Reports of an ordinary life

di Stray
(/viewuser.php?uid=3388)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Ano sa..." ***
Capitolo 2: *** Our distance and that person ***
Capitolo 3: *** Jolt! ***



Capitolo 1
*** "Ano sa..." ***


Questo racconto fa parte di una raccolta di drabbles che si chiama “30 kisses”. Non so se avrò il tempo e l’ispirazione necessaria per scrivere qualcosa anche per i rimanenti 29 titoli… intanto inizio con questo capitolo, una cosina che è rimasta chiusa nella mia testa, e successivamente in un cassetto da tanto, troppo tempo. Alla fine ho scoperto che il titolo numero 5, si adattava alla perfezione, così mi sono decisa. E questo anche  perché, ribadisco, di fic su questa coppia tanto sconclusionata quanto meravigliosa ce ne sono davvero troppo, troppo poche… ^^

 

 

05. “Ano sa…?” (Lo sai…?)

 

 

A volte penso che il mio cervello si prenda improvvise vacanze a mia insaputa, lasciandomi in balia di strane sensazioni e farfallamenti nello stomaco.

Succede quando vedo lui.

Passa, mi sorride, magari arrossendo. Quando Megure non è nei paraggi mi lascia il sapore del caffè appena preso, sulle labbra, o la sua mano fresca sulla mia guancia mi fa prendere coscienza di quanto il mio viso si a paonazzo e accaldato.

In quei momenti non sono più io. Voglio dire, non mi sento io, non mi sento padrona delle mie reazioni, dei miei movimenti, delle parole che mi escono dalla mia bocca…

Yumi dice che è normale, che sono “cotta”.

Diamine! Io non sono “cotta” di nessuno! Non sono un’adolescente alle prime esperienze… E soprattutto non bastano due sorrisi e una carezza a “cuocermi” come un’oca qualsiasi!

Però… però…

Però mi piace. Diamine, se mi piace.

Mi piace come si muove, come cammina, come parla, come aggrotta le sopracciglia quando pensa, come si passa una mano sulla nuca quando è nervoso o imbarazzato.

Mi piace come si allenta a cravatta, quando fa caldo, durante le pause dal servizio.

Una volta, gliel’ho riallacciata io, prima di tornare al lavoro. Come una brava moglie.

Penso gli siano venuti quattro infarti contemporaneamente: ha balbettato per il resto della giornata.

A volte ho l’impressione che non riesca ancora a credere di essere il mio ragazzo.

… uhm… il mio ragazzo… Oh, diamine!

Lo prendo tanto in giro, poi anch’io…

Il fatto è che mi piace, davvero. Il mese scorso, quando sembrava dovesse essere trasferito alla prefettura di Tottori, mi sono sentita morire qualcosa dentro. Non riuscivo a guardarlo negli occhi senza pensare: “Mi dimenticherà. Troverà una donna che lo merita davvero: mi dimenticherà!”.

Penso di averglielo anche chiesto, anzi, urlato in faccia, quasi piangendo. Prima di scoprire che si era trattato di infondate chiacchiere di corridoio…

Lui mi fa perdere il controllo.

Quel suo modo di fare, tenero ma determinato. Umile. Takagi è una persona estremamente umile e innocente. Come un bambino.

Sarà per questo che risulta così… amabile. Anche la squadra dei giovani Detective sembra adorarlo: è il loro beniamino. Forse anche perché quei ragazzini riescono a fargli fare tutto quello che vogliono… cosa che riesco a fare anch’io, senza il minimo sforzo!

Eh eh

Meno male che tra le sue tante virtù, è contemplata anche un’enorme dose di pazienza!

E per stare con me, ce ne vuole davvero tanta…

Solo quello che ha dovuto passare per “corteggiarmi” come si deve e confessarmi finalmente quello che provava per me, meriterebbe un encomio ufficiale.

Tutti i suoi tentativi, i suoi piani, gli appuntamenti di nascosto, i pedinamenti degli altri colleghi… Mi ha raccontato tutto, già. E’ successo poco tempo fa, un giorno, dopo avermi letteralmente strappato via dalle grinfie di Shiratori e i suoi insistenti quanto fastidiosi inviti a cena.

Era la prima volta che lo vedevo reagire con tanta fermezza. E anche un po’ di rabbia, nonostante non abbia poi voluto ammetterlo. Eh, la gelosia…

Takagi non è possessivo, non è uno di quegli uomini che “marcano il territorio” e ti portano in giro come se fossi un trofeo da mostrare. Anche perché, a dire il vero, starmi vicino continua tutt’ora a causargli non pochi problemi con i colleghi… primo tra tutti, Stiratori, appunto.

Giuro, non avevo idea di essere tanto popolare… non me ne ero mai accorta.

Yumi dice che devo avere qualche serio problema agli occhi. Ogni tanto mi chiedo anch’io come possa essere un bravo detective, senza rendermi poi conto di avere mezza prefettura che mi fila dietro?!

Ma ormai non ha più importanza: spiacente, signori, ma “il posto è già stato assegnato”

Ho scelto lui. Perché mi piace da morire.

Anche quando sbaglia, quando combina qualche guaio e Megure lo sgrida, o quando subisce le angherie e le battute cattive di Stiratori.

Che strana cosa…

Un uomo come lui, a prima vista non ha nulla da offrire a una donna. È sostanzialmente insicuro, pasticcione, timido, a volte infantile. Non ha una posizione prestigiosa o un grado molto alto nella gerarchia della Polizia, e non si può certo dire che sia fisicamente molto forte o particolarmente bello…

Tremendamente carino, questo sì.

Ma nonostante tutto questo.. non so… ha qualcosa di… diverso dagli altri e… profondamente buono… un certo, non so…

Lasciamo perdere. Ha ragione Yumi. Sono proprio cotta! E si vede.

Non appena il mio cervello si degna di ritornare al mondo reale, me lo ritrovo davanti, che mi guarda dalla sua scrivania, sorridendo. Ma da quanto è tornato??? Non l’ho sentito nemmeno arrivare…

“Meno male! Cominciavo a preoccuparmi: te ne stavi lì immobile da prima che arrivassi…”

Ecco, appunto. Questa volta è bastato solo il pensiero di lui, per farmi perdere completamente la testa e la concentrazione!

“Scusa… mi ero incantata… cioè, pensavo!”

Lo vedo che ride. Dovrei arrabbiarmi e chiedergli cosa ci trova, di tanto divertente, ma non posso fare a meno di sorridergli a mia volta. Mi piace proprio..

Non ride più, ora. Forse si è accorto che il mio sguardo è cambiato…

Arrossisco, lo sento, ma non voglio distogliere lo sguardo: certe volte bisogna proprio incoraggiarlo…

Dai, baciami stupido!

Come se mi leggesse nel pensiero, arrossisce anche lui. O forse anche lui sta pensando… mi sta pensando? Mi piacerebbe sapere come mi vede, cosa vede di me, se anche i miei difetti ai suoi occhi spariscono, diventando anzi piccoli particolari curiosi che mi rendono unica.

Non so perché, ma ogni tanto sento davvero il bisogno di essere unica, per Takagi… unica e sua.

Che pensi a me, solo a me, che guardi me, che sogni di me, che anche lui si incanti con lo sguardo perso nel vuoto, a ricordarmi quando non sono nei paraggi.

Ma è egoista da parte mia, volere una cosa del genere. Soprattutto dopo le pene che gli ho fatto passare, seppur involontariamente.

Mi piace tutto di lui: i suoi capelli castani, morbidi e sempre un po’ disordinati, come se si fosse appena alzato dal letto, gli occhi dolci, il sorriso gentile…

Ha le mani grandi. Mi piace sentirmele addosso, quelle mani, quando mi accarezza i capelli o il viso, quando mi abbraccia, quando…

… ehm…

Sato, è meglio finirla qui, prima che ti legga davvero in faccia quello che stai pensando!!!

Mi sento le guance paonazze e i suoi occhi incollati addosso, mentre abbasso lo sguardo e mi alzo di scatto.

Mi fa una delle sue stupende espressioni disorientate, quando lo afferro per un braccio e lo trascino quasi, per il corridoio deserto.

Scusami, Takagi: è che a volte mi stanco di aspettare una tua mossa…

Mi piaci talmente tanto che non riesco a starti lontana, neppure col pensiero. Mi rimani addosso e ti porto con me, ovunque vada. Scommetto che se te lo dicessi, rideresti di me. O forse mi risponderesti che senti la stessa cosa… Ah, sarebbe bello, vero?

Io ho bisogno di quest’uomo. E mentre chiudo la porta dello sgabuzzino alle sue spalle e mi appoggio a lui, mi cresce dentro questo qualcosa che mi spinge a lasciarmi andare.

M-Miwako…?”

Meno male che nel buio della stanza non può vedere le mie guance paonazze: sentirlo pronunciare il mio nome con tanta dolcezza, è una sensazione a cui devo ancora abituarmi.

Shh…”

Cerco il suo viso nel buio, la sua bocca.

Il bacio galeotto nello sgabuzzino delle scope. Non è molto originale, ma ha sempre il suo fascino, no?

“Se ci trovano qui…” protesta senza troppa convinzione, non appena la sua bocca non è più occupata con la mia. Non lo lascio finire.

Eccole, le sue mani, che mi accarezzano, scivolando su e giù lungo la mia schiena, si impigliano tra i miei capelli e mi fanno venire i brividi. Non posso impedire a un sospiro di sfuggirmi, soffocato tra le nostre labbra.

Le sue mani su di me, la sua bocca lungo il mio collo, le braccia ora ferme e tese che mi sorreggono… Come posso stare lontana da lui?

Quanta volontà mi servirà, dopo, per staccarmi da quest’uomo e riaprire quella porta?

Mi sto persino dimenticando di respirare…

Allontano il mio viso dal suo, per riprendere fiato, e sento il suo respiro affannoso contro la guancia.

Deglutisce. Quando mi riavvicino mi blocca, appoggiando gentilmente due dita sulle mie labbra.

Miwa… ehm… io non credo di… insomma, mi riesce molto, molto difficile trattenermi… qui con te, ora…”

Spero che il buio nasconda il ghigno malefico che mi si sta dipingendo in viso!

Inutile nasconderlo: mi piace stuzzicarlo. Vedere che non sono l’unica a perdere il controllo.

Ci pensa un rumore di passi dal corridoio, a riportarmi alla realtà.

Un’ultima volta. Lo voglio baciare un’ultima volta. A lungo.

Vedi, Wataru? Vedi cosa mi fai? La mia capacità di ragionare sembra sciogliersi come neve tra le tue mani grandi e tiepide. Perché? Me lo sai dire, tu?

Mi sai dire perché nulla diventa più importante che scivolare pigramente tra le tue braccia? Lo sai perché ogni minuto, ogni secondo, ti aspetto, ti cerco, ti voglio?

Solo per me, tutto per me.

Che sia…

… amore?

Mi spaventa, l’amore. Perché come la paura, cambia le dimensioni delle cose, ingigantisce le sensazioni e annulla il pensiero, ridimensiona tutto, come se il mondo intorno fosse visto attraverso uno specchio rotto. Fa perdere l’orientamento, l’equilibrio, la lucidità.

Riapro la porta un po’ disorientata.

Potrebbe essere. Che io…

La sua mano mi tira indietro, verso il suo petto, in un impeto che raramente gli appartiene.

“Guardami.”

Anche nel buio, riesco a vedere il suo viso cambiare, abbandonare per un momento l’insicurezza, il ragazzo, e lasciare spazio all’uomo che non sa di essere.

“Lo sai… vero?”

Lo so, Wataru. Lo so, anche se mi fa paura ammetterlo.

Ma è così, non posso cambiare le cose. Non posso cambiare il fatto che ti amo, e che tu ami me.

A volte mi chiedo perché voglio complicare le cose a tutti i costi, quando sono così deliziosamente semplici…

Lo so, anche se entrambi non riusciamo a dircelo a parole, con quelle parole esatte.

Fa nulla. Ci vorrà tempo, ma ci arriveremo. Insieme.

Intanto te le sussurro in un altro bacio, piano, che tu le possa sentire<= /i> invece che udire.

“Anch’io.” sussurro appena, prima di scappare via.

Non da te, ma dalla grandezza di questo sentimento, che nella sua bellezza, spaventa ancora un po’.

 

 

 

 

 

Ma guardatela…

No, dico sul serio: guardatela.

Lo sguardo assente, la matita tra le labbra, la brezza mattutina che entra placida dalla finestra e le scompiglia dolcemente i capelli…

Dopo un mese, stento ancora a credere che quello splendore sia reale.

E che sia anche la mia ragazza.

He he… ha ha HA HA HA!!!

Ah-ehm

Su, Takagi, un po’ di contegno!

Ma è così… così…

Bella.

Non è solo questo. Miwako è… come faccio a spiegarlo, se nemmeno io riesco ancora a trovare una definizione che le renda giustizia?!

E’ una poliziotta eccezionale, un’amica generosa e premurosa, una donna bellissima e profonda… senza sapere di esserlo, tra l’altro.

E’ determinata e passionale in tutto quello che fa. Sì, in tutto.

Che si tratti di acciuffare un fuggitivo o di baciarmi in macchina, prima di entrare nella “gabbia dei leoni”, come da qualche settimana ha cominciato a chiamare il Quartier Generale della polizia Metropolitana di Tokyo.

Non si è accorta del mio arrivo. Chissà a cosa sta pensando… o a chi?

Spero tanto di essere io. Non ne sono sempre sicuro…

A dire il vero, la sicurezza è proprio quello che manca, in questa relazione.

Tecnicamente, stiamo insieme.

Sì, insomma… mi sono dichiarato. Non è stato facile. Ho raccolto ogni briciola di coraggio che avevo in corpo per sussurrare un impercettibile “Mi piaci da morire, da tanto tempo”. A quanto pare, la cosa era reciproca. Non ho dei ricordi molto nitidi di quella giornata… a detta di Yumi, ho perso conoscenza per qualche minuto, ma secondo me esagera, come suo solito. Vero?

Comunque sia, io e Miwako abbiamo cominciato a frequentarci. Non che la cosa fosse top secret… anche perché non è semplice tenere nascosto qualcosa, qui dentro. Soprattutto se riguarda Sato.

Ormai è passato un mese da allora.

Però… c’è un però.

Io non le ho ancora detto “ti amo”, né lei lo ha detto a me.

Voglio dire, le ho detto di essere “innamorato&#= 8221; di lei… ma non è la stessa cosa. Diciamo che è un po’ troppo sottinteso, per i miei gusti…

Mi sembra che una volta lei mi abbia chiamato Amore … ma non ne sono così sicuro! Lo ha appena sussurrato, nel bel mezzo di una frase ordinaria, del tipo “amore, sono un po’ in ritardo per dei rapporti da consegnare” o qualcosa del genere. Ma quando ho cercato di farglielo ripetere, ha cambiato repentinamente argomento…

Che fatica: sì, stare con Miwako Sato è faticoso, tenere in piedi una qualsiasi relazione lo è.

Ma lei… lei è… semplicemente lei. Stupenda.

Con quegli occhi, quelle labbra, quelle mani… e quella sua fragilità, che solo i miei occhi sanno vedere.

Sì, perché se c’è una cosa che la rende davvero unica, davvero mia… è questo suo lato più insicuro, nascosto a tutti tranne che a me. Come un dono, esclusivamente per me. Un dono di cui non so ancora se essere degno…

Dietro la facciata di super poliziotta e donna tutta d’un pezzo, si nascondono dei ricordi dolorosi e delle insicurezze che da sola non è ancora stata in grado di guarire. Vederla piangere, vederla finalmente lasciar intravedere questo suo essere occulto, è stato come assistere all’apertura di una porta rimasta troppo a lungo sigillata. E’ come se mi fosse stata donata la chiave della sua corazza.

E’ così, Miwako è forte, a volte penso lo sia anche più di me, ma quando la sorprendo negli attimi di ozio, nelle piccole cose, nei gesti più naturali, si apre come un fiore, lasciando intravedere le creatura delicata che è in realtà.

Come ora. Ora che si perde dietro un pensiero. Ora che mi guarda stupita, come se fosse tornata da un lungo viaggio, da un altro pianeta.

Forse arriva davvero da un’altra galassia, perché nulla mi sembra così bello sulla Terra, quanto lo è lei… così bella e mia.

“Meno male! Cominciavo a preoccuparmi: te ne stavi lì immobile da prima che arrivassi…”

“Scusa… mi ero incantata… cioè, pensavo!”

Cosa farebbe se la baciassi? Qui, ora.

La solleverei tra le mie braccia, come fanno i principi azzurri che si rispettano, la guarderei negli occhi…

Cosa farebbe, cosa direbbe se le sussurrassi piano “Ti amo”?

No. E’ meglio di no.  Riderebbe di me. In effetti, sarei ridicolo.

E questo, non potrei sopportarlo, come se non facessi già abbastanza brutte figure davanti a lei.

E adesso?

Adesso perché mi guarda così?

Ti prego, Miwako, non farlo… Come diavolo faccio a non sciogliermi, davanti a quegli occhi, a quel sorriso sornione, a quel rossore ormai diffuso fin sul tuo collo?

E’ una strana felicità, quella che mi riempie quando sto con lei: una felicità che ha paura che il momento ideale possa finire, che si tratti tutto di un sogno.

Lo so, sono pessimista. Ma mi hanno insegnato a non dare mai nulla per scontato. Nemmeno l’amore.

Sì, penso che potrei dirti “ti amo”. Sarebbe un bel momento, ora. Ma tu ti stai alzando, ti stai avvicinando in fretta. Mi afferri e mi trascini via, senza lasciarmi fiatare.

Ma che…!?

Ma questo non è… lo sgabuzzino degli inservienti???

Com’è che ho la sensazione di cacciarmi in un grosso, grossissimo guaio?

M-Miwako…?”

Shh…”

La porta dietro di me si chiude, come le tue labbra sulle mie. E all’improvviso, il buio diventa più confortevole. Sembri più piccola, tra le mie mani, come quei fiori che rilasciano il loro profumo solo se si riscaldano i petali tra i palmi tiepidi.

“Se ci trovano qui…”

Non mi dai tregua. E non posso fare altro che arrendermi. Mi arrendo a te, come sempre, alla tua pelle morbida, ai tuoi baci, al tuo corpo contro il mio, alle tue dita che mi toccano e mi accarezzano la nuca, lentamente.

E’ un calore che sale da dentro, così familiare e conosciuto. Una sensazione già vissuta.

E’ così, tutte le volte che ti bacio: il tempo si dissolve, lo spazio perde i suoi naturali confini, le dimensioni delle cose si dilatano e deformano, tutti i miei sensi si intensificano.

Ehm…

… anche troppo…

Vedi? E’ una piccola controindicazione della tua vicinanza. D’altra parte sono un uomo, non una macchina! Un uomo fatto di carne, pensieri più o meno leciti, desideri…

Miwa… ehm… io non credo di… insomma, mi riesce molto, molto difficile trattenermi… qui con te, ora…”

I miei occhi abituati all’oscurità intravedono il suo sorriso malizioso nella penombra.

MI STA FACENDO IMPAZZIRE APPOSTA?!?!?

Calmo. Devo stare calmo.

Takagi. Stai. Calmo.

Sarebbe bello, cedere all’istinto è sempre bello. Ma ricordati dove sei, chi sei e  che conseguenze ne potrebbero derivare…

Quasi a ribadire il concetto, dei passi risuonano al di là della porta.

Ecco, Miwako, lasci perdere. Mi grazi con un ultimo bacio e ritorni con i piedi per terra.

Qui, ora, ci starebbe bene un bel “Ti amo”, dal sapore dolce ma deciso, leggermente rassegnato e consolatorio.

Ma non esce. Non vuole uscire.

Ho paura di affrettare le cose, ho paura di aver frainteso tutto, di aver sbagliato tutto.

Ma dirtelo senza parole, non mi basta più.

Vorrei sentire queste due parole uscire dalle tue labbra, e come un bacio posarsi su di me.

Inondarmi.

Ma lo si come sono. So aspettare, so sperare. Forse troppo.

Forse è ora di smettere di pensare e agire.

Così, mentre do silenziosamente ragione alla parte coraggiosa di me che pensavo di non avere, trovo il modo di afferrare la tua mano, di tirarti ancora nel buio di questo stanzino, prima che lo spiraglio di luce dal corridoio si infiltri, impiccione, dalla porta che stavi aprendo.

“Guardami.” ti dico.

E tu mi guardi, senza dire nulla. Perché forse lo hai già capito, e forse anche tu stavi aspettando che un momento così arrivasse.

“Lo sai… vero?”

Lo sai, che ti amo più della mia stesa vita, vero?

Lo sai, anche se per ora non trovo la forza per dirtelo senza sentirmi ridicolo?

E’ un bacio, la tua risposta. Ma è lungo, è tenero, è… è lui. E’ un sì.

“Anch’io.” bisbigli nel mio orecchio, prima di scivolare via, oltre la porta.

Ma sono sicuro che la sfumatura scarlatta sulle tue guance e le mie, non è il risultato di un gioco di luci del tramonto…

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Our distance and that person ***


Scusate il ritardo, ma l’ispirazione è dura da trovare nello stress della vota reale (mannaggia agli impegni…). Inoltre contemporaneamente sono impegnata in altri due progetti di raccolte, per cui ho il cervello diviso in tre (due, non esageriamo: gli altri due progetti sono entrambi sullo stesso teme, la Royai…).

Grazie per le recensioni! ^^ E’ bello vedere che non sono l’unica ad amare ‘sti due pasticcioni imbranati…

Ah, Ginny85 ho letto la tua one-shot! Mi è piaciuta tantissimo, ogni tanto me la rileggo perché mi fa sempre sospirare (dolceeeeeezzaaaaaa… ^///////^)… Davvero complimenti!

Va bene, basta chiacchiere, vi lascio al capitolo. Buona lettura! ^^

04. Our distance and that person

? Che ci fai qui?”

Alzo gli occhi dalla mia tazza di caffè lungo, per trovarmi davanti Takagi, approdato al mio tavolo dopo varie sgomitate tra la folla della caffetteria della centrale.

“Sono al lavoro, forse?”

“Appunto. Che ci fai qui al lavoro, oggi?”

Si siede davanti a me, senza togliersi la maschera di stupore che sa indossare sempre così velocemente.

“Ma c’è dell’alchol nel tuo caffè? Perché non capisco affatto di cosa stai parlando…”

“Dell’anniversario della sua morte. Non dirmi che…”

Me ne sono dimenticata. Già.

Oggi è quel giorno, quello stesso giorno di quattro anni fa, e io me ne sono dimenticata.

Mi sono dimenticata di prendermi il giorno libero, di passarlo davanti la sua tomba, a pregare e a farmi le solite domande stupide piene di ‘se’ e ‘forse’.

Me ne sono dimenticata.

O no?

“E allora?”

“Allora… ehm… nulla.”

Mescola il liquido scuro aggiungendo quintali di zucchero. Il cucchiaino tintinna battendo contro i bordi della tazza, fa traboccare alcune gocce di caffè, ma lui non se ne accorge: è troppo impegnato a scrutarmi preoccupato, come sa fare solo lui.

“Mi sono sempre chiesta come sarebbe stato, con lui…”

Passa dalla preoccupazione al panico con una velocità che mi sorprende, tutte le volte. So bene che non ha molta fiducia in se stesso, questo forse è il suo più grande difetto. E il suo più grande pregio, quando l’insicurezza si ridimensiona nella sua naturale modestia.

“Ogni volta che sono uscita con un uomo, dopo di lui – non tante volte, per la verità – ho passato serate intere a paragonare tutto a lui, a quello che avrebbe potuto darmi, a come avrebbe potuto rendermi felice o triste o semplicemente me stessa. Non facevo altro che pensare ‘Lui avrebbe fatto così, mi avrebbe portato lì, mi avrebbe detto queste cose, mi avrebbe baciato in una altro modo, mi avrebbe fatto sentire in un altro modo. Pensavo questo, ogni volta.”

Ma prende la mano, la copre con la sua, sul tavolo lucido su cui scivolano granelli di zucchero vagabondi.

“Tranne che con te.”

Per questo, oggi non sono andata.

“Quando sono con te, non mi chiedo come sarebbe stato, cosa sarebbe diventata la mia vita, come sarei cambiata io stessa…”

Per questo, non ho aspettato questo giorno con ansia, come un anno fa.

“Quando sono con te, non mi chiedo nulla.

Per questo non ho dimenticato nulla tranne i rimpianti. Quelli non mi servono, non più.

“Perché quando sono con te, non c’è nulla da chiedere, nulla che non sappia già, nulla che tu non mi dia, nulla che tu non possa farmi sentire.

Le mani sulla mia, ora sono due, anche se una non puoi vederla.

Ma sparisce in fretta, come se fosse stata lì per rassicurami, per dirmi che sì, finalmente quella era la scelta giusta, la prima della mia vita.

Mi sorridi, e sembra strano, ma senza la barriera opaca dei miei rimpianti davanti agli occhi, quel tuo sorriso che mi piace così tanto, lo amo ancora di più.

Non ho più bisogno di immaginare quello che grazie a te ho già.

Non mi resta che accettare quello che finora mi hai dato, quello che continuerai a darmi – tu dai, e non ti aspetti mai nulla in cambio, sei fatto così - impegnandomi per ricambiare tutto questo amore, in qualche modo, come non sono mai stata capace di fare.

Ma adesso, ora che la distanza tra noi sembra essersi annullata, ora che non c’è più nulla, nessun ostacolo, nessuna differenza tra quello che desidero e quello che ho, ora penso di poterlo fare.

Grazie.

Grazie del bacio, che mi stai dando, mentre stringi la mia mano, sul tavolino del bar.

Grazie per fare finta di ignorare i miei occhi lucidi, asciugandoli senza saperlo con una delle tue carezze gentili.

Grazie per esserci, sempre, per essermi vicino, il più possibile, nonostante le mie resistenze, i miei difetti, i miei fantasmi.

Grazie per aver aspettato.

Per aver aspettato, pazientemente, che mi avvicinassi a te con le mie forze.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Jolt! ***


Ehm… dire che sono in ritardo sarebbe un eufemismo… ^^”

Il fatto è che ho navigato per altri lidi per un bel po’ (E ogni tanto sono ancor in alto mare)… oh, lasciamo perdere i miei viaggi mentali.

Evidentemente ho qualche trauma infantile legato agli sgabuzzini delle scope, perché non è la prima volta che qualcosa del genere salta fuori nelle mie fic…

Oh, beh… ^^”

Buona lettura!

03. Jolt!

“Forza! Al mio tre: uno… due… tre!”

Takagi polverizzò definitivamente l’osso della sua povera spalla, prima di accasciarsi a terra dolorante.

“Avanti Takagi, vuoi dargliela vinta? E ti definisci un uomo?”

“La mai spalla al momento mi chiamerebbe in un altro modo, se solo potesse parlare…”

Un ennesimo tonfo dall’altra parte della porta, il legno vibrò ma resistette: dannati pannelli anti-incendio…

“Sato? Sei ancora lì?”

“Ti prego: dimmi che non hai anche paura del buio…”

“Considerando che è per colpa tua che sono chiuso qui, potresti anche sentirti un po’ in colpa!”

“Considerando che la colpa è della tua ingenuità, è già tanto che rimango qui a farti compagnia: il mio turno è finito da almeno venti minuti…”

“Saresti più utile se riuscissi a convincere Shiratori a darti la chiave di questo ripostiglio.”

“D’accordo, allora: ma ti avverto che ha proposto di darmi la chiave solo se accetto un suo invito a cena…”

“NO! No… in effetti, la mia spalla non è così malridotta… altre due o tre spinte…”

Thump! Niente. Tu-thump! Niente di niente: la porta dello sgabuzzino delle scope del quartier generale della polizia di Tokyo non fece una piega alle spallate dell’agente chiuso al suo interno.

Sato sospirò, appoggiandosi al muro con gli occhi al cielo: possibile che quel ragazzo ci cascasse sempre? Quello era un trucco da età della pietra: “Ehi, takagi? Sato ha chiesto di te. Vuole che la raggiungi al secondo piano, davanti al ripostiglio degli inservienti… Ah, non c’è? perché non dai un’occhiata dentro…?”

E Shiratori era esattamente il tipo da lasciare quel poveretto rinchiuso lì per tutta la notte, se non si decideva a fare qualcosa… Forse non aveva digerito del tutto la notizia del loro fidanzamento…

“Basta così: vado da quel cretino ad accettare l’invito…”

“MAI! PIUTTOSTO LA MORTE! Sato, ti proibisco di muoverti da qui!”

“Sei stupido o cosa? Vuoi restare a dormire lì dentro? Ti avviso che non mi troverai qui davanti, domani mattina… sempre che qualcuno ti faccia uscire…”

Un breve silenzio pensieroso, dall’altro lato della superficie di legno. Un’ultima spallata e la conseguente imprecazione soffocata tra i denti.

“D’accordo. Vai a casa. Domani alle cinque dovrebbero passare gli addetti alle pulizie, loro avranno pure un duplicato della chiave…”

Miwako Sato pensò di aver capito male.

“Fammi capire: piuttosto che farmi uscire con Stiratori, preferisci passare la notte in uno sgabuzzino?”

“Non voglio che ti sacrifichi per me…”

Non ebbe risposta: la ragazza dall’altra parte della porta era troppo impegnata a farsi passare il rossore che le aveva invaso il viso.

“Aspettami qui.”

“Sato? Dove…? No… NO! Ti ho detto che da Shiratori non ci devi andare… Sato? Ehi???? Sato!”

Takagi ricominciò a dare spallate contro il legno, incurante del dolore e della voce dal lato opposto della porta.

“Smettila di urlare! Sono qui… sto solo.. cercando… di… ah!”

Nel momento esatto in cui Sato riuscì a forzare la serratura con una forcina presa in prestito da Yumi, Takagi aveva preso troppa rincorsa per potersi fermare.

Ruzzolarono a terra nel corridoio deserto, uno sopra l’altra.

“Ouch… scusa! Scusa, io… OUCH!”

Era ufficiale: la spalla era andata.

Takagi rotolò su un lato per lasciar alzare la sua compagna, miracolosamente indenne.

“Fammi vedere…” esordì lei, una volta tiratasi a sedere sul pavimento lucido.

Tastò per un attimo la spalla visibilmente più gonfia, alla ricerca di qualcosa di rotto, ignorando i lamenti di Takagi, ma senza trovare nulla di preoccupante.

“Aspetta, nel ripostiglio dovrebbe esserci una cassetta di pronto soccorso…”

“Ti aiuto a cercarla.”

Non appena entrambi furono entrati di nuovo nell’angusto ambiente, un rumore secco e sinistro alle loro spalle li fece sobbalzare.

Ancora prima di voltarsi, Takagi si passo una mano sul viso, distrutto.

“Dimmi che la finestra qui davanti era chiusa e che una folata d’aria non ci ha chiuso dentro…”

“Ehm… non ne sono sicura…”

“Allora dimmi che non hai lasciato la forcina dall’altra parte!”

“Mi piacerebbe. Davvero, non sai quanto…”

Crollarono, strisciando la schiena lungo il muro, spalla contro spalla per la mancanza di spazio sufficiente per due persona.

“A che ora hai detto che arriveranno gli inservienti?”

“Alle cinque, o alle sei…”

Sato osservò incuriosita, sbirciando nella penombra, l’espressione stranamente tranquilla del suo ragazzo. Appoggiò la testa alla sua spalla – facendolo sussultare appena per il dolore – cominciando a sentire la stanchezza di un giorno di lavoro appesantirle il corpo e i pensieri.

Il respiro di Takagi, a pochi centimetri dalla sua tempia, faceva vibrare lievemente le ciocche scure

“Non vuoi nemmeno provare di nuovo ad uscire?”

Sentì la curva di un sorriso premere contro la pelle, trasformasi gradualmente il un bacio.

In effetti, Shiratori poteva anche tenersela, quella chiave…

Questa volta no.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=161312