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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Part One: The first glance. *** Capitolo 2: *** Part Two: Part of that World. *** Capitolo 3: *** Part Three (Part I): Les Amis de L’ABC cafè. *** Capitolo 4: *** Part Three (Part II): Les Amis de L’ABC cafè. *** Capitolo 5: *** Part Four (Part I): What’s the color of your Soul? ***
Titolo: Le couleurduDésir Rating:Arancione. Betareader: ElfoMikey Avvertimenti: Ho
modificato alcuni eventi, rispetto all’opera originale, cercando però allo
stesso tempo di mantenere integre le personalità originali dei protagonisti e di
dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Genere: Romantico, malinconico e, naturalmente, storico.
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo personaggio.
Disclaimer:Non possiedo la maggior parte dei personaggi di questo
racconto, poiché essi sono usciti in un primo momento dalla penna di Victor
Hugo e, successivamente, rielaborati dal genio di Claude-MichelSchönberg. I soli personaggi che mi appartengono sono
quelli che ho io stessa inventato, ovvero Camille
Dupont e la sua famiglia. I fatti narrati sono in parte inventati da me e
in parte sempre ispirati dall’opera ‘LesMiserables’ di Hugo, seguendo però il filone narrativo del
musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’ anche secondo Grantaire.
Ma, come ogni uomo mortale, egli ha anche un lato umano….
Il rosso è il colore degli uomini irati e del
cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le sfumature di un’anima
innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo Enjolras
lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius
glielo spieghi alla vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il sentimento umano più forte
dell’amore?
La pioggia le
scendeva sul viso come una lenta carezza, portando con se l’odore forte del
marciapiede fetido e delle zolle di terra smosse del vicino campo santo.
I capelli le si
attaccavano continuamente al collo, nonostante fossero parzialmente raccolti in
uno stretto chignon, e lei li scostava infastidita, cercando di frenare il
tremore alle labbra causato dal freddo e, al tempo stesso, di scaldarsi le
braccia sotto allo scialle leggero nella quale si era avvolta per uscire.
Camminava veloce,
cercando di tenere stretto il piccolo cestino di vimini che portava
sull’avambraccio. Era mattina presto, l’alba non aveva ancora tinto con spruzzi
rosati la tela celeste.
Doveva sbrigarsi a
comprare il pane e tornare a casa per preparare qualcosa di caldo per il padre,
prima di vederlo recarsi come ogni giorno al lavoro.
Per poi dedicarsi
alla sua, di giornata.
A lei sarebbero
toccati i soliti compiti giornalieri. Essere la seconda figlia, per Camille Dupont, era una benedizione e una maledizione allo
stesso tempo. Mentre suo padre lavorare presso Monsieur Leblanc
alla conceria di pelli sulla Senna e sua sorella maggiore Eloise
cuciva le vesti dei soldati presso una sartoria alla fine Rue De Battignolles, lei passava la giornata tra le quattro mura della
loro modesta casa, ad occuparsi di sua sorella minore Odette
e della loro madre, Yvonne.
Da qualche tempo,
la donna era malata e Camille iniziava ad avere cupi
presagi su quella malattia che in molti chiamavano Tisi. Ne aveva sentito
parlare, si era a suo malgrado informata e nell’apprendere che il degenerare
progressivo di quella tosse vermiglia avrebbe condotto sua madre tra le braccia
del Signore, una fitta al cuore l’aveva quasi fatta piegare su se stessa.
Cosa poteva fare?
Erano poveri.
Non così tanto da
dover passare le giornate sui marciapiedi a chiedere l’elemosina o a vendere un
po’ di amore a soldati e gentiluomini dal dubbio onore, ma abbastanza da
impedire che un dottore potesse occuparsi di quel morbo con le opportune cure.
Era così concentrata
su quei pensieri tristi, da non accorgersi che aveva smesso di piovere e i
primi raggi di sole caldo presero ad illuminare i marciapiedi di Place de la Concorde, facendoli brillare.
Passando accanto
alla fontana al centro della piazza vi si fermò, sedendosi un istante per
concedere ristoro ai suoi piedi, infreddoliti a causa della pioggia che aveva
impregnato il tessuto logoro delle scarpe che indossava.
Appoggiò accanto a
sé il cestino, levandosi lo scialle. Sospirò, scostando una ciocca che, sfuggita
al concio, le dava fastidio. Poi si voltò verso sinistra, sentendosi
improvvisamente osservata.
Fu allora che li
incontrò.
Un paio di
bellissimi occhi grigi, che spuntavano appena sopra il bordo di un libro dalla
copertina rossa ed eleganti scritte dorate sul dorso.
Passarono diversi
istanti prima che la giovane potesse trovare la forza di rompere quell’incanto
venutosi a creare in modo tanto inaspettato, potendo così rimirare infine la
figura del giovane che sembrava a sua volta così interessato dalla sua presenza.
Non credeva di
averlo mai visto – un volto così bello non se lo sarebbe dimenticata
facilmente. Aveva un viso dai tratti decisi, ricci capelli color grano e un bel
portamento.
Era senza ombra di
dubbio ricco, lo poteva notare dalle vesti che indossava.
Poi sapeva senza
dubbio leggere e l’istruzione era un bene che solo i privilegiati potevano
avere.
Sembrava uscito da
una di quelle favole che suo padre raccontava ad Odette
in quelle sere in cui non era troppo stanco da andare a dormire subito dopo un
piatto di zuppa.
Ed era, al tempo
stesso, fuori luogo.
Cosa ci faceva un
ricco da quelle parti? Al mercato, poi. La Rue DesChamps-Elysees iniziava proprio alla fine di quella piazza,
erano un covo di prostituzione e malavita. Non erano un posto dove un giovane
di buona famiglia doveva cercare il suo svago.
Quel giovane,
invece, sembrava quasi possedere quella fontana, visto il modo in cui vi sedeva
sopra. Sicuro, fiero.
Aveva un’aria
decisa.
Camille sentì il viso
andarle a fuoco, constatando che erano parecchi minuti che i due si stavano
studiando a vicenda. Abbassò lo sguardo, sentendo la ciocca di prima ricaderle
nuovamente sugli occhi, mentre le guance si tingevano di rosso vermiglio.
Trovò il coraggio
di guardarlo nuovamente solo dopo aver cercato inutilmente di frenare il suo
cuore, che correva più veloce di quattro giovani purosangue al traino di una
carrozza, e ancora lui la stava guardando con interesse.
Un piccolo sorriso
si disegnò sulle labbra rosee del ragazzo, e lei non riuscì a non ricambiarlo.
Il giovane abbassò il libro, poggiandolo sulla coscia e muovendosi in avanti
con il busto e alla ragazza mancò il fiato.
Che stesse per
andare da lei? A parlarle?
Istintivamente alzò
lo scialle rimettendolo sulle spalle affinché lui non notasse quel vestito
vecchio e sbiadito che indossava, ma non accadde nulla. Un altro ragazzo si
affiancò al biondo, sedendosi accanto a lui e iniziando a parlargli
concitato di qualcosa, distogliendo del tutto il suo interesse da Camille.
Lei sospirò,
spostando di nuovo i capelli indietro e alzandosi dalla fontana. Aveva
indugiato anche troppo, doveva assolutamente tornare a casa per portare il pane.
Si avviò così verso
il banco del panettiere, sospirando al pensiero di quegli occhi freddi che
l’avevano fissata per lungo tempo. Freddi, certo, ma con una scintilla di pura
passione ad illuminarli e renderli più vivi del fuoco scoppiettante.
Stava per
avvicinarsi alla bottega del fornaio quando, sulla sinistra, notò una piccola
bancarella, quasi nascosta tra le altre. Tra i piccoli scaffali di cui era
composta, notò tanti piccoli barattoli di erbe così, incuriosita, si avvicinò.
La Belladonna faceva mostra di sé, appesa accanto a moltissime altre erbe
e la giovane riuscì a riconoscerla solo dalla forma singolare delle foglie
larghe.
La guardò, pensando
che sarebbe stata un ottimo rimedio all’insonnia di sua madre. Non dormiva bene
a causa dei frequenti colpi di tosse e si svegliava di soprassalto, non
riuscendo più a conciliare il sonno. Aveva così tanto bisogno di dormire…
Prese il borsellino
di cuoio conciato che aveva nel cesto e contò le monete, notando che non ne
aveva abbastanza per comprarsi poi il pane.
Sospirò, alzando di
nuovo gli occhi verso i rametti della pianta, appesi e lasciati ad essiccare.
Lanciò uno sguardo alla donna che gestiva la bancarella e la trovò troppo
impegnata a discorrere con quella che pareva un’amica per poterle prestare
attenzione.
Si morse il labbro,
decidendo che nessuno si sarebbe accorto della mancanza di un paio di foglie.
Si avvicinò
maggiormente, fingendosi interessata ad una particolare varietà di fiore e
appena la proprietaria distolse lo sguardo da lei allungò la mano oltre lo
scialle strappando una foglia e nascondendola sotto di esso.
Fece per prenderne
un’altra ma il suo polso venne catturato da una mano quasi scheletrica.
Sobbalzando per lo stupore, Camille si voltò
trovandosi davanti la proprietaria che la guardava con sguardo crudele “Cosa
vedo qui? Una ladra!” disse a voce alta, facendo sbiancare la giovane e
attirando molti sguardi.
“No,Madame, io-”
“Conserva il fiato
per la corte, ladra!” inveì la donna, strattonandola lontana dalla bancarella e
spinta. Cercando di conservare l’equilibro pestò sulla veste e caddè, rovesciando il cestino e perdendo così la
foglia.
Si guardò attorno
intimorita mentre un crescendo di mormorii si alzava sempre di più e una
piccola folla la accerchiava.
Tentò di rialzarsi
e andarsene, ma una voce la bloccò, lasciandola impietrita in quanto la
riconobbe immediatamente “Cos’è questo scompiglio? Fate rapporto a me!”
L’ispettore Javert.
Camille deglutì, alzandosi
in piedi, reggendo con le mani tremanti il cestino; l’ispettore aveva una
triste fama, tra il popolo. Non c’era mai pietà nel suo sguardo e sicuramente
l’avrebbe portata in galera anche solo per una misera foglia di belladonna.
Quando apparve tra
la folla, seguito da un paio di poliziotti, Camille
si sentì venir meno e solo la paura la tenne in piedi, come bloccata. Strinse
di più il cestino.
“Questa giovane ha
tentato di derubarmi!” la proprietaria si fece subito avanti, dopo aver
raccolto la foglia da terra, come prova del reato appena commesso ai suoi
danni.
L’ispettore la
guardò per un istante, prima di ruotare il busto e rivolgersi a Camille “Avete qualcosa da dire Madamoiselle?”
domandò con voce sottile l’uomo, fronteggiandola con sguardo duro “Potete
giustificarvi?”
La giovane
socchiuse le labbra, cercando di spiegarsi ma sapeva che era inutile. Sarebbe andata
in galera, avrebbe deluso la sua famiglia e chissà cosa sarebbe potuto
accaderle. Cosa ne sarebbe stato di lei se sui suoi documenti avessero letto,
in futuro, che era una ladra?
Abbassò lo sguardo,
sapendo che solo quello sarebbe stato inteso come un evidente segno di
colpevolezza e aspetto di sentire la sentenza.
Ma essa non arrivò.
Una mano calda le
si poggiò sulla spalla, mentre una voce nuova arrivava alle sue orecchie come
un balsamo “Sono io a cui dovete rendere conto.”
Si voltò quasi di
scatto ed eccoli di nuovo. Un paio di occhi grigi, su di un volto stupendo.
Enjolras aveva iniziato a
non condividere più la visione della vita dei suoi genitori da parecchio tempo,
ormai. Loro lo giustificavano quando si assentava dalle cene e dai balli, sostenendo
che a diciotto anni l’animo ribelle si risveglia in ogni giovane di buon cuore,
ma non mancavano mai di rimproverarlo per quell’atteggiamento.
Era il loro unico
figlio, l’onore della famiglia e colui che avrebbe portato avanti il nome della
casata, non potevano permettersi di vederlo mandare tutto al diavolo.
Come un uccellino,
non potevano stringerlo troppo o lo avrebbero soffocato. Non potevano nemmeno
concedergli troppa libertà, però, o sarebbe volato via, lontano da loro, così
come continuava a giurare che avrebbe fatto alla prima opportunità.
Era stufo di vivere
in una gabbia dorata.
Non era quello il
suo posto.
La Francia non era
come i suoi genitori la dipingevano, ma così come la vedeva lui giorno dopo
giorno, per le strade.
Scappava presto, la
mattina presto quando ancora il sole non aveva bussato alle imposte delle case,
per evitare le lezioni con il precettore e per leggere in pace i diari di Robenspierre, ispirato da quell’uomo che aveva dato tutto
per la Francia, fino alla sua vita. Aveva fatto di tutto per liberarla dai
tiranni oppressori e che poi si fosse lasciato un po’ calcare la mano era un
dato di fatto, certo, ma era giusto ciò che aveva tentato di fare.
Ridare la patria
alla gente, poiché erano egli stessi la patria.
Ogni uomo doveva
essere un re, era nell’ordine naturale delle cose.
Quella mattina non
fece eccezione, naturalmente.
Camminando
velocemente per i corridoi ancora bui aveva lasciato alle spalle il cancelletto
di casa, alla volta di Place de la Concorde, dove sicuramente
non lo avrebbero rincorso. Suo padre sarebbe uscito come ogni mattino senza
nemmeno controllare che il caro figlio fosse ancora vivo, figurarsi nei suoi
alloggi. Sua madre invece lo avrebbe atteso per colazione fino a quasi all’ora
di pranzo, prima di inveire verso le serve come se la colpa fosse loro.
In ogni caso,
nessuno lo avrebbe mai seguito.
Arrivato alla
fontana, vi si era seduto come era solito fare, aprendo il libro e
posizionandolo davanti al naso, elargendo di tanto in tanto qualche moneta
d’argento ad ogni mendicante che chiedesse la carità.
Amava trascorrere
il tempo in mezzo alle persone comuni, sentendo lo scalpitio degli zoccoli dei
cavalli lungo il viale ciottolato e il profumo di pane appena sfornato uscire
dal panificio di Madame Chartier.
Voltò pagina dopo
essersi inumidito l’indice con la punta della lingua per facilitare la presa
sulla carta ruvida e si concesse un istante per alzare gli occhi.
Ma poi non riuscì
più ad abbassarli poiché, davanti a lui, era appena apparsa la giovane più
bella che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Era molto magra,
fragile a prima vista, con la pelle più bianca dell’alabastro più puro.
I capelli scuri,
quasi neri, erano stretti in un alto chignon, ma da esso ne sfuggivano molti,
dando alla ragazza un’aria più vera, ma non per questo trasandata. Una ciocca
poi le cadeva in avanti, sul profilo reso netto dal naso perfetto. Poi gli occhi…
Enjolrascredette per un attimo di naufragare nell’oceano blu che
erano gli occhi di quella ragazza, non appena essa lo notò ricambiando lo
sguardo.
Erano grandi, di un
taglio particolare, sottili e allungati.
Non ne aveva mai
visti di così stupefacenti.
Cercò di mantenersi
distaccato come per sua attitudine, sentendosi però lusingato nel constatare che
la giovane sembrava interessata quanto lui.
Non notò la veste
logora, lo scialle tarlato o le scarpe zuppe; Vide solamente la bellezza più
pura mista alla semplicità.
Il suo cuore perse
di un battito.
Per un istante
riprese a fissare con sguardo fisso le pagine del libro che, in un batter
d’occhio, sembrava esser stato scritto in una lingua a lui sconosciuta. Tornò a
guardarla, incapace di negare ai suoi occhi tale spettacolo e arrischiò un
pallido sorriso che venne ricambiato.
Doveva forse andare
a parlarle? Chiuse il libro, appoggiandolo accanto a sé.
Poteva essere una
possibilità unica, quell’incontro. Doveva sapere di più di lei, quanto meno il
suo nome. Così fece per alzarsi, ma una mano lo trattenne.
“Enjolras, sei qui! Che gran giorno oggi, ho sentito che
l’esercito sfilerà per il Re, magari potremo tentare di…”
Perse metà del
discorso di Cambeferre perché, riportati gli occhi
sulla fontana, notò che la giovane era sparita. Si alzò in piedi tenendo un
dito tra le pagine del libro e prese a guardasi attorno stranito.
L’amico lo guardò
senza capire “Cosa ti prende, oggi? Non hai mai rifiutato di creare un po’ di scompiglio…”
“L’hai vista?”
domandò appoggiando una mano sulla spalla di Cambeferre,
che subito trasalì, meravigliato.
“Vista?” chiese, prima
di soffocare una risatina “Ti conosco da quando non eravamo altro che due
bastardi che si rotolavano nella polvere, nel giardino dei Coudrier
e non ti ho mai sentito parlar di nulla che non fosse politica. Hai per la
prima volta visto una donna, Enjolras?”
Il biondo scosse il
capo, distanziandosi dall’amico di un passo prima di guardare verso la folla
che iniziava a formarsi nel mercato “Non è nulla di che, Cambeferre.
Fingi che io non abbia detto nulla. Di cosa mi stavi parlando?”
“Sei distratto come
il più maldestro degli innamorati?” sussurrò con un pizzico di malizia Cambeferre, beccandosi un’occhiataccia “Almeno il nome
della giovane che ti ha distratto a tal punto potresti confidarmelo.”
“Non posso
soddisfare questa tua curiosità, mi dispiace.”
“Oh andiamo!
In segno della nostra amicizia!”
Enjolras scosse di nuovo il
capo, tornando a guardare speranzoso verso il mercato “Il suo nome mi è sconosciuto… E qui si sta ingigantendo la cosa. Ho solo
trovato una giovane molto graziosa. Non ho di certo chiesto la mano di nessuna.”
“Una giovane
graziosa?” domandò divertito l’altro “Parli come mio nonno, Ras! Dovremmo fare
qualcosa per questi tuo modi austeri. Devi uscire più spesso da quella
bellissima villa in cui vivi.”
“Come posso uscire di più di casa, se mai mi trovo la?” chiese con un
pizzico di sarcasmo il biondo, mentre un terzo giovane si avvicinava, con le
mani ben piantate nelle tasche e un sorriso luminoso.
“Courferyac! Arrivi giusto in tempo” esordì Cambeferre, voltandosi verso il moro che li aveva
rapidamente raggiunti.
“In tempo per cosa?”
“In tempo per
goderti uno spettacolo più raro di Grantaire sobrio! Enjolras innamorato!”
Il morettino lo
guardò stranito “Stai scherzando voglio sperare? E dov’è il giovane Don
Giovanni?” chiese divertito, pronto a elargire anch’egli battute.
Non era una cosa da
tutti i giorni.
Cambeferre lo guardò stranito
“Perché mi chiedi dove si trova? Lui è…” si voltò
verso Enjolras, ma dell’amico non c’era più nemmeno
l’ombra.
Aveva voltato le
spalle per pochi secondi ed eccolo, si era volatilizzato come suo solito.
“Dovremo far
qualcosa per queste sue fughe…”
Enjolras non aveva saputo
trattenersi.
Appena notata la
piccola folla che era venuta a crearsi vicino all’ingresso del panettiere, si
era diretto lì ignorando Cambeferre che nel frattempo
si era rivolto a Courferyac.
Si era insinuato
tra le persone lì ferme, con un brutto presentimento che si era rapidamente
tramutato in certezza alla vista della ragazza dai capelli neri e i grandi
occhi.
Ma non solo.
Con lei c’era Javert e questo non presagiva nulla di buono.
“Che succede qui?”
sussurrò ad una donna che osservava maligna la scena, sussurrando nell’orecchio
ad un’amica.
Questa si voltò
verso il ragazzo, guardandolo attentamente con un certo interesse prima di
rispondere. “Quella giovane è stata sorpresa a rubare, Monsieur.” Rispose
immediatamente.
Enjolras riportò di nuovo
gli occhi sulla figura della ragazza, incredulo. Era davvero una ladra?
Cercò di capirlo.
Dallo sguardo
che aveva non sembrava avvezza ai furti. Era spaventata, la paura le
impregnava gli occhi. Cercò di capire quale fosse il motivo della
contesa, ma non gli fu chiaro.
Ma doveva rischiare.
“Permesso,
scusatemi, lasciatemi passare…”
Si fece strada
ancora di più tra la calca e riuscì ad arrivare laddove Javert
fronteggiava la giovane. Appoggiò con sicurezza una mano sulla spalla,
rivolgendosi direttamente all’ispettore “Sono io a cui dovete rendere conto.”
La ragazza si voltò
stupita, guardandolo come se fosse al pari di un angelo sceso sulla terra per
aiutarla, mentre Javert raddrizzava le spalle,
guardandolo con gli occhi resi sottili come due fessure “A cosa vi riferite,
Monsieur Enjolras?”
“Questa è una serva
alle mie dipendenze.” Rispose sbrigativo, per nulla stupito dal fatto che Javert conoscesse bene il suo nome. Quando era più giovane
e fuggiva nel cuore della notte, sua madre si era spesso rivolta alla polizia
per trovarlo e Javert lo aveva più e più volte
ricondotto a casa, tirandolo per un orecchio. “Le ho chiesto io di prendere ciò
che ha preso. Stavo finendo di discorrere con una persona, poi sarei
personalmente passato io per pagare.”
Javert lo guardò per
nulla persuaso, appoggiando il manganello alla spalle e facendo un passo
avanti, con espressione quasi minacciosa. Istintivamente, Camille
fu percossa da un tremito, ma Enjolras non avrebbe
permesso che le accadesse nulla. Portò un braccio dietro alle sue spalle e una
mano appena sotto al gomito della giovane, sostenendo fiero lo sguardo
dell’ispettore. “Mi state dicendo… Che questa
donna ha preso per voi una singola foglia di belladonna e che voi sareste
passato a pagare? Una sola foglia?”
Il biondo fece per
rispondere, ma in un sussurro delicato, fu Camille a
parlare “Non ero certa che la pianta fosse di gradimento al mio signore, così
ho pensato di portarne un campione da lui per domandargli se poteva andare.”
Enjolras la guardò
brevemente, prima di tornare a voltarsi verso Javert
“Credo sia tutto, ispettore.”
L’uomo guardò
entrambi i ragazzi con severità, prima di drizzare le spalle “Portate i miei
saluti a vostro padre, Monsieur Enjorlas.”
“Sarà fatto…” Poi Javert si
sbrigò a dissipare la folla e sparire, lasciando i ragazzi al centro di quel
piccolo spiazzo improvvisato. Subito il biondo prese le distanze, voltandosi
verso la ragazza “Come vi sentite, Mademoiselle?”
Lei lo guardò
ancora un po’ scossa, arrossendo lievemente “Bene, vi ringrazio per ciò che
avete fatto per me, Monsieur.”
“Non vi è nulla di cui
ringraziarmi.” Rispose lui, calamitando i suoi occhi a quelli di Camille “Perdonatemi l’imprudenza, ma non conosco il vostro
nome…”
“Io-”
“Enjolras!”
Il ragazzo alzò gli
occhi al cielo, riconoscendo fin troppo bene quelle voci. Si voltò, dando per
un attimo le spalle alla ragazza e vide arrivare i suoi amici, passando tra le
persone che passeggiavano per la via e dirigendosi verso di lui.
“Sei sparito nel
nulla!”
Enjolras sospirò “Non
credevo di dover rendere conto a voi dei miei spostamenti. Siete più esigenti
dei miei genitori.”
“Lo sai che abbiamo
molto a cuore la tua salute” disse divertito Cambeferre
mentre Courfeyrac ridacchiava “Dove eri fuggito? Hai
ritrovato la tua dama?”
Enjolras lo guardò
stranito. Perché gli poneva quella domanda invece di presentarsi?
Si voltò e si
rispose da solo.
Della ragazza non
c’era più traccia “Era qui fino ad un istante fa…”
sussurrò più a se stesso che agli amici, i quali si scambiarono uno sguardo
divertito.
“Beh, quantomeno
avete qualcosa in comune…”
Camille si appoggiò con la
schiena alla parete di cemento del negozio, stringendosi addosso lo scialle e
sospirando. Peggior figura non la poteva fare.
Non solo era
passata per ladra agli occhi dell’intera città e di Javert,
che sicuramente l’avrebbe sempre tenuta d’occhio da lì in poi…
Ma anche a quelli
di quel giovane di buona famiglia.
Enjolras…
Non conosceva
nemmeno il suo nome di battesimo.
Prese un respiro,
vergognandosi un po’ anche di quella fuga, ma non sapeva come reagire sotto
quello sguardo limpido. L’aveva aiutata nonostante l’accusa.
Nonostante fosse
una totale sconosciuta.
Si sporse oltre la
parete, stando attenta però a non farsi vedere, e spiò il ragazzo circondato da
altri due giovani. Guardò uno di essi, che sembrava anche più giovane, con qui
riccioli capelli scuri, mentre appoggiava una mano sulla spalla del biondo
prima di incitarlo a seguirlo con un cenno del capo.
Enjolras però attese un
istante, guardandosi nuovamente attorno e lei si sbrigò a nascondersi alla sua
vista, appoggiandosi totalmente alla parete.
Quando trovò il
coraggio di guardare ancora, però, dei tre non vi era più traccia.
Si appoggiò con la
schiena al muro esterno, prendendo un respiro profondo e sopprimendo un piccolo
sorrisetto.
Cos’era quel
sentimento che sentiva nascerle in petto, scaldandola?
Si ci poteva
innamorare così in fretta?
Era una sensazione
nuova, mai provata e forte.
Così intensa da
inebriarla più del vino.
Si strinse sotto
allo scialle, decisa ad andare al fornaio più vicino a casa, nonostante il pane
fosse meno buono, sperando di non aver perso tutto il tempo e chiedendosi,
contemporaneamente, quante possibilità avessi di scontrarsi di nuovo con quello
sguardo di ghiaccio.
Si incamminò lungo
il sentiero ciottolato tra le case, sorridendo.
Quasi non si
accorse che aveva ripreso nuovamente a piovere…
Quella mattina la
pioggia portava con sé l’odore forte della rinascita. Scivolava delicata lungo
la linea nivea delle guance, lavando via lo sporco e l’affanno lasciato dai
giorni vuoti, risanando il così presente.
Titolo: Le couleurduDésir Rating:Arancione. Betareader: //
Capitolo: 2/9 Avvertimenti: Ho modificato alcuni eventi, rispetto all’opera
originale, cercando però allo stesso tempo di mantenere integre le personalità
originali dei protagonisti e di dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Genere: Romantico, malinconico e, naturalmente, storico.
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo
personaggio.
Disclaimer:Non possiedo la maggior
parte dei personaggi di questo racconto, poiché essi sono usciti in un primo
momento dalla penna di Victor Hugo e, successivamente, rielaborati dal genio di
Claude-MichelSchönberg. I
soli personaggi che mi appartengono sono quelli che ho io stessa inventato,
ovvero Camille Dupont e la sua famiglia.I fatti narrati sono in parte inventati da me e in parte sempre ispirati
dall’opera ‘LesMiserables’
di Hugo, seguendo però il filone narrativo del musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’ anche secondo Grantaire. Ma, come ogni uomo mortale,
egli ha anche un lato umano….
Il rosso è il colore
degli uomini irati e del cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le
sfumature di un’anima innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo
Enjolras lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius
glielo spieghi alla vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il
sentimento umano più forte dell’amore?
Una
ventata di aria gelida percorse col passo spedito e caotico di un branco di
purosangue in corsa tutta rue de Chaunteverrie,
investendola. Istintivamente, Camille si strinse nello scialle sporco, posato
sulle sue spalle, stringendo a sé sua sorella minore Odette,
scossa dai brividi.
Incredibile
come la sua vita era mutata così tanto in un anno e mezzo.
Dopo
diversi mesi di pura agonia, sua madre era scomparsa, lasciando un grande vuoto
in quella piccola e povera casa. Poi era venuto il tempo di suo padre, di
ammalarsi. Si era accorta che qualcosa non andava una sera, quando, una volta
coricato dopo la cena, aveva sentito il respiro del padre basso e tremolante.
Spento.
Ogni
giorno, quando tornava dal lavoro alla conceria, le sue vesti erano impegnate
di un fetore acido che infastidiva enormemente la ragazza, andando ad annidarsi
anche nei tessuti delle tende o delle sue stesse vesti.
Quell’odore
così fastidioso doveva essere la causa le malessere del padre*,
poiché nulla che puzzasse a quel modo poteva essere salutare. Lo aveva visto
peggiorare progressivamente, fino a non essere più in grado di alzarsi da
letto.
Era
morto anche lui, un paio di mesi prima, a meno di un anno di distanza dalla
moglie, lasciando sole le tre figlie.
I
pochi soldi che portava a casa Eloise non bastavano
più per tutte loro, così anche Camille si era rimboccata le maniche, cercando
anche lei un impiego nella sartoria della sorella.
Purtroppo,
la condizione della Francia sembrava peggiorare di giorno in giorno sempre di
più, e non esistevamo lavori extra per lei.
Così
si era unita alla massa che, giorno dopo giorno, mendicava per le vie di
Parigi, chiedendo qualche moneta per poter acquistare un tozzo di pane, anche
stantio.
Non
importava, poteva abbrustolirlo sul fuoco per renderlo più buono, l’importante
era riuscire a riempire lo stomaco e placare la fame.
Non
vi era nulla peggio della sensazione che portava il non riuscire ad avere
qualcosa sotto ai denti, alle volte per giorni. La fame, alle volte, la
debilitava al punto tale da non riuscire quasi ad alzarsi dal giaciglio di
paglia sul quale era costretta a dormire. Aveva venduto persino il materasso
per poter provvedere ad Odette.
Faceva
tutto il possibile per poterle assicurare il necessario per vivere bene. Non in
modo agiato, solo un miracolo le avrebbe portato giovamento in quel caso, ma
bene. Riuscire a mangiare, avere vestiti caldi….
Tutto
ciò che una bambina meritava di avere.
Però
le cose andavano sempre peggio, così come per la Francia, anche per lei.
Ormai
tutto ciò che le rimaneva, era rinchiudersi in un mondo a parte, fantastico,
racchiuso all’interno della sua mente e protetto dalla notte. In quel mondo, a
vegliare su di lei, c’era sempre un angelo dai ricci capelli dorati e sottili
occhi grigi. Enjolras.
Aveva
provato a scoprire qualcosa su di lui, in quell’anno.
Sapeva
solo che era figlio di un ricco avvocato di corte, una famiglia baciata dai favori
del Re. Un ragazzo così altolocato che non poteva di certo notare una sguattera
come lei. Lo aveva visto un paio di volte, a Place de
la Concorde, camminare trafelato tra le persone insieme ad altri giovani
ragazzi, sicuramente universitari.
Non
lo aveva, però, mai fermato.
Come
poteva pretendere di cogliere la sua attenzione, lei che sedeva sull’ultimo
sudicio gradino della scala sociale?
Non
aveva speranze, con lui….
Nei
suoi sogni, però, poteva prenderlo per meno e sedersi con lui su una balconata
ammantata di verde edera pungente, avvolta da un elegante abito in pizzo color
borgogna.
Ogni
sera si appoggiava al davanzale della finestra, dopo aver fatto addormentare la
piccola Odette, e osservava le stelle, cantando sottovoce un canto di speranza….
Chissà,
magari la fortuna avrebbe girato…. Un giorno forse lo
avrebbe rivisto.
-When's it my turn? Wouldn't I love, love to explore
that shore up above? Out of the sea , wish I could be…. Part of that world-
Nel
tempo, però, aveva smesso di sperare.
Aveva
smesso di aspettare in qualcosa di migliore, che pareva non voler arrivare mai.
Di
certo non si aspettava che qualcosa potesse accadere quella pallida mattina di
dicembre.
Qualche
fiocco di neve aveva preso a cadere dal cielo, quando lei e Odette
arrivarono come sempre all’imbocco degli ChampsElisee. Si sistemarono a sedere sul marciapiede freddo, e
subito Camille sistemò la gonna della piccola così che non patisse troppo
freddo ai piedi nudi. Quando la vide tremare scompostamente non esitò, si sfilò
lo scialle e avvolse la piccola, stringendola poi a sé.
“Non
preoccuparti, tesoro mio. Torneremo presto a casa e se Eloise
avrà preso della legna, ci riscalderemo mentre preparo una buona zuppa con le
lenticchie che Monsieur Lefebvre ci ha portato ieri…”
Non
si rese conto, presa com’era da quelle accortezze verso Odette,
della donna corpulenta che la osservava dall’altro lato della via. Essa infatti
aveva interrotto la presa in visione di un paio di succose verze, che
sembravano perfetta per il minestrone che aveva in mente di preparare, troppo
presa dalla vista di quelle due povere anime. Senza pensarci due volte pagò
quel che doveva all’ortolano, cacciando poi le verze in un cesto e recandosi a
passo spedito verso le due.
Camille
la vide avanzare con passo veloce e immediatamente spostò Odette
su un fianco, cercando di frenare il tremore causato dal freddo, e allungò una
mano.
“Vi
prego, Madame, una moneta.” Sussurrò con vergogna. Nonostante fossero passati
mesi da quando aveva preso a mendicare, l’onta subita ancora non voleva
attenuarsi.
La
donna però la guardò seria, prima di replicare con torno saccente “Ogni favore
ha un prezzo anche innanzi al Salvatore, ragazza. Cosa puoi fare tu per
rendermi quella moneta che io sono disposta a darti?”
Camille
non disse nulla per istanti infiniti, mentre sul suo sguardo cadeva un’ombra.
Poi trovò il coraggio “Non vendo i capelli, non vendo il mio corpo. Non sono
ancora scesa così in basso da dover gattonare per nessun uomo…”
Solo
a quel punto, la donna corpulenta esplose a ridere “Ti sto offrendo un lavoro e
tu sostieni che io possa portarti su un marciapiede? Non è così che si
ringrazia, ragazzina!”
Negli
occhi blu di Camille si accese di nuovo una flebile luce di speranza “Un
lavoro, Madame? Quale tipo di lavoro?”
“Gestisco
un bar, qui vicino.” Le rispose la donna “E io e mia figlia necessitiamo di un
piccolo aiuto. Qualcuno che sia ben disposta a servire i nostri clienti con
sorrisi e a spazzare i nostri pavimenti senza mai lamentarsi. Pensi di poterlo
fare?”
“Potrei
far qualsiasi cosa, per un lavoro che conservi così la mia dignità!”
“Allora
alzati, dobbiamo darti una ripulita o spaventerai i clienti!” la donna porse la
mano ad Odette, che dopo aver guardato dubbiosa e
spaventata la sorella, la accettò con riluttanza. Insieme, le tre si avviarono
per le vie tortuose di Parigi, mentre Camille sentiva ancora di non potersi
fidare totalmente.
Sarebbe
stato troppo bello per esser vero….
*
Madame
Hucheloup si era rivelata una donna dall’animo
franco.
L’aveva
condotta fino al suo bar, leMusain, ma non erano entrate lì. Prima l’aveva portata nei
suoi alloggi, dove le aveva imposto un bagno caldo e un frugale pasto a base di
pane e formaggio.
Ovviamente
non era stata un poi così grande imposizione, visto che a lungo Camille aveva
bramato di poter fare un buon bagno non solo a se stessa ma anche a Odette.
Per
non parlare poi del formaggio. Era passato molto tempo dall’ultima volta che
aveva potuto permettersi un assaggio.
Poi
erano state entrambe vestiti che obiti dimessi dalla figlia di Madame Hucheloup, Juliée, mentre Odette
rimaneva alle cure della ragazza, la proprietaria del bar aveva condotto
Camille nel suo nuovo luogo di lavoro per insegnarle il mestiere.
Le
aveva spiegato sbrigativamente dove trovare le cose che occorrevano e come
comportarsi in determinate situazioni. La ragazza non ci aveva messo molto ad
imparare.
Come
primo incarico, le venne affidata la pulizia totale del locale, in tempo per
l’apertura di quel pomeriggio.
Grata
della possibilità che le si era palesata innanzi, Camille si era sbrigata,
tirando a lucido tutto il bar, dai tavolini, al pavimento, alla scalinata che
conduceva al piano superiore.
Il
legno non era mai stato così lucido, a sentir la proprietaria che subito
stabilì come salario, cinque franchi a giornata.
Camille
quasi non ci credette, era molto più di quanto si
sarebbe mai aspettata. Chiede il motivo di un simile salario – Eloise ne guadagnava solamente tre, e lavorava parecchio
cucendo le divise dei militari- e la risposta fu pratica: fino a che gli affari
andavano bene, poteva permettersi un paio di braccia in più per lavorare e un
paio di mani in più da dover pagare.
Non
lo ammise mai, ma Camille sapeva che aveva scelto lei come aiuto spinta dalla
pena che le doveva aver fatto insieme ad Odette. La
ringraziò più e più volte per quel buon cuore generoso, insieme ai
ringraziamenti rivolti al Signore che aveva, infine, deciso di accogliere le
sue preghiere.
Non
poteva chiedere di meglio, anche se peccando, c’era qualcosa che ancora non aveva
e che tanto bramava.
Mancava,
infine, un’ultima richiesta che il buon Padre forse non avrebbe accolto….
O
magari si.
*
Non
lavorava in quel bar da nemmeno una settimana, quando un pomeriggio accadde ciò
che tanto aspettava ma che, in un certo senso, dava per improbabile.
Se
ne stava al bancone, lucidando un paio di bicchiere e chiacchierando con un
cliente abituale, un tale Grantaire, quando un ragazzo moro fece il suo
ingresso dirigendosi verso di loro.
“Cambeferre!”
disse allegro il moro ricciolino, alzando una bottiglia verso quello che non
poteva essere nient’altro che un caro amico “Ho il supremo piacere di farti
fare la conoscenza della più deliziosa e virtuosa delle fanciulle di tutta
Parigi, Mademoiselle Camille.”
“Incantata
di far la vostra conoscenza, Monsieur Cambeferre!” rispose la giovane,
trillando una risata allegra quando quest’ultimo le prese con delicatezza la
mano conducendola alle labbra, per baciarla come un vero galantuomo.
“Poche
sono le donne rimaste virtuose a Parigi” commentò poi, prendendo posto davanti
a lei su di uno sgabello “Fortunato sarà l’uomo che riuscirà a condurvi
all’altare!”
“Non
gettare mala sorte tra noi, ingrato!” disse Grantaire mentre Camille li
guardava divertita, servendo il nuovo arrivato “Potrei forse esser io quell’uomo, se questo
bellissimo e raro fiore mi concede un appuntamento!”
Camille
sorrise intenerita, prendendo uno strofinaccio per asciugare un paio di boccali
“Siete dolce come miele, Monsieur Grantaire, ma non credo che sarebbe di buon
costume, da parte mia, concedere tale confidenza ad un cliente abituale!”
“Ah,
credo di capire il perché reclinate il mio invito” sussurrò divertito il
ragazzo, passandosi una mano nella zazzera bruna “Il vostro cuore è già stato
preso! Oh me sfortunato!”
Camille
non rispose, limitandosi ad abbassare il capo, mentre Cambeferre prendeva la
parola, ruggendo divertito “Nella tua sfortuna vi è la buona sorte di questa
bella ragazza!”
“Non
faresti ridere nemmeno un ubriaco!”
“Quindi
non sono riuscito a farti ridere, Grantaire?”
La
ragazza ascoltò divertita quello scambio di sottili ma allo stesso tempo
amichevolimalevolenze , non
accorgendosi della porta che veniva nuovamente aperta, stavolta da tre ragazzi.
Grantaire,
che era rivolto in quella direzione, attirò l’attenzione di qualcuno alzando un
braccio “Chiediamo il parere di qualcun altro, va ben? Joly!
Courfeyrac! Venite qui!” disse ridendo, mentre Camille alzava gli occhi
scorgendo due giovani accompagnati da un terzo nascosto dietro di loro “Dite a
Cambeferre che io ho sedotto più donne di quante la sua povera mente stolta
possa vagamente concepire. Tu poi lo sai meglio di tutti, vero Enjolras?”
Il
fragore di vetro in mille pezzi interruppe ogni possibile scambio di battute.
Tutti si voltarono verso il bancone, dove a Camille era appena sfuggito dalla
presa della mani tremolanti un boccale.
“Va
tutto bene, Camille?” domandò stranito Grantaire, mentre Cambeferre si alzava e
andava dietro al bancone ad aiutarla.
“Fate
attenzione Mademoiselle, o vi ferirete!” disse concitato
il rosso, mentre lei tirava un sorriso forzato e tesoro.
“Non
preoccupatevi Monsieur, sono solo sbadata, posso provvedere io stessa!”
Alzò
gli occhi troppo rapidamente e senza pensare alle conseguenze di quel gesto.
Infatti, come colpita da un fulmine, si trovò davanti gli stessi occhi grigi
che per mesi le avevano fatto compagnia in sogno.
*
Enjolras
aveva atteso per molto il momento in cui l’avrebbe rivista, ma si trovò del
tutto impreparato dinnanzi a quegli occhi blu come il cielo notturno, che tanto
aveva desiderato scorgere tra la folla.
Di
certo non si aspettava di scorgerli un tardo pomeriggio di dicembre al Musain, dietro al solito bancone.
Così
non aveva fatto assolutamente nulla, se non prendere posto nell’ultimo sgabello
rimasto libero, quello più traballante, alla sinistra di Grantaire.
Si
era imposto di permettere ai suoi occhi di indugiare eccessivamente sul viso
della dolce ragazza che aveva subito provveduto a servirgli un bicchiere del
miglior vino rosso che avevano, ma si era più volte ritrovato a rimirarla senza
quasi rendersene conto.
Tutto,
in lei, era pure poesia.
Dalle
mani sottili all’apparenza morbide che si muovevano con appena un tocco
delicato di incertezza tra le tante bottiglie poste sulle mensole alle sue
spalle, al modo in cui portava i capelli legati in un chignon esattamente come
la prima volta che l’aveva vista.
Poi
il suo nome.
Camille….
Era
bellissimo, dolce e perfetto esattamente come lo aveva sempre immaginato.
Sembrava
solo sbagliato il modo in cui lo aveva scoperto…. Di
fatto, esso non era uscito dalle labbra rosse della giovane, ma da quelle umide
di alcool di Grantaire, nelle mille volte in cui l’aveva chiamata per attirare
la sua attenzione.
Era
ritrovato infastidito un paio di volte dai comportamenti dell’amico, ma nemmeno
gli altri avevano evitato di dar spettacolo. Sembravano tutti fin troppo felici
di conoscere la nuova cameriera del Musain, per i
suoi gusti.
Di
fatto, aveva passato tutta la serata in silenzio, a bere e ad ascoltare
discorsi filosofici che non avevano alcun senso logico, se non quello di far
sembrare ciascuno dei LesAmis
migliore degli altri agli occhi della giovane.
Camille
sembrava molto divertita dal comportamento dei ragazzi, che la fecero ridere
spesso. Ogni risata era, per Enjolras, una scarica di brividi lungo la schiena.
Anch’essa
era poesia.
Poteva
paragonarla alla musica più bella mai scritta.
Ma
non era lui a suscitarla, anzi…. Si stava comportando
da statua di sale.
Quella
sera, infatti, non fece molto altro se non riscaldare col fondoschiena uno
sgabello traballante dalle imbottiture color panna.
In
cuor suo, si era convinto che non si era presentata l’occasione più propizia
per parlare con Camille.
E
questo avvenne per parecchi giorni.
Non
trovava mai il momento adatto per andare da lei e parlarle come si confaceva ad
una persona dotata di un minimo di educazione.
Mentre
lui non faceva molto altro se non augurarle un ‘Bonjour’
e un ‘Bonsoir’ in base al suo arrivo o al suo
andarsene via, gli altri ragazzi non ci misero niente a socializzare con lei.
Non aveva quindi problemi di timidezza, quella giovane.
Quello
ad avere seri problemi di approccio era proprio Enjolras.
Lui
se ne stava sempre in disparte, ad un tavolino, su uno sgabello o appoggiato
alle scale, mentre Graintaire la invitava a danzare
su una melodia improvvisata da qualcuno che si sarebbe comprato così l’odio di
Enjolras a vita, o discuteva animatamente con Joly e
Cambeferre. Persino Courfyarc, che di donne sapeva
poco o nulla, riusciva a parlarle.
Lui,
che per primo l’aveva vista e che quindi aveva, nella sua testa, più diritti
degli altri, non si era ancora deciso a far nulla.
Era
lei che gli rivolgeva sempre la parola.
Era
lei che si faceva avanti….
Lui
si limitava a rispondere sbrigativo, senza mai guardarla negli occhi.
Era
un suo limite e doveva riconoscerlo.
….
Ovviamente non avrebbe ammesso quella debolezza nemmeno sotto tortura….
“Gradite
qualcosa da mangiare, Monsieur?”
Joly sorrise, voltandosi verso Camille e
guardandola negli occhi mentre ella spolverava la superficie del tavolino dalle
briciole di pane “Se hai cucinato tu qualcosa, allora potrei anche accettare.”
La
ragazza rispose al sorriso, prima di spostare il bicchiere di Enjolras per
poter pulire anche quella porzione di tavolo. Fissò con insistenza il suo volto
sperando che egli avrebbe ricambiato il suo sguardo, le sarebbe bastato, ma lui
non lo fece. Come sempre.
Riappoggiò
il calice e guardo di nuovo Joly “Ho preparato una
zuppa di farro. Nulla di chè, devo ammetterlo, ma è
calda e con dentro qualche crostino di pane sa farsi apprezzare…”
“Ne
prendo una porzione!”
“Anche
io, oggi fa più freddo del solito e voglio qualcosa che mi scaldi” disse
Cambeferre, mentre anche Cour ne chiedeva una anche
per sé.
“Posso
portarvi qualcosa, Monsieur Enjolras?” chiese la giovane, infilando lo straccio
nel cordone del grembiule e guardandolo in attesa. Questi alzò gli occhi dalla
superficie di legno del tavolo, puntandoli per un istante in quelli di Camille.
Poi
scosse il capo “No, vi ringrazio Mademoiselle, non
sono un grande amante del farro.”
“Oh,
come desiderate…” Camille tirò un sorriso pallido,
prima di sparire in cucina.
“Potevi
essere un poco più gentile, cane!” borbottò Cambeferre, tirando una gomitata al
suo migliore amico, ben piazzata sulle costole.
Enjolras
sussultò, portandosi una mano alla zona colpita e lanciando uno sguardo truce a
Cambeferre “Che avrei mai fatto di male??”
“Camille
è sempre così gentile con te” disse Courfeyrac, appoggiandosi col gomito al
tavolo e con una guancia alla mano e guardando esasperato il biondo “In
particolare, con te. Ma tu sei sempre freddo nei suoi riguardi…”
“Dovresti
lasciarti un po’ andare” Concluse Cambeferre, prendendo un sorso di vino. I due
ragazzi avevano capito rapidamente chi era Camille per Enjolras, non ci voleva
di certo un genio per arrivarci. Soprattutto dopo averlo visto arrossire.
Enjolras
che si imbarazza era un evento raro quanto una mucca rosa.
O
vedere Grantaire bere acqua.
Avevano
collegato le cose et voilà, Camille era la famosa
donna che aveva fatto girare la testa al loro amico quella mattina, a Place de la Concorde, un anno prima. Era stato il Destino a
farli incontrare nuovamente ed Enjolras sembrava ben intenzionato a buttare
tutto all’aria perché, come aveva sottolineato anche Feuilly
ad alta voce e con eleganza ‘Enjolras di
donne ne capisce meno che un bambino di politica’.
Ovviamente
erano arrivate delle ritorsioni per lui, una tale frase era pesata parecchio
sull’orgoglio del biondo, che non aveva parlato a Feuilly
per due intere settimane.
Si
erano tutti offerti di aiutarlo nella conquista, ovviamente in differenti
momenti e con differenti livelli di interesse, ma non c’era stato verso di
convincere Enjolras a fare qualcosa. Quella conquista, poi, era vinta prima
ancora di essere iniziata: Camille non aveva occhi che per lui, ogni volta che
lo vedeva si illuminava speranzosa di ricevere anche la più piccola attenzione,
prima di rimanere delusa dall’atteggiamento distaccato del biondo.
Non
poteva farcela…
Non
da solo, per lo meno, e non in quella situazione. Serviva un avvenimento, un
qualcosa che potesse sbloccarlo.
“Stavo
pensando…” Joly attirò
l’attenzione degli amici, prendendo un tiro dalla pipa. Aveva appena
ringraziato più del dovuto Camille, che aveva portato le tre zuppe al tavolo.
Gli occhi del ragazzo si erano illuminati di malizia e ora si era deciso a dire
cosa diavolo gli fosse passato per la testa “Pensavo di chiedere a Camille di
vederci fuori dal Musain.”
Cambeferre
e Courfeyrac lo guardavano straniti, mentre la mano di Enjolras si bloccava a
metà strada verso la bocca, stringendo di più il bicchiere.
“Vedervi…. Per quale motivo?” chiese Cour,
alzando un sopracciglio.
Joly lo guardò ovvio “Per quale motivo, se non
quello di tentare di conquistarla con il mio immenso charme, che voi poveri
buzzurri potete solo sperare di possedere?” Cambeferre alzò gli occhi al cielo,
prendendo successivamente un sorso generoso di zuppa, mentre Cour si voltava verso Enjolras in attesa di una reazione. A
lui si rivolse Joly “Sempre che per te non sia un problema…”
Il
biondo alzò gli occhi così rapidamente verso i suoi da rischiare di farlo
cadere dalla sedia per via di un sussulto violento “Perché dovrebbe toccarmi?”
chiese tagliente, deciso a non aggiungere altro.
Joly scrollò le spalle “Domandavo, visto che
persisti in questo silenzio tombale. Allora vado, non necessito che mi
auguriate buona fortuna.”
“Tieni
i piedi ancorati al pavimento, non vorrei vederti prendere il volo dalla porta
d’ingresso!” Cambeferre lo guardò alzarsi e recarsi al bancone, al quale si
appoggiò rivolgendosi alla giovane che prese ad ascoltarlo immediatamente “Tu
hai la testa più dura di una parete. Se provassi a sbatterla contro di essa,
demoliresti il bar!” aggiunse poi Ferre, guardando
Enjolras con disappunto. Il biondo non sembrava molto interessato, visto che
alternava lo sguardo da Joly e Camille al tavolino di
legno “Lei è laggiù e tu non fai assolutamente nulla per conquistarla,
nonostante non ambisci ad altro. Non sei costretto ad indossare sempre questa
maschera da uomo tutto d’un pezzo, Etienne”
Enjolras
si voltò di scatto “Non chiamarmi così.”
“Ma
così ti chiami”
“Non
ricordarmelo.” Si portò una mano alla fronte, rassegnato, prima di guardare
verso il bancone. Serrò la mascella mentre osservava con attenzione la mano di Joly appoggiarsi sulla spalla lasciata scoperta dallo
scollo del vestito di Camille, e cercò
di trattenere l’istinto omicida che stava provando.
Voleva
bene a Joly, dopotutto era uno dei suoi amici più
fidati, e la ghigliottina non avrebbe risolto niente.
Si
morse le labbra mentre guardava Camille sorridere all’amico, annuendo
lentamente, come se avesse accettato le avance del giovane.
Gli
mancò l’aria, così si alzò.
Chissà
cosa stava continuando a dirgli Ferre.
“Ma
dove vai, si può sapere?” domandò Courfeyrac mentre Cambeferre lasciava
perdere, prossimo alle mani, visto che
con quel testone di Enjolras non si poteva mai discutere.
“A
prendere una boccata di aria fresca, torno tra un istante.” Rispose secco il
biondo, prima di recarsi all’uscita passando davanti al bancone. Non notò lo
sguardo di Camille, che lo seguì fino a che le porte non si richiusero alle sue
spalle.
Si
appoggiò alla parete esterna, chiudendo un istante gli occhi per cancellare le
labbra di Joly che si appoggiavano sulla mano della
donna che lui amava, come a suggellare una promessa.
Chiuse
un istante gli occhi, mentre la voce usciva da sola e incontrollata, dando
forma alla sua tristezza…
-His eyes upon your face…. His hand upon your hand….
His lips caress your skin, It's more than I can stand!!-
Si
affacciò alle vetrate della porta e Joly era ancora
lì, appoggiato con entrambi i gomiti al bancone mentre osservava la mora che
gli stava parlando, stappando una bottiglia di vino.
Se
si fosse innamorata di Joly? L’avrebbe baciato così
come avrebbe potuto fare con lui? E se mai si fossero sposati?
No,
era troppo da poter sopportare.
Enjolras
si incamminò per i viottoli tortuosi, con le mani ben piantati nelle tasche dei
calzoni, deciso a non tornare presto al Musain.
-Why does my heart cry ?Feelings I can't fight! You’re free to leave
me, but just don't deceive me and please believe me, when I say, I love you!-
Enjolras
aveva fatto parecchia strada, quando si rese conto di tre cose: la prima, stava
camminando nella direzione sbagliata. Da quando i suoi genitori avevano
iniziato a fare pressioni su di lui –volevano un matrimonio, poveri illusi-
aveva iniziato a vivere negli alloggi universitari, dall’altro capo di rue de Chaunteverrie.
In
secondo luogo, aveva scordato la sua giacca al Musain.
Se ne rese conto quando riprese a nevicare piuttosto insistentemente e nemmeno
il pensiero più infervorato riuscì ad impedirgli di sentire freddo.
Infine,
non aveva fatto una gran bella figura. Se n’era andato così, senza dire nulla a
nessuno e sicuramente gli altri lo avevano aspettato per parecchio tempo.
Non
riusciva nemmeno a capire da quanto mancasse.
Solo
quando il campanile di Notredame diede un singolo,
squillante colpo di campane capì che era davvero molto più tardi del previsto.
Forse avrebbe addirittura trovato il bar chiuso, quindi a che serviva
affrettare troppo il passo?
Arrivato
trovò tutte le luci spente, come da previsione. Sospirò, alzando gli occhi al
cielo e dandosi da solo del cretino; avrebbe avuto un po’ di spiegazioni da
dare, il giorno successivo.
Si
affacciò per sfizio alle vetrate delle porte, convinto di non scorgere nulla
tra quelle mura, se non il mantello nero pece della notte. Si sbagliava.
Di
spalle rispetto a lui c’era Camille, che spazzava il pavimento lentamente, con
gli occhi volti verso di esso.
Non
poteva sentire bene, ma durante quella contemplazione gli parve quasi che la
giovane stesse cantando. Lentamente, facendo attenzione a non far rumore,
abbassò la maniglia della porta, socchiudendola.
Quello
che sentì gli venir meno il fiato.
Qualche
giorno prima, Camille aveva chiesto una piccola consulenza a Joly. Sua sorella Odette si era
ferita con un fil di ferro mentre giocava con i figli del macellaio che viveva
dalla parte opposta della loro via, e la ferita faticava a risanarsi.
Joly, studente di medicina alle prime armi, le
aveva consigliato dei lavaggi specifici e le aveva portato qualche garza
sterile, chiedendo poi alla giovane di tenerlo informato sulle condizioni della
piccola.
Questo
fu quello che si prefisse di chiederle, mentre si dirigeva al bancone.
Era
però fondamentale che Enjolras credesse davvero che quello era un tentativo da
parte sua di concupirla, o non si sarebbe ingelosito.
Quel
piano geniale non era completamente suo, a dirla tutta. Ci aveva pensato
soprattutto Feuilly, che però non si era presentato
quella sera.
Sicuramente
aveva paura che Enjolras potesse offendersi di nuovo e non parlargli per altro
tempo. Ripicche da bambini e paure stupide, insomma.
Si
appoggiò alla superficie di legno, lanciando una rapida e furbesca occhiata
verso il tavolo. Ferre forse aveva intuito qualcosa
visto che stava parlando al biondo che, naturalmente, non batteva ciglio.
“Camille,
posso farti una domanda, se non suono troppo indiscreto?”
La
mora si voltò stupita verso di lui, annuendo poco dopo “Certo che puoi, Francois”
Joly sorrise. Da quando Camille era diventata
per loro al pari di una sorella, spesso li chiamava per nome. Era una delle
poche persone, eccetto i loro genitori, a farlo.
Il
commento che aveva fatto la ragazza quando Grantaire glielo aveva fatto notare
era stato schietto: sembrava così informale continuare a chiamarli con ilcognome, quando ormai conosceva tutte le
birbonate e i misfatti commessi da ciascuno di loro.
Non
aveva tutti i torti, dopotutto.
“Volevo
domandarti come sta tua sorella. Il braccio è guarito?”
“Oh,
perdonami se ho mancato di riferirti le sue condizioni, ma ho la testa altrove.
Sì, la ferita ha cicatrizzato bene, grazie di tutto.” Enjolras passò davanti a
loro, uscendo poi dal café senza guardarsi indietro.
Camille lo seguì fino a che la sua schiena non sparì dietro alla vetrate, poi
si voltò verso Joly. Non le sfuggì l’espressione
vagamente compiaciuta del giovane “Non si sente bene, per caso?”
Joly scosse il capo, prima di voltarsi
nuovamente verso di lei “Parliamo di Enjolras, l’uomo dalle reazioni più
esagerate dell’universo conosciuto….”
La
mora abbassò il capo, prendendo una bottiglia di vino dai ripiani dietro di lei
“Non lo conosco ancora così bene”
Subito,
Joly le poggiò una mano sulla spalla, usando l’altra
per prendere quella della giovane “Imparerete a conoscerlo” le disse,
sorridendo. Lei rispose, annuendo lentamente.
“Me
lo auguro.”
“Sicuramente”
portò la mano della giovane alle labbra, convinto che dietro alla porta ci
fosse ancora il biondo, incapace di smettere di seguire quella scena. Oh, lo
conosceva così bene! “Vi chiedo un’ultima premura, prima di lasciarvi al vostro
mestiere….”
Camille
stappò la bottiglia di vino, prendendo poi due grandi bicchieri. Doveva
portarli velocemente ad un tavolo, stava tardando troppo “Chiedi pure, Francois”
“Domani
potresti portare con te Odette? Così potrò
controllare di persona l’avevanzare della
cicatrizzazione.”
“Va
bene anche nel pomeriggio? Eloise fa sempre storie
quando la porto con me al lavoro, la sera…”
Il
ragazzo annuì “Ve benissimo, passerò verso l’inizio del meriggio, magari per
un’altra porzione di quella deliziosa zuppa”
Si
scambiarono un cenno e Joly tornò al tavolo dai suoi
amici. Camille notò che Enjolras aveva lasciato il cappotto nero sulla sedia,
segno che quindi sarebbe senza dubbio tornato a prenderlo.
Poi
non era da lui andarsene così, levandole il saluto.
Così
attese che le porte si riaprissero per vederlo comparire, ma ogni volta non era
mai lui. Arrivò infine la mezzanotte e con essa la chiusura del locale.
Madame
Hucheloup affidò il locale a Camille, affinché
spazzasse i pavimenti e sistemasse le stoviglie, mentre uno ad uno tutti
lasciavano il locale.
Compresi
LesAmis, che per ultimi
decisero di far ritorno agli alloggi.
“Camille,
posso lasciarti questa?” Cambeferre le porse il cappotto di Enjolras, e lei lo
prese con lieve esitazione “Forse passerà di qui mentre sistemi il locale…. E se così non fosse, lo vedrai prima delle lezioni
di domani mattina. Sicuramente verrà a reclamarla, fuori fa molto freddo e solo
un folle potrebbe uscire in gilet e camicia!”
La
ragazza lisciò un piega sul tessuto, prima di appoggiare il cappotto su uno
degli sgabelli “Sai cosa gli è preso, Fabién?” chiese
a Cambeferre che scrollò le spalle.
“Ha
perso del tutto la testa” asserì Courfeyrac al suo posto, infilandosi il basco
e salutando Camille, prima di uscire fuori seguito dall’amico.
“Allora
a domani, Camille” disse Joly, mentre pagava il conto
“Ci vediamo domani con Odette.”
“A
domani. Buonanotte e grazie ancora.”
Lo
guardò infilarsi il cilindro e sparire a sua volta, facendo una piccola corsa
per raggiungere gli amici.
Trovandosi
del tutto sola, la giovane prese a svolgere il suo lavoro, sistemando le sedie
e pulendo i tavoli, spegnendo di volta in volta tutte le candele fino a
rimanere con una sola, appoggiata sul bancone.
Prese
la scopa dal retro, sospirando.
Come
ogni sera, prese a cantare, cercando di chiudersi per un istante in quel mondo fantastico
che le aveva salvato la vita per tutto quell’orribile anno precedente.
-What would I give to live where you are? What would I
pay to stay here beside you? What would I do to see you smiling at me?-
Strinse
il manico della scopa tra le mani, avvicinandola al petto mentre chiudeva gli
occhi immaginandosi quanto sarebbe stato bello vedere Enjolras sorridere solo
per te. Sentirsi cullata dal tepore del suo abbraccio…
Potergli
anche solo tenere la mano e sentirsi parte del suo mondo.
Ma
non sarebbe mai successo.
Portò
una ciocca di capelli sfuggita al concio dietro all’orecchio, prima di
sospirare e riprendere il suo lavoro.
Enjolras
era un giovane di buona famiglia, uno studente di legge: davanti al suo cammino
brillava uno splendido futuro.
Lei
era solo una cameriera, povera e poteva avere vestiti senza toppe ne fori
solamente perché la padrona del locale non le permetteva di servire i clienti
conciata come una stracciona.
C’era
un abisso tra loro due….
Eppure
in lei viveva quella piccola fiammella di speranza, che bruciava e ardeva nel
suo petto, nonostante tutto.
“Oh
Enjolras, verrà mai il giorno in cui mi guarderai allo stesso modo in cui ti
guardo io?” domandò a se stessa e, inconsapevolmente, la sua voce arrivò ad
orecchie indiscrete, poste dall’altra parte della porta d’ingresso socchiusa….
-Where would we walk? Where would we run? If we could
stay all day in the sun? Just you and me and I could be part of your world-
Non
avrebbe chiesto nient’altro alla vita, se non poter amare quel ragazzo con
tutta se stessa, alla luce del sole. Voleva fare parte di quel mondo non per lo
sfarzo delle classi più altolocate, ma solo perché esso era vivo, reale….
Non
era confinato dentro alle sue palpebre, accessibile solo in sogno.
Poteva
essere attorno a lei, e si trovava a pochi passi da lei, nel sorriso di Enjolras….
Peccato
che lo avesse visto solo un paio di volte e mai era per lei.
Ma
era comunque bellissimo, di una bellezza rara e preziosa.
-I don't know when I don't know how, but I know
something's starting right now watch and you'll see
Someday I'll be part of your world!!-
Aveva
deciso di liberarsi di quelle emozioni, aveva deciso di cantarle alla notte per
poterle almeno condividere con qualcuno.
Ma
si sa, la notte è imbrogliona e illude le persone.
Così
coinvolta, Camille alzò la voce, lasciandola andare del tutto senza alcuna
remora, e non si accorse che la candela sul bancone si era spenta. Così come
non aveva fatto caso alla porta che veniva aperta del tutto e alla figura che
avanzava come in catalessi verso di lei.
Solo
quando si sentì afferrare per un braccio, capì di non essere sola.
La
scopa le sfuggì dalle mani mentre si voltava per fronteggiare chiunque fosse
entrato al Musain alla chiusa. Quando due grandi mani
le catturarono entrambi i polsi lei prese a dimenarsi spaventata, chi poteva
mai essere così perfido da strisciarle alle spalle e aggredirla?
Era
spaventata al punto tale da non riuscire nemmeno ad urlare.
Dalle
labbra le sfuggì solo un singhiozzo, mentre, ormai consapevole che era inutile
continuare a dimenarsi, si rannicchiò appena su se stessa.
“Camille,
fermati!”
Riconobbe
subito quella voce.
Aprì
lentamente gli occhi, voltandosi verso il volto del ragazzo. La luna che
penetrava nella stanza dalle vetrate della porta e dalle finestre lo lasciava
in una cupa penombra, ma i suoi occhi si erano già adattati alle tenebre così
riuscì a scorgerlo.
“Enjolras….?”
“Quello
che stavi cantando, lo pensi veramente?”
Lei
rimase immobile, pietrificata.
Doveva
ammetterlo? Che figura avrebbe mai fatto, quella della ragazzina senza
cervello, persa d’amore per un ragazzo che a stento l’aveva guardata al loro
primo incontro?
“Io…”
“Rispondi!”
disse deciso, tirandola gentilmente per i polsi verso di lui.
Non
voleva spaventarla, ma doveva sapere. Sentiva il cuore galoppargli nel petto
con insistenza, mentre osservava il volto della giovane, stranito ma comunque
bellissimo nel riflesso del pallore lunare.
Lei
deglutì piano, facendosi forza.
A
che sarebbe mai servito negare, a quel punto?
“Si…. Enjolras…. Io sono
innamorata di voi, Monsieur…”
La
presa delle mani del giovane si fece sempre più debole, fino a che non le
lasciò andare i polsi. A quel punto lei abbassò il capo, aspettandosi di
vederlo afferrare il suo cappotto e andarsene.
Ma
non avvenne, perché il biondo appoggiò una mano sul suo fianco mentre l’altra
andava ad sfiorare le sue guance, rosse di imbarazzo.
Stupita,
alzò gli occhi grandi in quelli ceruli del giovane, che si chinò su di lei,
sigillando le loro labbra in un dolce bacio.
Non
era bravo con le parole, e di questo era consapevole.
A
che serviva parlare, dopotutto, quando poteva dimostrarle a quel modo ciò che
provava?
La
colse di sorpresa, certo, ma solo per pochi istanti. Poi Camille appoggiò le
mani sulle sue spalle larghe, ricambiando con lo stesso ardore quel pegno
d’amore.
Qualcosa
era cambiato in loro, rimanendo al contempo lo stesso.
Due
anime affini che si erano trovate e perse, ma che alla fine non avevano potuto
lottare contro al Fato e si erano ricongiunte.
Continua…
Nda.
*Le concerie, nella Parigi del 1800, erano
causa di molto dell’inquinamento delle acqua della città e di molti morti.
Infatti, chi conciava le pelli erano persone che stavano per moltissime ore al
giorno a stretto contatto con gli acidi che servivano per rendere malleabile il
tessuto, ed essi erano altamente tossici. Non è un caso che dopo molto tempo il
padre di Camille si sia ammalato e sia morto. Sicuramente non è mai stato
davvero in salute.
Le
canzoni che ho scelto per questo capitolo sono Part ofYour World (con conseguente Reprise),
cantata da Camille direttamente dal cartone ‘La Sirenetta’ e El Tango de Roxanne, da MulinRouge, per quel che
riguarda la parte cantata da Enjolras. Nei prossimi capitoli ci saranno
moltissime altre canzoni di musical famosi, riadattate alla storia.
Spero
che questa idea vi piaccia :D ho deciso di farlo perché, dopotutto, ho tratto
la maggior parte dell’ispirazione dal musical e dal film…
non potevo non mettere qualche canzone!
Il
nomi….
Premetto
che non voglio assolutamente infangare l’opera di Hugo, ma non ho trovato i
nomi dei LesAmis, così ho
deciso di inventarli per un fine puramente di trama.
Qui
di seguito ve li propongo tutti, così potete darmi un parere:
Etienne
Enjolras.
FabiénCombeferre.
Julian Courfeyrac.
Nicolas
Feuilly.
Gaspard Grantaire.
Daniel
Lesgles.
FrancoisJoly.
Marcel
Prouvaire.
Ho
preso i nomi più comuni e quelli che, a mio parere, potevano suonare meglio col
cognome. Se avete delle note da farmi, non fatevi scrupoli!
Che
altro dire?
La
storia sta andando molto bene e chiedo venia per la lentezza di aggiornamento
ma sto preparando un esame universitario immenso!
Grazie
a chi ha recensito la storia e a chi l’ha aggiunta a preferiti o seguite.
Cercherò
di essere più veloce col prossimo capitolo!
Capitolo 3 *** Part Three (Part I): Les Amis de L’ABC cafè. ***
bananissima2
Titolo: Le couleur du Désir Rating:Arancione. Betareader: //
Capitolo: 3/9, prima parte. Avvertimenti: Ho modificato alcuni eventi, rispetto all’opera
originale, cercando però allo stesso tempo di mantenere integre le personalità
originali dei protagonisti e di dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Genere: Romantico, malinconico e, naturalmente, storico.
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo
personaggio.
Disclaimer:Non possiedo
la maggior parte dei personaggi di questo racconto, poiché essi sono usciti in
un primo momento dalla penna di Victor Hugo e, successivamente, rielaborati dal
genio di Claude-Michel Schönberg. I soli personaggi che mi appartengono sono
quelli che ho io stessa inventato, ovvero Camille Dupont e la sua
famiglia.I fatti narrati sono in parte
inventati da me e in parte sempre ispirati dall’opera ‘Les Miserables’ di Hugo,
seguendo però il filone narrativo del musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’
anche secondo Grantaire. Ma, come ogni uomo mortale, egli ha anche un lato
umano….
Il rosso è il colore
degli uomini irati e del cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le
sfumature di un’anima innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo
Enjolras lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius glielo spieghi alla
vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il
sentimento umano più forte dell’amore?
Le
cose non erano cambiate molto, in un anno e mezzo.
La
Francia sembrava sull’orlo di un profondo baratro, con un piede nel vuoto e
l’altro a cercare di sostenerla da una catastrofica caduta.
Era
appena iniziata la primavera, ma nell’aria, eccetto l’odore pungente della
pioggerellina leggera, non c’era felicità. La povertà continuava a dilagare di
pari passo con la criminalità che, di giorno in giorno, serrava sempre di più
la città in una morsa di angoscia.
Camille
però non poteva che sentirsi fortunata, nonostante questo clima ostile.
Il
lavoro al Musain le permetteva quando meno di mangiare ogni giorno e comprare
di tanto in tanto una veste nuova per sé e per Odette e, cosa ancor più
importante, l’aveva legata a molte persone che per lei volevano ogni bene.
In
particolare Les Amis, che ormai vivevano dentro quel bar. S’incontravano ogni
giorno alla fine delle lezioni e occupavano la sala sopra al bar, studiando o
parlando della condizione della Francia. Di cosa si poteva o non si poteva fare
per superare quel periodo a tutti così ostile.
Poi
c’era Enjolras, che tra tutti era il più accanito.
“Una
soluzione va trovata e se nessuno farà nulla, allora sarò io a prendere in mano
le redini di questa situazione!”
Ormai
lo aveva detto così tante volte che, per istinto, a Camille si apriva un tenero
sorriso all’angolo delle labbra ogni qualvolta lo sentiva.
Non
si vergognava di certo di ammetterlo: lui era tutto il suo mondo.
Da
quando si erano riscoperti innamorati, erano successe parecchie cose, e tutte
erano custodite nella memoria di entrambi come diamanti preziosi in un elegante
forziere di madreperla. Dal loro primo bacio, alla prima volta che lui le aveva
preso teneramente la mano, appoggiandola sulla superficie lignea del tavolo,
stupendo tutti….
Alla
prima volta che avevano camminato lungo la Senna insieme e Camille aveva potuto
stringersi al suo braccio incurante delle occhiate curiose dei passanti che
avevano senza dubbio riconosciuto il ragazzo. Bastavano solo loro due, i loro
occhi, le loro labbra straripanti di sorrisi innamorati e il resto perdeva di
significato. Poi ricordavano il primo vero litigio, per un’idiozia, e la paura
di entrambi di aver rovinato tutto. Rammentavano, addirittura, ogni minima e
stupida volta in cui Grantaire era riuscito a metterli davvero in imbarazzo. E
questo avveniva circa ogni giorno.
Soprattutto
da quando aveva preso il brutto vizio di chiamarli Apollo e Dafne.
A
nulla servivano le occhiate glaciali di Enjolras o gli ammonimenti silenziosi
di Cambeferre: il moro nascondeva un sorrisetto soddisfatto nel collo di una
bottiglia o di una bella donna e non si spaventava per nulla.
Non
sarebbe stato Graintaire se non si fosse comportato così, dopotutto.
Lui
non aveva ancora detto di amarla, quelle due parole non erano ancora uscite
dalle sue labbra, ma ella non aveva mai dubitato che i suoi sentimenti fossero
puri, e si sentiva come smarrita ogni qualvolta la nebbia argentata degli occhi
del biondo si tuffava nell’oceano blu dei suoi occhi di topazio.
Se
a lei bastava poco per perdersi al solo pensiero del ragazzo, Enjolras non era
di certo in una posizione migliore: s’incantava guardare Camille, mentre
serviva i clienti o parlava semplicemente con loro, ben attento a celare una
certa gelosia. Iniziava quasi a sentirsi sciocco, ma desiderava che ogni
singolo sorriso della giovane fosse rivolto a lui. Gli bastava però vederla
illuminarsi ogni qualvolta la chiamava o le permetteva di sedere sulle sue
ginocchia, per dissipare ogni nube di possessività.
Adorava
tutto di lei, dal candore della sua pelle alla morbidezza dei suoi capelli che
pareva non volessero rimanere per molto tempo racchiusi nello chignon che era
solita fare quando lavorava. Amava passare le dita tra quella cascata di bruna
seta quando, infine, li scioglieva la sera e si stendeva sul suo letto,
nell’alloggio universitario. Era sempre stato molto attento a non mancarle mai
di rispetto, e sebbene non avessero ancora consumato appieno la loro passione,
lui traeva molta soddisfazione anche semplicemente nel parlarle….
Le
aveva insegnato a leggere e a scrivere, nell’arco di quei diciotto mesi, non
bene come un letterato ma quanto meno abbastanza da permetterle di capire anche
i discorsi più importanti che faceva sempre insieme agli Amis al Musain.
Riusciva
a catturarla ogni volta che parlava di politica o di economia, mentre se ne
stava con un braccio appoggiato al cuscino e l’altra mano stretta in quella
della ragazza.
Passavano
le ore così, era successo addirittura che l’alba li aveva colti del tutto di
sorpresa, mentre erano ancora immersi in una fitta conversazione.
Non
avevano ancora parlato del loro futuro, ma era come scontato che, ovunque
Enjolras si sarebbe spinto, avrebbe sempre avuto Camille con sé, al suo fianco.
Il
sole era calato oltre i tetti delle case, fino a nascondersi e lasciare il suo
posto ad una placida luna, posizionata come una falce impietosa nell’immenso
campo della volta celeste.
Camille
aveva portato a casa un paio di pezzi di carne avanzati dal servizio, al
Musain. Di solito non tornava mai il pomeriggio, ma si da il caso che quel
giorno avesse piovuto così forte che praticamente nessuno era andato al bar.
Madame Hucheloup le aveva concesso mezza giornata di riposo, così era tornata a
casa e aveva sistemato un poco, prima di stendersi sul letto con Odette e
parlarle. Ormai la bambina aveva quasi otto anni ed iniziava ad essere davvero
curiosa del mondo che la circondava. Quando poi era rincasata anche Eloise,
Camille si era affrettata a preparare la cena, prima di dover tornare a Musain
per servire i clienti della sera.
Era
da molto che non mangiavano tutte e tre insieme, come sorelle, come famiglia, e
Camille si augurò di poter quanto meno evitare discussioni.
Illusa.
Eloise
era tornata più stanca del solito e sin da subito aveva preso a lamentarsi per
il modo in cui la sorella non si faceva mai viva a casa, di come ormai a stento
rincasasse la notte….
Dopo
averle assicurate che la sua dote era ancora intatta – non poteva di certo
parlare troppo apertamente davanti ad Odette - avevano preso posto a tavola. Lì
tutto aveva iniziato a prendere una brutta piega, fino a degenerare.
“Questa
carne è vecchia.” Borbottò Eloise, storcendo il naso mentre ne prendeva un
boccone.
Camille
sospirò, lanciando uno sguardo a Eloise che invece sembrava più che felice di
quel pasto. Potevano permettersela raramente la carne…
“Ti
dico che è fresca” disse con un po’ di insofferenza Camille, versando un po’ di
acqua nel suo bicchiere prima di appoggiare con enfasi la brocca sulla
superficie lignea del tavolo “Io stessa sono andata a prenderla dal macellaio,
stamani.”
“Non
credo tu abbia molte competenze, non sai riconoscere i tagli di carne buoni”
La
sorella di mezzo sbuffò, fulminando la sorella “Infatti, io che lavoro in un cafè
so ben poco di cibo rispetto ad una sarta…”
Eloise
ricambiò uno sguardo di fuoco, ma non ribatté. Poi si pulì la bocca in un tovagliolo
liso “Porta la chiave, se torni molto tardi. Non ho alcuna intenzione di
scendere ad aprirti la porta….”
“Non
torno” ribatté Camille, senza alzare gli occhi.
“Oh,
beh…. Me lo aspettavo. Sempre con quel ragazzo…”
Camille
sapeva che sua sorella era una buona sorella. Non era cattiva e adorava lei e
Odette. Se si atteggiava quel modo, era solo per la stanchezza della giornata e
per paura di vederla ferita.
Ogni
qualvolta si parlava di Enjolras, però, sentiva una nota di pura invidia nella
voce di Eloise. Ogni volta….
Per
questo decise di non proseguire quella conversazione, alzandosi per sistemare
le stoviglie sue e di Odette, che subito si alzò per aiutarla.
Eloise
invece rimase seduta per un istante, tenendo di spalle le sorelle, fino a che
la sua voce non arrivò alle orecchie di Camille sottoforma di un’incalzante
canzone…
-A boy like that will give you sorrow, you'll meet
another boy tomorrow… One of your own
kind….-
Fece
finta di nulla, perchè detestava ogni qualvolta Eloise faceva riferimento alla
loro condizione, rispetto a quella di Enjolras. Sembrava quasi che il loro
amore fosse nato sotto una cattiva stella e che quindi non potessero amarsi per
davvero solo per il differente peso delle loro tasche.
Non
era così, Enjolras aveva rinunciato alla nobiltà che recava il suo nome e non
era altro che uno studente di legge;non
avrebbe mai accettato nemmeno una moneta che non si fosse guadagnato col sudore
della sua fronte.
Lo
ripeteva sempre, che una volta finiti gli studi avrebbe interrotto ogni
contatto col padre che ormai non faceva altro che finanziargli la facoltà di
legge.
Scosse
il capo e continuò a lavare i piatti mentre Odette la tirava per la manica,
guardandola con occhi confusi. Lei sorrise, scuotendo il capo per farle capire
di non prendere seriamente le parole di Eloise che, naturalmente, non si
arrese.
-And he's the boy, who gets your love? And gets your
heart? Very smart, Camille, very smart!-
“Continua
pure, le tue parole da povera zitella non mi sfiorano nemmeno, poiché scivolano
addosso come acqua” disse spicciola, sfilandole il piatto vuoto da sotto al
naso per pulire anche quello.
Eloise
si alzò e la seguì fino al lavello, dove si appoggiò, guardandola con tono di
sfida.
- A boy like that wants one thing only, and when he's
done, he'll leave you lonely. He'll murder your love, he murdered mine. Just
wait and see. Just wait Camille, just wait and see!-
A
quel punto Camille smise di essere gentile. Appoggiò con violenza il piatto nel
lavello ed esso si spaccò in due. Si voltò verso la sorella fronteggiandola,
nonostante fosse decisamente più bassa di lei, e Eloise fece un paio di passi
indietro.
Non
aveva il diritto di calcare tanto la mano, nemmeno conosceva Enjolras e si
permetteva di criticarlo a quel modo? Giudicarlo così vile? No, non lo avrebbe
mai permesso poiché la nobiltà d’animo dell’uomo di cui era innamorata era
evidente agli occhi di tutti coloro che avessero quanto meno scambiato tre
parole con lui.
“Tu
non lo conosci” sibilò tra i denti, prima di permettere alla sua voce di
interpretare le sue mozioni e trascriverle in musica, rivolgendosi alla sorella
con un tono che non avrebbe ammesso repliche.
-I have a love and it's all that I have, right or
wrong, what else can I do? I love him, I'm his and everything he is I am
too..I have a love, and it's all that I
need right or wrong, and he needs me too. I love him, we're one, there's
nothing to be done, not a thing I can do, but hold him and hold him forever. Be
with him now, tomorrow and all of my life….-
Poi
prese Odette per le spalle e la portò al piano di sopra, per metterla a letto e
porre un sonoro freno a tutte quelle illazioni da parte di Eloise, non avrebbe
sopportato oltre.
Non
perdeva mai le staffe, ma non poteva lasciare che dicesse quelle cose su
Enjolras, abbassando il capo come al solito in una muta riverenza.
Il
riguardo verso i suoi sentimenti era importante e mancando così tanto di
rispetto al ragazzo che era nel suo cuore, lo mancava di riflesso a Camille.
La
bambina si mise a sedere sul letto, grattandosi un occhio, mentre Camille
accendeva la lanterna ad olio e la appoggiava sul comodino della piccola.
“’Mille?”
chiamò dopo uno sbadiglio, mentre si stendeva e permetteva alla sorella maggiore
di rimboccarle le coperte. “Perché Eloise è così cattiva con Enjolras?”
“Perché
non sa con chi ha a che fare.” rispose la mora, sedendosi poi sul letto e
attorcigliandosi una ciocca corvina della bambina attorno all’indice, prima di
spostarla dietro all’orecchio “Noi invece lo conosciamo bene e sappiamo che è
tanto buono, vero princesse?”
La
piccola annuì “Anche se è tanto serio, ha un sorriso buono…”
Camille
rise a questa affermazione “Il più onesto e puro di tutti, ma petité”
La
piccola sorrise, prima di sbadigliare di nuovo, sempre più prossima al sonno
“Camille, puoi cantarmi una canzone, come faceva sempre la mamma?”
La
ragazza si morse il labbro. Avrebbe fatto tardi al lavoro, ma non poteva di
certo dir di no innanzi ad una richiesta così innocente “Certo tesoro.” rispose
infatti, lisciando le coperte sulla piccola e sorridendo.
Avrebbe
cantato per lei ogni qualvolta lo avesse chiesto, era una delle cose che aveva
promesso a sua madre prima di vederla lasciarle per sempre.
Mai
avrebbe avuto il cuore di rompere tale giuramento…
-Tonight, tonight… It all began tonight, I saw you and
the world went away. Tonight, tonight, there's only you tonight… What you are,
what you do, what you say?-
Odette
chiuse gli occhi, sospirando beata, ma li riaprì all’improvviso quando udì una
voce ben nota arrivare da sotto alla loro finestra.
-Today, all day I had the feeling, a miracle would
happen I know now I was right…-
“Enjolras!”
trillò eccitata, buttando all’aria le coperte e prendendo per mano Camille, per
attirarla con sé alla finestra. Non che ve ne fosse poi bisogno: la ragazza si
era voltata verso la finestra, e si sarebbe diretta lì una volta superata la
sorpresa.
Entrambe
si appoggiarono alla finestra, guardando verso il basso, ed eccolo la, in piedi
al centro del piccolo cortiletto di pietra, con le mani ben piantate nelle
tasche dei calzoni scuri, innanzi alla
loro modesta abitazione.
La
ragazza lo guardò, sorrise dolcemente e iniziò a cantare con lui, deliziata
come ogni volta che succedeva.
-For here you are, and what was just a world is a star!
Tonight!
Tonight, tonight, the world is full of light. With
suns and moons all over the place.
Tonight, tonight, the world is wild and bright, going
mad, shooting sparks into space-
Le
loro voci risalivano direttamente dalle loro anime ed esse erano legate tra
loro in un sentimento indissolubile.
Non
avrebbe mai smesso di cantare con lui, di legarsi sempre più stretta a quella
giovane vita che il Signore aveva deciso di donarle come compagno.
Mai
avrebbe ringraziato abbastanza per aver potuto sfiorare confini così alti della
felicità umana. A cosa occorreva un Paradiso di eterna Beatitudine se poteva
rimanere con lui per sempre? Non avrebbe più temuto la fame o il freddo, se le
loro strade non si fossero mai separate…
- Today, the world was just an address,a
place for me to live in, no better than all right…. But here you are and what
was just a world is a star! Tonight!-
Appena
le loro voci smisero di intonare quell’armoniosa melodia, Odette prese ad
applaudire, ridendo divertita.
Enjolras
sorrise a Camille “Scendi, o faremo tardi al Musain e ti ricordo che non sono
io quello vincolato da orari e patti…”
La
mora si appoggiò meglio su entrambe le braccia, mentre Odette spiava entrambi,
prima uno e poi l’altro “E come mai sei venuto fin qui, di grazia?”
“Queste
vie, la notte, non sono sicure. Non sarei un gentil’uomo se non mi preoccupassi
per la tua incolumità, o sbaglio? Coraggio, scendi!”
“Dammi
un istante” disse sorridendo “Coraggio Odette, saluta. È ora di dormire per
te.”
La
bambina alzò la mano “Buonanotte, Monsieur.”
“Buonanotte,
Mademoiselle.”
Rimise
a letto la piccola e in un istante corse fuori, ignorando Eloise ancora seduta
al tavolo della cucina e intenta a rattoppare una veste di Odette. Non si salutarono
nemmeno, ma la maggiore la guardò sparire dietro al pesante portone d’ingresso,
scuotendo poi il capo, sconfitta.
Per
tutto il tragitto che li divideva dal Musain –circa un quarto d’ora, visto che
ormai erano entrambi più che pratici di quel dedalo di vie e sentierini tra le case popolari- Enjolras non fece che
spiegare concitato a Camille quanto fosse felice per iniziativa che, insieme
agli altri e alcuni amici comuni, avevano iniziato a portare avanti.
Non
era nulla di che, inizialmente, solamente un gruppo di giovani di belle
speranze che si incontravano per discutere di politica e cercare soluzioni
pratiche alla crisi della Francia e alle vicissitudini del popolo.
Ancora
non lo sapevano, ma quella era sola la fase embrionale di un qualcosa di nuovo,
diverso e impetuoso, che avrebbe sconvolto le loro vite.Per sempre.
Erano
ancora pochi, certo, ma di volta in volta, sempre più giovani si sarebbero
aggregati alla loro causa. Per il momento, però, erano solamente otto giovani
di differenti estradizioni e contesti sociali; Enjolras era a capo di quel
progetto, in quanto era stato il primo a decretare che non potevano continuare
a volgere altrove lo sguardo. I problemi c’erano, erano molteplici e di certo,
non sarebbero svaniti ignorandoli. Amava la Francia, moltissimo. Nei suoi occhi
brillava un fuoco antico, come quello dei giacobini che avevano dato via alle
insurrezioni del 1780 e, infine, allagloriosa Rivoluzione Francese, di cui ormai restavano giusto gli ideali
scritti sugli stipiti delle porte di qualche palazzo di giustizia, anneriti dal
tempo e dalle intemperie.
Se
Enjolras era lo chief
di questa congrega patriottica, Cambeferre era certamente il suo braccio destro
e guida; mentre il biondo era la vera e propria logica rivoluzionaria e
idealistica, Ferre era pura filosofia e dava un tocco
più umano ad ogni singolo discorso e dibattito che Enjolras teneva nella sala
superiore del Musain. Per lui, il buono doveva essere, di fatto, innocente.
Esattamente come il suo migliore amico, era un ottimo studente di legge ed
entrambi sapevano molto bene a cosa andavano in contro. Non si parlava ancora
di cospirazione, ma il confine era sempre più sottile e presto sarebbero
sfociati anche in quello. Cambeferre era poi incredibilmente dotto ed
aggiornato: seguiva con entusiasmo ed accanimento ogni singola innovazione
scientifica o scoperta continentale ed era anche un grandissimo appassionato di
storia, al punto da conoscere i geroglifici egiziani, e amava la geologia.
Era
arrivato pure al punto di correggere l’enciclopedia.
E
il dizionario…
Poi
veniva Courfeyrac, fondamentalmente, un grande combattente. Era il centro del
gruppo, un vero e proprio punto di riferimento, al servizio del capo Enjolras e
della guida Ferre. Irradiava tutti con il suo
ottimismo e la sua bontà e si poteva dire che era in assoluto una delle persone
più generose di tutta la Francia. Un bravissimo ragazzo, molto dolce ed
educato. Un esempio.
JehanProuvaire era un
uovo acquisto, ma sapeva già farsi rispettare e apprezzare da’l'intero gruppo.
Adorava auto-definirsi un goffo poeta, in quanto cantava di fiori e bellezza,
ma non era ancora stato toccato dalla Dea dell’Amore. Aveva un’idea tutta sua
della perfezione, della serenità e della gloria. Per lui la Francia era un
fiore ancora chiuso, un bozzo da cui sarebbe nata una bellissima farfalla
appena il tempo sarebbe stato per tutti loro propizio. Nonostante lo stile
trasandato nel vestire, segno di una condizione sociale ben più degradata di
quella del trio al vertice di quegli incontri, Jehan
era un ragazzo estremamente timido ed introverso, che suscitava sempre la
tenerezza nelle ragazze che bazzicavano il quartiere di Saint Michel e a cui
lui dedicava poesie, sentendo le orecchie farsi ben calde e le gote sanguinee.
Vi
era poi un ragazzo particolare, di nome Feuilly,
considerato da tutti un grande lavoratore, un uomo che si sarebbe fatto da sé.
Era incredibilmente generoso, tanto che, essendo lui stato adottato, ad una
delle riunioni disse che sarebbe stata sua premura ‘adottare il popolo francese’,
prendendosene cura. Camille non comprendeva molti dei suoi discorsi,
soprattutto quando iniziava a parlare della Polonia – Tutti i problemi e crimini contemporaneisono da attribuire all’errata partizione
della Polonia!- ma trovava interessante discorrere con lui. Chiunque lo
avrebbe trovato interessante.
Bahorel era, tra tutti loro, il più povero. Era un
senzatetto che, nelle notti più fredde, aveva il permesso di Madame Hucheloup
di dormire nel retro del Musain, a patto che non bevesse il vino che andava poi
servito ai clienti o che non depredasse la dispensa. Lui mai si era macchiato
di simili dissolutezze, ringraziando ogni volta Camille per aver interceduto
presso la locandiera e avergli così concesso un posto caldo in cui non morire
durante il gelido inverno parigino. Era un ragazzo forte, temprato dalla vita
di strada, e incredibilmente fedele ad Enjolras. Tutti lo erano, tutti erano
incredibilmente abbagliati dalle parole del biondo, e tutti lo avrebbero seguito.
Bahorel compreso perché, nonostante sembrasse molto
più stupido di quanto fosse in realtà, aveva dimostrato che non occorreva
essere universitari o dottori per comprendere e condividere un ideale.
A
proposito di dottori, impossibile dimenticare Joly,
che in quel periodo di tempo aveva proseguito i suoi studi di medicina,
sviluppando una brutta forma di ipocondria, spaventato da qualsiasi cosa.
Pensandoci bene, più si specializzava in quanto medico, più trovava mortale
qualsiasi cosa, gesto o parola. Ma non avrebbe mai abbandonato la causa comune,
deludendo Enjolras. Tra tutti i Les Amis, lui era quello maggiormente legato a
Camille. I due erano amici sin dal loro primo incontro e difficilmente sarebbe
cambiato, poiché non avrebbero permesso a quella complicità che tanto faceva
ingelosire Enjolras di sfumare. Aveva preso a rilassarsi un poco quando aveva
conosciuto una bella ragazza di nome Musichetta e in lei si era totalmente
perso.
Con
Joly si poteva trovare sempre un ragazzo minuto e
poco più alto di un ragazzino, di nome Lesgle. Era un
ragazzo incredibilmente sfortunato, ma davvero di buon cuore. Infine, ma non
per importanza, vi era Grantaire. Lui era in assoluto il più scettico di tutti
e più di una volta aveva rimarcato il fatto che non credeva in nessuno degli
ideali dei Les Amis. Era incredibilmente nichilista e disilluso, non sembrava
importargli nulla se non che il suo bicchiere fosse sempre pieno di ottimo
vino. Questo faceva imbufalire Enjolras che, più di una volta, aveva tentato di
cacciarlo. Grantaire però era sempre stato molto chiaro: non credeva in nulla,
se non nello stesso Chief. Nonostante fossero due
poli inversi, opposti al punto tale da essere spesso incompatibili, Grantaire
adorava e venerava Enjolras al pari di un Dio e in lui riponeva tutta la sua
fiducia, continuando a chiamarlo Apollo. Ovviamente questo non lo aiutava,
visto che il biondo sembrava sempre più vicino ad un punto di rottura, ma
l’aveva un buon alleato, del tutto fedele, non poteva che giudicarsi un
vantaggio. Era un appassionato di letteratura e mitologia greca e con essa
dimostrava d’esser tutto, ma non uno stolto. Aveva studiato, e anche bene….
Insieme,
creavano un gruppo affiatato di giovani anime infuocate.
Si
facevano chiamare Les Amis de l’ABC* caffè, nome scelto da Cambeferre e ricco di arguzia.
Quella
sera stessa, si sarebbe tenuta una riunione.
Appena
raggiunto il cafè, Enjolras si era congedato con un tocco leggero e timido delle
sue labbra sulla guancia di Camille, salendo al piano di sopra dagli altri e
lasciandola al suo lavoro. Lei si era subito messa di buona lena a servire i
clienti, sorridendo timidamente ad uno sguardo di disappunto della locandiera.
Era in ritardo, certo, ma il sorriso che la donna le riservò subito dopo le
fece capire che l’essere arrivata col biondo l’aveva salvata. Madame Hucheloup
adorava Enjolras, come tutti del resto, al punto tale da non dire nulla nemmeno
a Camille quando apparivano insieme, in ritardo rispetto agli orari pattuiti.
Negli
ultimi tempi, grazie alla buona pubblicità che Les Amis avevano fatto di quel
locale in facoltà – tutto per ringraziare Madame Hucheloup, che permetteva loro
ogni incontro- il cafè era brulicante di vita. Ormai Camille conosceva tutto
coloro che lo frequentavano, grazie alla sua buona tempra e ai suoi modi dolci,
non aveva problemi a socializzare con la gente. Per questo, si trovò un po’
smarrita quando, davanti a lei, apparve un bel ragazzo giovane, probabilmente della
sua età, che attirò la sua attenzione mentre si sfilava un cappello a bombetta
dal capo “Mi perdoni, Mademoiselle, posso domandarvi
una premura?”
Lei
annuì, appoggiando un vassoio sul bancone e voltandosi verso di lui con un
sorriso “In cosa posso servirvi, Monsieur?”
“Mi chiamo Marius Pontmercy.” disse con tono estremamente educato, con una
piccola riverenza verso la giovane che si sentì subito importante come una
nobile. Non era di quella zona di certo, un ragazzo con quella classe non
poteva ne essere nato ne essere un frequentatore assiduo dei bassifondi di
Saint Michel. “Un giovane che frequenta la mia stessa università, tale Julien
Courfeyrac, mi ha chiesto di raggiungerlo qui, stasera, per una riunione che
avrei trovato assai interessante…. Sapete dove posso
trovarlo?”
“Certamente” rispose la mora,
indicando verso le scale“Al piano
superiore, siete fortunato, la riunione non ha ancora avuto inizio, ma lui è
già qui.”
“Mi sfugge il vostro nome, Mademoiselle…”
La ragazza appoggiò due bottiglie di
vino sul vassoio insieme a qualche bicchiere, prima di voltarsi nuovamente
verso Marius “Camille Dupont, per servirvi Monsieur. Seguitemi, vi condurrò dal
vostro amico..”
“Permettetemi di aiutarvi!” disse
subito lui, mentre la ragazza sollevava a fatica il pesante vassoio.
“Non scomodatevi, Monsieur, non
importa!”
“Vogliate perdonare la mia
disobbedienza, ma intendo aiutarvi!” prese le bottiglie dal vassoio, sorridendo
alla giovane che gli sorrise di rimando, prima di far strada su per le scale. Decisamente,
non viveva a Saint Michel.
Arrivata al piano di sopra, Camille
notò subito Enjolras e Courfeyrac seduti al tavolino più vicino alla finestra. Appena
lo vide entrare, Julien alzò una manoe
fece segno al ragazzo di avvicinarsi. Lui consegnò una bottiglia a Camille, la
quale lasciò che prendesse l’altra insieme a tre bicchieri, prima di voltarsi
verso Joly, Cambeferre e Grantaire, che sembravano
presi da una conversazione molto importante.
Camille aveva sempre avuto il
permesso di partecipare alle riunioni, soprattutto nei giorni in cui il tempo
era così inclemente da non permettere a molti clienti di frequentare il Musain.
Quello era, a quanto pare, l’argomento di conversazione.
“Ti dico che la polmonite è uno dei
mali più letali dei nostri tempi!” stava dicendo con fervore Joly, mentre Grantaire annegava un sorrisetto nel bicchiere
e Ferre alzava gli occhi al cielo, in un moto di pura
esasperazione “Il cielo è stato scuro tutto il meriggio e nell’aria si sente
chiaro l’odore della pioggia. A breve cadrà il cielo, te lo dico io! Un acquazzone
che io vorrei evitare di sorbirmi nel ritorno ai dormitori! Dico che dovremmo
spostare la riunione di stasera a un giorno in cui, se Dio vorrà, il tempo sarà
più clemente.”
“Dovresti proporlo ad Enjolras.” Disse Grantaire, mentre Fabién
lo fulminava con lo sguardo.
Fu proprio Ferre
a prendere la parola a quel punto, ringraziando Camille che stava riempiendo il
suo bicchiere di vino scuro “Oh, smettila con queste sciocchezze!”
“Ti dico che è letale!”
Ferre sbuffò “Sai cos’altro
è letale?” Joly lo guardò senza capire “Enjolras!”
“Cosa?” domandò il biondo, che
decise di raggiungerli in quell momento, battendo
ogni tempismo. “Cambeferre, vai da Courf e quel
ragazzo. È un nuovo arrivato e voglio che ci parli un poco anche tu. Sembra
essere brillante abbastanza e le sue idee non sono male, anche se la vena
bonapartista che ha potrebbe offuscare il suo zelo.”
“Vado” replicò il suo braccio
destro, alzandosi e cedendogli il posto “Tu non uccidere Joly….”
Il biondo distolse gli occhi da
quelli di Camille che stava guardando sia lui che il dottorino parecchio
divertita, e si voltò verso Joly “Perché mai dovrei
volerti uccidere?”
“Enjolras.” Disse serio il ragazzo “Guarda
alla finestra, ti prego. A breve cadranno chissà quanti litri di pioggia sulle
nostra povere teste! Senza contare che, a quanto mi è parso di capire, c’è un
buon trenta percento di possibilità che possa venire a nevicare entro la
mezzanotte!”
Il biondo alzò un sopracciglio “Ti
ringrazio per questo brillante resoconto meteorologico” sussurrò argutamente,
facendo ridere Grantaire e Camille “Posso chiederti dove vuoi arrivare?”
“Spostiamo la riunione.”
“No.”
“Ma, Enjolras-”
“Dovrebbe spaventarti più la
situazione nella quale vivi, di due gocce di pioggia…”
Brontolò il ragazzo con spavalderia, appoggiandosi con un braccio al tavolo “Non
intendo spostare proprio nulla. Vai a casa se preferisci, ma qui stasera si
discuterà con serietà e dovizia, come ogni volta!”
Camille perse il resto della
conversazione, dovendo torna al piano di sotto, ma sapeva benissimo che Joly avrebbe quanto meno provato a convincere il biondo
parlando della polmonite sotto l’aspetto medico.
Tornata al bancone, si ritrovò
davanti una figura che ben conosceva e che di tanto in tanto passava a farle un
saluto “Buonasera, Eponine.”
Continua.
Nda.
Ho dovuto necessariamente spezzare
qui il capitolo, o sarebbe venuto davvero troppo lungo.
Una buona notizia: avendo già un
pezzo dell’altro, non dovrei tardare molto con gli aggiornamenti questa volta
:D
Il pezzo che segue è uno dei miei
preferiti di tutta la storia, spero che anche voi possiate apprezzarlo perché,
a parte la dolce Eponine, apparirà un personaggio che
non viene quasi mai calcolato all’interno delle fan fiction, ma che riveste un
ruolo di rilevante importanza. Chi indovina di chi sto parlando?
Le
canzoni trattate in questo capitolo vengono entrambe da West Side Story e sono,
in ordine ‘A Boy LikeThat’,
cantata da Eloise e Camille, e ‘Tonight’, cantata da
Enjolras e Camille.
Spero
che vi siano piaciute, visto che avete apprezzato quelle dello scorso capitolo!
*Per i pochi che non lo sanno, il significato
dietro a Les Amis de L’ABC Cafè è molto profondo. ABC è di fatto un richiamo
ritmico alla parola ‘abaissé’ che in francese
significa ‘oppressi’. Geniale, assolutamente geniale!
Spero
che la presentazione di questi ragazzi sia stata esauriente e il più precisa
possibile e in linea con il romanzo, cosa che non riguarda l’arrivo di Marius
ma va beh, volevo presentare anche lui per bene visto che servirà molto!
Ringrazio
chi legge e recensisce questa storia, grazie davvero
Capitolo 4 *** Part Three (Part II): Les Amis de L’ABC cafè. ***
bananissima2
Titolo: La couleur du Désir Rating:Arancione. Betareader: //
Capitolo: 3/9, prima seconda. Avvertimenti: Ho modificato alcuni eventi, rispetto all’opera
originale, cercando però allo stesso tempo di mantenere integre le personalità
originali dei protagonisti e di dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Genere: Romantico, malinconico e, naturalmente, storico.
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo
personaggio.
Disclaimer:Non possiedo
la maggior parte dei personaggi di questo racconto, poiché essi sono usciti in
un primo momento dalla penna di Victor Hugo e, successivamente, rielaborati dal
genio di Claude-Michel Schönberg. I soli personaggi che mi appartengono sono
quelli che ho io stessa inventato, ovvero Camille Dupont e la sua
famiglia.I fatti narrati sono in parte
inventati da me e in parte sempre ispirati dall’opera ‘Les Miserables’ di Hugo,
seguendo però il filone narrativo del musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’
anche secondo Grantaire. Ma, come ogni uomo mortale, egli ha anche un lato
umano….
Il rosso è il colore
degli uomini irati e del cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le
sfumature di un’anima innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo
Enjolras lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius glielo spieghi alla
vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il
sentimento umano più forte dell’amore?
“Buonasera,
Eponine.” Disse Camille, salutando la ragazza che si stava guardando attorno da
sotto un basco dal taglio maschile, color sabbia bagnata.
Ella
rispose con un dolce sorriso, abbassando di poco il viso sporcato dalla miseria
mentre si avvicinava a lei, occupando un posto su uno degli sgabelli al bancone
“Buonasera, Camille. Passavo di qui e ho pensato di venire a porgervi un
saluto.” Le disse, sistemandosi la gonna e sfilando il cappello, in un gesto di
buona educazione.
Era
povera, ma non per questo doveva comportarsi come una bestia.
“Te
ne sono grata, non ti vedevo più da qualche giorno e iniziavo a domandarmi cosa
mai potesse esserti capitato!” Rispose gioviale la cameriera, riempiendole un
bicchiere e passandoglielo senzafarsi
notare da Madame Hucheloup. “Come vanno le cose, cara ‘Ponine? Gavroché sta
bene?”
“Quel
bambino non sa stare al suo posto.” Sussurrò la ragazza, guardando con gli
occhi scuri quelli cobalto di Camille, appoggiata al bancone davanti a lei “Mia
madre non dovrebbe perderlo così d’occhio, ma non sa far altro che derubare le
persone…”
“Finche
son ricchi signorotti, lasciamola fare!” Fu la risposta sagace di Camille, che
prese uno strofinaccio per lucidare il legno davanti a sé “Di soldi quelli ne
hanno anche troppi.”
“Fossero
solo signorotti! I miei genitori non guardano in faccia a nessuno, posso
assicurarvelo, Camille..”
La
mora sorrise, appoggiando una mano sul braccio di Eponine che, stupita, strinse
di più il bicchiere tra le mani. Non erano in molti a essere gentili con lei,
ma Camille era straordinariamente buona. Oltre ogni dire “Ti ho già chiesto più
volte di non darmi del lei, ‘Ponine…. Sono una tua pari, dopotutto.”
“Ma siete così buona con me…. Così gentile e io vorrei solo ripagarvi.”
“Considerateli
tutti pegni in amicizia…. E tra amici si usa dare del tu!”
Eponine
sorrise, colma di gratitudine, mentre Camille riprendeva a volgere le sue
mansioni. Rimasero sole al bancone fino all’arrivo di Grantaire, che si diceva
già sazio delle perle di Enjolras. Camille non capiva come potesse appoggiarlo
senza però condividere a pieno i loro ideali.
“Ha
troppe speranze nella gente.” Era la classica risposta del moro ogni qualvolta
la ragazza si arrischiava a domandarglielo “La sola certezza che io ho nella
vita è il mio bicchiere sempre pieno, lui invece è convinto di poter stringere
il mondo nel suo pugno. Non lo sa, ma
esso è egoista, mia dolce Daine!”
Camille
lasciava sempre correre, comprendendo le parole dell’amico nel profondo.
Enjolras era un leader carismatico, che riusciva ad ammaliare le persone con un
solo sguardo e belle parole. Che avesse ragione, era solo una nota di margine
perché uno scarso oratore con i più buoni intenti non ottiene comunque nulla.
Enjolras invece incarnava una forza che si era vista in pochi casi, in quella
Parigi macchiata dalla povertàe dalla
sottomissione a sovrani sempre più incapaci.
Enjolras
rispecchiava appieno la passione di Robespierre, che lui tanto adorava e
idolatrava. Sperando in una fine migliore del suo predecessore, s’intende,
sembrava destinato a compiere grandi gesta, ma non avendo ancora iniziato a
parlare alle genti del popolo, ma solo
ai giovani Les Amis, non era ancora chiara la sua vera forza.
“Qual
è l’argomento di stasera?” chiese Camille, asciugando un paio di boccali con
uno strofinaccio.
Grantaire
ci pensò un attimo su, stringendo tra le mani il bicchiere di brandy che la
ragazza si era premunita di versargli poco prima “Di come la carte Pigna de
Chartres fosse in realtà un falso e che quindi la terra su cui sorge la reggia
di Versailles sia in realtà del popolo…. O almeno credo. Temo di essermi perso,
a un certo punto. Per questo ho abbandonato la riunione.”
“Abbandoni
sempre in un modo o nell’altro” Lo ribeccò bonariamente Camille, facendolo
sorridere. La giovane prese la bottiglia colma di liquido ambrato, pronta a
versare un altro bicchiere al moro riccio, quando notò qualcun altro che non
doveva essere al piano di sotto in quel momento “Guarda, non sei il solo
disertore per stavolta.”
Anche
Grantaire volse lo sguardo verso quel punto, ai piedi della scalinata, ed
entrambi si ritrovarono a guardare Joly mentre questi, con le gote arrossate
dal lieve imbarazzo, parlava con una bella ragazza dalla pelle olivastra e i
modi gentili.
“Musichetta
passa spesso di qui, ultimamente.” Convenne Grantaire, sorridendo con malizia
mentre tornava a guardare Camille “Mentre l’attenzione di Joly è calata di
colpo…. E poi Enjolras ha anche il coraggio di dire che è tutta colpa del
vino…. Lo posso quasi sentire ‘
Grantaire, metti giù quella bottiglia!’” il ragazzo scimmiottò il tono
autoritario dello chief, facendo ridere di cuore la cameriera che fu costretta
a portare una mano alla bocca, per mascherare almeno in parte il divertimento.
Joly
li raggiunse in quel momento, dopo aver salutato con un bacio galeotto la bella
Musichetta. Prese posto tra Grantaire e Eponine, la quale teneva il capo chino
sul banco di legno del cafè, guardando i due amici stranito “Perché ridi così
tanto, Camille? Che sciocchezza ha esternato ora questo barbone?”
“Bada
a come parli, sei un barbone quanto me.” lo ribeccò Grantaire, alzando poi il
bicchiere, come per schernirlo “Complimenti, disertore. Hai abbandonato la
riunione, ma non temere: Enjolras ti farà capire quanto gli sei mancato
facendoti pesare questa tua mancanza per giorni…. Dove è volto il discorso? Io
a stento hocapito le prime due parole…”
“Beh,
io sono riuscito a mantenere alta l’attenzione sino a che non si è fatta
menzione di una certa Giovanna d’Arco” ridacchiò Joly “Scalderesti dell’acqua
per la mia tisana, Camille?” la giovane annuì, e il ragazzo tornò a parlare
“Credo che il problema di Enjolras e, in particolar modo, Combeferre sia
questo: sono fossilizzati sulla storia. So che sono tutti ottimi punti da
esporre, per fare un quadro della nostra Francia, ma se non rimaniamo concentrati
sui problemi odierni non focalizziamo il punto e le persone perdono
interesse….”
“A
proposito di interesse, Francois…” Camille si chinò su un pentolone, prendendo
un po’ di acqua calda e mettendola in boccale, prima di passarla all’amico “Che
mi dici di Musichetta? Vi vedo così intimi in questo periodo….”
Joly
arrossì di nuovo. Non riuscì a impedirselo, nonostante la concentrazione che
stava impiegando per versare l’infusodi
una strana tisana alle erbe aromatiche dentro all’acqua calda. Aveva bevuto
vino per tutta la sera, era sua consuetudine poi prendere qualcosa che lo
aiutasse con la digestione. A sentire lui non c’era niente che funzionasse bene
nel suo organismo… “Lei è molto bella e io molto…. Interessato a lei. Ho
soddisfatto la tua curiosità?”
“Certamente”
rispose la mora, scambiando uno sguardo lievemente malizioso con Grantaire“Oh Bahorel! Ci raggiungi anche tu?”
Il
rosso si appoggiò al bancone, incrociando le braccia “Una birra, ti prego. Ho
bisogno di bere dopo quello che ho sentito, sento il cervello pieno di polvere
da sparo pronta a saltare!”
“Che
cosa sta succedendo lassù?” chiese Joly divertito.
“La
demolizione del villaggio di Trianon, dico solo questo.”
“Sembra
di esser tornati fanciulli, a casa col precettore, a studiare la storia della
Francia” disse Grantaire storcendo il naso.
Bahorel
si sfilò il capello, guardandolo con severità “Hai avuto una gran fortuna ad
avere un precettore, pensa a chi non è stato così benedetto dal cielo.”
“Vero,
l’istruzione non è una cosa da tutti.” Aggiunse Camille.
Grantaire
mise le mani avanti “Chiedo venia, ho parlato senza pensare! Ma che tu sia o
meno fortunato e istruito, questa parte storica è noiosa e decisamente
inutile….”
Un
forte fragore interruppe la conversazione, costringendo il gruppetto di amici a
voltarsi verso la fonte di quel rumore molesto. Un uomo si era alzato di scatto
e ora stava sussurrando rabbioso verso un ragazzo, mentre a terra giaceva la
sedia riversa. Camille aveva notato i due uomini quando erano arrivati, poiché
non erano clienti abituali. Il primo aveva varcato la soglia almeno un’ora
prima, il cilindro nero e sporco calato sul a celargli il viso, prima ancora
che Camille arrivasse al Musain. Il secondo invece era il primo cliente che
aveva servito prima di potare da bere ai Les Amis.
Aveva
chiesto una bottiglia di liquore portoghese e un paio di bicchieri, prima di
ributtarsi nuovamente in una fitta conversazione con l’uomo col cilindro.
In
quel momento sembravano sull’orlo della rissa. Grantaire sbuffò, tornando a voltarsi
verso il bancone, come se la cosa avesse perso di ogni interesse prima ancora
di iniziare “Riconosco l’uomo col cappello. Si chiama Montparnasse, un pessimo
elemento. Non mi stupisce più nulla, ormai; l’ho visto comportarsi nei modi più
efferati, per strada…”
“Nonsembra di certo un tipetto simpatico…”
sussurrò Joly, mentre Camille teneva gli occhi fissi sul viso affilato
dell’uomo in questione “Lasciamo perdere, che si risolvano da soli i loro conflitti.”
“Spero
non nel mio bar…” disse Madame Hocheloup, apparendo dietro la mora con in mano
due o tre bottiglie di vino d’annata. Quasi non terminò la frase che accadde
l’inevitabile. Montparnasse si gettò sull’altro uomo, brandendo tra le mani una
bottiglia che, nella colluttazione, si ruppe diventando così ancor più
pericolosa.
Bahorel
e Grantaire scattarono in piedi, tentando di fermare quella zuffa, mentre Joly
saltava a sedere sul bancone per poi scavalcarlo e portarsi dietro di esso,
accanto a Camille.
“Un
vero cuor di leone!” gli disse la giovane, guardandolo di sfuggita, mentre
seguiva la lite che si stava consumando al centro del locale.
“Se
rimango ferito, chi curerà il medico?” domandò ovvio il ragazzo, prendendo un
forchettone e brandendolo al pari di una sciabola.
Grantaire
nel frattempo tentava di strappare dalle mani di Montparnasse la bottiglia
rotta, ma non ci riuscì. Si mosse lento e la bottiglia lo colpì al braccio.
Camille lanciò un urlo mentre la camicia del moro si tingeva di rosso e Joly
sbiancava.
Velocemente,
la mora fece il giro del bancone, arrivando alle scale “Enjolras!” urlò
disperata, mentre volavano cazzotti e imprecazioni dai quattro impegnati nella
zuffa.
Ci
vollero pochi secondi ed Enjolras, affiancato da Combeferre e quel ragazzo
nuovo, Marius.
Il
biondo ci miseun paio di secondi a
realizzare cosa stesse accadendo, poi velocemente si voltò chiamando anche
Courfeyrac, prima di scendere le scale e afferrare per le spalle Montparnasse,
aiutato da Ferre, riuscendo a spingerlo a terra.
Quel
che era rimasto della bottiglia s’infranse al suolo, sotto gli occhi spaventati
di Camille che ancora fissava la scena dal basamento delle scale.
Courfeyrac
le fu accanto in quel frangente, appoggiandole una mano sulla spalla “Camille,
per il buon Dio, stai bene?”
Lei
annuì, guardando Bahorel, che da solo, sollevava il secondo uomo, spingendolo
contro un tavolino rotondo e bloccandolo così, affinché non facesse più danni.
Lentamente
tutto il caos si dissipò, finendo nell’esatto momento in cui Montparnasse
riuscì a liberarsi dalla presa dei due ragazzi, correndo via e perdendo il
cilindro nella fuga.
“Per
tutti i santi che vegliano su Parigi, che diavolo sta succedendo?” chiese
scocciato Enjolras alzandosi da terra e spazzando via un po’ di polvere dal
gilet ocra. “Non si vedeva un tale baccano dalla presa della Bastiglia!”
“Solo
tu potevi usare questo paragone, Apollo” Lo schernì Grantaire, tenendosi il
braccio. Camille fu presto vicino a lui insieme a Joly, il quale aveva
rapidamente preso a osservare la ferita dai bordi frastagliati dell’amico.
“Nulla
di grave, ma temo che serviranno un paio di punti e una garza.” Disse
pensieroso lo studente di medicina, scostando i lembi della camicia, laddove si
era strappata a causa del colpo.
“Ti
prendo dell’acqua calda” disse Camille, alzandosi in piedi.
Rimase,
però, bloccata lì dov’era,come ancorata alle assi del pavimento di legno. Sulla
soglia, con la sua solita espressione truce e fredda, se ne stava appollaiato
al pari di un uccellaccio malevolo l’ispettore Javert.
Nulla
più di un corvo portatore di sventure.
Gli
altri si accorsero di lui solo quando l’uomo avanzò verso di loro, facendo
qualche passo dentro al cafè. Squadrò tutti quanti, uno alla volta, cercando di
riconoscere i visi, prima di aprire bocca “Mi è stato segnalato che, in questo bar,
c’è stata un’aggressione. Chi l’ha causata deve parlare ora.”
Enjolras
fece un passo avanti, ma Grantaire gli rubò la scena. Si fece notare
ridacchiando, mentre Joly teneva gli occhi fissi sul suo braccio,
concentrato“Arrivate tardi, Ispettore!
L’uomo in questione ha pensato bene di darsela a gambe!”
“Possiamo
fare rapporto, però” disse Bahorel, tenendo una mano sulla spalla dell’altro
ragazzo che aveva partecipato alla zuffa “Questo ragazzetto e un certo
Montparnasse hanno iniziato una lite, poi quel vile ha ferito il nostro amico e
se l’è data a gambe.”
Javert
si voltò verso di lui, alzando il manganello e appoggiandoselo alla spalla con
fare minaccioso “Ah si? Montparnasse è un nome che ricorre spesso per queste
vie…. Non starete cercando un capro espiatorio, voglio sperare.”
“Ovviamente
no, Ispettore.” Disse Grantaire “Non sono stato ferito da nessuno dei presenti
i questa stanza. Ho avrei immediatamente provveduto a denunciare il fatto.”
“Quello
che serve, però, non lo avete. Io vi chiedo una prova che sia qualcosa in più
di una semplice dichiarazione senza fondamento.”
Enjolras
scosse lentamente il capo, prima di cambiare Javert con lo stesso sguardo
severo “Oh andiamo, ispettore. Avete arrestato e condannato persone con molto
meno di una dichiarazione..”
“Il
fatto è, Monsieur Enjolras, che qui non ho testimoni attendibili” disse
rapidamente Javert, muovendo qualche passo verso il biondo “Non vedo altri che
un gruppo di ragazzetti un po’ troppo brilli per poter andare domani alle
lezioni universitarie, una cameriera che era stata accusata di furto e un
sospettato che non si trova nemmeno in questa stanza. Tutte le prove portano ad
un solo responso: una zuffa da bar tra ragazzini.”
Camille
scostò lo sguardo, cercando di non fermarlo in quello glaciale dell’ispettore,
ma esso la seguì fino a che non fu costretta a incontrarlo con esso. In quegli
occhi lesse la disapprovazione. In quegli occhi poté capire che quell’uomo,
senza conoscerla, l’aveva già catalogata.
Aveva
commesso un errore di minore importanza rispetto ai molti mali che affliggevano
il loro mondo, eppure era bastato per venir additata per sempre come una ladra.
Strinse
le mani sotto al grembiule bianco, mentre Courfeyrac appoggiava una delle sue
sulla spalla esile della ragazza, scambiando uno sguardo con Enjolras
fronteggiò l’Ispettore “Non è così che dovrebbe comportarsi la polizia…. Non
dovreste venire qua, accusandoci di essere tutti poco di buono, senza credere
alla testimonianza di una dozzina di persone. Non è così che si tratta il
popolo di Parigi, Ispettore Javert.”
L’uomo
sogghignò, prima di tornare serio. Mosse il manganello contro la spalla, quasi
come volesse renderlo vivo quanto un serpente bramoso di mordere “E questo chi
lo dice, Monsieur Enjolras? Voi?”
“Lo dico io, Javert!”
Una
voce di grande autorità s’irradiò per tutta la stanza, facendo trasalire
Javert. Camille lo vide impallidire, mentre si voltava verso la porta
rapidamente, tenendo diritte le spalle. Non aveva mai visto l’Ispettore in quel
modo, sembrava quasi intimorito.
Tutti
lo sembravano, eccetto Enjolras, i cui occhi grigi si accesero all’improvviso
nel ritrovarsi dinanzi un uomo alto, avanti con gli anni e avvolto da
un’elegante divisa militare.
Javert
fece una piccola riverenza, seguita dal saluto che si deve solamente a un
superiore “General Lamarque…”
Camille
sgranò gli occhi fino all’inverosimile, capendo il perché di tutto quello
stupore. Quel nome, Lamarque, le era assai famigliare: nelle sue arringhe,
Enjolras lo citava spesso….
Era
il generale del popolo, uno dei pochi a detenere una posizione elevata senza
abusare del potere che essa dava.
La
ragazza osservò con attenzione ogni singola caratteristica di quell’uomo così
autoritario, dipingendo un ritratto indelebile nella sue mente. Lamarque aveva
un viso marmoreo, squadrato ma non eccessivamente. Le labbra tese e sottili
erano parzialmente nascoste da un paio di baffi bianchi, dello stesso colore
delle sopracciglia e presumibilmente dei capelli, celati alla vista da un
imperioso cappello. Eppure i suoi occhi erano stranamente gentili. Stonavamo col
resto del volto e la postura rigida.
Quegli
occhi dalle iridi verdi macchiate da spruzzi dorati erano ricche di bontà;
Camille vi lesse una gentilezza che non aveva mai riscontrato in un soldato. Un
generale.
Lamarque
entrò nel cafè, mentre un paio di soldati prendevano posto ai lati della porta,
vigili. Guardò Javert con severità, prima di voltarsi lentamente verso Enjolras
e concedergli un leggero cenno di saluto che fece sussultare il giovane. Il
biondo si sbrigò a unire i piedi ed esibirsi in un breve inchino “General
Lamarque…”
“Ispettore
Javert, cosa sta succedendo qui?”
Il
capo della polizia ebbe un sobbalzo violento, ma non si scompose
eccessivamente, per non perdere la sua autorità davanti a tutti quegli
studentelli “Una donna è uscita da questo cafè denunciando una violenta lite,
finita alle mani. Sono accorso per riportare l’ordine e-”
“Avete
ben pensato di accusare questi giovani, a quanto vedo..”
“General,
io conosco bene queste persone loro-”
“State
mettendo in dubbio la mia autorità, ispettor Javert?”
“Mai
mi permetterei, General Lamarque….”
“Meglio
così, perché in verità anche io sono cresciuto per i vicoli di Saint Michel..”
a quelle parole tutti trattennero il respiro. Il generale alzò il mento “Non è
feccia, Ispettore, questi sono i cittadini che voi avete giurato di proteggere.
Dovreste ricordarlo. Ora andate, mi occuperò personalmente della faccenda.”
Javert
tentennò appena, lanciando uno sguardo di fuoco a Grantaire che, seduto a
terra, osservava compiaciuto quella scena. Fu proprio il modo ad avere l’ultima
parola “I nostri ossequi, Ispettore” disse alzando il braccio in segno di
saluto e scuotendo così il povero Joly che stava premendo uno straccio sulla
ferita che ancora sanguinava.
A
Javert non rimase null’altro da fare, se non raccogliere i brandelli della sua
dignità, per la prima volta calpestata e richiamare i suoi uomini. Sparì così,
facendo mulinare il mantello nero sopra alla divisa e chiudendosi la porta alle
spalle.
Lamarque
lo guardò andarsene, prima di voltarsi verso Enjolras che ancora lo guardava
con profonda ammirazione “Etienne” tuonò la sua voce, stavolta meno severa ma
ugualmente autoritaria “Dimmi cosa è successo qui…”
“Certamente,
General Lamarque” rispose prontamente il biondo “Un uomo, un certo
Montparnasse, ha iniziato a lottare con quel ragazzo e nella colluttazione è
stato ferito un mio amico, che di colpe ne ha solo due: bere un po’ troppo e
non controllare bene i riflessi…. Credo che siano una la conseguenza dell’altra.”
“Grazie,
Enjolras” commentò amaramente ‘Taire, mentre Combeferre ridacchiava sotto i
baffi, passando a Joly l’ennesimo straccio.
“Poi
noi abbiamo provato a fermarli e…. credo che la storia si concluda qui.”
Lamarque
si voltò verso l’altro ragazzo, squadrandolo dalla testa ai piedi “Il vostro
nome?”
“Theodore
Masson, General”
“Per
quale motivo stava lottando con quell’uomo?”
Bahorel
lasciò andare il ragazzo, che subito si sfilò il basco, stringendolo tra le
mani con evidente nervosismo “Lui è un usuraio, Monsieur. Ha derubato la mia
famiglia e ci ha costretti ancora di più alla fame di quanto non siamo già. Ho
portato i soldi per pareggiare i conti ma non bastano…. Non bastano mai.”
“Capisco.”
Il generale si passò una mano guantata di bianco sul mento, prima di fare un
cenno ad uno dei soldati che uscì dalla porta “Cercheremo di impedire a
quell’uomo di fare ancora del male alle persone, Monsieur Masson. Potete
andare.”
Al
ragazzo si allumarono gli occhi “Vi ringrazio General Lamarque. Grazie!”
“Siete
molto fortunato, Monsieur. Passavamo di qui per puro caso.” Disse uno dei
soldati, prima di riportare l’attenzione verso il generale che si voltò verso
la porta, camminando fino a raggiungerla.
“Per
noi è tempo di tornare alla caserma” disse Lamarque, appoggiando una mano allo
stipite e guardando uno ad uno tutti i ragazzi che erano lì presenti nella stanza,
fermandosi poi su Enjolras “Porta i miei saluti e tuo padre, Etienne. Fate attenzione,
non sono bei tempi questi….”
“Che
Dio vi benedica, General Lamarque” concluse il biondo, mentre uno ad uno, i
soldati si sbrigavano a seguire l’imponente uomo oltre la soglia della porta.
“Conosci
il generale?” domandò stupito Joly, mentre prendeva dalla tasca interna della
giacca una piccola tabacchiera di scintillante metallo, dentro la quale conservava
ago e filo da sutura. Diceva che poteva servire per ogni eventualità e, a
quanto pare, aveva ragione.
“Non
esattamente” rispose Enjolras, appoggiandosi con i fianchi ad uno dei tavolini
e incrociando le braccia sul petto “Lui e mio padre sono andati insieme in
guerra. Hanno combattuto a Waterloo, ma di più non so.”
Courfeyrac,
che conosceva Enjolras si da quanto non erano altro che due bambini piccoli,
scambiò uno sguardo stranito con Ferre. Fu quest’ultimo a parlare “Tuo padre
non è un commerciante? Mi ricordo che da bambini, quando giocavamo nel cortile
interno di casa vostra, lo vedevamo sempre rincasare al tramonto…”
“Ora
è un commerciante, prima dirigeva il terzo battaglione, al servizio di
Napoleone” decretò Enjolras, storcendo il naso mentre, alla sua destra, gli
occhi di Marius si illuminavano di pura ammirazione.
“Tuo
padre combatteva per Bonaparte?”
“Non
è qualcosa di cui vado fiero” Ammise il biondo, fulminando con lo sguardo il
nuovo arrivato e scostandosi per tornare al piano di sopra. Si fermò accanto a
Camille, appoggiando una mano sul suo braccio e accarezzandolo con la punta
delle dita “Stai bene?”
“Un
poco scossa, ma sto bene…” rispose la mora, sorridendo pallidamente. Enjolras la
guardò negli occhi per qualche istante, prima di voltasi verso gli altri e
invitarli a riprendere laddove erano rimasti. Salì le scale, sparendo così alla
vista.
Courf,
Ferre e molti altri lo seguirono, compreso Grantaire che cercava di ribellarsi
alle cure di Joly. Al piano di sotto rimase solamente Marius, che osservava con
sguardo stranito il pavimento.
“Un
franco per ogni vostro pensiero, Monsieur” disse Camille, raggiungendolo al
bancone.
“Credo
di aver detto qualcosa di sbagliato.” Marius sospirò, sedendosi su uno degli
sgabelli.
Camille
gli piazzò davanti un bicchiere di brandy e lui fece per prendere qualche
moneta, ma lei glielo impedì “Il primo lo offre la casa. Comunque non
preoccupatevi, Monsieur, Enjolras è un giovane molto complesso, molte volte
sembra irritato ma in realtà non lo è affatto…”
Camille
sapeva di aver mentito, sapeva che Marius aveva toccato un tasto dolente nella
vita di Enjolras. Aveva rotto i ponti con la sua famiglia a causa di molte
divergenze, soprattutto di opinione.
Sapeva
che non andava d’accordo col padre, il ragazzo le aveva raccontato qualcosa ma
non tutto. Non amava parlare di sé, non sotto quel punto di vista, almeno.
Marius
avrebbe avuto il tempo per conoscerlo e apprezzarlo, nonostante le molte parole
non dette, celate dietro agli sguardi.
Pontemercy
ringraziò di nuovo Camille per il brandy, prima di tornare dagli altri per
proseguire quella riunione che, di colpo, si era fatta tutt’altro che noiosa.
Solo
a quel punto la mora notò che Eponine non si era mai allontanata dal suo posto.
Stranamente era rimasta lì, nonostante la confusione e nonostante l’intervento
di Javert che conosceva molto bene anche lei. Non doveva essere facile essere
una Thanadier, vista la fama che i suoi genitori si erano creati.
La
giovane si avvicinò a Camille, scendendo dallo sgabello e mettendosi di fronte
a lei senza, però, smettere di fissare le scale che davano al piano superiore. Sembrava
incantata, persa in chissà quale pensiero dal sapore onirico di un bel sogno “Camille….
Chi è quel giovane? Non mi pare di
averlo mai visto qui, al Musain”
La
cameriera la guardò un istante, percependo un certo interesse nel tono di
Eponine “Si chiama Marius Pontmercy, è amico di Courfeyrac a quanto ho capito….”
“Marius…”
Quel
nome prese corpo sulle labbra carnose di Eponine, diventando più puro di una
nota musicale.
In
quella sala, quella sera, Camille vide nascere più di un sentimento forte, ma
non se ne accorse.
Mentre
nel petto di Enjolras il fuoco del cambiamento iniziava ad attizzare braci
accese da qualche tempo, in quello di Eponine si sviluppava un sentimento che l’avrebbe
portata a cadere sempre di più.
Era
solo l’inizio, come un’alba che tinge di rosso sanguineo il pallido e innocente
cielo notturno.
Continua….
Nda.
Eccomi
tornata con l’aggiornamento della seconda parte^^
Dal
prossimo capitolo entriamo nel vivo della rivoluzione!
Ci
tengo a ringraziare tutti coloro che leggono e in particolar modo a chi
recensisce ^^
Capitolo 5 *** Part Four (Part I): What’s the color of your Soul? ***
bananissima2
Titolo: La couleur du Désir Rating:Arancione. Betareader: //
Capitolo: 4/9. Avvertimenti: Ho modificato alcuni eventi, rispetto all’opera
originale, cercando però allo stesso tempo di mantenere integre le personalità
originali dei protagonisti e di dare loro l’opportuna gloria che meritano. .
Genere: Romantico, malinconico e, naturalmente, storico.
Coppie trattate: Het.
Enjolras/Nuovo
personaggio.
Disclaimer:Non possiedo
la maggior parte dei personaggi di questo racconto, poiché essi sono usciti in
un primo momento dalla penna di Victor Hugo e, successivamente, rielaborati dal
genio di Claude-Michel Schönberg. I soli personaggi che mi appartengono sono
quelli che ho io stessa inventato, ovvero Camille Dupont e la sua
famiglia.I fatti narrati sono in parte
inventati da me e in parte sempre ispirati dall’opera ‘Les Miserables’ di Hugo,
seguendo però il filone narrativo del musical.
Sommario: Enjolras ci è sempre stato presentato come un personaggio tutto di un
pezzo, fiero e determinato verso i suoi obbiettivi, al pari di un ‘Dio greco’
anche secondo Grantaire. Ma, come ogni uomo mortale, egli ha anche un lato
umano….
Il rosso è il colore
degli uomini irati e del cielo dipinto dei toni dell’alba, ma contiene anche le
sfumature di un’anima innamorata e avvolta dalle fiamme del desiderio. E questo
Enjolras lo sa benissimo, anche senza che il giovane Marius glielo spieghi alla
vigilia delle barricate….
Qual è, quindi, il
sentimento umano più forte dell’amore?
Part Four (Part I): What’s the color of your Soul?
1832, Paris.
I
fogli su cui era stato stampato il manifesto della rivoluzione erano ruvidi,
sotto le dita di Camille. Aveva letto il primo in cima alla pila almeno una
decina di volte, con umore contrastante, mentre attendeva l’arrivo di Marius e
degli altri Amis sotto le porte della casa del General Lamarque.
La
situazione si era sviluppata velocemente in un pugno di mesi, e non esattamente
in senso positivo. Non si avevano notizie di Lamarque da qualche giorno, ma una
recente epidemia di colera non faceva presagire bene riguardo il motivo di
questa pubblica scomparsa.
La
mora si mordicchiò il labbro, buttando nuovamente uno sguardo sulle parole
elegantemente scritte sulla carte ingiallita, prima di sposarlo alla sua
sinistra, diritto in quello serio di Enjolras.
D’istinto,
gli si fece più vicina, andando ad accarezzargli con fare confortante il
braccio “Terrai qui il tuo discorso, oggi?”
Enjolras
annuì, rispondendo al sorriso “Sì, qui, dove Lamarque può sentire il sostegno
del suo popolo…” voltò poi il capo, scontrando gli occhi con quelli blu cobalto
di Odette. Il biondo teneva infatti la bambina in braccio, sollevata dalla
strada trafficata a quell’ora. Camille li guardava dolcemente estasiata,
lasciando andare la mente. Da tempo ormai desiderava anche lei una famiglia,
una casa anche umile e modesta, ma che comprendesse un letto da dividere con
Enjolras. Come sua moglie, come madre dei suoi figli. Per sempre.
La
bambina portò le braccia attorno al collo del biondo, guardandosi attorno
incuriosita da tutto quel fracasso “Da dove vengono tutte queste carrozze?”
chiese poi con voce piccola, mentre Camille le sistemava il vestitino che si
era sollevato.
Enjolras
lasciò scivolare lo sguardo sulle carrozze eleganti che sfilavano davanti a
loro, sotto le arcate eleganti dei portici, fino a Place della Concorde, e
sospirò “La nobiltà non si accontenta di certo del mercato, Odette…. Per lo meno,
non ci vanno usando solo la forza dei loro polpacci.”
“Per
quello c’è la servitù” Combeferre si avvicinò, sorridendo alla bambina prima di
voltarsi verso Camille “Hai solo quelli? Dove sono gli altri volantini?”
La
ragazza scrollò le spalle, mentre i capelli, lasciati liberi per una volta, si
muovevano come un’armoniosa cascata di seta nera “Non ne ho idea. Ieri sera
Joly mi ha lasciato questi. Alcuni li ho dati a qualche cliente che ha fatto
tardi, mentre il resto è qui.”
Courfeyrac
spuntò da dietro la spalla di Ferre, salutando con un cenno, prima di domandare
dove fosse Joly.
“Arriva
con Marius e gli altri, credo.” Disse la mora, spostandosi mentre una carrozza
passava vicinissima a loro. Enjolras le passò un braccio attorno alle spalle,
senza mai smettere di guardarsi attorno circospetto. Solo quando Marius,
Feuilly, Prouvaire, Bahorel apparire insieme a Joly e qualche altro studente,
il biondo mise a terra Odette, guardando Camille “Stai attenta, sicuramente si
farà viva la polizia oggi…”
La
giovane annuì “Anche tu, ti prego, fai attenzione…”
Un
ultimo sguardo, poi Enjolras si chinò su Camille baciandola sulle labbra. La
ragazza lo guardò farsi strada tra le persone insieme a Ferre. Poi entrambi si
affiancarono a Marius, al lato di un piccolo palchetto.
Enjolras
e Marius avevano legato parecchio, nell’ultimo periodo. Negli occhi di
quest’ultimo brillava lo stesso fuoco prepotente e nuovo che ardeva nel cuore
del biondo e la sua ottima abilità oratoria era perfetta per attirare sempre
più gente.
Pontmercy
sorrise a Camille, alzando una mano per salutarla, prima di mettersi a
confabulare con i due amici. Courf mise le mani sulle spalle delle mora,
spingendola via da lì “Non ti incantare a guardare il tuo uomo, Dupont! C’è del
lavoro da sbrigare!”
Camille
lanciò un’occhiata a Odette, che era già sparita tra la folla, prima di
sospirare e iniziare a richiamare sempre più persone, aiutata dall’altro
ragazzo. Sicuramente sua sorella stava cercando Gavroche, quel birbantello. Si
era unita a un gruppetto di orfanelli dei bassi fondi e con loro passava molto
tempo. Il rimanente lo impiegava seduta ad un tavolino del Musainad ascoltare le poesie di Jehan o a ridere
dei discorsi di Grantaire.
A
Camille dispiaceva molto, veder crescere così la sua sorellina, in mezzo ad una
strada…. Ma non aveva alternative. Gavroche le aveva anche giurato che
l’avrebbe tenuta al sicuro, e dietro a quel giuramento così sentito Camille si
era quasi commossa. Era importante aver qualcuno con cui guardarsi le spalle a
vicenda, di quei tempi.
Ormai
non esistevano più le categorie sociali. O eri ricco o morivi di fame per
strada. I piccoli artigiani, i lavoratori onesti…. Erano quasi del tutto
spariti. A stento si trovava ancora un fornaio onesto o due, a Saint Michel. A Notre Dame le persone facevano la fila per mangiare alla
mensa popolare che il vescovo della città metteva a disposizione per i
bisognosi, ma non bastava mai. E peggiorava, peggiorava senza sosta da mesi e
mesi. Da anni.
Enjolras
lo aveva detto che, se non si fosse trovata una soluzione, ci avrebbe pensato
lui. Era un uomo di parola, su questo non vi è alcun dubbio. Aveva raccolto
sempre più persone, sempre più giovani che in lui avevano iniziato a vedere
oltre che a un leader carismatico, un generale che avrebbero volentieri seguito
con i fucili in mano e la speranza nel cuore.
Camille
aveva paura di tutto ciò. Temeva la rivoluzione, ma non poteva fare a meno che
incoraggiarla perché era giusta, solo….
Cosa
ne sarebbe stato di tutti loro? Che cosa avrebbero fatto ai Les Amis se si
fosse venuto a sapere delle loro idee? Li avrebbero uccisi.
Avrebbero
ghigliottinato Enjolras o lo avrebbero fucilato sulla pubblica piazza.
Tutte
le volte che ci pensava, Camille rischiava di avere un malore. Tutte le volte
che immaginava la sua vita senza di lui, si sentiva a sua volta morire.
Per
questo si concentrava sui piccoli gesti, giorno dopo giorno, illudendosi che
tutto sarebbe andato bene, che Enjolras aveva ragione. Il popolo sarebbe
insorto con loro, avrebbero marciato di nuovo fino a Versailles e avrebbero
costretto il Re ad abdicare prima di riprendersi la loro città e riprovarci
nuovamente.
Voleva
credere che sarebbe stato facile, ma nel suo cuore sapeva che sarebbe stato
tutt’altro che semplice riuscire in quell’impresa.
Scambiò
uno sguardo con Courfeyrac, mentre sempre più persone si radunavano sotto il
piccolo palco e il discorso di Enjolras e Marius iniziava. Odette corse da lei
e le prese la mano, facendosi dare qualche volantino da distribuire a sua
volta. Courf prese in spalla Gavroche e insieme alla mora si recarono a loro
volta sotto al palco, in attesa.
Il
popolo si stava rivoltando come un serpente in un cesto. Soffiava, ringhiava,
pregava per una soluzione. Le persone erano
stanche.
Le persone avevano fame.
-Look down and show some mercy if you can
Look down, look down, upon your fellow man!-
“Quand’è
che tutto questo finirà?” urlò Courfeyrac facendo scendere il bambino biondo e
guardando negli occhi Enjolras, che gli fece cenno di voltarsi verso destra. Fuori
dalla porta d’ingresso della casa Lamarque c’era un medico.
“Ci
penso io, non avrà il cuore di negare una spiegazione a una donna” sussurrò
Camille, mentre alla sua sinistra Bahorel chiedeva quando il popolo avrebbe
iniziato a vivere, suscitando parecchio consenso tra le prime file.
La
ragazza scivolò verso l’uomo in abiti scuri abbassando il capo con sguardo
ossequioso “Mi perdoni, dottor Lefebvre.” Sussurrò con tono basso e dimesso,
guardando l’uomo con le mani giunte in grembo “Che notizie portate?”
Il
dottore la riconobbe, così le si fece più vicino “Nessuna buona nuova, Camille.
Il generale sta molto male. Sta peggiorando con una rapidità che non mi è dato
comprendere e non credo arriverà alla fine della settimana..”
La
ragazza lo guardò scioccata, prima di ringraziare e tornare verso Courfeyrac
per riferirgli ciò che aveva scoperto.
“Dove
sono, or dunque, i capi della terra?? Dov’è il Re che orchestra questo
scellerato spettacolo?!”Enjolras
sembrava particolarmente preso, quel giorno, come se sentisse quanto i tempi
fossero vicini a maturare.
Marius
non era di certo da meno “C’è soltanto un uomo che ci appoggia, ovvero il
Generale Lamarque, che parla a favore del popolo dal quale proviene!”
Courf
riferì rapidamente al biondo quello che Camille aveva scoperto e subito il viso
di Enjolras si rabbuiò “Lamarque è malato e peggiora rapidamente.” Disse,
stupendo anche lo stesso Marius. Dette da lui, quelle parole sembrarono ancor
più nefaste per Camille “Dicono che non arriverà alla fine della settimana!”
Marius
si rigirò tra le mani uno dei volantini, prima di proseguire a parlare “Con
tutta la rabbia che corre tra di voi, quanto manca al giorno del giudizio??”
Lo
chief appoggiò una mano sulla sua spalla, guardando verso il popolo trepidante
“Prima che noi rimetteremo in riga questi porci riccastri!”
Dal
popolo si levarono grida come di festa.
“Morte
al Re!”
“Libertà
per la Francia!”
-Before
the barricades arise!-
Le persone sembravano pronte a seguirli anche
sotto la reggia del sovrano. Camille prese coraggio, alzando a sua volta il
braccio per intonare un canto di rivolta col resto del popolo che lì si era
radunato, ma a guastare ogni piano ci pensò la polizia che non si fece
ulteriormente attendere. Mentre Enjolras sfilava tra la gente e lei continuava a
distribuire il manifesto dei Les Amis alla folla che lo afferrava con sincera
avidità – nonostante molti non sapessero leggere- uno scalpitare di zoccoli si
contrappose al fragore della folla.
Da
prima si fermarono sotto a uno dei molti portici, osservando come la gente
sembrava non intenzionata a cedere terreno. Non volevano ritirarsi nuovamente,
chinare il capo sarebbe stato solo l’ennesimo vile gesto di codardia.
Camille
sorrise ad una vecchia che prese il foglio, voltandosi poi verso il giovane
nipote affinché glielo leggesse una volta tornati a casa, quando Enjolras la
prese per un braccio tirandola verso di sé “Vieni, tra poco la polizia
caricherà. Stai accanto a me.”
“Dov’è
Odette?” chiese la giovane, dando anche l’ultimo dei manifesti, prima di reggersi
alla giacca borgogna del biondo.
“Con
Courfeyrac, non preoccuparti” rispose Enjolras, prima di sposarsi insieme alla
ragazza. Insieme fronteggiarono la polizia, mentre luile cingeva le spalle con un braccio e lei
faceva lo stesso con fianchi del ragazzo.
“Via
il Generale Lamarque! Viva il Generale Lamarque!”
Camille
si voltò verso sinistra, cercando di individuare Courf con i due bambini, ma fu
distratta da qualcos’altro.Vide un uomo
anziano, che stava parlando con volto arrabbiato con Marius. Quando il biondo
richiamò l’amico, l’anziano salì su una carrozza, ma essa non si spostò di lì.
La
giovane era a conoscenza delle origini agiate di Marius, era difficile non
rendersene conto passando con lui praticamente ogni giorno, al Musain. Era gentile
ed elegante, con un modo di fare che presagiva una certa educazione. Poi come
parlava bene….
Lei
stessa s’incantava nel sentirlo parlare di storia, o mentre lui le leggeva una
delle sue traduzioni. Marius Pontmercy era un giovane ragazzo ricco, ma con la
testa sulle spalle, che aveva intenzione di farsi da sé e di essere utile per
la sua Patria.
Era
dunque, degno di ogni stima.
“Vive
la France! Vive la France! Vive la France! Vive la France!”
Mentre
arretravano, spinti dalla polizia a sgomberare il viale, Camille si accorse
anche della sfuggente presenza di Eponine, che sicuramente doveva essersi
recata lì per stare accanto a Marius. Lei godeva di ogni singolo istante
passato insieme al ragazzotto di buona famiglia, che però non pareva accorgersi
del suo interesse.
Eponine
avrebbe fatto qualsiasi cosa per Marius, e a Camille dispiaceva molto di non
vederla ricambiata. Certo, lui era molto gentile nei riguardi della giovane
Thanardier, ma nulla più che solita galanteria di Pontmercy.
Quando
finalmente la polizia decise di sgomberare il campo, Enjolras diede
appuntamento a tutti al Musain per il pomeriggio. Camille spazzò via i capelli
dalla fronte lievemente sudata a causa di tutta quella ressa, prima di guardare
negli occhi il biondo “Non so se riuscirò mai ad abituarmi a tutto questo.”
Disse, sorridendo pallidamente mentre lui appoggiava un tenero bacio sulla sua
fronte.
“Non
durerà ancora molto a lungo.” Sussurrò, senza staccare le labbra dal viso della
giovane che subito si sentì più tranquilla.
Fra
le braccia di Enjolras, nulla poteva andare storto.
Ferre
si fece avanti e subito il biondo smise di vezzeggiarla per prestare attenzione
a ciò che il suo braccio destro aveva da dire “Vado anche io, Ras. Ho lezione
di Filosofia Etica e non vorrei perdermela.”
Negli
occhi grigi dello chief si accese come una luce. Doveva essergli tornato alla
mente qualcosa che aveva dimenticato “Oggi devo consegnare un trattato sul
quale lavoro da settimane!”
“Nemmeno
la rivoluzione risparmia voi universitari” Li prese in giro Camille, prima di
fare un paio di passi indietro “Io vado a fare un po’ di compere per Madame
Hucheloup, mi ha chiesto di prendere un po’ di verdure, visto che sarei mancata
tutta la mattinata, e non vorrei mancare questa promessa.”
“Allora
ci vedremo dopo al Musain” disse sorridendo Ferre, prima di voltarsi alla sua
sinistra, fingendo interesse in un mazzo di fiori fuori da un negozietto, per
lasciare che la mora ed Enjolras si salutassero a dovere.
Il
biondo le sorrise, passandole una mano sulla guancia “A dopo…”
“A
dopo…” rispose lei, sorridendo a sua volta prima di voltarsi verso Rue de la
Villette, verso il Musain. Non se ne sarebbe più andata se avesse concesso un
bacio a Enjolras.
*
Camille
stava contemplando dei pomodori dall’aspetto tutt’altro che genuino, quando
sentì qualcuno chiamarla per nome. Si voltò stranita, guardando tra le folla
che invadeva il mercato e si riversava nelle stradine costeggiate da mazzi di
fiori, verdure o pesce fresco, ma non vide nessuno.
Scrollò
le spalle, tornando a voltarsi verso il cesto ricolmo di quei pomodori
dall’aria malaticcia, quando si sentì sollevare da terra. Il cesto le cadde,
fortunatamente senza rovesciarsi, mentre a lei scappava un piccolo gridolino
stupido.
“Cos-Marius?”
domandò, riconoscendo il profumo di lavanda che la giubba del ragazzo
irradiava. Era stata lei stessa a confezionare un piccolo sacchettino
profumato, uno per ognuno dei ragazzi, ma mentre tutti avevano preferito porlo
all’interno di un cassetto, affinché profumassero tutte le loro camice, Marius
lo portava in tasca.
Appena
lui la rimise a terra, lei si voltò stupita per fronteggiarlo. Sul viso del
giovane era dipinto il più radioso dei sorrisi, così intenso da oscurare il
sole.
Camille
alzò un sopracciglio, incuriosita da quello strano atteggiamento. Marius era
sempre stato un ragazzo particolarmente pacato, dai modi incredibilmente
gentili ed era anche capitato che l’avesse coinvolta in qualche giravolta
mentre ballavano insieme – perché nonostante molti musicisti passassero al Musain,
Enjolras non ballava mai- o che l’avesse sollevata da terra per farla ridere.
Ma non lo aveva mai visto così felice. Così naturalmente e sentitamente
gioioso.
“Cosa
ti è capitato?” chiese, spostandosi un ciuffo di capelli che le era finito sul
viso.
Lui
prese un respiro profondo, riempiendo per bene i polmoni di aria prima di
esalare, con voce sognante “Temo di essermi perduto, Camille!”
“Siamo
in Rue du Mont-Thabor, al mercato cittadino” lo prese in giro lei, mentre
Marius si chinava per prendere il cesto da terra, sorreggendolo per la ragazza.
“So
dove siamo, Camille! Non hai capito quello che intendevo!”
“Spiegati
meglio, Pontmercy!” lo sollecitò la giovane, mentre riprendevano la via.
Lui
sospirò nuovamente, per l’ennesima volta da quando l’aveva raggiunta, e nel
cuore della ragazza nacque un sospetto, che venne poi confermato dal giovane.
“Ho
visto una ragazza.” Iniziò, a voce bassa quasi fosse timoroso di farsi sentire.
Come se a qualcuno poi potesse importare delle vicissitudini amorose di Marius
“Lei era…. Oh, Camille, avresti dovuto vederla. Era bella come un angelo
caduto.”
La
mora sorrise, trovando conferma alle sue supposizioni. Un uomo innamorato non è
capace di celare questo sentimento forte “Dove l’avete vista?”
“Sotto
agli appartamenti universitari, a pochi passi dal Musain” rispose spedito il
ragazzo, mentre gli occhi brillavano di una luce nuova, passionale ed intensa.
“Sai
chi è? È figlia di qualche artigiano di Rue de la Vilette?”
A
quella domanda, l’entusiasmo di Marius ebbe un freno improvviso. Rallentò il
passo, guardandosi attorno un po’ smarrito, prima di scuotere il capo “No, non
so chi sia. Non l’avevo mai vista prima, non so nemmeno se vive a Parigi o se è
solo di passaggio…”
Camille
lo guardò dispiaciuta, voltandosi verso di lui di tre quarti “Scopriremo
qualcosa. Non succede nulla, a Parigi, senza che la voce non passi di tavolo in
tavolo al Musain” passò un braccio dietro a quello di Marius, prendendolo a
braccetto e sorridendogli rincuorante “Ora vieni, accompagnami a prendere delle
stoffe per fare più coccarde!”
“Giusto,
la riunione di stasera!” Marius si portò una mano alla fronte, ricordando solo
in quel momento dell’impegno preso con i Les Amis. Sarebbe stato un incontro
molto importante, quello di quel giorno. Enjolras aveva detto chiaramente che
avrebbero preso importanti decisioni. Andava predisposto tutto per filo e per
segno per evitare che il loro progetto fallisse in partenza. Poi andavano
adunate le armi, informate le genti, cucite le bandiere e le coccarde…. Non
poteva davvero essergli sfuggito di mente solo perché si era specchiato in due
grandi occhi celesti. “Pensi che dovrei parlane con lui?”
“Lui
chi?” domandò Camille, attraversando la strada al fianco dell’amico.
“Enjolras!
Sono un poco distratto, dovrei informarlo forse…”
“No,
Marius, non farlo” la mora scosse il capo “Lo sai come la pensa per queste
cose. Dovete rimanere focalizzati sull’obbiettivo e non pensare ad altro, o
almeno in apparenza…”
Pontmercy
la guardò rassegnato “Enjolras è la comprensività fatta a persona. Non capirò
mai come fai a sopportarlo…”
Camille
rispose con un sorriso sincero “L’amore va oltre ogni barriera, combattendo
ogni male. Io sarò sempre qui ad aspettarlo, quando non ci sarà più bisogno di
barricate e manifesti.”
Marius
annuì lentamente, colpito da parole così belle e sentite. “Grazie Camille, mi
infondi coraggio.”
“Ora
vieni, quelle stoffe aspettano solo noi!”
Lui
la seguì, tenendole la porta affinché entrasse per prima. Mentre cercavano una
stola di cotone blu, il ragazzo si voltò verso la giovane “Confido in Eponine,
però. Le ho chiesto di trovare informazioni su quella giovane, che spero di
poter definire presto.
la
mia amata. So che lei riuscirà nel suo intento, se non può lei,nessuno potrà!”
La
ragazza sorrise tristemente, appoggiando un rocchetto di filo rosso “Eponine
farebbe qualsiasi cosa per te, Marius..”
Il
suo sussurro non arrivò mai alle orecchie del giovane, troppo preso dalla
ricerca della stoffa che Camille aveva descritto con precisione poco prima. Forse
non si sarebbe mai accorto di quanto Eponine tenesse a lui e alla sua felicità,
o forse sarebbe stato semplicemente troppo tardi….
Continua…
Nda.
Tatatataaan!
Stavolta
sono stata più veloce con l’aggiornamento, grazie al cielo!^^
Grazie
a tutti coloro che hanno letto lo scorso capitolo :D
Non
ho mandato gli mp per avvisarvi dell’aggiornamento perché
una persona – una sola, ma che forse riflette il pensiero di molti- si è
lamentata. Se volete che però io vi avvisi potete lasciarmelo detto, con una
recensione o un mp^^
Spero
che abbiate gradito anche questo capitolo!
Grazie
per aver letto fin qui e al prossimo :D Se deciderete di lasciarmi una
recensione sappiate che la cosa mi renderà molto felice, perché non è
obbligatorio ma apprezzato e mi lascia sempre un bel sorriso ^^