Does it take your breath away?

di Low_Armstrong
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Take a look into my eyes ***
Capitolo 2: *** An extraordinary girl in an ordinary world ***
Capitolo 3: *** Drenched in my pain again ***
Capitolo 4: *** Oh my God, I'm still alive ***
Capitolo 5: *** It's not over till you're underground ***
Capitolo 6: *** My time ticks around you ***
Capitolo 7: *** Highway to hell... Stairway to heaven ***
Capitolo 8: *** Do you think what you need is a crutch? ***
Capitolo 9: *** I hope you had the time of your life ***
Capitolo 10: *** Sometimes you're at your best, when you feel the worse ***
Capitolo 11: *** For what it's worth, it was worth all the while ***
Capitolo 12: *** There's no return from 86 ***



Capitolo 1
*** Take a look into my eyes ***


TAKE A LOOK INTO MY EYES

I suoi occhi. I suoi occhi, da cui non riesci a distogliere i tuoi. Canti, canti per il pubblico, canti per te, canti per lei. Perché lei è lì, in nessun altro posto al mondo. I suoi occhi persi nei tuoi. Le parole, le parole non le riconosci neanche più, le parole le lasci andare come un disco registrato che suona dalle tue labbra. Mentre le sue si muovono con queste. Ma tu sei perso, perso in un posto dove nessuno c’è, dove c’è tutto perché lei è con te. Non ci sono distanze, non ci sono limiti, non ci sono contatti, non ci sono libertà. La guardi, la guardi bene perché è la prima volta, perché devi sbattere le palpebre ma non puoi perderti un istante di lei. Le dita sulle corde si spostano da sole, nessuno sente i tuoi errori. Ma tu non puoi sbagliare. Non puoi sbagliare più. Perché tutto ciò che di giusto c’è nel mondo è nella tua vita. E non ne uscirà mai più.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.






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AUTHOR’S CORNER
Ecco qua. Se non avete ancora avuto una crisi iperglicemica, potete tranquillamente dire di essere immortali.
Niente, mi immagino così l’incontro di Billie Joe e Adrienne.
Perché un qualche capillare romantico e che crede nel vero amore, nel colpo di fulmine che dura una vita ce l’ho anch’io.
Pubblico oggi perché… dai, va beh, lo sapete… Siamo in un fandom dei Green Day, è inutile dirlo.
Buon quarantunesimo compleanno, Billie Joe. Non so dire cosa sei per me, quindi… Grazie.
Fatemi sapere che ne pensate!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 2
*** An extraordinary girl in an ordinary world ***


2 luglio 1994


AN EXTRAORDINARY GIRL IN AN ORDINARY WORLD

Cammina, cammina verso di te. Cammina per quei pochi metri, cammina attraversando quella manciata di centimetri che vi separano. È vestita di bianco. Che strano… è meravigliosa. Guardala, guardala bene, perché lei ti si sta offrendo, ti sta donando il suo cuore. E tu lo sai, lo sai bene. Lo sai che si ha un solo cuore per la vita. Hai perso il tuo, lo ritrovi di tanto in tanto. Oggi però è con te. Devi donarlo a qualcuno. A qualcuno che lo proteggerà sempre. Ti sei assicurato di averlo nella tasca della giacca, oggi. Ah, già. La giacca. Sì, indossi uno smoking, oggi, qualunque cosa esso sia. Lo hai scelto con il tuo amico in un negozio in città. Veramente, il commesso ha scelto per te. Ti sei guardato allo specchio per ore, ma chissà perché ti senti ancora troppo strano lì dentro. La vedi sistemarsi la gonna bianca di un abito lungo e assolutamente non per lei. Ma siete due esibizionisti, e non ci si può sposare in jeans e maglietta. Vi sorridete da lontano. Vorresti solo correrle incontro perché cammina davvero troppo piano su quei pochi centimetri di tacco. Vorresti dirle che l’ami, che l’amerai per sempre, che sei suo. Poi ridi, inaspettatamente, cercando di nasconderti dai tuoi amici al tuo fianco. Lei lo sa già, lo sa già tutto questo. E, d’un tratto, scoppia a ridere. La seta le scivola tra le dita, come i suoi capelli corvini tra le tue. La vedi sfilare il braccio da sotto quello del padre, mentre gli sfiora la guancia con le labbra. “Ti voglio bene, piccola mia”. E, d’un tratto, come se la prima metà della navata l’avesse percorsa a rallentatore, così, inaspettatamente, ti ritrovi le sue braccia attorno alle tue spalle. Non sai come, ma il tuo corpo era già lì pronto ad abbracciarla, pronto per accogliere la tua nuvola di taffetà bianco.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.






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AUTHOR’S CORNER
Ok, mi rendo conto che sta diventando fluffosità maniacale, la mia. Devo farmi visitare.
Detto questo, devo ammettere che forse sono ben più di “qualche” i capillari romantici che mi ritrovo.
Mi piace pensare che sia andata così, è fottutamente tenero.
La storia del solo cuore per la vita è una mia convinzione e sarà un tema (forse, chi lo sa?) più o meno ricorrente nei pensieri di Billie Joe. O almeno proverò a far sì che sia così.
Perché, in fondo in fondo, c’è tanto di mio in queste righe. Forse più di quanto ci tenga ad ammettere.

Mi scuso anche qui per le mancate risposte alle recensioni, ma ho veramente tempo zero e sono a un passo da una crisi nervosa epica, quindi è già tanto che riesca a pubblicare. Non abbandonatemi, però! Non immaginate quanto mi faccia felice leggere cosa ne pensate!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 3
*** Drenched in my pain again ***


9 settembre 1996


DRENCHED IN MY PAIN AGAIN

Il pomello di metallo lucido è freddo. Non che tu ci vada attorno molto spesso. Anzi, quasi mai.
Magari il cassetto non scorre bene. Magari è la scusa per non aprirlo.
Ti siedi sul letto.
Respiri.
Il comodino traballa un po’ mentre il cassetto scorre piano nelle guide. Si ferma con uno scatto, un po’ di polvere vibra nell’aria.
È un po’ come il tuo cuore, non è vero? Vacilla, si blocca, resta offuscato.
Sai cosa troverai lì dentro. Anche se non ti piace frugare in quel cassetto, lo sai.
Volti un po’ la testa. La porta della tua… della vostra camera da letto è chiusa a chiave. Anche se Adrienne è in giro con i ragazzi.
Sfiori una di quelle vecchie Polaroid, quelle che sembrano avere tutte l’effetto seppia. È sottile, lucida. E un sottile, lucido velo ti sfoca le iridi. Incroci lo sguardo con occhi non tuoi, che ti ricambiano ridenti, che hanno in custodia il tuo cuore, che te lo strappano via ogni volta. Dopo tutto questo tempo. E poi per sempre.
E in una lacrima dimenticata annegano un bimbo con il suo papà sotto un grande albero di Natale.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.










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AUTHOR’S CORNER
Non riesco nemmeno a dire qualcosa su… questo.
In pratica, sono io. È la mia anima, nuda, cruda, senza filtri, senza paure. Wake me up when September ends è la mia storia, la mia vita, la mia canzone. E le sono legata più che a qualunque altra cosa al mondo.
Vi avevo detto che la storia del cuore è ricorrente, e quello di Billie Joe lo tiene stretto stretto il suo papà, da quando lui gliel’ha tacitamente, involontariamente purtroppo donato.
Il giorno, ovviamente, non è casuale… Siamo tutti bravi a ricordarci del dolore degli altri un giorno all’anno, ma la gente che non lo vive non sa cosa c’è nei restanti 364 e, soprattutto, in quelli intorno a quella fottuta data.
Scusate se vi ho annoiati, se non ve ne fregava niente di tutto questo monologo, ma la scrittura è la mia terapia, e Billie Joe la mia guida in questo viaggio.

A presto,
Lally_Weasley


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Capitolo 4
*** Oh my God, I'm still alive ***


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10 marzo 2013


OH MY GOD, I’M STILL ALIVE

Non ce la fai. Non puoi farcela, lo sai. Troppo casino, troppe aspettative, troppi occhi per te. Troppo strano. Non sai nemmeno se il cuore ti batte troppo forte o troppo piano. Vuoi scappare, vuoi dire solo “addio”.
Non è casa tua, non lo è più, ormai. Non è posto per te, quello.
Scorgi una bimba bionda, con gli occhi azzurri di papà, le cuffie su di lei sembrano enormi. D’un tratto, si volta verso di te e ti fa ciao con la manina. Anche tu eri come lei, una volta, ma è stato tanto tempo fa. La vita non faceva ancora schifo, la morte non esisteva, dipendevi solo dalla tua famiglia, con la sua rabbia e con il suo amore. Amore… Basta un battito di ciglia per cambiare tutto, per cambiare per sempre. Non chiudere mai gli occhi sul mondo, piccola. Potresti riaprirli troppo tardi per scoprire che in realtà fa schifo.
Sei in piedi da solo, in quella stanza piena di gente, quando qualcuno ti mette sgarbatamente in mano qualcosa. C’è tutta la tua storia lì, e a porgertela è il papà a cui quella bimba ha rubato gli occhi, è l’uomo che tutta la tua storia l’ha vissuta con te. Ti guarda e in quegli occhi nei tuoi ci sono tutte le parole che non hai, che mai avrai.
C’è ciò che non credevi di poter riavere nella tua vita, dopo che ti eri ridotto come stai provando a dimenticare: un futuro.
«Muovi il culo, Armstrong.» e poi, all’orecchio, «Sono con te, Billie».
La sua mano ti stringe la spalla.
Chiudi gli occhi, sospiri. Prendi fiato, prendi tempo.
Stringi Blue a te, forte.
Ti affacci e sbirci.
Sei a casa.
Sei vivo.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.





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AUTHOR’S CORNER
Ecco quello che secondo me è accaduto nel backstage appena prima dell’inizio del concerto a Temple, Arizona, il 10 marzo 2013. Sì, sono consapevole che tutti quelli che hanno letto fin qua sanno tutto a riguardo e che importanza ha avuto per i Green Day. Ergo, non vi annoio oltre. Dico solo che, ovviamente, la bimba bionda con gli occhi azzurri è Ryan Ruby Mae, la figlia più piccola di Mike e Brittney.
Fatemi sapere che ne pensate!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 5
*** It's not over till you're underground ***


24 settembre 2012


IT’S NOT OVER TILL YOU’RE UNDERGROUND

Quella stronza dell’infermiera ha già ispezionato la tua stanza in quell’asettico edificio due volte in mezza giornata. Come cazzo pensa che tu possa esserti procurato roba quando te ne sei rimasto chiuso lì, senza alcun tipo di contatto, per tutto il tempo passato dalla sua prima perlustrazione, quella mattina? Non ti parla, nemmeno ti considera. La loro strategia è quella di metterti in un buco con quattro pareti bianche e un cazzo di letto e aspettare che tu faccia qualcosa. Tipo implorare per qualche pasticca durante una prima, dura crisi, o supplicare l’inserviente di farti uscire nascosto nello schifoso carrello delle pulizie, o magari tentare di ammazzarti. Poi, poi si vedrà. O no, caso mai ci riuscissi. Cammini solo, ma la tua è una passeggiata metaforica, sei troppo messo male per alzarti dal cazzo di letto. Hai detto passeggiata? Oh, no, no… la tua è una salita, di quelle che fa la gente su per quelle montagne rocciose da cui potrebbero spezzarsi massi a ogni picconata. E fa schifo. Com’era quel detto? Al mare e in montagna si va sempre in compagnia. Sì, giusto, così se ti viene un crampo e non riesci più a nuotare i tuoi amici ti riportano a riva. Dove cazzo erano i tuoi amici mentre il crampo ti prendeva il polpaccio, la coscia, e poi le braccia e poi il cervello? Dove cazzo sono i tuoi amici ora che stai annegando? Dove cazzo è la riva? Sei solo e stai andando a fondo. E sei consapevole del fatto che finché non smetterai di incolpare altri per quello che è successo… che sta succedendo, ci rimetterai soltanto tu. Perché puoi dire una cazzo di bugia ai tuoi fans, ai tuoi amici, alla tua famiglia, ma non puoi mentire a te stesso. Non puoi più. Perché il Karma, il destino, Dio o quel cazzo che ti pare, tornerà sempre a morderti le chiappe, finché non ammetterai di essere –stato– un idiota. Che cazzo resta da fare? Vale la pena, lottare? Che senso ha che il tuo cazzo di cuore continui a battere? C’è qualcuno ad aspettarti fuori da quella cazzo di finestra sbarrata? C’è qualcuno che rivuole il vecchio te, il vero te?

Flashback. Flashback del passato, della tua famiglia, dei tuoi amici, dei tuoi fans. Del palcoscenico. Di Blue. Del microfono attraverso il quale urlavi al mondo la tua verità. Senti la tua voce di un tempo, di quando ancora un briciolo di razionalità ti apparteneva. Urli. Ricorda che il secondo giorno è sempre migliore del primo.
Credi nella tua verità, Billie Joe. Credici, fino in fondo, con tutto te stesso. Perché quello è il vero te. Ed è così che il mondo ti rivuole.

Sei steso sul letto.
Chiudi gli occhi.
Ricorda che il secondo giorno è sempre migliore del primo.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.





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E niente, questo momento della sua vita sarà banale, abusato, sprecato per centinaia e centinaia di storie di fans che in realtà di Billie Joe non sanno proprio un cazzo. Bene, lasciatemi far parte di questa categoria, della categoria di persone che hanno provato a immedesimarsi in lui in quei primi, tristi e difficilissimi momenti in rehab e che poi ci hanno scritto qualcosa. Questo è il mio qualcosa.
Ricorda che il secondo giorno è sempre migliore del primo. Lo disse Billie Joe la seconda data di Bullet in a Bible a un pubblico stratosferico, non so nemmeno stimare quanta gente ci fosse ad ascoltarlo. A mio parere, comunque, dovremmo ricordarcelo un po’ tutti, tenerlo ben presente nei momenti più brutti della nostra vita, e magari la prenderemo un po’ meglio. …Magari me la tatuo in fronte, così me la ricordo bene, sì.
Se avete letto, vi ringrazio. Se vi è piaciuto, vi ringrazio. Se non vi è piaciuto, vi ringrazio.
Fatemi sapere che ne pensate!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 6
*** My time ticks around you ***


28 febbraio 1995


MY TIME TICKS AROUND YOU

Le parole ti si intrappolano nella mente, a malapena ricordi di continuare a respirare. Gli occhi… quelli li tieni bene aperti, devi imprimerti nell’anima ogni dettaglio, ogni millimetro di quella pelle, di quel piccolo sorriso di labbra nuove che lasciano le tue dischiuse e immobili, senza fiato che le sfiori. Sarà che tu sei uno pallido di natura, ma il suo viso paffuto ti sembra così roseo… Guarda, Billie, è proprio uguale al suo, anche nell’espressione che assume quando le dici che l’ami e lei si imbarazza. Tremando, gli posi le labbra sulla fronte, mentre una lacrima ti tradisce e scivola come un testimone dalla tua pelle alla sua. Il lenzuolino azzurro gli lascia scoperta una manina, le dita inconsapevolmente avvicinate al palmo, naturalmente. Forse ti dice di combattere. Per te, per lui. E tu sorridi, sorridi perché non c’era bisogno che te lo dicesse. Ora il tuo cuore è dentro di lui… come puoi non combattere se lui ha il tuo cuore in sé? Lotterai. Lotterete. Insieme, contro il mondo che vorrà farvi del male. Perché sai che succederà, prima o poi.
Poi.
Ora c’è solo il tuo amore.
E tuo figlio avvolto in fasce tra le tue braccia sicure di padre che crescerà con lui.
In un mondo di rabbia e dolore che non vi sfiorerà.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.





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AUTHOR’S CORNER
Mi sento terribilmente fluff ultimamente, non so se si è notato! Più rileggo questo capitolo, più mi sembra vomitato da un Lindor gigante! Però c’è una nota stonata (metaforica, per carità) e Billie Joe non può fare a meno di sentirsi, in qualche modo, ferito e incompleto, inquilino di un mondo a volte schifoso, ma quando si concentra su Joey… ecco, si capisce. Il “fattore cuore” l’avevo promesso, eccolo qua.
Bene, ora smetto di scrivere.
Buona Pasqua-Pasquetta-periodochemandaall’ariaognitipodidieta in ritardo!
Fatemi sapere che ne pensate!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 7
*** Highway to hell... Stairway to heaven ***


21 settembre 2012


HIGHWAY TO HELL… STAIRWAY TO HEAVEN

Cazzo cazzo cazzo! Perché l’ho fatto?! Perché sono un cazzo di idiota, ecco perché!
Tiri un calcio alla sedia con tutta la tua forza, le mani stringono i capelli neri spettinati. Continui ad urlare, urli e basta. Perché sei incazzato, sei spaventato… sei deluso. Stai tornando sobrio. Ti rendi conto della cazzata che hai combinato e i brandelli della chitarra appoggiati malamente sul divano della tua camera d’albergo non fanno che ricordartelo. Un altro calcio, un’altra imprecazione. E vai avanti così, ancora e ancora. Crolli per terra solo quando le tue gambe, esauste a forza di calci, smettono di sostenerti. Il pavimento freddo e quasi un balsamo per le mani torturate per l’incazzatura, rabbrividisci. Il peggior post sbornia di sempre, pensi. Poi scoppi a ridere improvvisamente, come il cazzone che sei. Sbornia, a chi vuoi darla a bere! Sonniferi, alcool e roba, altro che qualche birra di troppo. La schiena contro la gamba del tavolo, pieghi le gambe e appoggi i gomiti sulle ginocchia, mentre ti stringi la testa tra le mani. Il casino che hai combinato te la fa scoppiare, la testa. Quel casino ce lo senti dentro, riascolti in un groviglio le tue urla incazzate, le stronzate che uscivano dalla tua bocca, anche se stronzate non erano. Quando è successo? Quando è successo che rimanessi solo ad affondare nella merda fino al collo? Sei solo, solo e non fai un cazzo per nuotare via da quel fiume di dipendenza. Ecco cos’è, Billie Joe, deciditi ad ammetterlo. Smetti di fare il coglione per una volta e ammettilo. Fai qualcosa. Combatti, cazzo! Ma poi… per cosa? Per chi? Sei solo, è un circolo vizioso. Sei solo ad annegare i dispiaceri nell’alcool inghiottendo compresse, e ora anneghi nelle tue lacrime, nelle tue lacrime disperate e incazzate. Solo.
Senti un rumore, tipo quello di quando sei entrato richiudendoti la porta della suite alle spalle, ma questo è più… gentile.
Sei solo e non senti perché non ascolti.
Una tessera magnetica cade a terra.
Sei solo e continui a non sentire, i capelli stretti tra le dita.
Un passo dopo l’altro, qualcuno ti si avvicina.
Sei solo. Sei solo.
Adrienne si siede vicino a te, ti abbraccia, il mascara continua a rigarle le guance già segnate.
Ti sbagliavi ancora, anche su questo.
Non sei solo.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.





AUTHOR’S CORNER
Questa è venuta così, di getto, dopo giorni e giorni di totale stallo creativo. Dieci minuti di pura follia letteraria in una ordinaria domenica.
Pubblico subito, senza tanti fronzoli, prima che mi passi la voglia e cominci a considerare l’idea che questa cosa è una cazzata.
Il titolo è banalissimo, ma pure lui è venuto fuori così e al momento non mi viene in mente niente di meglio.
Scusate anche il linguaggio, ma non penso che Billie Joe possa essere mentalmente educato. No, ok, è perché non so essere educata neanch’io. Né quando penso, né quando scrivo.
Fatemi sapere che ne pensate!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 8
*** Do you think what you need is a crutch? ***


22 settembre 2012


DO YOU THINK WHAT YOU NEED IS A CRUTCH?

L’orologio digitale sul display del tuo telefono segna ormai le sei, il che significa che stai cazzeggiando tra le strade e i vicoletti di quella squallida città da almeno un’ora e mezza dopo la scuola. Tua madre ti ha scritto in un messaggio che sono arrivati a casa e che ti aspettano, lei e papà. Lei e tuo padre. O quel cavolo che è diventato a tuoi occhi dopo la cazzata di una manciata di ore prima. Possibile che la persona che, dopotutto, ti ha insegnato a vivere abbia mandato tutto a puttane così? Non che voi tutti non ne sapeste niente, eh. Ma, cazzo, un crollo così non se lo aspettava nessuno. Non te lo aspettavi tu. E sei solo impaurito, incazzato e preoccupato per tutto quello che vi toccherà passare. Ma più di tutto sei deluso, deluso a un livello che non credevi possibile. Forse perché sono proprio le persone che amiamo di più quelle che, prima o poi, ad un certo punto del cammino, ci deluderanno nel modo peggiore, inaspettatamente, ferendoci più intimamente di chiunque altro. Un pensiero si fa largo nella tua mente, dettato dalla rabbia e dall’orgoglio e, forse più di tutto, dall’amore, anche se inconsciamente lo neghi, e i tuoi piedi, altrettanto inconsapevolmente, ti riportano sulla via di casa. Paradossalmente, vuoi dimostrare di essere più coraggioso di lui, di avere più palle di lui. Di essere migliore di tuo padre. O almeno dell’uomo che è diventato. Sfili il mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans, la chiave nella toppa. Con un fuoco di rabbia e delusione che ti arde dentro, alimentato dall’orgoglio e dal rancore, percorri il largo corridoio luminoso verso il salotto, dove pare nessuno abbia udito del tuo arrivo. Ti blocchi sulla soglia e osservi tuo padre, di spalle, e tua madre, di fronte a lui. Stanno litigando tanto animatamente che lei non si accorge che sei a casa. Non che tu ti sia palesato, comunque. Non li ascolti, il vederlo ti ha fatto ricordare quanto profondamente, indelebilmente sei incazzato con lui. Capti solo qualche parola ricorrente, parlano di riabilitazione, cliniche, fottuta dipendenza e puttanate combinate, stronzate tra le quali quella di Las Vegas è solo la punta dell’iceberg. Sembra che tua madre abbia pianto. Non che questo la renda più fragile o meno incisiva. È una macchina da guerra quella donna, quando vuole. Quando serve. Ad un certo punto, ti arrendi. Fai un passo, sei proprio sotto l’architrave della porta. Lasci cadere il tuo zaino a terra. Rudemente, nello stesso modo in cui tutto quel polverone ti ha travolto. Rumorosamente, nello stesso modo in cui la delusione ti ha spaccato in pezzi il cuore. Adrienne mette a fuoco la tua figura ancora parzialmente immersa nell’ombra. Tuo padre esita, tua madre incrocia allora il suo sguardo, imperativa e rapida. Rimanete tutti immobili, tu fissi gli occhi sulla schiena di tuo padre, fiero e saldo.
Codardo, cazzo. Anche verso di te.
«Tu mi hai insegnato a vivere, ma forse riesco ancora a non ridurmi come te».

Realizzi, capisci.
E per un attimo, ti si blocca il respiro.






AUTHOR’S CORNER
Ok, torno con qualcosa che spero vi piaccia, dopo un attesa pressoché eterna, della quale mi scuso tantissimo (?). Blocco dell’autrice (scrittrice è troppo) e zero tempo per cercare di porvi rimedio, zero idee e zero voglia. Però, finalmente, dopo settimane di tribolazioni, qualcosa ho partorito.
Il titolo è un verso di Homecoming, che, tra l’altro, mi spezza fottutamente il cuore ogni singola volta. “Pensi che ciò che ti serva è un sostegno?”. Non so, mi piaceva perché Jacob, ecco svelato chi è il protagonista di questa cosa, è tanto, ma tanto incazzato con suo padre e delusissimo dal suo comportamento. Billie Joe sta cominciando a capire che è arrivato al punto di non ritorno e che gli serve un aiuto ma è difficile, e Jacob è incazzato nel senso che “adesso che hai fatto la cazzata grossa vuoi farti aiutare! Svegliati prima, Billie Joe!”.
Il fatto che gli ha insegnato a vivere è sempre una citazione di Homecoming, “You taught me how to live”. Niente, cuore spezzato ancora.
Ok, so che non è chiaro per niente, ma spero vi sia piaciuta e che mi lascerete un vostro parere, anche se mi dite che fa schifo!

A presto (si spera),
Lally_Weasley

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Capitolo 9
*** I hope you had the time of your life ***


23 luglio 2011


I HOPE YOU HAD THE TIME OF YOUR LIFE



Ingoi una pillola.
Non andare, non andare
Un’altra. Un ansiolitico, questa volta.
Ti voglio in giro
La birra nella sinistra, un sorso dopo l’altro.
Il flacone di sonniferi sempre più vuoto.
Nessuno sa davvero cosa hai nell’anima
La tua mente sempre più veloce, confusa.
So a malapena il tuo nome
Il rumore del vetro lanciato a terra.
Macchie di sangue sulle tue scarpe
Un’altra birra si sgasa mentre la apri.
Vuoi essere mia amica?
Adrenalina in circolo, allora una manciata di calmanti in bocca.
Sono i tuoi guardiani, ti tengono sotto controllo.
Ti sei tatuata un portafortuna che ti tenga al sicuro?
Si fotta tutto, sei a posto così tu. Stai bene.
Non ti ha mai veramente tenuta al sicuro
Sfili la bottiglia di tequila dal mobiletto dei liquori.
Vuoi essere mia amica?
Gli occhi ti bruciano, dentro esplodi e non lo senti.
E ti sei allontanata dal tuo drink
Le poche gocce che non sono passate attraverso la tua gola macchiano il tappeto del soggiorno.
Barcolli verso il divano.
Mi concederesti quest’ultimo ballo se ci incontrassimo?
Perdi un sacco di tempo. Sprechi tutto. Non ti importa di altri oltre a te.
Ventisette anni passati senza lasciar traccia
Ti fai schifo a volte, ma poi pensi che è una stronzata. Sei grandioso.
Ridi come un pazzo, sei uno fantastico tu.
Puoi scrivermi una ninnananna?
Se avessi una pistola in bocca a quest’ora avresti un proiettile, probabilmente.
Cantiamola per farti addormentare

















AUTHOR’S CORNER
Salve salvino!
Inizio scusandomi della ridicola assenza, ma è stato un mese assurdo, con zero tempo e ancor meno ispirazione.
Fino a giovedì. Il 6 giugno, nel caso non vi andasse di guardare il calendario.
Ecco, quella sera ha significato e significa tutto per me. Dico sul serio, TUTTO.
La “storia” è un parallelismo tra Billie Joe e Amy Winehouse, per la quale (nel caso non lo sapeste) è stata scritta la canzone “Amy” (che sorpresa). I versi della canzone sono in corsivo e parlano di lei, in “normale” parlo di Billie Joe e di come secondo me è nata l’idea di scrivere di/per Amy e il testo in sé. Me lo immagino tipo seduto a un tavolo, in piena notte, mentre gli altri dormono e fuori piove, che prende medicine e alcool alla cazzo e intanto scribacchia qualcosa su un foglio, sobrio un po’ sì e un po’ no, finché ci riesce, poi, una volta sparita l’isteria e l’eccitazione, si butta sul divano e si sente di merda. L’ultimo verso è cambiato apposta, perché così dà più un’idea di incisività rispetto a “Così possiamo cantarla per farti addormentare”. Secondo me, trasmette proprio la volontà tagliente di un Billie Joe depresso, stanco di tutto e di tutti, che quasi quasi un po’ invidia Amy perché ha avuto più palle di lui e in fondo la ammira.
Non c’è la solita frasettina che riprende il titolo, ma ve lo dico qua: il suo respiro si è bloccato per un attimo.
Lungo e inutile poema a parte, faccio tre ringraziamenti.
A No one Knows, che mi ha indirettamente (anche se non tanto ‘in’) ispirato questa storia.
A Any_, che è un mito.
Ai Green Day, che rappresentano per me qualcosa che non riuscirò mai a descrivere con delle fottute parole, che ci sono e ci saranno sempre. Che si sono portati via dall’Unipol Arena un bel pezzo del mio cuore e che, sì, mi hanno regalato il tempo della mia vita. Lo so che la traduzione non è questa, ma per me è così. Quelle tre ore sono state la mia vita.

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 10
*** Sometimes you're at your best, when you feel the worse ***


16 giugno 2001


SOMETIMES YOU’RE AT YOUR BEST, WHEN YOU FEEL THE WORSE

Sono le sette e un quarto di mattina, di un sabato mattina per essere precisi.
Tua moglie e i tuoi figli sicuramente dormono… e come biasimarli, pensi.
Stai per entrare in casa tua nello stesso modo in cui lo farebbe un ladro, o quasi. Beh, tu le chiavi perlomeno le hai. Così, con leggerezza, malgrado in volo tu non abbia dormito poi molto e il tuo viso possa eufemisticamente essere definito stanco, abbandoni il trolley nero un paio di gradini sotto di te e infili la chiave nella serratura. Piano, cercando di non fare rumore, ruoti saldamente il polso verso sinistra, un paio di volte. Sembri uno scassinatore consumato… o un papà a cui piace fare sorprese. Entri, sembra proprio che tu non abbia svegliato nessuno. Anche perché le vostre camere sono un piano e diversi metri lontane dall’ingresso. In ore di volo, non hai pensato a come stupire i tuoi famigliari senza far prendere loro un infarto al risveglio. Eh, questo in effetti non ha mai molto preoccupato un tipo come te. Almeno in apparenza. Alla fine, opti per una scelta, diciamo così, comoda: il tuo morbido, grandissimo letto ti attrae parecchio, e decidi che ti saresti semplicemente disteso accanto a tua moglie. Così avresti visto il sorriso che tanto ti mancava quando dormivi solo in stanze d’albergo sparse per il mondo non appena si fosse svegliata. E, soprattutto, avresti causato un solo arresto cardiaco mattutino. Ti togli la giacca di pelle (decisamente troppo calda per la California, ma ancor più decisamente troppo impicciosa per il tuo piccolo trolley) e la lanci sul divano da una distanza di un paio di metri. Anzi no. Altra idea. La riprendi, sali le scale in silenzio e la posi sul pavimento, come se fosse stata lasciata cadere, davanti alla porta della stanza di Joey, la prima sulla destra. Avanzi e, sulla sinistra, davanti alla porta socchiusa della stanza del piccolo Jakob ti sfili e abbandoni una scarpa. Infine, davanti alla camera matrimoniale, lasci l’altra. Spingi piano la porta semidischiusa e ti si illuminano gli occhi vedendo tua moglie raggomitolata nel suo lato del letto con le braccia attorno al tuo cuscino. Dopo tutti questi anni, vi riscoprite innamorati come due pazzi diciottenni ogni volta. Perché, in fondo, che lo vogliate o no, da qualche parte, siete ancora quei due pazzi diciottenni. Senza ulteriori indugi ti distendi accanto a lei, ancora profondamente addormentata.

Sei talmente agitato e, un po’ infantile a dirsi, emozionato all’idea di rivedere e riabbracciare la tua famiglia dopo quarantuno (sì, tieni il conto esatto) giorni di forzata lontananza da non riuscire a prendere sonno, malgrado la stanchezza, neanche per dieci minuti. Passato poco più di un giro della lancetta corta del tuo orologio, vedi le palpebre di Adie dischiudersi lentamente e, in silenzio, ti giri sul fianco e ti sollevi un po’, puntando il gomito sul letto, come per guardarla meglio. Come se non l’avessi già osservata in quell’intimo momento che separa il sonno e la veglia almeno un milione di altre volte. Mentre la osservi, lei distende il braccio poggiato sopra il cuscino in un primo, maldestro tentativo di stiracchiarsi. Senti i suoi polpastrelli raggiungere e sfiorare la t-shirt che indossi, all’altezza dell’addome e, contemporaneamente, vedi i suoi occhi spalancarsi in fretta. Formuli la preghiera più rapida che il mondo abbia mai visto (o quasi), augurandoti che la sua immediata reazione sia di gioia, e non un urlo di paura al pensiero di avere un ladro stupratore steso accanto.
Grazie al cielo, è la prima.
In un secondo, ti è addosso, ti abbraccia forte e il suo profumo, il suo corpo stretto attorno al tuo, la tua pelle contro di te sono il successo più anelato, il balsamo per ogni ferita della vita, il premio che ricambia ogni dolore.
«Che ci fai tu qui?» Ti sorride, con il viso appena umido di lacrime di gioia. È vero, della risposta non gliene frega niente, è solo una scusa come un’altra per sentire la tua voce. Dal vivo, a pochi centimetri dalle sue orecchie, non da un oceano di distanza attraverso un cellulare.
«Ti amo». Che cosa stupida! Ti chiede come mai ti sei fatto otto ore di volo dalla Francia per essere lì di primo mattino, quando il giorno seguente avresti dovuto già essere di nuovo in Europa e tu le rispondi che la ami. Beh, forse non è poi così fuori luogo come risposta. Anzi, è proprio il centro della cosa. È vero, sei lì perché la ami. E ami i vostri figli. La guardi per così a lungo negli occhi che pensi di non poter smettere mai più. Poi lei ti si avvicina e ti lascia un piccolo bacio sulle labbra, uno di quei baci teneri e infantili che sono davvero apostrofi rosa tra le parole t’amo. Le passi le mani tra i capelli e per un bel po’ di tempo ve ne restate semplicemente sul letto come due ragazzini, abbracciati, con lei seduta tra le tue gambe fasciate in jeans neri piuttosto pesanti e le sue, scoperte dal ginocchio in giù, allacciate dietro la tua schiena.

«Papà!» Le voci più belle che tu abbia mai ascoltato ti perforano i timpani ovattati dalla porta della camera e, nel giro di tre secondi, i tuoi figli scalzano Adie dalle tue braccia e vi si fiondano come due missili.
«Papà! Sei tornato!» urla ridendo Jakob, aggrappandosi al tuo collo battendo sul tempo Joey. E così, bastano due marmocchietti in pigiama per scioglierti e mandare brillantemente a quel paese la tua corazza da dura, imperturbabile rockstar. Non riesci neanche a parlare, con quei due esserini stretti tra le braccia. Vuoi solo coccolarteli e tormentarli un po’, è la cosa che più ami fare al mondo. Vedi distrattamente Adie sbirciare veloce con la coda dell’occhio la data sullo schermo del cellulare, per poi ricominciare a fare il solletico a Joey, che ride come un matto, lasciandoti libero di vedere una nuova finestrella tra gli incisivi. Una finestrella che non c’era quando l’hai salutato prima di partire per il tour. Il tuo sorriso si fa malinconico per un millesimo di secondo, ma poi inconsciamente decidi che di tempo da sprecare rimuginando non ne hai e torni a ridere e scherzare con quei batuffolini sul letto sfatto.
Improvvisamente, mentre lasci a Joey e a Jakob il tempo di riprendere il fiato (bugia: una pausa serviva anche a te) e vedi che si stuzzicano i pigiamini a vicenda, tua moglie ti siede accanto e ti passa un braccio attorno alla vita.
«Sei un papà meraviglioso, lo sai, vero?» ti sussurra all’orecchio, commossa, seria e malinconica allo stesso tempo. Le stringi istintivamente la mano che ha poggiato sul tuo ginocchio.
«Adrienne, dovevo esserci oggi, dovevo», bisbigli in fretta, parlando più a te stesso che a lei.
«Lo so», dice calma, avvolgendoti di più in vita.
«Non voglio che non abbiano nessuno a cui fare gli auguri oggi. Lo so che sono troppo piccoli per queste cose, ma… non voglio. Importa a me». Parli tutto d’un fiato, mentre avvicini la testa a quella di Adrienne. Ti posa un bacio tra i capelli e ti accarezza il viso, portandoti ad appoggiare la testa nell’incavo tra il collo e la spalla scoperta. Per un precario istante, ti abbandoni al peso del dolore, alla morsa che ti stringe lo stomaco, tra le braccia della donna che ami. Poi una rinnovata, contagiosa risata raggiunge le tue orecchie e ti fiondi sorridendo sui tuoi figli, pronto a una nuova, infinita sessione di giochi, salti e solletico. Senti a malapena Adrienne, seduta al tuo fianco.
«Buona festa del papà, Billie»

E per un attimo, ti si blocca il respiro.






AUTHOR’S CORNER
E niente, ecco cosa partorisce la mia mente contorta in una noiosa, calda domenica sera-notte. Il capitolo sembra eterno, se confrontato con gli altri, ma boh… mi è venuto così. Dopo tutta la depressione dei precedenti, volevo una bella dose di fluff, anche se una puntina amara ce la dovevo infilare per forza. D’altra parte, è proprio l’idea di partenza, il fatto che Billie Joe non voglia mai mancare per i suoi figli. Il giorno è, come avrete capito dalla battuta finale, quello in cui si festeggia la festa del papà in America e oggi (cioè, ieri!) mi sentivo molto ispirata sull’argomento. Una cosuccia che ci tengo a far notare: il fatto che un semplice dentino da latte caduto porta Billie Joe a rendersi conto che, per via del suo lavoro, che malgrado tutto lui ama alla follia, si perde un bel po’ di cose della sua famiglia (anche se ho un po’ calcato la mano, non credo che stia via senza mai vederla per così tanto… almeno spero!).
Bon, ora vado, vi ho già stufato abbastanza, ma dopo mesi di quasi totale stitichezza (!) creativa, un po’ logorroicità (?) mi sa che sia inevitabile!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 11
*** For what it's worth, it was worth all the while ***


3 novembre 2009


FOR WHAT IT’S WORTH, IT WAS WORTH ALL THE WHILE


Una corsa veloce, eppure così ponderata, a lato del palco. Afferri la Gibson nera, la stringi impercettibilmente a te mentre cammini avanti, in mezzo a tutti loro. Sembri sfrontato, sicuro.
Sei uno showman, con il cuore d’amante.
Sei al centro della passerella che si spinge in avanti, circondato. E sei un po’ a casa.
Sistemi meglio la fascia che regge la chitarra sulla spalla sinistra, ti scosti i capelli sudati dalla fronte e respiri, ti prendi un mare di tempo, anche se le lancette dei secondi dentro quell’arena non ticchettano che un paio di volte. Come se potessi udirle, nell’emozionata, sospesa attesa di migliaia di persone.
Le dita strisciano automaticamente sulle corde, stringendo un plettro scuro.
Le hai suonate così tante volte quelle note che ormai non ci fai nemmeno caso.
Eppure ogni volta è come la prima. E urli al mondo la tua anima con quelle parole di merda e vita insieme e quei suoni armonici.
Ci siamo divertiti. È stato molto bello. Ma ora vai, cazzo, vai, che io non mi guardo indietro. Ne valeva la pena, ma poi… poi non più. Sei il passato, e ad esso appartieni. Addio, Amanda, e vaffanculo.
Chiudi gli occhi per un secondo, mentre la mano sinistra scivola giù lungo il manico smaltato.
I rimpianti li lasci a qualcun altro. Hai lottato, hai amato… hai vinto. Anche se ti eri sbagliato. Su tutto, fin dall’inizio. Non avevi capito niente, non ancora.
I flash di un passato che è e sempre sarà presente scorrono nella tua mente, le iridi ancor più brillanti sotto la luce bianca del faretto per pochi istanti, mentre con lo sguardo sembri voler attraversare il tuo avambraccio, per fissarti a contemplare un photostrip tatuato.













AUTHOR’S CORNER
Ehilà! Scusate l’assenza (ok, sono consapevole che mi leggete in pochissimi e che fondamentalmente ve ne frega poco o niente, ma vabbè! x°D), ma ero in completo stallo creativo! Sono riuscita finalmente a scrivere questo capitolo (a cui tenevo tantissimo) dopo aver letto (e inondato di lacrime) per l’ennesima volta l’analisi di Good Riddance nel libro con i testi dei Green Day commentati (che, tra l’altro, è il miglior libro che io abbia mai letto! Lo amo, dico davvero); non è stata una cosa facile considerando che non avevo ancora ascoltato la canzone dal concerto di Bologna, se non una volta, proprio guardando il video del concerto di cui parlo. Ah, a proposito, è quello di Monaco nel 2009, del tour di 21st Century Breakdown. Basta, finisco qua il mio monologo insensato e vi saluto!

A presto,
Lally_Weasley

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Capitolo 12
*** There's no return from 86 ***


12 dicembre 1994


THERE’S NO RETURN FROM 86



Che ci faccio io qui, eh?
Io ci sono nato qui. E ci sono cresciuto. È qui che tutto è cominciato, e che nulla è mai stato come prima.
Neanche questo posto è come prima, in effetti.
O almeno non lo è per me.
Mi squadri da capo a piedi, mi sputi contro e mi mandi a fanculo, come fossi un figlio di papà ben vestito, un cazzo di infedele.
Rinnegato, esiliato.
Tutto quello che mi offri è una porta sul retro, dopo tutto il sangue che ho sputato qui, dopo tutto il sudore speso prima sotto e poi sopra quella merda di palco cadente, tra il puzzo di vomito e le nuvole di fumo.
Devo solo lasciare spazio al prossimo perché sono un fottuto venduto, non è così?



Ma hai ragione, in fondo. I miei giorni qua sono finiti.
Non ci provo neanche a rimediare, tanto non torno con la coda tra le gambe.
Perché non ho sbagliato. Non sono sbagliato.

Vuoi sapere se sono qui perché ho perso qualcosa l’ultima volta che ho messo piede in questo posto?
Sì, eccome. Ma non l’ho affatto perso, questo qualcosa. Ce l’ho lasciato, qua. Ci ho lasciato la vecchia merda. Ci ho lasciato chi in fondo non capisce un cazzo come te. E non mi vengo a riprendere nessuno dei due.
Perché se credi che questo sia tradire ti sbagli, e anche di grosso.
Tieniti pure le tue vecchie idee stantie piene di alcool e roba, mentre io non dimentico niente di tutto quello che qui ho dato e avuto.
Io vado avanti.







Non posso davvero più tornarci in quel posto. Lo conserverò nel mio cuore per il resto della mia esistenza, ma le cose sono cambiate. [Billie Joe Armstrong, 1995]


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AUTHOR’S CORNER
*si nasconde sotto la scrivania per schivare lo schermo da ottantadue pollici profondo quaranta centimetri lanciatole*
Salve salvino, lettori impavidi che siete giunti fin qua!
Allora, il capitolo! Ho provato a raccontare cosa succede nella testa di Billie Joe quando lo cacciano dal Gilman perché considerato “traditore” e bla bla bla, in quanto aveva pubblicato con una major andando contro agli ideali punk (ahahahahah!) e bla bla bla. Il coso che ho scritto è un po’ un flusso di pensieri che Billie Joe rivolge idealmente a tutti i frequentatori del Gilman che gli danno contro. La canzone (dio, libro sui Green Day ti amo più della mia stessa vita!) è dal punto di vista del “capo” del Gilman e ci sono un po’ le accuse e le cose bastarde con cui dà addosso a Billie Joe quando lui ci ritorna post-successone di Dookie nel dicembre del ‘94. Nella prima parte del capitolo, pensavo a un Billie Joe incazzato, deluso e… beh, ancora incazzato, perché lui non ha “tradito il Gilman”, nella sua visione delle cose, anzi. Poi, pian piano, Billie Joe si rende conto che alla fine chi ci rimette è il Gilman stesso, e tutta la gente che lo frequenta, ed è lui a mettersi il cuore in pace nel mandarlo un po’ a quel paese, conscio però che porterà con sé il “capitolo Gilman” per il resto della vita, con tutti i ricordi che ha di quel posto.
Che sproloquio indegno, signori miei.
Vi ringrazio per la lettura e vi saluto… Un Tré selvatico è appena apparso nella mia stanza (?). E sì, sono appena tornata dalle (noiosissime) vacanze.

A presto,
Lally_Non-metto-il-cognome-perché-“Weasley”-mi-ha-stufata-ma-non-riesco-a-seglierne-un-altro

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