The Creature

di Ryo13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***










Chi sono?
Sei la mia creatura.


Non capisco. Chi mi ha creato?
Sono io. Il tuo inizio e la tua fine. Il tuo tutto. E così sarà per sempre.

Perché sono al mondo?
Perché io ti ho voluto. Ora hai me. Mi avrai per sempre.

Non capisco. Cosa significa “per sempre”?
Un eterno senza fine.

Eterno… senza fine…
Ti darò il concetto di queste parole.

Perché?
Affinché tu non conosca mai la solitudine.

Solitudine…
Cancella questa parola. Per te non esisterà. E non esisterà mai più nemmeno per me.

Si,
creatore.
Non mi
chiamerai così.

Come
devo chiamarti?
Amelia.

Amelia…
Esisterò solo io d’ora io poi. La tua vita è per me così come la mia sarà per te.

Sì, Amelia.
Bene.

Anche io avrò un nome?
Sì. Tu
sei Adam.

Adam.
Sì… Adam. Chiudi gli occhi per ora. Devi imparare chi sei.


Sì, Amelia.




 

Questo prologo non è che il preambolo essenziale per entrare nell'atmosfera che sarà attratti un po' onirica del racconto. Spero che possiate passare subito al primo capitolo e darmi un parere =)

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


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Adam stava seduto in giardino. Aveva completato tutte le mansioni di cui si occupava giornalmente e ora osservava ed analizzava il movimento degli insetti sul terreno: si muovevano apparentemente in maniera casuale, ma egli aveva iniziato a notare delle ripetizioni nei loro schemi comportamentali. Ogni sei-punto-sette secondi si arrestavano e cambiavano direzione di marcia virando esattamente di trentadue gradi. Anche questo era uno di quei momenti in cui capiva che qualcosa non andava: la sua mente analizzava la realtà circostante con una precisione tanto acuta quanto naturale, eppure aveva il ricordo di momenti in cui la visione delle cose non era come quella presente. Particolari non notati, strutture di pensiero diverse… però non sapeva spiegarsi da cosa ciò dipendesse. La sua mente poneva un unico e grande vuoto a quel quesito. Non c’erano abbastanza elementi da combinare per trarre logicamente una qualsiasi risposta.
“Potrei chiedere ad Amelia”, pensò per un istante. Salvo poi ricordarsi della reazione che aveva ogni volta che faceva delle domande che coinvolgessero il funzionamento del suo cervello e del suo sistema nervoso in generale. I suoi ricordi – interrogandosi a proposito della loro natura – rientravano in pieno in quella categoria.
Si udì in lontananza un cane abbaiare.
“Amelia sta per tornare” si disse. Allora si alzò, scrollò la polvere dai pantaloni e rientrò attraverso la grande porta-finestra di vetro.
Si avvicinò alla porta d’entrata e lì attese cinque, dieci e poi quindici minuti. Qualcosa non andava: non era da Amelia tardare. Il suo cervello registrò la variazione di schema ed avviò un processo di registrazione, archiviando il caso come una nuova voce di comportamento.
“Cosa si deve fare quando Amelia manca nel tempo che si suppone debba esserci?”
La risposta arrivò quasi istantaneamente: voce comportamentale in modalità ‘Assenza di Amelia’ anche archiviata come ‘tempo libero da spendere da solo’.
Dunque Adam si spostò dall’ingresso e si diresse verso il televisore nel salotto. Lo accese e mise su un canale che trasmetteva documentari di vari generi. Quel giorno si parlava delle abitudini delle famiglie di leoni nella Savana. Adam avviò in automatico il programma di apprendimento e cominciò a salvare le informazioni nella propria memoria. Non passò molto altro tempo che un rumore attirò la sua attenzione. Riconobbe quello schema immediatamente: rumore di porta che si apriva e chiudeva, due passi, rumore di chiavi che si poggiano sul mobile dell’ingresso, altri tre passi, fruscio di soprabito che scivola sulla pelle e successivamente entra in contatto con la stoffa del giubbotto già appeso all’attaccapanni... era tornata Amelia!
«Adam! Sei in casa?» una voce cristallina si diffuse in tutto l’ambiente e risuonò di un’eco debole.
«Amelia, sono qui!»
Adam abbandonò il divano e si diresse verso la porta da cui fece capolino una piccola testa rossiccia da cui dipanavano lunghi ricci morbidi. Gli occhi verdi della ragazza si puntarono contro di lui. Erano ombreggiati da un sentimento che Adam riconobbe come timore.
Adam sorrise, tranquillizzandola.
«Come te la sei cavata?» gli domandò.
«Alla grande.» rispose automaticamente.
L’espressione di Amelia si ammorbidì ed anche lei sorrise. «Bene!»
«Ho tardato e non avevo con me il cellulare.» spiegò.
«Non preoccuparti. Dopo i primi quindici minuti di attesa, ho registrato un nuovo comportamento, come da programma.»
Il sorriso di Amelia si incrinò leggermente e qualcosa, nel suo sguardo, si spense.
Adam riconobbe anche quello schema, così si affrettò a dire: «Bentornata!»
Tese le braccia e la circondò, ammantando l’esile figura della donna quasi interamente. Con uno slancio la sollevò sulle braccia e girò in tondo, trascinandola con sé.
«Ahahah! Adam! Mettimi giù!» gridò tra le risa Amelia, colta di sorpresa.
Ma Adam sapeva che quella richiesta era fittizia: il comando – ansimato, pronunciato tra le risa, mentre il cuore le batteva forte – non esigeva una soddisfazione reale.
Attese che riprendesse fiato, poi, tenendola ancora in braccio, inclinò il volto verso il suo e la baciò.
Amelia gli circondò il collo con le proprie mani e lo strinse a sé.
«Ora puoi mettermi giù, briccone!» sussurrò lei sulle sue labbra dopo che si erano separati.
Questa volta la richiesta era sentita. Fece come diceva Amelia.
«Hai mangiato?» riprese ad interrogarlo lei.
«No.» rispose Adam. «Non serve mangiare quando non ci sei.»
«È vero.» ricordò Amelia. L’espressione di nuovo mesta.
«Preferisci che attivi lo stimolo al nutrimento anche quando sono da solo?»
Amalia distolse lo sguardo dal ragazzo e rispose dopo qualche secondo: «No. Non è necessario.»
«Amelia, dimmi cosa faccio di sbagliato! Se non me lo dici non posso capire quale comportamento sia il migliore!»
«Non puoi! Non puoi capire!» gridò all’improvviso, con foga. «Non voglio che parli di risposte e di comportamento! Non voglio che parli di stimoli e schemi! Il mio Adam non deve parlare così!»
«Va bene, Amelia, non ne parlerò più.» acconsentì prontamente questi.
Così Adam archiviò anche questa richiesta aggiungendo il comando alla voce ‘ordini prioritari applicabili a tutte le categorie’. Spostò poi gli argomenti ‘stimoli - risposte’ e ‘comportamento - schemi’ sotto la voce ‘tabù’, e non ne parlò più.

 

[Continua...]

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Eccomi col secondo capitolo!
So che Amelia non si presta a ispirare le migliori simpatie, e probabilmente già in questo capitolo e nel prossimo starà un po' nel naso a tutti... però è una donna ferita che agisce esclusivamente spinta dal suo dolore... un dolore del quale si parlerà man mano al dipanarsi della storia. Spero che possiate davvero apprezzarla **
Vi prego di lasciare un commento per farmi sapere che impressione avete della storia e dei suoi personaggi! Grazie *^*



Capitolo02_zpsc5b57ea7

Quando Adam chiese: «Amelia, perché io non esco mai?»
Lei, che stava stesa sul letto a leggere un libro, sollevò la testa e rispose: «Perché non hai nessun luogo dove andare.»
«Tu hai un lavoro.» disse lui. «Non posso venire con te, dove vai tu?»
«No, Adam, non è possibile. Non voglio che tu venga con me.»
«Perché?»
Amelia sbuffò e si mise a sedere. «Non voglio che i miei colleghi ti vedano.»
Adam non ebbe altro motivo per interrogarla su quell’argomento. Accettò semplicemente la sua risposta.
«Posso uscire a fare una passeggiata allora?»
«E dove andresti? E… se ti perdi?»
«Memorizzerei la strada da fare, così tornerei indietro senza problemi.»
Amelia si stropicciò l’orlo della maglietta e si morse il labbro. «Non so… preferisco di no, Adam. Rimani a casa come fai sempre e aspettami, d’accordo?»
«Se è quello che tu vuoi, Amelia, farò come dici.»


Poche settimane dopo, mentre Amelia faceva il bagno, capitò che qualcuno suonasse alla porta. Adam venne distratto dalla composizione del puzzle su cui stava lavorando, un quadro che Amelia voleva appendere sulla parete della camera da letto, colpito dal fatto che quella fosse la prima volta che qualcuno suonava il campanello. Amelia usava sempre le chiavi per entrare e fino ad allora non avevano mai ricevuto ospiti di nessun tipo. Si avviò allora ad aprire, pronto a registrare di chi si trattasse e cosa volesse il nuovo venuto.
Quando spalancò l’uscio un uomo sulla quarantina, tarchiato e dai capelli spruzzati di grigio se ne stava a fissare attentamente una cartella con dei fogli protocollo appuntati sopra. Parlò distrattamente, senza guardare in faccia il proprio interlocutore: «Amy, so che non mi volevi in mezzo ai piedi, ma davvero c’è bisogno di discutere di questi dati… il computer alla INC non dà segni di vita e, che io sappia, solo tu hai i dati in memoria sul tuo portatile. Non ti disturberò per molto tempo, ma fammi entrare.»
Quando concluse la frase, si decise a sollevare il capo, supponendo che una preghiera con lo sguardo avrebbe certamente aiutato la causa di quella verbale appena espressa.
L’uomo strabuzzò gli occhi e boccheggiò in cerca di aria. Intanto Adam aveva assistito alla scena senza aprir bocca perché lo sconosciuto aveva parlato riferendosi ad Amelia. Ma lui non era Amelia, quindi non aveva motivo di rispondere alla sua richiesta.
Trascorsero dei lunghi secondi pregni di silenzio.
Poi l’uomo sussurrò: «Tu sei… tu sei Adam!»
«Tu conosci il mio nome.» constatò questi candidamente. Poi captò i segnali dell’agitazione in quell’uomo sconosciuto e aggiunse: «mi conosci?»
«Tu…! Ma com’è possibile?! Tu… non può essere!» il sussurro rauco si stava progressivamente trasformando in un mormorio affannato. Il volto gli si fece paonazzo e si passò la mano tremante sulla fronte, asciugando alcune grosse gocce di sudore.
«Sei Adam?!» chiese facendosi più forza.
«Sì, sono io. Tu perché mi conosci?» ripeté il giovane che non sapeva cosa stesse succedendo ma essendo deciso a capirci qualcosa. Stava analizzando quella situazione da tutti i punti di vista che poteva, ma nell’insieme, quei dati, non gli portavano nessuna risposta che gli facesse capire quale schema adottare per ricambiare il suo approccio estraneo. Sembrava quasi avere paura di lui, ma Adam non capiva perché la sua sola presenza scatenasse quella reazione in quell’individuo.
“Dopotutto – pensava – non sto adottando comportamenti pericolosi o a rischio. Perché le sue pulsazioni sono aumentate? Perché ha le pupille dilatate e suda?”
A quelle domande, appunto, non sapeva come rispondere.
Dopo qualche altro minuto, il signore parve riprendere padronanza di sé.
«Mi fai entrare?» chiese cauto.
«Prego, accomodati.» rispose Adam che non aveva motivo di lasciarlo fuori.
Lo portò nel salone dove, sapeva, si facevano accomodare gli ospiti.
«Tu dici di essere Adam, ho ragione?»
«Io sono Adam.»
«Ma com’è possibile?» borbottò l’uomo andando su e giù per la stanza. «Adam, lui… non può essere! Che sia…? Ma no! Ho visto… io c’ero… non può…!»
I mozziconi di frase non concluse confondevano ancora di più il povero Adam.
“Queste frasi sconnesse somigliano al principio del delirio o della farneticazione. Si, forse sto assistendo a una vera farneticazione…”
Ma mente il suo cervello era intento ad analizzare l’ospite come fosse un insetto da giardino, questi aveva intanto ripreso a domandare.
«Come… come sei finito qui? Cosa ci fai… Amelia, lei…» non concluse il pensiero.
Adam disse: «Io ci sono sempre stato.»
«Ma cosa dici! Possibile mai che tu sia… no, non può essere!»
«Cosa non è possibile, signore?»
«Che tu sia Adam!» esclamò.
«Ma io sono Adam. E lei come si chiama, signore?»
Spiazzato, quello lo fissò per qualche secondo. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca della giacca e se lo passò in fronte e sul collo.
«Non mi riconosci, ragazzo?»
«No, signore. Io non l’ho mai vista.»
«Non ricordi nemmeno John?»
«Affatto.»
«Com’è possibile mi domando…?» borbottò tra sé. Poi si rivolse ad Adam e si presentò. «Io mi chiamo Marcus. Sono un collega di lavoro di Amelia. È in casa?»
«Amelia sta facendo il bagno. Piacere di conoscerti, Marcus.» Protese la mano che Marcus afferrò con un po’ di sorpreso ritardo.
«Da… da quanto tempo ti trovi qui, Adam?»
«Da sempre.» disse «E sempre ci resterò. Io sono di Amelia. E Amelia è mia.»
«Non sarai un…?» barcollò indietro e si appoggiò sul divano.
«Marcus, credo che lei stia soffocando. Tiri un bel respiro profondo, questo l’aiuterà.»
Ma l’aria non voleva saperne di passare dalla gola dell’uomo che tremava in preda alle vertigini.
«A-Adam… mi faresti vedere un attimo il tuo… il tuo collo?» balbettò alla fine.
«Certo. Ha il mio permesso.»
Incerto, Marcus si avvicinò al ragazzo. Per facilitargli il compito, Adam prese posto su una poltrona e rimase immobile.
Allora l’ospite si decise e, scostando dal lato sinistro l’orlo della maglietta, puntò lo sguardo verso un segno inconfondibile sulla pelle: l’emblema della INC Corporation risaltava sulla pelle chiara di Adam: nero, un marchio indelebile sul collo, che spiccava e pugnalava la coscienza di Marcus, riempendolo di una comprensione che, non soltanto lo sbalordiva e lo confondeva, ma lo spaventava, anche, oltremisura.
«Che cosa hai fatto, Amelia? Che cosa hai fatto?...»
«Qualcosa non va Marcus?»
«No, Adam. Mi serve solo un attimo per riprendermi.» disse tornando sul divano e lasciandovisi cadere pesantemente. Poi prese a studiarlo con una nuova curiosità e comprensione, ma non con meno timore.
«Come passi le tue giornate, ragazzo?» gli domandò.
Adam scrollò le spalle come presupponeva una risposta vaga e generale. «Pulisco, cucino, curo il giardino, guardo la televisione e memorizzo nuove cose… e poi parlo con Amelia, gioco con lei, le leggo i libri…»
«Ca-capisco.»
Un rumore al piano di sopra distrasse entrambi da quella magra conversazione.
«Ecco Amelia!» esclamò con gioia Adam. E si alzò per andarle incontro.
Amelia, che dalle scale aveva sentito le loro voci, scese chiedendo: «Adam, con chi parli?!»
Giunta al piano terra, però, ebbe da sé la risposta alla propria domanda.
«Marcus! Cosa ci fai qui?!» Spostò lo sguardo dall’uno all’altro, sempre più allarmata.
«Ero venuto per quei documenti…» spiegò indicando i fogli abbandonati sul tavolino di fronte al divano, assieme alla sua ventiquattrore. «Ma Amelia! Tu… come hai potuto? Adam, lui è… tu non potevi…!»
«Stai zitto, Marc! Tu non hai il diritto di giudicare!» sbraitò la ragazza puntandogli il dito contro.
«Ma è una cosa sbagliata! Non in questo modo… tu non avevi il diritto…!»
«Sì che ce l’avevo! E comunque non sono affari tuoi, Marcus! Vattene via e non tornare più!»
«Come posso andarmene così? Dopo aver visto…»
«Tu non hai visto niente!» l’interruppe lei brusca. «È meglio che tu non ne faccia parola con nessuno!»
«Ma non posso tacere! Non su una cosa del genere!»
«Sì che lo farai!» insistette.
Entrambi ansimavano, fissandosi in silenzio da un capo all’altro della stanza.
«Non dovevi farlo, Amelia.» disse Marcus, in un sussurro. Fissò Adam con tristezza e rassegnazione. «Nessuno di noi aveva il diritto di usare quella memoria. Anche se il progetto era tuo e stava procedendo bene, non dovevi usare quella memoria dopo che… dopo la morte di Adam.»
«Adam non è morto! Io gli ho ridato la vita!» gridò con un singhiozzo. «Nessuno, nessuno poteva capire come mi sentissi! Tutti voi, non facevate altro che darmi pacche sulla spalla e dirmi che presto sarei stata meglio! Ma non era così, non c’era fine al dolore! E sai perché non riuscivo ad arrendermi, Marc? Sai perché continuassi a sentite quel dolore sordo al petto? Era perché sapevo che una parte dell’uomo che amavo era lì che mi aspettava! Non mi aveva lasciato del tutto! Come potevo abbandonare il suo ricordo e mettere da parte l’amore che provavo per lui quando la memoria del nostro amore e del tempo trascorso assieme era lì a portata di mano? Abbandonarlo di mia propria volontà sarebbe stato molto peggio che averlo perso per un banale accidente del destino! Non potevo arrendermi senza tentare! E come vedi ci sono riuscita!»
Adam, per quanto cercasse, non riusciva a mettere nel giusto ordine le informazioni assorbile. Rimaneva in silenzio con lo sguardo un po’ vacuo, perso in un processo che non riusciva a trovare sfogo.
«Lui ha in sé i ricordi di Adam! Lui è Adam!»
«Gli avrai anche dato il suo aspetto e i suoi ricordi, ma lui non potrà mai essere l’uomo che amavi, Amelia. Cerca di capirlo prima di farti ancora più del male.»
«Io so quello che sto facendo! Io sono felice! Non ho bisogno che qualcuno come te mi venga a dire come sia meglio vivere la mia vita! E ora vattene da casa mia, Marc! Vattene!»
«Me ne sto andando, Amy.» disse tristemente. «Ma dovrò fare rapporto, lo sai.»
«Fai quel che ti pare! Adam mi appartiene e non mi lascerà mai! Sappilo!»
«Può essere che lui non lo farà mai… ma che succederà quando sarai tu a lasciare lui
Amelia non rispose ma continuò imperterrita a fissarlo in attesa che lasciasse la sua casa. Marcus si arrese: raccolse le sue cose e se ne andò. Prima di lasciarli del tutto, però, aggiunse: «Non credo che finirà bene, non lo credo affatto. Questa è una falsa felicità che ti stai costruendo, Amy, pensaci bene… prima di distruggerti con altro inutile dolore.»
Chiusa la porta di casa, Amelia si abbandonò a un pianto silenzioso. Adam le si avvicinò e la prese tra le sue braccia.
«Non piangere, non piangere.» le disse. «Ci sono io qui con te.»
«Non mi lascerai mai, vero Adam?»
«Certo che no, Amelia. Io sono tuo, ricordi? E anche tu mi appartieni. Staremo insieme per sempre.»
«Sì…» mormorò la ragazza. «Per sempre.»

[Continua...]

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Vi lascio il 3° capitolo che, come potete vedere, è cortissimo U.U
Ps. non tirate pomodori ad Amelia, please XDD

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Le giornate si succedevano veloci e gli stessi schemi di comportamento venivano ripetuti. E mentre la lista dei tabù aumentava, il suo rapporto con Amelia si faceva sempre più disteso e felice. Erano sempre di meno le volte in cui lei si rabbuiava per qualcosa che diceva o faceva, perché Adam si adattava a tutti i comandi e a tutti i suggerimenti della sua ragazza.
Egli, infatti, viveva unicamente in funzione di lei. Amelia era il suo inizio e la sua fine, lo scopo ultimo di tutti i suoi pensieri. Il benessere della ragazza e la sua felicità venivano prima di qualsiasi altra cosa per lui.
Sapeva che Amelia aveva bisogno di continue attenzioni e traeva ispirazione dai suoi strani ricordi per imitarne le azioni e il comportamento. Era infatti giunto a capire che ella era di gran lunga più contenta se agiva imitando quei ricordi.
Allora Adam apriva sempre la braccia per accoglierla, quando lei rientrava a casa; le sorrideva spesso e la baciava con frequenza. La toccava carezzandola dappertutto, facendo pressione in particolari punti e strofinandone altri quando si trovavano sul loro grande letto. Più Amelia ansimava e si contorceva, più lui capiva di stare facendo un buon lavoro e continuava.
Non passò ancora molto tempo, però, che quell’apparente soddisfazione si incrinò e Amelia tornò a essere cupa e di carattere scostante. Adam cercava, come sempre, di accontentarla in tutto, ma non aveva abbastanza ricordi su cui basarsi per farle piacere.
Ora, quando la toccava, lei si scostava; quando le diceva “ti amo” lei rispondeva: “davvero?” ma aveva sul volto un’espressione scettica, quasi crudele, che tuttavia Adam non sapeva come spiegare.
Un giorno, mentre lei era ai fornelli, provò ad afferrarla per i fianchi e a sussurrarle sull’orecchio: «Cosa prepari di buono? C’è un bel profumino! E io sono molto affamato!»
Nei suoi ricordi, Amelia si girava e gli intimava di stare alla larga dal loro pranzo e gli ingiungeva di non fare il selvaggio come al suo solito, quindi Adam si aspettò che reagisse proprio in questa maniera. Ma lei si irrigidì e le cadde di mano il mestolo. Poi scoppiò in un pianto angoscioso e disperato e si accasciò su se stessa.
«Amelia! Amelia! Amore mio, sono qui con te! Perché piangi? Perché? Amelia…!»
Ma più Adam cercava di parlarle, più lei singhiozzava e prendeva a spingerlo con le mani per allontanarlo da sé.
«Smettila! Smettila! Tu non sei lui! Tu non sei il mio Adam! Non chiamarmi mai più! Non pronunciare più il mio nome! Vattene! Vattene!»
Così gridava, rendendo Adam sempre più confuso. Quel comando, impartito con tanta animosità, faceva contrasto con uno dei principi generatori del suo sistema. Si rese conto che non poteva eliminare la voce ‘Amelia’ dalla lista dei modi con cui poteva appellarla. Il suo nome era scritto dentro di lui così diffusamente che eliminarlo avrebbe significato menomare irreparabilmente se stesso. Avrebbe significato annullarsi.
Disse l’unica cosa che poteva: «Non posso. Non posso smettere.»
Ma Amelia non gli badava e continuava ad annegare nel suo dolore. Ripeté ancora una volta: «Vattene via da qui!»
Ed Adam uscì dalla stanza, lasciandola sola. Ma rimase dietro la porta socchiusa e l’ascoltò piangere. Allora provò di nuovo a eliminare il suo nome, proprio come lei aveva richiesto, ma fallì una seconda volta: era inutile, non aveva accesso alla memoria madre, dove erano contenute tutte le impostazioni di base. Era completamente impotente.

[Continua...]

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Spero che questo capitolo riesca a far comprendere il carattere di Amelia e le sue reazioni ^^
Probabilmente, questo, è anche il capitolo dove troviamo informazioni del vero Adam di prima mano narrate in terza persona, quindi, per questo, più fedeli ai fatti accaduti ^^
È un piccolo scorcio sul passato che ci induce a comprendere ancora meglio il perché dei fatti verificatisi successivamente! *-*
E sicuramente capirete molto di più soprattutto ciò che riguarda il "funzionamento" dell'Adam attuale!
Spero vi piaccia! <3

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Amelia era una scienziata che aveva fatto presto fortuna grazie al suo genio. Era stata una bambina prodigio con i voti sempre alti e una grande capacità comprensiva e di penetrazione. La sua mente analitica affascinava e spaventava gli adulti che la circondavano perché se da un lato erano curiosi dei ragionamenti perfettamente logici di una bambina così piccola, dall’altro non potevano fare a meno che cogliere il lato grottesco in cui quella stessa bambina era in qualche modo “disumanizzata” dalla sua stessa forza logica. Era come osservare un adulto intrappolato nel corpo piccino di un essere innocente. E quella innocenza, appunto, era ciò che più creava ambiguità.
Solo la crescita pose fine a questa ambivalenza di sentimenti che Amelia suscitava negli altri. Già da adolescente prese a frequentare l’università e ben presto si ritrovò laureata e specializzata nel campo che più di tutti l’affascinava: quello delle tecnologie intelligenti.
Sebbene ancora in fase sperimentale, la scienza aveva fatto molti passi avanti in questo settore, ma fu grazie all’aiuto di Amelia che raggiunse vette di successo mai toccate prima.
Il primo e quasi unico progetto di cui ella si occupò, fin dalla prima volta in cui prese servizio alla INC – la più grande e famosa compagnia di progettazione robotica – fu quello della riproduzione umana su un robot: lo scopo era quello di riuscire a creare un androide che avesse non solo l’aspetto esteriore simile a quello di un essere umano, ma che fosse anche in grado di compiere i più basilari processi del corpo. Alla tecnologia fornita dalla compagnia – quella di una struttura ossea in acciaio ricoperta da pelle sintetica e modellata con forme umanoidi – Amelia aggiunse un impianto computerizzato centrale, sito nella cavità cranica che non aveva precedenti per rapporto dimensioni / capacità di memoria. E, siccome Amelia puntava a un obiettivo dagli orizzonti più ampi, non passò molto tempo che, oltre alla costruzione di un corpo fisico funzionante, non avviasse un nuovo progetto che avesse come obiettivo l’archiviazione degli schemi comportamentali umani e la traduzione di questi in linguaggio di computer. A ogni stimolo corrispondeva una reazione: più lo stimolo si arricchiva di “voci” che lo caratterizzassero, più specifica, appunto, ne risultava l’azione conseguente.
Allora se allo stimolo “pianto” corrispondeva la reazione “chiedere con garbo: “C’è qualcosa che non va? Hai bisogno di aiuto?”, se al pianto si aggiungeva la voce “bambino” si apriva l’opzione di dire: “Ti sei perso?”; e così via in una struttura sempre più complicata e complessa su cui era necessario lavorare per anni e soprattutto rendere il lavoro aggiornabile nel tempo, già quando l’androide fosse stato in funzione, in modo tale che esso, anche da solo, si sarebbe potuto servire di programmi che rintracciassero particolari schemi di comportamento e li archiviasse aggiornandoli di sempre più nuove voci a cui avrebbe potuto far corrispondere delle azioni di reazione.
E mentre la struttura di base degli input veniva costruita tramite computer, per codici, (dove, per esempio, la parola “rabbia” si traduceva con un elenco di sintomi che il robot avrebbe dovuto riscontrare nel soggetto osservato, ovverosia “alzamento del tono della voce, aumento della pressione sanguigna, conseguente arrossamento della pelle, contrazione dei muscoli facciali, movimenti scattanti, ecc…) la relazione tra gli input, il linguaggio, e il comportamento, dovevano essere copiati direttamente da una mente umana.
Fu così che, al progetto, venne integrato Adam, un ragazzo sulla ventina, simpatico e solare, che si era prestato al compito per il bene della scienza.
Una volta sincronizzato il suo cervello, tramite sinapsi, al computer centrale, Adam avrebbe portato un micro impianto vicino al midollo spinale che avrebbe continuato a trasmettere al computer, che avrebbe tracciato i collegamenti sinottici. Ma il programma per la costruzione della personalità dell’androide comprendeva anche un registratore di immagini e suoni: pertanto, oltre ai collegamenti semantici, vennero archiviati in memoria anche tutte le esperienza di vita di Adam sotto forma di ricordi.
Ciò che non era stato previsto dalla responsabile del progetto era che si sarebbe innamorata di Adam.
Amelia si trovò per la prima volta a fare i conti con dei sentimenti che sembravano prevalere persino sulla passione per il suo lavoro. Adam fu il primo che la trattò come una persona normale, senza lasciarsi intimidire dalle sue doti intellettuali. Lui la prendeva in giro ogni volta che si esprimeva con paroloni e concetti prolissi e ragionamenti complicati e le insegnò la bellezza di una frase sussurrata con semplicità, di un gesto di affetto nei confronti di un’altra persona amata. La fece sentire donna e Amelia fu felice di riscoprire in lei questi sentimenti e la possibilità che aveva sempre portato in sé e mai potuto esprimere.
Non lo aveva mai detto ad alcuno, ma si era sempre sentita diversa dagli altri, e nessuno le era mai venuto incontro nel comprenderla. Aveva anche temuto che in lei mancasse qualcosa, irrimediabilmente sostituito da quella fredda logica di cui faceva sfoggio come una sorta di guscio protettivo che, però, aveva anche l’effetto di allontanarla da tutti. Fu per questo che Adam non soltanto rappresentò una boccata di aria fresca nella sua spontaneità e semplicità, ma fu anche colui il quale la fece riscoprire come persona nuova, dotata di sentimenti tanto profondi quanto fino ad allora insospettati.
Ciò a cui diede sfogo, tuttavia, era anche la parte più fragile e vulnerabile di se stessa, quella che non aveva mai avuto la forza di mostrarsi da sola. Adam era sempre lì a proteggerla e a cercare di farla crescere bene, in modo che Amelia si aprisse anche con gli altri nel modo giusto.
Purtroppo, non ebbe mai il tempo di insegnarle, come voleva, a essere una persona più espansiva e socievole o a contare sugli altri. Adam morì a causa di un incidente, uno come tanti. E la sua vita si spezzò, così come si spezzano quelle di molti altri, quasi tutti i giorni. Pensarla in questo modo – freddo, distaccato – non era di alcun conforto ad Amelia che aveva pur imparato a sentire profondamente col cuore. Cadde in una tremenda disperazione perché, sebbene Adam fosse solamente un uomo, per lei era diventato tutto. Anche se la sua mente comprendeva la morte, il suo cuore la rifiutava. E tanto più crescevano in lei questi sentimenti malati ed esasperati, tanto più si faceva strada l’idea di far rivivere Adam attraverso il suo androide.
La INC Corporation, intanto, aveva sospeso il lavoro sul prototipo robotico e decise di mettere da parte i dati della memoria di Adam poiché suo nonno, il presidente della compagnia, non poteva sopportare, nel suo lutto, che ciò che rimaneva dell’adorato nipote fosse profanato da una macchina, un essere artificiale e inanimato.
Lo stesso pensiero non lo condivideva Amelia, che anzi, non riuscendo a scrollarsi di dosso il proprio dolore, vedeva in quella memoria l’unica cosa che la teneva ancora legata al suo amore.
Prese così la decisione di terminare il progetto privatamente, di nascosto da tutti. Prelevò un modello robotico cui diede le medesime sembianze di Adam e, quando fu il momento, gli trasmise anche le tracce di memoria di cui era in possesso –visto che, dal momento che era stata la curatrice dell’intero progetto, aveva l’abitudine di conservare una copia dei dati nel proprio portatile –, eliminando però, tutto quello che non serviva ai suoi scopi: prima tra tutto l’ultimo, tragico ricordo della morte; l’estremo segnale sinaptico trasmesso al computer prima che Adam si spegnesse per sempre.
Amelia non desiderava che il suo Adam conoscesse il dolore e la perdita. Voleva che vivesse unicamente per lei, come lei faceva per lui. E si sarebbero appartenuti per tutta la vita.
Così, almeno, pensava la donna resa quasi folle dall’invincibile sofferenza che l’attanagliava. Non sapeva ancora, tuttavia, che non aveva affatto trovato un modo per sfuggire a quel tormento… ma solo uno che l’avrebbe precipitata ancora più a fondo, in un circolo vizioso cui avrebbe posto fine con un’altra decisione altrettanto definitiva: la morte.

[Continua...]

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Ecco il nuovo capitolo come regalino per il nuovo anno!! <3<3<3
*ps.: spero che non sia troppo triste per l'inizio del 2013 ùwù*

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Marcus, che pure aveva annunciato ad Amelia la sua intenzione di denunciarla alla compagnia, tenne per sé ciò che aveva scoperto e rimase a riflettere sul da farsi. Aveva sempre ammirato Amelia, nonostante fosse così giovane, per il suo essere brillante e anche perché in lei vedeva la speranza di dare una spinta in avanti al progresso robotico. Si era inoltre trattenuto dal fare rapporto per il semplice motivo che non sapeva che fine avrebbe fatto Adam: il presidente Milton era stato contrario a portare a termine il progetto che la compagnia, sotto la guida di Amelia, aveva cominciato, poiché non avrebbe potuto sopportare – diceva – la vista di un essere che serbasse in sé ciò che era appartenuto al caro nipote.
Tutti avevano rispettato la volontà dell’anziano parente e lasciato da parte i dati forniti dall’esperienza di Adam. Ma poi Amelia era andata contro quella volontà espressa e aveva continuato a mandare avanti le ricerche da sola… ottenendo un ottimo risultato per altro. Ora l’Adam robot era unico nel suo genere. Era il primo androide mai creato, parlante e semovente, nulla a che vedere con i tentativi limitati che erano stati fatti fino ad allora.
E se il presidente avesse deciso di terminarlo? Nonostante sarebbe stato chiaro ai più l’importanza che rivestiva Adam, adesso, per la scienza, non era comunque da escludere la possibilità che l’anziano signore agisse sotto la spinta del sentimento e della sofferenza, rifiutando di farsi influenzare da motivi più pratici.
Tuttavia il cuore di Marcus non si dava pace perché trovava sbagliato il fatto che Adam rimanesse con Amelia: il problema non era solamente che Adam apparteneva ufficialmente alla INC, quanto piuttosto il dolore che ella si autoinfliggeva inconsciamente.
Non aveva avuto la forza di abbandonare il ricordo del vero Adam e di mandare avanti la sua vita, pensando ad altre possibilità: no, lei era rimasta intrappolata, congelata nel passato e non sapeva come uscirne. Tanto più ora che c’era questa nuova fittizia ombra che incombeva su di lei, ricordandole costantemente il passato e ciò che aveva perso.
Per quanto si fosse sforzata, infatti, non avrebbe potuto ignorare molto a lungo i limiti che aveva un essere inumano: Adam, per quanto fosse un prodigio della tecnologia moderna, era ben lungi dall’essere capace di sentimento e di calore umano; un calore, almeno, che fosse sentito e non il risultato di una serie di input decodificati da un sistema come risposta a un stimolo ricevuto.
Nel tentativo di avere di nuovo l’uomo amato con sé, come se non bastasse, Amelia non aveva fornito particolari dati della memoria al robot, cosicché egli serbasse solo il ricordo esclusivo di un’unica persona e non riconoscesse tutti gli altri. Sebbene ella avesse agito per paura che le venisse in qualche modo sottratto, non si poteva dire che, così agendo, non avesse menomato persino l’ultimo ricordo che fosse rimasto di lui.
Invero era una situazione molto triste e penosa e Marcus non sapeva cosa fare. Si propose di provare a parlare con Amelia un’altra volta e cercare di farla ragionare. Tuttavia sentiva in fondo all’animo che ogni tentativo sarebbe stato inutile. Amelia era persa per sempre nella trappola che si era costruita da sola.


Adam era intento a osservare Amelia cucinare.
«Omelette con riso!», aveva detto, «Il tuo piatto preferito.» In realtà, che fosse il suo piatto preferito non si spiegava perché ogni cosa che mangiava – sebbene ne riconoscesse il particolate sapore dolce, amaro o saltato – finiva giù, in fondo alla gola, allo stesso modo. Poteva dire, da ciò che gustava, cosa stesse mangiando ma non faceva davvero una gran differenza qualunque cosa mettesse in bocca. Tuttavia, aveva imparato a imitare l’espressione estatica che si supponeva dovesse assumere quando mangiava “i suoi piatti preferiti”.
Quella giornata, Amelia appariva particolarmente di buon umore. Canticchiava persino, mentre rigirava l’involtino nella padella.
«Adam, sei felice?» chiese di punto in bianco.
«Certo che sono felice, Amelia! Lo sono sempre quando sono con te.»
«Quindi ti senti triste quando non ci sono?»
Sapeva che “triste” era uno degli aggettivi che si applicavano alla voce “assenza di Amelia”, quindi rispose: «Sì, sono triste.»
«Cosa significa per te la tristezza, Adam?»
Adam si avvicinò a guardarla dritto negli occhi. Le prese una mano tra le sue e sussurrò: «Tristezza è quando tu non sei con me. Perché mi fai questa domanda?»
«Voglio sapere cosa pensi.»
«Penso solo a te. Tutto il tempo. Lo sai.»
«Sì... lo so.»
Amelia abbassò lo sguardo e fissò le loro mani intrecciate. Poi lo guardò con un’espressione incerta.
«Non mi avevi mai preso la mano in questo modo, Adam. È un gesto carino.»
“Carino” era una parola che gli avrebbe fatto archiviare quel gesto tra i preferiti di Amelia. E lo avrebbe riproposto in altre occasioni perché aveva avuto successo.
Assimilando informazioni dai documentari e dai film, Adam aveva messo insieme degli schemi che aveva raggruppato assieme e che erano sostanzialmente “in prova”. Sperimentandone di volta in volta qualcuno, avrebbe deciso se inserirli in un comportamento da tenere o non tenere, a seconda delle situazioni.
Amelia ovviamente sapeva tutto questo, sapeva benissimo come funzionava Adam e come imparava a imitare nuovi comportamenti, al di là dei ricordi che lei stessa gli aveva fornito. Eppure era talmente ferita e fragile che preferiva cullarsi nell’illusione che quello davanti a lei fosse il vero Adam, un essere umano dotato di spontaneità e iniziativa. Quindi non fece ulteriori domande sul gesto che aveva definito “carino”, ma si godette per un momento la sensazione di essere di nuovo amata.
Si sedettero al tavolo della cucina, dopo aver predisposto i piatti. Adam cominciò a mangiare complimentandosi per la bravura culinaria di Amelia. Masticava con un ritmo sempre uguale, che non subiva mai alcun mutamento, se non quando beveva di tanto in tanto. Il cibo masticato veniva spinto in gola solo quando esso aveva assunto una consistenza poltigliosa e rimaneva per qualche tempo in un serbatoio isolato, all’altezza dell’addome, che Adam riconosceva come “stomaco”. Tuttavia non poteva essere assimilato, dunque veniva espulso successivamente così com’era.
Poteva benissimo fare a meno di mangiare: non sarebbe cambiato nulla. Eppure continuava a portare avanti quel pro-forma a beneficio di Amelia a cui piaceva mangiare in compagnia. Ovviamente, tutto questo serviva a mantenere la perenne illusione di “vita” di Adam.

Si sedettero sul divano a guardare un film. Adam cingeva Amelia che poggiava il capo sulla sua spalla. Una leggera copertina li copriva entrambi.
Il film scorse tutto in un profondo silenzio: il silenzio non dava mai fastidio ad Adam come a volte succedeva agli esseri umani quando si creavano situazioni imbarazzanti oppure l’aria si appesantiva di tensione. Lui non percepiva la “tensione” a meno che non si traducesse direttamente con un irrigidimento corporeo. Così non poté notare che quella sera l’atteggiamento di Amelia, seppur apparentemente sempre lo stesso, fosse sostanzialmente differente.
«Facciamo l’amore.» proruppe Amelia quando si arrivò ai titoli di coda.
Senza fare domande o chiedersi nulla, Adam cominciò ad accarezzare il corpo della ragazza così come sapeva andava fatto. Accarezzò piano piano le spalle, poi scese a massaggiare le braccia; le sollevò la maglietta e infilò dentro le mani mentre cominciava a baciarla leggermente sul capo e poi sul collo.
«Dimmi ciò che senti, Adam. Dimmi cosa provi quando mi tocchi.»
«Quando ti tocco sto bene.» rispose Adam.
«Ti piace?»
«Tu mi piaci.»
La spogliò in pochi minuti e anche lui fu nudo sopra di lei, in appoggio sui gomiti. «Hai un corpo meraviglioso.» la lodò.
Amelia sorrise leggermente.
«Cosa senti quando mi tocchi, Adam?»
«Sei calda.» rispondeva quello. «Hai la pelle liscia e sei morbida.»
«Questo è ciò che percepisci col tatto. Cosa senti qui dentro, Adam?» con l’esile dito gli sfiorò il petto, proprio nel centro.
«Qui dentro?» ripeté come se la domanda fosse troppo difficile. La risposta che gli venne immediata fu “il meccanismo di pulsione del sangue” – qualcosa che lui riconosceva anche come “cuore” – eppure, in tutto quel tempo, aveva imparato che ad Amelia non piaceva che si facesse riferimento alle parti anatomiche del suo corpo quando erano in “intimità”.
Gli venne in aiuto un ricordo che vedeva Amelia dirgli a proposito del suo cuore “È pieno di sentimenti per te, Adam.” E vedeva sorridersi pienamente, mettendo in mostra tutti i denti e chiudere per un momento gli occhi, inspirando¹.
Allora creò un collegamento tra quel ricordo e lo schema comportamentale che doveva assumere: il quesito chiedeva cosa sentiva dentro il cuore, quali sentimenti ci fossero.
«Non sento niente.» rispose candidamente, e sorrise proprio come mostrava il ricordo di Adam.
«Esatto…» sussurrò Amelia sorridendo appena, con labbra tremanti, mentre una lacrima scendeva silenziosa sulla rotondità del viso. «Esatto, non senti niente.»
Le voci ‘lacrime’ e ‘sorriso’, combinate assieme, indicavano una ‘commozione’, così Adam non capì quanto avesse ferito la sua creatrice. Mantenne il suo sorriso spensierato.
«Tu sorridi, Angelo della Morte. E io finalmente comprendo.»

Quella notte Amelia si addormentò nel suo letto, abbracciata al suo Adam. Si addormentò proprio come faceva tutte le sere: chiudendo gli occhi, perdendo coscienza… eppure il giorno dopo non si destò, e così accadde anche quello successivo, senza che Adam capisse perché.


_______________

¹Il ricordo cui fa riferimento è uno di quelli che appartengono al vero Adam, l’essere umano. È un ricordo che non appartiene veramente al robot, poiché non l’ha registrato dalla sua esperienza, ma che egli ritiene “proprio” perché vi vede riflesso “se stesso”.
Nota: Non è stato detto chiaramente ma Amelia si è suicidata ingoiando del sonnifero.

 

[Continua...]

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Eccomi, gente! Il tanto declamato ultimo capitolo della prima parte! Se fin ora Adam è risultato vagamente inquietante, sappiate che secondo me in questo capitolo si raggiungono altre vette di inquietudine ^^ Ho tentato, come potevo, di descrivere la visione della morte dal punto di vista di un essere non umano e definitivamente non in possesso del concetto :excl:
Lascerò a voi il giudizio di come sia venuto fuori il tutto! :gluck:
Spero di non rattristarvi ulteriormente ma questo capitolo è importante anche per la svolta che prendono gli eventi! :tartagurina:
Buona lettura!

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“Amelia…”
“Amelia…”
“Amelia…”


Adam era seduto sul letto, accanto a lei. Osservava il suo corpo privo di vita senza comprendere pienamente cosa fosse la morte.
Amelia non si svegliava. Non apriva gli occhi, non respirava, non parlava e non si muoveva. Era sempre più fredda al tatto e irrigidita nella stessa posizione. Adam aveva provavo a scuoterla il giorno precedente, ma lei non aveva dato segno di volersi destare. Le opzioni che erano sopraggiunge erano varie: combinando i dati a disposizione aveva ipotizzato che Amelia fosse stanca, che avesse bisogno di dormire, che fosse depressa e così via dicendo fino a prendere in considerazione l’ipotesi che fosse arrabbiata con lui. Sì, perché Amelia non gli parlava. Adam aveva provato a farle delle domande ma lei manteneva un silenzio ostinato.
“Il soggetto non risponde quando gli parli”:
1) il soggetto non ha sentito;
2) il soggetto non ha capito;
3) il soggetto crede che tu non hai finito di parlare;
4) il soggetto è perplesso;
5) il soggetto non ha idee chiare in merito al quesito;
6) il soggetto è distratto;
7) il soggetto non è divertito;
8) il soggetto è arrabbiato;
Aveva scorso tutta la lista delle possibili opzioni e aveva ripetuto le domande più volte e ad alta voce, era rimasto a lungo in silenzio ad attendere una risposta, aveva richiamato la sua attenzione, aveva riformulato le sue domande con parole diverse, non aveva fatto battute di spirito… ne conseguiva che Amelia era arrabbiata con lui. Probabilmente aveva inavvertitamente accennato a qualche elemento che doveva diventare tabù: ma lui non sapeva quale.
Rimase a vegliare sul corpo in attesa che Amelia decidesse di perdonarlo, o di svegliarsi o di dire qualcosa.
Fu un attesa piuttosto lunga che tuttavia Adam non avvertì perché per lui il tempo non aveva il medesimo peso che per un essere umano: aveva un cronometro interno e sapeva che Amelia non si muoveva da ormai cinquantotto ore tredici minuti e ventitré secondi, tuttavia lui non sentiva la stanchezza, non aveva davvero bisogno di dormire, non mangiava, poteva trattenere gli stimoli di espellere i corpi estranei dentro di sé. Così Adam rimase seduto accanto al letto, anche lui immobile, lo sguardo fisso sulla ragazza e sussurrava il suo nome, nel tentativo di comunicare con lei.
«Amelia… Amelia… Amelia…»
A spezzare quel monotono processo fu, una mattina, il suono del campanello della porta.
Adam si risvegliò lentamente dallo stato come di trans in cui si trovava. Come se i suoi processori, a lungo impegnati nella medesima funzione, avessero bisogno di nuova energia per ripartire. Il campanello lo distrasse.
«Amelia, vado ad aprire la porta.» annunciò prima di alzarsi e lasciare la stanza.
Si trovò davanti Marcus che aveva un’espressione preoccupata.
«Dov’è Amelia?» chiese di fretta e un po’ allarmato.
«Di sopra, che dorme.» rispose Adam prontamente.
«Ah! Meno male! Temevo… che le fosse successo qualcosa!» sospirò pesantemente e rilassò la testa sulle spalle, come se si fosse tolto di dosso un peso enorme. «Perché non è venuta al lavoro in questi due giorni, e senza avvisare?! Sta per caso male…?»
«Non mi ha detto che sta male.»
«Ah, bene. Ma allora, perché…?»
«Io non lo so perché non è andata al lavoro. Lei non mi parla. Forse è arrabbiata con me.»
«Non… non ti parla? Da quanto?»
«Da cinquantanove ore, nove minuti e tre secondi.»
«Strano… mi fai entrare?»
Adam si fece di lato e allungò un braccio per invitarlo a entrare.
«Hai detto che sta dormendo, ma… mangia? Ha parlato con qualcuno in questo tempo? È uscita?»
«No. Non si è mossa. E non ha parlato, né mangiato. Temo che sia arrabbiata con me.»
«Come non ha mangiato? Da più di quarantotto ore?!»
«Sì. Precisamente da sessantadue ore e quarantaquattro minuti.»
«Portami di sopra. Devo vederla!» ingiunse Marcus già di nuovo preoccupato. «Sai dove ha messo il cellulare? Abbiamo provato a chiamarla quando non si è presentata in ufficio ma non c’era segnale… come se fosse spento o scarico.»
Adam allora si diresse nell’angolo dove Amelia teneva la sua borse. Vi cercò dentro e tirò fuori il suo cellulare.
Era spento.
Marcus insistette di nuovo per farsi portare al più presto ai piani di sopra. Si udirono, nel silenzio, il tonfo dei loro passi veloci e pesanti sulle scale.
Quando entrò nella camera, la prima cosa che sentì fu una puzza tremenda: Marcus quasi temette di strozzarsi per un'ansia scura che lo aveva travolto. Era tutto buio, dovette acuire la vista perché nella penombra non si scorgeva quasi nulla.
Adam obbedì. La stanza si rischiarò e Marcus finalmente scorse Amelia sul letto.
Allora una strana inquietudine lo prese: il cuore cominciò a battergli più forte presago di sventura: quella figura era troppo immobile perché fosse rilassata in un semplice sonno. La pelle era più che mai bianca, quasi di porcellana, nella luce tenue, e quel silenzio… il silenzio che aleggiava nella stanza, gli ricordava più che mai la quiete che ispiravano i luoghi di riposo eterno.
«A-amelia…» sussurrò con la voce quasi spezzata dal pianto.
Si avvicinò lentamente al letto e quando la vide non ebbe bisogno di altre conferme: Amelia non c’era più, se n’era andata per sempre.
Marcus pianse. Si coprì il volto con la mano tozza e venne scosso da alcuni tremiti.
Adam assisteva ancora una volta senza capire ciò che succedeva attorno a lui.
«Marcus… Marcus…» lo chiamò. «Perché piangi? Sei triste?»
«Sì, Adam, lo sono…» rispose affranto.
«Perché?»
L’uomo sollevò lo sguardo e lo fissò sul robot che glielo restituiva, in attesa. «Sono triste perché ho perso un’amica, Adam.»
«Hai perso un’amica? E non l’ha cercata?»
«Sì… sì. Ma è stato troppo tardi. Tutto inutile...»
«Non capisco.» piegò le sopracciglia per sottolineare la sua perplessità.
«Che significa ‘troppo tardi’? È ancora giorno, puoi uscire a cercarla… e se non la trovi, puoi provare domani o dopodomani…»
«No, Adam. Adesso l’ho trovata.»
«Allora non capisco, perché sei ancora triste?»
«Adam… Amelia è morta.»
«Che significa ‘morta’?»
«Significa… che lei non tornerà più. Non c’è più.»
«Tu dici bugie: Amelia è proprio lì, non la vedi?» indicò il corpo steso. «Forse lei è arrabbiata con me. Non mi parla…»
«Non è arrabbiata. Lei… non può parlare perché è morta.»
«Amelia non è morta perché lei è tornata! È a casa.»
«Questo è solo il suo corpo, Adam. Il suo spirito non c’è più. In lei non c’è più vita.»
«Io non capisco.»
Marcus sospirò. «Lo so che non puoi.»
«Anche lei lo diceva…» sussurrò.
«Che cosa?» domandò Marcus mestamente.
«Lei lo diceva… che io ‘non potevo capire’. Lo diceva Amelia.»

Marcus si occupò dei funerali. Amelia non aveva più parenti in vita ed era sola al mondo. Sola col suo Adam.
La INC Corporation apprese così, insieme, la notizia della scomparsa di una della sue più brillanti collaboratrici e il suo tradimento: Adam fu portato negli uffici, studiato ed esaminato da molti grandi scienziati che cercavano di riprodurre il lavoro della defunta. Il presidente della compagnia fu oltraggiato della scoperta ed espresse il volere di distruggere ‘quella cosa’. Tuttavia i suoi studiosi più influenti lo convinsero a lasciare che diventasse fonte di informazioni per la scienza e nuovo oggetto di studio. Il Signor Milton acconsentì riluttante e non si avvicinò mai all’androide Adam che gli ricordava troppo dolorosamente il proprio nipote.
In una lettera, ritrovata tra gli effetti personali di Amelia, ella lasciava la sua casa e tutto ciò che possedeva a questi. Forse qualcuno avrebbe potuto contestarne la volontà, avvalendosi del fatto che Adam fosse solo un robot –un essere che non era davvero dotato di vita – ma non c’erano altri parenti che potevano ereditare le proprietà e tutti gli altri non ne avevano gli interessi.
Quando cercarono di togliergli il corpo senza vita di Amelia, Adam si oppose con tutte le forze. Dovettero immobilizzarlo e legarlo perché non sapevano come “spegnerlo”.
Egli continuò a fare domande su dove portassero Amelia, del perché la stavano portando via, perché lo tenevano legato, perché lontano da lei.
Una volta giunto al laboratorio, le prime analisi sul suo sistema cibernetico rivelarono che per accedere alla memoria madre – dove erano salvati tutti i parametri principali e solo dall’interno della quale si poteva agire per modificare le funzioni – bisognava avere una password: nessuno la conosceva e da nessuna parte trovarono un indizio che potesse portare a scoprirla.
L’unico modo per poter intervenire su di lui e indurlo a modificare le risposte delle proprie azioni fu quello di fornirlo di nuovi concetti e definizioni di idee: una delle prime cose che gli spiegarono fu la differenza tra un essere umano e un robot come lui.
Così Adam apprese con più precisione il significato di parole fino ad allora sconosciute come ‘morte’, ‘solitudine’, ‘perdita’, ‘fine’... ne apprese le definizioni e tuttavia non poté mai applicarle alla sua idea di Amelia: esse erano in contrasto con quei principi, inamovibili, che ella stessa aveva posto dentro di lui e su cui nessun altro era stato in grado di intervenire.
Amelia non poteva morire.
Amelia non lo avrebbe mai lasciato solo.
Adam non poteva perdere Amelia.
Amelia non aveva fine.

Mano a mano che i sistemi di Adam venivano aggiornati con nozioni sempre nuove e più esatte, l’androide assumeva tratti sempre più umani: le sue espressioni erano più varie, i comportamenti diversi e naturali. In definitiva, si notava sempre di meno la sua “diversità”.
Se da un lato ora Adam poteva comprendere molte più cose, tuttavia il bisogno della sua creatrice non venne mai meno ma aleggiava, come un pensiero fisso, in ogni cosa che faceva e che imparava. Più informazioni gli fornivano, anzi, più elementi aveva che gli consentissero di perfezionare un piano per riavere con sé Amelia.
E finalmente, un giorno, ottenne la chiave per mettere in moto il tutto.

 

[Continua...]

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Dopo tanto parlarne, ecco il famoso inzio della seconda parte!
Bah, non so quanto vi dira sulle vostre teorie o suoi vostri sospetti e presunte cospirazioni... lascerò che sia la storia pian piano a svelarvi il tutto ù.ù
Sperando di ingrigarvi ancora con questo settimo capitolo, vi lascio alla vostra lettura!
Attenderò i vostri commenti per scoprire che ispirazione ne avete tratto! Eheh... :hamster:


SECONDO PROLOGO.

[Un numero imprecisato di anni dopo]


Eccoti. Sei pronta.
Tu chi sei?

Non mi riconosci?
No…
Bene. Non avere paura.

Dove mi trovo?
A casa tua.

Non mi ricordo di questa casa.
Presto ti sarà familiare.

Io non… non ricordo come mi chiamo.
Io ti darò un nuovo nome.

Che significa?
Un giorno capirai.

Ho paura.
Non averne. Mai.

Ma tu chi sei?
Io mi chiamo Adam.

E… il mio nome?
Tu sei Amelia.

 

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«Amelia!»
La ragazza si voltò sentendosi chiamare per nome.
«Aspetta! Dove vai?» chiese la compagna affaticata dalla corsa. Si piegò un attimo su se stessa a riprendere fiato e continuò: «Non vieni a casa mia?»
«Oh… per quell’incontro? Temo di no. Mi dispiace ma oggi ho un altro impegno.» Amelia sorrise all’amica amabilmente.
«Ma come! Avevi detto che venivi!» l’accusò quella.
«Avevo detto che venivo? Ti sbagli io…»
«No, è vero! Hai sempre la testa tra le nuvole ma ascolta: ieri parlavo con Teresa per invitare anche lei a mangiare a casa mia. Eravamo proprio accanto a te e siccome tu non mi avevi ancora dato la tua risposta, ne ho approfittato per domandati che facessi. Tu mi ha guardata un momento e mi ha detto “Sì, sì certo”. Allora… non lo ricordi proprio?»
Amelia alzò le spalle dispiaciuta. «Scusa… non avevo davvero sentito… In realtà pensavo ad altro.»
«Ma che ti succede ultimamente? Sei sempre distratta! Ti si fa una domanda e tu con quell’espressione ebete… tesoro, ti voglio bene con tutto il cuore, è per questo che te lo dico apertamente… fai certe facce! Come a chissà quali pensieri ti preoccupano. Sicura che non ci sia nulla che non vada? Guarda che a me puoi dirlo!»
«Oh, Michelle, grazie davvero.» Amelia allungò una manina sottile e toccò il braccio dell’amica affettuosamente. «Lo so che con te posso parlare… è solo che… non è che ci sia davvero qualcosa che mi preoccupi… è solo che Adam ultimamente…»
«Tuo padre, dici?» l’interruppe Michelle.
«Beh… sì.»
«Uff!» sbuffò la ragazza. «Credimi, non capirò mai perché ti ostini a chiamarlo per nome! È tuo padre santiddio! Ogni volta che lo menzioni lo confondo sempre col ragazzo del terzo anno!»
«Lo so, scusa.»
«Non fa nulla. Allora… cosa stavi dicendo?»
Amelia distolse lo sguardo e fissò il ciglio della strada. Prese un respiro e boccheggiò un momento, in cerca del modo più giusto per esprimersi.
«Michelle, davvero… non saprei nemmeno come spiegarlo! Mio padre ha fatto menzione ultimamente a una cosa che dovremmo fare, insieme. Io non so bene di cosa si tratti ma me ne parla da anni. Sono sempre stata curiosa e pensavo di non vedere l’ora che succedesse, però… ora mi sento incerta e un po’ timorosa. Il guaio è che non so bene di cosa avere paura, ecco!»
«Ah, tutto qui?» sdrammatizzò Michelle che si era aspettata qualcosa di molto più tragico. «Quand’è così devi solo distrarti e non pensarci! Dici che non ti ha detto di cosa si tratta? Beh, magari finalmente ti porterà a conoscere tua madre, ci hai pensato? È sempre stato misterioso sulla sua identità… forse non ha voluto dire troppo perché non sa come metterti davanti al problema.»
«Ah! Non è da Adam non sapere come pormi un problema, te l’assicuro! Comunque sì, ci ho pensato e forse è questo che mi terrorizza! Insomma… io non so niente di lei! Come fa a mandarmi così allo sbaraglio? E se non dovessi piacerle? Io…»
«Rilassati, rilassati!» ingiunse la ragazza che vedeva Amelia sempre più agitata. «Vedrai che andrà tutto per il meglio! Fidati!»
«Lo pensi davvero?»
«Sì. Ne sono certa.» ripeté «Tuo padre non ti manderà allo sbaraglio. È sempre così… preciso! Eheheh»
«Beh… non posso darti torto!» rispose Amelia alleggerendosi l’animo.
Le due ragazze scoppiarono a ridere e si ricordarono vicendevolmente alcuni episodi particolarmente esilaranti della “precisione” del padre di Amelia.
«Ahah… grazie Micky. Mi hai fatto sentire meglio!»
«Ne sono contenta! Allora… sicura di non voler venire?»
Amelia scosse il capo. «No, ti ringrazio, ma ho davvero qualcosa da sbrigare. Di qualunque cosa si tratti, credo che sarà oggi.»
«Oh! Allora in bocca al lupo, Lia! Fammi sapere come va!»
«Certo, al più presto!»
Così le amiche si separarono e imboccarono direzioni differenti.
Nel tragitto, Amelia tornò nuovamente malinconica, nonostante l’incoraggiamento di Michelle. Il fatto era che non, si sapeva spiegare perché, ma provava una certa inquietudine.
Non era da Adam essere così misterioso: non lo era mai stato, su nulla. Gli unici argomenti che si caricavano di mistero erano l’identità di sua madre e l’evento che avrebbe cambiato in qualche modo la sua vita.
Ovviamente, lei non sapeva di cosa si trattasse, ma Adam le aveva sempre detto, sin da quanto era piccola, che sarebbe venuto un giorno in cui lei avrebbe dovuto affrontare una prova: una sorta di test, qualcosa che avrebbe valutato qualcosa in lei e forse le avrebbe dato modo di cambiare la sua vita. Sembrava che Adam non vivesse per altro che per quel momento; spesso le sue frasi si caratterizzavano in base al ‘prima’ o al ‘dopo’ del grande evento: “Amelia, dopo potremmo andare a vedere quel tal posto”, “puoi fare questo prima, Amelia, dopo forse non potrai”, e via dicendo.
Insomma, non c’era proprio bisogno di menzionare a che cosa si riferisse perché quello non era un semplice evento: era l’evento!
E se all’inizio aveva fatto tante domande per cercare di scoprire il più possibile, al lungo andare aveva capito che Adam era irremovibile e non avrebbe detto nulla di più di quanto volesse prima che lo ritenesse opportuno.
Ora, però, le cose erano cambiate perché di qualunque cosa si trattasse non era più un evento lontano nel tempo – qualcosa che riguardava il futuro – ma una cosa molto vicina e molto imminente oltre che molto ignota!
Persa nei suoi pensieri non si accorse immediatamente di essere arrivata.
La casa dove abitava si trovava in una zona abbastanza isolata dalla città e per raggiungerla doveva prendere l’autobus. Per fortuna, quella giornata non c’era stato molto traffico e il mezzo era scivolato agevolmente lungo la strada raggiungendo tutte le fermate addirittura in anticipo rispetto alla tabella di marcia.
Ora si trovava al cancello esterno dell’abitazione: una costruzione antica e caratteristica, non immediatamente visibile dall’esterno. Quel cancello non c’era sempre stato ma da quando era aumentata la criminalità, Adam aveva preferito farlo installare, almeno così diceva sempre. Camminando sul sentiero tracciato, osservò la campagna circostante. Non poteva proprio lamentarsi, viveva in un paradiso terrestre! Doveva essere grata ai suoi antenati che aveva tramandato quel luogo da generazione in generazione, rifiutandosi sempre di vendere. Era strano, ma quando ci pensava, le pareva assurdo non sapere quasi nulla della sua famiglia! Non soltanto sapeva poco di sua madre, ma non conosceva praticamente nessun altro parente a parte Adam, suo padre. Lui, poi, non ne menzionava mai nessuno come se fosse venuto solo al mondo e non avesse mai avuto nessuno… a parte sua madre, naturalmente.
Eppure qualcuno doveva esserci da qualche parte! Nelle pareti di casa vi erano appese vecchie fotografie che ritraevano una donna – sorridente assieme ad Adam – che doveva essere sua madre (non c’erano altre spiegazioni: la casa ne era piena dopotutto!), e poche altre con soggetti diversi: quando Amelia aveva chiesto chi fossero le persone ritratte, Adam aveva risposto che erano parenti di Amelia. Erano altresì morti tutti: una vera sfortuna!
Ed Adam non l’aiutava per niente a conoscere chi fossero stati in vita: qualunque domanda ella gli ponesse, si mostrava più tenace di una sfinge!
Arrivò alla porta di casa. Prese un sospiro e suonò il campanello.
«Ti stavo aspettando, Amelia. Sei in anticipo.» l’accolse alla porta suo padre, come faceva ogni giorno. Qualcosa in lui, nel suo atteggiamento e nel tono stranamente solenne, allarmò di nuovo, per un attimo, la ragazza.
Si diede tra sé della stupida e si costrinse a rilassarsi. Era suo padre, per l’amor di Dio! Anche se aveva la fissa di non voler essere chiamato così ma col proprio nome, comunque ciò non cambiava il ruolo che aveva! Non poteva volerle fare del male, nonostante quell’assurda aria di mistero!
«Sei pronta?» interruppe i suoi tormentosi pensieri Adam.
«Non proprio…» rispose sinceramente.
«Hai bisogno di un po’ di tempo?»
«No… è che… preferirei saperne qualcosa prima. Mi… mi aiuterebbe a capire, credo.»
«È meglio di no. Lo sai.» Adam assunse un’espressione seria. Era strano, perché nonostante l’espressività del volto, non sembrava mai davvero provare ciò che l’atteggiamento faceva supporre. In quel momento, per esempio, si sarebbe detto che fosse troppo serio, forse persino un po’ arrabbiato. Invece Amelia sapeva che non era così. Adam non si arrabbiava mai.
Tirò fuori un altro pesante sospiro e cedette.
«D’accordo, Adam. Come vuoi. Portami a fare quel che dobbiamo e finiamola qui!»
Allora egli si rischiarò in un sorriso così aperto e palesemente soddisfatto che Amelia ne fu quasi rincuorata. Quasi.
La condusse verso il suo laboratorio nello scantinato – un luogo che era precluso ad Amelia per la maggior parte delle volte – e questo riaccese in lei l’ansia dell’ignoto: quell’ambiente le era poco familiare, nonostante si trovasse dentro casa sua. Adam vi si chiudeva per ore ma raramente le permetteva di metterci piede e meno che mai di dare un’occhiata ai lavori che vi conduceva.
Sapeva poco e niente persino del lavoro che faceva suo padre!
A volte si sentiva un’estranea dentro la sua vita: le sembrava di non conoscere affatto il genitore con in quale aveva sempre vissuto e di non conoscere la sua famiglia, le sue radici, la sua storia… finanche la sua casa!
Forse, finalmente, quel giorno sarebbe cambiato qualcosa perché Adam le aveva sempre promesso che le avrebbe spiegato tutto – dopo la prova – e che avrebbe risposto a ogni sua domanda.
Questo pensiero, alla fine, le diede il coraggio di buttarsi in qualcosa che le era totalmente sconosciuto.
Si sistemò su una lettiga attaccata a dei macchinari, su indicazione di Adam.
«Sei pronta?» le chiese per la seconda volta questi.
Amelia respirò profondamente, badando a non andare in iperventilazione.
«Sì, lo sono.»

 

[Continua...]

 

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Con la speranza che vi piaccia e che alimenti ancora la vostra curiosità sugli eventi, oltre a darvi qualche piccola risposta :secsi: eheh
Avviso per tutti: Da ora i toni diventano di nuovo un po' cupi ù.ù Abbiate pazienza e stringete i denti... e ricordate: non sono io a essere sadica è la storia che lo esige! :lite:
Grazie infinite a chi legge questa storia! <3


 

Capitolo08_zps2a45ec77

 

Adam cominciò ad attaccare degli elettrodi sulla fronte di Amelia e sui polsi, le caviglie e sopra il cuore. Alcuni monitoravano la sua frequenza cardiaca, tracciandone gli alti e bassi in una serie infinita intervallata da ‘bip’ non sempre regolari, mentre altri tracciavano la sua attività cerebrale.
Dopo qualche minuto, la ragazza si rilassò perché comprese che non si trattava di nulla di doloroso: si era aspettata di peggio.
«Cosa devo fare?» chiese incuriosita. Adam guardava gli schermi e schiacciava, ogni tanto, qualche tasto del computer, fermandone le immagini e archiviandole.
«In questo momento nulla. Stai solo ferma.» Continuò nel suo lavoro nel completo silenzio.
Amelia si distrasse, pensando a quanto fosse assurda quella situazione.
“I miei compagni di classe mi prenderebbero in giro se sapessero che mio padre fa dei test su di me!”
Doveva sembrare una cosa abbastanza strana e fuori dal normale: dopotutto Amelia non aveva mai sofferto di alcuna malattia, quindi non c’era affatto motivo per tutte quelle analisi. Ma del resto, suo padre era uno scienziato molto intelligente: gli si poteva far passare qualche stranezza.
Chissà, forse lui si aspettava un medesimo potenziale anche in lei ed era deciso a scoprirlo? Ma Amelia non si era mai sentita in nessun modo speciale, anzi, era molto ordinaria come ragazza, se si escludeva il suo aspetto fisico piuttosto esile, la pelle quasi diafana e i capelli rossi, di una tonalità piuttosto rara da trovare. Ma quanto alle sue doti intellettuali… ebbene, non si riteneva al di sopra della media. Non era una stupida, certo, e avendo avuto un genitore colto come Adam, era praticamente impossibile non conoscere certe nozioni specialistiche sconosciute alla maggior parte dei suoi coetanei.
Adam, poi, l’aveva sempre incoraggiata a interessarsi alla scienza, alla matematica e alle discipline scientifiche in generale. Lei, però, non aveva proprio l’interesse per certe cose; al contrario, apprezzava l’arte e la letteratura e l’unico luogo dove si sentiva capita era a scuola. I suoi insegnanti di quelle discipline, l’avevano sempre incoraggiata a sviluppare i suoi talenti artistici e l’avevano edotta sui libri più importanti e interessanti.
Adam era sempre stato un buon padre, premuroso e attento, tuttavia sembrava quasi che per lui fosse impossibile comprendere la bellezza che poteva ispirare un dipinto o una scultura di marmo, l’emozione che suscitava un libro e la traccia che ti lasciava dentro anche quanto lo si era finito di leggere. A volte, da quel punto di vista, non sembravano nemmeno parenti!
«Bene, i parametri sono ottimali!» esclamò Adam.
«Veramente? Ho un bel cervello?» scherzò Amelia, più tranquilla.
«La tua materia grigia è come deve essere. Le tue risposte sono sulla norma… penso che possiamo procedere.» rispose serio.
Amelia non ci fece caso, c’era abituata.
«Procedere come? Ora che devo fare?»
«Voltati a pancia sotto.»
La ragazza ubbidì prontamente.
Adam le spostò i capelli da un lato e li legò con un elastico per impedir loro di mettersi in mezzo. Poi trafficò con degli strumenti e verso la fine, Amelia si accorse di cosa teneva in mano…
«Una siringa!!! No, Adam... no! Dove vuoi piantarmela?!» si allarmò, divincolandosi.
Lui la tenne ferma, bloccata sulla lettiga e rispose: «Stai tranquilla, durerà solo un momento. Ora sta’ ferma, se no potrei farti più male del necessario.»
Amelia non era molto convinta ma fece come le veniva detto. Chiuse gli occhi mentre contava i battiti frenetici del suo cuore e attendeva in una tensione venata di paura, che la pungesse al collo, dove aveva appena sentito passare il disinfettante.
Pochi altri momenti e sentii pungere e poi un bruciore. Trattenne le lacrime la le sfuggì un singhiozzo angosciato.
«Tranquilla, tranquilla, sta per finire…» la calmava intanto la voce bassa di Adam.
Poi sentì estrarre l’ago e a poco a poco il bruciore diminuire. «Hai finito?»
«No. Non ancora.»
Lo sentì armeggiare con qualche attrezzo. Non vedeva nulla perché continuava a tenere gli occhi chiusi quasi nella convinzione che se non vedesse, allora non avrebbe avuto paura.
Si percepì toccare la zona offesa e… non sentì nulla: l’aveva anestetizzata.
«A-adam… che… che stai facendo?»
«Aspetta ancora qualche attimo, per piacere.»
Fulmineamente, le aprì una piccola ferita e inserì al suo interno qualcosa, controllò con un’occhiata lo schermo del computer e, quando fu soddisfatto, la ricucì con pochi punti. Era successo tutto troppo velocemente perché Amelia avesse avuto il tempo di capire o di farsi e fare delle domande.
Era attonita: cosa mai le aveva messo in corpo? E perché ancora non le spiegava nulla? Aveva promesso che avrebbe dato una risposta a ogni sua domanda!
Cominciava sul serio ad arrabbiarsi con lui! L’aveva manomessa senza nemmeno chiederle il permesso! Questo era davvero troppo!
«Adam! Spiegami subito cosa diavolo stai combinando! Non mi avevi detto che… che avresti dovuto tagliarmi! Hai superato il limite questa volta…!»
«Andava fatto.» rispose semplicemente questi, facendo irritare ancora di più la ragazza.
«Senza chiedermi un parere?! Il corpo è mio e fino a prova contraria, dovrei decidere io cosa farne!»
«Il corpo non ti appartiene, così come non ti appartiene la tua vita.»
«Ma che vuoi dire!?!» sbottò frustrata.
«Guarda che se è tutto un giro per dirmi che potrò decidere da me solo quando avrò diciotto anni, sappi allora che…»
«Non mi riferivo a questo. È indipendente dalla tua età.» le spiegò prima che concludesse il suo pensiero o la sua intimidazione, che dir si voglia.
«Ma allora di che parli? La vita e il corpo non sono miei? Tu…»
«Esatto.»
«E perché, sentiamo?» sbuffò e si mise a braccia conserte in atteggiamento di sfida. Adam non vi badò.
«Perché appartengono a me.» disse con tutta la calma e la semplicità di una constatazione così ovvia, che era quasi ridicolo stare a discuterne.
Amelia boccheggiò senza riuscire a proferire parola. Poi scoppiò in una risata argentina, abbandonando del tutto la rabbia.
«Ahahah! Adam, non sono più una bambina! Sai, ho superato la fase in cui volevo sposare il mio papà! E non occorre che drammatizzi in questo modo… mi hai fatta veramente arrabbiare, non avevi il diritto di farmi una… un’operazione senza il mio consenso! Che poi, cosa cavolo mi hai infilato dentro? Mi prude…»
Allungò una mano a toccarsi la zona protetta da una garza.
«Ferma, non toccarla. Altrimenti si cicatrizza male.» le allontanò prontamente la mano. «E per rispondere alla tua affermazione: certo che ne avevo il diritto. Te l’ho detto, tu mi appartieni.»
Amelia perse parte del suo sorriso e si adombrò.
«Papà non è divertente questo scherzo.» si lamentò.
«Io non sto scherzando, Amelia.»
All’improvviso la ragazza avvertì correrle sulla schiena un brivido di sudore freddo che la scosse in tutto il corpo. Possibile che non scherzasse? Che fosse serio?
Lo osservò per un lungo minuto, lei seduta sulla lettiga, lui in piedi di fronte a lei. Nessuno dei due proferì parola. Lei era sempre più ansiosa e cominciava a turbarsi, Adam semplicemente stava lì, fermo immobile, in attesa che Amelia parlasse o capisse: non sembrava comprendere la spaventosità delle parole che aveva detto. Sembrava del tutto ignaro dell’effetto che stava avendo su di lei. Però, in fondo, tanto ignaro non era poiché le chiese:
«Perché tremi? Di cosa hai paura?»
«Mi… mi fanno paura le… le parole che hai detto. Dimmi che non sei serio, per favore.»
«Al contrario. Sono serissimo.»
Un’altra lunga occhiata.
«Tu sei mio padre.» proruppe Amelia, come se quelle parole potessero fermare qualunque cosa stesse succedendo tra di loro.
«Tu sei mio padre!» ripeté con una punta di disperazione.
«No, non lo sono. E tu sai che è come dico.» disse.
«Ma… ma…»
Amelia tacque, sempre più confusa e in preda a cupe emozioni. Era vero che Adam le aveva insegnato a non chiamarlo “papà”, ma lei aveva sempre pensato che non gradisse molto essere chiamato il quel modo. Chissà, forse per fare il padre “moderno”, amico dei propri figli… certo, se ci pensava era un’idea piuttosto ridicola, ma lei vi aveva sempre pensato con affetto, come a un tratto caratteristico del suo “papà”: solo lei, tra tutti i bambini, aveva il privilegio di chiamarlo per nome… come se fossero sullo stesso piano, padre e figlia. Ora, riflettendoci, non sapeva più se questo ragionamento fosse nato più per la delusione di non poter appellare come “papà” qualcuno, come facevano i suoi amici, che da reale convincimento.
Ripensò al fatto bizzarro delle sue parentele, del fatto che non avesse nessuno a parte Adam e non sapesse quasi nulla di chi era stata sua madre o i parenti di lei. Ripensò alla sensazione di sentirsi estranea nella propria casa, quando invece avrebbe dovuto sentirsi al proprio posto e al sicuro; la paura, l’agitazione dell’attesa del grande “avvenimento”...
Possibile che la grande scoperta sarebbe stata questa? Che lei non era figlia di Adam? Che fosse stata adottata o qualcosa di simile?
Le girò la testa e inspirò, più profondamente possibile, un po’ d’aria senza che però ciò l’aiutasse a riprendersi o a fare chiarezza nelle sue emozioni.
Ora che ci pensava… che significava poi quell’assurda operazione che aveva appena subìto?
«Io… che cosa mi hai fatto?»
«Ho installato un micro sensore che in questo momento si sta sincronizzando con i tuoi impulsi nervosi e con le onde cerebrali. In pochi minuti sarà funzionante.»
«Che… che cosa?!» boccheggiò atterrita Amelia, nonostante non capisse pienamente il significato di quanto le era stato detto. Sapeva soltanto che, a questo punto, doveva aver terrore di tutto!
«E… e che dovrebbe fare questo coso?»
«Una volta che la connessione sarà avvenuta, potrà lavorare in input e output.»
«Output? Che significa…?»
«Che posso registrare su una memoria esterna i collegamenti del tuo cervello, la tua “traccia” e quelli che definisci come “ricordi”.»
Sgranò gli occhi, incredula. «Ma è quella tecnologia che usano impiantare agli OC¹ per trasferirla poi a un drone! Perché mi hai sottoposta a una cosa del genere?! Io non voglio che i miei ricordi siano… “copiati”! È assurdo, e io sono contraria! Si tratta di cose personali…!»
«Non sarà necessario occuparsi degli output. Ho già la mia memoria originale con cui lavorare.»
«Allora non capisco… a che ti serve…?»
«Quello per cui mi sarà utile, sono piuttosto gli input.»
Di nuovo Amelia ebbe paura, si agitò sulla lettiga e allungò ancora una volta la mano verso la base del collo, ricordandosi, tuttavia, di non toccare la ferita, anche se lo fece più per una sorta di disgusto che per l’ammonimento di Adam.
«Gli input? Vuoi dire che…?» la voce le si spense, troppo atterrita dal pensiero che aveva concepito.
«Invece di raccogliere i dati dal tuo cervello, noi ce li metteremo.» spiegò freddo e asettico l’uomo che quasi non riconosceva più. Le pareva di vivere un incubo!
Cominciò ad ansimare sempre più freneticamente, il cuore le andava a mille a sentì la pressione salire fino alle stelle. Tremò, le mani agitate davanti a lei, senza riuscire a toccarsi il collo per strapparsi la benda: aveva troppo orrore dell’impianto dentro al suo corpo.
«Toglilo! Toglilo! Non lo voglio! Aiuto… Aiuto! Non voglio! Toglimelo subito! Subito!» cominciò a urlare in preda a una crisi isterica. «Non voglio che mi tocchi il cervello! Non voglio che mi si scombussolino i… i ricordi! I-io… non voglio nozioni che non ho imparato studiando! Toglimi questa cosa! Toglimela subito! Toglila!»
Adam che assistette a questo sfogo non comprese il suo terrore e definitivamente la mise a tacere.
«Vedrai che non farà male… forse solo un po’ all’inizio. Ma poi ti abituerai e passerà presto. Stai calma, stai calma…»
Cercava di abbracciarla e carezzarle i capelli, ma Amelia era ancora troppo scossa per accettare di rimanere immobilizzata tra le braccia di chiunque: sentiva di non riuscire a respirare bene, come se le mancasse l’aria o non ne entrasse mai abbastanza nei polmoni. In questo momento, era meno che mai disposta a fidarsi di Adam, dopo quello che le aveva fatto.
«Perché l’hai fatto?! Perché?!!» gridava e piangeva spaventata come una bambina. Ora singhiozzava senza più freni.
«Che cosa… che cosa vuoi mettermi nel cervello?!» chiese infine, e questa volta, si fermò abbastanza da farsi dare una risposta coerente.
«Ti mancano. Mancano i ricordi…» disse Adam.
«Che ricordi? Di cosa parli?» sbottò spazientita lei, quasi aveva voglia di ferirlo col suo orrendo bisturi.
«I ricordi di Amelia. Ti mancano i ricordi di Amelia.»
«Sono IO Amelia, si può sapere cosa stai farneticando?! Ce li ho già i MIEI ricordi!»
«No, non ancora. Ma presto lo sarai… sarai davvero lei. La mia Amelia.»
La ragazza, incerta sulle proprie gambe, scese dalla brandina e si allontanò più in fretta che poté da quell’uomo. Non gli diede mai le spalle.
«A-Adam… di che stai parlando? Io… sono io Amelia. Non ho bisogno di altri ricordi che me lo confermino.»
«Tu hai quasi le sue stesse fattezze fisiche, ma non sei ancora la mia Amelia. Ti mancano i ricordi per capire chi sei: per comprendere chi tu sia per me e chi io sia per te. E poi saremo di nuovo assieme, questa volta per sempre. E non ci separerà mai più nessuno.»
«Tu… tu sei pazzo! Dimmi che tutto questo è uno scherzo!»
«È la verità. Io non mento.»
Amelia gemette e si passò una mano sulla fronte. Si scosto i capelli dal volto e dagli occhi le scorsero altre lacrime di dolore.
«Non capisco… perché mi hai fatto questo?» mormorò chiudendo gli occhi e sperando quasi che si trattasse solo di un brutto incubo. Ma quando li riaprì trovò Adam nella stessa posizione, erano ancora nel medesimo laboratorio. Tutto quello era tragicamente reale.
«Il processo è quasi avviato. Presto capirai.»
La ragazza non ebbe il tempo di replicare che un’improvvisa forte fitta la colpì alla testa. Barcollò in precario equilibrio.
«C-che cosa…?» Ma non concluse la domanda. La prima ondata di ricordi le si riversò nella mente e ciò la scombussolò così tanto che svenne e cadde per terra.
Adam allora le si avvicinò e la raccolse, mettendosela in braccio. Lasciò il laboratorio, trasportò la fragile ragazza su per le scale e la stese sul proprio letto. Con dita leggere, le aggiustò le ciocche ribelli e gliele mise ai lati delle orecchie, liberando il volto alla sua vista.
Si chinò a baciarla su una guancia ancora umida delle sue lacrime.
«Non avere paura, Amelia. Presto saremo di nuovo insieme, com’è giusto che sia.»

 

[Continua...]



_____________________
¹ OC sta per “Original Copy”. La tecnologia introdotta da Amelia è stata nel frattempo sviluppata e questo termine è nato per indicare le “Copie Originali”, ovvero coloro i quali si prestano alla scienza per registrarne i comportamenti e i ricordi che verranno poi introdotti nel sistema computerizzato di base dei nuovi androidi.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Capitolo 09! Ragazzuoli e ragazzuole... vi avviso sin da ora che è in questo capitolo che Adam raggiunge le vette più inquietanti e indiscusse di tutta la storia xD dopodiché non dovrete più preoccuparvi che non si scoprirà nullaltro di tanto raccapricciante come accade qui ù.ù Con questo capitolo si svelano finalmente un sacco di punti oscuri di questa seconda parte di racconto e soprattutto si collega il "ponte mancante" con la prima
Spero vivamente che vi piaccia! Non aggiungo altro ma aspetto di leggere che cosa ne pensate voi! :heart: Buona lettura! :star:

Capitolo09_zpsf0ca47a3

 

Amelia riprese lentamente coscienza. Un cerchio alla testa le rendeva i movimenti pesanti e impacciati. Aprì lentamente gli occhi, abbagliati persino da quella luce soffusa che filtrava dalle tende della stanza. In un primo momento rimase sospesa, senza ricordare nulla e senza neppure farsi delle domande: era ancora più addormentata che sveglia, dunque non realizzò né dove si trovava né perché. Dopo un momento, iniziò a capire che non era nella sua stanza, allora si prese un minuto per osservare per bene dove si trovasse. Dovette fare uno sforzo per ricordarsi che quella era la camera di Adam.
Adam…
All’improvviso, il campanello di allarme si mise a suonare e ciò non fece altro che peggiorarle il già tremendo mal di testa che aveva. Tuttavia non si fece scoraggiare da quel male, ma balzò a sedere tanto repentinamente che quasi perse di nuovo l’equilibrio e ricadde. Si assicurò con delle rapide occhiate di essere da sola e una volta appuratolo, si lasciò andare a un pesante sospiro e a un gemito di dolore.
Già strani ricordi le si affacciavano nella mente, di un genere che non solo la preoccupava ma la disgustava quasi!
Erano tutti pensieri su Adam
Adam, Adam, Adam ovunque! Lo vedeva con una nitidezza sorprendente, quasi lo avesse appena incontrato e quella memoria fosse ancora fresca. Ma la cosa peggiore non era questa, quanto piuttosto la natura di quei ricordi: lo osservava con attenzione, in ogni particolare, quasi che un suo solo gesto potesse rivelare chissà quale verità segreta o stupefacente su di sé o sul mondo. Ogni più piccolo gesto era carico di attesa, di aspettativa. Vedeva una mano sfiorare un foglio e sentiva il desiderio ghermirla: quanto sarebbe stato bello essere accarezzata da quella mano calda e grande! Sentiva il bisogno pulsare e diventare quasi proprio in un modo strano che non aveva mai provato con nessuno… figurarsi provarlo per colui il quale l’aveva cresciuta come un padre!
Ora un tenero sorriso, la felicità che nasceva da una così piccola cosa… giornate di sole, giornate nuvolose, giornate che nel loro susseguirsi collezionavano attimi rubati, sempre più intimi, sempre più speciali. Un tocco, una parola, uno sguardo, una carezza… la memoria era satura di episodi di una dolcezza infinita che le straziava il cuore dalla pena perché a dispetto della persona che li suscitava, sentiva di aver perso irrimediabilmente qualcosa. Aveva infatti notato, sin quasi da subito, una profonda e fondamentale differenza tra il suo Adam e quello dei nuovi ricordi: un atteggiamento, un modo di fare, una profondità di sentimento che, sebbene non all’apparenza, lo rendevano del tutto diverso dalla persona che lei conosceva. Fu questa constatazione, anzitutto, a renderle possibile ad Amelia di sopportare il primo attacco di quella memoria in eccesso: la consolazione che ci fosse qualche differenza, che tutto sommato poteva ancora discernere tra l’uno e l’altro degli uomini che ora amava, sebbene in maniera così differente.
Nonostante la terribile colpa di cui si era macchiato, infatti, Adam rimaneva pur sempre, agli occhi di Amelia, il genitore amorevole che si era preso cura di lei, che l’aveva cresciuta, ascoltata e appoggiata in tutti quegli anni; l’unico parente in vita, l’unica persona sulla quale poter contare, e il fatto che ora avesse scoperto che non c’era, tra loro, alcun vero legame di sangue non poteva cambiare il suo modo di percepire il loro rapporto. Per quanto avesse provato a fargliene una colpa, a odiarlo persino, si rendeva conto di non poter cambiare così facilmente i suoi sentimenti verso chi era sempre stato buono con lei.
Eppure ora il suo cuore era pieno di sentimenti per un’altra persona che non conosceva e che non sapeva se esistesse. La mente, aveva fatto proprie quelle esperienze artificialmente trasmesse e aveva infettato il cuore, in maniera oltremodo imprevedibile, rendendolo percettivo all’affetto e alla gioia della persona cui appartenevano quelle memorie. E poco importava che ricordava di avere avuto un carattere talmente diverso dal proprio, così chiuso, così impenetrabile, sentiva con pari impeto la forza di quella tempesta sentimentale che era tutta concentrata e indirizzata a un’unica persona: Adam.
Ma chi era Adam?, c’era da chiedersi… Possibile che fosse la stessa persona che conosceva lei? Lo stesso padre logico e “preciso” che era sempre stato ai suoi occhi? Era vero, moltissimi atteggiamenti dell’Adam dei suoi ricordi erano sorprendentemente simili a quelli che alle volte ripeteva suo padre, tuttavia non riusciva a togliersi dalla mente la sensazione che ci fosse qualcosa di sostanzialmente differente: una sorta di spontaneità, l’avrebbe definita, che prima aveva e che adesso pareva mancare del tutto. Che fosse cambiato così nel tempo? Era possibile… tuttavia sembrava improbabile.
Un rumore della porta la fece sussultare e la distolse dai suoi cupi pensieri e dalla sua disperazione. Purtroppo, la persona che si presentò non migliorò affatto la situazione, anzi, non fece altro che acuire e peggiorare la confusione che sentiva Amelia.
«Come ti senti?» le chiese per prima cosa Adam.
La ragazza singhiozzò e si lasciò sfuggire alcune lacrime.
«Ti prego… dimmi che si possono togliere… Dimmi che posso disfarmi di queste memorie…»
«No, non è possibile. Non senza danneggiare il resto della tua memoria, Amelia.»
«Aah…» sospirò prendendosi la testa tra le mani. «Spiegami perché lo hai fatto. E questa volta voglio tutta la storia!»
Adam non ebbe problemi a riferire i fatti e rivelò tutto quello che aveva taciuto per anni.
Raccontò di Amelia, del rapporto che li legava e della sua impossibilità di concepire un mondo senza di lei. Le disse di come non aveva compreso, in passato, il significato della morte e di come non fosse riuscito a impedire alla sua Amelia il suicidio. Della sua volontà di ridarle vita così come lei aveva fatto con lui…
«Aspetta un momento! Che cosa vuoi dire? “Darti vita”? Come se fossi qualcosa di… di artificiale?»
«Lo sono.»
«Tutto questo non ha senso!» protestò la ragazza.
«Ce l’ha, se solo analizzassi meglio i ricordi che ti ho fornito.»
Amelia allora tornò a rivederli e si rese conto che, oltre ad Adam, sullo sfondo c’era sempre una ricerca scientifica. In breve capì di che cosa si trattava e collegò tutte le parole, tutti gli avvenimenti…
«Adam… tu… non sarai… tu non sei mica… un robot!»
«Esatto. Sono stato creato per dar vita all’Adam che era morto. Amelia sapeva che questo era l’unico modo per farlo ritornare. Quando l’ho scoperto e ho capito anche io, ho pensato di fare lo stesso per dare di nuovo vita alla mia Amelia. E ci sono riuscito perché ora tu sei qui e sei completa. Sei la mia Amelia e nessuno meglio di te mi conosce.»
«Adam! Ma tutto questo è folle, è assurdo! Non ti rendi conto di quello che dici!»
«Io invece lo so benissimo. Sono stato tanti anni a raccogliere informazioni nella mia memoria per poter studiare e comprendere il lavoro di Amelia e poterlo riprodurre. Ma per quanti sforzi facessi, alla fine, mi mancava sempre la cosa fondamentale. Non avevo una parte di lei conservata da nessuna parte, se non nei miei ricordi, ma quelli non andavano bene perché se li avessi usati avrei dato vita a un altro me stesso e di Adam ci devo essere solo io e nessun altro. Così era essenziale avere una parte di lei in modo da rendere “Amelia” chi l’avrebbe ereditata. Dopo tanti anni, quando ormai gli scienziati della INC avevano esaurito le ricerche su di me, ho avuto la possibilità di accedere a zone del laboratorio che prima mi erano precluse. Ed è stato in una di queste volte che mi sono capitati tra le mani alcuni vecchi file registrati e archiviati senza un criterio adeguato e che quindi erano quasi andati perduti, poiché non risultavano in nessun archivio ufficiale.»
«Mi sono reso conto che appartenevano ad Amelia perché conoscevo bene la sua grafia e tra i suoi effetti ho trovato delle registrazioni di prova che aveva fatto durante le sue ricerche, contemporaneamente a quelle sugli impulsi neurologici dell’essere umano Adam. Ciò che mi ha sorpreso e che in definitiva è stato decisivo per il mio progetto, è stato il rendermi conto che gli impulsi memorizzati appartenevano proprio a lei.»
Da quel momento, continuò nella sua narrazione degli eventi, Adam aveva provato a trasferire nella mente di alcune persone scelte i ricordi della sua creatrice. I primi tentativi su soggetti adulti ebbero risultati disastrosi: erano più difficile da “trattare”, meno “adattabili” e in definitiva, pronti a dar battaglia. Serviva qualcuno che si prestasse più facilmente e senza troppe storie. Tuttavia, anche gli esperimenti su delle bambine di età compresa tra tre e dieci anni, risultarono catastrofici: la maggior parte di esse morì a causa del trauma di dover sopportare un bagaglio di memoria che era troppo pesante ed estraneo per la mente tenera di una bambina; altre, una volta impiantati i ricordi, impazzirono. Errore dopo errore, caso dopo caso, Adam arrivò a studiare una nuova soluzione: prendere una bambina che avesse le giuste caratteristiche fisiche – che somigliasse, cioè, ad Amelia –, crescerla per guadagnarne la fiducia, e sottoporla la test una volta raggiunta un’età che consentisse di sopportare il peso delle informazioni artificialmente trasmesse.
Inutile dire che quella bambina, risultò essere proprio lei: Amelia.
La ragazza, sedeva ancora muta, spaventata e pallida in viso. Ascoltava con strazio e rassegnazione, costringendosi a convincersi che quella che stava udendo era proprio la verità. Di colpo, l’immagine del genitore premuroso fu sostituita da un essere freddo e calcolatore, impossibilitato a provare qualsiasi vero sentimento; un essere che l’aveva strappata alla sua vera famiglia, rapendola chissà da dove, cancellandole la memoria, e che le aveva regalato in cambio un’esistenza che non le sarebbe mai davvero appartenuta poiché ella doveva soddisfare il ricordo di una defunta.
Non poteva nemmeno pensare al crudele destino di quelle povere bambine, vittime innocenti di un angelo nero che credeva di fare del bene nell’agire allo scopo di soddisfare un principio fittizio installato nei suoi circuiti morti. Quanto sangue… quanto sangue e sofferenze macchiavano quelle mani e pesavano su quelle spalle che da piccola l’avevano accudita e sollevata su di esse.
Quasi si sentiva in colpa per essere stata l’unica a sopravvivere nonostante il suo non si potesse dire un destino migliore.
Quando finì di raccontare, Adam le si avvicinò apparentemente sereno, come se non le avesse appena rivelato la verità più orrenda che potesse esistere al mondo. Le sorrise con calore e le disse:
«Bene, ora sai tutto. Come ti senti Amelia? Desideri mangiare o bere qualcosa? Se vuoi ti leggo un libro.»
Tese una mano ad accarezzare la guancia, ma Amelia si ritirò con uno scatto che soprese lei per prima.
«Non toccarmi! Non mi toccare!» gridò terrorizzata. Sentiva ogni terminazione nervosa come in procinto di prendere fuoco e non sopportava il pensiero di essere anche solo sfiorata da lui in quel momento.
«Perché non posso? Hai male?»
«Non voglio e basta! Non lo devi fare! Vattene via! Vattene! Esci da qui!»
Contrariamente a quanto ci si aspettasse, Adam sorrise.
«Riconosco questo schema. Allora ha funzionato! Sei tornata davvero, Amelia! Eccoti, dici proprio le stesse cose di un tempo…»
Amelia non si soffermò ad analizzare ciò che egli diceva. Per quel giorno ne aveva avuto abbastanza di ascoltare cose assurde e ormai non capiva quasi più nulla di quello che dicesse in ogni caso.
Solo quando riuscì a farlo uscire dalla camera, si abbandonò tra le lenzuola e si arrese a un pianto disperato e liberatorio.

 

[Continua...]

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


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I giorni immediatamente successivi a quello che, per tutta la vita di Amelia, era stato definito come “il grande giorno”, passarono senza che ella riuscisse a mettere il naso fuori casa. La quantità di informazioni nuove che a ogni minuto si riversavano nel suo cervello, tramite il micro-processore installato nella sua carne, le provocava fitte alla testa e nausee continue. Le salì la febbre, dunque per giorni fu costretta a letto e furono pochi i veri momenti di lucidità che poté spendere a riflettere su quella situazione paradossale. Adam si prendeva cura di lei con sollecitudine, come aveva sempre fatto, ma per fortuna non rimaneva mai molto a lungo nella sua stanza come da esplicita richiesta della ragazza.
Ogni volta che lo vedeva, Amelia provava sentimenti contrastati: da un lato vedeva suo padre, dall’altro un amante perduto, da un altro punto di vista ancora, vedeva il carnefice. Non riusciva a non colpevolizzarlo per ciò che aveva dovuto subire, a sua insaputa, e che stava continuando a soffrire anche ora, con l’intromissione non voluta di quei ricordi teneri e strazianti di una persona morta per un’altra altrettanto scomparsa.
Aveva avuto modo di constatare anche, attraverso ciò che vedeva con gli occhi della mente, che quelle persone, così innamorate l’una dell’altra, erano in realtà vissute più di settant’anni prima. Il dubbio – che le si era insinuato progressivamente, man mano che faceva caso al tipo di abbigliamento che indossavano, alla tecnologia che avevano, ecc ecc – venne confermato dalla stesso Adam, un giorno in cui la febbre era più bassa.
«Sì, hai ragione. Quei ricordi risalgono a settantatré anni fa.»
«Ma… com’è possibile?» chiese Amelia incredula.
Adam la guardò con la sua solita aria di quiete e sorrise appena. «Io sono un robot, Amelia. Continuerò a muovermi fino a quando i miei ingranaggi funzioneranno.»
«Ma tu… tu mangi, dormi, fai le stesse cose che faccio io! Come fai a non… a non “scaricarti”?»
«Uso delle speciali celle di conversione dell’energia solare: come i pannelli che si impiantano nei tetti delle case, solo molto più piccoli e capaci di convogliare molta più energia. Hanno speso un capitale considerevole su di me, allora. Sono fatto dei migliori materiali… almeno così mi è stato detto. Il motivo per cui non ci sono ancora tanti come me è perché solo Amelia è stata capace di sviluppare adeguatamente questa tecnologia. Lei era un genio, e senza le sue intuizioni, la scienza ha fatto passi molto più piccoli di quanto avrebbe potuto se avesse usufruito delle sue idee. Ora che sono morte tutte le persone che la conoscevano, comunque, hanno lasciato in pace anche me.»
«Che cosa vuoi dire? Non ti seguo.» disse Amelia.
«Molti uomini hanno cercato di studiare il mio funzionamento ma nessuno di loro è mai riuscito ad arrivare al centro del mio essere: Amelia ha sigillato la matrice e i dati più importanti. Senza la chiave di accesso nessuno può copiare ciò che sono o può modificarlo in altro modo. È per questo che hanno presto perso interesse nei miei confronti… ero un vicolo cieco, per loro.»
Si fermò un momento per porgerle il termometro.
Poi riprese: «Lei lo sapeva… sapeva bene che ci avrebbero provato, se mi avessero scoperto. Era per questo che mi teneva nascosto. Lei non voleva che qualcuno mi cambiasse e mi rendesse altro diverso da Adam. Io ero suo. Il suo Adam. Lo ero e lo sarò per sempre perché adesso io ho te.»
Come sempre più spesso accadeva, Adam tornò di nuovo sull’argomento più ostico, quello che Amelia rifiutava con tutte le sue forze e che non poteva accettare di capire, né tantomeno desiderava ascoltare. Ogni volta che riuscivano a parlare per qualche minuto di qualsiasi cosa, quasi si tranquillizzava, mettendo da parte l’angoscia e illudendosi che quell’incresciosa situazione si potesse in qualche modo superare. Ma bastava un attimo, una frase o un argomento, che subito tutto ripiombava su di lei più reale e, forse, anche più doloroso di prima.
Adam non si accorgeva di farle del male e non si rendeva conto che fosse controproducente forzare la mano dove chiaramente lei si sentiva ancora così insicura e spaventata: secondo la sua logica, Amelia doveva capire. Ora che sapeva, che aveva i ricordi giusti, doveva tornare a essere l’unica persona della sua vita e si aspettava che ricambiasse un sentimento che lui per primo, con l’inconsapevolezza di cui solo un essere artificiale poteva essere dotato, aveva svuotato della sua natura.
Con un simile disequilibrio tra le parti, fu solo naturale l’allontanamento che ne seguì.

Dopo circa una settimana, Amelia fece ritorno a scuola.
Michelle le disse che era stata molto preoccupata per lei perché era sparita senza farsi più sentire dopo la discussione che avevano avuto quella mattina, all’uscita della scuola, alcuni giorni prima.
Amelia si scusò come poté e le disse che era stata male e che aveva avuto la febbre. Per fortuna, il pallore che le adornava ancora il viso, come un’ombra fosca in ricordo dei giorni tetri appena trascorsi, confermarono la sua versione e Michelle non sospettò affatto che ci fosse qualcosa che non andasse.
Tuttavia si ritrovò a interrogare l’amica sulla questione che avevano lasciato in sospeso.
«Allora, Amelia, raccontami! Cosa ti ha detto tuo padre? Eri così preoccupata di ciò che avrebbe potuto rivelarti! Ti ha parlato alla fine? Avete fatto qualcosa?»
A quella menzione, Amelia si tese come una corda di violino. Abbassò lo sguardo e per un po’ non riuscì a guardare l’amica, come se temesse che potesse leggerle negli occhi la verità sulla depravazione del genitore e che potesse condannarla per quello. Come avrebbe reagito se avesse saputo cosa fosse suo padre? E all’idea di quello che le aveva fatto? O peggio… al pensiero di quale fosse stato il suo vero scopo? Al fatto che lui pretendeva di avere una relazione amorosa con Amelia, che aveva cresciuto come una figlia?!
Si sentì quasi svenire e capì che non avrebbe mai potuto permettere, in nessun caso, che trapelasse a verità.
Ora, con ancora più dispiacere, si rendeva conto che quanto successo avrebbe davvero cambiato la sua vita per sempre, sì, ma in un modo che fino ad allora non aveva previsto: sarebbe stata costretta ad allontanarsi da tutti.
Non avrebbe potuto più permettere a nessuno di avvicinarsi a lei al punto da conoscerla profondamente, poiché una tale vicinanza rischiava di far venire fuori la verità. Non sarebbe stato affatto difficile sospettare qualcosa nel momento in cui si fosse notato l’atteggiamento fin troppo protettivo di Adam nei suoi confronti o si fossero udite le parole d’amore che aveva per lei.
Ed ora, per la prima volta, si trovava a dover mentire a un’amica, a impedirsi di essere totalmente franca con lei.
«Non è stato nulla, davvero. Avevi ragione tu… mi sono preoccupata per niente!»
«Ma… come? Non avevi detto che doveva rivelarti qualcosa?»
«Beh, sì… come avevo sospettato, si trattava di mia madre.»
«Ah! Davvero? Allora è viva? Dimmi!» Michelle si illuminò in viso, pregustando già di udire notizie meravigliose.
«Oh… no, cioè… non lo so, veramente. Mi ha solo detto che non sa bene che fine abbia fatto.»
«Come non lo sa! Possibile?» esclamò la ragazza, sorpresa. «Cosa ti ha detto allora?»
In realtà, Adam le aveva riferito, a proposito dei suoi veri genitori, che non li conosceva neppure: l’aveva vista un giorno al parco giochi, aveva apprezzato quella bambina dai capelli rossi e gli occhi chiari – la fisionomia della sua Amelia – al punto da prenderla semplicemente. I genitori l’avevano persa di vista un momento e lei, l’attimo dopo, era sparita. Puff! Andata.
Adam l’aveva portata con sé e le aveva cancellato la memoria affinché non piangesse per avere la sua mamma e il suo papà.
Quando l’aveva saputo si era rammaricata di quei ricordi perduti, rallegrata per la speranza di poter avere ancora dei genitori in vita, da qualche parte, e adirata riguardo all’ingiustizia che aveva subito: con uno scatto l’ira – ormai sempre più frequenti peraltro – aveva cacciato Adam dalla sua vista, gridandogli che l’odiava e che avrebbe desiderato non averlo mai incontrato. Poi si era pentita di quel gesto e di quelle parole. In fondo, comprendeva cosa aveva mosso il robot: un semplice e inoppugnabile comando logico.
Ma naturalmente non poteva dire tutto ciò alla sua amica, quindi inventò una scusa. «Mi ha riferito che per anni l’ha cercata, senza mai trovarla e che probabilmente è morta.»
Michelle si rattristò e dichiarò ad Amelia che capiva la sua delusione. Poi le intimò di farsi forza ricordandole di guardare ai lati positivi: lei aveva ancora suo padre!
Per poco non si mise a ridere di quelle parole. Le sembrava tutto così assurdo! Ma si sforzò di rimanere in silenzio e fingere di apprezzare il suo gesto e le sue parole, dato che non poteva assolutamente rivelarle i suoi terribili segreti.

Poi i giorni passarono, e così le settimane, i mesi e gli anni. Come aveva intuito quella prima volta, Amelia si era allontanata da tutti: si era volontariamente isolata in un guscio protettivo che avrebbe separato per sempre la vita che conduceva nel mondo reale e quella che viveva nella sua casa dove, ogni giorno, l’attendeva Adam che provava costantemente ad avvicinarla, ad avere con lei un rapporto che la ripugnava.
Nessuno la conosceva per quello che era, nessuno sapeva cosa aveva dentro, cosa provava e quale insopportabile dolore dividesse la sua anima. La fine della scuola l’aveva portata a chiudere tutte le amicizie. Perfino Michelle, dopo innumerevoli tentativi, aveva rinunciato a mantenere un legame con lei: Amelia si rifiutava di uscire, si rifiutava di invitare gente a casa, si rifiutava di spiegare ciò che non andasse e ciò che la preoccupasse. La fine di quell’amicizia, tuttavia, non le procurò solo sconforto ma, stranamente, anche un senso di liberazione dall’obbligo di dover fingere costantemente con tutti: un sorriso qua, una frase allegra là e una battuta per ridere… cose così semplici erano diventate, col tempo, un grosso peso per lei, poiché aveva nell’animo sempre meno spensieratezza.

Alla fine Adam c’era riuscito: ora Amelia era davvero sola.
Le era rimasto solo lui.

 

[Continua...]

 

E ora? Questa fine potrebbe lasciare presagire qualcosa di ancora triste e deprimente? Oppure, forse, è il barlume di speranza? Perché quando si arriva al fondo non si può far altro che risalire, giusto? Oppure - come dicono alcuni - si comincia a scavare? :ghya:
Come ho anticipato in tag, mancano ormai 2 capitoli alla fine della storia :excl:
Dal prossimo, ci sarà un "balzo" temporale... quindi non vi annoierò ancora con la storia dei sentimenti tormentati di Amelia XD O dei tentativi di Adam di farla diventare la sua amante...
Si introdurrà anche un nuovo personaggio che avrà un ruolo ben preciso nel racconto, soprattutto come chiave allegorica nel sistema dei personaggi :heart:
Spero che tutto il cuore che questo capitolo vi sia piaciuto! <3
Alla prossima! *baci*

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Come noterete già dall'inizio, ecco il famoso "salto" che avevo preannunciato qualche commento fa ^^
Sono passati molti anni... la situazione sembra sempre la stessa di come l'abbiamo lasciata, forse addirittura più tragica per via della stanchezza di Amelia. E ora che succederà? Alle porte della conclusione, come farà Amelia a risolleversi? Oppure soccomberà ad Adam e a ciò che rappresenta?
Spero di emozionarvi anche con questo 11° capitolo ;')

zl7kok

 

[7 anni dopo]

Ecco che si trovava un’altra volta alle prese con la folle idea di una fuga.
Amelia stava dritta, il borsone alla mano, davanti la stazione del treno. Aspettava che ne passasse uno che la portasse il più lontano possibile da quel luogo. Ancora una volta si era costruita una risoluzione che tuttavia cominciava già a vacillare: si sentiva in colpa ad abbandonare Adam, ma ogni volta che arrivava al limite non poteva fare a meno che credere che quella fosse l’unica soluzione per restituirsi una vita che meritava di avere, e per fuggire dall’ombra di un passato che avrebbe dovuto ormai essere morto e sepolto.
Così quasi tutte le mattine da quando aveva finito il college, Amelia andava alla stazione, equipaggiata con una valigia pronta in mano, in attesa del momento in cui la sua risoluzione sarebbe stata totale e si fosse decisa a compiere quel passo.
Ogni mattina, tuttavia, il passato la ghermiva in una morsa stretta e crudele che le ancorava i piedi al pavimento freddo e anonimo della stazione e le impediva di muoversi, di fare un passo verso la libertà, verso l’ignoto.
Un attimo prima era determinata, si vedeva già prendere posto sulla poltrona bitorzoluta del vagone, e via verso un’altra città; l’attimo dopo vedeva arrivare il treno, svuotarsi di passeggeri che correvano frettolosamente in tutte le direzioni e riempirsi di nuovi anonimi ospiti, mentre, come di lontano, udiva l’altoparlante annunciare un nuova corsa e intimare di prestare attenzione alle linee gialle di sicurezza. Pochi minuti che si allungavano come un’eternità e che pure passavano con la frequenza di un lieve battito di ciglia. E Amelia era rimasta immobile, paralizzata, dilaniata dalla terribile scelta, da quel costante senso di colpa. Col tempo aveva imparato a vedersi come l’unica su cui Adam potesse fare affidamento perché era vero: lui non aveva al mondo che lei. E lei, torturata dai sentimenti contrastanti, aveva solo lui, unico baluardo in una notte oscura; figura di padre e di carnefice assieme.
E poi c’era quel momento… quello della quiete che si ode assordante dopo un forte e prolungato rumore: il treno partiva, la stazione ora era vuota e silenziosa, poche persone nei paraggi, ognuno troppo impegnato ai fatti propri per badare a chi avesse attorno.
Amelia lasciava andare il respiro che aveva inconsapevolmente trattenuto e rivolgeva lo sguardo verso lo spazio vuoto, prima occupato dalla locomotiva, e verso la direzione da essa intrapresa: sola, senza di lei.
Abbassava lo sguardo verso il borsone ancora saldamente trattenuto in mano e lo lasciava scivolare sul pavimento con un tonfo.
Questa era una scena che si ripeteva ormai spesso, quasi fosse diventata una routine dello stesso ambiente ferroviario, che la faceva propria.
Una di quelle mattine, tuttavia, Amelia non rimase – come suo solito – lì in piedi per qualche minuto per poi tornare stancamente a casa propria. No, quel giorno si trascinò su una panchina, l’ultima e la più isolata, a guardare fissamente l’infinito oltre le rotaie.
Dopo pochi istanti, la vista ondeggiò e si offuscò a causa delle lacrime che non riusciva più a trattenere. Lacrimò silenziosamente, quasi non ci facesse caso, poiché era passato da un pezzo il tempo del pianto arrabbiato, urlato, scosso da tremiti convulsi: aveva ormai capito che nessuno avrebbe mai potuto salvarla. Era intrappolata in una sorta di limbo e solo lei possedeva la chiave per uscirne una volta per tutte. Solo… non ne aveva la forza. Che fosse per paura di ciò che lasciava o di ciò che avrebbe trovato, non riusciva a fare un passo né nell’una né nell’altra direzione.
Adam non faceva domande su dove lei si recasse ogni giorno. Amelia aveva preso il pretesto di un lavoretto per assentarsi da casa e sperare, ogni volta, che quella fosse l’ultima volta che vi metteva piede. Ma finora non era successo: faceva puntualmente ritorno, quasi fosse diventata a sua volta un automa.
All’inizio Adam non capiva perché Amelia desiderasse lavorare, soprattutto non capiva perché lo facesse in un negozio di fiori (era quello, appunto, il pretesto): dal suo punto di vista, avevano già abbastanza denaro per poter vivere più che agiatamente – Adam, infatti, aveva avuto modo di accumularne un bel po’ – e godersi semplicemente la compagnia l’uno dell’altra; ma in secondo luogo, pensava che la scelta avrebbe dovuto ricadere naturalmente su un lavoro in ambito scientifico.
Quale che fosse lo schema di comportamento che si aspettava, comunque, ormai Adam considerava Amelia come la sua vera creatrice: nel suo sistema, aveva integrato ormai del tutto l’immagine del vecchio e del nuovo per cui aveva progressivamente abbandonato tutti gli atteggiamenti che in passato erano stati simili a quelli di un “genitore” verso la propria figlia.
Amelia aveva dunque dovuto combattere contro tutti i tipi di avances di Adam, rifiutandosi sempre di cedere a ognuno di essi. Adam non capiva ma accettava tutto ciò come il volere della sua Amelia e lo rispettava.
Ad un certo punto, un sfruscio alle sue spalle la costrinse a voltarsi. Dietro di lei stava un ragazzo coi capelli spettinati dal vento e la barba leggermente incolta. Aveva il colore degli occhi e dei capelli di un anonimo castano ma, stranamente, possedeva uno sguardo piuttosto penetrante. Bastò un’occhiata per far inquietare la ragazza, infatti, che si preoccupava soprattutto di essere rimasta sola con lui in quel posto desolato.
Il ragazzo restò per un po’ in piedi in silenzio: prima la fissò negli occhi, leggendovi dentro con una profondità sconvolgente, successivamente osservò il viso rigato dalle lacrime appena versate, la bocca rosea, la figura snella un po’ nascosta da vestiti ingombranti. Piegò il capo di lato, su una spalla, e la fissò ancora interrogativo.
Amelia era rimasta ferma davanti all’esame di quell’estraneo, lo guardava a sua volta aspettando che egli facesse o dicesse qualcosa per rompere quel momento che, in un altro contesto, sarebbe risultato un tantino imbarazzante.
Il ragazzo non proferì parola ma prese posto sulla panchina, vicino a lei. Amelia, dopo un attimo di confusione, distolse lo sguardo da lui e preferì a sua volta non dire niente.
Passarono così alcuni minuti, ma anche se Amelia voleva ignoralo e tornare a riflettere sul da farsi – o meglio, a rimproverarsi per la sua mancanza di coraggio –, non riusciva a cancellare dalla sua mente il momento in cui si erano guardati negli occhi e, anzi, si chiedeva con sempre maggiore curiosità, chi fosse mai quell’individuo e perché le si fosse seduto accanto e continuasse ostinatamente a tacere.
Seccata da quel moto di interesse per una persona che non conosceva, decise di alzarsi, raccolse le sue cose e abbandonò la stazione. Sarebbe sicuramente riuscita a partire il giorno dopo.

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫


Ma i giorni successivi a quello, si ripeterono tutti uguali. Amelia continuava a perdere un treno dopo l’altro, bloccata dalla sua stessa indecisione. Tuttavia, un nuovo elemento si era inserito nella routine: il misterioso ragazzo.
Quando infatti la stazione rimaneva vuota e Amelia si abbandonava malinconica su quella stessa panchina, ecco che compariva come un’ombra, le si sedeva accanto e le faceva silenziosamente compagnia.
La ragazza non sapeva che pensare: lui non faceva mai nessun tentativo di instaurare una conversazione con lei mentre lei non aveva il coraggio di aprirsi, tanto era il tempo passato dall’ultima volta che aveva intessuto un normale rapporto sociale.
Così se ne stavano seduti nella stessa panchina per pochi minuti al giorno: ogni volta era lei a decidere di mettere fine all’incontro, abbandonando il suo posto e fuggendo via senza nemmeno salutare o voltarsi indietro: percepiva su di sé il suo sguardo, almeno fino a quando non svoltava l’angolo d’uscita.
Col passare del tempo, Amelia cominciò ad andare alla stazione più per l’aspettativa di un nuovo incontro con quel ragazzo – sperando tutte le volte che finalmente qualcosa cambiasse –, piuttosto che nella speranza di prendere effettivamente il treno.
Di pari passo alla curiosità, però, crebbe anche l’impazienza.
“Che cosa aspetta a rivolgermi la parola? Mi sta sempre seduto vicino e ogni volta che viene mi guarda fisso negli occhi, come se mi leggesse dentro e conoscesse tutti i miei segreti! Eppure non è possibile perché non mi sono mai lasciata sfuggire nulla con nessuno… non l’ho mai neppure visto!” Continuava a fare di questi pensieri e ogni tanto anche qualche congettura sul suo strano comportamento. Ma non veniva mai a capo di nulla, com’era naturale che fosse.
Fu per questo che un giorno, molte settimane dopo quel loro primo incontro, si decise a dire qualcosa lei per prima.
“Almeno posso appurare se sappia parlare o meno…” si diceva.
«Perché…?» cominciò tentennante.
Il ragazzo la fissò incuriosito, in ascolto.
«Perché stai sempre seduto qua?» finì la frase, con voce più alta e ferma.
Il ragazzo rifletté sulla domanda talmente a lungo che Amelia credette per un momento che non le avrebbe risposto.
«Sono curioso.» disse infine, semplicemente.
Amelia attese che aggiungesse altro, ma non lo fece. Così prese di nuovo coraggio.
«Di cosa?»
«Di te.»
A quelle parole le mancò un battito. Le guance le si imporporarono e per alcuni attimi non udì altro che il suono del proprio cuore che batteva freneticamente.
Pensò di andarsene ma qualcosa la tratteneva incollata alla panchina.
«Sei sorpresa?» le chiese.
Amelia si guardò attorno ma non scorse nessuno nei dintorni. C’era solo una vecchia vicino agli uffici.
«Beh, sì. Un po’.»
Il ragazzo sorrise. «Lo sarei stato anch’io al tuo posto, ma non potevo esserne certo.»
«Che vuoi dire?»
Amelia lo fissava cercando di capire tutto ciò che diceva. Ogni parola sembrava, infatti, nascondere un altro significato più profondo.
«Aah…» ora appariva quasi imbarazzato. «Il fatto è che… ti ho osservata.»
Questo, quantomeno, lo sapeva: erano giorni che si presentavano ogni mattina a quella specie di tacito appuntamento.
«Ogni volta che ti vedo, mi chiedo sempre a cosa tu stia pensando. Hai un’aria così triste…» continuò questi.
Amelia si turbò: non le piaceva che le persone cercassero di entrare nella sua mente…. Sia in senso letterale che lato! Aveva imparato ad aver timore di chiunque si interessasse a lei per via del segreto che doveva proteggere.
«Non dici nulla?» le domandò con una punta di delusione.
Amelia scollò le spalle. «Non so che dire…»
«Risponderesti solo a una domanda?»
«Dipende.» concedette sospettosa.
Il ragazzo sorrise di nuovo, quasi si aspettasse quella risposta.
«Ti dà fastidio che stia qui a farti compagnia?»
Amelia rimase un po’ spiazzata da quella schiettezza. «N-no. Non mi dai fastidio.»
Tacque imbarazzata, ma lui sembrava soddisfatto così. Però volle aggiungere: «In realtà, la tua presenza è stata un sollievo.»
Il ragazzo sgranò leggermente gli occhi. «Da-davvero?»
Amelia annuì.
«Ne sono contento.» disse, e lei distolse lo sguardo, di nuovo rossa in viso.
Dopo qualche momento, Amelia gli chiese: «Risponderesti anche tu a una domanda?»
«Certo.»
Esitò qualche secondo, ma poi si decise. «Come ti chiami?»
Il ragazzo scoppiò a ridere brevemente, divertito che tra tutte le domande che potesse fargli, avesse scelto quella più semplice e scontata, data la situazione.
«Sebastian. Il mio nome è Sebastian.»
«Io sono Amelia.» gli disse e gli tese la mano.
Lui la strinse per un tempo più lungo del necessario continuando a sorridere.
«Era da un sacco di tempo che desideravo parlare con te, Amelia.»

▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫ ▪ ▫


Poche, semplici parole e tuttavia molto attese, a causa del lungo tempo che avevano trascorso l’uno accanto all’altro nell’aspettativa e nel silenzio. Continuarono a incontrarsi così, in quella stazione, e a sedersi a osservare il treno che si allontanava. E nonostante ciò, Amelia non aveva perso l’abitudine di trascinarsi appresso la valigia con dentro tutte le sue cose. Sentiva che sarebbe arrivato un momento in cui avrebbe raccolto il coraggio necessario; sentiva che cresceva di giorno in giorno l’aspirazione di prendere la sua vita e iniziare a plasmarla come desiderava lei, piuttosto che come avevano predisposto gli altri, in particolare Adam.
Non era affatto una cosa semplice, non era affatto una cosa immediata.
Era una risoluzione che costruiva giorno per giorno e l’amicizia con Sebastian le diede la possibilità di mettersi in contatto con un individuo che per lei rappresentava tutto l’opposto di Adam: la libertà di azione e di scelta, la naturalezza, la spontaneità, la gioia di vivere, il divertimento… e soprattutto l’umanità: l’umanità che traboccava dai gesti e dalle parole di Sebastian aiutarono Amelia a riscoprire la propria e a darle il giusto valore, la giusta importanza.
Così, spontaneamente, crebbe in lei anche un nuovo sentimento che aveva fino ad allora conosciuto soltanto in maniera fittizia, insana: conobbe l’amore per una persona che fosse amabile per i gesti e le piccole cose che rivolgeva a lei e a lei soltanto. Non un’ombra, un fantasma del passato, che incombeva con mestizia sulla sua vita e dalla quale non poteva liberarsi, ma l’affetto e la passione per qualcuno che le era vicino e che poteva toccare ogni volta che sollevava una mano.
Capì come fosse quella la cosa più bella, più rara e più preziosa del mondo.

 

[Continua...]


 

Grazie a tutti coloro che seguono e apprezzano questa storia! *^*
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Sono emozionata! *OO* Questa è la prima storia a capitoli che concludo! >.< Visto che ero a Febbraio, ci tenevo a chiuderla per il mio compleanno! ^^ Non so quasi che dire... questa storia mi ha presa molto; sono felice che molti di voi l'abbiano apprezzata e vi ringrazio ancora una volta di tutti i complimenti che mi avete fatto! Spero che la fine che ho immaginato e che ho quindi dato alla storia sia all'altezza del racconto e che non vi deluda ** Finalmente capirete le mie criptiche parole quando dicevo che la fine può essere triste o felice a seconda di come la si vuole interpetrare ù.ù Non lanciate pomodori, in caso sappiate che non poteva andare diversamente da così xD Beh, buona lettura! Ovviamente non vedo l'ora di leggere i vostri commenti per sapere che impressioni avete avuto a ciclo concluso ;)

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Sebastian non aveva ancora avuto il coraggio di confessare tutta la verità. Temeva troppo di spingere Amelia a chiudersi di nuovo in se stessa e non poteva tollerare quel pensiero, non ora che finalmente gli permetteva di far breccia nel suo cuore e nei suoi pensieri.
Passava quasi tutti i giorni ad ammirarla, perso com’era nell’osservare il suo viso mentre cambiava mille e più espressioni nel corso dei loro dialoghi: non vi aveva mai fatto caso prima di allora, ma era davvero una persona ricca di sentimenti che teneva nascosti ai più. Sembrava così timida e timorosa da lontano, così diffidente quando aveva iniziato a sedersile accanto… e invece aveva scoperto che era una persona molto forte. Forse troppo… per questo si era isolata da tutto e tutti e non permetteva a nessuno di avvicinarsi oltre un certo limite. Ciò che non capiva era il motivo di questo suo comportamento e di questa chiusura forzata.
Aveva imparato a osservarla da lontano e ora, che le poteva stare vicino, non aveva potuto fare a meno di amarla. Desiderava con tutto se stesso, con un’intensità che non aveva mai provato prima nella sua vita – per niente e per nessuno –, di conoscerla, parlarle, sorriderle e godere dei suoi sorrisi, toccarla, baciarla… quest’ultimo desiderio stava diventando sempre più forte e opprimente dentro di lui. A volte riusciva a trattenersi a stento dal prenderle il volto e costringerla ad affrontarlo, dall’assaporare intensamente le sue labbra in un modo che, era sicuro, le avrebbe toccato l’anima e, forse, l’avrebbe legata a sé per sempre.
Eppure avvertiva con molta chiarezza che qualcosa non andava. C’era qualcosa nel suo modo di parlare, di atteggiarsi, che pareva suggerire che aveva un segreto da nascondere, qualcosa che non voleva che gli altri sapessero. Nonostante tutte le loro conversazioni, avvertiva sempre una sorta di schermo tra di loro che non li lasciava essere del tutto onesti l’uno con l’altro.
Allora aveva deciso di aspettare. Aspettava che Amelia capisse la profondità dei suoi sentimenti per lei, che capisse che l’ultima cosa che voleva era ferirla. Attendeva giorno dopo giorno che fosse lei, spontaneamente, ad aprirsi a lui. Aspettava con la stessa pazienza che aveva dimostrato all’inizio, quando aveva continuato a sedersi su quella panchina impedendosi di parlare, per timore che si spaventasse e scappasse via: come era stato premiato dal fatto che lei avesse poi deciso di parlargli, così credeva che bastasse attendere i suoi tempi per avere un’eguale gratificazione.
Ma le settimane passavano e lei non sembrava avere la minima intenzione di pronunciarsi.
Sebastian si chiese cosa dovesse fare. Preferiva non essere lui a prendere indelicatamente il discorso, ma voleva trovare un modo per avvicinarsi maggiormente a lei.
Una mattina, decise di rischiare il tutto e per tutto.
Amelia aveva osservato il treno andare via come sempre, ma con un’espressione meno sofferente del solito.
Sebastian le rivolse di punto in bianco la domanda.
«Cosa ti impedisce di prendere quel treno?»
La ragazza sussultò quando capì cosa le stava domandando. Esitò a lungo, poi rispose.
«Ci sono delle cose, qui, che mi trattengono.»
«Porti sempre con te questo borsone.» disse indicando il bagaglio abbandonato ai piedi di Amelia, frapposto tra loro due. «Io penso che tutto ciò che ritieni di avere di bisogno sia là dentro.»
Amelia sorrise senza convinzione, quasi cinicamente. «Un borsone non può trasportare dei sentimenti.»
«Ti sbagli. Quelli che non può portare con sé, evidentemente sono fardelli che vanno lasciati indietro. Ci hai mai pensato?»
«Ogni dannato giorno.» rispose sinceramente e con un punta molto evidente di amarezza.
«Allora cosa ti trattiene?»
Amelia combatté contro le lacrime incipienti. Si sentiva scossa nel profondo da quelle domande perché erano le stesse che la tormentavano da anni e che ultimamente l’avevano spinta a tentare la fuga, a cominciare qualcosa di nuovo. Si sentiva tremare tutta, come sul punto di abbandonarsi tra le braccia dell’unica persona che sentiva poteva capirla. Ma, ancora, c’era il timore della perdita a frenarla: che avrebbe fatto se Sebastian si fosse allontanato da lei, disgustato da ciò che Adam le aveva fatto o che voleva ancora farle? Si rese conto davvero solo in quel momento quanto la presenza di quel ragazzo avesse guarito qualcosa nel suo cuore; quanto l’avesse sostenuta con la sua silenziosa presenza, quanto fossero diventati importanti per lei la sua opinione e il suo affetto. Non voleva perdere tutto ciò che aveva guadagnato: si sentiva come un assetato nel deserto che toccasse con labbra, per la prima volta da lungo tempo, un sorso di fresca acqua sorgiva.
Eppure, non poté fare a meno di rispondere: «Il senso di colpa. Mi sento responsabile verso ciò che voglio lasciarmi dietro; e la paura: temo di non potermi mai veramente liberare da ciò che mi opprime. Semplicemente, forse non è possibile. Forse, non importa quanta distanza io metta tra me e… il problema: sarà sempre lì a tormentarmi, un pericolo che incombe a ogni angolo! Che senso avrebbe vivere una vita simile? Che vita sarebbe?»
«Non puoi tentare di risolvere il… problema, allora?» aveva esitato anche lui prima di usare il termine che aveva scelto lei per indicare l’ostacolo, perché non sapeva veramente di cosa parlasse. Si sforzava con tutto sé stesso di comprendere, ma semplicemente non aveva abbastanza indizi.
Amelia rise mentre due lacrime precipitavano nel vuoto dal suo viso. «Credimi, ci ho provato! Ci ho provato con tutte le mie forze… ma è una pietra! No, una montagna… inamovibile!»
«Dimmi di che si tratta. Forse posso aiutarti a… scavalcarla?» concluse esitante.
Amelia lo fissò negli occhi, aprì la bocca come per dire qualcosa e la rischiuse scuotendo il capo. «No, Sebastian. Io… non credo di essere pronta per dirtelo.»
«Non ti fidi di me?»
«Ho paura…»
«Di che cosa?» insistette.
«Di… ho paura di…» balbettò, «…perderti.» sussurrò infine.
Sebastian si sentì colpito da quelle parole, quasi tramortito. Anche se la mancanza di fiducia lo aveva disturbato, il pensiero che lei ci tenesse abbastanza a lui da non volerlo perdere lo rendeva felice a un livello che non riusciva del tutto a capire. Si sentiva fiero, lusingato, intimidito tutto in una volta. E sentiva di volerla stringere al proprio petto per alleggerire il suo fardello, condividerlo con lei – di qualunque cosa si trattasse –; voleva farle capire che non aveva intenzione di andarsene, di abbandonarla… che l’amava. Sì, voleva che sapesse quale peso avesse il suo amore per lei.
Allungò una mano, le sfiorò una ciocca di capelli. Timidamente gliela sistemò dietro l’orecchio e le carezzò il viso scendendo lungo la guancia fino a trovare con la punta delle dita il piccolo mento. Con una lieve pressione la costrinse a voltarsi verso di sé.
Allora si guardarono di nuovo negli occhi. Nessuno parlò; Amelia aveva gli occhi lucidi, le labbra gonfie dai piccoli morsi con cui le aveva torturate. Sebastian, dopo un lungo attimo, scese con lo sguardo a fissarle; le carezzò col pollice. Amelia trattenne il respiro ma non lo respinse quando egli avvicinò il volto al suo.
Fu un bacio leggero, uno sfioramento di labbra. Ma fu così lento… così insopportabilmente intenso, che Amelia si sentiva ancora bruciare nel punto in cui si erano toccati.
Sebastian parlò con lentezza, scandendo ogni parola affinché le si fissasse bene in mente. «Io. Non. Voglio. Perderti.»
Amelia lo fissò, tremando leggermente. Lui la tratteneva con una mano sul mento a poca distanza.
«Nulla di ciò che mi potrai mai rivelare, cambierà quello che provo per te, Amelia. Cerca di capirlo perché è una tortura averti così vicina e non poterti aiutare. È una sofferenza vederti piegare annichilita da questo “problema”… e sapere di non poter fare nulla per migliorare la situazione.»
Prese un attimo fiato, e finalmente confessò. Tentò il tutto e per tutto.
«La verità… è che io ti avevo notato molto prima.»
«Che cosa? Che vuoi dire?» Amelia era confusa.
«Siamo andati nello stesso college. Ma tu non ti sei mai accorta di me; non ti accorgevi di nessuno. Ti guardavo sempre da lontano e mi incuriosivi. Provavo il desiderio di avvicinarmi ma non sapevo come fare. Eri così… eterea… mi sembrava che sarebbe bastato il minimo tocco per allontanarti e farti scomparire. Non avevo il coraggio di parlarti… questo fino alla fine dei corsi. Ero triste al pensiero che non ti avrei rivista mai più. Non sapevo niente, niente di te… se non il tuo nome e ciò che avevo osservato di te: il fatto che stessi sempre da sola, che non parlassi con nessuno, che ti isolassi…»
«Poi, un giorno, ti ho vista in questa stazione e ti ho riconosciuta. Ti ho vista guardare il treno con desiderio e ho percepito la tua paura, come se fosse anche un po’ mia. In effetti, temevo che saresti salita e ti avrei persa per sempre. Ma tu sei rimasta lì immobile. Il treno se n’è andato e tu hai pianto; mi sono sentito triste, ma anche molto sollevato. E poi ho notato che venivi sempre qui, sempre alla stessa ora; giorno, dopo giorno, ti vedevo guardare il treno e non prenderlo mai. Mi ci è voluto un po’ di tempo per raccogliere il coraggio di avvicinarmi a te, dopo tutti quegli anni passati a osservarti da lontano. Mi è occorso ancora più tempo per rivolgerti la parola, perché avevo sempre il timore che bastasse un nonnulla per allontanarti. Così ho atteso che fossi tu, spontaneamente, a deciderti a dirmi qualcosa. E così è stato.»
Sebastian sorrise, una volta conclusa la sua bizzarra confessione. Ora stava tutto a lei.
«I-io…» cominciò quella, ma le si spezzò la voce e non poté finire.
«Io sono pronto a partire.» sbottò d’improvviso il ragazzo.
Quelle parole risuonarono nel silenzio della stazione.
«Che… Che cosa?»
«Io sono pronto a partire.» ripeté. «Lo sono da quando ho capito i miei sentimenti per te: sono pronto a prendere quel treno, il giorno che deciderai di salirci.»
«Ma… ma tu non hai niente!»
Sebastian sorrise. «Non è del tutto esatto.»
«Che vuoi dire?»
«Ho una carta di credito nel portafogli. E i miei documenti. Tutto il resto lo posso comprare.»
«Così, semplicemente?»
Ammiccò verso la valigia. «Tu prevedevi qualcosa in più?»
«Ma… ma io ho sufficiente denaro da vivere per un po’ anche senza avere un lavoro.»
«Lo stesso vale per me.»
«Non hai dei legami? Una famiglia che ti trattiene?»
«No. Sono un orfano.»
Amelia sgranò gli occhi, non se l’aspettava.
Sebastian continuò. «I miei genitori sono morti quando ero piccolo. Io sono stato allevato dall’istituto per orfani, il Saint Mary-Jane, perché non avevo altri parenti in vita che potessero occuparsi di me. Tuttavia, ho ereditato una discreta somma di denaro che è stata amministrata per anni da un loro legale di fiducia fino alla mia maggiorità. Io ho concluso tutti gli studi, fino al college, sfruttando le borse di studio messe a disposizione dallo stato. Ora mi ritrovo con questo denaro da spendere e posso decidere come impiegarlo.»
«E vorresti usarlo per venire con me in qualunque posto io decida di andare?»
Amelia era incredula.
«Sono pronto a seguirti anche se tu non mi volessi. Ti amo, Amelia. Sento di amarti come solo una volta nella vita può capitare e intendo dare a questo amore ogni possibilità che può avere. Se non provi lo stesso per me, sono disposto ad aspettare. Posso aspettare che i tuoi sentimenti cambino, che tu sia pronta… ad accogliere una persona e a tenerla vicino a te, senza nessuna barriera a dividervi.»
«Tu sei tutto matto! Non mi conosci affatto!»
«Ma il mio cuore brama di conoscere il tuo. Sento nel profondo che qualcosa mi lega a te: lo sento quando ti guardo, quando ti parlo, quando mi sorridi, quando ti vedo piangere. Mi sento destabilizzato quando abbassi gli occhi timidamente, piegando le labbra in quel broncio unico e adorabile.»
Amelia era arrossita fino alla punta delle orecchie. Sentiva il cuore batterle come un tamburo nel petto, un sentimento di struggente tenerezza toglierle il fiato… quasi le prudevano le mani per la voglia che aveva di circondargli il collo e abbracciarlo, stringerlo forte a sé. Percepiva come un pulsare insistette il ricordo dell’ardente tocco delle loro labbra che ora desiderava ripetere, approfondire… voleva che i loro respiri di confondessero fino a fondersi e le sarebbe piaciuto fondere insieme anche le loro vite, proprio come lui desiderava.
Ma l’ombra di Adam incombeva ancora più pesantemente su questi nuovi, struggenti sentimenti che sentiva nascere.
Si ricordò d’improvviso perché non potesse aprirsi completamente a lui e si rabbuiò.
«Ho visto passare qualcosa…» sussurrò Sebastian che l’aveva ben osservata. «Ho visto un principio di qualcosa di buono e poi questo, venire spazzato via da un altro pensiero, più angoscioso. Ti prego, parlami.»
Amelia allontanò il volto, intimidita dalla facilità con cui lui le leggeva l’animo.
«Non posso… non posso…» sussurrava.
Con una decisione repentina, abbandonò il suo posto, raccolse la borsa e scappò via. Lontano da lui e, sperava, lontano da quei sentimenti che si facevano sempre più insistenti in lei.
Scappò, senza lasciare a Sebastian la possibilità di meditare su ciò che era appena accaduto e costringendolo ad agire seguendo solo il comando del proprio cuore.
Le corse dietro, rimanendo a distanza. Senza che lei si accorgesse di nulla, la seguì fino a quando lei non arrivò a casa. Era la prima volta che vedeva dove abitasse. La prima volta che si avvicinava così tanto a lei e al mondo che teneva segreto.
Amelia continuò a non accorgersi che Sebastian l’aveva seguita fino a quando non si trovò al cancello dell’abitazione.
Si appoggiò con la testa premuta sul ferro, la borsa che le pendeva dalle spalle. Singhiozzava emettendo lievi rumori, gemiti soffocati.
Sebastian respirava ansante, le si avvicinò ma rimase a pochi passi da dove si trovava lei. Con un sussulto Amelia si accorse della sua presenza, e con un piccolo balzo lo fronteggiò.
«Perché mi hai seguita?!» gridò quasi rabbiosamente.
«Non volevo che te ne andassi così.»
«Tu non dovevi…! Tu non devi…!» guardava verso la casa, cercando tracce di Adam. Non vederlo la tranquillizzò un poco.
«Per piacere, Seb, torna a casa tua. Non ho voglia di parlare in questo momento.»
Sebastian la fissò muto per qualche secondo, poi fece un cenno di assenso. «Temevo potesse accaderti qualcosa di male. Eri troppo sconvolta per prestare attenzione alla strada e… ad altre cose. Ora che so che sei arrivata sana e salva, posso andare.»
Esitò ancora qualche istante. «Domani… domani ti vedrò alla stazione? Verrai?»
Amelia si morse un labbro, non aveva in coraggio di guardarlo in faccia.
«Credo sia meglio di no.»
Un silenzio teso calò tra di loro.
«Non vuoi più vedermi?» le chiese lui.
Amelia si tese verso di lui, come se quel pensiero fosse intollerabile anche per lei. «No… io… no. Non intendevo quello che hai capito. Solo… credo sia meglio non vederci per qualche giorno, tutto qua. Ho… ho bisogno di riflettere.»
Sebastian lasciò andare un pesante sospiro. «Meno male. Temevo di avere rovinato tutto.»
«No, Seb… tu… non hai rovinato niente! Sono io che… sono io che non vado… sono così incasinata. Chissà cosa penserai di me.»
«Che sei meravigliosa.» rispose.
Amelia sorrise un po’ triste, un po’ lusingata. «Ti ringrazio.»
Proprio nel momento in cui i due giovani stavano condividendo un sorriso sincero, però, comparve Adam, chiamando il nome di Amelia.
«Amelia, eccoti! Hai fatto tardi, iniziavo a preoccuparmi!»
Adam, correndo fuori di casa, si avvicinò al cancello e lo oltrepassò. Allungò una mano a cingerle la spalla e l’abbracciò affettuosamente. «Bentornata, amore.» l’accolse.
Del tutto ignorato dall’uomo, Sebastian assisteva basito alla scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Un improvviso timore lo prese, lo colpì al cuore, e la paura che Amelia appartenesse già a qualcun altro lo fece quasi crollare sulle ginocchia in preda alla disperazione.
Ma poi si accorse dell’espressione ferita di Amelia. Era quasi presa dal panico e lo guardava come se si aspettasse che fuggisse via da lì. Inoltre era visibilmente rigida in quell’abbraccio, quasi fosse costretta ad accettarlo. Questo pensiero gli fece guardare alla situazione con occhi nuovi e un po’ di speranza: che quell’uomo avesse a che fare col “problema” di Amelia? Era per caso da lui che voleva fuggire ma non ci riusciva?
Adam, intanto, l’aveva lasciata andare e per la prima volta notava il ragazzo che era con l’amata.
«Tu chi sei?» gli chiese senza preamboli, nel perfetto stile di Adam.
Senza esitare, né tirarsi indietro, Sebastian si presentò come un amico di Amelia.
«Non sapevo che ne avessi uno, tesoro.» commentò quello, rivolgendosi alla ragazza. Poi, tornando su Sebastian, gli disse: «Mi fa piacere conoscerti. Io sono Adam.»
«Adam… il padre di Amelia?» chiese basito. La ragazza lo aveva infatti menzionato solo una volta, molto brevemente. Aveva detto che abitava con l’unico genitore e non aveva aggiunto altro.
Ora mille e uno pensieri si affollavano nella mente di Sebastian, confondendolo: cosa significava quella reticenza riguardo al genitore? E l’atteggiamento poco parentale di questi nei confronti della figlia? Inoltre un’altra cosa, ben più inquietante, lo lasciava esterrefatto: Adam poteva avere al massimo qualche anno in più di Amelia! Non dimostrava di avere forse nemmeno trent’anni! Come poteva essere davvero suo padre?!
«Non sono più il padre di Amelia. Ora lei è la mia compagna.»
Amelia tremava, lo sguardo abbassato fisso al suolo, e non riusciva a dire nulla. Si aspettava un torrente di domande, qualche imprecazione, forse, o una fuga… ma nulla di tutto ciò accadde.
Sollevò il viso qual tanto che bastava a vedere cosa stesse facendo Sebastian: lui era in piedi, fermo nello stesso punto di prima, che la guardava interrogativo e palesemente confuso.
«È… » cominciò, «…una lunga storia.»
Sebastian fece un cenno e disse. «Ci scommetto. Hai intenzione di raccontarmela?»
Rincuorata dal tono semplice, non invadente, di lui e dal fatto che non fosse fuggito o non si fosse messo a fare una scenata come si era aspettata, la indusse a compiere quel passo che altrimenti non avrebbe mai fatto.
«Sì… credo di dovertelo.»


Amelia disse ad Adam di aspettarla dentro casa. Una volta rimasti di nuovo soli, lei si spiegò. Le occorse molto tempo ma, dopo qualche esitazione, si lanciò con foga in spiegazioni che non aveva mai potuto dare, liberando il suo cuore di tutti i sentimenti e i timori che l’avevano oppressa.
Sebastian rimase sbalordito dalla verità, ma non dubitò su nulla che lei gli dicesse: persino la natura robotica di Adam, nel suo racconto, dava significato agli eventi. Lui non la giudicò mai come lei aveva temuto.
«Che colpa avresti? Non vedi che in tutta questa storia, tu non sei altro che una vittima?» le disse, anzi.
Quelle parole tolsero un peso immenso dalle spalle di Amelia. Finalmente si sentiva libera dalla gabbia, capace di fare di tutto; di prendere in mano la sua vita… questa volta sul serio, senza più esitazioni, senza più accorgimenti per dilatare il tempo. Sebastian, con la sua benevola accettazione dei fatti, le aveva dato l’assoluzione che avere sempre cercato invano, che aveva temuto di avere.
Quando si separarono, lo fecero con un animo nuovo e il cuore aperto.
«Allora ci vediamo domani? Alla stazione?» le chiese Sebastian, felice di essere finalmente riuscito a toccarla veramente.
Amelia sorrise, pianse un po’ commossa e lo abbracciò con un impeto che colse di sorpresa entrambi.
«Aspettami. Domani.» sussurrò col volto premuto sul suo petto.
Lui non poté fare a meno che ricambiare l’abbraccio e la tenne più strettamente, quasi non volesse più separarsene.
«Sì… domani.» sospirò, inalando il profumo dei suoi capelli.

"Lontano si ferma un treno
ma che bella mattina, il cielo è sereno
Buonanotte, anima mia
adesso spengo la luce e così sia."


[‘Cara’, Lucio Dalla]


Il giorno successivo, Amelia e Sebastian si incontrarono alla stazione. Salirono sul primo treno tenendosi per mano. Ciascuno aveva solo una semplice borsa con sé con lo stretto necessario che bastasse loro per vivere qualche giorno in un posto nuovo, in vista di costruire una nuova vita insieme.
Amelia era finalmente riuscita a dire ad Adam ciò che aveva nel cuore, senza rimpianti, senza debolezze… solo con un lieve rammarico per ciò che lui aveva da sempre rappresentato per lei: l’unica persona in vita che la conoscesse meglio di tutti, che l’aveva accudita e cresciuta… l’unico padre che avesse mai conosciuto.
Ma era arrivato il momento di stare in piedi sulle proprie gambe e avanzare nella vita con più coraggio di quanto avesse mai avuto: ora le si aprivano dinanzi numerosissimi percorsi ma lei non sentiva più l’urgenza di sceglierne uno che semplicemente la portasse “lontano” o l’aiutasse a scappare da se stessa. Ora avrebbe potuto costruire; e l’avrebbe fatto con la persona che amava al proprio fianco. Chissà… un giorno avrebbe anche potuto rintracciare i suoi veri genitori, sapere se erano ancora vivi, conoscerli… oppure formare una propria famiglia assieme a Sebastian.
Le possibilità erano semplicemente infinite.
Disse, così, le uniche parole che sapeva avrebbero spento i sistemi di Adam, una volta per sempre, quelle che aveva appreso dalla memoria della defunta omonima. Poche, semplici parole avrebbero fatto cessare l’alimentazione delle celle a energia solare e lo avrebbero fatto scaricare, come una pila usata.
«Ti voglio bene, Adam…» gli disse, «Ma ‘non ho più bisogno di te. Lasciami andare’
Così, con quell’addio, Adam rimase da solo, a consumare l’ultima energia. E si spense ripetendo continuamente un unico nome: il più caro, il più amato, l’unico pensiero che fosse rimasto sempre e per sempre dentro di lui.
“Amelia…”
“Amelia…”
“Amelia…”

 

– FINE –


 

ULTIME NOTE:

Per me Adam, più che "spento", è stato "liberato" ma non posso essere sicura che gli altri la pensino allo stesso modo ^^ C'è comunque molta tristezza nel fatto che se ne sia andato da solo quando non solo ha perso Amelia 1.0, ma anche Amelia 2.0 e alla fine lui è vissuto per un unico fine, un unico scopo >.<
Non so, quando ho scritto le ultime parole mi sono commossa tantissimo perché era come vedere tutta lì la vita di Adam: quel dolce Adam dall'aria infantile che non capisce il mondo ma che cerca a tutti i costi un modo per farne parte, e quell'Adam più inquietante che risulta dall'esasperazione del medesimo desiderio cresciuto oltri i limiti della morale!
Nelle ultime parole si capisce come Amelia 1.0 avesse già previsto in cuor suo questa conclusione: si era lasciata aperto uno spiraglio inserendo tra i circuiti un modo per "spegnere" Adam, perché in realtà sapeva che il suo modo di fare era malato e sperava che col tempo sarebbe guarita oppure sarebbe precipitata del tutto in questa finzione che si è costruita da sé.. non aveva previsto come tutto ciò sarebbe risultato impossibilmente gravoso al punto da non lasciarle scampo che nella morte.
Lei non avrebbe voluto abbandonare l'Adam robot, ma è stata egoista a lasciarlo così come lo è stata nel crearlo >.< Non ha pensato lei stessa a spegnerlo perché anche allora, fino alla fine, non ha avuto la forza di cancellare quel castello di sabbia, l'unica traccia del suo amato Adam. Alla fine era la persona più debole anche se dal genio più grande.

Come avevo già spiegato qua e là, Sebastian, invece, rappresenta:

1) La la forza della vitalità umana; ---> col suo travolgere Amelia e farla innamorare e riportarla alla luce.
2) Il riscatto; ---> la vittoria dei sentimenti sulla mera imitazione e la pretesa dell'uomo di giocare a fare Dio.
3) Le infinite "possibilità del mondo", come le chiamo io; ---> espresse in quel suo stare ad aspettare, nella sua silenziosa presenza e soprattutto, scopriamo alla fine, nel suo osservare da lontano, con costanza!
Come Sebastian anche il mondo e la realtà restano lì in attesa di fare la loro mossa per offrirci occasioni per mutare il corso degli eventi, di redimerci e riscattarci ^^

Sono davvero, davvero felicissima di avere concluso questa storia e spero con tutto il cuore che vi abbia trasmesso qualcosa :)  Grazie per averla letta!
*abbraccia tutti*

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