Memories in the eyes.

di A l b a_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memory 1: Cold Heart ***
Capitolo 2: *** Memory 2: Little Woman ***
Capitolo 3: *** Memory 3: Knockin'on heaven's door ***
Capitolo 4: *** Memory 4: Brother's Eyes ***



Capitolo 1
*** Memory 1: Cold Heart ***


" Nelle notti come questa la tenni fra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito. [...]
Come non amare i suoi grandi occhi fissi. [...]
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti."
Pablo Neruda.
 
 
 

 

-Memories in the eyes-
Memory 1: Cold Heart
 
 
"Tre giorni al massimo".
Quel camice bianco emanava l'odore acre del disinfettante esageratamente utilizzato.
Troppo bianco. Troppo pulito. Troppo freddo.
"Signora, mi dispiace."
Silenzio. Un silenzio torbido e pieno di dubbi e certezze. Pieno di lacrime e di dolore.
Non riusciva a dire niente e neanche a piangere.
Ma non perchè non fosse terribile ciò che gli era stato detto, piuttosto perchè era paralizzata da quel dolore improvviso.
Lo guardò bene pensando alle ultime parole che quell'uomo dal camice bianco aveva detto.
Non è vero, a lui non dispiaceva affatto, perchè lui semplicemente non poteva capire.
Tutto questo per lui non aveva  valore, ha visto cose ben peggiori, ha dovuto dare notizie di quel tipo tante volte.
Tu sei semplicemente una delle tante a cui anticipare la morte. Un numero.
Abbassi gli occhi verso quel bianco accecante, persa, alla ricerca di qualcosa che ti potesse distrarre da tutta quella confusione.
Esamini tutto ogni lembo di stoffa.
Poi eccola, piccola e isignificante una piccolissima macchia di caffè.
Caffè, allora forse quello non è solo un freddo a inspido camice, forse un po' umano lo è anche lui.
Una macchia di caffè cambia tutto.
Un macchia può alleggerire troppa perfezione.
Una macchia può sporcare definitivamente una cosa bella.
Una macchia può uccidere, può essere un incurabile cancro allo stadio terminale, che da lì a tre giorni ucciderà tuo marito.
Sentì gli occhi bagnati e confusi.
Sapevi che sarebbe arrivato quel giorno.
Ti era sempre stato detto che prima o poi si muore.
 
"Tesoro, era solo un dannato criceto!"
Era assolutamente sull'orlo dell'esasperazione. Quando quella donna si impuntava sapeva farlo letteralmente impazzire in tutti i sensi.
"Non era solo un criceto era il mio Oscar, il mio criceto."
Rispose lei impronciata e quasi triste, odiava quando suo marito non le dava importanza.
"Cosa vuoi che faccia allora? Non so ancora resuscitare criceti!"
Non sapeva più che dire, ma era certo che i suoi nervi sarebbero saltati di lì a poco, erano 2 giorni che insisteva.
"Sei uno stronzo! Ecco cosa sei...un insensibile! E' morto Oscar e tu non hai neanche un po' di riguardo."
Disse lei quasi sull'orlo delle lacrime.
Oscar era il suo animaletto da quasi 2 anni, glielo aveva regalato sua madre.
In realtà più che un reagalo lei aveva sempre pensato che fosse più un modo di sua madre per sbarazzarsene.
Odiava tutti i topi e anche i derivati. In realtà anche lei non li apprezzava molto, ma allora era in un periodo durante il quale era 
particolarmente sensibile e sentiva un grosso impulso di maternità.
Così aveva accettato Oscar. L'aveva messo in una gabbia spropositatamente enorme per quell'esserino e l'aveva curato e agghindato 
come un bambolotto. Gli dava cibo scelto accuratamente e aveva assunto una
donna specializzata che se ne occupasse mentre lei era in viaggio.
All'inizio lui era quasi felice di vedere sua moglie così realizzata.
Sapeva che lei era in quel momento nel quale le donne devono avere per forza qualcosa di cui curarsi,
e nonostante non capisse come un orribile topo potesse far sorgere sul suo viso un sorriso così soddisfatto, aveva accettato l'idea.
Nei mesi successivi però le cose erano degenerate, lui si sentiva sempre meno considerato ed era arrivato al punto di essere geloso.
Un giorno avevano litigato anche pesantemente e lei era andata a dormire da Serena.
Ovviamente la guerra era stata intensa ma veloce e neanche due giorni dopo si erano ritrovati a ruzzolare legati e sudati nelle lenzuola 
per quasi 24 ore.
Dopo la loro solita riappacificazione avevano deciso di speficare dei punti fondamentali perchè la loro vita di coppia non venisse 
distrutta da un topo.
Così le cose si erano rilassate, fino ad arrivare quasi al completo disinteresse di sua moglie nei confronti di Oscar, che aveva affidato ad 
una donna fissa.
Era tipico di lei stancarsi delle cose.
A volte temeva anche che si stancasse del suo stesso marito, e si sentiva al quanto inutile.
Ma dopo questi brutti pensieri arrivava sempre lei, con le sue mani delicate e i suoi baci dolci e umidi a consolarlo e a riassicurarlo.
Non si sarebbe mai stancata.
Respirò nuovamente per calmarsi ed essere ragionevole.
Le si avvicinò e le accarezzò un braccio.
" Ok tesoro, mi dispiace. Forse sono stato un po' cattivo...e che mi sembra assurda questa tua immensa paura della morte!"
Lei subito rimase imbronciata, poi si raddolcì, fino a diventare malinconica per le ultime parole.
" Io ho paura di perdere ciò che amo."
La guardò con attenzione.
" Tutti abbiamo paura, anche io. Ma non ci si può pensare troppo se non si vuole impazzire."
Sorrise, come sempre aveva ragione.
" Un giorno moriremo tutti, anche io. Cara,"
Il suo sguardo si rabbuiò. Le si formò un nodo alla gola sentì gli occhi pronti a bagnarsi.
"Basta, ho capito."
Lui capì immediatamente e le si avvicinò.
Le stampo' un dolce bacio sulle labbra.
" Io sono sempre qui."
 
In quel momento si odiava per averci creduto. Non sarebbe stato sempre lì. Era un bugiardo.
Tra poco l'avrebbe lasciata da sola, senza più un'anima, senza più il respiro, senza un motivo per il quale vivere.
Bastardo, era sempre stato un bastardo. In un modo o nell'altro alla fine l'abbandonava.
Sentì una lacrima rigarle il viso.
" Signora?"
Alzò lo sguardo incontrando quello dell'uomo.
Era rimasta incantata a guardare quella macchiolina senza accorgersi di avere tutti quegli sguardi curiosi puntati su di lei.
" Signora, vada da lui."
Respirò forte, portandosi una mano alla bocca per non continuare a piangere.
" Se ne vada, mi lasci sola. Ha già fatto abbastanza per oggi."
Disse con un filo di voce.
L'uomo dal camice bianco si allontanò quasi impaurito.
Lei rimase seduta sulla sedia lasciando che le lacrime facessero il suo corso.
Rimase un' ora esatta.
Poi le asciugò, si mise a posto i capelli candidi con le mani, si alzò a si diresse verso la stanza 235.
 
Era disteso a letto da troppo tempo, constatò.
Aveva bisogno di una doccia, puzzava come un cammello.
Era assurdo, pensò, quanto fosse forte la sua mania per la pulizia. Se non si lavava almeno due volte al giorno poteva essere paragonato 
ad un barbone di Brooklyn.
Sorrise beffardo.
Quanto odiava gli ospedali, cazzo.
Se non fosse stato per colpa di quella donna che anche dopo 50 anni di matrimonio riusciva a fargli fare ciò che voleva, lui in un 
ospedale non ci avrebbe più messo piede fino alla morte.
La morte-
La sentiva vicina, sentiva che stava per succedere. Ma a lei non l'aveva detto, sapeva infatti che se ne avesse fatto parola l'avrebbe 
distrutta.
Immaginava quei suoi grandi occhi riempirsi di lacrime e tristezza. Si sentì perso.
Non poteva.
Quando, sentì la porta aprirsi e i suoi primi potenti ma leggeri passi farsi lentamente strada nella camera, sapeva già cosa gli era stato 
detto.
Era lei, lì in mezzo, piccola ma forte. Bella anche con tutte quelle lievi rughe, curate, a ornagli il volto.
Il suoi capelli grigi ma morbidi e ben pettinati, tirati su.
Rise dentro di sè pensando che anche quando si trovava su un letto d'ospedale lei cercava in qualche modo, involontariamente di sedurlo 
tirando su i capelli. Sapevo che lo faceva impazzire.
Il collo liscio e le spalle un po' più piccole e un po' più schiacciate ma sempre superbe.
Il suo corpo era rimasto intatto, solo invecchiato un po'.
La vecchiaia per lei era solo una maschera, infatti era ancora bellissima e giovane. Lei era una dea che si adattava al tempo che passava 
come un normale mortale, ma celava in se sempre la stessa età.
Era avvolta in un vestito che la fasciava perfettamente, verde smeraldo, con le maniche di retina che arrivavano delicatamente fino ai 
polsi.
Alle mani aveva sempre i soliti tre anelli.
Uno, l'Harry Winston che spiccava.
L'altro, la fede.
L'ultimo, quello della giornata che si abbinava perfettamente al completo.
I suoi grandi occhi marroni, fissi su di sè.
Adorava il modo in cui lei lo guardava, lo faceva sentire parte di qualcosa. I suoi occhi erano sempre meravigliosi.
Più la guardava e più l'amava.
Non aveva mai spesso neanche un secondo.
Non l'aveva mai tradita, mai abbandonata neanche un attimo.
Non voleva altro se non lei, solo lei.
La sua Blair.
 
Era confusa, in mezzo alla stanza.
Lo guardava cercando di trasparire serena, anche se sapeva che lui avrebbe subito capito.
Non poteva accettare di vederlo così debole in quel letto, così piccolo.
Lui era sempre stato forte, possente.
L'aveva sempre protetta.
Con un'abbraccio era in grado di nasconderla dalle cattiverie del mondo.
Il suo sguardo ammaliante, profondo, color caramello era rimasto invariato nel tempo.
I suoi capelli erano solo diventati grigi e a tratti bianchi.
Il suo corpo si era leggermente snellito, ma pareva sempre onnipotente.
Le rughe sul volto l'avevano reso solo più interessante, mai più vecchio, mai dannatamente meno bello.
Lo amava così tanto e non riusciva ad accettare tutto quel casino.
Nessuno poteva portarglielo via.
Il suo Chuck.
 
Non si dissero niente, sapevano già tutto.
Era sempre stato così, non c'erano parole.
Non servivano.
E soprattutto in quel momento, bastava uno sguardo.
Bastava guardarsi in sincronio.
Corse ad abbracciarlo, a stringerlo mentre lui cercava di sembrare forte, ma ciò che usciva era solo un sorriso malinconico tradito dalle 
piccole lacrime che lo rigavano.
Lei invece aveva ucciso ogni barriera. Era annegata in lui e aveva iniziato a piangere silenziosamente.
"Io sono -per ora- sempre qui, ti amo."
Sapeva che non era così, ma bastò a calmarla un po'.
Lo guardò per qualche attimo, e lui ricambiò quello loro solito segno d'amore.
Avevano paura, entrambi avevano un'enorme paura all'idea di non potersi più guardare così.
Rimasero stretti così a lungo, mentre il mondo continuava a girare, la luna cercava di risalire
e il sole tramontava.
Rimasero stretti l'uno all'altra minuti,attimi,ore.
Le voci erano un blando ricordo, non esisteva altro al mondo.
Probabilmente anche la stessa morte, sarebbe rimasta sconvolta da una tale visione.
 
 
 Era il 10 dicembre, quando Blair Waldor afferrò le mani del suo Chuck Bass, con una forza mai avuta prima.
Intenta a tenerlo con se.
Faceva freddo fuori, faceva freddo anche dentro i loro cuori.

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Un saluto enorme a tutti i miei (pochi) lettori.
Penso sia in assoluto la prima volta in cui mi rivolgo a voi, forse perchè non so mai come parlarvi.
Chiunque tu sia, ti ringrazio per aver letto il primo capitolo della mia storia.
Se sei uno di quei pazzi che mi segue da tempo, allora sappi che io adoro la gente pazza!
Ringrazio tutti di cuore, sia i lettori silenziosi, che sono sicura che sono di certo coloro che hanno tanto da dire ma che
o per tempo che manca o per quella paura di sbagliare non scrive niente.
E ringrazio chi invece mi aiuta a costruirmi con le sue recensioni ogni giorno. 
Questa storia è per voi, leggetela, odiatela, fategli fuoco, buttatela, o magari amatela, spetta  solo a voi.
Io ci ho messo le parole, voi metteteci il cuore.

Comunque per tornare alla storia, che dire?
E' un idea al quanto triste e melodrammatica , se no cosa posso scrivere io,no?
E' stata in realtà un'idea che però è partita da quello che penso sarà l'ultimo capitolo della storia.
Ma *riordinaleidee* siamo al primo, quindi *facciaconfusa*, vorrei soltanto dirvi, che 
questa è in assoluto la mia prima storia a capitoli, e che spero non sia stata così terribile alla lettura.
In realtà non so bene come sia  uscito fuori questo insieme di frasi, so solo che ho penato come una matta a trovare il modo giusto per scriverlo,
e sinceramente non so ancora adesso se l'ho veramente trovato o se lo devo ancora cercare.
Quindi magari, provate a farmelo sapere voi!
Cercherà di pubblicare il capitolo al più presto, spero in tanto commenti e anche in tante critiche, che sono quelle che di sicuro mi serviranno di più.
Se non si è capito qualcosa o per qualsiasi dubbio, scrivetemi sotto o per mp.
Che dire, spero di aver trovato l'inizio giusto.
Un bacio ai miei lettori. Al prossimo capitolo!
B.


Ringrazio con amore Kat (Tuccin) , la mia beta che mi ha sempre aiutato nelle storie passate e che sarà sempre uno dei pilastri più grandi della mia vita da "scrittrice".
Ringrazio Vic (everlastinglight) , per avermi aiutato negli ultimi aggiustamenti e avermi dato il suo parere di lettrice.
Ringrazio, tutti coloro che mi sostengono. Inoltre vorrei aggiungere un ultimo ringraziamento a Maria ( _Maria_) , che ha commentato in modo sostanzioso moltissime delle mie storie e il cui parere conta molto, soprattutto in questa storia. Dedico questo inizio a tutti voi.



 
 

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Capitolo 2
*** Memory 2: Little Woman ***


E i sogni, i sogni, 
i sogni vengono dal mare, 
per tutti quelli 
che han sempre scelto di sbagliare, 
[...]
E figlia, figlia, 
figlia sei bella come il sole, 
come la terra, 
come la rabbia, come il pane, 
e so che t'innamorerari senza pensare-

Roberto Vecchioni
 

- memories in the eyes-

Memory 2: Little Woman


Claire allora aveva trentacinque anni.
Si era sposata con un uomo di cui si era innamorata sin dal primo momento, un certo Harry Craige.
Aveva due figli, James e Rose, e una vita stupenda fatta di tanti sorrisi sinceri, torte di compleanno,limousine e enormi camere da letto. 
Adorava i suoi genitori, erano sempre stati il suo modello.
Soprattutto il padre, quel meraviglioso padre che era sempre stato all'altezza.
Aveva sempre avuto un rapporto speciale con Chuck, più forte di qualsiasi altro legame padre e figlia.
Da piccola Claire, lo seguiva come un'ombra e cercava di comportarsi come lui in tutto e per tutto.
Chuck da parte sua adorava la figlia, ed era orgoglioso del modo in cui lei lo prendesse come esempio.
Solo una volta gli era capitato di doverla fermare, quel giorno che per copiare il suo papà aveva provato a farsi la barba.
A quel punto Chuck aveva capito di dover porre dei freni se non voleva che la figlia si comportasse come un uomo.

Claire era cresciuta tra l'amore dei suoi genitori e splendidi lussi.
Aveva avuto un'infanzia perfetta, fatta di poesie e di grandi sogni.

"Papà!"
Aveva gridato una piccola Claire di quattro anni.
"Dimmi tesoro mio..."
Aveva risposto un al quanto orgoglioso Chuck.
Gli bastava guardarla per sentirsi importante.
Più la guardava e più capiva che forse nella vita non aveva sbagliato così tanto.
"Papà...ma quante sono le stelle?"
Chiese lei con due grandi occhi da cerbiatto curiosi.
Lui le si era avvicinato affettuosamente e l'aveva presa in braccio.
Si erano avvicinati alla finestra, e lui aveva guardato fuori.
" Claire, penso che nessuno le abbia mai contate tutte."
Claire era rimasta imbambolata a guardarle e poi si era rivolta al padre un po' indispettita.
"Ma come? Sono tante, saranno almeno tremilamilionidimiliardi infiniti."
Aveva risposto la bambina molto sicura di sè, quella sicurezza che aveva preso dalla madre.
"Oh si amore, anche di più."
Lei lo aveva guardato dubbiosa cercando di capire se il suo papà la stesse prendendo sul serio.
" Anche di più quanto? Tante quante i nostri soldi?"
Chuck l'aveva guardata ammaliato, era così...Bass.
"No tesoro, temo che questa volta le stelle superino i nostri soldi."
Lei l'aveva guardato delusa, ed era rimasta un attimo a guardare il cielo blu e immenso.
Era sempre stata meravigliata da quelle piccole lucine sparse per quella distesa blu.
Era scesa dalle braccia del suo papà e si era avvicinata alla scrivania.
"Non è possibile che nessuno abbia mai contato le stelle.
Sai cosa faccio papà? Le conterò tutte io....così diventerò famosa."
Aveva esposto la bambina, effettivamente precoce per la sua età.
Era illuminata e sicura della sua impresa.
Chuck l'aveva guardata dolcemente.
" Sono sicuro che ne sarai capace piccola mia. E quando le avrai contate tutte vieni a dirmi il numero esatto!".


Ovviamente Claire aveva smesso di contarle da molto tempo le stelle, non permettendo a nessuno però di rubargli quel piccolo sogno
condiviso con suo padre.

Claire aveva sempre adorato l'amore dei suoi genitori. Il mondo in cui si guardavano innamorati, sempre, anche quando litigavano.
Il modo in cui scomparivano ogni tanto e si rifugiavano a fare l'amore nei ripostigli, e poi tornavano spettinati e vestiti male, tenendosi per mano.
Il mondo in cui Blair accarezzava il viso di Chuck. I loro occhi che si contemplavano. Era meravigliata da tutto quell'amore.


Il primo vero ragazzo che ebbe era un ragazzo dolce, Albert Triston. Un ragazzo troppo dolce. 
Le fece passare una delle notti più belle della sua vita, lei gli dono per la prima volta il suo corpo. Ma iniziò nello stesso modo in cui finì.
Dolce e leggera.

Un anno dopo Harry, un ragazzo ricco, estroverso, ma con due grandi occhi malinconici.
Harry la faceva volteggiare, le faceva girare la testa e tremare di passione. La faceva innamorare della vita, dell'amore e del mondo.
La teneva giornate intere nella sua suite per amarla come lei meritava di essere amata.

Con Harry era stato un grande amore. Un'amore che era arrivato quasi all'odio a volte. Ma si erano rialzati, più forti di prima. 
Ripensandoci adesso, il gioco vale sempre la candela. 

Nonostante avesse trovato anche lei, con sua somma fortuna il grande amore, Claire rimaneva sempre un po' affascinata da quel legame dei suoi genitori,
che li portava a dormire abbracciati nella notte ,poco vestiti, all'età di ben sessant' anni.

Se non fosse stato che quello in quel letto era Chuck Bass e quella avvinghiata al suo corpo era Blair Waldorf, sarebbe rimasta sconvolta.

- Mamma, ma cosa vuol dire fare l'amore?-
Blair si girò di scatto pallida verso la sua figlioletta di appena 5 anni.
La guardò fissa e sconvolta cercando di rielaborare la domanda; ripensandoci arrossì.
- Vuol dire quando due persone di amano e stanno vicini vicini.-
Blair cercò di sembrare coinvincente, ma a Claire la spiegazione non bastava.
- Ma vicini quanto? E' vero che si sta senza vestiti?-
Blair non si sentiva pronta a quel discorso. Si era ripromessa di arrivarci preparata, ma quando avrebbe compiuto 10-12 anni. Non a cinque.
- Abbastanza vicini, e si......senza vesititi-
La bambina la guardò curiosa, si zittì un momento pensierosa e poi continuò.
- Perchè senza vestiti, fa troppo caldo?-
La madre non sapeva più cosa dire, così decise di essere il più possibile vaga!-
- No amore, e che così ci si ci può abbracciare meglio e poi si può sentire il cuore dell'altro.-
La figlioletta la guardò poco convinta, ma con gli occhi luccicanti per tutto quel romanticismo.
- Ma si grida?-
Blair diventò paonazza.
- SI..........perchè è divertente.-
Claire guardò a lungo la madre e poi si sedette con eleganza sulla sedia e dopo aver pensato a lungo si rivolse alla madre.
- Ora mamma capisco perchè sei sempre felice. Perchè il papà ti fa il solletico e tu gridi! E poi perchè ascolti molto spesso il suo cuore.-
Blair taque discretamente. Senza avere il coraggio di dire niente e poi, scoppiò a ridere.


Quello con i suoi genitori era sempre stato profondo e bellissimo.

Quando suo padre si ammalò, Claire inizialmente negò l'evidenza fingendo che non fosse vero. Si chiuse in camera per giorni ,
durante i quali rimase immobile davanti alla sua finestra che dava sul giardino.
Poi d'istinto decise di lottare con le unghie e con i denti per la vita del padre, quasi fosse la sua. 

In realtà, aveva lottato più di lui.
E la faceva arrabbiare, perchè Chuck quando aveva saputo di avere un cancro praticamente incurabile aveva rifiutato ogni medicina
ed era andato avanti aspettando la sua ora con molta tranquillità.

Si era lasciato morire.

Quando quella serà del dieci dicembre arrivò la chiamata, Claire, ripensandoci dopo, non  avrebbe voluto rispondere.
Suo padre era alla fine.

Era rimasta tutta la notte sveglia, pensando a come comportarsi, cercando di accettarlo.
Ma la morte le sembrava qualcosa di troppo sconosciuto, troppo terrificante per poterlo accettare.
Odiava la morte perchè gli stava togliendo il primo uomo della sua vita.
Il suo più grande fra i suoi amori.
Come poteva accettare qualcosa che odiava?
Non poteva. 
L'unico che poteva aiutarla era il padre stesso.
Claire appena sorse l'alba si precipitò all'ospedale.

Fuori dalla porta della stanza vide la madre, davanti. Immobile.
- Mamma...-
Le disse dolcemente la figlia.
- Cosa ci fai qui?-
Blair si girò verso la figlia con gli occhi vuoti e stanchi. A Claire venne un forte impulso di piangere.
- Non ho il coraggio di...-
Fece una pausa per trovare la forza di pronunciare le altre parole.
-entrare. Ho paura di vedere i suoi occhi un po' più spenti.....-
Blair l'abbracciò di nuovo, senza che nessuna delle due fiatasse.
-Entro io, mamma....sto un po' io con papà.-
Blair annuì e Claire aprì lentamente la porta.

Ciò che vide nel letto era un blando ricordo del padre.
Era sciupato e con gli occhi estremamente stanchi e tristi.
Claire gli si avvicinò, gli diede un delicato bacio sulla fronte e si sedette sulla sedia.
Poi tirò fuori della borsa il loro libro preferito di Dickens, quello che quando era piccola lui leleggeva sempre, il libro che a Chuck ricordava l'infanzia.
Chuck si accucciò in posizione d'ascolto, per sentire la dolce voce di sua figlia che narrava una storia che gli portava tanti ricordi.
La guardò per tutta la durata della lettura. Era bella come la madre.

- Papà, ma Oliver Twist è un bambino povero.-
-Si tesoro.-
-E non ha i genitori.-
-No-
-E perchè?-
-Perchè i gentori non sempre vogliono bene ai figli-
-Quindi tu potresti lasciarmi, potresti smettermi di volermi bene?-
- Questo mai angelo mio, non smetterò mai di volerti bene. Sei insieme a tua madre la ragione per cui io vivo.-
Seguì un lungo abbraccio.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°B.°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

*Un sorriso enorme ai miei lettori*
Quelli silenziosi e quelli chiacchieroni.

Torno con il nuovo capitolo, scusatemi infitinamente per il ritardo, teoricamente infatti avrei voluto postarlo lunedì, e siamo a giovedì. 
Sorry.
Allora...
Questo capitolo come potete aver notato è incentrato sul Claire e sul suo rapporto con i suoi genitori, soprattutto Chuck.
E' stata veramente dura, soprattutto la fine, che sinceramente non mi convince molto neanche adesso.
La cosa difficile era cercare di creare un'erede Bass all'altezza dei genitori (cosa per altro non riuscita), e allo stesso tempo
rendere più dolci, ma non troppo Chuck e Blair, diventati genitori.
Il tema della famiglia tornerà nei prossimi capitoli, comunque.
Che dire? Io non ho molto altro da dire, se non avvisarvi che il peggio sta passando.
Sembra strano? Si perchè a mio parere il peggio è tutta questa "preparazione" all'accettazione di questa morte.
A parte questo, io miei cari voglio sentire cosa ne pensate voi! 
Quindi scrivetemi, tanto, tanto.
Per qualsiasi cosa, domanda che non volete porgere pubblicamente c'è sempre la possibilità di un messaggio privato!
Un bacio.
B.

 

Ringraziamenti:

Prima di tutto a Mary ( _Maria_), perchè mi ha aiutata tantissimo, mi ha dato degli ottimi consigli sul come strutturare la storia. (Ha scritto un messaggio infinito!)
Poi un altro ringraziamento va a Vic (everlastinglight), per il suo grande contributo.
Un bacione anche a Kat, la mia grande beta, che però non è riuscita a mandarmi un commento in tempo, ma che leggerò comunque e modificherò in caso...
Infine un abbraccio enorme a tutte le lettrici che mi hanno recensito e sostenuto con i loro meravigliosi commenti.  Fecalina - FrancyNike93 - Maddy Pattz - Raffy240. Grazie ragazze! 
 ♥

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Capitolo 3
*** Memory 3: Knockin'on heaven's door ***


It's getting dark too dark to see 
Feels like I'm knockin' on heaven's door 
Knock-knock-knockin' on heaven's door 
Bob Dylan
 
-Memories in the eyes-
Knockin'on heaven's door 
Non ho mai pensato alla morte.
Ho visto la gente che amavo morire, 
ho vissuto per hanni nella colpa per la morte di mia madre,
ho visto mio padre cadere da un grattacielo, e nonostante sapessi che era un mostro, 
ho covato per anni il senso di colpa.
Ho sfiorato la morte molte volte.
Ubriaco sul cornicione di un grattacielo, lei mi ha salvato.
Mi hanno sparato perchè volevo proteggere quel brillante che mi ricordava i suoi occhi.
Quella volta che l'ho vista scivolare dal mio contatto dentro quell'auto che si stava accartocciando, e senza pensarci l'ho stretta a me per proteggerla.
Ogni volta lei era presente, era la causa, la salvezza, la giusta motivazione per la quale morire.
Dalla prima volta che ho sentito il mio cuore accellerare il battito al suo contatto in quella limousine,
ho saputo per certo che sarei stato disposto a morire per lei, a morire mille volte.
 
All'età di 28 anni, sono morto. 
Per 5 minuti.
Ero in un'auto, stavo andando a casa da Blair per festeggiare un affare andato a buon fine, quando ho sentito un'onda d'urto improvviso,
e mi sono ritrovato schiacciato tra le lamiere.
La paura che mi attanagliava, perchè questa volta non avevo il suo corpo da stringere.
 
Cinquantatre anni prima, 
General Hospital di New York, 
2015, ore  12:30
 
- Grave trauma cranico provocato da un forte urto contro la lamiera di un'auto,
battito irregolare, fibrillazione ventricolare.
Dobbiamo agire velocemente, o lo perdiamo-
 
Non ricordo molto di quel giorno, solo il buio totale e il suono di quella voce squillante dell'infermiera, quell'odore insopportabile di disinfettante
e un dolore atroce che percorreva in fremiti tutto il corpo.
Mi chiesero il nome più volte, ma non riuscivo a ricordarlo, pensavo solo al suo, al suo viso quando mi avrebbe visto così.
A quel viso che forse non avrei visto mai più.
 
-Signore qual'è il suo nome? Signore? Signore?-
- Blair Bass, chia-matela-
-Cosa dice, chi è questa donna?-
-Mi-a moglie.-
 
E poi non sentì più neanche le voci.
 
Ora, 
General Hospital, New York
2065, ore 9.10
 
- Papà-
Si rigirò nel letto, e poi tirò su le coperte comprendo gli occhi infastiditi dalla luce solare.
Ogni mattina la stessa storia, era così da anni, da quando Claire ha avuto dei ricordi.
A parte quelle volte in cui lei non osava neanche entrare nella camera, perchè non voleva sapere cosa stavano facendo i suoi genitori.
-Tesoro mio, che cosa vuoi?-
Disse cercando di essere il più dolce possibile, ma Claire sapeva che era tremendamente infastidito.
- Ci sono zio Nate e zia Serena-
Un silenzio tombale assalì la stanza.
No, Chuck non poteva permettere che Nate lo vedesse in quello stato, 
era il suo migliore amico e per spirito virile davanti agli amici non si è mai ammalati in un letto e molliccioni, anche a 75 anni.
-Non possono entrare, voglio dormire-
Imbronciato pronunciò queste parole e si girò dall'altra parte.
Claire sorrise, e si diresse verso la porta facendo entrare i due.
 
Nate e Serena dopo il matrimonio di Chuck e Blair avevano avuto una storia piuttosto travagliata.
Lei diceva di essere innamorata di Dan, ma ogni volta che stava male e piangeva si presentava da Nate per essere consolata.
All'inizio Nate si tratteneva cercando di essere un buon amico.
Ma poi arrivò quel giorno in cui Serena si presentò in lacrime affermando di aver lasciato Dan.
Nel giro di poco si ritrovarono avvinghiati nelle lenzuola di lino color Champagne.
Questo meccanismo continuò a lungo finchè Serena tornò con Dan e a Nate arrivò l'invito per il matrimonio.
Nate quel giorno giurò a se stesso che se il giorno del matrimonio avesse visto Serena felice, l'avrebbe lasciata andare per sempre.
Ma quando quel giorno la vide scendere dalle scale e guardarlo con uno sguardo malinconico, e la camminata quasi obbligata, non seppe più che fare.
Lei poi sorrise a Dan e disse -si-
Ci fu un lungo periodo di tre anni durante i quali Nate pensò alla carriera, portò lo Spectator in cima alle vette e pensò un po' a sé.
Dopo tre anni, gli venne recapitato un biglietto, era di Serena.
La conseguenza fu un matrimonio alle malidive, lontano da tutti.
Con loro solo i loro migliori amici, Chuck e Blair.
 
- Ei Bass, cosa fai ti nascondi?-
Chuck, come un bambino impaurito, sperò con tutte le forze di essere diventato invisibile.
Poi accortosi che così non era, decise di uscire allo scoperto e affrontare quella penosa scena.
- No Nataniel, mi avete solo rotto i coglioni, IO STAVO DORMENDO.-
Serena si avvicinò con la sua solita aria civettuola, mai mutata nel tempo.
Era sempre bellissima, un luccichio unico.
- Su, Chuckie, piantala di fare il bambino. Non sei felice che ti siamo venuti a trovare?-
Chuck la guardo con la faccia di chi ha perso tutte le speranze.
- Si sorellina, sono felice che mi siate venuti a porgere l'ultimo saluto prima che io schiatti, ma sinceramente ne facevo volentieri a meno.-
Serena rimase immobile, colpita in pieno.
Poi si sporse e lo abbracciò di getto.
- Chuck, ti voglio bene-
Disse in preda al pianto.
Chuck allo si sciolse e l'abbracciò a sua volta.

Ciò che mi ha sempre spaventato della morte, non è il buio, il vuoto, il dolore.
Ho sempre avuto paura di vedere chi ho amato e rendermi conto che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta.
Ho sempre odiato gli addii.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Ei ragazzuoli!
*odiatemiodiatemiodiatemi+
lo so che sono in iper ritardo, ma non trovavo l'ispirazione.
Ho provato come dire quella bruttissima sensazione di fallimento.
Ahahahaha :)
Che dire?
In una notte di ispirazione mi è venuto in mente di inserire questo Flashback parallelo, dovrebbe continuare fino alla fine della storia, teoricamente.
Comunque, è stato un parto difficile, ma penso e spero di aver dato alla luce un buon capitoletto!
Sta a voi commentarlo!
Un bacio (:
B.

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Capitolo 4
*** Memory 4: Brother's Eyes ***


"Look... I care about three things, Nathaniel. Money, the pleasures money brings me,
and you."
Chuck Bass, 01x08


 

-memories in the eyes-
Brother's Eyes

13 Gennaio, 2005

" Mio fratello.
Mio fratello si chiama Nathaniel Archibald.
Io lo chiamo Nate, in realtà tutti lo chiamano Nate.
Nate è carino, anche se non sta a me dirlo, ma di sicuro avrà un grande successo con le donne.
Purtroppo per me.
Nate ha gli occhi azzurri e sempre un po' confusi. Ogni tanto, detto sinceramente, penso che sia un po' stupido, che a certe cose
non ci possa arrivare.
Nate però, mi capisce. Non so come, ma ci riesce. 
Nate è l'unico che mi conosce veramente, l'unico disposto a fumare con me nei bagni della scuola.
L'unico che mi difende da mio padre, che non prova pena per me per la morte di mia madre.
L'unico che mi apprezza, anche se non so come faccia.
Nate è il mio migliore amico, ma per me Nate è mio fratello.
E' la mia famglia, l'unica che ho..."


General Hospital, New York
2065, ore 9.10

Nathaniel Archibald all'età di 75 anni piange fuori dalla camera di suo fratello.
Chuck aveva più o meno 10 anni quando gli aveva consegnato quel foglietto stropicciato.

" Nate, questo è per te.
In realtà era un tema in classe, ma io non volevo che lo leggesse la maestra.
Perchè queste parole appartengono solo a te."
Un piccolo Nate di 10 anni lo guardò senza capire troppo, ma con un sorriso stampato sulle labbra.
" Quindi è per me? Posso leggerlo?"
Chuck si fermò un attimo a guardare oltre al colonnato del corridoio della scuola e poi guardo Nate con aria malinconica.
" No, vorrei che tu lo leggessi quel giorno esatto in cui io ti mancherò, il giorno in cui dubiterai di me, il giorno in cui avrai paura."
Nate allora non poteva capire, prese il bigliettino e se lo infilò nella tasca poi si avvicinò a Chuck e gli posò una mano sulla spalla.
"Farò come dici Chuck."
Disse euforico e Chuck si girò verso di lui con il solito ghigno furbesco stampato sulle labbra.
"Bravo Archibald, ricorda che ciò che dice Chuck Bass è legge."


Nate negli anni più volte aveva avuto la tentazione di leggere il bigliettino.
Soprattutto nei momenti più oscuri, quando aveva dubitato di tutti anche di Chuck.
Quando si era sentito tradito da lui per Blair e numerose altre volte nel corso di quegli anni.
Aveva avuto la tentazione di leggerlo anche quel giorno in cui Chuck aveva sfiorato la morte.


Cinquantatre anni prima, 
General Hospital di New York, 
2015, ore 13.50

Non si avevano sue notizie da oramai quasi due ore.
Nate era via per lavoro quel giorno, e ad avvisarlo dell'incidente era stata Serena.
Era salito in macchina e aveva pregato l'autista di andare più velocemente possibile.
Si sentiva perso.
Era uno di quei momenti che detestava di più, sentiva che Chuck era sempre più lontano.
Aveva gli occhi pesanti e confusi.
Un vuoto enorme dentro ed un'angoscia terribile che gli attanagliava la gola.
E se fosse morto?
E se fosse morto, e lui non fosse arrivato in tempo per salutarlo l'ultima volta?
Senti qualcosa che pressava all'altezza dell tasca interna della giacca.
Da quel giorno di alcuni anni prima quel biglietto era rimasto sempre in ogni giacca che indossava.
Lo reputava una specie di guida.
Ma non l'aveva mai letto, nonostante la tentazione di numerose volte.
Quel giorno però aveva entito quasi per istinto che fosse arrivato il momento.
E la cosa lo spaventava moltissimo.
Lo sfilò dalla tasca e lesse le parole scritte sulla superficie del foglio piegato.
" Per Nate."
Erano due parole semplici eppure provocarono in Nate un turbine di emozioni.
Fu in quel momento che scoppiò in lacrime, forse per la prima volta a causa di Chuck.
Imbratto tutta la superficie del fogliettino, tanto che quelle due parole si rovinarono un po'.
Quel giorno non ebbe il coraggio di aprirlo, era come se avesse paura delle conseguenze di quel gesto.
Quando arrivò al'ospedale si sedette su una sedia, e rimase lì senza fiatare. Aspettando che Chuck si svegliasse.


Ora, 
General Hospital, New York
2065, ore 10.15

Era seduto accovacciato per terra vicino alla porta.
Dalle tende del corridoio entrava la luce pallida del sole.
Si sentiva in colpa perchè aveva letto un pezzo del bigliettino, e ora si, ora aveva paura delle conseguenze.
Aveva aspettato così tanto, eppure adesso aveva sentito la necessità di farlo.
Perchè di era sentito esattamente come Chuck aveva annunciato anni prima.
Ma soprattutto di era sentito solo.
Senza suo fratello.
Quelle prima righe che aveva letto gli avevano provocato un pianto senza sosta.
Un pianto angosciato, ma a tratti felice, perchè quelle parole erano di Chuck e 
anche se l'aveva sempre sospettato non avrebbe mai sperato di poterle "udire".
Ora capiva perchè Chuck non voleva che le leggesse al'ora.
Infame.
Chuck non voleva subire le (dolci) conseguenze di ciò che aveva scritto. 
Dopo essere rimasto ancora un po' lì, decise di non proseguire nella lettura, si alzò e rientrò nella stanza.
Serena si girò per prima, lo guardò a fondo e capì che voleva rimanere sola, Claire la seguì a ruota libera.
Blair non si sapeva dove fosse.
" Allora Nathaniel, scappi?"
Disse Chuck con il suo solito sguardo furbo di sempre, solo un po' più pacato e stanco.
Nate non rispose, e rimase a guardarlo in silenzio.
" Che c'è? Ti sei accorto di essere follemente innamorato di me, e vuoi dirmelo ora sul letto di morte?"
Continuò un Chuck sempre più divertito.
Ma poi guardò bene il suo amico e si accorse della serietà di quel momento.
" L'ho letto Chuck."
"Ah..."
"Solamente un pezzo però..."
Chuck si alzò leggermente a sedere per guardarlo meglio.
"Perchè?"
"Ho paura delle conseguenze."
"Nathaniel, morirò comunque..."
Nate girò la testa dall'altra parte e poi lo riguardà con gli occhi lucidi.
"Non dirlo, tu c'è la farai.."
"No Nathaniel, non questa volta. Il vecchio Bass è sfuggito troppe volte alla morte, non pensi?"
"Tu non puoi morire Chuck, non puoi."
"Perchè non posso?"
"Perchè abbiamo tutti bisogno di te."
" E' vero, e io ho bisogno di voi. Ma ciò non significa che non possa arrivare la fine. Prima o poi c'è una fine Archibald."
"Chuck, sei uno stronzo. Com'è che fino all'ultimo hai sempre ragione tu?"
Chuck sorrise.
" Sai Nate, quel biglietto è stata una delle poche cose vere che abbia fatto in quel periodo."
" E' molto bello, a parte la parte in cui mi dai dello stupido."
"Ma è vero, cioè dovevo essere realistico. Comunque ti piace perchè non l'hai ancora letto tutto."
Nate lo guardò confuso e a Chuck venne voglia di strangolarlo.
"Lascia stare, comunque finisci di leggerlo."
" E tu non morire."
"Non posso non morire, non decido io amico mio."
"Ma noi non possiamo vivere senza di te."
Chuck lo guardò serio.
" Non ti dirò le solite frasi da Film, del tipo "Io sarò sempre con voi", non è vero.
Ma ti posso assicurare che ci ritroveremo."
"V-va bene."
Disse Nate in preda ad un'altra crisi di pianto.
Chuck subito non regì.
Poi lo abbracciò di slancio.
"Mi mancherai Archibald."
"Anche tu Chuck, ma ci rivedremo."

Nate uscì dalla stanza con la certezza che quel giorno non avrebbe perso nessuno, anzi.
Quel giorno aveva scoperto il suo amico, aveva capito chi era Chuck Bass.
Anche se infondo l'aveva sempre saputo.


Cinquantatre anni prima, 
General Hospital di New York, 
2015.
 
Quel giorno Nate, non ebbe il tempo di leggere il biglietto.
Infatti fu chiamato da un infermiere.
" Signore, abbiamo bisogno del suo aiuto.
La signora Bass non si sente bene."
Nate corse in preda al panico e la trovo accoccolata su una barella, accucciata.
Le si avvicinò e le diede un bacio sulla fronte.
"Blair..."
"Nate, lui non può morire."
Era distrutta a pezzi, attaccata solo a quella piccola sporgenza sulla sua pancia.
" Questa bambina merita un padre, e io merito Chuck."
Nate non era bravo con le parole.
Così le si avvicinò solamente e l'abbracciò cercando di consolarla da quel pianto profondo e senza consolazione.


Ora, 
General Hospital, New York
2065, ore 10.30
 

" Nate è l'unico mio scoglio. L'unico che sa che anche io piango, ma ha giurato di non dirlo.
C'è solo una cosa di me che Nate non sa.
Io ho un cuore.
C'è solo una cosa che vorrei rubare a Nate.
Blair Waldorf.
La sua fidanzata.
Nate non lo sa, ma io ho un cuore e il mio cuore batte solo per lei.
Ma purtroppo lei non si accorgerà mai di me, e io rimarrò con questo organo in più.
E non saprò proprio cosa farne di questo cuore.
Blair Waldorf è bellissima, e io so che Nate non la ama.
Forse un giorno glielo dirò che sono pazzamente innamorato di lei.
Magari non si arrabbierà neanche tanto.
Infondo lui ama Serena.
Io lo so da tanto tempo.
Nathaniel inoltre, è l'unico che potrebbe perdonarmi sempre.
Ecco, ora lo so.
Mio fratello è lui, il migliore del mondo.
Ti voglio bene Nate.
P-S Non dirlo in giro che ti ho scritto questo.

C.B"

Nate chiuse in foglietto con un enorme sorriso sulle labbra.
Quei due, erano insostituibili.
E lui infondo l'aveva sempre saputo.
I suoi pensieri furono interrotti da un pianto.
Si voltò.
Blair era seduta per terra tra le sedie della sala d'aspetto.
" Nate..."
"Ei, Blair..."
"Nate...io non se posso vivere senza di lui."
" Blair, tu meriti Chuck, ricordi?"
Lei lo abbracciò di slancio.
"E Chuck merita te. Ti amava da quando aveva 10 anni.
L'ha scritto qui."
Blair sorrise speranziosa.
" Vi meritate così tanto, che niente può dividervi. Non lo perderai, nessun di noi lo eprderà."
Blair si strinse più forte al suo amico.

 
"Look... I care about four things, Nathaniel. Money, the pleasures money brings me, you and  Blair Waldorf ."

 
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Buongiorno cari Lettori!
Eccomi che aggiorno un po' in ritardo.
In realtà ho deciso che non ci sarà un giorno preciso in cui aggiornerò, ma semplicemente appena avrò l'ispirazione.
Anche se, i tempi non saranno mai troppo lunghi.
Che dire? Un bel capitoletto per i miei due amori Nate e Chuck.
Dovevo farlo assolutamente prima della fine.
In realtà penso che ci saranno massimo ancora 2 o 3 capitoli.
Comunque il prossimo capitolo sarà di nuovo Chair *.*
Aspetto qualche vostro commentino ( o notato infatti che molti di voi non si fanno più vivi (: )
Vabbè, io aspetto di sapere qualcosa da voi! Un bacio tesori.

B.

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