardò
e lo strinse a se. “Domani sarà tutto passato.
Adesso dormi.”
Senti il respiro di King
farsi più
lento e superficiale. E lentamente lo sentì rilassarsi
continuò a
cullarlo e a sussurrarli parole rassicuranti.
Forse più per se
che per lui.
Se Schultz moriva era certo
che anche un pezzo di sé moriva con lui.
Oltre alla
possibilità di liberare la sua amata Broomihilde.
Sapeva che da solo non ne
sarebbe mai stato capace. E sapeva che aveva ancora molto da imparare.
Sapeva inoltre che sarebbe stato gravemente esposto andando in giro da
solo. Essere un negro libero era più pericoloso che essere
un negro schiavo in queste terre.
Aveva bisogno del suo
dottore per tanti
motivi.
Alcuni nobili, altri un
po’ meno. Ma non per questo meno forti e validi.
Cercò di
riposare un po’.
Sapeva che doveva alzarsi
presto per finire il lavoro.
L’indicazione del
dottore era giusta.
Non poteva permettersi di lasciare liberi quei banditi.
Anche perché nel
freddo della tenda si chiese se i banditi non stessero pensando anche
loro di alzarsi presto. Ma con l’intento di cercarli e
finirli.
Questo pensiero gli girava
nella mente. Finire morti per mano delle loro prede.
Niente soldi. Finire come
carne per i
coyote o i lupi.
La prospettiva non lo
allettava.
Mancavano poche ore
all’alba. Voleva riposarsi ancora un po’ poi si
sarebbe preparato.
King sembrava essersi
addormentato, non
pareva più agitato né parlava più.
Anche la febbre sembrava scesa.
Sempre alta ma non più come prima. Chiuse gli occhi sperando
di
rivederlo di vivo.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1608974
|