A study in favourites.

di pralinedetective
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the reckless and the brave, all time low ***
Capitolo 2: *** the great divide, in this moment ***



Capitolo 1
*** the reckless and the brave, all time low ***


[ A study in favourites. ]

 

 

It’s a little vicious world that we live in,


Lydia mimava parole con le labbra a tempo con Alex Gaskarth, un braccio a coprire il seno per pudore e l’altro intorno alla vita per conforto, interamente immersa nell’acqua ormai tiepida eccezion fatta per il naso e gli occhi.
Spostava lo sguardo nella stanza — sul soffitto, sul cielo nuvoloso fuori dalla finestra accostata, sui raggi di luce che attraversavano le boccette di profumo e gettavano ombre colorate sulla parete alle loro spalle, sull’acqua calda che cadeva incessante sulle sue ginocchia, piegate e appoggiate alla parete della vasca da bagno.

 
Quella playlist era qualcosa che si concedeva raramente: un piacere proibito destinato a quando casa era vuota (un’occorrenza estremamente rara, dopo… l’Episodio) e tenere il sorriso sulle labbra sembrava troppo faticoso.

 
Patrick Stump le cantava di non preoccuparsi di lui impegnato a osservarla da dentro l’armadio, e di con quanta grazia stessero precipitando, e Lydia si sorrideva nello specchio a figura intera.


Coperta fino al ginocchio da un accappatoio color panna, i capelli appena tamponati sulle spalle e sulla fronte, il volto smagrito e il trucco che aveva dimenticato di togliere prima del bagno era colato sulle guance, spalmato in modo poco piacevole intorno agli occhi,


Jackson l’aveva vista così una volta sola. Aveva storto il naso e l’aveva paragonata alla
figlia sfortunata della piccola fiammiferaia con un panda; Lydia aveva riso e poi lo aveva sbattuto fuori di casa, rifiutando di rivolgergli la parola per due giorni.

 

“Little brat must be crazy, never make it in our vicious little world,”
Still I’m leaving,

 

Aveva ancora i capelli umidi e i piedi nudi, il viso ora pulito ma ancora pericolosamente pallido; era immersa nel frigo fino alle spalle, nauseata da tutto quel che vedeva, quando udì il campanello. Non aspettava visite e sapeva che non poteva trattarsi dei suoi genitori, quindi sbirciò qualche secondo dallo spioncino prima di decidersi ad aprire.


“Ti conosco?” chiese, arricciando il naso alla sua visitatrice.
I capelli corti e biondicci mantenevano una piega assurda e imbarazzante che li voleva in piedi e sparati in diverse direzioni; indossava abiti larghi che nessun essere umano si sarebbe mai sognato di mostrare alla luce del sole (ma neanche della luna) e quando la porta si aprì stava sbucciando un’arancia, completamente fuori stagione.


“Dobbiamo seguire lo stesso copione ogni paio di mesi?” rispose la ragazza con un sospiro, infilandosi in tasca i brandelli di buccia con noncuranza. “Non cambio mai
così tanto. Tu, d’altro canto… Tutto bene, Didi?”


La Martin riconobbe il soprannome con un brivido. “Siamo già ad ottobre?” domandò, più a se stessa che alla sua interlocutrice.


Ella sorrise divertita, poi cominciò a ondeggiare lievemente, avanti e indietro, ripetendo ciò che aveva imparato a memoria come se si trattasse di una filastrocca. “Mio fratello mi manda a ricordarti che settimana prossima sarà il suo compleanno, che sei attesa alla festa in giardino venerdì alle otto e che questo non è un invito bensì un ordine.”


Lydia ignorò per un momento l’invito — David Greenberg non le era mai piaciuto troppo, lo considerava un inutile spreco di spazio, però se c’era qualcosa in cui era davvero bravo era organizzare una festa.
Studiò invece la sorella minore di Dave, Andy: da quando aveva nove anni (e Lydia e Dave dieci) aveva assunto come una missione il riferirle personalmente delle feste organizzate a casa Greenberg.


La guardò con discreto interesse, cercando di capire per quale ragione questa volta non fosse riuscita a riconoscerla; era divenuto una specie di gioco, una sfida che si ripresentava ogni paio di mesi. “Eppure sono certa che i tuoi capelli erano verdi, la scorsa volta.”


Andy gettò la testa all’indietro in una breve risata, poi tornò a guardarla sorridendo.

Attention that we crave, don’t tell us to behave, citò accennando qualche nota.


Ma prima che potesse aggiungere qualcosa Lydia aveva perso interesse nella conversazione; non si era avventurata fino all’ingresso per conversare con una qualsiasi conoscente.
Chiuse la porta in faccia alla ragazzina, la quale le ricordò con urgenza, “Non mancare, Didi! Dave mi ucciderebbe!”


Sospirò, promettendosi che per farsi perdonare l’avrebbe salutata con la mano la prossima volta che l’avesse incrociata in corridoio.
Abbandonato ogni proposito di trovare uno spuntino — visto l’orario era assolutamente fuori questione, recuperò uno dei giornali medici della madre e si accoccolò sul divano.

 

Our song has not been sung,
Long live us.

 

 

 

 

 

 

 

[NA] (manca di betaggio!)

Da dove nasce questa cosa? Allo stupido GDR nessuno presta abbastanza attenzione alla figura di Lydia, tragica e meravigliosa, e l’unica persona che abbia tentato di impersonarla ha fallito clamorosamente.

Questo è solo un prologo, non si capisce ancora niente però il progetto di fondo c'è, se vorrete darmi fiducia. Conto di rendere l’aggiornamento settimanale. Non so cosa aggiungere, non sono brava nelle note a fine pagina D:

Le canzoni citate sono The reckless and the brave, We’re going down, down e Fat lip perché sono una persona nostalgica.

 

ucchan

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Capitolo 2
*** the great divide, in this moment ***


[ A study in favourites. ]

 

 

Lydia siede in aula e fissa un punto indistinto alle spalle del professor Larson; muove la testa a destra e a sinistra, seguendo il ritmo (incerto, irregolare) del discorso dell’insegnante ma senza trovare la forza di ascoltare una sola parola. L’uomo parla, parla, parla come se tutto quel che dice fosse fondamentale alla loro sopravvivenza;

lei sa che non è così,

come sa che sicuramente anche McCall ne è a conoscenza. Scott, a differenza sua, siede in seconda fila e prende appunti, riempie righe di parole vuote che non sarà mai in grado di ripetere in maniera soddisfacente, ma almeno fa un tentativo.

La ragazza sbuffa e allontana la sedia dal banco, si appoggia allo schienale, si osserva distrattamente le unghie; sono tutte riflessioni pre-confezionate che si considera perfettamente in grado di ricostruire e superare al momento del compito in classe, e poi, davvero, in questo momento vuole solo chiudere gli occhi e smettere di esistere, solo per cinque minuti...

Percepisce passivamente che il professore ha chiamato il suo nome e alza lo sguardo fino a incontrare il suo con una mozione fluida che sa di aver perfezionato; il sorriso infastidito le si congela sul viso quando decifra l’espressione di Larson, un misto di pietà e – qualsiasi altra cosa che la riempie di rabbia.

Un tempo era proprio lei ad aprire le discussioni, muovendo critiche solo in apparenza superficiali ad autori e personaggi; lo scorso aprile Larson cantava le sue lodi e la proclamava sua alunna migliore, così profonda, così intuitiva...
Adesso la guarda come a dire, mi dispiace figliola, e Lydia detesta questo piccolo uomo.

“Sì?” ripete, aprendo per la prima volta il libro e cominciando a sfogliarlo senza mai staccare gli occhi dai suoi. Il professore risponde alla domanda implicita, le indica il numero della pagina e le chiede di cominciare a leggere ad alta voce, per la classe. Non è neppure l’inizio del brano antologico, però quando comincia nessuno la corregge, dunque procede.
All’inizio non capisce molto e ancora meno le importa; fino a che comincia a cogliere e interpretare parole del testo che si trova davanti. Finisce in una dimensione opposta e parallela alla propria, un luogo terribile che la stravolge.
 

   If I was bound for hell, let it be hell. No more false heavens.
   No more damned magic. You hate me and I hate you.
   We’ll see who hates best.

   But first, first I will destroy your hatred. Now. My hate
   is colder, stronger, and you’ll have no hate to warm yourself.


      You will have nothing.
 

Quando suona la campanella e finisce la lezione lei continua a leggere, rapita, sconvolta. Nessuno dei presenti osa muoversi, o tentare d’interromperla.

L’incantesimo si rompe, e gli studenti si alzano in piedi e raccattano le proprie cose in fretta per lasciare posto a chi aspetta da lunghi minuti fuori dalla porta chiusa.

Lydia sa che in molti la stanno guardando, adesso, ma non riesce a immaginare cosa stiano pensando, non riesce a sentire cosa stiano sussurrando. Arrabbiata e tremendamente imbarazzata, allontana McCall con una spinta che non è nelle sue corde e si rifugia nell’aula di Economia, suo regno.
 
 
 




 
Danny chiude il suo armadietto per incontrare il bel volto di Lydia teso in un sorriso di cortesia.

“Non mi saluti?” chiede lei allontanando i capelli dalla spalla con un gesto calcolato, gli occhi fissi nei suoi in maniera tanto intensa da far perdere a entrambi cognizione della differenza d’altezza.

“Non è tuo dovere parlare con me, lo sai,” le risponde il ragazzo, superandola e cominciando a camminare per il corridoio. “Nessuno ti giudicherà!” getta alle proprie spalle, consapevole che sarebbe la frase sbagliata se davvero avesse voluto allontanarla da sé.

Lydia infatti gli si accosta con un verso indignato, si aggrappa delicatamente al suo braccio e sorride serafica. “Certo che parlo con te, sei mio amico. Sei carino e non-stupido, quindi benvenuto nella schiera dei privilegiati.”

“Quale onore,” sorride Danny in risposta, aprendo per entrambi la porta secondaria della mensa. “Vuoi pranzare con me?”

“Ti prego,” sbuffa l’altra alzando gli occhi verso il soffitto.

“Rude, signorina Martin.”

“No, davvero, ti prego: se dovrò ascoltare un altro non-commento su un membro della squadra di lacrosse infilerò la forchetta nell’occhio di qualcuno.”

Questa volta Danny ride, le avvolge un braccio intorno alle spalle e le bacia i capelli. Le mette in mano il proprio zaino e le raccomanda di trovare posto per entrambi; promette di ricordare cosa la sua nuova dieta le concede e si allontana per comprare il pranzo di entrambi.

Lydia così si volta e si allontana, e tiene saldamente lo zaino con entrambe le mani e ben lontano dagli abiti come fa con Prada dopo una passeggiata all'aperto.



La scuola per Lydia non è cambiata affatto, quest’anno.

Jackson è – semplicemente sparito, è uscito di casa due mesi fa come se dovesse andare in palestra ed è salito su un treno senza salutare nessuno; ha scritto a Danny per chiedergli di riportare la Porsche ai suoi genitori il giorno dopo la sua partenza.
Lydia non ha pianto una volta, da allora, né lo ha mai giustificato.

Allison è tornata, dopo la fuga di Jackson ma prima che la scuola ricominciasse; occupa brillantemente quella sagoma che ha lasciato dietro di sé ma non la riempie mai, sfugge dalle dita come fumo.

Le ragazze ridono e commentano argute, Lydia non sopporta l’eccessiva stupidità, ma restare troppo a lungo con loro è stancante e la mette di cattivo umore; ora non può assistere a una partita della squadra di lacrosse senza incontrare sguardi indagatori e questo è forse ciò che la irrita di più.

Le piace il lacrosse, non ha mai inteso privarsene, come non avrebbe mai voluto rendere difficili i rapporti con Danny oppure smettere di parlare con Charlotte perché ha zittito davanti a lei un'altra che cercava di commentare gli ultimi allenamenti.


 
“Allora, a cosa devo la bella sorpresa?” domanda Danny, tornato al tavolo e sta adesso affonda i denti in un sandwich dall’aspetto poco sano.

Per un momento Lydia è spaesata: afferra la sedia con entrambe le mani e sbatte le palpebre più volte, intreccia le caviglie, si guarda attorno.
Si rende conto di non essersi accorta di quando l’amico si è seduto né del vassoio che le ha fatto scivolare davanti, e (ancora un po’ turbata) libera (a fatica) una mano per prendere la forchetta di plastica.

“Di cosa stai parlando?” gli chiede senza alzare gli occhi dal piatto. La singola fetta di carne è secca e praticamente fredda quindi ripiega sul contorno, sono verdure non identificabili ma il sapore è gradevole.

“Di noi, di questa cosa nella quale tu fingi di non avermi ignorato negli ultimi due mesi e io di non essermela presa.”

Danny le sta davvero simpatico, non parla a sproposito e sa quello che fa.
Rinuncia a mangiare, le è passata ogni traccia di fame; allontana il pranzo e appoggia le mani aperte sul tavolo, fissa nuovamente lo sguardo nel suo.

“Ho bisogno che tu mi dica quello che sai.”

“A riguardo di…?” la incoraggia il portiere, però il modo in cui ha lievemente aggrottato la fronte alle sue parole lo tradisce.

“Tu sai di cosa sto parlando. Studenti che muoiono, altri che spariscono, qui c’è un segreto e,” inghiottisce prima di pronunciare quel nome per assicurarsi una voce più ferma, “Jackson è coinvolto. Sei sicuramente riuscito a raggiungere informazioni a me precluse –”

“Lydia.”

Si morde le labbra, stringendo gli occhi e cercando ogni tipo d’indizio sul viso dell’altro studente. “Danny.”

Lydia,” ripete con un sorriso amaro sul viso.
Scuote il capo e lascia cadere il resto del panino sul vassoio, le punta un dito addosso: “Lyds, lascia stare questa storia. So che non sei completamente all’oscuro e non riuscirai mai a dimenticare quello che già sai, però devi provarci.”

Danny si alza e se ne va più in fretta di quanto lei non sia in grado di reagire, e mentre lui esce dalla mensa con il cellulare in mano la ragazza ha solo il tempo di tirarsi in piedi a propria volta e lanciargli un Vigliacco! nel quale non crede davvero.

Esce dal locale ed è prontamente intercettata da Stilinski: questi la ferma in corridoio con la scusa di chiederle una mano con Chimica, ma ha ancora in mano il proprio telefonino e Lydia sa che è un azzardo e una cattiveria, però sospetta che sia stato proprio Danny a chiedergli di distrarla.

Lo liquida senza dire nulla e si allontana in direzione dell’uscita della scuola, le orecchie e il collo in fiamme per la furia e la vergogna.
 
 
 




 
Stiles cammina all’indietro il paio di metri di corridoio che gli restano, guarda la figura di Lydia farsi più piccola finché non è costretto a voltarsi: Danny ha le mani in tasca e lo sconforto dipinto in faccia.

“Amico, era necessario,” gli dice con le labbra increspate da un sorriso non sincero. Alza il braccio per accompagnare il tutto con una simpatica pacca sulla spalla, però rinuncia quando l’altro apre la bocca per parlare.

“E tu come lo sai?”

Udite le parole Stiles si chiude, incrocia le braccia sul petto e incassa un po’ la testa sulle spalle, e risponde con frasi brevi e forti.

“Lo è, non preoccuparti di questo. Lascia fare a noi.”


 
Why does fear dominate when all we want is peace? 
 


 

 

 

 


 

[NA] (manca di betaggio!)
Allo stupido GDR c’è bisogno di gente! Gente! Gente! Gente per tenere occupata Nion, così Mason e Sai hanno il tempo di fare le cosacce nel retrobottega. Mentre si trovano nel retro. AHAHAHA OMG
C’è bisogno che io parli di questo capitolo? È stato un parto e l’ho odiato per l’ottantacinque percento del tempo in cui stavo scrivendo, e poi boh. Solo a me sembra che non capiti nulla? Porca miseria, e ho fallito tantissimo nell’utilizzare Danny, mi sento una merda.
La citazione nasce daaa Wide Sargasso Sea, se non erro è il titolo, e non ricordo il nome dell’autrice perché faccio schifo; è tradotta in maniera MOLTO larga nell’introduzione, la traduzione è il mio tallone d’Achille: ho letto il testo in inglese e non sono riuscita ad azzardare più di tanto anche qui. Ve la beccate in lingua originale; pazienza.
Grazie ancora a chi si è preso il tempo di recensire la scorsa volta #bow
 
ucchan

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