Take your hand in mine

di Winry977
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Comatose ***
Capitolo 2: *** Moon. ***
Capitolo 3: *** Domande di lui, domande di lei. ***
Capitolo 4: *** Farfalle. ***
Capitolo 5: *** Alexandra. ***
Capitolo 6: *** Giocare col cibo nel piatto ***
Capitolo 7: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 8: *** Hippie. ***
Capitolo 9: *** Stanza n. 70 ***
Capitolo 10: *** Sveglie spente. ***
Capitolo 11: *** Mangiare e dormire: missioni impossibili. ***
Capitolo 12: *** Ultime diagnosi. ***
Capitolo 13: *** Libertà. ***
Capitolo 14: *** Little satisfactions. ***
Capitolo 15: *** Togliersi pesi. ***
Capitolo 16: *** -Ciao Summer. ***



Capitolo 1
*** Comatose ***


Aprì gli occhi, ma la vista le apparve offuscata e ci mise parecchio per distinguere le angolature bianche della stanza, le luci, le ombre, ciò che la circondava. Era... distrutta? Stanca era dire poco, sicuramente. Le sembrava di avere un vortice nello stomaco, e a tratti la testa le girava. Quando riuscì a focalizzare la stanza in cui si trovava e riuscì pure ad abituarsi al forte odore di medicinali e di chiuso, realizzò di non essere più a casa sua, ma bensì in un ospedale. Il suo sguardo scioccato vagò per la stanza, finché alla sua destra non incontrò lo sguardo di un infermiere seduto su un lettino, con lo sguardo fisso su di lei. Scuro di carnagione, occhi e capelli brizzolati castani, un pizzetto di barba ed uno sguardo concentrato. La studiava, quasi. Attendeva una sua reazione come se lui fosse il predatore e lei la preda.

Una nuova sensazione si impossessò di lei: paura. Paura dell'avvenire. Ricordò in modo molto limpido quello che era successo prima del suo risveglio. Ricordava la lama sui suoi polsi, il dolore, il sangue, la vista che si oscurava a tratti... poi le medicine, cercate con frenesia tra gli scaffali del bagno, il tubetto di sonnifero e... e poi basta. Il buio, il silenzio.

Sommessamente cominciò a fare lunghi respiri, mentre l'ansia, l'agitazione di impadronivano di lei. Non doveva essere in quel posto. Non doveva essere da nessuna parte. Cominciò a muoversi, ad osservarsi: le sue ferite erano bendate, nell'incavo tra il braccio e l'avambraccio era conficcato un ago collegato ad un contenitore di acqua e sali minerali. Convulsamente cominciò a guardarsi a destra e a manca, e man mano le sue parole diventavano più chiare.

-No... no... io... io non dovrei essere qui.- mormorava, mentre il suo tono cresceva gradualmente. Si voltò di scatto verso l'infermiere che ora la scrutava accigliato. -Mi tolga questo coso!- indicò la flebo. -Devo andarmene! Questa non è casa mia! Mi lasci andare, la prego.- lui si alzò, ma non si mosse più di tanto. -La tolga!- gli urlò contro lei. Spazientita cominciò a smaniarci, e lui fu costretto ad intervenire e a chiamare un soccorso, accusandola di perdita di coscienza propria. Arrivarono due medici, di cui uno stringeva in mano una siringa dal colore metallico. Alla vista di essa, lei entrò nel panico più di quanto già non lo fosse, ma la cosa durò attimi: dopo un forte dolore alla spalla, crollò in un sonno profondo.

 

 

Quella mattina si alzò con una flemma maggiore del solito. Aveva passato la nottata a bere e a fare chissà che in compagnia dei suoi migliori amici. Fatto sta che quel mattino la testa gli scoppiava, e nel vagare nel disordine del loro appartamento, nel quale avevano deciso di abitare tutti e cinque, rischiò di rovesciare per terra qualcosa o di frantumarlo, addirittura.

Riuscì ad arrivare incolume al bagno, dove, in uno stipetto, tenevano diversi medicinali. Trovò le pasticche contro l'emicrania, e dopo averla inghiottita, ci mangiò sopra qualcosa e attese che tutto si dileguasse, buttandosi sul divano ed accendendo il televisore. Nell'appartamento dormivano tutti, ma, conoscendo il loro sonno pesante, non credeva che avessero potuto sentire il volume della TV.

Fece un po' di zapping, mentre il martellare che si trovava nella sua testa diminuiva con grande lentezza. Alla fine si arrese alle notizie del telegiornale mattutino, e, sdraiandosi sui cuscini del divano, rimase in ascolto.

Cronaca nera, politica, alluvioni, mal tempo... tutte notizie irrilevanti per lui. Tutte, tranne una che lo incuriosì non poco. Si diceva che una ragazza avesse tentato il suicidio e che fosse stata ritrovata da un infermiere che viveva accanto a lei giusto in tempo. Si era tagliata le vene e aveva ingerito una grande quantità di sonniferi, eppure aveva difficoltà a fare la mala fine che aveva desiderato. Ora si trovava in un ospedale nella stessa cittadina, ricoverata e in stato di coma medicinale, per studiarne le reazioni.

Rimase molto perplesso e incuriosito da quella notizia, non capitava tutti i giorni di sentire qualcosa del genere, e quando lui si faceva prendere dalle curiosità, niente più lo fermava. E trattandosi di una ragazza che suscitava in lui un certo ricordo, decise di farle visita. Si alzò, spense la TV dal telecomando che gettò poi sul divano, e cominciò a cercare per la casa la sua giacca nera in pelle.

La trovò nella stanza del suo amico, nonché chitarrista della loro piccola band che man mano acquistava sempre più successo.

Non poté evitare di fare rumore, e lui si svegliò.

-Mmm... Jinxx? Dove vai?- lo osservò da sotto le coperte e stropicciandosi gli occhi.

-Esco... se cerchi le pillole per l'emicrania ne sono rimaste solo due in bagno. Qualcuno di voi morirà di mal di testa se non andate a comprarle...- disse mentre indossava la giacca.

-E perché non le compri tu?

-Io... ho da fare.

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Capitolo 2
*** Moon. ***


Il ragazzo camminò senza troppa fretta per le strade della sua cittadina, calmo ed immerso nei ricordi di una sua vecchia... “fiamma” come la definiva lui, che lo faceva soffrire più che mai. Odiava pensare al modo in cui si erano lasciati, ma cercò di cancellare quel ricordo scuotendo un po' la testa. Sospirò, mentre una folata di vento gelido gli ghiacciava la faccia. Per essere il primo giorno di Dicembre pensò che fosse un “ottimo” modo per cominciarlo. Si irrigidì dal freddo, e affondò le mani già tremolanti nelle tasche dei jeans strappati, che si ripromise di non indossare fino alla primavera proprio per via di quei buchi e delle toppe messe male e a casaccio.

Arrivò davanti l'ospedale di cui aveva parlato il telegiornale e lo osservò per un po', squadrandolo dall'alto al basso con sguardo accigliato. “Non mi sorprenderei se qualche paziente fuggisse. Sembra più un manicomio che un ospedale: qualcuno potrebbe pure fraintendere!” pensò, cominciando a salire i gradini che conducevano all'entrata.

Un odore acre di medicinali gli invase le narici, e mentre camminava tra i corridoi accresceva sempre di più, quasi procurandogli un formicolio al naso.

Curiosò tra i corridoi dei pazienti, e finalmente trovò una camera nella quale vide una figura di una ragazza molto simile a quella del TG. Effettivamente, nonostante la lontananza, era quasi convinto che fosse lei.

Si affacciò alla stanza e vide che lei era sola, sveglia, con lo sguardo fisso sulle coperte e praticamente legata al letto.

 

 

Si era risvegliata da quel coma medicinale in uno stato peggiore di quello in cui si era ritrovata prima di sentirsi quello schifo di siringa pressata tra la sua carne.

Il suo risveglio era stato alquanto brusco. Appena aveva acquisito coscienza e si era resa conto di essere ancora in quel luogo dalle pareti del colore della neve, aveva preso a dimenarsi rabbiosamente tra le coperte, ma con suo grande stupore si accorse che mani e piedi erano legati al letto con delle stringhe in cuoio. Rendendosi conto che le risultava impossibile sciogliersi dalla stretta dei lacci, scoppiò a piangere.

Non si era resa conto di non essere sola, che l'infermiere di prima era ancora lì a fissarla. Quando si accorse di lui lo fissò con aria inferocita e dopo che lui la ebbe scrutata ancora per un po' si alzò e se ne andò dopo averle rialzato un po' lo schienale.

-Sfogati pure, ragazza.- disse con voce roca. -Per ora sei sotto osservazione, puoi ricevere visite anche per tutto il giorno, ma non andrai da nessuna parte finché non verrai giudicata da qualche psichiatra.- detto questo la lasciò in preda ad un pianto furioso.

Quando si calmò restò con lo sguardo assorto tra le pieghe delle lenzuola che le coprivano le gambe. Sapeva che nessuno sarebbe andato a trovarla: lei non aveva che sé stessa. Era... abbandonata al suo destino, al quale lei stessa aveva cercato di porre fine, inutilmente per di più.

Dopo un po' sentì un rumore provenire dall'uscio della camera ed alzò lo sguardo in quella direzione. Scorse un ragazzo abbastanza alto, dalla capigliatura nera, un viso sfilato e degli occhi azzurrini incorniciati da delle sopracciglia ben disegnate.

Lo guardò con aria interrogativa e seccata. Non voleva visite, per lo meno mentre era in uno stato come quello.

-Chi sei?- gli chiese, quasi tenendosi sulla difensiva.

Lui fece capolino. -Piacere, io mi chiamo Jeremy, ma tutti mi chiamano Jinxx.- le sorrise, ma lei lo ignorò.

-Beh, Jinxx, cosa ti porta nella stanza di una disgraziata come me?- chiese amaramente, volgendo lo sguardo verso la finestra al di là della flebo collegata al suo braccio.

-Mmm... da una parte la curiosità... dall'altra... beh, questo valuterò dopo se dirtelo o meno.

Lei rise sprezzante. -E cosa c'è di tanto curioso in una ragazza legata al letto come se fosse pazza?

La sua risata cattiva non lo sferzò. Ne aveva sentite molte come quella, e non gli fece né caldo né freddo. -Vedrai, vedrai... ti dispiace se mi siedo accanto a te?

-Fa come ti pare.

Dapprima rimasero assorti in un silenzio imbarazzato, poi lei cominciò a stancarsi e si girò di scatto nella direzione del ragazzo.

-Hai intenzione di stare lì ad osservarmi in silenzio? Perché se sei qui per fare questo allora non ho intenzione di avere a che fare con te!

Neanche questo lo ferì più di tanto. I ricordi amari di quella ragazza ormai scomparsa dalla sua vita si ripetevano nella realtà in un modo allucinante, e lui ne era sempre più consapevole.

-Come ti chiami?- chiese direttamente lui, senza dar peso alla provocazione precedente.

Lei ne rimase interdetta, e abbassò lo sguardo, che da accanito divenne timido. -Moon... mi chiamo Moon.- rispose con voce più dolce.

Lui rimase sopraffatto da quel nome. Era stupendo, e inusuale. -Moon...- ripeté. -E' un nome spettacolare!

-Tsé, ma per favore. E' solo frutto di una passione lunare da parte dei miei genitori, nonché scienziati. Avrei preferito qualcos'altro.

-Dammi retta, il tuo nome è molto bello. Non è uno di quelli che si sentono in giro e...- venne interrotto da uno squillo di cellulare, ovvero il suo. -Ehm... scusami un attimo.

-Fa' pure.

-Pronto?- rispose lui alla chiamata, guardando il pavimento.

-Dove cazz* sei, Jinxx?!- esclamò la voce del suo amico chitarrista, Jake.

-Sono...

-Non mi interessa dove sei, idiota! Qui stiamo morendo dal mal di testa, e tu cosa fai? Ci lasci con sole due pasticche? Muovi il culo e va' a comprarle, per l'amor del cielo! E torna al più presto, prima che ci scoppino i cervelli!- non gli aveva dato neanche il tempo di parlare, e gli aveva pure chiuso la chiamata in faccia.

-Sembra che qualcuno abbia consumato le pasticche per il mal di testa, eh?- disse Moon con voce sarcastica.

-Oh, lo hai sentito?- chiese lui imbarazzato.

-Ma no, ma che dici... c'è solo qualcuno a cui rischia di esplodere il cervello... niente di che.- ridacchiò lei ironica.

-Ahi, ahi... mi sa che sarà meglio che vada, se no quelli se lo friggono il mio cervello.- sospirò Jinxx divertito dall'idea dei suoi compagni che mangiucchiavano salsicce di cervello per pranzo.

-Va', pure. Tanto io non scappo da nessuna parte. Sarò qui seduta stante ventiquattro ore su ventiquattro.- sospirò anche lei, guardando fugacemente fuori dalla finestra.

-Beh, allora vado. Ci vediamo domani, Moon.

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Capitolo 3
*** Domande di lui, domande di lei. ***


Mentre camminava per le strade e si dirigeva verso la farmacia vicino casa, prese a pensare a quel breve incontro con quella povera ragazza legata al letto. Anche se la conosceva da poco gli faceva pena vederla in una condizione del genere. Però poteva anche immaginare il motivo per cui fosse costretta a letto: sicuramente di era ribellata ai medici o qualcosa del genere. Doveva ammettere che lei era di una bellezza un po' disarmante. I suoi capelli neri e lisci le arrivavano quasi fino le costole, e di tanto in tanto, mentre parlavano, aveva notato che il suo ciuffo le ricadeva sull'occhio destro, costringendola ad aggiustarselo con un gesto laterale della testa. Con quel semplice gesto riusciva a scoprire i suoi occhi. Occhi che non avrebbe più dimenticato per il semplice fatto che non erano come quelli di tutti, no. Dapprima non ci aveva fatto caso, ma poi sotto un riflesso della luce aveva notato che l'occhio destro era diverso da quello sinistro: l'uno era di un blu zaffiro, mentre l'altro era semplicemente del colore del cioccolato. Spettacolari. Unici era dire poco.

In preda a questi pensieri, giunse finalmente in Farmacia, e solo quando vi entrò e sentì un forte odore di caramelle per il mal di gola, si chiese perché i suoi coinquilini non se le comprassero da soli le pasticche dato che abitavano a due passi da lì.

Sospirò, e dopo una fila di persone raffreddate o con delle ricette mediche in mano, riuscì ad arrivare al cassiere, che gli servì le dannate pasticche contro l'emicrania. Quando finalmente uscì da quel posto maleodorante, si diresse verso casa.

Quando entrò, posando le chiavi sul mobiletto dell'ingresso e richiudendosi la porta alle spalle, il vocalist della sua band gli venne in contro con gli occhi quasi iniettati di sangue.

-Dove sono? Dove sono loro??- lo scrutò da cima a fondo muovendosi alla ricerca del fatidico sacchetto di medicinali. Jinxx sospirò e tirò fuori il pacchetto di pillole che il cantante quasi gli strappò dalle mani con aria da cannibale.

-Andy, calmati, devi ingoiarne solo una, non tutto il pacchetto!- lo richiamò il bassista dall'uscio del corridoio, mentre lui correva in cucina. -Jake! CC! Jinxx è tornato! Venite!- urlò verso le camere da letto. Poi si rivolse all'appena arrivato. -Si può sapere dove sei stato? Jake, Andy e CC stavano morendo dal mal di testa!

Il chitarrista ritmico, nonché lo stesso Jinxx, sbuffò nello stesso momento in cui arrivarono i due ragazzi appena chiamati.

-Jinxx, io ti ammazzo!- esclamarono all'unisono, per poi piegarsi su se stessi dal dolore alla testa. Il ragazzo inarcò un sopracciglio. -Potevate andarvele a prendere da soli le pasticche, dato che è a quattro passi la farmacia!

-E con quale testa funzionante, di grazia?- ritornò Andy con dei bicchieri d'acqua per Jake e CC. Jinxx scosse la testa con disapprovazione, poi quando tutti ebbero ingerito le fatidiche pillole, lo guardarono tutti in attesa di spiegazioni.

-Beh? Quindi, dove sei stato?- chiese il bassista. Lui sospirò.

-A... fare quattro passi...

-Non me la conti giusta.- ribatté subito il batterista. -Non esci mai senza alcun motivo.

-Già, non mentire al vecchio Ash.- sottolineò il bassista. -Raccontaci, raccontaci. Magari riusciamo a trovare un modo per fartela passare liscia per quello che ci hai fatto.

Jinxx sospirò per l'ennesima volta. Era come se Moon fosse un segreto da nascondere, ma in qualche modo si sentiva in trappola, e non gli andava neanche di mentire, dato che già lo avevano smascherato al primo impatto. Si avviò verso la cucina, seguito a ruota dai ragazzi incuriositi, e mentre cercava qualcosa da mettere sotto i denti tra gli scaffali della cucina si decise a parlare.

-Diciamo che grazie al TG ho trovato... una tipa... interessante.

-Grazie al TG?- chiesero tutti insieme.

-Già...

-Spiegati meglio... era una telecronista? Come Alexan...- CC si interruppe, o meglio, venne interrotto da una gomitata di qualcuno che gli stava accanto. Stava per toccare un tasto dolente dei ricordi di Jinxx, e i ragazzi volevano tutto tranne che fare rattristare l'amico.

Lui scosse la testa, anche perché la sua testa era già volata al pensiero della sua ex, Alexandra per l'appunto.

-No, non era una telecronista. È una ragazza il cui tentato suicidio è stato trasmesso come notizia alla TV, ed io, incuriosito, ho deciso di andare a trovarla... e diciamo che ci siamo pure conosciuti.

-Uh, capisco. Ma non sarà un po' deprimente?- chiese il cantante. -Insomma, ha tentato il suicidio... vuoi aiutarla ad uscire dal suo trauma psicologico?

-E che sono, uno psichiatra?- ridacchiò lui.

-Naaah, però... ti piace?

Jinxx ci pensò un po'. -Forse.

 

 

Moon rimase abbastanza perplessa dall'incontro che aveva appena avuto. Così, tutto a un tratto era ricoverata in uno schifo di ospedale dall'odore penetrante, e neanche il tempo di essersi svegliata da un breve coma farmaceutico, riceveva una visita da un tizio qualsiasi che neanche conosceva. Eppure non le aveva fatto una brutta impressione, a parte che fosse strano che un ragazzo non volesse fare niente di male ad una ragazza immobilizzata a letto, e che per di più era giunto fin lì solo per curiosità e qualche altro motivo che era dubbioso nel rivelare.

Valutandolo fisicamente era carino, e anche di carattere, per quel breve colloquio, era riuscita a capire che fosse un tipo simpatico e pacato. Lo aveva anche provocato, e ne era consapevole, eppure lui la aveva ignorando, chiedendole semplicemente come si chiamasse.

Chissà se sarebbe tornato per davvero, e se le avrebbe mai raccontato la sua storia, o quella cosa che aveva preferito non dire subito. Da una parte le sembrava un tipo riservato, o forse voleva solo preservarla da un suo brutto ricordo?

In preda a questi pensieri riuscì a passare il suo primo giorno di ricovero, e si addormentò quasi serena.

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Capitolo 4
*** Farfalle. ***


Quando il mattino dopo Moon si era svegliata non era sola nella stanza. Ad osservarla, sul lettino alla sua destra, c'era un medico dall'aria vecchia e stanca. Di carnagione poco scura, barbetta attorno al mento, al labbro superiore a alla mandibola, occhi castani incastrati tra le rughe, le occhiaie e le borse sotto di essi, naso lungo che sorreggeva degli occhiali fini e metallici, capelli tirati indietro col gel e grigi come la barba. Sembrava il padre dell'infermiere del giorno prima.

Non le piaceva il modo in cui la studiava. Sembrava ossessionato dalla sua immagine. No, anzi, aveva un che di maligno, ma lei preferì non pensarci ed eliminare quel presagio.

-Ben svegliata.- cominciò lui, con tono stranamente dolce. -Dormito bene?

-Il punto non è se ho dormito bene, il punto è che non sono a mio agio qui.

-Suvvia, lo so che può sembrarle brutto essere legata e con un ago puntato nel braccio.- lei fece un ghigno di sarcasmo. “Come se non fosse ovvio.” -Ma guardi il lato positivo...- inarcò il sopracciglio destro. -...Ha tutto il tempo per riprendersi dal suo shock e parlare con me, che sarò il suo psichiatra personale. Potrà dirmi tutto quello che vuole, pure insultarmi.- “Cosa che non mancherò di fare.” -E poi so che ha avuto una visita ieri, è una cosa molto buona. Era un amico?

Amico...” pensò Moon. Non lo conosceva neanche, Jinxx, e già lo chiamava con il nomignolo con cui si faceva chiamare da tutti. Non sapeva se era per davvero un amico, ma come inizio, quello di ieri non era stato male. E poi forse... forse c'era qualcosa che la aveva rapita di lui, anche se le sfuggiva ogni volta che cercava di capirlo.

-Bisogna vedere se lo sarà per davvero o meno. Per ora posso solo dire di averlo conosciuto ieri.

-Oh, quindi è una new entry? Visto, questo posto non è così male.- disse lui facendo un sorriso ebete, che lui voleva intendere come l'affermazione di qualcosa di ovvio.

-Tsé, ma per favore. Piuttosto, secondo lei quando me ne potrò andare di qui?

-Questo dipende da te e da me, mia cara.

-Cos'è, devo fare la brava bimba?- sbuffò lei, mentre con un semplice gesto della testa si spostava la ciocca di capelli che le era ricaduta sugli occhi.

-Uh, non è quello il punto. Ma vedremo, vedremo...- concluse lui, alzandosi, sistemandosi gli occhiali sul naso e andandosene.

Le aveva suscitato un certo nervosismo quell'uomo, coi suoi modi di fare, tutto convinto di sé. Odiava quel genere di persone: presuntuose solo perché avevano un certo posto nella società. E magari poi si rivelavano degli emeriti idioti o ignoranti.

Sospirò infastidita, guardandosi le mani ancora legate al materasso insieme ai piedi. -Di questo passo chiunque potrà fare ciò che vuole di me. Ci manca solo un altro... trauma.- a quella parola le salì un nodo alla gola e si ricordò la lama sui suoi polsi e le pillole che aveva estratto così freneticamente dallo scaffale accanto lo specchio del suo bagno. Sicuramente era tutto rimasto in quel modo: tutto in disordine, con tutto il sangue sparso sul lavandino, sul pavimento, sullo specchio; le pillole erano ancora sparse sul pavimento e la loro boccetta dentro il lavandino tutta aperta e vuota. Cercò di estinguere quei pensieri e di ricacciare le lacrime indietro stringendo fortissimo gli occhi; e quando li riaprì trovò sull'uscio della sua camera lui, Jinxx.

 

 

Jinxx vagò per l'ospedale con in testa una meta precisa: la camera di Moon. Solo il fatto di non essere potuto tornare il giorno prima gli aveva suscitato dentro un certo senso di curiosità malinconica. Neanche lui se lo spiegava, ma in fin dei conti, si poteva dire che si sentiva attratto da quella ragazza.

Quando quel mattino si era svegliato, dopo una notte di rimuginamenti, era sceso ad una conclusione. Pur di conoscerla in tutto e per tutto e di aiutarla ad uscire da quella specie di ospedale, le sarebbe stato attaccato addosso come una ventosa.

Arrivò davanti alla porta della sua stanza ed indugiò un po' prima di entrare. L'aveva scorta dall'esterno con il volto chino, i capelli che le ricoprivano le guance e lo sguardo serio rivolto alle sue mani. Forse non era il momento adatto, ma quando lei rialzò lo sguardo verso di lui, qualcosa gli disse che poteva farsi avanti ed entrare.

-Oh, sei tornato.- disse lei con voce tremolante che gli lasciò un'ombra di dubbio.

-Te l'avevo detto...- disse lui soddisfatto sedendosi accanto a lei. -Come stai oggi?

-Ti prego, non parlare come quello psichiatra da strapazzo che è appena uscito di qui. In ogni caso starei meglio altrove...

-Tipo dove?- si accigliò lui. Lei gli rivolse un'occhiata che racchiudeva una risposta ovvia. Quello sguardo quasi sarcastico stava ad indicare un “Non qui.” e di certo non si riferiva solo all'ospedale. -Comprendo.- disse lui abbassando lo sguardo, mentre lei sospirava spostando lo sguardo fuori dalla finestra.

Moon si girò di scatto. -Ma alla fine ai tuoi amici è scoppiato il cervello?- non voleva fare rabbuiare l'atmosfera mentre lui era presente. Già la rasserenava un po' avere delle visite, e di certo non se le voleva fare scappare.

Jinxx rialzò lo sguardo ridacchiando. -Eh, diciamo che c'è mancato poco che succedesse. Quando sono tornato a casa in pratica uno di loro mi stava per aprire la testa e per rubarmelo il cervello, pur di avere quelle pasticche. Mentre due mi rimproveravano e due mi minacciavano di morte.

Moon rise, e la sua risata riscaldò il cuore del nostro Jinxx, il quale si sentì una strana sensazione allo stomaco. -Ma vivete tutti insieme?

-Eh, già... può sembrare strano ma... ehi! Non pensare male! Non siamo dell'altra sponda! Anche se non ho nulla contro quella gente... ma ciò non significa che io lo sia!

Le continue giustificazioni di Jinxx fecero scoppiare a ridere Moon una seconda volta, e lui non poté fare a meno di aggregarsi a lei. Gli piaceva la sua risata, per quanto velata da quel senso malinconico, lo riscaldava, gli giungeva come solare.

-Nessuno ha ipotizzato niente, eh. Stai facendo tutto da solo.- continuò lei ridendo. -Com'è convivere con quattro persone?

-Oh, ha i suoi pro e i suoi contro... per esempio, tutto è condiviso, e ognuno deve essere disponibile per gli altri. Ma considera che noi siamo tutti dei gran pigri, quindi anche le cose più banali possono ricadere su chiunque. Nel nostro caso, io.

-Fammi un esempio...

-Guarda, pure la storia delle pasticche per il mal di testa. Noi abitiamo poco distante da qui, e ancor meno lontano è la farmacia. Cioè, è a quattro passi da casa nostra, e tra loro c'era almeno una persona che aveva ingerito l'ultima pillola rimasta. Lui poteva muoversi, e invece che fa? Manda me in quella specie di posto odorante di caramelle al limone per la gola. Me che non ho alcuna colpa- Moon ridacchiò. -Che poi io odio le farmacie, perché sono posti che brulicano di gente malaticcia. Non a caso, mi sono trovato a fare una fila madornale per comprare solo una scatoletta di medicine, e davanti a me c'erano persone di tutti i tipi: dagli appestati alle vecchiette che ci mettono tre ore a cercare la ricetta che gli ha prescritto un presunto medico... e alla fine dove ce l'hanno? In mano!

Non si trattenne più, Moon non poté fare a meno di ridere, e Jinxx fu contento di quella reazione. Era così che gli piaceva, quando rideva. Quando invece era all'opposto lo rattristava molto, e gli faceva desiderare di farla uscire da quel posto.

Quando le risate diminuirono, lei lo guardò per un po' sorridendogli. -Sei buffo.

-Spero positivamente.- disse lui abbozzando un sorriso e inarcando le sopracciglia.

Lei si addolcì. -Molto probabilmente.

 

 

Qualcosa era nato per davvero, anche se entrambi ancora non riuscivano ad avere le idee chiare. Jinxx non poteva fare a meno di rimuginarci tutto il tempo: la notte, mentre mangiava o mentre facesse una qualunque cosa. Non che Moon non facesse lo stesso.

Forse... forse quello strano senso allo stomaco era causato da qualche farfalla...

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Capitolo 5
*** Alexandra. ***


Passarono un po' di giorni, e Jinxx andava a fare visita giornalmente a Moon che lo accoglieva sempre bene. Lui si trovava bene con lei, ed il pensiero di Alexandra non lo tormentava poi così tanto, anche se Moon ogni tanto gli lanciava qualche frecciatina che gliela ricordava. Certo, non era facile avere a che fare col proprio passato, ma tutto sommato stare con lei lo faceva stare bene e si distraeva facilmente parlando e scherzando.

Una mattina arrivò nello stesso momento in cui dalla sua stanza era uscito lo psichiatra del quale lei parlava sempre male e che gli aveva descritto nei dettagli. Non lo sopportava soprattutto per quell'aria di una persona troppo convinta di se, e la cosa infastidiva anche lui, e non poco. Quel tipo di persone erano particolarmente fastidiose, e non si sarebbe sorpreso se Moon gliene avesse dette di tutti i colori.

Bussò alla porta bianca della stanza di quella persona che gli faceva venire le farfalle allo stomaco, ma non la trovò in un bello stato.

 

 

Moon si era svegliata con accanto lo stesso psichiatra che le rompeva le scatole ogni giorno. Ancora non riusciva ad abituarsi all'idea che lui la osservasse mentre dormiva: le dava un senso di inquietudine.

-Buongiorno.

Lei non rispose.

-Suvvia, perché ogni mattina non mi vuole ricambiare? Io le porgo semplicemente un saluto!

-Lei è fastidioso. A nessuno piace svegliarsi con accanto una persona che lo fissa. Una persona per di più che non vuole neanche vedere.

-Quindi non mi vuole vedere?- si fece il finto offeso, ma lei colse la provocazione al balzo.

-Esatto.

-Beh, signorina. Si dovrà rassegnare. Mi hanno affidato il suo caso e ora devo aiutarla ad uscirne.

-Se vuole farmi uscire da qualcosa, cominci con questo ospedale per malati mentali!

-Ma questo non è un'ospedale psichiatrico, signorina! È uno normale! Lei è qui perché ha anche dei problemi fisici!- accennò ai polsi.

-Ma per favore, ormai non ho bisogno nemmeno di quest'affare qua!- indicò con lo sguardo la flebo. -Quando me la toglierete??

L'uomo si fece serio. -Questo lo sa il suo medico. Ma non penso durerà ancora a lungo.

-Bene, e ora mi rivolgo a lei, in base a quanto constata ogni giorno, quando vi degnerete di slegarmi, se non di lasciarmi andare via di qui?

-Vuole il mio parere?

-Esattamente.

Gli si avvicinò spaventosamente. -Lei ha un problema che non vuole curare o eliminare, e nel tentativo di farlo a tentato il suicidio. Non posso lasciarla andare se lei non collabora, non parla e tutto. O lo fa con me, o con qualcun altro. Pure col tizio che la viene a trovare ogni mattina, ma deve farlo!- sibilò quelle parole nelle sue orecchie facendola rabbrividire non appena si scostò da lei, poi si girò e se ne andò nello stesso momento in cui udì un bussare a lei noto alla porta.

Non disse nulla, Jinxx sapeva che non c'era bisogno che lei parlasse perché lui entrasse, ma si trattenne lo stesso sulla porta. Si sentiva osservata da lui, ma non riusciva a parlare. Teneva gli occhi fissi sulla sua flebo con aria terrorizzata quasi. C'era un motivo per quel terrore. Ricordare tutto quello che l'aveva spinta al tentare il suicidio la demoralizzava e non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto reagire se ne avesse parlato con qualcuno.

Quando si decise a guardare il suo visitatore, si accinse a studiarlo mentre le si avvicinava. Perché non seguire il consiglio di quello psichiatra da strapazzo e provare a parlare con lui? Avrebbe potuto, ma chi le diceva che poteva fidarsi? Si, era nato una sorta di legamento tra i due, ma lei era sempre sulla difensiva quando si trattava di lei. Se lui si voleva avvicinare a lei doveva essere cauto e prima doveva aprirsi lui.

Si ricordò di quando lui le aveva detto che c'erano due motivi che lo avevano smosso ad andare a conoscerla, e uno di quelli lo aveva celato, dicendo che avrebbe valutato dopo se parlarne o meno.

Jinxx si sedette accanto a lei, e la scrutò un po' accigliato. -Solite rotture con lo psichiatra?

-Già... ha deciso di tenermi qui finché non rivelerò i miei segreti più oscuri a qualcuno.- ironizzò lei.

Lui si accigliò, ma non emise parola. Gli sarebbe piaciuto sapere la sua storia, in fondo era grazie a quella curiosità che l'aveva conosciuta, ma non poteva forzarla a parlare. Sarebbe stato come metterle la stessa pressione che le intimava quell'uomo che lei non sopportava.

-Jinxx... è passato un po' di tempo da quando mi hai conosciuta. Certo, non molto... ma mi piacerebbe sapere il secondo motivo, che mi hai nascosto, per cui sei qui.

Lui mancò un battito cardiaco. Ora toccava a lui parlare, rivelarsi. Era dubbioso al riguardo, forse quasi quanto lei. Significava parlarle di lei, di Alexandra, della ragazza che aveva cercato di occultare dalla sua mente per molto tempo.

Sospirò, e cedette alla domanda. Era Moon, e voleva che lei sapesse tutto di lui, come lui avrebbe voluto lo stesso da lei.

-Ecco... diciamo che non volevo che quello che era successo alla mia ragazza risuccedesse a qualcun altro, nel nostro caso, tu.

-Spiegati meglio.

-La mia ragazza si chiamava Alexandra, era una cronista. Ci amavamo molto. Ma nell'ultimo periodo in cui stavamo insieme lei era diventata depressa. Soffriva per qualcosa che non mi voleva rivelare, per il lavoro, e per me. Io ero la causa di quello che non mi voleva rivelare. Si suicidò lo stesso giorno in cui la licenziarono e lo stesso in cui si arrabbiò con me per una cosa futile. Una sciocchezza.- un nodo si strinse in gola al ragazzo. -Avevo semplicemente ritardato al nostro appuntamento, che si sarebbe tenuto a casa sua, e lei si convinse che io la tradissi per un'altra. Una cosa assurda, dato che a me non piaceva nessuna e che avevo ritardato perché uno dei miei amici mi aveva rallentato con qualche balla. Fatto sta che uscì di senno e mi chiuse la porta in faccia quello stesso pomeriggio. Dopo un pomeriggio che passai chiuso in macchina sotto il suo appartamento, mi arrivò una sua telefonata in tarda sera.- la voce di lui tremò per un nano secondo, ma subito cercò di darsi un tono. -Mi chiamava per scusarsi di tutto, per confidarmi che mi aveva tradito lei e che mi aveva accusato ingiustamente. Mi aveva tradito e non c'era modo neanche per aggiustare le cose. Nel mezzo della telefonata mi disse che si trovava in cima all'edificio in cui abitava, al lato dove scorrevano più macchine e sul terrazzo che si trovava al ventesimo piano di quel piccolo grattacelo. Mi stava dicendo addio, ed io non arrivai in tempo per salvarla, per quanto le urlassi al telefono che andava tutto bene, che non doveva commettere una sciocchezza del genere, che non mi importava se mi tradiva... ma niente. Lei si buttò e morì.- Jinxx si interruppe un attimo, incrociando lo sguardo attento e serio di Moon. -Il punto di tutto questo è... è che non voglio che un'altra persona si suicidi per qualcosa che le è andato storto nella vita, e tu... Moon, in qualche modo, quando ho sentito la notizia del tuo tentato suicidio al TG, mi hai richiamato Alexandra. Non volevo, né lo voglio ora, che tu segua la sua stessa strada, perché, si, per quel poco che ci conosciamo, già tengo molto a te... frequentandoti mi sono reso conto che... voglio aiutarti a superare queste mura bianche. Voglio starti vicino.- concluse abbassando lo sguardo e il capo a suo seguito. Una lacrima che Moon non poté scorgere gli rigò il viso sotto i capelli che gli erano ricaduti davanti gli occhi. Il ricordo di quella telefonata gli tornò chiaro e limpido alla mente e si sentì morire dentro, mentre una stretta al cuore lo colpiva come un coltello. Si asciugò velocemente la lacrima sperando che chi lo aveva ascoltato fino a quel momento non l'avesse notata.

Moon rimase in silenzio. La sua storia era... terribilmente triste. Era addolorata per lui, ma il fatto che si era aperto le risultò come una cosa buona. Specialmente la sua affermazione di volerle stare accanto. -Alza il viso.- disse solamente ad un tratto. Lui lo fece lentamente e con gli occhi lucidi. Lei lo guardò per un po', poi parlò. -Promettimi che non scomparirai dalla mia vita.

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Capitolo 6
*** Giocare col cibo nel piatto ***


Moon rimase impressionata dal modo in cui le si era aperto Jinxx e decise che ben presto anche lei gli avrebbe rivelato la sua storia. Con la differenza che gliela avrebbe detta volta per volta e non tutta nello spazio di una sua sola visita.

Quello stesso pomeriggio la andò a trovare di nuovo il solito psichiatra da strapazzo e ne rimase sorpresa. -Come mai è qui anche di pomeriggio?

-Diciamo che mi è stato imposto di venire a farle visita anche nel pomeriggio... un giorno si ed uno no.- le sorrise, ma lei sbuffò solamente, mentre lui si sedeva sul solito letto vuoto accanto a lei. -Beh, come va col suo amico?

-Bene.

-Ha deciso di parlare con lui, piuttosto che con me?

-Non lo so. Lo devo ancora decidere.- rispose voltandosi e contraddicendo quello che aveva pensato qualche ora prima. Era ovvio che volesse sfogarsi un po' dopo tutto quello che aveva passato.

-Ma le piace?

Lei rimase in silenzio per un po', mentre il sangue le saliva quasi violentemente alle guance e le mani, sempre legate al letto le formicolavano. -Q-Questo non la riguarda.

-Capisco, capisco.- concordò lui, sorridendo mentalmente. -Che ne direbbe se avesse una compagna di stanza?

-Che ne direbbe se mi toglieste questo arnese dal braccio?- accennò all'ago infilato nella carne.

-Dipende. Sente fastidio ai polsi o ha giramenti?

-No. E per rispondere alla sua domanda, non voglio condividere la mia stanza con nessuno. Non voglio stare a sentire i deliri di qualcun altro. Voglio stare da sola.

-Perfetto, come vuole lei. Beh, le toglieremo la flebo entro domani.

-Era ora!- sospirò lei sollevata. -E con questi cosi che mi tengono legata a questo dannato letto?

-Dipende da un paio di cose. La libereremo da quelli gradualmente, ma ancora non è arrivato il momento. Mi dispiace.

-Tsé.- lei si girò e non parlò più finché lo psichiatra non si rassegnò e non se ne andò.

Voleva stare da sola, ma anche essere libera. Sennò non ne sarebbe mai uscita.

 

 

Ogni giorno che Jinxx usciva da quell'ospedale era sempre più infatuato di quella ragazza dai capelli corvini. Non riusciva a fare a meno di pensare a lei. Ormai le farfalle nel suo stomaco erano diventate una presenza così costante che ci aveva fatto l'abitudine. Mangiava a stento, ed era una delle cose più note per i ragazzi con cui conviveva.

-Jinxx, non si può continuare così!- esclamò il suo amico Christian quel giorno mentre pranzavano. Jinxx si era riperso nelle sue fantasie, ed in quel momento gli stava tornando in mente la frase che gli aveva detto Moon prima che se ne andasse. “Promettimi che non scomparirai dalla mia vita.” gli aveva detto. In un certo senso la sua vita gli risultava come un mistero su cui indagare prima che lei gli svelasse cosa si celava dietro quel tentato suicidio. Cosa poteva significare quella frase? Chi era già scomparso dalla sua vita? E in che momento? E perché? Mentre le domande gli assillavano la testa, il suo amico batterista lo riscosse con quella domanda, e lui smise di arrotolare gli spaghetti e di srotolarli ogni due secondi.

-Eh?

-Amico, sono giorni che non fai altro che giocherellare col cibo che hai nel piatto, sospiri ogni due tre, e poi spilucchi a malapena il cibo che hai sotto il tuo bel nasino. Ti sei infatuato per caso?- chiese secco Ashley. Jinxx arrossì di botto. Il suo amico era molto esperto di cotte, innamoramenti ed una qualsiasi cosa potesse riguardare l'amore o i rapporti fisici. Chinò il capo più di quanto già non lo fosse, lasciò che i capelli gli nascondessero il viso e arrossì più di prima. Era diventato una ciliegia in pratica, neanche un pomodoro.

-Mi sa che hai fatto centro, Ash.- commentò Andy ridacchiando. -E' lei? Quella Moon?

Lui annuì e per la prima volta si decise a mangiucchiare qualcosa dal piatto, cosa che non faceva da quando si era seduto a tavola.

-Preoccupante, ha ripreso a mangiare...- ironizzò Jake.

-Oh, insomma! Dì qualcosa!- esclamò Andy spazientendosi.

-E che vi devo dire? Si, ok, mi piace Moon, e allora?- esclamò Jinxx rialzando il viso e tenendo la forchetta piena di pasta a mezz'aria.

-Allora niente. Diglielo.- disse semplicemente l'amico bassista.

-Come se fosse una cosa da niente! Non è come le altre! Lei è più aggressiva, convinta di sé, simpatica... ma si vede lontano un miglio che è appena uscita dal trauma della sua vita! Come faccio a spiattellarle che mi piace senza sapere cosa prova per me? E senza sapere qualcosa di lei! Cioè, parliamo di molte cose, ma della sua vita personale, poco e niente!- lo disse tutto d'un fiato e quando ebbe finito il suo rossore non aveva accennato a diminuire.

-Allora aspetta il momento adatto. Non so, magari quando la slegheranno. Per quello che ho capito è legata come una creatura di Frankenstein al suo letto.- replicò di nuovo Ashley.

-Si vabbè, ci vorrà un sacco di tempo perché questo accadi. Ho sentito dei medici parlare di lei, mentre mi dirigevo verso la sua stanza. Dicono che ho si sblocca o non va da nessuna parte.- sospirò.

-Allora aspetta semplicemente il momento giusto, quando magari lei ti dirà qualcosa di più di lei.- ripeté Jake facendo spallucce.

-Già...- sospirò lui ricordando le sue parole e ricominciando a giocare col cibo che aveva nel piatto.

-Jinxx per l'amor del cielo!

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Capitolo 7
*** L'inizio di tutto ***


Il mattino dopo Jinxx bussò alla porta di Moon, e la trovò addormentata. Dopo qualche istante di indecisione decise di entrare, e di appostarsi alla finestra oltre il suo letto. Dapprima si concentrò sul panorama che c'era sotto i suoi occhi, che poi tanto panorama non si poteva definire. Davanti alla finestra ce n'erano altre di un altro scompartimento dell'ospedale, e sotto quei tre piani che li separavano dal terreno c'era una semplice piazzetta con in mezzo una fontanella coperta dal muschio. “Bello, sicuramente anche lei lo troverebbe un posto invitante per farci quattro passi” pensò Jinxx voltandosi poi a guardarla. Aveva ancora gli occhi chiusi, il suo viso era rilassato, ed i capelli sparsi per il cuscino. I suoi arti, anche se legati, erano fermi e le mani schiuse sopra le coperte spiegazzate. Gli si raddolcì il viso guardandola soltanto. Nella sua espressione angelica, gli piaceva sempre di più ogni suo lineamento, ogni sua caratteristica. Era stato evidente pure ai ragazzi: si era preso una cotta per quella ragazza.

Dopo un po', Moon aprì gli occhi, ma non si sorprese più di tanto della presenza dell'amico, per il quale anche lei provava qualcosa. Qualcosa che sperava, se fosse uscita di lì, si sarebbe trasformato in qualcosa di più dell'amicizia. Gli sorrise.

-Buongiorno.- salutò lui, e lei ricambiò sbadigliando. Portò subito lo sguardo sul suo braccio e con compiacimento notò che finalmente non c'era più la flebo. “Era ora.” pensò lasciando ricadere il capo sul cuscino.

-Dormito bene?- continuò Jinxx.

-Abbastanza. Non c'è male.- mentiva. Almeno metà nottata l'aveva passata a rigirare il capo a destra e a sinistra per cancellare un incubo che la stava tormentando da quando era lì. Le richiamava, ovviamente, uno dei molteplici motivi che la avevano portata a suicidarsi. Portò lo sguardo istintivamente alla finestra.

-Ma a parte quel muro, sotto la finestra, cosa c'è?- chiese dopo un po'.

-Uh, niente di che. C'è una piccola piazzetta con in mezzo una fontanella coperta di muschio che spruzza acqua a malapena. Guarda, ti faccio una foto così la puoi vedere.- sfilò il cellulare e dopo aver scattato la foto la mise sotto gli occhi di Moon. Lei la osservò per un po'.

-Che cosa deprimente.

-Già. Degna di questo ospedale però.

Lei ridacchiò, mentre lui cancellava la foto inutile dal cellulare e si sedeva accanto a lei sogghignando.

Calò un temporaneo silenzio, nel quale Moon finalmente si decise a rivelargli un pezzo della sua vita. -Jinxx...

-Si?

-Se ti parlo gradualmente... cioè una mattina alla volta, della mia storia... mi prometti che non scomparirai quando avrò finito?

Lui si accigliò. -E perché dovrei andarmene? Sono qui apposta.- le sorrise, incutendole sicurezza.

Lei sorrise di rimando.

 

-Beh, la storia, partendo dall'inizio, comincia con me che entro all'università. Un'università in cui non metterò mai più piede grazie alle persone che ci stanno dentro tuttora. Ci credi? Io pensavo che il bullismo ormai esistesse al massimo nei licei, e invece cosa scopro? Che le persone bacate riescono ad entrare in scuole pregiate e a continuare a tormentare le loro brecce. Beh, si da il caso che io ero proprio una breccia. Certo, non c'erano più i classici dispettucci che si facevano rovesciando il vassoio a mensa o buttandoti nella pattumiera i libri. Le umiliazioni erano pubbliche e davanti una classe di tipo trenta persone. Io pensavo che ignorare le risate, le frecciatine, fosse facile, e lo facevo. Ma no, mi sbagliavo. Non era facile. Sentivo tutto e tutti, e mi vergognavo di tutto. Questo sai perché? Perché in quell'anno mi ero appassionata al gotico, ero di carnagione pallida, e le mie labbra, a furia di morderle -pessimo vizio- erano sempre tinte di un rosso insolito. E così facendo ero diventata il “vampirello” della classe. Ma fin qui, potevo offendermi un po', ma tutto sommato ci davo poca importanza. L'evento scatenante di tutto fu quando mi innamorai di un ragazzo. Uno di quelli che si, stava nella cerchia di bulli, ma che tutto sommato non diceva mai niente. Mi sembrava una brava persona, e dopo un anno, e dico un anno, di rimuginamenti, mi decisi a dichiararmi. Lui per tutta risposta si girò e se ne andò. Indovina che successe il giorno dopo? Il giorno dopo tutti sapevano cosa gli avevo detto con in più una marea di menzogne, e non ci volle molto perché delle stupide oche non cominciassero a infastidirmi. Dico, io non sono mai stata una tipa troppo introversa, e tu ne sai qualcosa...- Jinxx sorrise. -... ma tutto sommato mi riuscii a trattenere dal strappare i capelli a quelle lì per molto tempo. Poi, uno dei giorni fatidici, mi lanciarono una bomba, per così dire, ed io risposi con una bomba H, ovvero col triplo.

Non solo le oche mi avevano umiliata davanti a tutta l'università, professori compresi, che però si giravano e se ne andavano via, ma avevano pure cercato di alzarmi le mani. Tu non lo sai, ma io entro la fine del liceo avevo imparato le arti marziali, diventandone cintura nera. Quindi per me era, ed è, normalissimo difendermi ed attaccare alla prima provocazione fisica. E così finì male alle ochette.- sul viso di Moon si disegnò un ghigno.

-Cioè?- chiese Jinxx mezzo divertito all'idea di cose potesse aver fatto.

-Lo vuoi sapere? Semplice, dato che la rissa, perché finì effettivamente a rissa, si svolse nella palestra, che gli studenti utilizzavano a scopo ricreativo, non c'era nessuno ed io ai tempi fumavo quasi come un Hippie, dopo averle suonate a tutte e tre quelle che mi tormentavano, combinandole parecchio male, bruciai i loro libri, senza curarmi del fatto che loro erano stese per terra accanto al fuoco, semi incoscienti e coi capelli che avevano preso fuoco. Per fortuna loro, una si riprese prima delle altre, e mentre quelle per terra si ustionavano anche il viso ed io mi allontanavo compiaciuta, lei si era messa a spegnere il fuoco urlando come un'ossessa.

Vuoi sapere che cosa successe il giorno dopo? Venni cacciata dall'università.

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Capitolo 8
*** Hippie. ***


Il giorno dopo Jinxx si avviò verso l'ospedale con il vento che gli soffiava addosso e con la pioggia che batteva sopra il suo ombrello nero. Faceva fresco, ma lui riusciva a sopportare il fresco con addosso una semplice giacca in pelle nera con qualche catena attaccata sopra. Si mise la mano libera dall'ombrello in tasca e concentrò i suoi ricordi sulla storia iniziale di Moon. Lei gli aveva dato un tocco di sarcasmo, perché effettivamente il fatto che lasciasse che tre ragazze si ustionassero senza alcun ripensamento era divertente, ma se quello era stato l'inizio per un trauma, allora non c'era molto da ridere.

Arrivò a destinazione e percorse l'ospedale reggendo su l'ombrello su un polso mentre gli gocciolava accanto. Arrivò alla camera di Moon, ma non entrò. Stava avendo un colloquio con uno psichiatra, probabilmente con quello che lei chiamava “da strapazzo”. Dalla sua stanza lei si girò a guardarlo e gli fece un cenno con la testa, ma non sorrise. Il discorso che stava tenendo con il medico doveva prenderla particolarmente, pensò il ragazzo. Si mantenne all'esterno della camera, in attesa che uscisse, e quando successe gli si fermò davanti.

-Lei è l'amico della signorina Moon?- chiese lo psichiatra.

-Si, perché?

-Niente di che... le stia accanto il più possibile. Lei... ha deciso di parlare fondamentalmente con lei piuttosto che con me, quindi la aiuti ad uscire dai suoi problemi.- si aggiustò gli occhiali sul naso ingobbito. -Le posso chiedere un favore?

-Mi dica pure.

-Quando riterrà che sarà in grado di uscire di uscire di qui me può comunicare?

Jinxx si accigliò, ma decise di scendere a patti con lui. -Glielo dirò, ma ciò non implicherà che io le racconterò ciò che mi dice.

-Oh, per quello sono d'accordo. I vostri fatti restano vostri. Beh, ora la lascio entrare, Moon la sta aspettando.- e detto questo, dopo aver stretto la mano al ragazzo se ne andò.

Dopo un po' si decise ad entrare e poggiò in un lato della stanza l'ombrello ancora gocciolante, per poi rivolgere alla ragazza un sorriso, che lei ricambiò. Si accorse che non aveva più la flebo e questo lo sollevò.

-Come va'?- chiese sedendosi.

-Non c'è male, ho appena scoperto che se mi tolgono queste stringe dagli arti mi chiudono in una camera di isolamento, quindi o mi rassegno a queste o sarò isolata finché non mi riterranno in grado di uscire di qui.- sbuffò. -Ma almeno mi hanno tolto quell'ago dalla carne!

-Mmh.. beh dai, questo è un buon inizio, ma a tu preferiresti l'isolamento, nel quale per lo meno puoi muoverti, oppure queste?- indicò le stringhe, come le definiva Moon.

-Diciamo che non mi cambierebbe molto, a parte che sarei comunque sola, a parte quando tu mi vieni a visitare e quel coso da strapazzo lo fa pure. Però... non so, mi sentirei una malata mentale così. Ed io non lo sono... boh. Quasi quasi glielo chiedo.- fece spallucce.

-Fai quello che ti fa sentire più a tuo agio.- le sorrise, mentre lei annuiva come risposta.

-Che dici, continuiamo con la mia storiella?- a Jinxx prese un mini infarto, non si aspettava che volesse continuare subito, ma la cosa lo compiacque.

-A lei la parola allora.- fece una specie di inchino che la fece ridere e poi cominciò.

 

-Allora, dove eravamo arrivati? Ah si. Venni espulsa dall'università. All'inizio non la presi tanto male: non ne potevo più di quell'ambiente pieno di gente tamarra che non sapeva distinguere il vero dal falso, e piena di pregiudizi per di più. Tolsi le tende quasi con orgoglio, e da quello stesso giorno cominciai a fare più ore lavorative; si, perché già lavoravo per pagare l'università ed in quel momento volevo guadagnare di più. Facevo la barista in un locale rockettaro e ci stavo proprio a mio agio. Era un bel posticino: luci sempre basse, pareti viola e rosse, angolo per le band che volevano suonare, panche imbottite ed in pelle rossa, piano bar... insomma ci stavo a pennello, e fu lì che dopo un po' di tempo mi convertii allo stile hippie. Era fico, anche se prima di tentare il suicidio ero tornata al gotico misto punk. Ma in ogni caso... fu proprio lì che, nel mio periodo hippie mi interessai a droghe, canne e roba del genere. Roba forte ma non troppo. Insomma, non è che sballassi così tanto. Cominciai a farne uso, anche se non ossessivo, tramite un ragazzo che faceva il dj rocker in quel locale. Si chiamava Ejay. Mi aveva adocchiata e lo stesso valeva per me, quindi non ci volle molto perché ci mettessimo insieme. Lui mi portò tra il suo gruppo hippie/rock e mi fece provare un po' di tutta quella roba alla quale ora ripenso con orrore. All'inizio era fico, poi cominciarono i rimorsi e i rimpianti. Avevo progettato una carriera in Europa per dopo l'università: volevo provare il lavoro di lì in veste di cronista, ma alla fine quel sogno si era estinto tra il fumo ed una busta paga che diminuiva a causa delle mie ore perse a drogarmi. Niente siringhe, ma sniffavo abbastanza. Quando mi accorsi che non sarebbe finita bene cominciai a fare un auto disintossicazione da droghe, fumo e tutti quegli stupefacenti, e questo fu motivo della mia rottura con il dj rocker.- Moon sospirò.

-Non ci volle molto perché lui si vendicasse. Non appena mi avvicinai al punk, in fatto di stili, -cambiavo in continuazione, come hai notato-, Ejay cominciò ad umiliarmi davanti alla vecchia cerchia di fumatori alla quale avevo partecipato. Lì per lì lo ignoravo, anche se soffrivo vedendolo trattarmi in quel modo, ma sopravvivevo, nonostante la depressione di un sogno andato in fumo. I miei problemi aumentarono quando mi presentò, letteralmente, la sua nuova ragazza. Era il classico stereotipo di ragazza perfetta, ultra tinta, con la faccia da bambola e ultra presuntuosa. Immagini quanto la odiassi.- Jinxx sorrise.

-Beh, dapprima cominciarono a scambiarsi effusioni davanti a me, poi presero ad umiliarmi davanti tutto il locale, clienti compresi, e, dato che quando stavamo insieme gli avevo confidato molti dei miei segreti, compreso il motivo della mia espulsione. E fu così che i sensi di colpa mi oppressero sempre di più.

-Scusa, ma perché non gliele suonavi? Hai detto che eri cintura nera di arti marziali.- intervenne Jinxx accigliato.

-Magari. Non ne avevo il coraggio. In un certo senso, vederlo con quella sgualdrina me lo faceva mancare e non ne avevo il coraggio. E così ben presto mi ritrovai a fare un lavoro che non apprezzavo più se ero in compagnia.

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Capitolo 9
*** Stanza n. 70 ***


Jinxx camminò verso la stanza di Moon con passo fremente. Aveva una voglia quasi matta di incontrarla: la sua storia lo stava quasi risucchiando, se ne sentiva coinvolto anche senza aver fatto niente. Sarà che lei gli piaceva, sarà che se ne innamorava ogni giorno sempre di più. Prima o poi si sarebbe dichiarato... ma lei? Lei cosa ne pensava?

 

 

Moon aveva fatto la richiesta esplicita allo psichiatra “da strapazzo” di spostarla in isolamento. Sapeva che comportava a stare da sola, ma almeno poteva avere il sollievo di avere polsi e caviglie slegati. Mentre camminava circondata da medici dai muscoli stratosferici, probabilmente della sicurezza, e accanto a lei c'era lo psichiatra, gli fece una domanda.

-Potrò ricevere visite ugualmente, vero?

-Certo! Ci mancherebbe! Per quel poco che mi dice, ho capito che quel ragazzo l'ha risollevata molto, quindi, lei DEVE ricevere visite.- sottolineò il verbo “dovere” quasi aggravando il tono di voce, e la scrutò sottecchi.

Moon tornò a guardare davanti a sé e si concentrò sulla strada che stava percorrendo, nonostante si sentisse il suo sguardo addosso. Percorse una serie di corridoi illuminati da luci bianche e fredde e cosparsi da pazienti con tutti i tipi di malattie. Sbirciò in una stanza alla sua sinistra. Da lì, provenivano urla di una donna dai capelli corti e ricci fino all'attaccatura, ed era legata al letto proprio come lo era stata lei fino a qualche minuto prima. Urlava che non era pazza, che dovevano slegarla e lasciarla libera. Portava degli occhiali dallo spessore nero che sembrava pesante, e a furia di dimenarsi, come effettivamente faceva, stava rischiando di farli cadere.

Moon sorpassò la camera tornando a guardare oltre i mega medici che la circondavano e che le tenevano due mani fastidiose sulle spalle, come per monitorarla. Le tornò in mente il primo giorno che era si era svegliata in quella stanza del colore della neve. Un incubo. Fece un respiro profondo per scacciare l'immagine della siringa che le trapassava la carne con quella specie di sonnifero, mentre attraversava il suo ultimo corridoio. Conduceva ad un'unica porta in ferro con uno sportellino scorrevole posto poco più in alto di lei e delle dimensioni di un righello di 30 centimetri.

Aprirono la porta e i medici che la accompagnarono la lasciarono entrare, mentre lo psichiatra entrava con lei nella stanza. Era costituita solo da un letto con le coperte ed il cuscino, una finestrella con le sbarre dietro i vetri, uno specchio incassato tra le pareti con un lavandino, ed una sedia di legno. Accanto alla porta ce n'era un'altra che conduceva semplicemente ad una toilette. Le pareti erano apparentemente di cartongesso, anche se rivestite di un tessuto isolante di colore bianco. Come al solito. “Beh, per lo meno, non ci sono telecamere.” si disse guardandosi attorno.

-Beh, signorina Moon. A presto.- disse lo psichiatra uscendo dalla porta e serrando dall'esterno la camera. Lei rimase sola.

 

 

Jinxx rimase sorpreso entrando nella stanza di Moon e trovandola vuota. Si agitò. Sapeva che Moon voleva essere spostata in una stanza isolata, ma non pensava che sarebbe successo così presto. Uscì dalla stanza a grandi falcate e, dirigendosi in portineria, chiese dove si trovasse.

-La signorina Moon?- chiese una segretaria dal trucco pesante, che le stava pure male sul viso grassoccio, con un neo grande quanto la lettera di una tastiera per computer, e che masticava una chewingum. Era sulla cinquantina, ma così trasandata che sembrava avere una decina di anni in più. Fece una bolla e la scoppiò, dopo aver osservato i dati della paziente. -Si, è autorizzata a ricevere visite.- disse con voce gracchiante e da vecchia che aveva passato la vita a fumare, passandosi una mano tra i capelli tinti di arancione sbiadito e lasciandosi ricadere sulla sedia girevole.

-E dove sta??- chiese Jinxx innervosendosi alla sua flemma e al suo periodico scoppiettio di gomma da masticare.

-Vede quel corridoio?- puntò un dito grassoccio verso il corridoio davanti a loro sulla sinistra. -Lo percorra, fino alla fine, l'ultima porta è quella in cui risiede la signorina Moon. È la stanza numero 70, non può sbagliare.- gliela porse dopo aver frugato in un cassetto. - La porta si apre da un lucchetto scorrevole all'esterno, ma c'è anche una serratura, che serve per chiudere e aprire la stanza dall'interno. La serratura non deve essere chiusa dall'esterno mentre lei è dentro. In caso succedesse c'è una cordicella accanto alla finestra che sia lei che la paziente siete autorizzati a tirare in caso di necessità. Non può chiaramente farla uscire, né portarla in giro per l'ospedale. La chiave deve essere restituita ogni volta che lascia la stanza, dopo averla richiusa a chiave, logicamente. Ah, e il tempo di visita che le è concesso è di due ore e mezza al massimo.- scoppiò per l'ennesima volta la gomma e lui si girò prima che potesse dirle di smetterla di masticare così rumorosamente. Impugnando la chiave si diresse più calmo verso la camera della ragazza di cui era infatuato. Arrivò al fatidico corridoio e dopo aver aperto la porta, rimase immobile.

Moon era in piedi, libera, che scrutava fuori dalla finestra a sbarre. O almeno era quello che faceva finché lui non era entrato nella sua stanza e lei si era voltata. Era alta quasi quanto lui, con un fisico magro, ma con chiare curve ai fianchi che le donavano. Era cambiata di abiti. Non indossava quella specie di camicia da notte che le avevano lasciato addosso nei giorni precedenti, ma aveva addosso un pigiama la cui canottiera era semplicemente bianca e i pantaloni larghi, altrettanto semplici, blu. Era un pigiama.

-A vederti in piedi sei molto più basso di quanto mi ero figurata.- ridacchiò lei, avvicinandosi a piedi scalzi -le ciabatte erano ai piedi del letto-. In effetti il ragazzo non doveva abbassare di troppo lo sguardo per guardarla negli occhi bicolori. Lui rise con lei.

-Beh, io ti facevo più bassa ancora.- le sorrise, e si passò una mano tra i capelli corvini, imbarazzato. Lei lo guardò per un po', studiandolo dalla testa ai piedi. “E' bello. E' dannatamente bello. E ancora di più quando si imbarazza.” le mani le formicolarono. Si girò e si sedette sulla moquette morbida, a gambe incrociate. Lui si sedette allo stesso modo davanti a lei.

-Vuoi sapere come finisce la mia storia?- disse lei lisciandosi i capelli lunghi. Lui annuì.

 

-Bene... il top della mia sofferenza arrivò quando la mia sorella gemella morì.- al ragazzo prese un mini infarto. -C'era solo una caratteristica che ci distingueva. Gli occhi. Come vedi i miei sono di due colori, e lo erano anche i suoi, solo che erano messi ai lati opposti ai miei. Quando ero entrata all'università, la mia famiglia mi aveva catalogata come la pecora nera di famiglia, ma io e lei eravamo rimaste lo stesso in contatto. Solo che nel periodo prima che lei morisse avevamo smesso di incontrarci, sentirci... tutto. Non lo so perché. Forse i nostri genitori dovevano averle sparato qualche balla su di me. E come non potevano? Per loro ero la rivoluzionaria di famiglia, quella che cambiava tutto quando le girava, e non ci volle molto perché sapessero che ero stata cacciata dall'università.- Moon scosse la testa con disapprovazione per quello che le era successo.

-Il suo ultimo giorno di vita, mi chiamò. Mi raccontò al telefono che era malata. Un tumore al cervello. Qualcosa di cui si era accorta troppo tardi. Era stata ricoverata proprio quando avevamo smesso di sentirci e lei aveva smesso di rispondere al telefono. Mi disse che aveva visto tutte le chiamate, i messaggi poco prima che mi chiamasse. Io la ascoltai col cuore in gola. Alla fine di quella conversazione arrivò al punto. “Sto morendo, Moon.” mi disse con tono tranquillo, come se fosse la cosa più facile del mondo. Io non riuscivo più a stare calma, né niente. Cominciai a chiederle dove era ricoverata e a tempestarla di domande. Ma lei le ignorò tutte. Mi disse solo la sua ultima frase. “Addio, Moon.” e si spense al telefono, proprio mentre parlava con me.

Non so come riuscii a superare il suo funerale. C'era tutta la nostra famiglia, e nessuno, nemmeno mia madre, mi parlò. Nessuno. Mi lasciarono a piangere al cimitero ignorandomi.- la voce di Moon vacillò sonoramente, anzi le si strozzò, ma parlò lo stesso, non guardando in faccia l'amico e guardandosi i piedi nudi.

-Passarono una, due, tre settimane, ed io mi ero data all'alcol, non lavoravo con la scusa del lutto, e maledicevo la mia famiglia che la aveva lasciata morire così, senza accorgersene. Arrivò il giorno del tentato suicidio.- le lacrime le scesero calde sulle goti pallide. Si portò le ginocchia al petto e ci incassò il viso, piangendo. Jinxx era quasi disarmato.

Lei si alzò, piangente. -Ma ti rendi conto? Quell'unica persona, e dico l'unica! L'unica che mi stava a fianco, che non mi aveva mai abbandonata e per giunta la mia gemella, era morta! Per di più mentre parlava al telefono con me! Con me! Io.. io..- i singhiozzi si fecero più forti e lei entrò in crisi, si sedette sul letto a testa china e i sensi di colpa le si ammassarono addosso.

Jinxx si sedette accanto a lei.

-Calma. Ehi, Moon. Ci sono io qui con te, e non scomparirò. Te lo ricordi? Te l'ho promesso. Ecco, prendi la mia mano. La senti? E' calda, ed è qui, pronta a riscaldare la tua quando ne hai bisogno. Potrà finire il mondo, ma io ci sarò sempre per te, chiaro?

Lei guardò le loro mani, l'una sopra l'altra, poi alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi azzurrini. Lo abbracciò.

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Capitolo 10
*** Sveglie spente. ***


Nel suo isolamento, Moon trovò modo di dare sfogo ai suoi nervi, cominciando a prendersela con il suo cuscino e riempiendolo di pugni dopo averlo attaccato al muro. Urlava, piangeva, le nocche cominciarono a farle male quando il cuscino si rammollì e lei entrò a contatto con la superficie del muro. Soffriva. Il riaver fatto “resuscitare” i suoi ricordi sul suo tentato suicidio le davano alla testa. Però, almeno aveva avuto il coraggio di affrontarli con la persona di cui era innamorata: Jinxx. Quando pensò a lui, e alla sua mano calda sopra la sua, lasciò cadere il cuscino sul materasso e si lasciò andare in un lungo sospiro.

Aveva voglia di stare con lui, voleva parlare ancora con lui, perché, per quanto lei soffrisse, solo con lui riusciva a cancellare i suoi macabri pensieri. Si alzò e si diresse verso il lavandino. Lasciò scorrere a vuoto l'acqua, poi si sciacquò il viso, rinfrescandosi e cancellando le sue lacrime dalle guance, mentre si uniformavano con l'acqua normale. Sotto la porta fecero scorrere un vassoio con del cibo. Probabilmente era ora di pranzo, e Jinxx non era ancora venuto a trovarla. “Strano. Di solito viene di prima mattina.” poi un dubbio le oltrepassò il cervelletto.

-E se... se si fosse stancato di me?- scosse la testa violentemente. -Come fa a stancarsi, se neanche mi frequenta? Però... però potrebbe avermi giudicata, quindi potrebbe non tornare più per via della mia stupida storia. Ecco, lo sapevo che era come gli altri.- si sedette per terra e cominciò a mangiare di malumore quello che c'era nel vassoio.

 

 

A casa sua, Jinxx era tentato da uccidere i suoi coinquilini. Normalmente si puntava una sveglia per poter andare a trovare Moon, ma quella mattina, non era suonata. E perché? Perché gliela avevano spenta. -Ma si può sapere il perché?!- sbraitò contro Andy.

-Perché ci facevi tenerezza mentre dormivi e abbiamo deciso di spegnerla.- disse lui facendo la faccia da bimbo innocente.

-Ma che cazz... ora dovrò andarci di pomeriggio!

-Ma dove?- chiese il batterista.

-Come “dove”?! Da Moon!

-Ah! Ecco perché avevi la sveglia!- esclamò Jake. Jinxx si schiaffò una mano in fronte sospirando. “Moon...”.

Il pomeriggio partì in quarta versò l'ospedale, e a passo velocizzato si diresse nella camera di Moon dopo aver preso la sua chiave senza troppi commenti con la solita segretaria grassoccia. Non appena aprì la porta, trovò Moon distesa sul pavimento che guardava il tetto con i capelli sparpagliati per terra e le mani dietro la nuca. Alzò il capo, guardando Jinxx e poi si alzò di scatto interamente.

-Credevo che non saresti più venuto...

-E perché mai?- si accigliò lui.

-Non c'eri stamattina...

-Colpa dei miei amici. Mi hanno staccato la sveglia.- scosse la testa. -Ti ho promesso che non ti avrei abbandonata, e non lo farò.- in pratica la lesse nel pensiero e lei ne rimase molto colpita. Si sedette sul suo letto, e Moon si accostò a lui. -Cioè, ti rendi conto? Mi hanno staccato la sveglia perché gli facevo tenerezza mentre dormivo. Ma ti sembra normale??

Moon scoppiò a ridere. -Qualche volta vorrei conoscerli questi tipi. Sembrano simpatici.

-Almeno finché non ti fanno scherzetti come questi.- la fece ridere di nuovo. La sua risata era argentina, meno malinconica del solito, e gli faceva venire le farfalle allo stomaco.

-Senti pensavo ad una cosa...- lei si fece attenta. -... quando uscirai ti va di venire a stare da me?

Rimase interdetta. -Sei serio?- lui annuì. -Ma già ci sono i tuoi amici!

-Vabbé, magari ad uno di loro gli fabbrico una cuccia per cani e dorme lì.- lei ridacchiò. -Davvero. A me farebbe piacere... e poi...- si interruppe. I suoi occhi si persero nei suoi di due colori. I suoi occhi così affascinanti ed ammalianti. Lei arrossì.

-... e poi?- lo incalzò, abbassando lo sguardo e sperando inutilmente di non essere avvampata. Lui le alzò il viso.

-... tu mi piaci, Moon.

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Capitolo 11
*** Mangiare e dormire: missioni impossibili. ***


Jinxx ebbe l'impulso di alzarsi ed andarsene, anzi, mentre diceva quelle parole si era già alzato, e vedendo che la reazione di Moon era quella di sorpresa farfugliò un -Diamine, devo andare- e si diresse verso la porta, ma Moon lo afferrò giusto in tempo.

-Aspetta!- lo prese per l'avambraccio e lo fermò. Lui rimase di spalle per un po', ed in quel mentre lei rimase a fissargliele con ammirazione. Le piacevano: aveva le spalle larghe e ben disegnate, coperte dai capelli lunghi fino alla base del collo. Jinxx si girò lentamente, e trovandosi davanti i suoi occhi bicolore che lo fissavano con aria innocente, ci impuntò i suoi azzurrini. Lei si imbarazzò e lasciò andare il suo braccio con una specie di carezza, lasciando che le dita strisciassero sulla sua pelle morbida e tatuata.

Moon arrossì sotto il suo sguardo e abbassò il viso sui suoi piedi nudi. -A-Anche tu mi... piaci.- si morse il labbro, non sapendo cosa fare.

-Moon...- la chiamò lui.

Lei alzò il viso, e senza nemmeno dire qualcosa, lui la baciò. Senza troppe cerimonie, si trovarono l'uno attaccato alle labbra dell'altra. Era sorpresa da quel gesto che la stava facendo avvampare. Poi sentì qualcosa rimescolarsi dentro e le sue solite farfalle allo stomaco crearono uno sciame. Chiuse gli occhi e si lasciò andare, mentre lui poggiava le sue mani sui fianchi di lei e lei le braccia sulla sue spalle, circondandogli il collo.

 

 

Di sera Jinxx non riuscì di nuovo a mangiare. Come sempre del resto, con la piccola differenza, però, che aveva un sorriso ebete stampato in viso e che cercava di nascondere lasciando che i capelli gli sovrastassero il viso. Almeno finché non vennero scostati a mo' di tendina da Christian.

-Ehi? Terra chiama Jinxx! Ci sei?- gli bussò sulla testa e ci appoggiò un orecchio. -C'è nessuno? ... no, è vuoto qua dentro. L'amico lo scacciò amichevolmente.

-E piantala!

-Ma se non mangi da quando ti sei seduto a tavola!

Jinxx guardò il piatto ancora pieno, nel quale giocherellava da chissà quanto tempo. -Hai ridotto una poltiglia le mie povere lasagne!- esclamò Jake esasperato. -Guardale! Sono pappetta!

-Pappetta! Pappetta!- cantilenò Christian nell'orecchio di Jinxx.

-Ok, ok, ora mangio, d'accordo?- impugnò di nuovo la forchetta, ma appena la immerse nella “pappetta” si bloccò di nuovo sul viso di Moon intimidito e che poi si lasciava andare al suo bacio.

-Ma santo Dio!- esclamò Ashley. -L'abbiamo capito che sei cotto, ma per l'amor del cielo, mangia! Sei preoccupante!- Jinxx sobbalzò, si infilò una forchettata in bocca per non arrossire. Missione non riuscita.

-Però stasera è un caso peggiore del solito, non trovate?- disse Andy, passandosi una mano sulla la cresta e giocherellando col piercing al labbro. A Jinxx venne da incenerirlo con lo sguardo.

-Condivido pienamente.- disse con tono drammatico Jake che fissava ancora le lasagne mal ridotte.

-Per me è successo qualcosa con Moon. No, Janxx?- lo stuzzicò il bassista.

-Non chiamarmi Janxx.- ribatté lui, e poi arrossì.

-Lo prendo per un si.- Jinxx sbuffò. -Si, è proprio un si.- continuò l'amico.

-Oh, e va bene! Lo so che andrai avanti fino alla morte se non parlo!- esclamò spazientito. -Si, è successo qualcosa.

-Ecco, lo vedi che mi conosci? E cosa? Cosa?- chiese avvicinandosi con la sedia e scrutandolo maliziosamente. Jinxx stava per vuotare il piatto, almeno per la gioia del cuoco.

-Ok, tiro a indovinare. Vi siete baciati?- al poveretto andò di traverso un boccone. -Bingo!- gli diede una pacca sulla schiena, facendolo tossire. -Sono un genio, lo so.

 

 

Moon, dal canto suo, non se la passava tanto meglio. Mangiare le riusciva benissimo, ma dormire era proprio impossibile. Si rigirava nel letto in continuazione, desiderando con tutta se stessa la presenza del ragazzo di cui era innamorata. Non riusciva a togliersi i suoi occhi dalla testa, il suo bacio immediato la aveva stregata, come pensava lei. Quando riuscì a prendere sonno erano le tre di notte e lei abbracciava il cuscino sorridendo nello stesso modo ebete di quel ragazzo che non riusciva a mangiare.

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Capitolo 12
*** Ultime diagnosi. ***


Ormai Jinxx e Moon presero a vedersi molto più spesso di quanto pensassero, mentre la ragazza si risollevava dai motivi che l'avevano portata al tentato suicidio senza nemmeno rendersene conto. Il suo innamoramento per Jinxx la faceva sentire così bene e la metteva così tanto di buon umore, che ormai il ricordo dell'università, dei fumi e delle droghe, dell'ex e della sua sgualdrina erano quasi estinti. C'era solo una cosa alla quale non riusciva a smettere di pensare: la sua sorella gemella. Le mancava sempre, e spesso capitava che la sognasse dopo che ebbe rivelato al ragazzo di cui era innamorata la sua storia per intero. Mentre i giorni nella sua cella passavano, lei si ritrovava immersa in due riflessioni parallele che a tratti la scombussolavano non poco.

Da una parte c'era la felicità dei momenti trascorsi con Jinxx, che non perdeva occasione di farla sorridere qualora la vedesse giù di morale, e le faceva battere il cuore forte in petto ogni volta che la baciava. Dall'altra c'era sua sorella, il cui nome le risuonava in testa ogni volta che le rimbombava nelle orecchie la sua ultima telefonata. Si chiamava: Summer, ed era tutto il suo opposto. Non solo per gli occhi messi in contrasto con lei per via della loro postazione, ma anche per il carattere.

Moon era sempre molto cupa, o almeno lo era stata non appena era stata cacciata di casa. Era introversa, allora, molto, rispetta la sorella, timida e riservata, talvolta acida, ma sotto sotto dolce. Solo che quel risvolto dolce di lei fuoriusciva solo con le persone giuste, con quelle che riuscivano ad evocarlo. Summer, in tutto quello, era estroversa, solare e affettuosa con tutti. Non aveva mai cambiato stile con tutta la facilità che si trovava Moon. No, il suo stile era alternativo e basta: indossava cappelli a strisce di vario colore, sciarpe unicolore o a scacchi neri e verdi, e sempre vestiario dai colori accesi.

“Si, tutta un'altra persona.” concordò Moon con se stessa rigirandosi nel letto e riuscendo finalmente a prendere sonno.

 

 

A Jinxx risultò parecchio evidente che Moon si stesse riprendendo e cominciava a notare che lei si stava innervosendo a stare tra quelle pareti di quell'odioso bianco. Non voleva più lasciarla sola un minuto, ed ogni volta andarsene dalla sua cella diventava una sofferenza. Quindi, una mattina, dopo diverse settimane dalla sua dichiarazione, decise di sottoporre una proposta alla ragazza.

-Moon.- le prese le mani tra le sue, sedendosi di fronte a lei sul pavimento. -Vuoi venire a vivere da me quando uscirai?

A lei si tranciò temporaneamente il respiro, poi, in un accesso di felicità gli gettò le braccia al collo. -Certo che lo voglio!- nell'impeto del gesto affettuoso, Jinxx cadde all'indietro, con lei di sopra, e scoppiarono a ridere come due adolescenti. Quando si calmarono, lei non si decideva a scostarsi da lui. Fissava i suoi occhi azzurrini e se ne innamorava sempre di più, ma dopotutto anche lui non riusciva ancora a placare quella piacevole sensazione che gli veniva allo stomaco ogni volta che la vedeva o sfiorava soltanto. Le passò una mano tra i capelli lunghissimi, e facendola abbassare un po' verso di lui la baciò.

 

 

Quello stesso giorno, valutò che fosse arrivato il momento di “tirare fuori” Moon da quel posto, e non appena uscì dalla sua cella ed ebbe riposto le chiavi della sua stanza in segreteria cominciò subito ad informarsi dove potesse trovarsi il suo psichiatra, e dopo aver vagato in lungo e in largo e aver chiesto ai vari infermieri, riuscì a farsi condurre alla sala di ritrovo dei medici. Lì lo trovò che sorseggiava del caffè con i suoi colleghi e chiacchierava con trasporto. Bussò e attirò la sua attenzione e nel giro di poco lo psichiatra lo raggiunse fuori dalla stanza.

-Mi dica.- disse sorridendo.

-Credo che sia arrivato il momento di farla uscire, dottore.- disse Jinxx facendo diventare seria la persona che aveva davanti.

-Ne è certo? Mi può parlare degli ultimi risvolti? Perché per quello che ho notato, la signorina Moon si è aperta molto a lei, anche se con me resta molto chiusa. Sembra risollevata.

-E lo è, infatti. Con me è riuscita a parlare di tutto, e sono persino pronto a portarla a vivere con me per non lasciarla sola nemmeno un secondo della sua vita. Ha bisogno di me, come io di lei. È molto migliorata.

-Mi fiderò delle sue parole. Da questo momento, ritengo che la signorina Moon potrà uscire dalla sua cella a partire da domani mattina, allora. Sbrigherò delle pratiche e poi potrà uscire con lei a partire dalle...- si guardò l'orologio. -A partire dalle 10 di domani mattina.

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Capitolo 13
*** Libertà. ***


Jinxx non disse nulla a Moon: la sua fuoriuscita sarebbe stata una sorpresa, e già progettava tutto. Ovviamente aveva parlato con i ragazzi del come e del perché, e li informò che lei sarebbe venuta a stare da loro.

-Oh, era ora Casanova!- esclamò Ashley dandogli una pacca sulla schiena, rischiando di fargli tossire il Gin che aveva appena bevuto.

-E dove dormirà?- chiese Jake, sorseggiando della birra più tradizionale.

-Le ho messo a disposizione la camera degli ospiti... poi se vuole dormire con me...- sogghignò sognante e arrossendo, mentre il ciuffo gli scendeva a coprire gli occhi, rivolti verso il bicchierino trasparente semi vuoto.

-Ma lei sa che da domani sarà libera?- intervenne il batterista.

-No, ed è questo il bello.- lui rialzò lo sguardo verso l'amico. -Sarà una sorpresa.

 

 

Moon passò una notte tranquilla, senza sogni di chissà quale importanza, che riguardassero ricordi o sentimentalismi, ma almeno dormì indisturbata. Il mattino dopo si svegliò con i suoi soliti comodi: stropicciandosi gli occhi si mise a sedere sulla branda e si stiracchiò mentre un raggio di luce le accarezzava il viso pallido. Era da un po' che non sentiva il calore del sole sul suo viso, e fino a quel momento il tempo non era stato molto promettente. Si accostò alla finestra, nonostante la luce forte la intontisse un po', poi voltandosi si accorse di un dettaglio che fin dal momento in cui era entrata in ospedale era stato messo da parte: i suoi vestiti, integri e ben lavati giacevano sul pavimento raccolti a dovere e con sopra un biglietto.

Per la signorina Moon.” Lei si accigliò, pensando che il biglietto fosse una trovata insensata. Se i suoi vestiti erano nella sua stanza le appartenevano, no? “Mah, medici. Non si rendono conto nemmeno della loro stupidità.” Sollevò i vestiti da terra e li odorò: sapevano di fiori, lavanda probabilmente, e per fortuna non di medicinali. Quell'odore le fece venire voglia di indossarli subito e così fece. Entrò in bagno e dopo essersi sciacquata li indossò. Non che fossero tutta quest'eleganza, ma i suoi jeans grigi scoloriti e la sua maglietta teschiata e con qualche stella sopra le erano mancati. C'era pure una felpa, ma non era sua. Era nera, larga e, dettaglio intrascurabile, maschile. Il pensiero le volò subito a Jinxx e non a caso, indossandola ne sentì la fragranza. Dolce e rassicurante, come sempre. La indossò e le arrivò fino all'inguine, ma tutto sommato le piaceva, anche perché le maniche le arrivavano fino a metà mani. Quel calore che le istillò si fece piacevole e si chiedeva perché lui l'avesse lasciata lì per lei, considerato che a breve si sarebbero pure visti. Ignorando il fatto che poteva esserci il sole si tirò sulla testa pure il cappuccio.

Passarono si e no dieci minuti e si sentì bussare alla porta. Moon si girò in attesa di Jinxx, ma nessuno entrò. Tutt'altro. La porta si aprì, si ma davanti ad essa non c'era nessuno. Lei era perplessa. Che fare? Indugiò un po', incerta sul da farsi, poi mandò tutto a quel paese e cominciò ad avanzare a passi modesti per la stanza, e quando varcò la soglia entrando nel corridoio un sorriso aleggiò sul suo viso. Era una forma di libertà, considerato tutto il tempo trascorso tra quelle pareti assurde.

Camminò comunque lentamente, come se quella libertà potesse sfuggirle di mano come niente. Poi qualcuno entrò nel suo campo visivo: Jinxx le sorrideva dalla fine del corridoio e fu allora che capì.

L'aveva liberata lui. Lui che aveva giurato di non scomparire dalla sua vita. Lui, Jinxx, il ragazzo che amava.

Le venne da piangere e ridere allo stesso tempo, poi si lasciò andare, prese la rincorsa e si slanciò verso di lui, per poi infilarsi tra le sue braccia e stringerlo a sé.

-Non ci posso credere.

-Credici.- le portò una mano sul capo e lasciò che si accoccolasse sulla sua spalla. Lei si staccò appena, lo fissò negli occhi e poi lo baciò. -Mi piace questa tua nuova libertà, sai?- la fece ridere. -Vuoi andare a casa mia o a prendere le tue cose?- lei si fece un attimo seria. Tornare a casa sua equivaleva a riscontrarsi con quell'errore che non le avrebbe mai permesso di incontrare la persona che ora stringeva. “Bene.” pensò. “Mi affronterò a testa alta.”

-Prendiamo la mia roba.

 

Moon guidò Jinxx per le strade e si rese conto di quanto le fosse mancato il mondo esterno. Il vento che scompigliava le foglie per terra, le macchine che sfrecciavano ognuna per i propri impegni, le persone che parlavano, ridevano, scherzavano, discutevano e tutto ciò che potevano fare. Il suo ritorno alla vita fu come aprire la finestra a sbarre della cella in cui aveva passato tutti quei giorni.

Arrivarono a casa sua, e non appena lei aprì la porta un'aria viziata la invase terrificandola. Tutto era rimasto come lo aveva lasciato. Tutto era morto lì dentro. Dai fiori appassiti sul pianoforte del soggiorno al frigorifero in cucina che emetteva ancora il solito rumore fastidioso.

Respirò a fondo, e prendendo per mano il violinista, salirono al piano superiore, dove lei cercò accuratamente di non guardare il bagno dalla porta ancora spalancata. Per quanto volesse affrontarsi non era facile rivedere tutto dal vivo.

Entrarono nella sua stanza e lì per lo meno vennero invasi da aria fresca: le finestre erano spalancate e facevano aleggiare le tende azzurre, che lasciavano filtrare qualche raggio di luce. Moon le spalancò. -Non che regni l'ordine, eh.- disse girandosi e mettendosi le mani sui fianchi. Per lo meno quel disordine era una delle cose che non erano state influenzate dall'errore. Lì, tra i libri per terra e i vestiti buttati alla bell'e meglio sulla sedia, lei ci stava a pennello.

Cominciarono a raccogliere tutto quello che lei pensava tornasse utile e poi chiusero il tutto in un borsone. Uscendo da lì, Moon continuò a non guardare accuratamente il bagno e con Jinxx si chiuse alle spalle un brutto ricordo.

Mentre lui guidava verso casa, a lei sorse un solo pensiero in testa. “Meno uno.”

 

Arrivati a casa del ragazzo, Jinxx le ricordò che c'erano altre quattro persone con loro, ma lei disse subito che la cosa non la disturbava minimamente.

-Sono stanca della solitudine. Un po' di persone in più nella mia vita mi faranno bene.- gli sorrise e per tutta risposta lui la baciò di nuovo. Però lo prese per mano quando lui dovette aprire il portone in legno scuro per entrare. Era effervescente, ma in contemporanea impaurita dalla sua timidezza.

La porta si aprì.

-Ragazzi, sono a casa!- disse Jinxx entrando. Neanche il tempo di posare le chiavi che la prima persona gli venne contro. Un tipo molto più alto di lui e magro, con una cresta agevolata sulla nuca, gli occhi del colore del cielo e due piercing posti rispettivamente su naso e labbro inferiore. La sua bellezza era inizialmente disarmante, ma ci si abituava subito.

-Oh, tu devi essere Moon. Benvenuta. Io sono Andrew, ma tutti mi chiamano Andy.- le strinse la mano. Se lui sapeva il suo nome, voleva dire che Jinxx aveva parlato di lei. La cosa la imbarazzò, anche se piacevolmente. Sorrise.

Superò un corridoio dalle pareti rosso mela, ed entrarono in un salotto arredato con poltrone in pelle, televisore davanti ad esse, tappeti sfrangiati, e su una parete bianca si stagnava un poster dalle dimensioni di una macchina: sopra c'erano stampati cinque volti di cui due erano di Jinxx e del ragazzo appena conosciuto; avevano un'espressione allegra ma contenuta, ed ognuno di loro stringeva in mano una chitarra, un basso, un microfono o delle bacchette che fossero. Jinxx era truccato su un occhio, attorno al quale si descriveva un rombo nero.

-Chitarrista?- gli chiese Moon.

-Ritmico, ma anche violinista se è per questo.- sorrise lui.

-Apperò.

Fecero un tour della casa, e accanto al soggiorno, divisa solo da un muretto, c'era una cucina dal mobilio bianco e nero, con un tavolo chiaro messo al centro di essa. Il frigorifero per lo meno non era rumoroso come il suo, pensò Moon trattenendo un sogghigno. Ai fornelli c'era un ragazzo dai capelli corvini lunghi si e no fino alle clavicole e cotonati verso l'alto. Le spalle larghe erano coperte da una semplice t-shirt blu scura e quando lui si girò vi scorse un viso sereno e sfilato. Lui era il chitarrista del poster, ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

-Oh, salve. Piacere, io sono Jake.- le sorrise e le strinse la mano. -Sono il cuoco ed il chitarrista della situazione.- lei ridacchiò, mentre alle sue spalle si sentivano dei passi.

-Jake, d'accordo che ti piace stare in cucina, ma ancora sono le undici del mattino e... o ciaaaaaaao.-un ragazzo dai capelli più lunghi del chitarrista e scompigliati, con una leggera barbetta sulle guance entrò in cucina. -Ehm.. io sono Christian, ma tutti mi chiamano CC... tu devi essere Moon, giusto? Janxx ci ha parlato di te.- le sorrise.

-Non chiamarmi Janxx!-lei scoppiò a ridere, non solo per come lo aveva chiamato ma per la sua entrata.

-Ehi, ma manco solo io!- un ultimo ragazzo palestrato e con una sola canottiera che gli copriva il torace, lasciando scoperte le braccia tatuate si fece avanti da un corridoio collegato a soggiorno e cucina. Dagli zigomi accentuati ed il naso affilato, con degli occhi scuri e profondi, il ragazzo si avvicinò passandosi una mano tra i capelli lunghi e corvini. “Tutti con i capelli neri, qui dentro.” ironizzò lei mentalmente.

-Ciao, io sono Ashley, bellezza. Benvenuta.- sorrise sinceramente e subito la sua solarità le piacque, nonostante lo strano nome.

Direi che è un buon inizio.” pensò stringendo infine la sua mano, un po' callosa ma calda.

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Capitolo 14
*** Little satisfactions. ***


Moon si stabilì in una camera distaccata da quella di Jinxx: non se la sentiva di “correre” e aveva bisogno di un po' di privacy. Dopo una doccia rilassante, la prima sera, se ne andò dritta dritta a letto, salutando giusto di sfuggita le cinque persone con cui ora viveva. Passò una notte serena, ma solo fino ad un certo punto: ora che era fuori da quel luogo così schifosamente bianco e maleodorante aveva una strana sensazione... un misto tra eccitazione e impazienza di avere a che fare di nuovo con le persone; quindi solo rilassarsi per dormire le riusciva quasi impossibile. Quando però riuscì a chiudere occhio, nella sua mente si stagnò l'immagine di sua sorella, ed un flusso di ricordi che racchiudevano momenti vissuti insieme gli si riversò addosso. Non che fossero incubi o che si agitasse nel sonno, ma quando si svegliò, il mattino dopo, Moon era abbastanza scombussolata e le ci volle una seconda doccia per chiarirsi le idee.

Il rumore dell'acqua e la sensazione che si provava col picchiettio che produceva sulla pelle le dava un senso di rilassamento e cancellava buona parte dei mali pensieri che le occupavano la mente.

Non appena uscì dalla doccia e si vestì, si diresse in cucina, quasi sprizzando energia da tutti i pori e con i ricordi di Summer messi da parte. Tuttavia, non si poteva dire che gli altri ragazzi fossero nella stessa condizione: tre di loro, Jake, Andy e Christian dormivano letteralmente sul tavolo, ed il batterista intingeva, senza saperlo, le punte dei capelli in una tazza di caffè; mentre Jinxx ed Ashley si muovevano flemmaticamente per la cucina cucinando o cercando cibo da mettere a tavola.

Quando si accorse dei capelli nella tazza di Christian non riuscì a soffocare una risata, e si fece notare da chi era sveglio.

-Oh, buongiorno. Come mai tanto allegra?- le chiese il bassista. Lei sghignazzò e indicò il batterista dormiente. -Ah, si, lo so, è così da... boh, da quando si è seduto a tavola.- soffocò una risata.

-E lo lasci così? Abbandonato al suo destino?

-Perché no? Quando si sveglierà per lo meno odorerà di qualcosa di buono.- arricciò un angolo della bocca pregustando il momento, e tornò a frugare tra gli scaffali. Moon spostò lo sguardo su Jinxx, semi addormentato davanti i fornelli. Gli accarezzò una spalla, per poi poggiarci sopra il mento. Lui trasalì: si era effettivamente addormentato davanti i fornelli.

-Oh, Moon. Ben svegliata.- sorrise assonnato, baciandole la punta del naso.

-Ma che avete fatto per essere così distrutti?

-Ore piccole...- fece spallucce Ashley. -Tra un film e l'altro si fa sempre tardi...

-Volevamo chiamarti, ma poi te ne sei andata a letto.- sbadigliò Jinxx, spegnendo il fuoco dei fornelli, che cuocevano dei pancakes dall'aria invitante.

-Già... comunque, abbiamo un problema...- cominciò Ashley. -Le nostre “scorte cibarie” si stanno estinguendo. Oggi: spesa.

Si sentì un mugolio: era Jake che si era deciso a riprendersi dal suo coma apparente, al seguito di Andy. L'ultimo a svegliarsi fu Christian, che non appena vide i suoi capelli gocciolare e ne sentì la fragranza del caffè rischiò di cadere dalla sedia.

 

In macchina i ragazzi decisero di far sentire qualche loro brano a Moon, che, da parte sua, rimase zitta per tutta la durata del viaggio, in loro ascolto. Doveva ammetterlo: Andy aveva una voce sorprendente, i testi colmi di significato al punto da sentirli completamente vicino a lei, e la parte strumentale.. beh, che dire, oltre che fondamentale, come è ovvio, entrava nelle vene. La batteria era uno degli strumenti più “calcati” nei vari brani, ed una prova ne era il brano The Legacy.

-Beh, che ne pensi?- le chiese Jinxx non appena arrivarono ad un centro commerciale enorme.

-Siete... boh, forse sorprendenti è dire poco...- sui volti dei ragazzi si dipinse un sorriso che avrebbe potuto illuminare tre città consecutive.

Entrarono, e subito un ronzio di voci li invase, o almeno, invase Moon, che sembrava non sentire una cosa del genere da una vita. Passarono dal reparto vestiti, e si provarono i vestiti più strani che si potessero immaginare: da quelli di Carnevale, ormai alle porte, a quelli più inusuali persino per quella festività. Nel reparto alimentare, in pratica riempirono il carrello di tutto e di più; mentre in quello sportivo si divertirono a sperimentare giochi da tavolo, come il ping pong, grande passione di Ashley, oppure i sacchi da boxe gonfiabili, che con solo un colpo di ognuno di loro crollavano a terra e tornavano al loro posto nello spazio di poco tempo, e a Moon fece piacere ricordare la bella sensazione dell'impatto tra plastica del sacco e pelle dei pugni che aveva sperimentato quando faceva arti marziali al liceo.

Mentre passeggiavano per i corridoi del centro commerciale, scherzando e chiacchierando del più e del meno, Moon si accorse della presenza di qualcuno a lei molto familiare. Le oche ai cui capelli aveva dato fuoco camminavano e cianciavano tra loro a pochi metri da lei. Un sogghigno malevolo si dipinse sul volto di Moon, non appena si accorse della parrucca di una di loro, i falsi capelli di un'altra e una cicatrice sul viso di un'ultima. Le passò accanto, senza dargli troppo peso: loro non l'avevano riconosciuta e lei era soddisfatta del proprio lavoro.

Jinxx notò il suo ghigno. -Perché sorridi?

-Girati lentamente... vedi quelle tre ragazze? Sono quelle a cui ho dato fuoco quando mi hanno istigata... ricordi?- lui si girò, rammentando il suo racconto e non ci mise molto per accorgersi della parrucca cadente da un lato di una di loro. Soffocò una risata e si girò, poggiando un braccio attorno alle spalle di Moon.

-Good job, darling.- ridacchiò e le diede un bacio sulla fronte.

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Capitolo 15
*** Togliersi pesi. ***


Dopo una settimana, Moon ormai si era ambientata tra i suoi nuovi coinquilini, e il tempo trascorso con loro la riempiva di energie e felicità. Eppure i suoi sogni erano sempre popolati dai ricordi di sua sorella, e la mattina non poteva evitare di alzarsi con un certo cipiglio in viso, sempre arrestato da una doccia rilassante. Ma di certo non poteva andare avanti a docce: le serviva una soluzione.

Dopo un po' le si presentò pure il pensiero del lavoro: non poteva, né voleva, vivere dipendendo da Jinxx, quindi era ovvio che le servisse un lavoro... cominciò a rimuginare sul come e sul quando, ma non le veniva in mente nulla a parte il suo vecchio bar rockettaro.

Da una parte le mancava, l'atmosfera, la musica che lei amava tanto, le band che andavano a suonare là... ci stava per fare un pensierino, quando l'immagine di Ejay le tornò in mente insieme alla sgualdrina che si era trovato dopo di lei.

Tra un dubbio e l'altro, decise di parlarne con Jinxx.

-Tu come ti sentiresti se lo rivedessi?- si riferiva a Ejay.

-Arrabbiata.- disse lei con tono amaro. -Non soffro più per lui, ma non so come potrei reagire vedendolo...

-Vuoi un consiglio spassionato?

-Illuminami.

-Se ti da fastidio anche solo guardarlo, tira fuori gli artigli e vendicati.

 

Quella frase le risuonò in testa per tutta la notte, immaginandosi scene di pura vendetta non appena avesse rivisto sia lui che la sua gallina pescata da chissà dove. Intanto però una decisione era stata presa: lei sarebbe tornata a lavorare nel suo vecchio locale; e per lo meno ci sarebbe tornata a mente fresca, perché quella notte fece sogni sereni e senza ricordi ad assillarla.

Il mattino dopo si svegliò con una strana energia addosso... non la solita che la svegliava da quando si era stabilita lì, ma era qualcosa che non si riusciva a spiegare.

Fece tutto con calma, e quando anche Jinxx fu pronto, si fece accompagnare al locale. Non si era effettivamente licenziata, ma dopo il trauma di sua sorella non si era più fatta vedere e non sapeva nemmeno quale sarebbe potuta essere la reazione del proprietario, che per lo meno, era sempre stato un tipo tranquillo e pacato.

Non appena entrò notò subito che qualcosa mancava a quel posto dalle luci basse ma con sempre della musica in sottofondo: la clientela. Scarseggiava molto più di quanto avesse mai immaginato, e cercò di pensare che fosse solo perché non era orario adatto per stare al bar. “Effettivamente sono le undici del mattino.” pensò un po' nervosa mentre camminava verso lo studio del capo.

Bussò, e fece cenno a Jinxx di trattenersi fuori dalla porta.

-Avanti.- disse la sua voce tranquilla. Moon aprì e subito fu investita da una nuvola di fumo, che la fece tossicchiare. “La solita, dopotutto.” sorrise tra se e se, ricordandosi come era sempre stato ai tempi passati.

Ad una scrivania spoglia e con una maggioranza di carte di chewingum e pacchetti di sigarette, sedeva un uomo grassottello, dalla testa circondata ai lati da dei capelli castani sbiaditi, gli occhi piccoli ma dolci e un naso a patata. Il viso si illuminò in un mega sorriso non appena vide la ragazza.

-Moon!- esclamò alzandosi e oltrepassando la scrivania, spegnendo la sigaretta che teneva in mano in un posacenere di vetro verdognolo e abbracciandola poco dopo. -Mamma mia, mi sembra di non vederti da una vita! Ti sei eclissata, eh, ragazza? Come stai? Ho visto la tv, sono rimasto sottto shock quando ho visto il tuo viso, anche perché in contemporanea mia moglie mi urlava di stirarmi da solo la camicia.... ma comunque, sono felicissimo di sapere che sei ancora tra noi!

“Ecco, lo sapevo che appena mi vedeva mi tartassava di mille domande e commenti.” ridacchiò, e si sedette davanti a lui, che aveva ripreso posto.

-Cosa ti porta tra noi?- chiese Carl, perché quello era il suo nome. -Ti faccio subito presente che la tua busta paga non è ancora nulla, anche se con basse entrate.

-Ecco, sono qui per questo... vorrei riprendere a lavorare qui...- lo fissò negli occhi. Gli si dipinse un altro sorriso in faccia.

-Non sai quanto ho aspettato questo momento. Sei reintegrata già da ora. Puoi ricominciare quando vuoi!- esordì.

-Oh, perfetto, allora lunedì?

-Meglio ancora!- si entusiasmò.

-Però, Carl... posso chiederti una cosa?

-Dì pure.- si accigliò lui.

-Sbaglio o la clientela è diminuita?

Lui si accigliò. -Perché? Non ci sono clienti di là?- lei fece cenno di no. -Ecco, lo sapevo, Ejay non ha ancora reso visibile la nostra insegna. Con questa problematica nessuno ci nota facilmente la sera, a parte i clienti abituali; ma non ti preoccupare, è tutto a posto.

Lei si rincuorò, ma il nome Ejay era come se le rimbombasse in testa.

-Qualcosa non va?

Lei scosse la testa. -Va tutto bene. Spiegami una cosa... Ejay fa ancora il dj rocker?

Carl scosse la testa. -No, l'ho beccato a fumare roba nel camerino dei camerieri, e l'ho minacciato di licenziarlo, ma siccome mi implorava di non buttarlo fuori e che avrebbe fatto di tutto per recuperare “punti”, ora fa il cameriere e aggiusto ciò che consideriamo irreparabile. A proposito.. tra voi due...?

Lei sogghignò malevola, scostando di poco discorso. -Mah, diciamo che se lo vedi un po' andato a male non ti devi preoccupare.

 

Uscì dalla stanza con un gran sorriso, e sollevata da poter respirare aria non viziata e puzzolente di fumo. Jinxx era rimasto appoggiato al muro in sua attesa per tutto il tempo, e fu felice di sapere che era tornata in carreggiata. Uscirono dal locale e Moon si voltò a guardare l'insegna. Si, in effetti era un po' malandata... vide qualcuno armeggiare con una scala poco distante da loro.

“Bene, bene...” pensò tra se e se.

Il ragazzo la notò e sorpreso poggiò la scala al muro e si avvicinò ai due.

-Oh, Moon, ciao.- mormorò imbarazzato. Si, era Ejay. Non era molto diverso da prima, a parte gli occhi circondati da occhiaie che sfumavano dal grigio al rosso. “Tsè, si è dato alla roba pesante...” lo osservò meglio. “E magari è andato pure in bianco per qualche notte...”.

-Mi... mi volevo scusar...- ma non riuscì a completare la frase. Non appena Moon sentì la prima sillaba di quel verbo, le montò addosso una rabbia feroce. Caricò un pugno e glielo mollò in pieno viso, facendolo finire per terra. Jinxx rimase sotto shock, ma si affrettò a seguirla, mentre lei si girava soddisfatta e più libera da un peso, mentre Ejay giaceva stordito per terra.

-W-Wow! Che forza!- esclamò.

-Lo so.- rispose semplicemente e con un sorriso compiaciuto in faccia. -Mi sono tolta un peso.

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Capitolo 16
*** -Ciao Summer. ***


Moon si lasciò andare sul divano, e sospirò soddisfatta di quella breve giornata nella quale aveva ottenuto una bella vittoria. Le era bastato essere salvata dal suicidio per riprendersi da tutti i traumi possibili che avesse potuto vivere. “Alla fine...” pensò mentre Jinxx si sedeva accanto a lei. “... tutti ce la possono fare senza tentare azioni contro producenti. Bisogna solo trovare la forza e rialzarsi.” sorrise alla lattina di birra che stava sorseggiando pacatamente.

-A che pensi?- le chiese Jinxx notando il suo sorriso.

Lei si girò e vedendo i suoi occhi azzurri e sinceri realizzò, però, che se non fosse stato per lui, molto probabilmente neanche si sarebbe mossa dall'ospedale. “Si, di forza ce n'è bisogno, ma anche di qualcuno che ti stia accanto... e non per forza fisicamente.” -Che ti devo ringraziare.

Lui inarcò le sopracciglia. -E di cosa?- le accarezzò una guancia.

-Se non fosse stato per te, probabilmente neanche sarei qui.- si avvicinò e lo baciò dolcemente e con passione, senza pensare che potesse passare qualcuno dei ragazzi e notarli. Poco importava: lei voleva trasmettergli le sue emozioni.

Lui sorrise tra le sue labbra. -Non c'è bisogno di ringraziarmi.- le passò una mano tra i capelli lunghi e poi la scrutò negli occhi bicolori, innamorandosene sempre di più.

-Moon...

-Si?

-Vuoi dormire con me?

Lei si sorprese a quella domanda e arrossì lievemente. Poi annuì, accennando ad un sorriso sincero, che lo fece illuminare come una lampadina.

-Oh, era ora!- esclamò la voce di Ashley, che li fece girare di scatto.

-Ma che cazz...- c'erano tutti, e tutti li osservavano compiaciuti. Ora il rossore di Moon era diventato molto più accentuato.

 

Dopo cena, Moon si diresse nella stanza di Jinxx e si sorprese di trovarla ordinata. Per quello che sapeva, le stanze dei ragazzi sono sempre malandate e con vestiti e riviste buttati ovunque. Invece la sua era tutta linda e pinta, dalle pareti bordeaux ed il bagno incorporato, con al centro un enorme letto rotondo, dalle coperte intonate alle pareti, alle quali erano attaccati due armadi abbastanza ampi, dalle ante lucide e nere.

-Fico.- disse guardandosi attorno, mentre Jinxx si chiudeva alle spalle la porta.

-Bah, niente di speciale.- fece lui spallucce.

Lei si lasciò andare sul suo letto, e si sdraiò di schiena, lasciando che lo sguardo si impuntasse sul soffitto, ma ben presto la sua visuale venne occupata dal viso di Jinxx che faceva capolino scrutandola. Gli spiaccicò, letteralmente, una mano in faccia.

-Mi occupi la visuale!- ridacchiò, suscitando in lui una risata più argentea. Ma non si spostò, facendo accorgere Moon del fatto che lui era a cavalcioni sopra di lei.

-Ma come ci sei arrivato qui?- chiese sorpresa ma divertita.

-Boh... Puff! Magia!- prese a solleticarla, facendola piegare in due dalle risate e facendola implorare pietà.

-Ti prego, smettila!- rideva.

-Dammi un buon motivo.- rise lui.

-Ehm... eheheh, non so, forse stiamo per cadere dal letto?- Jinxx si fermò: effettivamente erano sul bordo del letto.

-Ah.- ridacchiò e si spostò, mentre Moon approfittò per capovolgere la situazione e pizzicarlo sui fianchi facendolo ridere di conseguenza. -Non è giusto!- rise lui.

-Si, invece.- tra una risata e l'altra, dopo un po' si fermarono, e si fissarono dritti negli occhi. Lui le passò una mano tra i capelli, facendola rabbrividire. Lei fece scorrere la sua sul suo torace, procurando altrettante eccelse sensazioni. Lui sogghignò.

-Vieni qui...- la avvicinò, baciandola con passione, lasciando che le sue mani percorressero la sua schiena liscia al di sotto della maglietta leggera che indossava. Spensero le luci, e tra un sospiro, una parola dolce, un gemito, i due finalmente si unirono, formando una cosa sola.

 

Eppure il sonno di Moon ricominciò ad essere popolato da Summer, che la fissava e le ripeteva le parole dette al telefono l'ultima volta che l'aveva sentita. Stavolta fu un vero e proprio incubo, perché quando si svegliò, Moon, oltre che agitata era sull'orlo di un pianto. Per fortuna, vedere l'immagine dormiente di Jinxx accanto a lei la fece rilassare e riuscì a cacciare indietro le lacrime. Si vestì, e si avviò verso il bagno per la fatidica Doccia-Togli-Pensieri. Sotto l'acqua una cosa le fu finalmente chiara. Doveva andare da lei.

Tornata in camera, trovò Jinxx seduto sul letto, coperto dalle lenzuola e assonnato.

-Non trovarti a letto fa una strana impressione.- lei gli si avvicinò e lo baciò lentamente.

-Jinxx, devo chiederti un favore...- gli disse poco dopo.

-Dimmi tutto.

-Devo andare da Summer.

 

Quel pomeriggio si vestirono semplicemente, niente cose sgargianti, ma neanche troppo elaborate: abiti scuri e semplici. Moon condusse Jinxx al cimitero dandogli istruzioni mentre guidava e ben presto giunsero al fatidico luogo. Quando si trovarono di fronte ai cancelli, lei indugiò, ma Jinxx le prese la mano e gliela strinse, incoraggiandola.

-Avanti.- le bisbigliò. Lei si fece forza e camminò fino alla tomba di Summer. Jinxx rimase imbambolato a fissarla. Era spiccicata a Moon, né più e né meno, fatta eccezione per gli occhi di colori oppostamente diversi.

A Moon si riempirono gli occhi di lacrime e scoppiò a piangere, inginocchiandosi sulla bara e chiamando il nome di sua sorella.

-Summer.. Oh, Summer...- la chiamò. Jinxx impietosito gli si accucciò accanto e le massaggiò la schiena, incoraggiandola, ma lei non riusciva a smettere di piangere. Lasciò scorrere le emozioni, si girò verso il violinista e affondò il viso tra i suoi vestiti, stringendosi a lui piangendo a dirotto.

-Mi manca! Mi manca da morire!- tutti i sogni, i ricordi, la sua voce, la telefonata... tutto le rimbombava nelle orecchie e compariva nitidamente nella sua mente, ed il ragazzo, più che abbracciarla, dandole quel po' di conforto che riusciva a trasmetterle, non poteva fare altro. Era commosso, e cercava di ricacciare indietro quel dannato groppo che si teneva in gola.

Quando si calmò, Moon riuscì a guardare la foto sbiadita della sorella. Sospirò, le lacrime non si fermarono, ma per lo meno era più calma. Doveva accettare il fatto che lei non c'era più, e soprattutto, che non era colpa sua se non c'era più. Se era successo, se la sua morte era avvenuta, voleva dire che sarebbe dovuto succedere a prescindere dal fatto che lei lo avesse saputo prima o dopo. Respirò a fondo.

Prima di andarsene guardò gli occhi di lei, asciugandosi le lacrime e tranquillizzandosi del tutto.

-Ciao Summer.- mormorò, poi si girò, prendendo la mano di Jinxx e uscendo dal cimitero.

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