Il mondo in un secondo

di Clars_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.


Camminavo a testa bassa. Come sempre d’altronde, con le cuffie alle orecchie, una canzone e un mare di pensieri in testa. Quando cammino voglio non pensare a niente, ma per me è impossibile, soprattutto quando i miei pensieri sono accompagnati dalla musica. Riesco anche a rovistare nei cassetti più nascosti della mente in quel tipo di tranquillità che amo io.
Purtroppo, però, dato che la maggior parte delle volte non sono sola a camminare, c’è sempre qualcuno che interrompe quella tranquillità. Chiunque sia a darmi noia, mi fa innervosire, perché quello è l’unico momento in cui sto bene con me stessa e nessuno dovrebbe, anzi deve, impedirmi di contrastare la canzone, almeno fino a quando non è finita. Magari appare una cavolata, ma ognuno ha il suo miglior momento della giornata…o almeno io me lo sono trovata. C’è chi non vorrebbe essere interrotto a cucinare, chi a leggere, chi a giocare alla play station o anche chi a guardare la televisione. Io quando esco da scuola; devo camminare per quindici minuti e abbastanza velocemente, ascolto la musica e apro la cassaforte della mia mente, esplorando tutto ciò che ho voglia di pensare e di ricordare. Alcune volte mi capita anche in treno, quando devo prenderlo da sola, perché può succedere che ne prenda un altro rispetto alle mie amiche. Sono quindici minuti della giornata, niente di più in particolare. Un terzo dell’orologio, che io scelgo di sfruttare così.
 
Quel giorno, nonostante non prestai minimamente alcun secondo della mia attenzione alla musica, per la prima volta, i miei quindici minuti non furono sprecati.
Salii in treno, trovai i primi quattro posti liberi e mi sedetti su uno di essi, appoggiando lo zaino sul sedile accanto a me. Bersi un sorso d’acqua e aprii poco il finestrino, perché i riscaldamenti mi stavano facendo diventare la sorella del Sole. Nel frattempo stava arrivando un affollamento di ragazzi e ragazze usciti, anche loro, da scuola. Arrivò anche una donna, non troppo giovane, che mi chiese se i due posti davanti a me erano occupati. Io le risposi di no e si sedette. Acquisì una posizione svogliata in quei due posti, si accasciò, chiuse gli occhi e non diede più “segni di vita”, fino all’arrivo del controllore, per accertare il possedimento del biglietto o, nel mio caso, dell’abbonamento.
Stavo rovistando nel cappotto in cerca delle mie cuffie, quando sentii una voce.
Era una voce maschile. In treno se ne sentono migliaia, soprattutto nei treni degli orari scolastici, ma quella fu l’unica voce che aveva la capacità di spiccare nel bel mezzo di altre milioni di chiacchiere assordanti. Inizialmente guardai chi era seduto sul sedile alla mia sinistra, ma non vedevo nessuno e soprattutto nessun maschio che stava parlando. Mi girai per vedere nel sedile avanti a me, ma c’era solo una ragazza che leggeva. Alla fine provai a guardare nei quattro sedili dietro a me: vidi un ragazzo meraviglioso, mai visto prima e mai visto così straordinario. In generale non era uno di quei ragazzi belli, i quali si sarebbero potuti immaginare da modelli nelle copertine di riviste. No, lui era particolare. Aveva i capelli corti, neri, con un mezzo ciuffo rialzato, che si scostava audacemente ogni tanto. I suoi occhi non erano tanto grandi ma coperti da carbone. Aveva un po’ di barbetta e un naso perfetto. Il suo naso mi colpii particolarmente dell’aspetto: era delineato, né troppo gobbo, né troppo lungo, né troppo appuntito. Poi lo vidi ridere… e lì me ne innamorai. Rideva spesso, ma il suo primo sorriso che riuscii a vedere mi fece brillare. Era contento, vivace, positivo e vigoroso. Non aveva imperfezioni, era solamente il sorriso più luminoso che avevo mai visto.
Persi solamente tre secondi a guardarlo, perché non volevo fare figuracce né con lui, né con gli altri vicino a lui.  In quei pochi secondi, però, vidi il meglio che avrei potuto vedere in ogni caso.
A quel punto scoprii che quella meravigliosa voce apparteneva a lui. Gli stava proprio bene. Era grossa, ma da adolescente, divertente, allegra e chiacchierona. Ok, una voce chiacchierona stona, lo so, ma quella No. Non stonava per niente, anzi! Spiccava! Forse perché era alto il volume, perché riuscivo a sentire solo quella voce o forse anche perché era molto vicino a me.
Insomma, poteva essere acida, gradevole o antipatica, fatto sta che io riposi le mie –amiche-cuffie nella tasca del cappotto e chiusi la cartella della musica del telefono, perché volevo paradossalmente ascoltare quella voce sublime che mi aveva stupendamente colpito.
               
Così non feci niente di che, come rare volte: guardavo il solito panorama del viaggio di tutti i giorni fuori dal finestrino, mentre ascoltavo attentamente. Non mi capitava quasi mai di ascoltare, così rigorosamente, una persona. Stava parlando di andare in discoteca, in una in particolare, dove io ci misi piede solo una volta, perché ne preferivo un’altra. Parlava di recarsi lì il sabato prossimo, dato che aveva voglia di andarci e voglia di svagarsi, perché stanco della tensione scolastica. Stetti ad ascoltarlo senza neanche accorgermi del tempo che passava, e, più parlava, più mi sentivo stupida ad ascoltarlo. In quel caso, però, la stupidità non doveva intromettersi, perché io rimasi affascinata da quella voce e, in tal caso, non doveva importarmi di nulla e di nessuno.
Purtroppo dovette arrivare la fine di quel momento: era arrivato alla sua destinazione. Non lo vedevo, dato che era dietro di me, però capii subito che si alzò e si diresse verso l’uscita seguito dai suoi tre amici. Almeno scoprii a quale fermata doveva scendere e, più o meno, dove abitava.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.
 
La mattina dopo, in treno, guardai in giro nel caso ci fosse stato anche lui; lo cercai, ma con le mie amiche mi fermai solamente al primo vagone, quindi non ebbi la possibilità di capire se lui avrebbe potuto essere nel treno o no oppure, anche, semplicemente la possibilità di vederlo. Chiesi alle mie amiche che cosa avevano programmato per il sabato successivo e loro mi risposero che avevano intenzione, come al solito, di andare in centro. A me, però, era venuta la brillante idea di andare a ballare e chiesi loro:
-Ragazze, ma perché non andiamo a ballare sabato prossimo? E’ da una vita che non ci andiamo tutte insieme!
-Da quando tu chiedi a noi di andare a ballare? Ci sei sempre venuta incerta e affaticata! Per caso non hai qualcuno da vedere?
Io risposi prontamente:
-Nono! Ma che dici! E’ solo che mi è venuta tanta voglia di andarci.
-Ok, se lo dici tu! In ogni caso a me va benissimo!
-Anche a me, se si tratta di ballare sono sempre la prima!
-Ci sarò anche io, non posso mancare!
-Contate pure anche su di me!
Semplicemente perfetto. Meglio di così non poteva andare, mancava soltanto un particolare:
-Ah però ragazze oso sperare che andremo al “Moonshine”!
-Nooo! Ma come? Perché lì? Ci sono una valanga di persone che mi stanno antipatiche… Non possiamo andare alla solita nostra discoteca?
-Io preferivo andare lì, era tanto tempo che non ci andavo.
-Come vuoi, anche perché è vero, non ci siamo più andate dal compleanno di Marco e poi è probabile che sia cambiato qualcosa là dentro, che ne sappiamo!
-D’accordo, ci sto.
-Benissimo, però c’è un problema: non ho un vestito decente da mettermi, voi?
-Io volendo sì, ma se ne comprassi un altro, non farebbe del male a nessuno.
-Io no… cavolo, adesso è anche il freddo, con il vestito che ho rischio di diventare un ghiacciolo!
-Neanche io, l’ultimo che misi si strappò!
-Il mio era bianco ed è andato a finire nella lavatrice, in mezzo ad altre magliette e pantaloni colorati e non so neanche come ha fatto ad andarci, quindi immaginatevi le sue condizioni!
-Allora perché oggi non andiamo a fare un po’ di shopping?
-Non sarebbe una cattiva idea! Anche date le condizioni in cui ci ritroviamo!
- Ok, allora oggi tutte in centro? Tanto per domani abbiamo da fare solo matematica!
- Sisi va bene, alle 16.00 alla stazione?
-Va benissimo, così prendiamo il treno e andiamo in centro.
-Ok ma riempite il borsello di soldini!
-Sisi contaci ahahah!
 
Così, il pomeriggio stesso ci trovammo alla stazione, prendemmo il treno e andammo a fare shopping tutte e cinque insieme. Chiesi alla mia carissima madre di darmi un po’ di soldi per il vestito e altri celi avevo già, quindi, per quelli, ero apposto. Dovevo solamente trovare il vestito perfetto, per quello che si riteneva un futuro splendido sabato sera. Lo volevo trovare giusto, adatto a me e, al tempo stesso, carino e non troppo appariscente. Ne avevo visto uno carinissimo in un negozio in cui vado sempre: era nero, corto sopra le ginocchia; aveva, però, la parte superiore non scollata, ma, più che altro, “a canottiera” e quindi con gli spallini molto sottili, con cui avrebbe potuto farmi molto freddo. Poi, sopra, era pieno di lunghi fili neri e oro, stile “cowboy”, che facevano il delirio. Era perfetto. Non mi faceva neanche tanto la pancia!
Arrivammo in centro che non c’era tanta gente, anche perché era giovedì, perciò non ci potevamo lamentare. Entrammo inizialmente nel negozio più visitato da tutti: uomini, donne, ragazze e bambini. Lì c’erano tanti vestitini e magliette proprio carine, colorate e sprint, ma non vedemmo niente che ci stupì particolarmente.
Dopo fu il turno del negozio che visitava sempre mia madre. Era un negozio particolare, con vestiti di gran classe e anche molto costosi, ma neanche lì non ci impressionò niente di che. Per terzo negozio fu quello più visitato da noi ragazze, dove i vestiti erano sempre a buon prezzo e veramente al top della moda, ma soprattutto il negozio che aveva ancora in vetrina l’unico vestito che mi colpì veramente. Feci vedere alle altre qual’era il vestito di cui avevo parlato in treno e loro chiesero se non era troppo eccessivo. Io dissi loro di no e pensai che non avrei perso un minuto per provarmelo e per dimostrare loro che avevano torto.
Così entrammo, pensando che lì avremmo sicuramente trovato quello che faceva per noi. Senza perdere tempo, chiamai le altre e le trasportai nel reparto in cui era esposto il vestito. Presi la mia taglia e andai in camerino all’istante. Me lo provai e uscii. Vidi le mie migliori amiche a bocca aperta, con gli occhi spalancati e praticamente senza parole: con quelle espressioni capii subito che quello era il vestito perfetto per me. Poco dopo riuscirono ad iniziare a commentare l’oggetto:
-Oddio! E’ un incanto! Altro che eccessivo!
-Uau! Sei splendida!
-Sei bellissima, farai un figurone con questo vestito!
-Ritiro tutto ciò che ho detto! E’ fantastico, direi che tu hai già trovato quello che stavi cercando.
-Grazie ragazze; sì, penso proprio di averlo trovato. Ho l’idea che sia la perfezione in tutta la sua straordinarietà. Adesso però tocca a voi a trovare il vestito giusto!
Tornai in camerino e mi tolsi il vestito, decidendo che l’avrei comprato, senza pensarci una seconda volta. Andai subito nel reparto in cui erano le mie amiche per consigliare un vestito meraviglioso anche per loro. Guardammo tutte insieme vari bellissimi vestiti e alla fine ognuna di noi trovò quello che cercava. Pagammo e uscimmo dal negozio, soddisfatte dei nostri acquisti. Andammo alla stazione e prendemmo il primo treno possibile, anche perché si era fatto abbastanza tardi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3.
 
Il giorno dopo era sabato. Finalmente quel giorno arrivò ed io ero emozionantissima.
La mattina, le mie amiche ed io non facemmo altro che parlare della serata che stava per arrivare. Era una montagna di tempo che non andavamo tutte insieme in discoteca e per me era molto importante. Iniziammo da cosa ci saremmo messe, fino ad arrivare a che ore saremmo tornate. Ci promettemmo di bere una valanga, anche perché era tanto tempo che non lo facevamo, cercando, però, di non andare fuori con il cervello e di non ubriacarci troppo, perché ci sarebbe stato il rischio di non ritornarci più. Perciò ci facemmo la promessa di non ubriacarci, anche se il limite di bere quanto volevamo non c’era.
Arrivate a destinazione, andammo a scuola eccitate per la serata e pensando che, ormai, rimanevano solo poche ore.
Finita la scuola, tornai a casa e, subito dopo aver pranzato, mi provai il mio fantastico vestito, di cui andavo matta, solo per il gusto di vedermelo addosso per la seconda volta e prima di utilizzarlo a buon fine. Me lo tolsi e feci una gran bella doccia. Poi mi profumai tutta “come si deve” e mi asciugai. Feci un po’ di compiti, solo per non avere lo stupido rimorso di non aver aperto per niente lo zaino e, a quel punto, era già arrivata l’ora di cena. Così andai a cenare molto rapidamente, sparecchiai e tornai subito su, senza perdere tempo inutilmente.
Erano le nove e mancavano solamente tre ore all’entrata in discoteca. Prima di mezz’ora circa dovevo assolutamente essere pronta, per il fatto che la discoteca distava molto da casa mia. Leopardi diceva che la vera e unica bella parte della festa è l’attesa della festa e secondo me aveva perfettamente ragione. Così, dopo il minuscolo pensiero di Leopardi nella mia testa, iniziai a prepararmi sul serio.
Partii dalla testa e cioè dai capelli. Decisi di fare un po’ di tutto: dai friseé ai boccoli, fino ad arrivare ad indossare una piccola molletta color oro. Misi un po’ di lacca e i capelli erano fatti. Mi misi le calze nere non troppo sottili, perché fuori si gelava dal freddo. Poi arrivò il grande momento di indossare il mio vestito, il più favoloso tra tutti quelli che, fino a quel momento, avevo tenuto tra le mie mani. Finalmente sentivo di poter andar bene e che quella serata sarebbe stata davvero importante per me.
Fu il momento delle scarpe. Le mie solite scarpe: nere, tacco dodici e con cui sapevo di poterci ballare e stare bene tutta la sera. Dopo mi truccai: semplicemente eyeliner e mascara, senza fare tanti intrugli, perché sapevo già come potevo essere ridotta alla fine della serata. Rossetto? No, lucidalabbra, anche perché che fosse stato fucsia, che fosse stato rosso, con il vestito che indossavo il rossetto non mi ci stava proprio bene. Per finire, qualche spolverata di fard, tanto per rendere la situazione meno bianca di come realmente era.
Arrivò il turno degli accessori, dove perdevo sempre la maggior parte del tempo. Mi provai, all’inizio, quasi tutti gli orecchini che potevo ricavare dal mio portagioielli, ma alla fine ne scelsi un paio davvero perfetti. Erano neri, grandi, vigorosi, a forma di goccia e con dei piccoli ciondoli attaccati che penzolavano. Decisi di non indossare alcuna collana, dato che gli orecchini brillavano molto e se mi mettevo anche una collana, l’insieme diventava troppo pesante. Guardai attentamente il mucchio di braccialetti che era sopra la scrivania ed esaminai che il braccialetto migliore era quello che mi aveva regalato mia madre per il compleanno. Era di colore oro, con tutti i brillantini attaccati, veramente stupendo. Nella mano opposta a dove avevo messo il braccialetto indossai un anello gigantesco che avevo comprato la settimana scorsa, appena tutto nero e con qualche brillantino sparso, di modo che, nonostante fosse stato nero, avrebbe potuto brillare lo stesso.
A quel punto potevo dire di essere pronta. Cercai, però, almeno un golf leggero da poter mettere sopra, nel caso sentissi freddo dentro. Poi decisi di portare solo il cellulare e un po’ di soldi per comprarmi da bere.
Erano le undici e venti quando uscì da camera mia, scesi le scale ed arrivai in salotto. Mia madre era lì ad aspettarmi: tremendamente assonnata, ma felice del fatto che quello era un momento importante non solo per me, ma anche per lei, perché avrebbe portato, per l’ennesima volta, sua figlia a ballare. Così presi il cappotto, guardai orgogliosamente mia madre e uscimmo insieme da casa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4.
 
Arrivai al “Moonshine” dieci minuti prima della Mezzanotte, ma le mie amiche erano già arrivate tutte. Salutai mia madre, scesi dalla macchina e mi precipitai da loro. Ci salutammo, entusiaste di essere lì, finalmente tutte insieme. Ci facemmo i complimenti a vicenda di ogni, anche piccolo, dettaglio che indossavamo, fino a quando non fu l’ora di entrare. Noi avevamo già le prevendite, scortate da un nostro vecchio amico, perciò potemmo evitare la fila, entrando subito. Ci avviammo subito al guardaroba, dato che c’era la fila anche lì, per il numero immenso di persone. Posammo il cappotto e andammo verso la pista.
Era cambiato veramente molto poco dall’ultima volta che ci eravamo andate, ma restava sempre una fantastica discoteca. Quando arrivammo le persone non erano molte in realtà, ma crebbero poco dopo e la pista si fece sempre più piena e affollata. Incontrammo vari nostri compagni di scuola, che ci offrirono gentilmente da bere e ci invitarono anche a ballare. 
Dopo aver ballato intensamente per una buona mezzora, mi sedetti al banco per bere un drink. Stavo per chiedere al barista da bere, quando un ragazzo mi blocca e dice al barista che offriva lui. Riconobbi quella voce immediatamente, mi girai e non potei credere ai miei occhi. Accanto a me, era seduto lo straordinario ragazzo del treno: quello con i capelli neri, il ciuffo rialzato, gli occhi di carbone e il naso perfetto. Sì, era proprio lui: riconobbi lui, ma soprattutto la sua voce, sempre stupenda. Diventai di colpo confusa: perché mai avrebbe voluto offrirmi da bere, se non avevamo mai iniziato un misero discorso insieme? Che cosa lo aveva spinto a venire da me, su tutte le infinite belle ragazze che c’erano? Forse aveva sbagliato ragazza: nessun meraviglioso ragazzo come lui si sarebbe mai interessato a me. Non riuscivo proprio a capire, così iniziai a parlare:
-Ciao! Era semplice da dire… ma perché vorresti offrirmi da bere?
-Ahahah simpatica! Perché cercavo una graziosa ragazza a cui offrirle da bere.
-Ah, quindi pensi che io sia carina?
-Certo che lo penso, sennò perché sarei venuto qui accanto a te?
-Non saprei, non sono un’indovina!
-Oltre che carina, sei anche divertente: mi piaci.
-Ahahah guarda un po’ stasera che corteggiatore mi doveva capitare!
-Perché? Forse non ti vado bene?
-Non ho detto questo, anzi…
-Anzi… balliamo?
-Non dovevi offrirmi da bere? Te ne sei già dimenticato?
-Fanculo il drink, io ho altro da offrirti!
 
Detto questo, mi fece l’occhiolino con quel sorriso che brillava audacemente, si alzò all’istante, mi prese la mano e mi trascinò a ballare. Inizialmente la canzone era una di quelle dance, proprio da discoteca. Ce la mettevo tutta a ballare ed a scatenarmi, ma lui non aveva lo stesso entusiasmo che avevo io nella danza. Ballava, questo è vero, ma soprattutto mi osservava; dritto negli occhi, intensamente e senza guardare mai, neanche per un attimo, altrove. Ero talmente curiosa che gli volsi chiedere il perché, nonostante il frastuono esuberante:
-Ei, ma com’è che mi stai guardando da quando siamo entrati in pista, senza neanche sbattere le ciglia?
-Sei bella, non c’è molto da dire.
La canzone finì e ne iniziò un’altra, ma stavolta era tranquilla.
Io lo guardai e lui mi guardò. Mi fece uno di quei suoi sorrisi sfavillanti, mi rapì il corpo e in un attimo ero sua. Nel frattempo di quel momento così soft, continuai il discorso precedente:
- Io non mi sento bella, però.
-Invece dovresti, perché è la verità.
-Dici?
-Dico.
 
Dopo la sua ultima parola, mi abbracciò. Un abbraccio lungo, affettuoso, come se ci conoscessimo da un’eternità. Poi si staccò dolcemente, mi accarezzò la guancia, si dipinse un sorrisetto malizioso nel suo viso così limpido e, in un millesimo di secondo, le sue labbra raggiunsero le mie. Fu il momento più incantevole della mia vita: non avevo mai premuto su delle labbra così dolci, così morbide e così assurdamente perfette. Riaprii vertiginosamente gli occhi e apparse di fronte alle mie pupille, ancora una volta, il suo sorriso. Non dimenticherò mai quel sorriso, anzi, riesco ancora a ricordarlo perfettamente. Poi quel bacio: wow! Mai assaggiato un bacio così particolare. Non so come descriverlo bene, ma se a qualcuno capiterà di doverlo affrontare, capirà prontamente di ciò che sto scrivendo.
Proseguimmo per tutta la canzone con baci, carezze e segni di affetto. Io tremavo, la pancia era incasinata e iniziò anche a girarmi la testa. Non capivo bene che cosa mi stesse succedendo in quel momento, ma l’unica e sola cosa che capì fu quella di essermi innamorata dell’essere umano più splendido che avessi mai visto. Fu una sensazione veramente molto strana: lo vidi per la prima volta in treno, rapita dalla sua voce e successivamente dal suo aspetto, poi lo incontrai -quasi per caso- in discoteca, dove mi baciò in un modo affascinante. Non lo conoscevo per niente, eppure me ne innamorai.
La canzone finì. Mi prese le mani con dolcezza e i nostri sorrisi si incrociarono. Con quel gesto e quello sguardo era come se volesse dirmi che avrei potuto contare su di lui per sempre.
All’improvviso, però, sentii urlare il mio nome verso la mia direzione: erano le mie amiche. Mi stavano chiamando incessantemente, perciò a Lui dovetti dire di aspettarmi lì, un attimo, dove eravamo e sarei tornata all’istante. Lui mi disse “Ok”, facendomi l’occhiolino e disegnandomi un sorriso a 32 denti.
Andai perciò dalle mie amiche chiedendo loro cos’era accaduto e loro mi risposero:
-Dobbiamo andare! Mi ha chiamato tua madre, perché ha detto che te avevi la segreteria telefonica, è molto arrabbiata! Era preoccupata e non sapeva come rintracciarti, così ha chiamato me… comunque ci aspetta all’uscita alle 2.00. Sbrigati, mancano dieci minuti!
Non rimasi un granché bene dal fatto che mia madre si era arrabbiata, come era da immaginarsi. Presi il telefono e vidi sette chiamate perse da mia madre. Ci rimasi letteralmente male e mi sentii davvero in colpa, perché mia madre era sempre stata molto comprensiva, ma io ho avuto sempre la stessa paura di perdere la sua fiducia e la sua tolleranza.
Così dissi alle mie amiche che dovevo salutare prima una persona e sarei subito ritornata da loro per andare via. Quindi tornai nel punto esatto in cui avevo ballato fino a quel momento con Lui… ma il mio Lui non c’era più. Lo cercai per tutta la pista, ma Lui non c’era, era scomparso ed io non riuscivo a capire il perché. Gli avevo detto chiaramente di aspettarmi lì e sarei tornata all’istante, ma Lui non fece così. Mi sentii davvero inutile e tradita in quel momento. Pensavo che io piacevo a Lui, ma, evidentemente, non era come la pensavo io, perché sennò non sarebbe mai andato via e non mi avrebbe mai lasciato lì come un’illusa. Lo fece e io ci rimasi a dir poco male. Non conoscevo nemmeno il suo nome, la sua età, sapevo solo dove abitava, ma, in realtà, neanche quello, perché non era assolutamente detto che la fermata in cui scese, pochi giorni prima, portava alla sua residenza.
Quindi tornai dalle mie amiche, molto amareggiata, ma senza evidenziare loro la faccenda, perché non avrei sopportato alcuna domanda e nessun incoraggiamento. Mi videro e mi chiesero:
-Tutto bene?
Abbassando le palpebra, riposi:
-Sì, tranquille, va tutto bene-
Ma in realtà mentii. Non stavo affatto bene: mi sentivo usata, tradita e illusa. Non mi ero mai sentita così stupida, soprattutto a causa di una persona di cui non conoscevo nemmeno il nome. Ero stata troppo idiota a fidarmi di Lui, ma chi avrebbe mai pensato che mi avrebbe piantato lì da sola? Io, almeno, no.
Ci dirigemmo tutte insieme verso l’uscita e vidi subito la macchina rossa di mia madre fuori. Entrammo in macchina e mia madre mi fulminò con lo sguardo. Capii subito che era molto arrabbiata, ma lo ero anche io, quindi preferii restarmene zitta al mio posto.
Accompagnate tutte le mie amiche alle loro rispettive case, mia madre iniziò il discorso per prima:
-è successo qualcosa? Non hai pronunciato parola durante tutto il viaggio-
-Non ho fatto niente mamma, non è andata come avrei voluto che andasse, tutto qui. Non è possibile che ogni volta che mi inizia ad andare bene qualche cosa, mi va subito tutto fottutamente a rotoli e non riesco a capire il perché.
-Racconta, sono tua madre, puoi fidarti di me!
-Mamma, perdonami, ma adesso proprio no, perché finirei per piangere, ma non ho assolutamente voglia di farlo in questo momento-
-D’accordo, come vuoi.
Non volsi raccontarle niente di tutto quello che era successo, anche perché in quel momento ero distrutta. Tanto, come sempre, non mi avrebbe capita e mi avrebbe detto che sono cose che capitano a tutti nella vita, ma noi non possiamo farci nulla e a quel punto mi sarebbe venuta la voglia di mandarla a quel paese, perché se doveva dirmi in quel modo, allora preferivo stare zitta.
Tornai a casa, mi struccai, mi tolsi tutti gli accessori che mi ero messa e indossai il pigiama. Andai finalmente sotto le coperte, col pensiero che quella fu la più bella e la più deludente serata della mia adolescenza.

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