Life

di mysticmoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Risveglio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Non Odiarmi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Un Campioncino tra le Cento Torri ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Un Nuovo Colpo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Il Bene più Prezioso che C'è ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Il Bene più Prezioso che C'è (parte seconda) ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: La Tigre Ammansita ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Crudele Realtà ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Reality ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: La Teoria del Caos ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Dopo il Funerale ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Il Portafoglio di Benji ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Il Dono di Nozze ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Risveglio ***


Capitolo 1:

Risveglio

Era una mattina soleggiata di metà Ottobre. Il sole batteva nella stanza del reparto Rianimazione, camera singola, in cui giacevano il corpo pallido di un ragazzo di sedici, forse diciassette anni, con gli occhi chiusi, attaccato ad alcuni macchinari che lo tenevano in vita, ed una ragazza, che si era addormentata con la testa accanto alla mano del ragazzo.

Le lacrime che spuntavano dai suoi occhi e le si erano fermate sulle gote, brillavano che diamanti, alla brillante luce solare.

Ad un tratto, il ragazzo mosse leggermente le palpebre, poi, lentamente, aprì gli occhi e si guardò attorno.

Oliver Hutton, Martedì 15 Ottobre ore 9:38 AM

Apro gli occhi. Le mie palpebre. Le sento terribilmente pesanti, quasi non riesco a tenerle su.

Bianco, vedo un soffitto bianco, sopra la mia testa. Riesco a sentire dei suoni, i suoni dei macchinari che mi hanno tenuto in vita da… da quanto tempo sarà che mi trovo qui? Per quanto sono rimasto privo di sensi? Da quel che ne so, potrebbero essere venti minuti come venti anni.

Mi fa male la testa, la sento pulsare violentemente, soprattutto se tento di pensare o di ricordare quel giorno, che per le mie percezioni è oggi, ma per il resto del mondo chissà.

Ricordo… ricordo il sole che splendeva forte, ricordo che doveva essere il primo pomeriggio di primavera, il cane ferito in mezzo alla strada, poi… poi… c’era Patty… poi… poi… no, non ricordo più nulla. Aspetta, c’è anche un forte suono, una via di mezzo tra un fischio ed un boato. Non riuscirei a ricordare di più anche se lo volessi.

Forse, con il tempo, riuscirò a diradare la nebbia che avvolge i miei pensieri e ricordare gli eventi, ma ora non ci riesco proprio.

Oh, ma qui c’è Patty! Dorme, dorme al mio fianco. Chissà per quanto tempo ha vegliato al mio capezzale? Forse, se riuscirò a parlare, glielo chiederò. Chissà cosa farà quando si accorgerà che mi sono svegliato! Ma non voglio svegliarla, sarebbe ingiusto da parte mia. Spero solo che si svegli presto, non so per quanto riuscirò a restare cosciente.

Patty dormiva ancora, con la testa appoggiata sul letto, quando sentì qualcosa sfiorarle i capelli e pensò che fosse solo un sogno. Si passò distrattamente, ancora addormentata, la mano tra i capelli, poi sentì che aveva urtato qualcosa di solido e caldo, che si mosse al suo contatto.

Lo scostò distrattamente e riappoggiò la mano sulla coperta.

All’improvviso fu come se un fulmine, all’improvviso, gli avesse snebbiato la mente, e spalancò gli occhi di scatto, rendendosi conto che ciò poteva significare solo una cosa.

Sollevò di scatto la testa e guardò gli occhi scuri che, dolci, grandi ed espressivi, la fissavano.

Holly sorrise, e fu allora che Patty, fuori di sé dalla gioia, afferrò la sua mano e cominciò a piangere dalla gioia. Finalmente il suo Holly si era svegliato dal coma, e lei era al settimo cielo.

I violenti e rumorosi singhiozzi da cui era scossa Patty richiamarono l’attenzione di un’infermiera, che all’istante, rendendosi conto dell’accaduto, andò a chiamare un medico.

Patricia Gatsby, Martedì 15 Ottobre ore 9:42 AM

E’ da quando mi sono svegliata che piango! Come sono felice! Finalmente si è svegliato! Ho avuto così tanta paura di perderlo per sempre! Che spavento quando ho visto quel camion sopraggiungere!

E’ stato più forte di me, correre verso quel cagnolino ferito, lì in mezzo alla strada, senza guardare se qualcuno passasse. Sono stata una sciocca! Quel colosso di metallo era terrificante, sembrava un mostro, così rapido e gigantesco! Chissà se l’autista era ubriaco? O forse è stata la paura a spingerlo ad accelerare invece che frenare, per poi scappare a gran velocità? Io so solo che non c’erano segni di frenate sull’asfalto. Da quel che mi hanno detto, perlomeno.

Ricordo solo fino a qualche secondo prima dell’impatto, quando ho sentito Holly spingere me e il cane verso il marciapiede. Ho battuto la testa e perso i sensi, ma mi è stato raccontato che Holly è stato preso in pieno ed una ruota gli è passata su una gamba. Mi hanno detto che era in frantumi, quando l’hanno portato qui.

Quanto tempo è passato! Pensare che quella era una giornata d’Aprile! Quasi sei mesi in coma, solo per salvarmi da quella mia sciocca imprudenza. Troverò mai le parole per ringraziarlo abbastanza? L’importante ora è che si sia svegliato e stia meglio.

Pochi minuti dopo la notizia, Patty fu costretta a lasciare la stanza di Holly, così decise di comunicare a tutte le persone più vicine a Holly che si era finalmente svegliato.

La prima persona che chiamò fu Mark Lenders, che per puro caso si trovava in città in quei giorni.

La reception dell’albergo gli passò la camera in cui alloggiava Mark, che, per sfortuna di Patty, dormiva della grossa.

Ci volle parecchio prima che Mark si decidesse ad alzarsi e rispondere al telefono.

"Pronto? Qui parla Mark Lenders" disse l’attaccante della Toho, con la voce impastata dal sonno.

"Salve Mark. Sono Patty. Telefono dall’ospedale. Holly si è svegliato pochi minuti fa."

"Oh, mi fa molto piacere" disse Mark con tono poco convinto.

Nonostante la notizia gli facesse molto piacere, non gradì il fatto di essere stato svegliato così presto dalla ragazza.

"Verrai a trovarlo, visto che ti trovi in città?" chiese la ragazza, sorpresa dal poco calore espresso da Mark.

Mark bofonchiò un “verrò più tardi, quando avrò un po’ di tempo”, poi, stanco, riagganciò senza neanche salutare, immergendosi di nuovo nel letto e rimettendosi a dormire (NdA: il solito!).

In seguito Patty telefonò a Tom, che giocava nel settore giovanile di una squadra italiana.

Patty era talmente felice che non le passò minimamente per l’anticamera del cervello che se lì erano quasi le dieci del mattino, da Tom dovevano essere quasi le due di notte.

Ad occhi chiusi, cercò la lampada, poi spinse l’interruttore e alzò la cornetta del telefono.

"P… pronto?" disse Tom, con gli occhi quasi incollati e la voce roca a causa del sonno.

"Tom, sono io, Patty!"

"Ciao Patty. Lo sai che ora è qui in Italia?"

Patty ci pensò un attimo, poi disse:

"Lo sai che non sono un asso con il fuso orario."

"Te lo dico io, allora. Sono esattamente le 1: 54 di notte. Spero che questa tua telefonata notturna sia stata fatta per qualche motivo molto più che valido, visto che per di più domani devo giocare una partita."

Patty arrossì come un peperone, poi disse:

"Scusa Tom, ma non potevo aspettare. E’ una notizia troppo grossa. Holly si è svegliato! Holly si è svegliato non più di quindici minuti fa."

In quel momento Tom si svegliò completamente e balzò giù dal letto.

"Dici sul serio?"

"Non potrei mai scherzare su una cosa del genere."

"E quando è stato?"

"Te l’ho già detto. Circa quindici minuti fa. Verrai a fargli visita? Lo so che è un viaggio lunghissimo, ma…"

"Arriverò il prima possibile, non preoccuparti."

"Tom, mi sto chiedendo una cosa."

"Spara."

"Sei in ritiro con la squadra a casa tua?"

"Il nostro albergo si è allagato e non abbiamo trovato niente libero, così, visto che la casa che ho comprato è abbastanza vicina allo stadio ed è bella spaziosa ci siamo piazzati qui per il ritiro. Sai che domani giocherò con la prima squadra? Pensa, giocherò con i mitici Gardoni, Magnani e Porter" disse Tom, parlando a voce altissima.

"Sono tutti a dormire lì?"

"Sì."

"E dormono?"

Tom si voltò lentamente verso gli altri, che per la maggior parte lo fissavano con gli occhi semichiusi, ma l’aria molto adirata.

"Patty, credo che dovremmo chiudere la discussione. Qui, se continuo a parlare, mi fanno nero."

"Un’ultima domanda Tom . Ma in che razza di casa vivi?"

"E va bene! Lo ammetto. Non possiedo una vera casa. Abito in un vecchio negozio e affitto letti a chi capita."

"Grazie per l’informazione, Tom. Ci vediamo presto!"

"Sì. Ciao Patty."

Appena Tom ebbe riagganciato, una quindicina di cuscini volarono verso di lui, colpendolo in pieno.

La persona che Patty chiamò in seguito fu Benji, e neanche questa volta pensò che al massimo ad Amburgo potevano essere le due e mezza di notte.

Una voce assonnata ma dal palese tono irato, tuonò un “Pronto?” da far gelare il sangue nelle vene.

"P… pronto Benjamin? Sono io, Patty."

"Patty chi?" tuonò nuovamente la voce.

"Ma come Patty chi? Patricia Gatsby."

"Mmm…?"

"Benji, ma non mi riconosci? Sono Patty! Hai presente il Giappone? La New Team? Holly in coma?"

"Oh, ora capisco tutto! Tu stai cercando Benjamin Price, il portiere della prima squadra! Io sono Benjamin Kerk, il portiere della squadra Primavera. Non sai cosa è successo?"

"No!"

"E’ con la prima squadra a Tokyo, per un’amichevole."

"Benji è qui in Giappone?"

"Esattamente."

"Ma perché non me l’avrebbe detto?"

"Magari per farvi una sorpresa, Patty?" disse una voce alle sue spalle.

Patty si voltò e davanti a sé trovo Benji, cresciuto di una buona ventina di centimetri e diventato molto più muscoloso in quegli anni.

"Benji! Che bella sorpresa!"

"Anche a me fa piacere rivederti Patty. Ma perché mai sei al telefono con l’Europa? E’ successo per caso qualcosa?"

"Sì…"

"Ehi, Patty. Ci sei ancora?" chiese il ragazzo dall’Europa.

"Oh, scusami Benjamin! E’ che è appena arrivato Benji Price."

"Puoi farmi un favore, giacché mi hai svegliato a quest’ora assurda?"

"Certamente."

"La partita com’è finita?"

"Benji, Benjamin Kerk mi ha pregato di chiederti com’è finita la partita" disse Patty, voltandosi verso Benji.

"Annunciagli che qui sono soltanto le dieci del mattino e che inoltre la partita è stata rimandata a domani."

"Mi dispiace, ma la partita doveva essere giocata più tardi, ma ha subito un ritardo di circa ventiquattro ore."

"Ti ringrazio ugualmente, Patty. Ora mi rimetterò a dormire, in ogni modo. Sai, sono le tre di notte qui."

"Oh, scusami tanto."

"Di niente. Ciao Patty."

"Ciao Benjamin" disse Patty, riagganciando.

Subito dopo si gettò addosso a Benji, facendolo vacillare, e, ricominciando a piangere, disse:

"Si è svegliato! Holly si è svegliato pochi minuti fa. E’ cosciente e mi ha riconosciuta!"

Benji rimase a bocca spalancata per la sorpresa, poi disse:

"Qual è la stanza?"

"Ti accompagno io" disse la ragazza, conducendo il giovane portiere alla stanza del suo amico.

"Hai cercato di metterti in contatto con qualcun altro oltre me?"

"Sì ho già avvertito qualcun altro, ma sono soltanto Mark e Tom"

"Quando chiamerai gli altri?"

"Dopo averti condotto da Holly, così potrete stare un po’ insieme e farvi quattro chiacchiere."

"Può parlare?"

"No, ma pensa al lato positivo: hai trovato qualcuno che può ascoltarti in silenzio e non interverrà mai nella discussione. Che cosa vuoi di meglio?" disse scherzosamente Patty, poi, allegramente, prese Benji sottobraccio e si diressero verso la stanza in cui giaceva Holly.

Il medico di Holly, vedendo la ragazza accompagnata da Benji disse:

"Signorina Gatsby, se è possibile vorrei parlarle un momento, in privato, delle condizioni di salute del suo amico."

"Non si preoccupi di lui. Questo è un carissimo amico d’Oliver, e qualunque cosa lei possa dire a me, può dirle liberamente anche a lui. Le presento Benjamin Price, amico di vecchia data d’Oliver. Anche lui è un giocatore di calcio, gioca a calcio in una squadra europea."

"Ah, Benjamin Price! Ho sentito già parlare di lei, ed in termini molto lusinghieri, signor Price."

"Grazie per i complimenti."

"Allora ragazzi, dovete sapere in primo luogo che il vostro amico non è ancora completamente fuori pericolo. Certo, il fatto che si sia svegliato dal coma rende molto più rosea la situazione, ma dobbiamo essere ancora molto cauti sulle diagnosi. Per quanto riguarda la sua gamba, la situazione è più chiara, ma non certo migliore. Voi sapete benissimo che era in frantumi quando lo portarono qui e che la ricostruzione è stata molto lunga e difficile, ma abbiamo avuto successo, per cui a livello osseo non abbiamo particolari preoccupazioni. Il fatto è che non sappiamo bene se i legamenti e i muscoli di quella gamba potranno tornare ad essere abbastanza elastici e robusti per affrontare nuovamente un’attività agonistica faticosa che li stanca molto, proprio come il calcio."

Patty, distrutta da quelle parole, si sentì improvvisamente svuotata e, come se perdesse le forze un po’ alla volta, scivolò lentamente a terra e scoppiò a piangere. Non riusciva proprio ad immaginare né Holly senza il calcio, né tantomeno il calcio senza Holly.

Patricia Gatsby 15 Ottobre 10:21 AM

In questo momento sto piangendo dal dolore. Holly quasi sicuramente ha perso la cosa a cui tiene di più al mondo, solo per la mia imprudenza. Che sciocca che sono stata!

I medici sembrano ottimisti, sostengono che ha buonissime possibilità di tornare completamente alla normalità, ma io non ci credo. Dopo quello che ho scoperto oggi, mi dispiace, ma non posso crederci.

Perché, perché quel camion doveva passare proprio in quel momento? E perché, invece di passare sopra la sua gamba invece che alla mia? Perché proprio lui doveva rischiare di rimanere zoppo, mentre io sono ancora in grado di correre? Come potremo farlo, ad annunciargli che molto probabilmente la sua carriera da calciatore finisce qui? Chi sarà ad avere il coraggio di dirgli di dimenticare il calcio giocato, proprio ora che manca un anno e mezzo al Mondiale nel nostro paese? Mi si spezza il cuore al solo pensiero. Se solo potessimo fare qualcosa… io darei qualsiasi cosa, addirittura la mia vita, se questo potesse evitargli di soffrire!

Benjamin Price, 15 Ottobre 10:22 AM

Perché, quando una persona è al culmine della felicità, deve esserci sempre qualcosa o qualcuno pronto a rovinare tutto? Io e Patty eravamo al culmine della felicità, fino a qualche secondo fa, a festeggiare, finalmente, il risveglio di Holly, ed ora siamo qui, infelici per il fatto che molto probabilmente ha perso per sempre il suo sogno più grande. Manca relativamente poco all’inizio del Mondiale. Se anche Oliver ce la facesse a tornare a giocare a calcio, riuscirebbe a tornare ad altissimi livelli per allora? Distrutti noi e distrutto lui per questa notizia. Per ora, credo che potremo accantonare l’argomento, ed il dottore è legato dal segreto professionale, per cui non credo che annuncerà che Holly rischia di finire qui la sua carriera da calciatore, ma un giorno dovremo affrontare il fatto, e sarà difficile rivelarlo al diretto interessato. Holly, io prego Dio che ti faccia guarire completamente e che il tuo, anzi, il nostro sogno, quello di diventare campioni mondiali, possa diventare realtà.

"Avanti Patty, cerca di ricomporti. Non vorrai mica che Holly ti veda in questo stato, con quell’aria da funerale e gli occhi rossi dal pianto? Per il momento lui deve stare il più calmo possibile e non deve sapere che rischi ci sono, ma se ti presenti davanti a lui in queste condizioni…" disse Benjy, che cercava di rincuorare la ragazza, ancora accasciata sul pavimento del corridoio.

"Lo so perfettamente cosa è bene o no per Holly, che cosa credi? Ma avevo bisogno di sfogarmi. Sono stata io… sono stata io a condannarlo ad una vita d’insoddisfazione e rimpianto, e mi sento colpevole, non lo capisci?" disse Patty, che era a dir poco disperata.

"E che sia ancora vivo non t’importa? Holly è un ragazzo intelligente e non ti potrebbe mai incolpare di essere la causa di una probabile fine della sua carriera calcistica."

"Infatti, ma io mi sento responsabile allo stesso modo. E lui, un giorno o l’altro, me lo rinfaccerà."

"Ma non dire certe cavolate, Patty. Sentimi bene, Holly non si pentirà mai di ciò che ha fatto per te quel 24 Aprile, e sai perché?"

Patty scosse la testa.

"Lui ti vuole bene e in quel momento si è accorto che senza di te, per lui non sarebbe valsa la pena vivere. Ecco qual è stato il motivo che l’ha spinto a farsi investire da quel camion al posto tuo."

"Per favore Benjy, non parlare come uno di quei romanzi rosa che trovi in edicola a poco prezzo. Lo sai perfettamente che quello è stata solo una reazione dettata dall’istinto, e non un gesto premeditato. Sono una sua cara amica da anni, ma nulla di più" disse Patty, che era diventata rossa come un peperone, poi si alzò e si diresse verso la stanza.

"Sarà come dice lei, ma io ho i miei dubbi" si disse Benjy, seguendo la ragazza nella stanza.

"Holly, sei sveglio?" chiese con voce molto bassa Patty, entrando con cautela nella sua stanza.

Holly aprì gli occhi.

"Sono felice che tu sia sveglio, perché ho qui una grandissima sorpresa per te. Guarda un po’ chi è venuto a farti visita, stamattina?" disse Patty, facendo entrare Benjy.

Gli occhi di Holly brillarono dalla felicità.

"Salve Holly! Ti vedo abbastanza bene, amico mio. Pensavo peggio. Ma… Patty! Che stai facendo? Perché ti sei di nuovo messa a piangere?" chiese Benjy, vedendo in un angolo la ragazza, che piangeva nuovamente.

La ragazza non poteva fare a meno di piangere, nel vedere Holly felice e soprattutto sveglio, dopo tutti quei giorni che aveva passato a vegliarlo, giorno e notte, senza lasciarlo solo per più di mezz’ora, tenendo la sua mano nella sua e parlandogli ininterrottamente.

Holly, vedendo le lacrime, le fece cenno di avvicinarsi al letto.

Lei obbedì all’istante, accostandosi e sedendosi al suo fianco.

Holly, faticosamente, alzò la mano e, con un dito, asciugò una sua lacrima, poi si schiarì un po’ la voce, con tono basso e roco, e non senza moltissima fatica, riuscì a dire:

"Non devi piangere più per me, Patty. Ora sto bene e molto presto, appena uscirò da qui, andremo tutti insieme a fare una bella passeggiata e disputare una partita di calcio all’ultimo sangue."

Un po’ commossa dalle parole che le aveva detto per incoraggiarla, un po’ intristita dall’amara realtà delle cose, si appoggiò sulla mano di Holly e riprese a piangere, più a dirotto di prima, mentre Holly la guardava sorridendo e Benjy sogghignava divertito, pensando alle parole dette poco prima da Patty, ossia che Holly l’avrebbe considerata responsabile, e a quel quadretto felice.

Sentendosi in grande imbarazzo, il ragazzo prese la scusa di andare a telefonare agli altri, per lasciarli un po’ da soli. In fondo, dopo tutto quello che avevano dovuto passare, gli sembrava giusto che si godessero a fondo quel momento d’idillio e felicità. Ormai sapeva che la dura realtà li avrebbe raggiunti di nuovo tra non molto, e momenti del genere sarebbero stati più unici che rari, durante la dura riabilitazione che avrebbe dovuto fare Holly.

Oliver Hutton, 15 Ottobre 10:35 AM

Di nuovo insieme. Non riesco neanche a ricordare quando sia cominciato tutto ciò, so solo che Patty è al mio fianco in ogni momento importante della mia vita. Deve volermi davvero molto bene, mentre io in troppi casi sono stato davvero troppo freddo. Dovrò sdebitarmi il prima possibile nei suoi confronti. Patty, sempre così dolce, disponibile e comprensiva, sei il mio angelo custode, ed io non merito di essere protetto da un angelo di così grande bontà. Non mi basterebbero due vite per ringraziarla di tutto il bene che mi ha fatto, ma in un modo o nell’altro dovrò farcela utilizzando solo questa.

Nonostante le parole del dottore, Benjy era certo al cento per cento che Holly si sarebbe ripreso completamente, soprattutto ora che lo aveva visto parlare per rincuorare Patty.

"Ha trovato la forza di parlarle, nonostante non abbia parlato per mesi e fosse ancora molto debole. La sua forza di volontà è grandissima, e sono certo che questo avrà gran peso nel suo processo di guarigione" si disse, mentre si dirigeva di nuovo verso i telefoni.

La prima persona che cercò di contattare fu Bruce Arper.

Una voce femminile disse:

"Sì? Qui casa Arper, chi parla?"

Deve essere certamente la madre di Bruce si disse Benjy.

"Signora Arper, sono Benjamin Price. Si ricorda di me?"

"Benjamin Price hai detto? Ah, Benjy! Tu eri il portiere della prima New Team, non è vero?"

"Esattamente signora Arper. Vorrei poter parlare con Bruce."

"Mi dispiace Benjamin, ma Bruce non è in casa. E’ andato a disputare una partitella d’allenamento insieme ad altri giocatori della vecchia New Team. Sono al solito campo d’allenamento."

"Grazie per l’informazione signora Arper."

"Vuoi che gli dia un tuo messaggio?"

"No, visto che sono in città passerò io da loro. Ma visto che ci sono do anche a lei la notizia: Oliver Hutton si è finalmente svegliato dal coma."

"Ma è una notizia fantastica, Benjamin! Ma quando è successo?"

"Dovevano essere suppergiù le nove e mezza di questa mattina. C’era Patty insieme a lui, in quel momento."

"Sono molto felice per sia per Patty che per Holly. Benjamin, spero di poterti rivedere presto."

"Se n’avrò la possibilità passerò certamente a salutarla, signora Arper."

"Arrivederci Benjamin."

"Arrivederci a lei."

Bene, ed una è fatta! si disse Benjamin dopo aver riattaccato e dirigendosi verso la hall per farsi prestare qualche elenco telefonico, per trovare i numeri di telefono di Julian Ross e Philiph Challagan.

Il primo a cui telefonò fu Julian.

Dopo un paio di squilli, Amy rispose.

"Pronto?"

"Pronto. Mi chiamo Benjamin Price. Desidererei parlare con Julian Ross."

"Oh, ma che sorpresa Benjy! Non mi riconosci? Sono io, Amy!"

"Ciao Amy. E’ da tanto che non ci si sentiva, eh?"

"Da parecchio, è vero."

"Dove ti trovi? Dallo squillo, non sembrava un’intercontinentale."

"Infatti non sono in Germania. Mi trovo qui in Giappone."

"Come mai?"

"Una partita amichevole con una squadra di Tokyo."

"E quando?"

"Domani sera."

"Come mai hai chiamato?"

"Ho una notizia stratosferica per voi due. Per piacere, va a chiamare anche Julian. E’ davvero una grande notizia."

"Va bene, Benjamin. Attendi in linea" disse Amy, appoggiando la cornetta sul mobile del telefono.

Un paio di minuti dopo Benjy sentì un click, tipico segnale dell’inserimento della viva voce.

"Salve Benjamin. Mi fa piacere sentirti nuovamente."

"Lo stesso vale per me, Julian."

"Allora, Amy mi ha detto che devi darci una notizia stratosferica. Avanti, sputa il rospo."

"Ebbene ragazzi, dovete sapere che il nostro caro amico Oliver Hutton si è svegliato dal coma."

"Sì è svegliato dal coma? E quando?"

"Più o meno un’oretta fa, da quel che ha detto Patty."

"Ti ha contattato lei?"

"No, mi trovavo lì per caso, ed ho trovato Patty intenta a fare il giro di telefonate per avvertirci tutti."

"Un vero e proprio colpo di fortuna."

"Sì, puoi ben dirlo."

"Benjy, come sta Patty?" chiese Amy, che fino a quel momento era rimasta in silenzio.

"Puoi ben immaginare che è al culmine della felicità. Era con lui quando ha riaperto gli occhi."

"Hai altre notizie sulla sua salute?" chiese Julian.

"No, non ne so niente" mentì Benjy.

"In fondo l’importante è che stia bene" disse Amy.

"Già. Scusate ragazzi se mi congedo così in fretta, ma devo avvertire anche Philip Challagan, poi devo andare a cercare i vecchi giocatori della New Team e soprattutto la famiglia di Holly. Credo che Patty non abbia pensato ad avvertirli, per la gioia dell’evento."

"Ok. Ci sentiamo presto Benjy" disse Julian.

"Arrivederci Benjy" gli fece eco Amy.

"A presto ragazzi" disse Benjy, poi riappese.

Ok, ed ora telefoniamo a Philip si disse Benjy, cercando il numero sull’elenco telefonico.

Compose il numero ed attese.

Dopo una decina di squilli, s’inserì la segreteria telefonica.

'Qui parla la segreteria telefonica della famiglia Challagan. Ci dispiace, ma al momento non è in casa. Vi preghiamo di lasciare un messaggio oppure telefonare nuovamente più tardi.'

Accidenti! si disse Benjy.

"Philip, sono Benjamin Price, ti ricordi di me? Comunque sia volevo informarti che finalmente Oliver Hutton si è svegliato dal coma" disse Benjy, prima di riagganciare.

Benjy, dopo aver ripreso un po’ di fiato, compose il numero telefonico della famiglia Hutton.

Immediatamente Benjy ricevette la risposta della madre di Holly.

"Pronto, qui parla la signora Maggie Hutton. Chi è che parla?"

"Signora Hutton, è un piacere risentirla! Sono Benjy Price."

"Benjy! Ma che bella sorpresa! Qual buon vento ti porta a telefonare qui a casa? Sai che Holly…"

"Le ho telefonato proprio per Holly, signora Hutton. Deve sapere che sono passato qui in ospedale stamattina e ho saputo da Patty, oltre ad averlo visto con i miei stessi occhi, che Holly si è svegliato."

"Holly… il mio Holly… si è svegliato?!" disse la signora Hutton, cominciando a piangere.

"Sì, stamattina alle nove e mezza circa."

"Vengo subito! Vengo subito!"

"Non crede che dovrebbe avvertire anche suo marito?"

"Oh sì, hai ragione tu. Ci vediamo più tardi lì."

"Certamente, signora Hutton. Ora la lascio. Devo andare ad avvertire Bruce e gli altri" disse Benjy, e riattaccò.

Benjy ricordava perfettamente i luoghi della sua infanzia e sapeva bene quanto il campo fosse distante dall’ospedale.

Sono circa decina di chilometri. Potrei anche chiamare un taxi ma oggi non ho fatto allenamento ed una corsetta mi farà sicuramente bene si disse Benjy, cominciando a dirigersi in quella direzione.

In meno di mezz’ora, giunse ai margini di quel campo che risvegliava in lui tantissimi ricordi.

Si rivede, poco più che bambino, mentre, scorbutico, litigava con tutti i ragazzi che gli si paravano davanti e si vantava di essere il miglior portiere della città; poi Holly e quel rocambolesco goal; ed infine, si rivedeva insieme ad Holly e Tom durante il primo torneo della New Team.

I ragazzi della vecchia New Team erano così concentrati che si accorsero di Benjy solo quando il pallone, impazzito, volo ad alta velocità nella sua direzione e lui, con un balzo felino, l’aveva fermato come se la palla fosse stata tirata da un bambino di due anni.

In un primo momento i ragazzi, che avevano il sole negli occhi, non riconobbero Benjy in quell’oscura figura, poi, quando si diresse verso di loro, Bruce sorrise ed esclamò:

"Ehi, ma quello è Benjy! Ehi Benjy, che cosa ci fai qui? Non sapevamo che saresti passato da qui."

"Sapevate della mia partita, allora."

"Sì, eravamo intenzionati a venire a vederti domani sera. Allora, ti ripeto la domanda, qual buon vento ti porta qui?"

"Ero qui per farvi una sorpresa e magari dare quattro tiri al pallone" disse sorridendo Benjy.

Tutti i ragazzi si rabbuiarono all’improvviso, e Benjy n’intese immediatamente il motivo: pensavano a Holly.

"Ehi ragazzi, come mai quelle facce lunghe?"

"E non l’immagini?" disse Bob Denver.

"E’ per Holly. Tutti noi vorremmo tornare a giocare a calcio con lui- disse Ted Carter."

"O, almeno, ci piacerebbe che si svegliasse da quel maledetto coma. Insomma, sono sei mesi che è rinchiuso in quella stanza e non da minimi cenni di ripresa. Ci piacerebbe moltissimo dirgli quanto ci manca e quanto vorremmo stare in sua compagnia e aiutarlo" disse Bruce.

"Allora andate a dirglielo. Vedrete, sono sicuro che ne sarà felice" disse Benjy con naturalezza.

"Benjy, sei sicuro di sentirti bene?" chiese Bruce.

"Certo. Non mi sono mai meglio di oggi! Andiamo tutti insieme da lui, e parlategli. Sono sicuro che sfodererà uno dei suoi soliti sorrisi incoraggianti" disse Benjy, sorridendo.

I ragazzi guardavano Benjy con gli occhi sgranati. Non capivano se scherzasse o parlasse seriamente.

"Ragazzi, ma ve lo devo spiegare come a dei bambini dell’asilo nido? Holly si è svegliato."

Dopo quelle parole erano sempre più stupiti, poi, Bruce gridò “Evviva” saltellando e facendo capriole per tutto il campo, seguito a ruota dagli altri, tutti felici all’inverosimile.

Dopo il festeggiamento generale, i ragazzi, di comune accordo, decisero di correre fino all’ospedale.

New Team campione di Giappone per tre anni consecutivi 15 Ottobre 11:39

Non posso ancora crederci! Siamo qui, per la strada, a correre tutti insieme verso l’ospedale dove il giocatore che più a dato a questa squadra in quel fantasmagorico triennio è ricoverato da mesi, per salutarlo di nuovo. Non ci sembra vero! Non crediamo che nessuno di noi riuscirà a connettere, se non quando oggi diventerà ieri ed il presente sarà diventato passato. Questo bellissimo, fantastico presente, che ci ha reso il più grande calciatore che il Giappone abbia mai conosciuto, conosca e conoscerà.

Purtroppo erano troppo numerosi per entrare tutti insieme nella stanza, ma un paio alla volta potevano, ed ognuno di loro fece felice Holly, mentre Patty, stanca morta, dormiva con la testa appoggiata al letto. Nessuno, vedendo l’espressione serena del suo viso, ebbe il coraggio di svegliarla per farla spostare da lì.

Durante il giorno moltissime persone si alternarono al capezzale di Holly, che la maggior parte del tempo dormiva come un sasso, così come Patty, che si svegliò soltanto verso le sei del pomeriggio.

Tra i molti visitatori che andarono da Holly, vi furono anche Mark Lenders, Julian Ross, Amy, Philip Challagan, Jenny, Danny Mellow ed Ed Warner.

Mark Lenders, 15 Ottobre 5:05 PM

Finalmente potremo affrontarci di nuovo, Hutton.

Sono passati dei mesi dalla nostra ultima sfida, ma presto ci sfideremo di nuovo, e sarò io a vincere, questa volta! Di nuovo noi due, l’uno di fronte all’altro, su un verde campo di calcio.

Vedrai, mi farò trovare in forma, e tu non potrai avere scampo, neanche se fossi nella forma migliore.

Non riuscirai a battermi un’altra volta, non te lo permetterò. Ti giuro che ti straccerò, Oliver Hutton.

Danny Mellow 15 Ottobre 5:11 PM

Ancora rimugino sulle parole di Mark, quando mi annunciò che molto probabilmente non avremmo mai più rivisto Oliver Hutton in vita, ed ora mi sento molto sollevato. Avevo paura che le parole di Mark potessero rivelarsi profetiche. Gli è capitato molto spesso di dire qualcosa ed indovinare, ma per fortuna stavolta si è sbagliato.

Non vedo l’ora di poter rivedere una lotta tra il falco e la tigre. Se la meritano entrambi, una nuova sfida.

Ed Warner 15 Ottobre 5:12 PM

La notizia che apparve sei mesi fa, su tutti i giornali nazionali e anche su qualche quotidiano straniero, apparve quella notizia a titoli cubitali. Ricordo benissimo tutti i titoli che furono scritti sul caso: “Incidente Stradale: Gravissimo Promessa del Calcio Giapponese”, “Oliver Hutton in Fin di Vita”, “Per Salvare l’Amica, Holly Hutton Rischia la Vita”, “ Toccata e fuga di un Folle Camionista: Grave il Giovane Hutton”, “ Tenta di Salvare Cagnolino ma un Camion Rischia d’Investirla e il suo Migliore Amico si Getta per Salvarla. Gravissimo Giovane Calciatore”.

Per fortuna si è ripreso. Certo, dormiva profondamente quando io, Mark e Danny l’abbiamo visto, ma dalla sua espressione e soprattutto quella di Patty, si è capito che il peggio è passato.

Philip Challagan, 15 Ottobre 6:34 PM

Lo so che non dovrei dire questa cosa proprio oggi, ma sono stato felice come una pasqua da quando ho saputo che Jenny sarebbe arrivata questa mattina dagli Stati Uniti. Era dal giorno di quella corsa a perdifiato verso l’aeroporto che non la vedevo, e sono rimasto senza fiato quando è apparsa. Bellissima, stupenda, fantastica, sono state le uniche parole che occupavano la mia mente in quel momento. Credo che non avrei saputo neanche rispondere alla domanda “che cos’è una palla?” in quel momento. Ma credo d’aver fatto anche la figura del pesce lesso, perché mi pare che qualcuno, passandomi vicino, abbia detto “Ma non le vedi le mosche che ti ronzano in bocca?” “ Chiudi quella bocca, se no ti si sloga la mascella”, oppure “ Ma che cosa ti prende?Stai per caso avendo un’apparizione mistica?”, ma la frase che mi ha colpito di più è stata “Non lasciartela scappare! Una così bella la trovi ogni centomila, se non ogni milione!”. Fatto sta che è stata Greace a spingermi verso Jenny, visto che ero rimasto impalato e rigido come un baccalà in quel momento. Quando mi ha sorriso, mi sono sentito sciogliere,mi sentivo come su una nuvoletta rosa, ho visto attorno a me esplodere fuochi artificiali a non finire, ho addirittura sentito suonare delle campane. Una dea come Venere in confronto sarebbe parsa una vecchia strega incartapecorita.

La cosa che ha migliorato ancora di più la giornata è stata proprio la notizia del risveglio di Holly. L’ho visto bene, se penso che è stato in coma per sei mesi. E’ riuscito perfino ad alzare una mano per salutarci, visto che insieme a me c’erano anche Patty, Jenny, Amy e Julian, e per fortuna che abbiamo incontrato Julian all’entrata, oppure Jenny ed io saremmo stati cacciati a calci dal reparto. In fondo l’orario delle visite era finito.

Spero che possa tornare presto ad allenarsi. Mi piacerebbe moltissimo poter giocare insieme a lui.E’ stato stratosferico nelle ultime due competizioni, ma stavolta è tutto diverso. Oramai siamo la Nazionale Giapponese Under18 e la cosa si fa molto seria. Rappresenteremo ufficialmente la nostra nazione, molto presto potremmo entrare nel giro della Nazionale maggiore, e, come se questo non bastasse, giocheremo in una delle nazioni con il campionato di calcio più bello del mondo, la splendida Svezia. Ma per fare bella figura avremo bisogno anche di lui. Spero tantissimo che tu ci sia, Oliver.

Julian Ross, 15 Ottobre 6:43 PM

Per una volta tanto, la mia conoscenza di medici e dottori vari ha dato i suoi frutti. Se non fosse stato per la celebrità che ho negli ospedali, Amy, Philip, Jenny ed io non saremmo mai potuti andare a fare visita a Holly tutti insieme fuori dall’orario di visita.

Non vedo l’ora di poterlo incontrare di nuovo su un campo di calcio, ma soprattutto, non vedo l’ora che lo dimettano o perlomeno lo portino via dal reparto Rianimazione.

L’ho visto abbastanza bene (NdJ:lo so, è una frase fatta) per ciò che gli è accaduto. Posso affermare di capire come si debba sentire Oliver in questo momento, in fondo anche io ho avuto un’esperienza del genere, anche se lui ha avuto problemi diversi dai miei. Io ho trovato la forza di reagire, e sono sicuro che anche Holly guarirà presto.

Credo che anche la povera Patty non debba sentirsi bene. Ho notato che, mentre Philip ed io chiacchieravamo un po’ di calcio, Amy e Jenny facevano cerchio attorno a lei, e mi pareva molto abbattuta, mentre parlava. Credo proprio che si senta in colpa per l’incidente. In fondo, è per salvarle la vita che Holly si è gettata contro quel camion. Quel ragazzo è proprio addormentato nei confronti di Patty, ma ha avuto un grandissimo coraggio quel giorno. Patty è profondamente innamorata di lui da parecchi anni, e lui ha sempre visto solo e soltanto il pallone da calcio, non accorgendosi dei sentimenti che lei nutriva, poi, un giorno come un altro, lo vedi gettarsi sotto un camion allo scopo di proteggerla.

Com’è strana la vita, certe volte! La gente capisce quanto realmente tenga ad una persona solo quando è sul punto di perderla! Certo, io mi sono accorto dell’amore che Amy nutriva per me quel giorno, proprio durante la partita contro Holly. Desiderava che lui mi lasciasse campo libero, pur di farmi felice e non farmi stare male. Cara, dolce Amy, come potrei fare se non ci fossi tu a rischiarare le mie giornate?

Chissà cosa sarà passato per la mente di Holly in quel momento… che sia stato amore? O soltanto una profonda amicizia l’ha spinto a proteggerla spingendosi così all’estremo delle sue possibilità? Fatto sta che deve provare un grandissimo affetto nei suoi confronti per arrivare a gettarsi per lei sotto un camion. Quando Holly si sentirà meglio, credo che glielo chiederò.

Naturalmente se si ricorderà cosa è accaduto. Ho sentito parlare molto spesso di persone che perdono completamente o parzialmente la memoria dopo dei traumi alla testa. Speriamo proprio che non sia il suo caso! Tutti i ricordi delle nostre sfide internazionali e non, sono cose molto preziose per Holly. Ah, come vorrei che sei mesi fa non fosse accaduto nulla!

Amy, 15 Ottobre 6:52 PM

So che è davvero ingiusto dire questo, ma credo che tra i due, chi sta più male è la povera Patty. Non l’ha detto apertamente, ma sia io sia Jenny, dalle sue parole e dal suo sguardo, abbiamo capito che si sente responsabile dell’incidente. Credo che anche Julian abbia intuito qualcosa. Lui ha molto fiuto per cose del genere. In effetti, lui è molto bravo a capire i sentimenti delle persone, al contrario di Holly, sfortunatamente per Patty. Certe volte mi sembra fatto proprio di coccio! Non riesce a capire quanto Patty lo ami, per di più si vede palesemente che lei sarebbe capace di buttarsi sotto un camion per lui. Che brutta battuta che ho appena fatto! Proprio fuori luogo! In ogni modo, per ora l’importante è che Holly si sia svegliato e stia meglio. Speriamo che possa tornare a giocare a calcio. Julian ci rimarrebbe molto male se fosse così, per non parlare di Patty, che credo potrebbe anche fare una follia.

Jenny, 15 Ottobre 7:04 PM

Distrutta. E’ l’unico aggettivo che potrebbe accompagnare al nome di Patty in questo momento. L’ultima volta che l’ho vista, qualche anno fa, era allegra, solare e sprizzava energia da tutti i pori, mentre ora sembra una mummia, priva d’energia e molto triste. Pochi secondi in sua compagnia e ho captato che c’era qualcosa che non andava in lei. Doveva essere felice per il risveglio di Holly, ed in effetti sembrava felice, ma si notava che era soltanto una maschera per nascondere la sua infelicità, la sua angoscia e la sua preoccupazione. Deve avere un segreto, questo è poco ma sicuro, ma ora basta parlare di cose spiacevoli. Voglio ripensare a Philip ed alla sua accoglienza all’aeroporto. Non mi aspettavo una reazione del genere. Sembrava una statua di marmo, lì fermo, bello come un bronzo di Riace. E’ diventato ancora più bello, alto e muscoloso, ma i suoi occhi sono sempre gli stessi, gli occhi pieni di determinazione con cui si è scontrato contro la New Team, ai tempi dell’ultimo anno delle scuole medie.

Chissà se ha ancora la mia fascetta? Holly, non si sa come, riuscì a sfilargliela con una pallonata. Spero che l’abbia ancora con sé. Sarebbe segno certo che non mi ha dimenticata e che, forse, non mi considera soltanto una semplice amica. Oh, come vorrei che pensasse a me come più di un’amica!

Erano circa le sette della sera, quando Patty e Benjy uscirono nel corridoio del reparto.

Sollevata, alla fine della giornata, Patty sospirò, poi si rivolse a Benjy, che era tornato per salutare Holly dopo una breve visita a casa della signora Arper, dove oltretutto s’era rimpinzato d’ogni buon manicaretto della donna, grande esperta nell’arte culinaria.

"Allora domani giocherai la partita e poi tornerai in Germania, vero?"

"Sì, non posso fermarmi di più. Mi dispiace dovervi lasciare così presto, ma credo che da domani avrete compagnia."

"Cosa vorresti dire?"

"Che se conosco bene il buon vecchio Tom, ve lo ritroverete tra i piedi molto, molto presto."

"Dici?"

"Dico."

"Allora, arrivederci Benjy. Spero di poterti rivedere molto presto."

"Arrivederci" disse Benjy, stampandole un bacio sulla guancia, prima di andarsene lungo il corridoio.

"Bene Holly - disse Patty, rientrando nella stanza – Anche stasera resterò io a farti un po’ di compagnia."

Holly aprì gli occhi e la guardò intensamente.

"Patty, perché non butti giù la maschera? Ce l’hai scritto in faccia che c’è qualcosa che non va."

Patty abbassò lo sguardo a terra, poi si sedette e disse:

"No, non c’è niente. E’ solo… è solo che sono molto felice che tu stia bene. Tutto qua."

"Non posso crederci."

"Non riesci a credere che io sia felice per te?"

"No, non a questo. Non riesco a credere che sia tutto qui. Sento che c’è qualcosa che non va."

"Non dovresti stancarti con certe fantasie. Devi solo pensare a riposarti e a stare bene."

Holly la fissò negli occhi, e vide che erano lucidi.

"Patty, perché non vuoi dirmi cosa hai?" chiese Holly.

"Holly, io non è che non voglio angustiarti con i miei problemi" disse Patty, cominciando a piangere.

"Patty, ti senti forse colpevole per il mio incidente?"

La ragazza trasalì.

"Allora è così. Tu ti senti responsabile. Ti dico solo una cosa: non devi, perché non è così."

"Invece lo è. E’ stata tutta colpa mia."

"No, ti sbagli" disse Holly.

" E’ così invece. E’ proprio così!" disse Patty prima di scappare a gran velocità fuori della stanza.

Holly non poté fare altro che guardarla allontanarsi, prima di chiudere gli occhi e addormentarsi, stremato.

Patty tornò nella stanza di Holly quando erano scoccate ormai le undici. Si sedette nuovamente al fianco dell’amico, poi scoppiò di nuovo a piangere a dirotto.

Patricia Gatsby 15 Ottobre 11:04 PM

C’è mancato davvero pochissimo. Ho rischiato di dirgli tutta la verità. Mi guardava con quei suoi occhi, così pieni di curiosità e compassione! Voleva aiutarmi a liberarmi da questo peso, ed io stavo quasi per farlo. L’ho fatto anche stancare, questa sera. Non avrei dovuto cercare d’intavolare un discorso. E’ ancora troppo debole per parlare così a lungo. Ho sbagliato, come al mio solito. Io sbaglio sempre tutto! Sono una vera e propria catastrofe. Forse… forse dovrei vagliare seriamente la possibilità di lasciarmi tutto e tutti alle spalle e sparire dalla vita di Holly. Io … io sono soltanto la causa dei suoi guai. Holly, ti chiedo perdono. Io non merito la tua amicizia.

Tom arrivò il pomeriggio seguente, dopo un lungo ed estenuante viaggio, durante il quale non aveva chiuso occhio.

Patty era andata a prendersi qualcosa di fresco da bere, quando davanti a lei apparve un ragazzo alto e muscoloso. La forma fisica era cambiata, ma quei capelli di quella tonalità chiarissima di castano, gli occhi limpidi e splendenti ed il volto angelico, erano inconfondibili: quel ragazzo non poteva essere altri che l’amico del cuore di Holly, Tom Backer.

"Tom!" esclamò Patty, correndo verso di lui.

"Patty!" disse lui, abbracciando la cara amica.

"Come sono felice di rivederti!"

"Anch’io lo sono."

"Vogliamo andare subito da tu sai chi?"

"E me lo chiedi?"

"E’ nervoso da stamattina. Aveva paura che non arrivassi mai. Come mai sei arrivato così tardi?"

"Tardi? Guarda che dovevo giocare quella partita nel pomeriggio, e tra fuso orario e viaggio, direi che c’ho messo davvero poco!"

"Va bene, va bene! Non ti scaldare. Questa è la sua stanza."

"Tom!" esclamò Holly, con voce più forte del giorno prima.

"Ehilà, come va campione. Ti senti meglio?"

Holly annuì.

"Non può parlare molto - spiegò Patty - Ah, Holly, ti saluto. Tra poco verrà tua madre. Ci vediamo domattina, d’accordo?"

"Guarda che io da qui non mi posso spostare."

Scoppiarono tutti e tre a ridere fino alle lacrime, poi Patty salutò i ragazzi e se n’andò.

Pochi secondi dopo Tom, con tono scherzoso disse:

"Bene bene. Adesso capisco tutto."

Holly lo guardò con aria interrogativa.

"Sai cosa capisco? Come mai tu ti sia gettato sotto quel camion. In fondo, se non riesci a trovare la forza per dirmi un sì, ma ne trovi per fare una battuta per Patty, il quadro si fa chiaro. Tu, mio caro Holly, sei innamorato cotto della nostra carissima Patty."

Holly arrossì come un peperone e cominciò a boccheggiare.

"Ehi, non farti prendere una crisi d’asma, Holly! Capita a tutti di innamorarsi, almeno una volta nella vita. E dopotutto, era più che naturale che le tue attenzioni andassero ad un angelo del focolare come Patty. Mi sembra che abbia abbandonato quelle maniere forti che la contraddistinguevano negli anni scorsi, e poi, è cresciuta molto. E’ diventata davvero una gran bellezza. Mozzafiato, direi. 'Belle femme', come direbbe Pierre le Blanc oppure 'bella muchacha', se lo chiedessi al mio amico Ignaçio De Cerva."

Holly sorrise.

"Io mi domando come tu ancora non ci abbia provato con lei" chiese Tom a bruciapelo.

Holly sembrò di nuovo sul punto di morire asfissiato.

"Ehi, non reagire così."

"Patty è soltanto un’amica per me, e non potrei mai, e ripeto mai, provare ad approfondire il nostro rapporto" disse Holly.

Purtroppo Holly non sapeva che madornale errore aveva fatto. Patty aveva dimenticato la lattina d’aranciata nella stanza di Holly ed era tornata indietro, poi, da dietro la porta della stanza, aveva sentito i complimenti di Tom e aveva compreso che parlavano di lei. Purtroppo anche le parole di Holly l’avevano raggiunta, e rimase ferita da quelle parole così dure.

Patricia Gatsby 16 Ottobre 5:29 PM

Mai. Lui ha detto che non si potrà mai innamorare di me! Ha detto che non mi potrà mai amare! E io che lo amo tanto! Si vede che gli do tantissimo fastidio, se non mi vuole tra i piedi. Non tornerò mai più, Holly, non preoccuparti. Io non ti starò più tra i piedi. Patricia Gatsby non ti darà più fastidio. Dimentica il suo nome. No, non potrai mai dimenticare il nome della persona che ti ha distrutto la vita. Mi odierai per sempre, ed io non te ne farò una colpa, perché la ragione sarebbe dalla tua parte.

Patty, disperata, scappò via, senza ascoltare la fine del discorso.

Infatti Holly, dopo una piccola pausa, disse:

"Ho paura che lei possa non ricambiare i miei sentimenti, e mi darebbe grandissimo dolore se la nostra amicizia venisse compromessa dai miei sentimenti nei suoi confronti. Io… io bisogno di lei. Ormai sono Patty-dipendente e senza di lei, sento che sarei come un guscio vuoto. Lei mi conosce benissimo, mi è stata sempre accanto, in ognuno dei momenti importanti che ho vissuto. Se non ci fosse più lei, anche una grande parte della mia anima e della mia vita se ne andrebbero insieme a lei."

"Tu, in parole povere, mi stai dicendo che la ami, ma per non perderla ti terrai tutto dentro. Ho capito bene?"

"Sì."

"In effetti così non la perderesti, ma non credi che un giorno o l’altro dovrai confessarle ciò che provi?"

"Spero di non doverlo mai fare. Il suo rifiuto sarebbe insopportabile per me. Credo che potrei addirittura morirne dal dolore."

"Holly, perché parli come uno di quei pessimistici libri da donne? Non ti è mai passato per l’anticamera del cervello che forse anche lei possa provare per te gli stessi sentimenti?"

Holly scosse la testa.

"Sappi che io non lo so, ma se fossi in te mi butterei."

"Lo escludo categoricamente. Scusami Tom, ma vorrei riposare un po’. Sono davvero molto stanco."

"Non c’è problema. Io ancora devo abituarmi al fuso orario, per cui anch’io sono stanchissimo. Ci vediamo domattina."

"Ciao Tom" disse Holly prima di chiudere gli occhi.

Tom Backer, 16 Ottobre 6:21 PM

E’ stata una grandissima emozione, per me, rivedere Holly finalmente in stato cosciente.

Appena l’ho saputo, ho fatto l’impossibile per arrivare il prima possibile, e ci sono riuscito anche senza perdere il mio esordio in serie A. Più tardi telefonerò a Marco per farmi dire che voti ho preso. Speriamo che non mi abbiano lasciato senza voto. In fondo ho giocato sì per soli venti minuti, ma ho anche fatto un goal, quindi credo di meritarmi un voto numerico.

E’ stata dura correre all’aeroporto subito dopo la partita ed avrò cambiato tre o quattro aerei di quelli a breve distanza e costosissimi, prima di arrivare finalmente qui, ma sono felice che i miei sforzi non siano stati vani.

E’ stato lo spettacolo più bello che io abbia mai visto. Certo, Holly non poteva sforzarsi troppo per parlare, ma sapere che è quasi fuori pericolo mi rende la persona più felice del mondo. Il mio migliore amico è vivo, ed è soltanto questo che conta.

Quando Mark mi ha chiamato, mi è preso un colpo. Non riuscivo a credere alle mie orecchie, sei mesi fa, quando mi telefonò. A dir la verità, non è che sia stato molto facile recepire ciò che diceva. Non sono molto sveglio alle sette del mattino, visto che di solito mi alzo alle dieci.

Sono passati sei mesi, sei lunghissimi mesi da quella mattina, e finalmente sta bene. Sono proprio felice per lui, e anche per Patty. In fondo, se Holly migliora, anche Patty sta meglio.

Patty, nonostante si fosse ripromessa di non andare mai più da Holly, continuò a fargli visita ogni volta che n’aveva il tempo.

***

Nota dell'Autrice:

Bene, e così finisce questo primo capitolo. Lunghetto, non è vero? Forse avrò esagerato, soprattutto se contiamo che la prima giornata trascorre nel corso di “sole” 17 pagine Word (circa), di cui una dozzina solo per le prime tre ore (non mi vorrete per caso linciare, vero?).

Vorrei fare un paio di chiarimenti su questa storia:

- questo dovrebbe essere il seguito della storia dalla fine del terzo campionato vinto dalla New Team, ed è ambientato un paio d’anni dopo.

- ho cambiato la trama del manga e dell’anime, lo so, ma per rendere la trama più verosimile, era d’obbligo farlo.

- non ricordo perfettamente quanto abbiamo i ragazzi nella serie che la Mediaset manderà in onda prossimamente (o perlomeno così hanno affermato nel sito ufficiale di Italia1) (quella in cui compare Rob Denton Aoi, per intenderci), per cui ho fatto conto che Holly ha l’incidente all’età di circa 16 anni e mezzo, così come la maggior parte degli altri.

- ho cambiato la località del Mondiale Under18 per motivi che verranno chiariti in seguito, ma vi dico che per farlo mi erano strettamente necessari immensi boschi, e l’Italia ormai non è più molto ricca di luoghi del genere.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Non Odiarmi ***


Capitolo 2:
Non odiarmi

  "Allora dottore, oggi posso alzarmi dal letto?" chiese Oliver al medico che era venuto a visitarlo.
  Quest’ultimo aveva appena finito di valutare lo stato di salute del giovane campione di calcio.
  Reputava soddisfacente la ripresa così rapida di quel ragazzo, ma il fatto che volesse alzarsi non lo convinceva moltissimo.
  Era ancora insicuro sulle condizioni della gamba del ragazzo e voleva attendere che stesse meglio prima di sottoporlo ai vari esami diagnostici e il fatto che i polmoni di Holly fossero ancora così deboli era per lui un ulteriore segnale che il ragazzo dovesse riposare ancora per qualche giorno.
  Oramai erano passate più di due settimane dal giorno in cui si era svegliato dal coma ed era naturale che Holly fosse smanioso di poter tornare in piedi, uscire da quell’ospedale e giocare a calcio, questo lo capiva anche lui, ma nel Giuramento d’Ippocrate aveva giurato di salvaguardare la salute dei suoi pazienti, e, proprio per questo motivo, non poteva cedere alle insistenti pressioni del giovane campione di calcio.
  "Oliver! Ma quante volte dovrò dirtelo! Sei ancora in osservazione, qui in terapia intensiva. Come puoi pretendere di chiederci se puoi alzarti in piedi? E’ a dir poco una follia" disse esasperato il medico, guardando il ragazzo che stava disteso sul candido letto.
  "Ma io mi sento molto meglio!" protestò vivacemente il ragazzo, anche se gli causava molto affaticamento protestare in quel modo. In fondo era ancora molto debole.
  "Oliver, il medico che ti cura sono io, e ti dico che puoi dimenticare il fatto di camminare per almeno un’altra settimana, se non per più. Sono stato abbastanza chiaro? Ma guardati! Non riesci neanche a parlare senza provare affaticamento. Devi avere pazienza, Oliver, se vuoi riprenderti al meglio. Vedrai, se smetti di farne un’ossessione starai meglio ed il tempo passerà molto più velocemente. Tu vuoi riprenderti al meglio, non è vero? Allora devi metterti il cuore in pace e avere un po’ di pazienza" disse il dottore, con la massima serietà e la massima severità di cui era capace.
  "Chiarissimo" disse con tono piatto il ragazzo, demoralizzato da quelle parole secche e lapidarie.
  Era terribilmente triste di non poter sentire sotto i suoi piedi il prato verde, l’odore inebriante dell’erba appena tagliata e del gesso fresco, i cori dei tifosi, l’aria tra i capelli mentre era in corsa verso la porta, ma soprattutto, si sentiva menomato senza il suo fedele pallone al piede.
  "Dai, Oliver, non fare così solo per questo motivo! Lo sai perfettamente che farebbe piacere anche a me se tu fossi abbastanza in forze per poter camminare, ma ancora non è così, quindi devi arrenderti ai fatti" disse il medico, cercando di tirarlo un po’ su di morale, ma il ragazzo ormai non era più di buon umore, e l’ennesima negazione del permesso di alzarsi in piedi lo fece innervosire e cadere in uno stato di gran tensione nervosa.
 
Oliver Hutton, 31 Ottobre  ore 9:03 AM
  Uffa! Non ne posso più di stare in questo letto senza poter muovere un muscolo. Sto molto meglio! E le fratture si sono già saldate da un pezzo! Perché non vuole che mi alzi? Solo perché ho un po’ di fiatone quando parlo? Certo, ha ragione dicendo che sono ancora debolissimo, ma non è giusto farmi stare come una mummia in questo letto. Sembra strano, ma prima dell’incidente non avrei mai pensato che andare in bagno con le mie gambe fosse una cosa di così grande bellezza. Se solo lo potessi fare adesso! Sono stanco di stare in questo letto! Io voglio alzarmi e giocare a calcio! Perché nessuno capisce che io non resisto più! Nessuno, nessuno, nessuno lo capisce! Solo chi gioca a calcio ed ha passato gravi problemi di salute, potrebbe capirmi!
 
 In quel momento, il medico ed Holly sentirono bussare alla porta. All’unisono dissero che si poteva entrare.
  Sull’uscio apparve Patty, con il naso e le guance arrossate dal freddo vento che spazzava la città in quel periodo. Era anomalo per quel periodo dell’anno, pensò Holly.
  "Buongiorno, dottore. Buongiorno Holly" disse Patty, sfilandosi la sciarpa di lana rossa che le avvolgeva il collo, il berretto multicolore che indossava e la giacca a vento di colore verde acido. Holly notò che sotto la giacca indossava la divisa scolastica e che aveva portato la sua cartella con sé, segno che o aveva deciso di saltare la scuola, oppure a scuola era successo qualcosa che aveva interrotto le lezioni.
  Il medico salutò i due ragazzi con un rapido cenno di mano e li lasciò soli nella stanza.
  Appena fu uscito, Patty andò a sedersi sulla solita sedia, che ormai occupava dal giorno in cui era potuta andare da lui.
  "Patty, dimmi, cos’è accaduto?" disse Holly, innervosito.
  "Cosa?"
  "Hai la cartella con te, e poi indossi la divisa scolastica" rispose, con freddezza, Holly.
  "Sì. Sono una sciocca, non è vero? Mi ero dimenticata che oggi c’è ponte per le vacanze" disse Patty, cercando di non pensare allo stano tono di voce di Holly, di solito allegro e solare.
  "Ah, già. Oggi è l’ultimo giorno d’Ottobre. Domani è il primo di Novembre e non c’è scuola fino al tre" disse Holly, sempre più cupo e contrito nel pensare al tempo che passava.
  "A dir la verità, hanno deciso di fare la disinfestazione dalle zecche. Prima di lunedì prossimo non se ne parla di andare a scuola" disse Patty, molto imbarazzata e stupita dalle parole di Holly. La freddezza con cui le parlava la trafiggeva il cuore come una gelida spada affilata.
  "Dovrò aspettarmi molte visite?" disse Holly, non pensando minimamente alle parole appena pronunciate. Il gran nervosismo che lo scuoteva intimamente si sentiva chiaramente nella sua voce, e la faceva vibrare di forte nervosismo e stato d’esasperazione. Non lo fece volontariamente, ma il risultato fu comunque devastante.
  Patty rimase colpita da quelle parole, dette così a bruciapelo. Holly voleva forse dirle che non la voleva sempre attorno? In fondo, erano anni che gli ronzava attorno, in qualsiasi momento, sia che fosse buono che fosse brutto, e forse lui si era stancato di questo fatto e voleva fargli capire che non era più persona gradita. In fondo, il suo tono nervoso e freddo era una prova molto più che evidente che non era ben accetta in quella stanza. L’atmosfera era diventata insostenibile, e lo capiva, così prese fiato e:
  "La… mia presenza… t’infastidisce? Se vuoi… me ne vado subito" disse Patty, con voce tremante e occhi sgranati, arretrando in fretta fino alla porta, per poi appoggiarsi ad essa.
  "Ma no Patty! Che cosa hai capito? Io non volevo…" cercò di dire Holly, ma prima che potesse finire di parlare, la ragazza aveva spalancato la porta e s’era precipitata nel corridoio.
 
  Patty, ferita nell’animo, corse lungo i corridoi, piangendo e tremando come una foglia.
  Patricia Gatsby, 31 Ottobre  ore 9:14 AM
  Io… sono solo un fastidio per lui. Non vuole che stia insieme a lui. Ed io che pensavo che gli facesse piacere! Che sciocca! Che sciocca sono stata! Io non sono niente per lui. Lui… lui vuole che io me ne stia lontana da lui, ed io lo farò, se è ciò che lui desidera. Per lui farei di tutto, potrei morire se lui me lo chiedesse, allora perché non vivere senza di lui? Io desidero solo che sia felice. Niente di più! Niente di più! Nulla più!
 
Amare lacrime rigavano il volto di Patty, mentre correva lungo il corridoio, ma la sua fuga non durò a lungo. Patty scivolò sul pavimento lucidato con la cera e cadde a terra, battendo con forza il volto. Il naso cominciò a sanguinarle copiosamente, ma lei non voleva farci caso. Patty si mise a sedere, poi si appoggiò contro il muro e continuò a piangere copiosamente, mentre sangue e lacrime si mescolavano e le sporcavano i vestiti.
  Stava ancora piangendo quando una voce disse:
  "Patty, finalmente ti ho trovata!"
  Patty riconobbe immediatamente la voce, e si voltò in direzione della voce. Appoggiato al muro, con la faccia pallida ed appoggiato ad un sostegno con relativa flebo, stava Holly.
  Patty rimase per un attimo senza fiato, poi, vedendolo vacillare pericolosamente, andò da lui, ricominciando a piangere.
  "Che ti sei fatta al naso? Come mai sanguina?"
  "Niente di grave, sono scivolata ed ho battuto il naso. Ehi, ma tu stai cercando di svincolare! Ora mi toccherà farti una ramanzina! Sei uno sciocco, caro mio! Ma cosa t’è passato per la mente! Dai, appoggiati a me, stupidottero che non sei altro. Ma come t’è saltato per la mente d’inseguirmi per i corridoi? Tu dovresti essere a letto a riposarti, senza preoccupazioni, non qui" disse Patty, sorreggendolo e conducendolo verso la sua stanza.
  "Hai finito d’insultare? Ora te lo spiego. Il fatto è che… è che io non voglio che tu te ne vada via. C’è stato un malinteso e non volevo… perderti… per una sciocchezza… del… genere, per un malinteso… insomma" disse Holly, prima di perdere conoscenza.
  Patty, sentendolo abbandonarsi e capendo che non poteva riuscire a sostenerlo ancora per molto, tentò di attutirgli la caduta. La flebo, cadendo a terra, si frantumò e sparse il suo contenuto sul pavimento, mentre Patty, con tutte le sue forze, lo portò verso una sedia a rotelle e ve lo fece sedere, per poi trasportarlo fino alla sua stanza, dopo di che, utilizzando le ultime forze rimaste, lo mise a letto. Stanca, si accasciò sulla sedia.
 
 Patricia Gatsby, 31 Ottobre  ore 9:30 AM
  Nonostante lui non avesse il permesso del medico per alzarsi dal letto, e soprattutto non ci riuscisse, è venuto ugualmente a cercarmi, perciò è palese che ci tiene alla mia amicizia. Ma allora perché prima mi ha trattata in quel modo? Perché ha pronunciato quelle parole, e a quel modo? Che si fosse innervosito a causa di un’altra negazione del permesso di alzarsi? E’ probabile, in fondo lui è un tipo molto impaziente e questo l’ha messo talmente di cattivo umore da farlo parlare a quel modo. In fondo, devo cercare di capirlo. Lui, solo in questo letto per la maggior parte della giornata, immobilizzato, e con grandi dubbi se potrà più tornare quello dei vecchi tempi.
 
 "Su quel letto dovevo starci io, non tu, Holly. Dovevo essere io a fare questa fine. Quando saprai la verità, mi odierai con tutta l’anima, e non ti biasimerò per questo fatto. Io… ero io quella che doveva rischiare di non poter più camminare, non tu! Non tu! Non eri tu quello che doveva vedere tutti i suoi sogni frantumarsi in un colpo solo" sussurrò con voce rotta Patty, anche se era troppo triste e malinconica per piangere.
  "Allora, è questa la verità?"
  Patty alzò il capo, incontrando lo sguardo di Holly, triste e sconsolato, ma soprattutto, rabbioso.
  "Dimmelo Patty. E’ questa la verità? Io… non potrò mai più camminare?"
  "Holly, mi dispiace."
  "Da quanto lo sapevi?"
  "Due settimane."
  "Da quella mattina?"
  "Sì. Il medico l’ha detto a me e a Benji."
  "Perché non me l’hai detto, Patty? Io mi fidavo di te. Perché non me l’avete rivelato prima? Perché mi hai fatto illudere per tutto questo tempo?! Perché? Perché? PERCHE’?!" gridò Holly, furioso.
  Patty era inorridita davanti a quella scena e tremava come un foglia.
  "RISPONDIMI PATTY!" ruggì Holly, fuori di sé.
  "Era per il tuo bene!" gridò.
  "No Patty, era per il tuo. Era per tenerti buona la coscienza."
  "No, non è vero!"
  "Sì che lo è, Patty."
  "No."
  "Sì, Patty. Era solo per evitare quello che sta accadendo adesso! Per evitare che io ti dicessi che rimarrò menomato per tutta la vita! Che io ti accusassi di aver fatto finire la mia carriera da calciatore!"
  "Questo è un colpo basso, Oliver. Non ti ha costretto nessuno, quel giorno, a gettarti sotto quel camion."
  Holly rimase in silenzio.
  "Puoi pensare ciò che vuoi, ma avrei preferito finire io sotto quel camion, piuttosto che tu. Ed ora, scusami, ma me ne vado" e così dicendo, uscì dalla stanza, sbattendo la porta.
  Holly, a quel punto, rimasto da solo, scoppiò in un pianto disperato. Ma non piangeva per la sua gamba, o perlomeno, non soltanto per quella, ma piangeva per la fine della sua splendida amicizia con Patty.
 
Oliver Hutton, 31 Ottobre  ore 9:59 AM
  Ma perché sono stato così idiota! Perché me la sono presa con lei! Lei mi è stata sempre accanto, e nessuno sa meglio di lei quanto io abbia sofferto in questo periodo. Perché sono stato così sciocco ad aggredirla in quel modo così disdicevole. Aveva ragione lei, nessuno mi ha costretto a gettarmi sotto quel camion. Rifacciargli il fatto che io sono qui per averle salvato la vita è stata davvero la peggiore cosa che io potessi fare. Ma perché sono stato così stupido? Ora l’ho persa, ho perso per sempre la persona più cara che io avessi al mondo. Io… io … ho perso la persona che amo.
  
Mentre Patty sbatteva in faccia ad Holly la porta, già si era pentita di aver reagito con troppa veemenza nei suoi confronti.
  In fondo, era naturale che non la prendesse nel migliore dei modi, e se l’era anche immaginato che Holly potesse accusarla d’essere la responsabile della sua situazione, solo che non aveva mai voluto credere a quella sua fantasia.
 
Patricia Gatsby, 31 Ottobre  ore 9:59 AM
  Perché, perché non gli ho detto tutto sin dal primo momento? Perché dovevo perdere il mio grande amore solo per una stupida verità nascosta! Dovevo rivelargliela prima la verità! Lui mi avrebbe disprezzato, ma non sarebbe mai arrivato ad odiarmi, come invece mi ha dimostrato oggi. Io ho distrutto la cosa più cara che avessi al mondo, la mia amicizia con Holly. Perché, perché doveva finire in questo modo! Io lo amo, ma non gli ho mai detto chiaramente quello che provavo, ed ora me lo dovrò tenere dentro per tutta la vita, la mia nuova vita senza Holly, la vita più vuota che io possa immaginare. Holly, spero di sbagliarmi, ma questo è proprio un addio.
 
 Patty scappava rapidamente per le strade, senza guardare dove andava, troppo scossa per avere una meta precisa.
  La ragazza si fermò solo quando, giunta la notte ormai da parecchie ore, si accorse d’essere ancora sporca di sangue e soprattutto, infreddolita, visto che per la foga e per evitare che Holly la vedesse piangere dopo la loro accesa discussione, aveva lasciato il cappotto, la sciarpa e il cappello in camera del ragazzo.
  Patty, triste e sconsolata, finalmente si diresse verso casa sua.

***
 
Holly, neanche quella notte, era riuscito a chiudere occhio. Non riusciva a dormire bene dal giorno in cui aveva aggredito furiosamente Patty e lei se n’era andata.
  Non l’aveva più vista da allora, ed ormai era tornato a casa da un mesetto. Aveva finto di essere sorpreso quando gli avevano detto ufficialmente la diagnosi, ormai data quasi per sicura, che non avrebbe mai più potuto camminare normalmente, e, per ironia della sorte, due giorni dopo il litigio. Vedendolo in quello stato depressivo, i suoi avevano chiesto aiuto ad uno psichiatra, che aveva consigliato loro di esaudire qualsiasi cosa che potesse renderlo un po’ più allegro.
  Holly aveva chiesto ai suoi di poter vivere un po’ da solo e loro gli avevano improvvisato un piccolo appartamento sul tetto del garage [NdA: avete presente Fonzie in “Happy Days”?].
 
 Oliver Hutton 12 Febbraio  ore 4:58 AM
  Sono passati parecchi mesi dal nostro litigio, e da allora non ho più rivisto Patty. Chissà cosa starà facendo… Mi manca da impazzire! Non è  venuta a riprendermi all’ospedale quando sono stato dimesso, e pensare che persino Tom e Benjy sono venuti! Patty! Patty! Ma perché non torni! Io… io senza di te non mi sento più vivo! Mi sento vuoto, solo, disperato! Ora sono qui, in quest’appartamento ricavato sopra al garage di papà, per cercare d’essere indipendente, ma la mia è soltanto un’utopia. Ormai sono zoppo, e lo resterò certamente per tutto il resto della mia vita.La mia triste, inutile vita, in cui sono riuscito a rovinare l’unica cosa bella che poteva rimanermi.

***
 
 Patty si era appena chiusa nel bagno e osservava con sguardo vacuo il tubetto di plastica arancione che aveva in mano, appena svuotata del suo contenuto, oltre una trentina di pastiglie del sonnifero più potente che era riuscita a rubare dalla farmacia dell’ospedale, che stringeva con forza nel pugno. Era stato facile infinocchiarli, dicendogli del cappotto, della sciarpa e del cappello lasciati in camera di Holly un paio di giorni prima, e mentre loro erano distratti, lei si era intrufolata ed aveva preso il sonnifero più potente che era riuscita a trovare. Quello stesso giorno avrebbe voluto compiere il gesto folle, ma non era riuscita a trovare il coraggio necessario per farlo, soprattutto perché, all’ultimo momento, si era aggrappata all’idea che la diagnosi del medico non era certa. Aveva tenuto con sé il tubetto di sonniferi soltanto perché non poteva certo riconsegnarlo all’ospedale, ma non voleva neanche gettarlo nella spazzatura, così l’aveva conservato, ben nascosto in una nicchia del muro, che aveva trovato quando aveva cinque anni e dove conservava tutti suoi più cari averi.
  Quando, un paio di sere prima, sua madre gli aveva dato la notizia che Holly non sarebbe mai più potuto essere quello che era prima dell’incidente, Patty era caduta in un baratro di depressione, ed aveva riportato alla luce il tubetto di sonniferi, decidendo di farla finita il pomeriggio del quattordici febbraio, il giorno degli innamorati, quando i suoi sarebbero partiti e fosse stata sicura che avessero già telefonato, per non rischiare di essere scoperta e salvata. Gli infermieri non s’erano accorti di nulla, ed ora lei era lì, completamente ubriaca, ma straordinariamente lucida e cosciente delle sue azioni, mentre l’acqua, che scendeva dal rubinetto trasbordava dal bicchiere appoggiato sulla maiolica bianca.
  I suoi genitori, erano partiti, quella mattina, per una seconda luna di miele, insieme ai signori Hutton, e non sarebbero ritornati a casa prima d’altre due settimane abbondanti.
 
Patricia Gatsby 14 Febbraio  ore 5:38 PM
  Eccomi qua. Mamma e papà sono arrivati e telefoneranno dopodomani, ma nessuno gli risponderà. Tra pochi minuti, la mia vita avrà termine. Patricia Gatsby finirà di ammorbare questo mondo con la sua inutile presenza e tutti i guai che porta con sé.Ha distrutto la vita della persona che meno se lo meritava a questo mondo, ed ora pagherà con la vita la sua stupidità ed imprudenza. La sua paura di saldare il conto con Oliver Hutton non riuscirà a fermare il suo senso di colpa. L’unica cosa che può farlo, è la fredda morte. Addio mamma, addio papà, addio Holly, addio amici,addio mondo. Forse ne soffrirete per un po’ di tempo per la mia morte, ma d’ora in avanti, i vostri guai diminuiranno e sarete molto più felici. Soprattutto tu, Oliver Hutton, sarai molto più felice.
 
 Aveva scritto anche una lettera, per quando qualcuno avesse ritrovato il suo corpo senza vita, e l’aveva lasciata sul tavolo della cucina, in modo che fosse ben visibile da chiunque entrasse.

 
  Per chiunque sia il primo/a ad entrare in casa e leggere questa mia lettera d’addio:
  Io non so chi sarà a ritrovare il mio corpo senza vita, ma questa lettera è destinata a tutte le persone che hanno conosciuto questa piaga mortale che di nome fa Patricia Gatsby. Sappiate che ho deciso io di morire, e l’ho fatto per pagare il mio debito nei confronti d’Oliver Hutton.
  Caro Holly, ho distrutto la tua vita a causa della mia stupidità ed imprudenza, e non ti biasimo se tu, nei miei confronti, provi solo odio e rancore, ma sappi che mi dispiace e preferisco morire, piuttosto che vederti soffrire e sapere che tutto ciò sarebbe dovuto toccare a me. Non sono mai riuscita a dirtelo, ma per me, tu sei la persona più importante. Io ti voglio bene, Oliver Hutton, e spero che un giorno riuscirai a perdonare quella sciocca ragazza che ha infranto tutti i tuoi sogni di gloria.
  Cari mamma e papà, cercate di capirmi. Mi pesa troppo tutto questo e non voglio più vivere. Vi chiedo perdono per il mio gesto disperato, ma proprio none ce la faccio
  Cari amici, a voi dico soltanto addio.
  Addio, addio a tutti
  Patricia Gatsby
 
 
  Patty, assumendo un’aria decisa, strinse ancora più forte le pastiglie, se le cacciò in bocca e, rapidamente, le mandò giù con l’acqua contenuta nel bicchiere, poi chiuse il rubinetto e, con il tubetto dei sonniferi ancora in mano, si recò in salotto e, forzando lo sportello della credenza dei liquori di suo padre, prese una bottiglia di whisky molto forte e beve una lunga sorsata, tentando di togliersi dalla bocca quel saporaccio.
  Aveva appena ingollato una successiva, lunga sorsata di liquore, quando la sua vista cominciò ad annebbiarsi e i sensi ad attenuarsi repentinamente.
  Lo stato confusionale in cui si stava addentrando la sua mente, le fece rilassare i muscoli del braccio e versarsi addosso gran parte del contenuto della bottiglia. Patty sorrise mestamente al pensiero della fine della sua vita, così vicina, poi la testa cominciò a sentire la testa leggera, fino a perdere il controllo delle sue azioni e dei suoi pensieri.
  Patty udì a malapena il suono del campanello dell’ingresso, ma si mosse ugualmente verso la porta per aprire.
 
Oliver Hutton 14 Febbraio  ore 5:43 PM
  Ormai non posso più tirarmi indietro. Ho suonato, ed ora devo affrontare questa spinosa questione con Patty. Non posso resistere di più. Devo chiarire le mie parole, o potrei pentirmene per il resto della mia vita. Oh, eccola che viene ad aprire la porta.
 
 Quando aprì la porta, Holly si rese immediatamente conto che Patty non doveva stare affatto bene.
  Patty aveva lo sguardo fisso nel vuoto, un sorriso triste dipinto in volto ed emanava un inequivocabile odore d’alcool, ma la cosa che colpì immediatamente la sua attenzione era il tubetto di sonniferi che le cadde di mano e ruzzolò verso di lui, quando la ragazza aprì la porta.
  Holly, nonostante fosse molto doloroso per lui chinarsi, raccolse il tubetto e lesse l’etichetta.
Il ragazzo guardò terrorizzato la ragazza che aveva di fronte, poi disse, con voce tremante:
  "Tu… non avrai fatto… ciò che penso… vero?"
  La ragazza parve notarlo solo allora e disse:
  "Salve Holly. Sei venuto a prendermi l’anima, allora? Avevi paura che non pagassi il debito? Non preoccuparti, il debito verrà pagato tra pochi minuti. Puoi sederti ed attendere."
  Poi la ragazza sorrise nuovamente, cominciò a vacillare e le palpebre diedero segno di cedimento.
  Holly l’afferrò per un braccio e, con forza, la trascinò nel bagno.
  "Ho sonno" sussurrò lei.
  "No, non devi dormire Patty, hai capito?" disse Holly.
  "Ma io non resisto. Ho tanto, tanto sonno. Solo pochi secondi di sonno, poi mi sveglio."
  Patty stava chiudendo gli occhi, ma Holly glielo impedì, schiaffeggiandola con delicatezza.
  "Lasciami dormire" disse Patty, ma ormai erano nel bagno.
  Holly la fece inginocchiare sulla vasca, bloccandola con un gomito, poi le infilò un dito in gola, cercando di farla vomitare, mentre con l’altra mano, prese la prolunga del rubinetto e aprì l’acqua fredda, cercando di mantenerla sveglia.
  Quando a Holly sembrò che avesse ormai svuotato lo stomaco, la lasciò andare.
  Patty, ancora inginocchiata sulla vasca, sussurrò un “Grazie Holly”, poi, priva di forze, si addormentò di botto.
  Holly, quasi sollevato, le avvolse i capelli bagnatissimi con un asciugamano, poi la prese in braccio e la mise sul letto.
  Aveva i vestiti lordi di vomito e alcool di vario genere, ed ormai tendevano ad emanare un odore tutt’altro che gradevole. C’era solo una cosa che poteva fare, e per mantenere il segreto su quella faccenda, doveva farla da solo: doveva cambiarle i vestiti.
  Arrossendo dall’imbarazzo dalla punta dei piedi fino alla radice dei capelli, Holly prese una felpa di pile, azzurro cielo, ed un paio di pantaloni rossi, larghi e comodi, in velluto.
  Con delicatezza e cercando di guardarla il meno possibile, Holly le sfilò la maglietta, scoprendo con immenso sollievo, che sotto aveva almeno il reggiseno. Infilò la maglia senza sbirciare più del dovuto, poi passò al pezzo di sotto. Per prima cosa le sfilò le scarpe, sporche anche loro, poi le tolse i jeans che indossava in quel momento. La lunga felpa gli impediva di guardare troppo, ma riuscì a notare ugualmente le mutandine della ragazza. Quando quel momento di grande imbarazzo finì, Holly la mise a letto, riboccandole amorevolmente le coperte, si sedette sul bordo del letto e rimase a guardarla, con un sorriso triste mentre un’unica lacrima di sollievo gli solcava il volto.
 
Oliver Hutton 14 Febbraio  ore 6:17 PM
  Che spavento! Per un attimo ho temuto di perderla. Di nuovo. Per fortuna che ho visto quel documentario di Pronto Soccorso, ieri sera, piuttosto che quel film con Karl Kramer. Ora per fortuna riposa tranquilla. Ma prima, quando mi ha aperto la porta, mi sono sentito mancare. Era a dir poco distrutta. E cosa volevano dire quelle parole sconnesse che mi ha detto? Io non so cosa significassero quelle parole, ma una cosa è certa: io non me n’andrò ora che Patty ha bisogno di me, neanche se mi dovesse cacciare a calci. Lei non è in grado di stare da sola, come me in quei lunghi mesi.
 
Holly, dopo un paio d’ore d’attesa, sentì un leggero languore allo stomaco, e si diresse con passo malfermo verso la cucina a prendere qualcosa da mettere sotto i denti.
  Passando davanti al tavolo, la sua attenzione, per caso, venne attratta dalla lettera di Patty.
  Holly, incuriosito, prese in mano la lettera, intuendo immediatamente di che tipo di lettera si dovesse trattare, si mise a sedere su una sedia e la lesse da capo a coda più e più volte, soffermandosi soprattutto sul punto in cui Patty si rivolgeva a lui, in cui si vedeva che l’inchiostro era sbavato, di sicuro a causa del pianto che doveva aver accompagnato i suoi pensieri mentre scriveva.
  Più leggeva quel punto, più comprendeva quale profondo malessere pesasse sul cuore di Patty.
 
Oliver Hutton 14 Febbraio  ore 8:37 PM
  Oh Patty! Ora capisco il significato di quelle parole e comprendo che il mio errore di quel maledetto giorno è più grande di quello che potessi immaginare. Perdonami, perdonami, Patty. Perdona questo sciocco ragazzo che non riesce a tenere a bada i suoi nervi. Che stupido sono stato! Solo ora riesco a capire a pieno quanto bene tu mi voglia. Se tu fossi morta, non me lo sarei mai potuto perdonare, ma per fortuna sono arrivato in tempo e ti giuro che rimedierò all’errore fatto.
 
 Holly, preoccupato e triste a causa della dolorosa scoperta, rimase al capezzale di Patty per tutta la notte e per tutto il giorno seguente, senza chiudere occhio neanche per un minuto, ma nella notte tra il secondo ed il terzo giorno, Holly si addormentò profondamente, troppo affaticato per resistere oltre.
 
Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 6:59 AM
  Com’è possibile?Mi sono svegliata! Ma, io sono ancora viva? Ma… cosa è successo? Come mai sono ancora su questa terra? Chi è che mi ha salvato?Come mai l’ha fatto? Non ha letto la mia lettera? Io voglio morire! Non voglio più vivere, se Holly rimarrà zoppo! Oh, ma lui è qui! Lui è qui! E se… se fosse stato lui a salvarmi? No, impossibile. Lui mi odia. Sicuramente staranno facendo dei turni per controllarmi, e lui è qui solo perché obbligato. Certamente c’è qualcun altro in casa con noi, e lui è qui per caso.
  
Calde lacrime le rigavano il viso, impossibili da frenare neanche se l’avesse desiderato.
  Patty si voltò dall’altra parte del letto, per non vedere il volto di Holly, e continuò a piangere silenziosamente e cercando di singhiozzare il meno possibile, per non svegliarlo.
  Pochi minuti dopo, Holly si destò a sua volta.
 
Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 7:08 AM
  Patty dorme ancora? Chissà se si è svegliata, mentre dormivo? Che cosa le dirò? Come farò a chiarirmi? E cosa le dorò a proposito dell’altro ieri? Oh, ma che m’importa! Io le parlerò con il cuore e basta! Ehi, ma non sta dormendo! Oppure sta singhiozzando nel sonno?
  
"Patty, sei sveglia?"
  Patty, presa in contropiede, sobbalzò.
  Holly si alzò e zoppicò verso l’altra sponda del letto.
  "Ti ho svegliata io? Se è così, mi dispiace Patty" disse, mentre si sedeva, rivolgendole uno sguardo preoccupato.
  Patty lo fissò, poi scosse la testa.
  "Ero già sveglia."
  "Come stai?" chiese, rivolgendogli uno sguardo da dolce cucciolo.
  "Bene" sussurrò Patty, anche se un po’ reticente a rispondere.
  "Mi fa piacere" disse Holly, sorridendo sollevato.
  "E tu?"
  "Io? Me la cavo abbastanza bene."
  "Fa piacere anche a me" disse Patty, con aria triste.
  "Ehi, Patty, cosa c’è?" chiese Holly, accarezzandole una guancia con la punta delle dita.
  A quel punto, Patty lo guardò negli occhi, poi scoppiò nuovamente in lacrime, e, singhiozzando, disse:
  "Dove sono gli altri?"
  "Cosa?"
  "E’ inutile che tu finga. Chi è che ti ha costretto a venire qui per stare al mio capezzale?"
  "Nessuno."
  "Non ci credo. Io… non ci credo più, dopo quel giorno."
  "Te lo giuro Patty. Nessuno sa che sono qui."
  "Allora chi è stato? Chi è stato a farlo?"
  "A salvarti, intendi dire?"
  "Sì."
  "Sono stato io."
  "Non credo neanche a questo. Tu non sei mai venuto a casa mia dal giorno dell’incidente."
  "Ma è la verità, Patty."
  "Come puoi illuderti che io ci creda? Sono mesi che non ci vediamo né ci rivolgiamo la parola."
  "Lo so, e mi dispiace molto di questo."
  "No, non ti dispiace affatto, Holly. Tu mi odi, e non te ne voglio a male per questo. Hai avuto ragione a non volermi mai più vedere. Anch’io mi odio, perché mai non dovresti tu?"
  "Io non ti odio, Patty" esclamò Holly.
  "Sì, invece. TU MI ODI! TU MI ODI PER VIA DELL’INCIDENTE! IO TI HO ROVINATO LA VITA!"
  A quel punto, Holly si chinò su di lei e la strinse a sé, spasmodicamente, per fargli capire quanto si sbagliasse.
  "Io non ti odio, Patty. Non posso odiarti."
  "Potresti diventare un ottimo attore. Sei davvero bravo a recitare."
  "Smettila di dire sciocchezze. Non sono mai stato più sincero che in questo momento."
  "Oliver Hutton, non esagerare! Non mi merito quello che mi stai facendo! Va bene farmela pagare, ma smettila con questa pagliacciata. Ho già tentato di saldare i conti, ma qualche idiota mi ha impedito di portare a compimento la mia missione. Non preoccuparti. Molto presto non sarò più di questo mondo e finalmente saremo pari" disse furiosa Patty, staccandosi con forza da Holly e scendendo dall’altra parte del letto.
  Holly, ormai fuori di sé, l’afferrò con violenza per il polso e le diede un poderoso ceffone.
  "Sciocca ragazza! Come puoi parlare con tanta leggerezza di ammazzarti? Non ti rendi conto che è il peggior errore che puoi fare, toglierti la vita? Tu non lo ricordi, ma io lo so benissimo in che stato eri, l’altro ieri! Ti ho visto io, con il volto stravolto e zuppa d’alcool! Ti ho visto, in stato confusionale, mentre scivolavi nell’oblio e parlavi senza capire cosa dicevi né se aveva un senso! Ho… ho avuto paura di perderti! Perché non capisci che io ti voglio bene sinceramente?" disse Holly, furibondo.
  "Allora perché mi hai attaccato in quel modo quel giorno?" ribattè lei, ferita nell’intimo.
  "Ero stressato, nervoso, stanco di stare a letto, e la tua notizia mi ha fatto sentire inutile! Come pretendevi che mi comportassi, Patty? Che saltellassi per tutta la stanza dalla gioia?" ribattè Holly, sempre più risentito.
  Patty rimase zitta per un attimo, in piedi di fronte al ragazzo, che nel frattempo aveva mollato la presa, guardando il pavimento, poi, con voce simile ad un flebile sussurro, disse:
  "Magari un po’ di comprensione."
  Poi alzò il volto, e disse:
  "Come pensi che mi sia sentita io, quando mi sono svegliata all’ospedale, quasi un anno fa, scoprendo che tu eri in coma a causa mia? Ho avuto paura anche io di perderti! Tu, bianco come un cencio, in quel letto, ed io che ti parlavo, sperando sempre che ti svegliassi da un momento all’altro. Per te forse sono stati pochi istanti, ma per me era un’eternità, Holly. Un’eternità in cui ero sola con un unico pensiero: è colpa mia se lui è lì."
  Patty aveva pronunciato le ultime parole piangendo.
  Holly afferrò la mano di Patty e la tirò a sedere sul letto. Poi si sedette e, abbracciandola, disse:
  "Patty, non è colpa tua. Non sei stata tu a chiedermi di gettarmi sotto quel camion, quel giorno."
  "Ma l’hai fatto per proteggermi dalla mia stessa imprudenza."
  "Se l’ho fatto, è perché tu per me sei molto importante."
  "No, è stato solo istinto" disse Patty, tentando si sfuggire allo sguardo magnetico di Holly.
  Holly scosse il capo.
  "Non è stato istinto. Io VOLEVO salvarti. La tua vita è molto più importante di uno stupido gioco."
  "Stupido gioco?! Holly, il calcio è sempre stata la tua vita!"
  "Lo era prima di allora. Ma io quel giorno ho preso la mia decisione: ho preferito avere accanto a me la mia più cara amica, piuttosto che il pallone da calcio. Il pallone che si fora può essere sostituito, ma una persona che ti vuole un bene dell’anima no. Quella è una cosa insostituibile. Patty, tu mi sei stata sempre accanto: mi hai aiutato durante gli allenamenti, mi hai incitato ed incoraggiato, mi hai persino curato quando ne ho avuto bisogno. Non dimenticherò mai quei giorni del terzo campionato disputato con la New Team. Tu sei persino riuscita a convincere il dottore ed il mister a mandarmi in campo nonostante le mie precarie condizioni di salute. Tu avresti preferito che mi fermassi e venissi sostituito, ma mi hai aiutato ugualmente."
  Patty era sorpresa da quelle parole, poi sorrise e si strinse ancora di più a Holly.
  "Holly, come ho potuto dubitare delle tue parole, poco fa? Sono davvero una sciocca. Hai ragione."
  "No, eri solo diventata nervosa a causa di un evento inaspettato."
  "Quale?"
  "Se mi permetti un tono un po’ più allegro, sei tu quella che s’è scolata non so quante bottiglie di birra e vino abbandonate in cucina, oltre al whisky, e il tubetto di sonniferi."
  "Ah, quello intendi. Sì, ero sconvolta. Poi, la tua presenza…beh, mi ha fatto sentire a disagio."
  "Lo capisco, Patty. Ah, ho letto la tua lettera."
  "L’hai letta?" disse Patty, staccandosi da lui all’improvviso.
  "Sì. Mi dispiace che tu abbia versato tante lacrime a causa mia."
  "Anche tu, ora, stai male a causa mia. Ma sono felice di sapere che sono importante per te - disse Patty, sorridendo – Permetti che controlli il ginocchio? Magari posso rifarti la fasciatura. Aspetta, ma ora che ci faccio caso, prima hai detto che sei venuto qui l’altro ieri. Ma oggi è per caso il 16 Febbraio?"
  "Sì."
  "I tuoi non ti avranno telefonato?"
  "Ho lasciato loro un messaggio. Ho inventato una scusa per non farmi trovare in casa."
  "Oliver Hutton che mente ai suoi genitori e sta a casa di una ragazza! Questa sì che è una novità. Allora, posso controllare il ginocchio?"
  Holly sorrise ed annuì.
  Patty, con mano esperta a causa dei vari corsi che aveva fatto in quegli anni, tastò la gamba di Holly in più punti, con un lieve sorriso sulle labbra.
  Holly la osservava e ripensava a quanto apparisse forte ma in realtà potesse essere fragile.
  "Patty, devo dire una cosa. Perdonami se le mie parole potrebbero sconvolgerti, ma ora che ho rischiato di perderti, non voglio che accada qualcosa e tu non sappia questa cosa. Patty, tu sei la persona più importante della mia vita, e sono stato molto male a causa del nostro litigio."
  "Anche tu, per me, sei molto importante, Holly. Il resto, lo sai meglio tu di me. Dovevo essere orripilante – disse Patty, senza alzare lo sguardo dalla gamba - Te la dispiace fare quattro passi qui nella stanza?"
  "Sì" disse Holly, alzandosi e camminando.
  "Ti muovi molto meglio di quanto mi aspettavo" disse Patty.
  "Mi spaventavi - ammise Holly - Sì, due giorni fa, intendo. Non eri te stessa, in quell’occasione."
  "Non ero più me stessa da tanto tempo."
  "Anche io non sono più me stesso, e molto probabilmente, non lo sarò più neanche in futuro" sussurrò Holly.
  "No, tu sei lo stesso di prima, e lo sarai di nuovo."
  "Tu… hai mai perso la speranza per la mia guarigione?"
  Patty scosse il capo.
  "No. Certo, più passa il tempo più mi sento demoralizzata e la paura aumenta, ma non perderò mai la speranza, soprattutto ora che ho visto la tua gamba. Tu sei molto forte, ed ho l’assoluta certezza che ce la puoi fare."
  "Neanche io voglio smettere di sperare, Patty."
  "Tu non dovevi saperlo, non ancora. Non ricordo se te l’ho mai detto, ma era un ordine del dottore, quello di tenerti all’oscuro di tutto. Mi dispiace molto… sì, insomma, non avertelo detto prima."
  "Non importa Patty. Sul serio."
  "Importa, invece. Tu avevi il diritto di sapere tutto sin dall’inizio."
  "Non essere sciocca. Temevate tutti per la mia salute."
  "Sì, anche questo. Ma io avevo soprattutto paura che tu mi odiassi per questo e per l’incidente."
  "Patty, so che non dovrei chiedertelo, ma… mi aiuteresti a tornare ad essere me stesso?"
  Patty sembrò non comprendere a pieno, ma disse:
  "Vuoi che ti aiuti a tornare sui campi di calcio?"
  "Esattamente."
  Patty sorrise ed annuì.
  "Grazie. Grazie mille, Patty" disse Holly, che non si era accorta di aver afferrato con forza la mano di Patty e di stringerla sempre di più, mentre rispondeva al sorriso dell’amica.
 
Patricia Gatsby  16 Febbraio  ore 8:09 AM
  Siamo tornati amici, finalmente. Avevo così tanta paura che mi odiasse, che non ho pensato neanche al fatto che l’affetto per una persona non scompare mai completamente. Holly mi vuole molto bene. Chissà cosa mi voleva dire? Sembrava molto importante, ma allora perché non mi ha detto niente del genere? Possibile che fosse solo la sua richiesta d’aiuto? Sì, doveva essere per questo, anche se non capisco l’importanza capitale che gli dava. Boh, i ragazzi sono sempre così complessi!
  Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 8:10 AM
  Sono un idiota! Perché non sono riuscito a rivelarle i miei veri sentimenti? Perché, ogni volta che mi guarda con quegli occhi, così puri e pieni d’affetto, la lingua mi si paralizza o riesco a dire solo qualche cosa d’inutile? Io ho paura di ferirla o destabilizzarla con le mie parole. Ora più che mai, devo cercare di crearle attorno un’atmosfera serena e senza troppe variazioni traumatiche. I miei sentimenti possono aspettare.
 
 "Andiamo a mangiare qualcosa, Holly? Io… avrei un leggero languorino" disse, arrossendo un po’.
  "Ci credo!" disse ridendo Holly.
  I due, fianco a fianco, si diressero nella cucina.
  Patty si stupì che fosse tutto così ordinato, ma incontrando il sorriso di Holly, comprese che doveva essere stato lui.
  "Troppo gentile, Holly."
  Holly sorrise, poi disse:
  "Vado ai fornelli a prepararti qualcosa."
  "Non se ne parla! Tu devi riposarti. Non puoi stare troppo in piedi. Il ginocchio guarirà, ma ci vorrà ancora molto tempo. Ora siediti, che la colazione te la preparerò io."
  "Grazie."
  "E di cosa? Tu hai fatto molto di più."
  "In effetti, sì. Infilarti un dito in gola per farti svuotare lo stomaco non è stata un’impresa semplice."
  "Holly."
  "Sì?"
  "Vuoi che lo svuoti di nuovo?"
  "Perché?"
  "Ti pare che parlare di una cosa del genere prima di mangiare sia una cosa molto sensata? A me fa venire la nausea al solo pensiero."
  "Mannaggia! Avrei dovuto parlarti di certe cose, allora."
  "Spiritoso!" disse, facendo una smorfia, dandogli uno scappellotto e voltandosi, atteggiandosi ad offesa.
  "Dai Patty! Stavo scherzando!"
  "Anch’io" disse Patty, con un sorriso radioso in volto, poi si mise a preparare la colazione.
  Holly si sedette al tavolo.
 
Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 8:13 AM
  Mi sembra di vivere in una specie di strano sogno. Patty ed io sembriamo quasi marito e moglie. Lei che prepara la colazione, ed io, seduto al tavolo. Ci manca solo il quotidiano. Sono così felice che Patty stia già così meglio! Patty, così forte, eppure così fragile. Mi piacerebbe così tanto poterle esprimere tutto l’amore che provo per lei!
  Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 8:14 AM
  Sembriamo usciti da una pubblicità della famiglia perfetta! Se soltanto lui mi volesse bene quanto gliene voglio io… Amore mio, perché non riesci a capire quanto affetto provo per te? Holly, come vorrei che gli eventi dell’ultimo anno venissero spazzati via, cancellati dalla lavagna della nostra vita. Il mondo si è fatto improvvisamente più inospitale, o forse, a noi sembrava più sicuro, prima. Holly, grazie di esistere e di essere al mio fianco.
 
 "Eccoti qua una sostanziosa colazione" disse Patty, porgendo al ragazzo pancetta, uova sode e tramezzini.
  "Patty, non sono mica un lupo!"
  "E a me non pensi? Io sono due giorni che non mangio, ed ora mi voglio rifare della fame arretrata."
  "Più che giusto" disse Holly, sorridendo divertito.
  Dopo aver spazzolato tutto nel più completo silenzio, Patty si alzò da tavola e, dopo aver sparecchiato, raggiunse Holly, che si era seduto sul divano.
  La finestra che dava sul cortile era sulla strada del salotto, e Patty, passando davanti a questa, per la prima volta, notò che sulle corde del bucato c’erano stesi gli abiti che aveva indossato due giorni prima, e, a rigore di logica, qualcuno le aveva tolto di dosso i vestiti sporchi e l’aveva rivestita. Ripensando alle parole di Holly, poi, si rese conto che nessun altro, se non lui, poteva averlo fatto.
  Sorpresa e rossa come un peperone guardò Holly, che, non comprese cosa volesse dire.
  "C’è qualcosa che non va, Patty?"
  "No, niente di niente, Oliver. Ah, certo, a parte quei vestiti stesi sulle corde del bucato" disse Patty, sempre rossa in volto ma senza staccare gli occhi da quelli di Holly.
  Comprendendo cosa volesse dire Patty con quelle parole, Holly arrossì a sua volta e si morse il labbro inferiore.
  "Holly, devi dirmi qualcosa?" chiese Patty, mettendolo sulle spine.
  "Mica potevo lasciarti con i vestiti che avevi! Ricordi, eri sporca di vomito ed alcool! E mica potevo dire a qualcuno dei vicini che avevi tentato il suicidio! L’avrebbero detto ai tuoi genitori, e si sarebbero preoccupati parecchio per te!" disse con veemenza, fissando il pavimento con estremo interesse.
  Patty lo guardò un po’ imbarazzata, poi disse:
  "Non importa. Mi fido di te, Holly. E se anche avessi guardato, mica è la prima volta che vedevi roba del genere!"
  Holly arrossì violentemente a quelle parole, sempre più imbarazzato.
 
Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 8:27 AM
  Che imbarazzo! E poi quella sottospecie di battuta! Forse non sarei dovuta essere così diretta. Holly era già tanto imbarazzato per conto suo, ed io ho peggiorato ancora di più la situazione. Povero Holly, mi fa tanta tenerezza vederlo così… indifeso e spaesato. Sembra una muleta, così rosso in volto.
 
Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 8:27 AM
  Complimenti Oliver Hutton! Povevi essere un po’ più nervoso, mentre le parlavi di quell’argomento, così magari la mettevi ancora di più in imbarazzo. Le hai fatto capire che m’era caduto l’occhio da qualche parte in cui non doveva. Ma perché sono così imbranato?!
 
"Holly, scusami se ti ho messo in imbarazzo. Non volevo essere così caustica, ma non l’ho fatto di proposito. Pensavo solo… che tu avrebbe fatto bene riderci sopra, almeno un po’" disse Patty.
  "Credo che il maggiore imbarazzo l’abbia provato tu.
  "Diciamo che non sarà senza strascichi psicologici per nessuno dei due. Insomma, non è una cosa che capita tutti i giorni fare ciò che hai fatto" disse Patty, arrossendo violentemente, così come Holly.
  "Non lo è neanche salvare la vita ad una persona per ben due volte nell’arco di un anno, ora che ci penso" disse Patty.
  Involontariamente, Holly le passò un braccio attorno alle spalle e disse:
  "Per una persona importante, questo ed altro."
  "Hai messo a repentaglio la tua vita per me, Holly. Te ne sarò grata in eterno" disse Patty, sorridendo e abbandonando il capo contro la sua spalla.
  "Anche io" disse Holly, sfiorandole la guancia con la punta delle dita.
  "Per cosa?"
  "Per essere stata al mio fianco per tanti anni, incoraggiandomi e senza mai rinfacciarmi niente."
  "Ero la manager della tua squadra."
  "Ma dopo? Dopo quel giorno, allo stesso modo, mi sei stata accanto, anche quando ero in Brasile."
  "Ma io non sono mai venuta in Brasile, Holly. Certo, ci telefonavamo una volta a settimana, ma non mi pare una presenza così costante."
  "Tu eri sempre con me. Nei miei pensieri, intendo dire - disse Holly, guardandola negli occhi - E poi, in ospedale. Tu sei sempre stata con me anche lì. Non so se sarei mai riuscito a riemergere da quel baratro senza aggrapparmi al pensiero che tu mi stavi aspettando."
 
Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 8:32 AM
  Ma cosa sta facendo? Mi sta facendo… una dichiarazione d’amore? No, impossibile! Non Oliver Hutton, il mio migliore amico. Non quel ragazzo che non si è mai accorto quanto lo amassi. E se… se anche lui si fosse innamorato di me? Il cuore mi batte forte e mi manca il respiro! Oh Holly!

  Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 8:32 AM
  Ecco, l’ho fatto. Le ho espresso i miei sentimenti. Spero solo di non averla destabilizzata con le mie parole. E se lei non corrispondesse. Mi sento le gambe molli come gelatina e la lingua non me la sento più, ma ormai il dado è tratto. O la va, o la spacca.
 
Patty non poteva staccare i suoi occhi da quelli di Holly.
  Patty, cercando di togliersi da quella situazione, deglutì più volte poi, preso coraggio, gli parlò.
  "Holly, le tue parole sono state bellissime" disse Patty, sorridendogli con molto nervosismo.
  "Te le ho dette in tutta sincerità, Patty. Non voglio avere conti in sospeso, ora che conosco la fragilità della vita."
  "Non essere così pessimista. La vita non è tutta dolore."
  In quel momento il telefono squillò.
  Patty si alzò e si diresse al telefono.
  "Pronto?"
  "Ciao Patty. Sono io."
  "Oh, ciao mamma!"
  "Come stai?"
  "Benissimo, mamma."
  "Senti, Patty, non è che hai visto Holly in giro? Maggie lo sta cercando da un paio di giorni, ma a casa loro non risponde nessuno ed ha cominciato a preoccuparsi parecchio."
  "Dille che è qui."
  La madre di Patty parlò a bassa voce, rivolta certamente agli altri, riuniti certamente in quella stanza.
  "E’ lì? - chiese la madre - E da quanto?"
  "E’ venuto il giorno della vostra partenza."
  Di nuovo la madre di Patty bisbigliò.
  Sentì un brusio dall’altra parte della cornetta.
  "Ed è stato lì tutti quei giorni?" chiese la madre di Patty, con tono che lasciava trasparire sospetto.
  "Sì. C’è per caso qualche problema?"
  "Basta che stiate attenti e prendiate tutte le precauzioni…"
  Patty divenne rossa come un peperone.
  "MAMMA!!!!! MA COSA STAI DICENDO?! NON E’ SUCCESSO NIENTE DEL GENERE! MA PER CHI CI HAI PRESO!? NON CREDERAI MICA CHE IN VOSTRA ASSENZA…"
  "Patty, calmati. In fondo siete grandi abbastanza e lo capiamo. Ti ho solo raccomandato di…"
  "MAMMA! NOI SIAMO SOLTANTO AMICI! MA PER CHI CI HAI PRESO! NON CI CONOSCI?"
  "Sì, lo so che siete tutt’e due così impacciati, ma…"
  "SIAMO A-M-I-C-I, CHIARO?"
  "Allora, nel caso vi venisse una voglia del genere…"
  "Mamma, chiudi immediatamente l’argomento. Non succede nulla di nulla del genere" disse Patty, voltandosi verso Holly, che la guardava stupito.
  "Mi preoccupavo solo per la vostra vita. Se tu dovessi per caso rimanere incinta, sai perfettamente a cosa andreste incontro. Lo sai, un bambino non è una bambola con cui giocare…"
  "MAMMA! NON C’E’ NESSUNO SFONDO SESSUALE NELLA NOSTRA CONVIVENZA! SONO STATA ABBASTANZA CHIARA!" gridò Patty, infuriata.
  A quel punto Holly divenne porpora e cominciò a tossire, come se gli fosse andato qualcosa per traverso, mentre con occhi sgranati guardava Patty, rossa in volto più di lui, che stringeva la cornetta così forte da avere le nocche bianche, mentre i suoi occhi assassini fissavano la tastiera, come se volesse fonderla con la sola forza del pensiero.
  "Scusa cara, ma sai, ormai siete cresciuti…"
  A quel punto, Patty non resistette più e riagganciò, poi guardò Holly e, presa da un’ondata di rabbia, si gettò di corsa verso le scale.
  "Patty, dove…" stava dicendo Holly, quando il telefono squillò nuovamente.
  Holly decise che avrebbe parlato con Patty più tardi, e rispose, ben sapendo che erano i loro genitori.
  "Pronto?"
  "Oh, ma sei tu, Holly. Che piacere sentirti!" disse la madre di Patty.
  "Fa piacere anche a me."
  "Allora Holly, come vanno lì le cose?"
  "A gonfie vele. Sa, Patty mi ha chiesto di tenerle compagnia durante la vostra assenza. Aveva paura che qualche malintenzionato potesse fare irruzione in casa. Sa, con i tempi che corrono…" mentì Holly.
 
Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 8:38 AM
  Se dicessi alla madre di Patty cosa è successo due giorni fa, le prenderebbe un colpo. Devo mantenere il segreto su questa vicenda. Se diventasse pubblica, le darebbero della matta e la rimpinzerebbero di pscicofarmaci, e questo proprio non se lo merita. Il suo è stato soltanto un momento di sconforto, niente di più. Ha sofferto molto, ed altra sofferenza non l’aiuterebbe di certo. Ho dovuto per forza mentire. Spero solo che nessuno venga mai a conoscenza del nostro segreto.
 
 "Oh, ora capisco. Chiedile scusa da parte nostra per le nostre imbarazzanti insinuazioni."
  "Lo farò."
  "Ti passo tua madre."
  "Grazie."
  "Pronto, Holly?"
  "Ciao mamma!"
  "Come sono felice di sentirti! Ma perché non ci avete avvertiti!"
  "Non ci abbiamo pensato, tutto qua."
  "Sono stata preoccupata" disse Maggie Hutton, in tono di rimprovero ma dal quale traspariva anche sollievo.
  "Lo sai, so cavarmela da sola."
  "Stateci bene. Ciao Holly, e saluta Patty da parte mia."
  "Lo farò. Ciao mamma."
  Dopo aver riagganciato, Holly si diresse di sopra.
  Trovò Patty sul letto, piangente.
  Si sedette sul bordo del letto, poi si chinò su di lei e cominciò ad accarezzarle con dolcezza, i capelli.
  "Grazie Holly. Sai essere molto dolce" sussurrò Patty, con il viso ancora affondato nel cuscino.
  "Mai quanto te."
  "No, io sono un maschiaccio, e soprattutto, sono troppo suscettibile. Dovevo immaginarmi che pensassero a male. Non si fidano per niente di me."
  "Non ti avrebbero lasciata mai qui da sola, se non si fidassero di te e non sapessero che sei una ragazza con la testa sopra le spalle."
  "Non mi avrebbero fatto neanche quelle domande."
  "Avanti Patty. Sola a casa, con un ragazzo… chiunque penserebbe a quello che hanno pensato loro."
  Patty si voltò verso di lui.
  "Perché sei ancora qui? Dovresti andare a scuola. Ho saputo che ti hanno iscritto ad un istituto privato."
  "E tu? Non vai al liceo?"
  "No. Non me la sento ancora di affrontare la gente."
  "Ed io non me la sento a lasciarti da sola."
  "Non ti fidi?"
  "Certo che mi fido."
  "Allora mi lasceresti da sola."
  "No, hai ancora bisogno di me."
  "Io sto bene."
  "Fino a quando non sarai pronta per tornare in mezzo alla gente, io non ti abbandonerò. Tu l’hai fatto con me, ed io ora lo farò con te."
  "E’ solo per questo?"
  Holly, a quel punto, la prese in braccio e la mise a sedere per terra.
  "Ehi, cosa ti prende?"
  "Voglio che tu mi guardi negli occhi" disse, scivolando anche lui sul pavimento.
  "Dimmi."
  "Patty, io non pretendo di sapere cosa passa per la tua testa, ma se sbaglio ad interpretare ciò che senti, mi dispiace, ma io devo parlarti, e spero che nulla riesca ad interromperci, ora. Patty, tu mi vuoi bene, vero?"
  "Sì."
  "Quanto?"
  Dopo qualche istante di silenzio, Patty disse:
  "Non ci sono parole che possano esprimerlo."
  "Anche per me è la stessa cosa. E scusami, se farò una qualche cavolata da qui a pochi istanti."
  Holly, prima che potesse capire cosa intendeva, le sfiorò le labbra con un timido e rapido bacio.
 
Oliver Hutton 16 Febbraio  ore 8:42 AM
   Ecco, l’ho fatto. Ora devo vedere come reagisce, ma perlomeno l’ha fatto. Ho finalmente espresso i miei sentimenti.
 
 Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 8:42 AM
  Lui… mi ha baciata! Oliver Hutton è innamorato di me! Che sia questa la cosa che sta cercando di dirmi da stamattina? In effetti, è molto probabile che lo sia. Oppure è solo un modo per tirarmi su, dopo quella discussione con la mamma? Ma a che stupidaggini sto pensando! No, lui è troppo sincero per fare una cosa del genere come scacciapensieri.
  
Patty, arrossita, lo fissava con aria stupita, ancora incredula per l’accaduto. Lentamente, si portò le dita alle labbra, mentre Holly stava davanti a lei, a sguardo basso.
  "Patty?"
  "Sì Holly?"
  "Scusami."
  "Per… il bacio?"
  "Sì. Non sapevo come esprimere i miei sentimenti, se non in questo modo."
  "Allora tu…"
  "Sì Patty. Per me, tu sei ben più di un’amica. Io sono innamorato di te, Patty. Sei importante."
  "Me ne hai dato la prova più volte, in questo periodo."
  "E tu Patty? Sia chiaro, non mi aspetto niente da te, ma vorrei sapere se tu provi le stesse cose per me oppure no."
  Patty si alzò in piedi e si diresse verso la porta.
 
 Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 8:43 AM
  Povero Holly! Quasi sicuramente si sentirò a pezzi, ma voglio essere un po’ originale. Gli farò credere tutt’altra cosa di ciò che provo, per poi coglierlo in contropiede. Sì, lo farò sentire come un cane bastonato, ma sarà soltanto per pochi secondi.
 
Si fermò sullo stipite e guardò Holly.
  Lui, rassegnato, si era voltato verso il letto.
 
Oliver Hutton 16 Febbraio   ore 8:43 AM
  Lo dovevo sapere! Forse lei, un tempo, mi amava.  Tante volte Bruce ha fatto quelle battutine su me e Patty, ma io non ho voluto mai accettare la verità, forse per paura, forse perché ero troppo sciocco per accettare questi sentimenti, o forse perché non volevo pensare a nient’altro che il calcio. Ben mi sta. Lei mi ha respinto, ed io non devo impuntarmi. Io l’amerò sempre, anche nel caso molto probabile che lei dovesse stare assieme ad un altro.
 
 Un sorriso affiorò sul volto di Patty, che chiuse la porta, rimanendo nella stanza.
  Holly non si era girato per guardare e lei, di soppiatto, si avvicinò a lui, poi gli passò le braccia attorno al collo, aderendo con il corpo alla schiena del ragazzo e appoggiando il capo sulla sua spalla.
  Holly sobbalzò, sorpreso, ma, nel giro di un attimo, si rilassò di nuovo e si voltò a guardarla.
  Il suo sorriso, dolce e carico d’amore, fece svanire ogni suo dubbio.
  "Patty, ma allora…"
  "Sì. E da un bel pezzo."
  "Ce ne hai impiegato di tempo per capire cosa provassi per te. Stavo perdendo la speranza."
  "Anche tu, comunque, non sei stato esattamente un razzo. Avanti, dimmi da quando tempo è che provi dei sentimenti diversi dall’amicizia nei miei confronti, Oliver Hutton."
  "Dal terzo campionato della New Team, io credo."
 
Patricia Gatsby 16 Febbraio  ore 8:44 AM
  Come dal terzo campionato? Ma sono passati quasi due anni da allora! Ed io, così convinta che lui non potesse mai accorgersi di me, mi sono messa i paraocchi e non ho voluto vedere la verità. Perché, in quei suoi occhi, non mi sono mai accorta che c’era la luce dell’amore. Neanche quel giorno mi sono accorta del suo amore. Oh, Holly, perdonami se non ho avuto fiducia in te e nel tuo cuore. Perdona questa sciocca.
 
 Patty fu sinceramente sorpresa di averci impiegato così tanto tempo per capirlo, ma, ripensando a quanto tempo avesse impiegato Holly, scoppiò a ridere di gusto. Era troppo comico!
  "Perché ridi? I miei sentimenti sono davvero così ridicoli per te?" disse Holly, sentendosi preso in giro dalla reazione della ragazza.
  "No no, non sono affatto ridicoli. Tutt’altro, sono la cosa più seria che io abbia mai sentito. Il fatto è che adesso mi hai appena tolto una curiosità e sto ridendo con me stessa."
  "Che curiosità?"
  "Ho scoperto che tra noi due, sono io, allora, la veterana, in fatto di struggimento sentimentale."
  "Perché? Tu da quando tempo è?"
  "Io dal primo campionato della NewTeam."
  "Cosa?!"
  "Sì, proprio così."
 
Oliver Hutton 16 Febbraio  8:46 AM
  Ma allora sono proprio cieco! Sono passati sette anni, oramai, ed io non mi sono mai accorto di nulla? Certo, la sua presenza al mio fianco era costante, ma non pensavo che fosse per amore. Oppure non volevo proprio ammettere che qualcuno potesse amarmi, se non i miei genitori?
 
"E’ da più tempo che io volevo fare una cosa."
  "E quale?"
  Patty voltò il viso del ragazzo verso di lei e lo baciò. La risposta di Holly fu più passionale di quello che la ragazza si aspettava, ma questo non voleva dire che la cosa le desse fastidio. Al contrario, anche lei cominciò ad aumentare la passionalità del bacio.
  Quando si staccarono, Holly si voltò e si alzò.
  Lei lo guardò, stupita, e si alzò, ma prima che potesse spiccicare parola, si ritrovò nuovamente tra le sue braccia. Lui l’abbracciava con forza, come se non riuscisse a staccarsi per più di molto tempo.
  Patty lo guardò in volto e notò che lui stava piangendo.
  "Cosa ti succede Holly?"
  "Patty, non mi lasciare."
  "Cosa?"
  "Non lasciarmi mai più."
  "Ma cosa stai dicendo?"
  "Non riuscirei più a vivere, senza di te."
  "Neanche io."
  "Lo so, Patty. Me l’hai già provato fin troppo, che non sopporteresti una vita senza di me."
  "Anche tu, Holly, non fare più questi atti eroici per me."
  "L’ho fatto per te."
  "Perché sono la tua migliore amica?"
  "Lo sai, il perché."
  "E’ già, lo so. Ma ancora non riesco a crederlo. E se fosse tutto un sogno?"
  "Allora è il sogno più bello che abbia mai fatto. E con la compagnia migliore che potessi trovare."
  "Tu mi lusinghi, Oliver Hutton."
  "E tu mi onori, Patricia Gatsby, con la tua sola presenza al mio fianco."
  I due si guardarono di nuovo negli occhi, poi si scambiarono un nuovo, lunghissimo bacio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Un Campioncino tra le Cento Torri ***


Capitolo 3:

Un campioncino sotto le 100 torri

 

  Il sole scintillava nel cielo terso della città d’Ascoli Piceno, mentre un ragazzo, con un gran borsone in spalla, con il marchio della società di calcio della città, si stava dirigendo lungo il viale alberato in direzione del centro storico. I suoi corti capelli castano chiaro, resi più scuri dall’acqua che li impregnava, gli occhi neri, i lineamenti delicati e soprattutto la sua carnagione così rosea, non tradivano l’origine nipponica del ragazzo, che, con passo sicuro e un gran sorriso stampato volto, era completamente assorto nei suoi allegri pensieri.

 

Tom Becker, 27 Gennaio  ore 1:03 PM

  Che stanchezza! Oggi il mister Trappippi [NdA: i miei allenatori preferiti fusi in uno solo!] ci ha fatto veramente sudare! Sono davvero stanco morto. Non me la sento neanche di tornarmene a casa, tanto alle tre dobbiamo ricominciare! Quasi quasi vado a prendermi un panino al bar che sta vicino al battistero, invece di andare fino alla pizzeria. Certo che sto prendendo davvero gusto a mangiare gli insaccati italiani! Il gusto della cucina italiana è completamente diverso da quella giapponese, e devo ammettere che hanno proprio ragione a dire che la cucina italiana è la migliore del mondo. E dire che parlano tutti delle società del Nord Italia come le migliori! Certo, non dico che sono stato male alla Martines Carsos [NdA: se ci fosse una squadra con questo nome non lo so. Chiedo scusa a chiunque possa prenderla a male, per qualsiasi motivo], ma qui al Centro è tutt’un'altra cosa. Certo, saranno lontane le grandi piazze,a parte quella romana ed il Perugina, ma giocare in una squadra di Serie B è ugualmente una grand’emozione. Inoltre Ascoli Piceno è una città ricca d’arte ed immersa nel verde, a due passi sia dal mare che dalla montagna. Sono soddisfatto che mi abbiano prestato per il resto della stagione. In pochi giorni ho conosciuto un sacco di persone, soprattutto ragazzi della mia età, tutte simpatiche e molto gentili. Trovo anche il tempo per frequentare un istituto superiore nei pressi del campo d’allenamento, cinque giorni alla settimana, se la sera mi trattengo un po’ di più al campo. Devo dire che il presidente è stato molto gentile a permettermi questo, e sono grato anche al mio preside per il permesso di un’assenza giustificata direttamente da lui, un giorno alla settimana, cambiandolo ogni settimana per non perdere sempre le stesse ore di lezione. Riesco a seguire abbastanza bene le lezioni, nonostante l’italiano sia una lingua davvero ostica, e questo lo devo soprattutto a Martina, la mia compagna di banco. E’ stata lei ad aiutarmi a migliorare la mia pronuncia e a presentarmi a tutti gli altri compagni, con la sua gioia di vivere e simpatia. Lei è sempre molto gentile nei miei confronti, sia dal punto di vista scolastico che non, al contrario che con gli altri. Non dico che sia sgarbata, al contrario, è molto spesso pronta ad aiutare gli altri, anche a costo di rimetterci lei stessa, ma è anche molto lunatica, e se è sotto pressione o se si è svegliata con la luna storta… Dio ce ne liberi, si trasforma in un essere feroce che risponde male a tutti! Non mi stupirei se un giorno o l’altro cominciasse anche ad emettere fumo dalle orecchie e sputare fuoco. Mi fa molto piacere che venga spesso al campo a vedere gli allenamenti della squadra. Sembra quasi Patty sotto questo punto di vista. Io non so come faccia ad essere sempre così preparata se trascorre gran parte della giornata al campo! E’ impossibile non notarla, con quella chioma biondo-rossiccio che brilla anche nei giorni di pioggia e quella voce che grida all’impazzata. Credo che il mister, un giorno o l’altro, la prenderà per il collo e la strozzerà come un’anatra. Tifosissima della mia ex squadra, diventa un tornado se solo toccano Gardoni. Mi stupisco che non sia in galera per omicidio, visto che la sua amica Francesca la stuzzica tutti i giorni. Quasi quasi torno indietro e aspetto che finiscano le lezioni, tanto mancano solo una ventina di minuti, così le chiedo se si ferma a pranzo con me e mi spiega che cosa hanno fatto stamattina in classe. Chissà se si è scontrata di nuovo con il professor Tommasi… Certo che se frenasse la lingua, sarebbe meglio. Un giorno o l’altro potrebbe esagerare, e non so se ci sarà da ridere, quel giorno.

  

 Tom, stanco, si sedette su una panchina, accanto ad una fontana, attendendo la compagna di classe.

  Assetato, prese la bottiglietta che portava con sé agli allenamenti e la riempì d’acqua fresca.

  Stava bevendo, quando sentì una risata. Di fronte a lui, stavano due penetranti occhi grigio-verdi. Sorpreso, Tom si spostò all’indietro, perse l’equilibrio e cadde sull’erba appena spuntata nel prato retrostante la panchina, versandosi addosso tutta l’acqua contenuta dalla bottiglia.

  "Direi che ti ho proprio spaventato" esclamò la ragazza che si era parata di fronte a Tom, sorridendo, chinandosi in avanti con le mani dietro alla schiena e voltando la testa di lato.

  I suoi capelli, di un biondo tendente al rosso fuoco, brillavano sotto la luce del sole di gennaio, mentre il sorriso le arrivava da orecchio a orecchio.

  "Non ridere Marty. Mi sono fatto male" disse Tom, sedendosi sull’erba, mentre si spazzolava con una mano la felpa azzurro cielo, bagnata fradicia.

  "Ma non raccontarmi baggianate, Tom! Hai subito contrasti peggiori durante gli allenamenti" disse la ragazza, sempre sorridendo, porgendogli una mano.

  Tom accettò l’aiuto e si rialzò in piedi.

  "Andiamo a mangiare un boccone insieme?" le chiese.

  "Ok Tom. Tanto avevo intenzione di restare a guardare gli allenamenti" rispose allegramente.

  "Andiamo?"

  "Aspetta un attimo" disse lei, dando delle vigorose pacche al fondoschiena del centrocampista.

  Lui arrossì fino alla radice dei capelli.

  "Martina… cosa stai facendo?" disse Tom, imbarazzatissimo.

  "Vuoi andare in giro con i jeans sporchi d’erba e terra? Se vuoi lanciare una moda nuova, fai pure, ma credevo che ti avrebbe fatto piacere andare in giro per Ascoli senza che tutti ti additino come un fenomeno da baraccone ed un ragazzo privo d’igiene."

  Tom, arrossì, ancora più imbarazzato, poi prese il suo borsone e si diresse al bar con l’amica, che nel frattempo rideva come una pazza, ripensando all’aria imbarazzata di Tom.

 

Tom Becker, 27 Gennaio  ore 1:34 PM

  Che figuraccia che ho fatto! Sei proprio un idiota, Tom Becker. Secondo te una bella ragazza come quella, che ti vuole dare delle pacche sul fondoschiena, te le dà mentre un sacco di compagni di classe stanno passando di fronte a voi? La sua spontaneità è disarmante, certe volte. Faccio spesso fatica a non fare figuracce quando sono in sua compagnia. Ha un caratteraccio unico nel suo genere, eppure sento qualcosa di molto forte nei sui confronti, che sconfina dall’amicizia. Che sia questo l’amore? L’apprezzare completamente una persona nonostante i suoi difetti? Desiderare di stare in sua compagnia ogni istante del giorno? Che mi sia realmente innamorato di Martina?

 

 Martina Maroni, 27 Gennaio  ore 1:34 PM

  Certo che Tom è proprio comico! Prima non si era neanche accorto che stavo di fronte a lui! Poi, che caduta ridicola! E quella faccia poi… si credeva chissà che cosa! Secondo lui, io ci proverei così spudoratamente davanti ad un centinaio di persone. Devo ammettere, però, che ci proverei sul serio. In fondo Tom riunisce in sé bellezza e carattere. Sa essere molto forte, eppure è di una dolcezza unica nel suo genere. E’ una persona splendida, anche se forse lui non se n’è mai reso conto. Non lo si potrebbe definire se non con il termine “ragazzo speciale”. In fondo, per sopportare una con un caratteraccio come il mio, ci vuole più che una pazienza da santo! Ehi, ma cosa sto dicendo?! No, non voglio più innamorarmi, e di lui meno che mai. Io non voglio più soffrire, mai più. Quando si stringe una relazione ci sono immancabilmente delle promesse che vengono spezzate, ed io non voglio più sentire quelle promesse, non voglio più vederle diventare realtà. Voglio solo vivere con le mie forze, senza far del male a nessuno.

  

In capo a pochi minuti i due ragazzi erano seduti all’interno del bar, sorseggiando una bibita a testa e con un bel pezzo di pizza fumante dentro un piatto di cartone.

  Era un locale piccolo ma pulito, con pochi tavoli, ben riscaldato.

  In quel momento c’erano solo loro due nel locale e potevano parlare senza essere ascoltati da nessuno, se non il proprietario, che, in ogni caso, dopo averli serviti, si era ritirato a sonnecchiare nel retrobottega.

  "Allora Marty, cosa avete combinato oggi in classe?" chiese Tom.

  "Non ti sei perso nulla di particolare."

  "Nemmeno durante la lezione di Tommasi?"

  "No. Ha fatto il solito errore della morte d’Umberto I, comunque."

  "E tu, come al solito, hai corretto, giusto?"

  "Come al solito."

  "Sei incorreggibile. E se un giorno lui se la prendesse con te per questi tuoi modi così confidenziali?"

  "No, lui è un simpaticone che sa stare allo scherzo."

  "Sarà…" disse Tom con tono poco convinto.

  "Non ti fidi delle mie qualità di mediazione, campione?" chiese sorridendo, mentre si allungava oltre il tavolo, verso di lui, e gli dava un amichevole buffetto sulla punta del naso.

  Tom ridacchiò, mentre lei si appoggiava con i gomiti sul tavolo e appoggiava la testa tra le mani, come se volesse studiarlo più attentamente.

  "Ehi, che cosa ti prende?" chiese Tom.

  "Stavo pensando che se vorrai farti crescere un bel paio di baffi dovrai attendere ancora parecchio, sbarbatello."

  "Ma sentila" disse Tom, piccato.

  "Non te la prendere, Tommino" disse Martina, passandogli delicatamente una mano sulla guancia.

  "E …e ora cosa fai, Martina?" chiese Tom, indietreggiando come se si fosse scottato, molto imbarazzato dal gesto tanto aperto della ragazza.

 

Tom Becker 27 Gennaio  2:07 PM

  Ma… ma cosa sta facendo? Oh mio Dio! Ci sta provando! Allora io… io le piaccio sul serio! Ho deciso, non voglio fare lo stesso errore di Holly. Lei mi piace e devo dirglielo.

 

" Testo le possibilità di una rapida crescita di una leggera peluria."

  "Martina!"

  "Ma cosa credevi?"

 

Martina Maroni 27 Gennaio  2:08 PM

  Lui… lui credeva che ci stessi provando! Forse è vero, ma involontariamente! Ma quella reazione… preferisce essere mio amico. Non mi prende neanche in considerazione come una ragazza, ma come una specie di ragazzo con sembianze femminili. E’ stato come se la mia mano gli avesse ustionato il volto, quando l’ho toccato, quindi non dovrei avere problemi. Ma quasi quasi, lo prendo un po’ in giro. Mi fingerò incavolata.

 

 "Ecco… Io…"

  "Immaginavi male" disse Martina, sulla difensiva, per nascondere i suoi veri sentimenti.

  "Mi dispiace di aver immaginato ciò che ho immaginato. So che non avrei mai dovuto farlo."

  "E perché mai?"

  "Perché sei la mia migliore amica ed un pensiero del genere non dovrei averlo nei tuoi confronti."

 

Martina Maroni 27 Gennaio  ore 2:10 PM

  E’ no! Così esagera! Ora mi sono incazzata sul serio! Ma che si scusa a fare! Certo che proprio non ci sa fare con le ragazze!

  

"E cosa sarei io allora? Un essere di puro spirito intoccabile?"

  "Non fraintendere, Martina."

  "Non ho frainteso un bel niente" disse la ragazza, scattando in piedi.

  Tom comprese la situazione di grave stallo in cui si trovavano ed agì d’istinto, afferrandola per un polso.

  "Devi ascoltarmi!"

  "No! Non osare toccarmi! Non sono mai stata più umiliata in vita mia! Non voglio mai più vederti in vita mia, Tom Becker!" disse la ragazza, fuori di sé, liberandosi con uno strattone dalla sua stretta e fuggendo fuori dal locale.

 

Tom Becker 27 Gennaio  2:16 PM

  Ecco qua! Ho combinato un bel guaio! Adesso lei mi odia! Mannaggia alla mia lingua!

 

  Martina, disperata, scappava per le vie della città in preda alle lacrime, sconvolta dai suoi pensieri.

 

Martina Maroni 27 Gennaio 2:16 PM

  Lo odio! Io odio quel ragazzo! Io non sono che un amico per lui! Non mi considera neanche una femmina! Come ha potuto farmi questo! Io pensavo che mi volesse bene! Non lo volevo ammettere neanche a me stessa, ma mi fidavo di lui, pensavo che non mi avrebbe mai potuto ferire, e invece… lui è come tutti gli altri, è come Marco! Anche lui potrebbe farmi delle promesse e poi spezzarle! O potrei fare in modo io che non le porti a termine! Non voglio, non voglio innamorarmi mai più! Non voglio più essere delusa, dopo aver puntato tutto su una persona! Non voglio più farlo, e non lo farò! Ma perché, se non voglio più innamorarmi, mi sento offesa nell’intimo da lui? Perché sto scappando? Perché sto piangendo se lui non mi considera una papabile ragazza? Perché i miei sentimenti sono così contrastanti e così intricati? Io… non so più nulla! Non so più chi io sia! Non so più cosa voglio! Perché non riesco neanche più ad ascoltarmi? Basta! Basta! Non voglio pensarci. Non voglio più! Non voglio più!

 

Stava correndo lungo il Lungo Castellano, quando si rese conto che era inseguita.

  Non si voltò neppure: sapeva per certo che era Tom.

  Martina accellerò ancora di più. Sapeva che non avrebbe resistito per molto, ma se fosse riuscita ad arrivare alla vecchia cartiera papale e quindi sul livello del torrente Castellano, avrebbe avuto il vantaggio di conoscere la zona molto meglio di Tom, e quindi più possibilità di seminarlo o perlomeno riuscire a nascondersi fino a quando non avrebbe rinunciato.

  Tom, che aveva impiegato qualche secondo prima di partire all’inseguimento della ragazza, ora stava cercando di risparmiare le energie, ben sapendo che Martina voleva portarlo in un terreno che le era più congeniale.

  Martina scese a spron battuto la ripida strada che portava al vecchio edificio ristrutturato, rischiando un paio di volte di cadere e rompersi l’osso del collo, poi prese il largo sentiero che costeggiava il fiume, dirigendosi in direzione delle montagne.

  Con rapidità attraverso lo strano ponte, per metà formato da una stretta ma robusta lamina di metallo, simile ad una grondaia, mentre per l’altra, ossia per la metà che portava dal grande blocco cilindrico di cemento fino all’altra riva, fatto da larghe assi di legno, abbastanza instabili. Non era un ponte attraversabile molto rapidamente per chi non vi era abituato, ma non per Martina. In fondo, era da quando era una bambina che andava lì, ad esplorare il territorio e fare il bagno.

  Sempre spingendosi al massimo, seguì il sentiero, ora fattosi più molto stretto, e con un agile balzo atterrò sul basso muretto, per poi lanciarsi oltre e continuare a seguire il sentiero, sfrecciando a busto chinato sotto il vecchio albero caduto, fino alla pozza d’acqua dove d’estate aveva fatto e continuava a fare il bagno e tuffarsi.

  Tom, anche se a fatica, riusciva a inseguirla, e fu seriamente preoccupato nel vederla arrampicarsi sulla ripida scarpata, nonostante avesse notato che nella terra erano stati abbozzati dei primitivi fori per i piedi.

  La scarpata, formata da un accumulo di terra al fianco di un muro che, a occhio e croce, poteva anche essere d’origine romana, portava sino in cima a quella specie di diga, poi offriva due possibilità: attraversare il fiume in equilibrio sul muro, con la possibilità di cadere a capofitto nella pozza sottostante, oppure continuare per il sentiero.

  Martina, nonostante fosse allo stremo delle forze, decise di continuare per il sentiero, visto anche il fatto che il giorno prima aveva piovuto ed ora il fiume scorreva limaccioso e pieno di detriti come piccoli arbusti e rami d’albero.

  In quel punto il sentiero digradava, dopo una breve discesa, in un prato, delimitato a destra da un’alta parete di roccia calcarea e a sinistra dalla fitta vegetazione, composta d’alte canne e alberi vari, inframmezzati da rovi, oltre la quale scorreva il corso d’acqua.

  Si voltò per controllare se Tom la seguisse ancora e si rese conto che era molto più vicino di quello che sperava.

  Spinta ormai solo dalla disperazione, Martina corse lungo il sentiero fino ad arrivare ad un bivio, dove prese lo stretto sentiero più discosto.

  Sapeva che era cieco e talmente stretto che a fatica sarebbe riuscita a passarci una persona alla volta, ma da lì avrebbe potuto tuffarsi in acqua per passare dall’altra parte, visto che c’era una pozza d’acqua abbastanza profonda, oppure gettarsi tra l’erba alta e gli asparagi selvatici e cercare di raggiungere l’altra riva senza bagnarsi troppo. Il suo unico problema poteva essere un vecchio canale abbandonato, che calava a picco sulla pozza d’acqua dalla parete rocciosa, che in quel punto curvava verso il sud, ma non voleva pensarci. Lei aveva deciso per la via umida.

  Stava per tuffarsi quando si rese conto che doveva cercare di seminarlo nascondendosi e non scappando, così si gettò tra l’erba alta che costeggiava il sentiero e, molto lentamente, cominciò a strisciare, con estrema prudenza, verso il canale.

  Tom, giungendo alla fine del sentiero, si guardò attorno, cercando con lo sguardo di rintracciare la ragazza.

  Intanto Martina strisciava verso il canale. Avrebbe potuto aggirarlo, ma sarebbe stata allo scoperto per troppo tempo, e lui l’avrebbe notata certamente, mentre se avesse attraversato il canale sul piccolo ponticello arrugginito, certo, avrebbe corso il rischio di cadere e farsi molto male, ma in pochi secondi sarebbe stata di nuovo al riparo tra l’erba.

  Giunta alla recinzione, Martina passò per un’apertura di questa poi, in fretta, attraversò il malconcio ponte.

  Sotto il suo peso, il ponte cominciò a scricchiolare, poi, di schianto, cedette alla pressione.

  Martina sentì il terreno mancarle sotto i piedi e gridò.

  Tom, che stava tornando da dove era venuto, immediatamente si voltò, e vide una forma umana scivolare a gran velocità dentro il canale prosciugato, per poi cadere di schianto nella pozza d’acqua sottostante.

  "Martina!" gridò, gettandosi in acqua senza la minima esitazione, mentre vedeva la sagoma dell’amica affondare sempre più.

  Il ragazzo prese fiato e s’immerse.

  Quando Tom tornò in superficie, teneva stretta a sé la ragazza, svenuta.

  Tornato a riva, la portò sin sul prato che costeggiava il sentiero principale, per controllare le sue condizioni.

  A parte parecchie abrasioni abbastanza profonde ed un grosso bernoccolo sulla tempia, non aveva subito danni.

  "Ehi, Martina, mi senti?" disse Tom, scotendola per le spalle.

  Sentendo che si stava riprendendo, le passò un braccio attorno alle spalle e la fece appoggiare a lui.

  La ragazza, piano, riaprì gli occhi, poi si voltò di lato per sputare l’acqua che aveva inghiottito.

  "Tom, mi dispiace" sussurrò, dopo essersi accasciata di nuovo contro di lui.

  "Non pensarci ora. L’importante è che tu stia bene."

  Martina annuì, poi lo guardò con gli occhi umidi.

  "Sono una sciocca, vero?"

  Tom scosse il capo.

  "No, sono stato io lo sciocco. Ti ho trattato come se tu non fossi la bella ragazza che sei. So che non riuscirò mai a capirti, ma questa cosa l’ho capita. Tu non volevi essere considerata una che ci provava, ma scusandomi ho negato il tuo essere una ragazza."

  "Ho davvero fatto questo?"

  "Se ho capito bene quello che passa per la testa di una ragazza, credo proprio di sì, Martina."

  "Ah. Che stupidaggine che ho fatto."

  "Non importa."

  "Sei troppo buono con me."

  "Ma io ti voglio bene! Perché mi dovrei comportare diversamente?"

  "Tu… mi vuoi bene?" chiese Martina, irrigidendosi. Non voleva sentire quelle parole. Le suonavano troppo come una promessa.

  "Sì."

  "Come puoi volere bene ad una come me?" disse la ragazza, con energia.

  "Perché sei fantastica."

  "No, sono soltanto una con un pessimo carattere" disse lei.

  "Non hai un pessimo carattere. Sei speciale, tutto qua, e come tutte le persone speciali, risulti molto spesso incompresa."

  Le parole dette dal ragazzo la colpirono in pieno. Con voce bassa disse:

  "Come fai?"

  "A fare cosa?"

  "A sapere sempre che cosa dire o che cosa fare."

  "No, io non so sempre cosa fare e dire."

  "A me sembra di sì. Tom, che ore sono?"

  "Non preoccuparti per l’orario."

  "Ma i tuoi allenamenti?"

  "Non fa niente."

  "Il mister ti lincerà."

  "Non importa. Piuttosto, credo che dovrò portarti al Pronto Soccorso."

  "Dai, non esagerare Tom, non mi sono fatta niente.

  "Lo vedremo subito. Ce la fai a camminare?" disse Tom, che fino a quel momento l’aveva sostenuta.

  Lei sembrava non essersi accorta di questo fatto, seppure si fosse riappoggiata a lui di sua spontanea volontà, appoggiandogli il capo su una spalla, alcuni minuti prima.

 

Tom Becker 27 Gennaio  ore 2:59 PM

  Che bella sensazione sentirla contro di me. E’ stato fantastico. Comunque, ha fatto davvero un volo pauroso da quel canale! Chissà cosa le è preso, per spingerla a fuggire come se avessi la lebbra. Non può essere stato solo il non averla considerata una ragazza. Credo che mi nasconda qualche cosa. Ma cosa? Cosa può averla spinta a fuggire da me? E la sua reazione quando le ho detto che le voglio bene, ora che ci penso, non sembrava molto positiva? Possibile che io non gli interessi? Ma certo! E’ per questo: mi sta chiudendo ogni porta per farmi capire che non è a me che è interessata. Ma allora perché viene agli allenamenti? Forse per vedere qualcuno che gli interessa?Certamente non me ne ha parlato perché mi sarebbe potuta sfuggire qualche parola con il diretto interessato. Certo che sono proprio tardo! E’ innamorata di qualcun altro.

 

 Martina Maroni 27 Gennaio  ore 2:59 PM

  Sentirlo contro la mia schiena, che emozione! Certo che se questo è un premio per ripagarmi dell’incidente, n’è valsa la pena! E’ stato così premuroso come me… ma cosa sto facendo?! Lui ha detto di volermi bene, ma posso fidarmi di lui? E se mentisse? Se lui fosse come Marco, o anche peggiore? Marco era una cotta, ma quello che provo per Tom è diverso… non potrei mai accettare di essere tradita da lui. Non riuscirei a sopportare la scorrettezza da una persona a cui voglio bene come a lui.

 

  Martina, lentamente, si alzò in piedi, ma si rimise subito giù.

  "Cosa succede?"

  "Fa male la gamba sinistra."

  "Credo che un po’ d’acqua fredda sarebbe una mano santa."

  "Lo penso anche io."

  "Andiamo al fiume."

  "Ma come faccio ad arrivarci?"

  Senza una parola, Tom la prese in braccio.

  Martina, imbarazzata, disse:

  "Lasciami immediatamente! Toglimi quelle mani di dosso!"

  "Ehi, ma che ti prende? Non puoi camminare, allora ti porto io. C’è qualcosa di male?"

  "No, nulla."

  "Non è che per caso ti vergogni di me?"

  "Ma che razza di cretinate vai dicendo!"

  "Allora cosa c’è che non va? Dai, non fare la bambina."

  Martina si arrese e, docilmente, si fece portare al fiume e farsi mettere a sedere sul muretto che delimitava lo stretto sentiero.

  Tom, sfilatosi un calzettone dal borsone, che aveva portato con sè, lo bagnò nel fiume e, con cautela, cominciò a passarlo sulle escoriazioni della ragazza che, nonostante fosse recalcitrante, lo lasciò fare senza opporsi, ma non gli rivolse la parola fino a quando lui l’apostrofò.

  "Senti, che ti piaccia o no, io ti porto al Pronto Soccorso, almeno così ti medicheranno."

  "No, non preoccuparti."

  "Allora ti riporto a casa tua e ti do una rimessa in sesto."

  "Perché?"

  "Lascia almeno che ti fasci le ferite, Martina. Camminando potrebbero riaprirsi."

  "Ma mica casa mia è qua sotto! Hai detto che non posso camminare, giusto?"

  "Sì, ma portandoti a spalla…"

  "Rischieremo di cadere giù, alla rupe che sta sulla pozza della diga."

  "Allora passeremo a guado sulla diga. Ho notato che l’acqua è bassissima in quel punto."

  "Ma poi come faremo?"

  "Ci penseremo lì. Di certo non posso lasciarti qua sotto o lasciarti camminare con le tue gambe fino al centro storico, tanto più che devi anche prendere il pullman per arrivare a casa."

  "Che cocciuto che sei!"

  "Almeno quanto te."

  "E va bene. Andiamo a casa mi Certo che faremo davvero una bella figura in centro, bagnati fradici."

  "E tu, sopra le mie spalle?"

  "Non ci avevo pensato" disse la ragazza, scoppiando a ridere.

  Tom decise che era il momento giusto per trasportarla a casa, così se la caricò in spalla.

  Il ritorno al centro storico fu molto più lento dell’andata. I due non si rivolsero una parola, e solo quando arrivarono nei pressi di Piazza Arringo [NdA: o Piazza dell’Arengo, se vogliamo chiamarla con un nome più ufficioso] Tom si accorse che Martina non gli aveva parlato perché si era addormentata.

  Il ragazzo, sorridendo, andò all’edicola a comprare tre biglietti dell’autobus e con

quel mezzo di trasporto la riportò a casa. 

 

***

 

  La madre di Martina, vedendo la figlia addormentata e ferita sulle spalle dell’amico, sbiancò.

  In silenzio accompagnò il ragazzo nella stanza della figlia per metterla a letto e contattò il dottore.

  Dopo questo, la donna fece cenno al ragazzo di accomodarsi e preparò un the al giovane.

  "Tom, figliuolo, cosa è accaduto?"

  "Abbiamo litigato e lei è scappata come una forsennata sul sentiero che costeggia il Castellano."

  "Non dirmi che è caduta giù dalla diga?"

  "No, ma è scivolata giù per il canale vuoto sotto la superstrada. Ha ceduto il ponticello."

  "E come sta? Sai, Martina mi ha detto che sei un esperto in campo del Pronto Soccorso."

  "Solo qualche escoriazione. Per fortuna, non ho riscontrato fratture."

  "E quel bernoccolo?"

  "Ha battuto la testa ed ha perso conoscenza, prima di cadere in acqua."

  "Oh santo cielo! E’ così da quando è caduta?"

  "No, si è addormentata mentre la trasportavo in centro."

  "Certo che è stata proprio una sciagurata. Gliel’ho sempre detto che rischiava di farsi male."

  "E’ stata solo la sfortuna che il ponticello abbia ceduto."

  "La sua fortuna è stata che tu ci fossi. Le hai salvato la vita."

  "Non l’avrebbe fatto se io non l’avessi offesa."

  "Offesa? In che modo?"

  "Come dire, io le ho fatto capire che non la considero una ragazza, o almeno credo."

  "Cosa le hai detto?"

  "Niente, lei sembrava che ci stesse provando con me, ed io mi sono ritratto. Lei mi ha chiesto il perché e le ho detto che non avrei neanche dovuto pensare ad una cosa del genere perché è la mia migliore amica" disse Tom, un po’ reticente, mentre la carnagione del volto, prima quasi pallida, diventava purpurea fin sulla punta delle orecchie.

  Non farci caso, mia figlia è permalosa, ma soprattutto molto diffidente verso l’amore.

 

Tom Becker 27 Gennaio  ore 4:24 PM

  E così Martina ha un segreto che riguarda la sua vita sentimentale. Non posso credere che si tenga tutto dentro. Non avrei mai pensato che soffrisse, sotto quel volto sempre sorridente.

  

"Se non sono indiscreto, perché?"

  "Questo dovrà decidere lei, se raccontartelo o no, ma fintanto ti dico che è stata molto dura per lei."

  "Capisco, signora Maroni. Mi scusi per la domanda, ma vorrei tanto poter aiutare sua figlia."

  "Sei davvero molto gentile nei suoi confronti. Sai, credo che lei ti consideri il suo unico amico."

  "Ma no! Sua figlia ne ha a bizzeffe d’amici."

  "No, per lei sono solo conoscenti, e di questo ne sono più che certa. Non ha mai legato molto."

  "Eppure è sempre circondata da persone."

  "Sì, ma hanno tutti uno solo scopo. Loro vogliono la sua fiducia solo perché hanno bisogno di lei, e poi buttarla come un calzino sudicio. Tu la conosci da poco, ma per lei è sempre stato così. Lei può sembrare così forte, ma in fondo al cuore molto fragile."

  "Non mostra mai questo lato."

  "No, credo che abbia paura che mostrarsi debole possa esserle fatale."

 

Tom Becker 27 Gennaio  ore 4:43 PM

  Io… non avevo mai guardato Martina in questa prospettiva. Lei non è sempre quella che mostra. Lei appare l’esatto opposto di quello che è. Mi dispiace molto averla ferita.

 

*** 

 

 La forte amicizia tra Martina e Tom, dopo quel pomeriggio, non fu più la stessa.

  Rimasero compagni di banco, ma un po’ tutti si resero conto che non parlavano più tanto spesso come un tempo e, alcuni che avevano visto i due ragazzi insieme il 27 Gennaio e Martina tornare a scuola in giorno dopo con delle vistose fasciature, pensavano che il santarellino, come chiamavano Tom per la sua condotta impeccabile, avesse provato a forzare la vergine immacolata, ossia il nome con cui chiamavano Martina a causa dei vari rifiuti verso moltissimi ragazzi interessati a lei, fino alle botte.

  Quelle voci erano del tutto infondate, ma la storia continuava a circolare e ben presto tutte le ragazze lanciavano occhiate di puro odio nei confronti di Tom, al contrario dei ragazzi, che gli facevano l’occhiolino e approvavano quello, secondo la storia, aveva fatto.

  Diversamente andava per Martina: tutti i ragazzi le rivolgevano frasi di scherno.  Lanciavano frasi come: “Dai, dagliela, se no ti fa nera”; “ Puttana, con lui sì e con me no?”; “ Ha fatto bene quello a farti passare i bollenti spiriti”; “Allora per stasera? Facciamo una botta e via e porto la frusta?”; “ Sei anche tu per il sadomaso, allora”.

  Tom n’era dispiaciuto, ma sapeva che standole accanto avrebbe peggiorato la situazione, così decise di cambiare posto il lunedì successivo al derby contro la Sambenedettese, per evitare che continuassero a prenderla di mira come se fosse una puttana. Il sabato mattina lui aveva l’allenamento, ma decise di lasciare una busta con una breve lettera per spiegargli cosa avrebbe fatto due giorni dopo ed un biglietto per la partita, così entrò in classe, le lasciò un foglio sotto il banco e se n’andò.

 

***

 

 Appena arrivata, Martina mise sotto il banco le sue cose e sentì la busta di carta. La stava aprendo, quando il professore entrò in classe. Decise di attendere fino all’intervallo.

  Martina addentò il panino, da sola nell’aula, mentre apriva la busta lasciata sotto il suo banco. Dalla busta uscirono un foglio di carta con la parte inferiore strappata ed un biglietto per il derby contro la Sambenedettese, confermandole il sospetto che la busta fosse stata lasciata da Tom. 

 

Cara Martina,

per favore, non odiarmi, ma da lunedì io cambierò posto.

Mi metterò a sedere accanto a Yuri, che ti piaccia o no.

Forse non lo accetterai, ma lo faccio per il tuo bene, con

la speranza che i nostri compagni la smettano di farti del male.

Se desideri parlarmi e chiarire questa situazione,

vieni alla partita che giocherò domani.

Il biglietto te lo do io,

E’ nella busta.

Mi farebbe molto piacere poter tornare a chiacchierare

Come prima e chiarire tutta

Questa brutta situazione.

Non ho neppure capito bene cosa

Si sia incrinato nella nostra amicizia.

Per favore, fammi capire e spiegare .

Spero che ci vedremo domani pomeriggio

 

Il tuo amico, Thomas Becker

 

  Martina Maroni  22 Febbraio  ore 10:43 AM

  E così ora mi vuole abbandonare? Lo so che lo fa per il mio bene, ma non voglio! Preferisco ascoltare quelle malelingue, piuttosto che perdere il mio più caro amico. Devo dirglielo, e lo farò domani pomeriggio. So che è pericoloso, soprattutto durante questo derby, ma devo andare. Devo dirgli tutto prima che cambi posto.

 

***

 

 Martina giunse allo stadio tre ore prima che la partita cominciasse, timorosa dei tafferugli che erano solite combinare le due tifoserie ad ogni derby.

  Mancava un’ora e mezza al fischio d’inizio quando, accanto a lei, venne a sedersi Romina, sua compagna di classe appassionata di calcio.

  "Ciao Martina! Ma che sorpresa trovarti qui allo stadio" disse la ragazza, scostando una ciocca dei suoi lunghi capelli neri e ricciuti, dagli suoi occhi, di colore verde spento.

  "Salve Romina" disse la ragazza, a denti stretti, abbozzando un sorriso di circostanza.

  "Allora è vero! Non puoi più negarlo!" disse Romina, guardando il biglietto che la ragazza aveva in mano, timbrato come entrata gratuita.

  "Che cosa?"

  "Che te la fai con quel santarello di Tom Becker. E noi che pensavamo che fosse recchione!"

  "Ma che diavolo stai dicendo?"

  "Il biglietto parla da solo. Solo un calciatore può avertelo dato."

  "E che c’entra con Tom?"

  "Se te l’ha regalato è perché voleva che fossi qui. Quindi è certo che c’è del tenero, e dopo gli ultimi eventi, è certamente una questione di sesso quello che vi lega, con tanto di pratiche sadomaso."

  Martina non ci vide più e, impulsivamente, le diede un pugno sul naso, facendola sanguinare copiosamente.

  "PUTTANA! - gridò Romina – TU SEI SOLTANTO UNA SPORCA PUTTANELLA!"

  "QUI SE C’E’ UNA PUTTANA, SEI TU, ROMINA" disse Martina furiosa, andandosene dallo stadio e sedendosi lì di fronte, aspettando che uscisse.

  Sapeva che l’attesa sarebbe stata lunga, ma doveva parlargli, ma dentro allo stadio non voleva più mettere piede.

  Fu l’allenatore Trappippi a toglierla dall’incertezza. Arrivato in macchina un’ora prima del fischio d’inizio, aveva visto la ragazza.

  "Che ci fai tu qui, megafono dalla chioma lucente? E’ da qualche giorno che non ti vedo più urlare sugli spalti. Hai per caso litigato con Tom? Sembra giù di corda, negli ultimi giorni" esordì l’uomo.

  "Nulla d’irreparabile" disse la ragazza.

  "Ti ha dato un biglietto per la partita, vero?"

  "Sì, ma non mi va di rientrare. Ho litigato con un’idiota."

  "Ma qui non è consigliabile stare. Sai cosa accadrebbe se le due tifoserie s’incontrassero."

  "Sì, me l’immagino."

  "Perché non vieni in panchina, allora?"

  "Dice sul serio?"

  "Certamente. Sei o non sei la nostra tifosa numero uno?"

  "Troppo gentile da parte vostra."

  "Sai, ragazza, mi sono mancate le tue grida, in questi giorni" ammise Trappippi, mentre le passava un braccio sulla spalla e l’accompagnava in campo, verso la panchina.

  "Oggi biglietto di primissima fila, e non si discute, chiaro?" disse l’allenatore, quando notò l’espressione di stupore di Martina.

  "Grazie" disse la ragazza, con gli occhi che le brillavano dalla gioia.

  "Aspettiamo qui. I ragazzi arriveranno a minuti e verranno a fare un po’ di riscaldamento."

  La ragazza annuì e si sedette accanto all’uomo, ridendo come un’idiota, dalla gran gioia che provava.

  Pochi minuti dopo, Tom arrivò, e lei notò immediatamente che stava allungando il collo e girando la testa, in cerca di Martina tra le ampie ali di folla, non immaginando minimamente che la ragazza si potesse trovare seduta in panchina, che si teneva la pancia dalle risate.

  Trappippi notò l’ilarità di Martina e la folle ricerca di Tom e disse:

  "Becker, guarda che la tua bella ti sta aspettando qui, e si sta facendo anche una grassa risata."

  Tom guardò verso la panchina e rimase sorpreso nel vedere una massa di capelli biondi, che mandavano attorno riflessi rosso fuoco, che si scuoteva al ritmo delle risate.

  "Martina! Ma…ma che ci fai sulla panchina?"

  "L’ho invitata io qui" disse Trappippi, provocando un moto di stupore generale. Non era un segreto che, a Trappippi, Martina non fosse molto simpatica, anzi, la trovasse fastidiosa.

  "La ringrazio ancora, signor Trappippi" disse Martina, alzandosi in piedi, visto che era riuscita a calmare l’eccesso di riso.

  "Non c’è di che. Ma tu mi dovresti fare un favore" disse l’uomo, facendole cenno di avvicinarsi.

  "Dica."

  "Dovrai parlare con Tom e tentare di risolvere i vostri problemi. Oggi ho bisogno di lui a pieno regime, ma non lo è da poco prima della fine di Gennaio, l’unico giorno in cui mancò ad un allenamento."

  "Quando?"

  "Adesso."

  "Va bene. Chiarirò tutto" disse la ragazza, annuendo.

  "Tom Becker, segui immediatamente la tua massaggiatrice personale. Oggi ti preparerai insieme a lei" sbraitò Trappippi.

  Sia Tom che Martina rimasero sorpresi dalle parole e la ragazza non poté fare a meno di dare uno scappellotto all’allenatore, prima di andare in uno stanzino vicino agli spogliatoi in compagnia di Tom.

  Il ragazzo si sedette su una panca.

  "No, stenditi a pancia in giù" disse immediatamente Martina.

  "Perché?"

  "Così faccio ciò che devo fare."

  "Ma il mister stava scherzando."

  "Vero, ma la partita è vera, ed eliminando la tensione potrai giocare meglio."

  Il ragazzo fece come le aveva detto e subito lei si diede da fare, massaggiandogli i polpacci, le caviglie e i piedi, seduta sui talloni, dietro di lui.

  Rimasero in silenzio qualche minuto, poi lui disse:

  "Accidenti! Non sapevo che tu fossi così brava!"

  "Non sai nulla di me."

  "E’ vero. Io non so nulla della vera te."

  "Chi indendi?"

  "La ragazza che ha sofferto per amore."

  "Te l’ha raccontato mia madre?"

  "Lei mi ha detto solo che questo era il problema, ma sulla storia non ha detto nulla. Dice che è compito tuo e puoi decidere se raccontarmi o no quella storia che ti ha fatto tanto male."

  I ragazzi rimasero in silenzio per qualche altro minuto, poi:

  "Accidenti, certo che hai fatto un volo…" disse Tom.

  "Non pensavo che cedesse."

  "Ma se mi hai raccontato che d’estate stai sempre qua!"

  "No, alla diga!"

  "Ma conoscevi quel posto!"

  "Certo, ma non bene" rimbeccò lei.

  "Sei stata un’imprudente."

  "Tu potevi anche non offendermi."

  "Se è per ciò che ho detto e fatto, ho più o meno capito il perché, ma la tua reazione è stata molto più che spropositata."

  "Tu mi stavi inseguendo, e non volevo che mi raggiungessi."

  "Ma hai rischiato di farti molto male."

  "E allora?"

  "Sei stata un’incosciente."

  "E tu dovresti capire."

  "Senti, io ho capito di aver ferito i tuoi sentimenti con le mie parole. Insomma, sei una ragazza così bella ed affascinante, forte e determinata, che non pensavo ti potessero scalfire le mie parole. Ma voglio che tu mi capisca: sei la mia migliore amica ed io non voglio provarci con te perché ho paura di perderti. E tu? Tu non provi niente per me?"

  Martina rimase in silenzio.

  "Allora, mi puoi spiegare il perché di quella reazione? Perché sei scappata in quel modo?"

  "Perché… perché… non lo so. Anzi, lo so, ma non posso, Tom. Io non voglio più soffrire."

  "Soffrire? Spiegati, per piacere."

  "Io… io … oh, Tom, mi sento una sciocca a dirlo, ma è una decisione ponderata e cosciente. Io ho deciso di non innamorarmi mai più."

  "Non si può comandare al cuore."

  "Io voglio farlo. Non voglio soffrire di nuovo."

  "Eppure tu stai soffrendo di nuovo."

  "Hai ragione, ma… io voglio tentare."

  " Te lo chiederò ora, poi non tirerò mai più fuori questa faccenda, a meno che tu non lo voglia. Io devo sapere: che cosa provi per me, Martina? Per favore, dimmelo sinceramente" disse Tom, posizionandosi di fronte a lei e guardandola intensamente negli occhi.

  "Io…"

  "Sì?"

 

Martina Maroni 10 Febbraio  ore 2:51 PM

  Quegli occhi. In quegli occhi non c’è nient’altro che affetto, un fortissimo affetto nei miei confronti. E significa che lui mi ama con tutto il cuore, se è vero che gli occhi ne sono gli specchi. Ed io? Io cosa provo? Perché ho fatto una cazzata del genere?Perché, se non perché quelle parole mi avessero ferita così a fondo nel cuore? E’ inutile negarlo, io provo la stessa cosa per lui. In me alberga l’Amore da molto tempo, ma non ho mai voluto ammetterlo a me stessa. Io amo Tom, qualsiasi cosa voglia fare la mia parte cosciente. Io… io non posso vivere con questo peso. Lui mi ha salvato, ha fatto così tanto per me, ed io mi sono comportata da idiota. No, non posso negarlo. Io lo amo, e amore significa fiducia. Amo di lui la sua dolcezza, il suo coraggio, la sua forza, sia la sua bellezza esteriore che quella interiore. Per lui provo un sentimento talmente forte che non può essere piegato per sempre ad apparire come amicizia. Non posso reprimere i miei sentimenti. No, non posso farlo ancora. Devo essere sincera con lui. Mentire mi farebbe solo sentire peggio, ma forse,se glielo svelassi, il dolore passerebbe. Lo farò. Non ho più niente da perdere, ora come ora.

 

"Tom, io…"

  "Martina, se non te la senti non sei costretta a rispondere alla mia domanda. Dico davvero."

  "No, voglio farlo, sia per te che per me stessa. Tom, tu per me sei la persona più preziosa che potessi sperare di trovare. Io mi fido di te, e so che non potresti mai ferirmi di proposito, come non l’hai fatto al bar. Mi dispiace aver frainteso le tue parole e le tue reazioni."

  "Sono felice che mi abbia detto cosa provi per me, con sincerità" disse il ragazzo, con aria delusa.

  "No, aspetta Tom, fammi finire. Io ho sofferto molto l’ultima volta che mi sono innamorata. Mi sono state fatte promesse mai mantenute, per questo io ne ho sofferto moltissimo e avevo deciso di chiudere definitivamente il mio cuore a quel sentimento chiamato amore. Non me la sentivo di soffrire di nuovo, capisci? Ma ciò non ha più importanza. Tu sei riuscito a farmi capire che non tutti tradiscono la fiducia altrui. Mi hai fatto capire che cosa significa amare. Tom, io mi sono innamorata di te, ma non volevo ammetterlo a me stessa perché avevo paura che anche tu mi avresti fatto promesse che poi non avresti mantenuto."

  "Ma perché?"

  "Tu sei un calciatore semi professionista, per di più d’origine giapponese. Avevo paura che tu potessi andartene e dimenticarti di me."

  "No, io non potrei mai dimenticarmi di te, anche se dovessi andare a giocare a Timbuctù."

  "Ora lo so, ma prima avevo paura a fidarmi delle tue parole."

  "Ehi Tom, è ora di andarsi a cambiare per entrare in campo" disse un suo compagno, che finalmente l’aveva scovato.

  "Arrivo!" disse Tom, alzandosi in piedi. Guardò Martina, su cui non aveva posato mai lo sguardo durante quella conversazione.

  "Io ti amo, e nessuna potrà mai prendere il tuo posto nel mio cuore" disse Tom, sorridendole.

  "Ti credo" sussurrò Martina, annuendo.

  Prima di allontanarsi, Tom le porse una mano e l’aiutò ad alzarsi, per poi abbracciarla teneramente.

  "Corri, o si farà tardi" disse Martina, staccandosi con un sorriso.

  "A dopo" disse Tom, allontanandosi verso lo spogliatoio.

  "Tom, questa maglietta è per te, e sei obbligato a mettertela, visto gli eventi che sono accaduti e che abbiamo scoperto grazie al caro Monera" dissero in coro i suoi compagni, lanciandogli una maglietta bianca con una scritta rossa al centro, fatta con una bomboletta spray.

  Martina, dopo la dichiarazione, si era seduta accanto all’allenatore e guardava la partita, sorpresa dall’energia ed allo stesso tempo grazia con cui si muoveva Tom, superiore a prima.

  "Ti sei accorta anche tu che oggi sprizza energia da tutti i pori, non è vero?" disse Trappippi.

  "Sì. Oggi finalmente è sereno."

  "Chiarito tutto?"

  "Sì. Ora è tutto a posto. Esattamente come prima."

  "Io direi, molto meglio di prima."

  In quel momento Tom stava correndo sulla fascia. Improvvisamente si accentrò e da fuori area tirò una cannonata. Il bolide aveva una tale potenza ed una tale velocità che il portiere rimase impietrito mentre la palla s’insaccava alle sue spalle.

  Tom corse sotto la curva e si alzò la maglia, mostrando una maglietta con su scritto in grande: “MEGAFONO UMANO, TI AMO…”, poi il ragazzo le diede le spalle e le mostrò il seguito, scritto in una calligrafia più minuta “…MA GRIDA UN PO’ PIU’ PIANO, O CI SPACCHERAI I TIMPANI”.

  Martina scoppiò a ridere, mentre tutti guardavano sorpresi la stranissima dedica sulla maglia del giovane centrocampista.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Un Nuovo Colpo ***


Capitolo 4:

Un nuovo colpo

 

  Nota dell'Autrice:

  solo una breve precisazione: in questo capitolo la vicenda salta dal Giappone, all’Italia ed alla Francia, quindi gli orari sono dati tramite i fusi orari locali, supponendo che in Giappone ci sia un solo fuso orario e che la Francia e l’Italia dovrebbero avere lo stesso fuso orario. Non ho molte certezze,vi avverto, ma dovrebbe essere così. Se avessi errato, per favore, qualcuno mi segnali questo mio errore.

 

***

 

  Patty se ne stava stesa sull’erba in giardino, a rilassarsi un po’, avvolta in una coperta multicolore in morbido pile. Quel giorno non era andata a scuola. Si era sentita male durante la notte, ma per fortuna Holly era stato al suo fianco e l’aveva convinta a restare a casa, per rimettersi un po’. A lui Patty non l’aveva rivelato, ma spesso di notte sognava l’incidente stradale, il litigio e, soprattutto, vari stralci di quel 14 febbraio. Non riusciva a riconoscere in quell’essere tanto depresso e deciso all’autodistruzione, la ragazza che era stata fino a un anno prima. Sapeva che sarebbe cambiata e che era naturale, ma quella cosa la sconvolgeva, ora che ci aveva riflettuto, e, intimamente, aveva paura di quella parte di se stessa, che prima non sapeva neppure di avere. Ma, per fortuna, si ripeteva sempre, c’era Holly, e il peso di quella che lei chiamava “il mio lato folle e disturbato” era meno gravoso, con il ragazzo al suo fianco.

  Lo stesso giorno della telefonata dei loro genitori, Holly aveva deciso di sistemarsi a casa di Patty, supponendo che fosse ancora scossa dagli eventi. In fondo, era meglio per entrambi vivere in due, dividendo le spese e avendo la reciproca compagnia dell’altro e la cosa pareva funzionare bene, anche grazie al profondo legame sentimentale che li legava l’uno all’altra [NdA: non ancora quello! Quello nei prossimi capitoli, ma moooooooooolto prossimi].

  Erano passate due settimane da quel 16 Febbraio e alle prime ore del giorno seguente, il 2 Marzo, sarebbero tornati a casa i loro genitori, naturalmente se non vi fossero stati dei ritardi.

 

Patricia Gatsby 1 Marzo  ore 2:40 PM

  Stasera dovrebbero rientrare in Giappone i nostri genitori. Strano, ma la cosa mi dispiace un po’. In fondo, io ed Holly ce la stiamo cavando bene insieme. Lui è… così leale e servizievole. Inoltre, durante la nostra convivenza ho notato che cammina sempre meglio e con meno sforzo. Mi sbaglierò, ma secondo me Holly per guarire aveva bisogno di una bell’iniezione di fiducia. Chissà Maggie e Micheal come saranno felici quando lo scopriranno! Io sono sicura che, se continua così, il suo sogno di diventare un calciatore professionista potrebbe ancora realizzarsi. Come sarebbe felice, se ai mondiali potesse giocare anche lui… e sarei davvero felice anche io.

  

In quel preciso istante, Patty decise che era stanca di stare all’aria aperta, così prese la decisione di andare a vedere un po’ di televisione in salotto.

  Si avvolse nella coperta, s’accoccolò in un angolo del divano, poi prese il telecomando, ed accese la televisione.

  Appena l’apparecchio fu entrato in funzione, si rese conto che c’era qualcosa che non andava, da qualche parte nel mondo. Il canale, che aveva scelto casualmente, trasmetteva un telegiornale, dove scorrevano spaventose immagini di un incidente aereo.

  Una voce di una giornalista, che non si trovava sul luogo del triste evento, stava dicendo:

  “… catastrofe si è verificata nel sud della Francia alle 6:30 del mattino, orario locale, le 1:30 del Giappone. L’aereo, partito da Varsavia alle ore 5:30 ora locale, le 4:30 francesi, ed era diretto a Tokyo, dove sarebbe giunto alle ore 3:00 del 2 Marzo, stava facendo scalo sulla pista di Marsiglia, quando una mancata discesa del carrello ha causato la tragedia. L’aereo ha perso il controllo ed è roteato sulla pista fino ad andarsi a schiantare contro un altro aereo, per fortuna ancora vuoto. L’impatto ha causato un incendio ed una conseguente esplosione dei velivoli. Tutte le persone a bordo sono decedute. Il ministero degli esteri francese ha appena comunicato in redazione che sull’aereo erano presenti anche dei passeggeri giapponesi, forse quattro”

  Patty era rimasta impietrita di fronte a quella notizia, mentre silenziose lacrime di dolore le solcavano il volto.

  Sapeva perfettamente quali erano le quattro vittime giapponesi. I suoi genitori, insieme a quelli di Holly, dovevano tornare da Varsavia, con un aereo che doveva fare scalo a Marsiglia, Caracas e Sidney, perché era un volo più conveniente di altri, diretti, e doveva essere partito all’incirca alla stessa ora dell’aereo che in quello stesso momento, carbonizzato e squarciato, giaceva su quella pista a circa 1100 kilometri di distanza da quella casa di Fujisawa, baciata dal sole ma nella quale era scesa un’ombra cupa di disperazione.

  Nonostante si ostinasse a non voler credere alla conclusione a cui era giunto il suo raziocinio, quello in cui viaggiavano i loro genitori doveva essere per forza lo stesso aereo che si era schiantato a Marsiglia. Era impossibile che due aerei partissero insieme, seguendo lo stesso itinerario, tanto meno avere anche lo stesso itinerario, non essendo un volo diretto.

 

Patricia Gatsby, 1 Marzo  ore 2:45 PM

  No, non posso crederci! Io non posso credere che sia vero! Non voglio! Non voglio che la sua… la NOSTRA vita venga di nuovo spezzata! Non posso accettare quello che dice quel telegiornale! In fondo, posso anche aver preso il volo successivo per un qualche motivo. Magari Maggie si è sentita male e torneranno domani. Oppure ho sbagliato giorno. Ma perché sto cercando di ingannarmi! Devo accettare il fatto di essere… un’orfana, così come Holly. Ma perché proprio adesso? Perché proprio a noi una cosa del genere! Ci eravamo appena ripresi da quella storia di un anno fa! Io ancora non mi sento bene per quella sciocchezza che ho fatto! Ed ora questa nuova tegola in testa. Ma perché la vita è così crudele nei nostri confronti? Perché? PERCHE’?

  

 Adesso piangeva come una fontana, e, senza rendersene conto, si diresse verso la credenza dei liquori di suo padre, riparata alla meno peggio da Holly, e prese una bottiglia di whisky.

  Fece roteare il liquido ambrato nella bottiglia, come ipnotizzata, poi strinse gli occhi in due fessure e, con rabbia, scagliò la bottiglia contro il muro, riducendola in frantumi, che si sparsero come proiettili impazziti per la stanza, ferendole le braccia, con cui si stava riparando il volto, per riflesso involontario al pericolo.

  Camminò sui vetri, ferendosi anche i piedi nudi, per raggiungere il telefono e chiamare Holly.

  Patty, anche se in stato di shock e non si rendesse perfettamente di cosa stesse facendo, prese in mano la cornetta e compose il numero dell’istituto in cui studiava Holly.

  "Pronto? Qui l’Istituto Nashikada" disse la voce di una donna, con voce chiara e cristallina.

  "Buongiorno. Vorrei parlare con Oliver Hutton" disse la ragazza, con tono malfermo.

  "Sì, non si preoccupi."

  "La classe…"

  "Non si preoccupi, Holly è una celebrità e sappiamo tutti quale classe frequenta e qual è il suo orario. Chi devo dire che desidera parlargli?"

  "Patty. Lui sa chi sono" disse Patty, con tono distaccato, mentre guardava il suo stesso sangue, che aveva lasciato qualche macchia sul candido pavimento di granito e sul divano.

  "Ok, signorina Patty. Glielo chiamo immediatamente."

   All’altoparlante situato in ognuna delle aule dell’istituto, la voce femminile che aveva risposto a Patty, disse, con voce chiara:

  "Il signor Hutton in portineria. Ripeto, il signor Hutton in portineria. C’è una telefonata per lui."

  Holly alzò la testa, stupito, poi si alzò, lentamente e con qualche lieve incertezza, in piedi.

  "Professoressa Kinik, posso andare?" chiese il ragazzo, con il solito tono cortese e pacato.

  "Va pure, Hutton" disse la professoressa, senza neppure degnarlo di uno sguardo, troppo impegnata a leggere una circolare, che era arrivata in aula alcuni secondi prima.

  Lungo il corridoio, Holly, mentre procedeva zoppicando, rifletteva, curioso, a chi e per quale motivo, voleva parlare con lui.

 

Oliver Hutton 1 Marzo  ore 2:49 PM

  Chissà chi mi vuole parlare. Non deve essere una cosa da poco, se mi hanno telefonato qui a scuola. Che cosa vorranno mai da me. E se fosse Patty, che si sente di nuovo male? Chissà! Comunque, è inutile farsi tutte queste domande, tra poco tutto sarà chiaro.

 

"E’ la signorina Patty" disse la portinaia, vedendo Holly avvicinarsi alla sua scrivania.

  "Grazie Marcy."

  Patty stava attendendo in linea da un paio di minuti, quando Holly rispose alla chiamata.

  "Patty, cosa è accaduto?" chiese Holly, con un tono di voce palesemente preoccupato.

  Quelle poche parole avevano avuto su di lei lo stesso effetto che avrebbe avuto una secchiata d’acqua ghiacciata su una persona addormentata. Fu come se si svegliasse e, perfettamente in grado d’intendere e di volere, parlò.

  "Holly, non è una cosa che si può dire per telefono. Dovresti tornare a casa immediatamente."

  "Ora?"

  "Sì."

  "Ma… cosa mi devi dire, Patty? Non puoi aspettare che io esca da scuola? Manca solo un’ora e tra un’ora e mezza al massimo sarò lì a casa. Non puoi proprio aspettare?"

  Incontrollate, copiose lacrime ricominciarono a scorrere sul volto della ragazza, mentre un nodo le stringeva la gola. Patty cominciò a singhiozzare nel giro di tre secondi.

  Ci fu silenzio da ambo le parti fino a quando un singhiozzo piuttosto violento fece intuire al ragazzo che Patty stava piangendo.

  "Patty, ma tu stai piangendo!"

  "Holly, torna a casa subito, per favore."

  "Ti senti male?"

  "No! Non mi sento male!"

  "Patty, spiegati."

  "Holly, per favore, torna a casa. Torna a casa" disse Patty, scivolando sul pavimento come uno straccio, per poi rannicchiarsi con la faccia a terra, tra i pezzi di tagliente vetro.

  Holly, comprendendo quanto la situazione potesse essere seria, disse:

  "Arrivo subito. Mi raccomando, niente pazzie, siamo intesi?"

  "Sì, non farò pazzie. Non devi preoccuparti per questo" sussurrò Patty, con tono fiacco.

  Holly riappese, poi disse, in fretta, disse alla segretaria:

  "Marcy, devo assolutamente andare a casa. Deve essere accaduto qualcosa di molto grave."

  "L’ho notato, prima, dalla voce che aveva la tua amica. Mi sembrava piuttosto scossa."

  "Lo era."

  "Va pure, Oliver. In fondo, uno strappo alla regola si può anche fare."

  "Non avrà delle grane per questo?"

  "Non preoccuparti. Corri a casa."

  Con un po’ di triste umorismo, il ragazzo disse:

  "Meglio se chiamo un taxi. Se corro sulle mie gambe, non arrivo neanche al primo angolo senza cadere a terra."

  "Ti accompagnerò io" disse la donna, prendendo le chiavi della sua macchina dalla borsa.

  "Ma…"

  "Non preoccuparti. E’ un’emergenza. Il preside capirà certamente - disse la donna sorridendo - E se non lo dovesse capire… amen. Andrò a lavorare alla panetteria di mia cugina Lucy."

  Holly arrivò a casa nel giro di una decina di minuti.

  "Marcy, se lo desideri puoi entrare in casa" disse Holly appena dopo essere sceso dalla macchina.

  "No Holly, devo tornare immediatamente a scuola. A domani, semmai" disse Marcy, ripartendo.

  Holly trovò Patty in uno stato pietoso, distesa e tremante sul pavimento coperto di schegge di vetro, con le mani ancora strette sulla cornetta e lo sguardo perso nel vuoto, mentre alla televisione passavano ancora le tristi immagini di un disastro aereo.

  "Patty, cos’è accaduto?" disse Holly, sollevandola in piedi.

  Nessuna risposta e appena la sua presa si fece più debole, la ragazza scivolò di nuovo a terra.

  Holly, allora, la prese in braccio e la mise sul divano e recuperò la coperta, che era a qualche metro di distanza. Dopo questo, si sedette accanto a lei, passò la coperta sulle spalle di entrambi e l’abbraccio, coprendo interamente entrambi e facendole appoggiare la testa sulla sua spalla.

  Fu allora che Patty sembrò svegliarsi da uno stato di trance, perché ebbe un sussulto, poi lo guardò stranita, come se non avesse notato che era entrato in casa già da qualche minuto.

  La ragazza disse, in un sussurro:

  "L’hai già sentito?"

  "Cosa?"

  "Guarda" disse piano la ragazza, accennando al televisore.

  Holly guardò il teleschermo, ma non riusciva a comprendere quale fosse il nesso tra l’incidente e loro.

  La giornalista giapponese, fuori campo, ad un tratto, riprese a parlare.

  “Notizia dell’ultima ora, ci sono stati appena resi noti i nomi delle vittime del nostro paese. Ringraziamo il personale dell’Aeroporto di Varsavia per la gentile collaborazione. Possiamo confermare il numero di quattro vittime giapponesi. Si tratta di Arthur Gatsby e sua moglie Samatha e di Micheal Hutton e sua moglie Maggie. Ehi Jack, ma questi ultimi non sono forse i genitori d’Oliver Hutton, la celebre stella nascente del calcio nipponico, che ha avuto un incidente stradale più o meno un anno fa?”

  A quelle parole, Holly si sentì morire dentro. Sia i suoi genitori che quelli di Patty erano… morti in quello spaventoso incidente aereo che, a rallentatore, attraversa il teleschermo.

  I suoi occhi scuri si riempirono di lacrime, mentre la sua testa si abbandonava sopra a quella di Patty, e l’abbraccio di entrambi si faceva spasmodico e saldo come l’acciaio.

 

Oliver Hutton, 2 Marzo  ore 3:04 PM

  Orfano. Sono rimasto… orfano. Ed anche Patty lo è. Siamo rimasti soli al mondo. Non abbiamo più i nostri genitori su cui contare. Io ho soltanto lei, e lei ha soltanto me, ora, e non voglio tradire la sua gran fiducia nei miei confronti. Io resterò al suo fianco, succeda quel che succeda. In un istante abbiamo perso tutto ciò che era importante nella nostra vita. E per Patty non è neppure la prima volta. Adesso ho definitivamente preso la mia decisione: abbandonerò la scuola e andrò a lavorare, per provvedere al nostro sostentamento. Saremo come sposati e nessuno ci potrà mai più separare.

  

 "Holly…" disse piano Patty, distogliendolo dai suoi pensieri.

  "Sì?"

  "Posso piangere sulla tua spalla? Io…"

  Prima che la ragazza potesse finire la frase, Holly l’aveva stretta a sé con forza ancora maggiore e piangeva su di lei, così come lei, e i due, stretti in quell’abbraccio, sentirono ognuno la presenza dell’altro, la consistenza di un'altra persona a cui volevano bene, l’unica con cui potevano condividere l’acuto dolore che provavano in quel momento, chiusi in una sorta d’invisibile bozzolo di dolore e lacrime, isolati dal mondo intero.

  Così, stretti l’uno all’altra, caddero in uno stato di torpore, fino a addormentarsi, sempre piangendo.

  Non sentirono neanche il telefono, che cominciò a squillare frequentemente da lì a dieci minuti, mentre il citofono venne messo d’assedio da lì a quattro ore, visto che curiosi e giornalisti giungevano da tutte le parti, nel tentativo d’intervistare la ragazza, visto che a casa Hutton nessuno rispondeva.

 

  Bruce stava facendo un provino per la squadra del Kazudo, a Takasaki, ed era comodamente spaparanzato su una sedia di un bar, quando un uomo disse al proprietario di accendere il televisore.

  Sullo schermo apparvero i rottami fumanti di un aereo e, su un pennone, sventolava una bandiera francese.

 

Bruce Harper 2 Marzo  ore 5:03 PM

  Un altro disastro aereo. Ce ne sono stati già altri tre nell’ultimo anno, ma fa sempre un pessimo effetto.

 

  Improvvisamente la voce di un giornalista disse:

  "E’ pronto il servizio. Ve lo mandiamo."

  Sullo schermo apparve Holly che correva lungo il campo di calcio, al tempo del primo campionato della New Team. Improvvisamente alla sua immagine, gioiosa, venne affiancata quella del padre e della madre, che lo incitavano dalle tribune, insieme a Roberto Sedinho

  "Oliver Hutton, stella nascente del calcio mondiale, in queste scene era felice. Sono passati cinque anni da allora, e, da un anno a questa parte, la sua felicità è stata distrutta, prima da un tragico incidente stradale, in cui il ragazzo è caduto in coma per sei mesi, risvegliandosi solo nell’ottobre scorso, che ha compromesso per sempre la sua carriera agonistica, ed ora questo nuovo colpo. Un nuovo, brutto colpo per il suo equilibrio psichico, come per quello della ragazza che è considerata sua tifosa più sfegatata - sullo schermo l’immagine di Holly che correva era ora affiancata da quella di Patty, che con foga sventolava una bandiera, gridando a squarciagola inni d’incoraggiamento per la New Team – Patricia Gatsby, coetanea d’Oliver Hutton e manager della squadra della New Team nello stesso periodo in cui giocava Hutton. E, macabra coincidenza, lei è la stessa ragazza per la quale Oliver Hutton è stato investito."

  La linea tornò in diretta dalla Francia, dove un inviato stava intervistando un controllore di volo, che, in francese, stava spiegando la dinamica dell’accaduto, avendolo visto dalla torre di controllo.

  Dopo l’intervista, la linea tornò in studio, dove il giornalista continuò a parlare dell’incidente.

  "Una notizia dell’ultima ora: non siamo ancora riusciti a metterci in contatto Oliver Hutton, per intervistarlo" disse il giornalista, a cui era stato passato un foglio con la notizia.

  "Sciacalli! - sibilò un uomo dalla barba bianca e i capelli brizzolati, piuttosto corpulento - Intervistare adesso quei poveri ragazzi! Hanno appena perso i genitori e loro pensano solo al loro stupido telegiornale. Che bastardi che sono, dico bene ragazzo?"

  Bruce era a dir poco gelato dalla notizia, e non aveva notato che l’uomo s’era rivolto a lui.

  Non poteva credere che in un momento una nuova sciagura aveva colpito Holly, ed ora c’era anche Patty, che già era molto giù di morale per l’incidente di Holly e per quel misterioso trentuno ottobre. Nessuno dei loro amici sapeva che cosa avesse spinto i due a non vedersi più, né tantomeno che avevano fatto la pace ed ora abitavano nella stessa casa. Queste cose, Holly non le aveva volute raccontare a nessuno, tranne che a Tom, il suo amico più fidato e, soprattutto, il meno pettegolo della compagnia della Nazionale.

 

  Bruce Harper 2 Marzo  ore 5:07 PM

  Non c’è che dire, per quei due piove sul bagnato. Ma perché la fortuna è cieca mentre la sfortuna ha la vista di un falco? Avrebbero entrambi bisogno di pace, e invece si trovano a dover affrontare anche quest’ostacolo. Poveretti! Se soltanto tornasse tutto come prima di quel trentuno ottobre… cosa sia accaduto tra di loro non lo so, ma è tutto cambiato da allora, e questo non mi piace per niente. Si sono separati ed ora, in questo momento difficile, ce la faranno a riallacciare i rapporti, già così rovinati dal silenzio per oltre quattro mesi? Poveretti, i miei cari amici! Perché la loro vita è stata così terribilmente colpita, per l’ennesima volta? Perché proprio loro?

 

  Bruce decise di telefonare a casa di Holly, visto che il numero di Patty non lo ricordava, ma non rispose nessuno.

  "Ehi, ragazzo, perché non mi rispondi?" gridò l’uomo dalla barba bianca che gli aveva rivolto la parola.

  "Sì?"

  "Cosa ne pensi di quei due?"

  "Che devo andare da loro."

  "Ma cosa stai dicendo?"

  "Sono dei miei amici."

  "Potevi dirlo prima! Salta sulla mia jeep. Voglio sapere anche io come stanno quei due ragazzi."

  "Grazie mille!" esclamò Bruce, stringendogli la mano.

  "Qual è il tuo nome?"

  "Bruce. Sono Bruce Harper. Ed il vostro?"

  "Sono Patrick Horance Tzunoshi, ma puoi chiamarmi Raiden. Era così che ero conosciuto sul ring, quando combattevo per aggiudicarmi il titolo mondiale dei pesi massimi."

  "E’ stato un gran campione di pugilato, il nostro Raiden Tzunoshi. Peccato che poi si ruppe un legamento del braccio" disse il barista, dando una pacca sulla schiena all’anziano uomo.

  "Mi da un po’ fastidio parlarne" disse Raiden.

  "Scusa Raiden, mi è sfuggito."

  "Comunque, ragazzo, sono ancora forte come un leone. Te lo posso assicurare. Ero il migliore."

  "Lo so. Mio padre mi ha parlato spesso di Raiden Tzunoshi. Guardava i suoi match quando era bambino e voleva diventare un campione come lei, ma la vita non ha voluto così."

  "Cosa fa, ora?"

  "Gestisce uno stabilimento termale di sua proprietà."

  "Credo che ci farò una capatina, stasera. C’è posto per me?"

  "Anche due, se mio padre scoprisse chi è lei."

  "Sei un giocatore di calcio?" chiese, notando che il ragazzo si stava caricando in spalla il borsone.

  "Sì."

  "Hai giocato con quell’Oliver Hutton?"

  "Sì, per tre anni."

  "Facevi parte della New Team, allora."

  "Esatto."

  "Andiamo, allora. Devi andare dal tuo amico" disse l’uomo, facendo l’occhiolino a Bruce, mentre gli indicava con il capo la sua grossa jeep rosso fuoco.

 

  Tom stava sorseggiando un cappuccino in compagnia di Martina, attendendo novità da parte di Paola Rossi e Romano Angelici, loro rappresentanti di classe, per sapere se quel giorno si salava1 oppure no.

  Il gestore del locale aveva la radio accesa e stava ascoltando il radiogiornale delle otto.

  “Tragedia aerea a Marsiglia. Un aereo passeggeri si è schiantato sulla pista d’atterraggio dell’aereoporto della città. Hanno perso la vita centrotrentanove persone, ossia tutte le persone a bordo. L’aereo ha perso il controllo, andandosi a schiantare contro un altro aereo, fortunatamente vuoto. I due velivoli hanno preso fuoco e sono esplosi, non lasciando scampo ai possibili passeggeri sopravvissuti. Presto avremo degli aggiornamenti. Ed ora passiamo ad un'altra notizia: il presidente del…”

  "Che brutto modo di morire" disse Martina, prima di sorseggiare un po’ del suo cappuccino.

  "Già" disse Tom, pensando al suo caro amico Holly, che la settimana prima gli aveva spedito una lettera, che aveva ricevuto la sera precedente.

  "Chissà cosa mi avrà scritto?" si disse, aprendo la busta di posta aerea ed estraendo un foglio di carta da lettere bianco. 

 

23 febbraio

Carissimo Tom,

Come va la vita? Io sto molto meglio. Sai, ho finalmente fatto pace con Patty ed ora, visto che i nostri genitori staranno via fino ai primi giorni di Marzo, vivo con lei. Devi sapere che finalmente mi sono deciso a dichiararmi e sai cosa ho scoperto? Che erano già parecchi anni che lei era innamorata di me! Pensare che non me n’ero neppure accorto! Credo proprio che le gomitate maliziose di Bruce fossero un segnale che lui sapesse qualcosa che io ignoravo. Sono sicuro che anche tu te n’eri accorto, non è vero Tom? A proposito, a te come va la sfera amorosa? Mi hai scritto che ti sei messo insieme a quella ragazza, si chiama Martina, giusto? Sono molto felice che finalmente tu abbia trovato il tipo giusto per te. Io sono pazzo di Patty.

E’ solo una settimana che conviviamo (questa parola mi fa un certo effetto) ma sappi che non ho fatto nulla di ciò che potrebbe pensare Bruce, con la sua fervida immaginazione. Io ne sono innamorato e per questo non voglio forzarla a fare cose di cui si potrebbe pentire. Mi raccomando, il fatto che mi sono messo con Patty e che viviamo insieme. Se gli altri lo sapessero non avremmo più un momento di pace. Sai come sono maliziosi Bruce e Benjy, peggio di due pettegole. Come va il calcio? Sarai sorpreso della domanda, ma ho deciso di passare sopra a tutto e ricominciare ad interessarmi di quello che prima era l’unico amore della mia vita. Inoltre, ,secondo Patty, la mia gamba potrebbe tornare quella di prima, ed in effetti mi pare che migliori ogni giorno di più. Se mi allenerò con impegno, tra qualche mese ci rivedremo al campionato mondiale. Ora ti lascio ai tuoi impegni e, soprattutto, al tuo grande affetto italiano. Casomai facciamo anche a scambio di foto. Sono proprio curioso di vedere com’è la ragazza del mio migliore amico!

Tanti Saluti

Il tuo carissimo amico,

Holly Hutton

 

 

  "Si è svegliato!" esclamò Tom, rivolto a Martina.

  "Chi?"

  "Holly."

  "Il tuo amico di Fujisawa?"

  "Esatto. Si è finalmente dichiarato a Patty."

  "E allora?"

  "Erano quasi sei anni che la povera Patty stravedeva per Holly e lui non se n’è mai reso conto."

  "Me è stupido?"

  "Diciamo che non è una cima in certe cose."

  "Ha parlato il grande Tom Stranamore!" disse la ragazza, ridendo.

  "Megy, non mi prendere in giro!"

  "E tu non chiamarmi Megy!! disse Martina, anche se rideva sotto i baffi per quel soprannome che tutti gli avevano appioppato dopo la partita del dieci Febbraio, a causa della definizione di “Megafono Umano”.

  "Dai, tanto lo so che ti piace parecchio questa situazione del “Megafono Umano”! Adesso sei anche una celebrità! Ti chiedono anche l’autografo, per strada, manco fossi me!"

  "Hai ragione. Non mi sarei mai sognata di essere fermata per strada da sconosciuti che mi chiamano “Megy, fammi un autografo”. A proposito, sai che ieri il Corriere Piceno mi ha chiesto un’intervista? [NdA: non mi pare che in zona esista un giornale del genere. Se c’è, chiedo scusa perché non l’ho mai sentito nominare].

  "Cosa ho fatto! Ho creato un mostro!"

  Uno scappellotto lo raggiunse alla nuca proprio quando Paola e Romano entrarono nel locale, annunciando che quel giorno si salava in massa.

  "Chissà cosa starà combinando Holly in questo momento?" disse a mezza voce Tom, prima di alzarsi e seguire i tre fuori dal locale, verso una mattina che si prospettava faticosa, dato che, nonostante la salata scolastica, sarebbe andato ad allenarsi con la squadra, seguito dalla onnipresente Martina, ora più attiva che mai, dato che ora faceva anche da assistente al mister Trappippi, scatenando le frequenti ire dell’allenatore.

   Mark Lenders guardava il mare in tempesta, assorto nei suoi pensieri, con un pesante pallone da calcio tra i piedi, che, nudi, poggiavano sulla ghiaia aguzza della asperità su cui si trovava.

  Si era ritirato in un paesino isolato per qualche tempo e in quel momento non sapeva cosa stava accadendo a Fujisawa. Non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma stava attraversando un momento di crisi, sin dal giorno in cui gli era giunta all’orecchio la notizia che Holly non sarebbe mai più potuto tornare a giocare sui campi da calcio, e questa sua fuga dal mondo del calcio provava il suo profondo stato di turbamento.

   Quella sera si sarebbe dovuta giocare la partita d’andata per i quarti della Champions League tra Amburgo e Marsiglia [NdA: ma guarda tu che combinazione!] e Benji si era alzato presto quella mattina, per fare una corsetta d’allenamento per il parco della città francese [NdA: vi direte “Ma come fa questo a stare sempre nel posto giusto al momento giusto? E’ forse un portiere con doti di chiaroveggenza? Oppure è uno che ha il potere psichico di fare accadere qualcosa ogni volta che tocca terra?Nd***: ehi, MysticMoon, adesso che fai? Cominci a sclerale? Oppure è il Bacardi che ti fa questo effetto?NdA: no! Nd***: allora è che sei proprio una demente!NdA: Risposta esatta! Dieci punti a…Nd***:taglia corto! A parte il fatto che io voglio mantenere l’anonimato. Non li vedi i tre asterischi al posto del mio nome, MysticMoon? NdA:Ok! Stop al delirio folle].

  Stava sul limitare del parco, a riposarsi un po’ prima di riprendere la corsa, quando vide diverse ambulanze che, a sirene spiegate, correvano lungo la strada di maggior importanza della città, inframmezzate da autobotti dei pompieri e automobili della polizia, che si dirigevano verso il più vicino svincolo per l’autostrada che correva da Marsiglia a Tolone.

 

Benji Price 2 Marzo  ore 6:55 AM

   Chissà cosa sarà mai successo? Non mi pare che in zona ci siano incendi o incidenti in zona. Cosa potrebbe mai essere accaduto da spingere tutti questi mezzi a postarsi insieme? Deve essere davvero una cosa grossa e molto distante, se non si vede fumo all’orizzonte. Che sia accaduto qualcosa nelle campagne oppure all’aereoporto? Che ci sia stato… no, non devo essere così catastrofico. Una cosa è essere pessimista, ma questo sarebbe un po’ troppo anche per il mio pessimismo più cupo. Non dovrei pensare sempre al peggio.

 

 La risposta ai suoi interrogativi, Benji l’ebbe a colazione, quando il proprietario del locale arrivo agitando le braccia mentre accendeva il televisore, dove si vedeva una scena raccapricciante, girata da un videoamatore. Si vedeva un aeroplano che atterrava, ma si notava che del fumo usciva dal punto dove, di norma, doveva vedersi il carrello scendere. Dopo quell’istante le immagini erano concitate, ma si vedeva perfettamente che, dopo l’impatto, l’aereo si dirigeva verso un altro aeroplano e dallo scontro si aveva un incendio ed una conseguente esplosione dei velivoli.

  Con sguardo attonito, Benji ripensò a ciò che aveva pensato quella mattina. Aveva immaginato che potesse anche essere un disastro aereo, ma si era dato solo del troppo pessimista. Il telecronista parlava in francese e, se non ci fosse stato il massaggiatore dei portieri, d’origini francesi, non avrebbero capito nulla di ciò che stava dicendo il giornalista.

  "Poveretti!" disse ad un tratto Benjamin Kerk, diventato riserva di Benji da circa due mesi.

  "E’ proprio vero" ammise Karl Menneck, un discreto attaccante di origine polacca, dai capelli neri e gli occhi castani, dall’aria sempre seria- Una vera e propria disgrazia, per quelle povere persone. Saranno morti molti miei compatrioti, in quell’incidente.

  "Terrificante - disse con tono serio Benji Price, addentando un grosso tramezzino al prosciutto, pomodoro e mozzarella - Stamattina ho visto quante forze dell’ordine si sono mobilitate. Deve essere stato un gran macello, all’aeroporto, e credo che la faccenda continuerà per ancora per un bel po’ di tempo. Ci sono stati troppi incidenti aerei in questi ultimi tempi, e sicuramente indagheranno a fondo su questo nuovo caso."

  Jenny, Amy, Julian e Philip erano fuori a fare una scampagnata. Jenny era tornata per le vacanze di Pasqua e gli altri tre avevano deciso di non andare a scuola, per fare un pic-nic alle pendici del monte Fuji.

  Liberi e spensierati, stavano facendo una partita a calcio ragazzi contro ragazze e la squadra formata da Amy e Jenny, contro tutti i pronostici, stavano battendo i due ragazzi. Il fatto era che entrambe le ragazze indossavano un’ampia gonna e, nello scartare i ragazzi, queste svolazzavano a destra e a manca, portando i ragazzi a distogliere lo sguardo, imbarazzati come ladri, mentre le due ridacchiavano e scartavano i loro avversari.

  Quando, stanchi, caddero a pancia all’aria sull’erba fresca, si misero a godersi i caldi raggi solari.

  Per l’immensa felicità dei due ragazzi, Amy e Jenny si avvicinarono ai giovani calciatori e s’accoccolarono accanto a loro.

  "Secondo voi come se la starà passando Holly, in questo momento?" chiese Julian, d’impulso.

  "Un mesetto fa si è fatto sentire per telefono. Era molto giù, ma non mi ha detto il perché" intervenne Amy.

  "E’ chiaro come il sole - disse Philip, chiudendo gli occhi – E’ triste per il litigio con Patty."

  "In effetti, Tom mi ha riferito che quei due non si parlano dall’ultimo giorno d’Ottobre" intervenne Julian.

  "Mi dispiace molto per Patty - sussurrò Jenny – Deve sentirsi in colpa per ciò che è accaduto dall’aprile scorso."

  "Sì, lo sospetto anch’io" disse Julian.

  "Era distrutta, e forse ha ceduto" ammise Amy.

  "O forse, è accaduto una cosa che appare impossibile, almeno ai miei occhi" disse Philip.

  "Cosa?" esclamò Amy.

  "A Holly sono saltati i nervi" disse Philip.

  "Se così fosse, potrebbe aver detto cose che non pensava" ammise Julian, masticando un filo d’erba.

  "Esatto" concordò Philip.

  "Stai insinuando che Holly l’abbia incolpata di quell’incidente?" chiese Amy con tono scioccato.

  Era amica di Holly da parecchi anni, e non poteva credere che lui potesse fare una cosa simile.

  "Sì e no" disse Philip.

  "Cosa vuoi dire?" chiese Amy.

  "Non so, ma secondo me non l’ha incolpata dell’incidente" disse Philip, con l’aria di una persona sicura al cento per cento di quello che stava dicendo.

  "E se c’entrasse un segreto?" disse piano Jenny.

  "Un segreto?" chiese Philip, incuriosito.

  "Qualcosa che magari Patty sapeva e Holly no."

  "A cosa stai pensando, Jenny?" chiese Philip, sempre più incuriosito.

  "Al fatto che forse Patty sapesse che Holly non avrebbe mai più potuto giocare a calcio."

  "No. Patty glielo avrebbe detto subito! Non credo che potesse tenergli nascosta una cosa del genere. Per Holly, Patty è come un libro aperto. Gli racconta tutto" disse Philip.

  "E se fosse stato il medico a dirle di non svelare niente a Holly e lui, dopo averlo scoperto, avesse saputo che lei gliel’aveva tenuto nascosto per un periodo di tempo? Magari Patty l’aveva scoperto prima che si svegliasse dal coma, oppure poco tempo dopo. In fondo, era il 2 novembre quando il dottore ha dato la sua diagnosi a Holly, e quelle due settimane, per Holly, devono essere state certamente lunghe come l’eternità."

  "La tua ipotesi è plausibile, Jenny – ammise Julian – A volte capita che i medici facciano cose del genere. E’ per non peggiorare le condizioni psichiche del paziente, se molto debilitato."

  "Mi dispiace molto che non si rivolgano più la parola. Formavano davvero una bella coppia" disse piano Amy.

  "E’ stata un angelo custode, per lui" disse Jenny.

  Julian e Philip sorrisero divertiti.

  Anche le loro manager, come Patty, erano state i loro angeli custodi, negli anni del campionato delle scuole medie.

  "E voi due? Anche voi avete fatto i nostri angeli custodi" dissero all’unisono i giovani campioni.

  Le ragazze arrossirono, poi si accoccolarono sempre di più ai loro ragazzi, che sorrisero.

  Poi tutti e quattro chiusero gli occhi, per godersi a pieno il calore del sole primaverile, ignari della situazione che si era creata attorno alle case di Patricia Gatsby e Oliver Hutton.

 

  "Allora Bruce, tua madre cucina bene?"

  "Da leccarsi i baffi, Raiden."

  "Mi fa molto piacere!"

  "Non riesco ad immaginare la faccia di mio padre quando ti vedrà!"

  "Credi che mi chiederà un autografo?"

  "No… Te ne chiederà almeno un centinaio, senza contare una grossa foto con dedica da appendere nelle reception!"

  "Non credo di aver mai subito un comportamento simile neanche quando ero una vera celebrità!" esclamò ridendo l’uomo.

  Anche Bruce riuscì a ridere. Il suo motto era “ Anche nelle situazioni peggiori, sorridi”, e ne stava dando una prova in quello stesso momento.

 

  La casa di Patty era assediata dai giornalisti, che suonavano al campanello e picchiavano ai vetri, mentre i due ragazzi dormivano come sassi, troppo scossi e affaticati.

  Erano così giovani, eppure le prove che stavano affrontando erano dei fardelli talmente pesanti da riuscire a schiantare persino un elefante.

  Improvvisamente, tutti i mass media presenti nei pressi della casa si ammutolirono, mentre un uomo dalla carnagione olivastra, che aveva sugli occhi un paio d’occhiali da sole, si avvicinava alla casa di Patty con passo sicuro.

  Erano passati anni dall’ultima volta che quella persona aveva messo piede in quella città, ma tutti lo avevano riconosciuto, ed il pallone che aveva tra i piedi n’era una prova tangibile.

  Suonò il campanello, ma nessuno andò alla porta ad aprirgli, visto che i ragazzi erano ancora addormentati.

  "Holly! Patty! Ehi, Holly sei lì? Ragazzi mi sentite? Ragazzi, sono io. Roberto. Holly! Patty!" si mise a gridare lo straniero, incurante delle telecamere che lo riprendevano e dei telecronisti che commentavano le sue gesta.

  Patty fu la prima a svegliarsi. Immediatamente la ragazza si accorse che era il tramonto e che c’era un gran casino, a causa del telefono che squillava ininterrottamente e delle numerose voci che sentivano parlare e gridare fuori dall’abitazione.

  "Holly! Patty!" gridò ancora Roberto, e questa volta Patty fu in grado di sentire il richiamo del vecchio allenatore di Holly.

  Per un attimo Patty credette di essersela immaginata, quella voce, ma un nuovo richiamo le fece comprendere che quella era la realtà, e soprattutto quale era adesso la loro realtà.

  Trattenne le lacrime e andò ad aprire la porta. All’istante Patty venne accecata da decine di flash, e solo il pronto intervento del brasiliano, che la spinse in casa con modi piuttosto, riuscì ad evitare troppe foto e, soprattutto, troppe domande.

  Patty c’impiegò un minuto buono prima di riacquistare completamente la vista e mettere a fuoco, l’immagine di Roberto, che, come un cospiratore, apriva un piccolo spiraglio nelle tendine della sala ed osservava l’orda di giornalisti che assediavano la casa.

  "Bentornato Roberto" sussurrò la ragazza, prima di abbracciare l’ex campione del Brasile.

  "Vorrei che fosse stato per circostanze benigne, Patty."

  "Lo vorrei anche io."

  "Cosa ci fai qui? Non sai che…"

  "Sì, lo so. Per fortuna volevo farvi una sorpresa e mi trovavo a Tokyo quando ho ricevuto la notizia."

  "Vuoi vedere Holly?"

  "Dov’è?"

  "E’ sotto quella coperta, sul divano" disse Patty.

  "E’ distrutto, vero?"

  "Sì. Lo siamo entrambi."

  "Cosa è successo?" disse, accennando alle schegge di vetro che c’erano sul pavimento e la macchia d’odoroso liquore.

  "Diciamo che mi sono saltati i nervi."

  Roberto la guardò, stupito.

  "Volevi forse farti una bevuta?"

  "Lo ammetto, ne ho avuto la tentazione, ma mi sono resa conto che non sarebbe servito a nulla e la rabbia ha preso il sopravvento. Mi sono sentita così… impotente… e debole."

  "Capisco perfettamente, Patty. Quando morì mia madre, mi sentii esattamente come te."

  "Svegliamo Holly?"

  "No, lascialo dormire."

  "Se non ti dispiace, vado a fargli compagnia."

  Di nuovo Roberto le rivolse uno sguardo stupito, poi sorrise con aria sorniona ed annuì.

  Patty gli fece un sorriso stiracchiato, poi si ficcò sotto la coperta ed abbracciò di nuovo Holly, cadendo nuovamente in un profondo sonno senza sogni.

  Roberto li guardò, e sorrise con aria comprensiva. Patty era una ragazza forte, lo aveva sempre saputo, ed anche adesso sembrava possedere molta forza, abbastanza per condividerne una parte anche con Holly.

 

***

 

 Nota dell'Autrice:

  piaciuto questo quarto capitolo? Lo so, li sto facendo soffrire come cani, e sembra che capitino tutte a loro, ma serve per portare al finale. No, non vi lascerò troppo presto con questa storia, visto che la sua ideazione sarà davvero molto lunga, dato che voglio mantenere uno standard di lunghezza abbastanza buono, ossia almeno oltre le quindici pagine a capitolo, e farò di tutto per mantenermi su questa lunghezza. Vi sarete chiesti “E Bruce con il pugile che c’entravano in questo capitolo?”. La risposta è un po’ sciocca: per la lettera di Tom avevo bisogno di una pagina intera di Word, dato che la volevo fare precisa sul mio pc, per cui o allungavo da qualche parte oppure accorciavo, sempre di una mezza pagina di Word, quindi… diciamo che Raiden s’è introdotto per forza nella storia e forse non sarà presente solo in questo e nel prossimo capitolo, visto che è un buon personaggio.

  Una cosa: in questa nota vorrei parlare per un attimo del termine “salare” dato che, poco tempo fa, mi sono trovata davanti ad almeno quaranta modi di indicare il fatto di saltare una giornata scolastica. Mi pareva abbastanza “nazionale”, ma non essendo certa che tutti lo comprendessero, credo che sia stato saggio spiegare il verbo.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Il Bene più Prezioso che C'è ***


Capitolo 5:

Il bene più prezioso che c'è

(parte prima)

 Nota dell'Autrice:

  allora, chiedo scusa per il piccolo errore di giorno fatto nel capitolo precedente. In quello tutto si svolge il primo di marzo, e non tra il primo ed il secondo giorno di Marzo.

***

 Il telefono dell’albergo in cui alloggiava la squadra dell’Amburgo squillò quando i ragazzi della squadra avevano appena finito di fare pranzo e stavano per ritirarsi nelle loro stanze.

  Benji, con altri due suoi compagni, stava passando di fronte al bancone della portineria, quando videro il mister parlare con il direttore.

  Incuriosito, si avvicinò.

  "Oh, Price, proprio te cercavamo. C’è una telefonata dal Giappone. Un certo Bruce Harper." 

  Benjamin Price 1 Marzo  ore 1:03 PM

  Bruce?! Chissà cosa vuole Bruce da me? Che sia successo qualcosa d’importante? Certamente non sarebbe riuscito a contattarmi, se non avesse urgenza di dirmi qualcosa. Speriamo che non siano brutte notizie… Ma cosa vado mai a pensare! Perché sono sempre così tremendamente pessimista!

 

"Pronto?"

  "Ciao Benji, sono io, Bruce."

  "Oh, che peccato! Pensavo la regina Elisabetta che mi voleva fare baronetto" disse sarcasticamente Benji.

  "Non scherzare. Qui la cosa è molto seria."

  "Cosa è successo?" facendosi scuro in volto.

  "Dovresti saperlo meglio di me, dato che sei tu quello in città."

  "Cosa vuoi dire? E cosa c’entra adesso Marsiglia?"

  "Che…"

  "L’aereo, non è vero?" lo precedette il portiere.

  "Sì."

  "Chi?"

  "I genitori di Holly e Patty."

  La gola si seccò al portiere, al ricordo dell’ultima volta che aveva visto quelle quattro persone in vita, qualche mese prima.

  "E’ terribile."

  "Sì, terribile" confermò Bruce.

  "E come stanno loro due?"

  "Non lo so. Provo a telefonare da Holly, ma nessuno risponde."

  "Ci credo. Sarà certamente assediato dai giornalisti. In fondo, Holly è una mezza celebrità."

  "Come se la caveranno, tutti e due, ora che sono orfani?"

  "Lavoreranno."

  "Credi che Holly lo possa fare?"

  "Troveranno entrambi il modo di cavarsela, non preoccuparti. Sono entrambi delle persone forti. Supereranno anche quest’avversità."

  "Speriamo… Senti, non è che tu potresti contattare qualcuno? Io ho provato a telefonare a Tom, ma non mi risponde nessuno."

  "A casa?"

  "Sì."

  "Bruce, non pensi ad una cosa?"

  "Ossia?"

  "Che Tom sarà ancora a scuola oppure all’allenamento. Inoltre mi ha detto che di solito mangia fuori casa."

  "Sai come rintracciarlo?"

  "Certamente. Ho il suo numero di cellulare. Lo contatterò appena possibile."

  "Ora non puoi?"

  "Ho il telefono di sopra."

  "Ok. Allora… arrivederci, Benji. Verrai alla funzione, vero?"

  "Non mancherò. Dillo pure a Holly."

  "Va bene. A presto" disse il ragazzo, riattaccando.

  Tom e Martina, dopo essere usciti dall’allenamento prima del solito, si erano accordati per andare a prendere qualcosa da mangiare ad una pizzeria al taglio e mangiare su una panchina.

  Mentre percorrevano le strade della città, fianco a fianco, però, incontravano molti sguardi incuriositi, come se avessero qualcosa che non andava.

  Fu un bambino biondo e grassoccio, di circa tre anni, che camminava in compagnia della madre, a farglielo capire.

  "Spoccaccione! Non si tene la bottega aperta."

  Tom arrossì come un peperone, mentre Martina rideva come una pazza nel vedere Tom, con le orecchie rosso fiamma, armeggiare goffamente con quella zip capricciosa.

  "E non ridere!" sbottò lui, mentre la ragazza era ormai piegata in due dal dolore al ventre provocato dal troppo ridere, mentre irrefrenabili lacrime di divertimento le solcavano il volto.

  "Non è affatto divertente, Megafono Umano" disse lui, ben sapendo che avrebbe scatenato la furia omicida della ragazza.

  "Come osi! - sbottò lei – E poi, soltanto un idiota non saprebbe chiudere una zip! Lascia fare a me."

  Un Tom al culmine dell’imbarazzo boccheggio, nel tentativo di negare alla ragazza di chiudergli la lampo come se fosse un bambino delle elementari [NdA: e non credo solo per quello!], ma Martina si oppose, prese la zip tra le dita e diede un energico strattone verso l’alto.

  Forse troppo energico, dato che la cerniera lampo rimase nella mano di una sconvolta Martina, mentre Tom, con gli occhi grandi come piattini da caffè, fissava la colpevole.

  "Ci ho messo un po’ troppa energia, vero?" chiese con voce sottile la ragazza, facendo qualche passo indietro, terrorizzata dal fatto che vedeva Tom cominciare a sbuffare come un toro che si prepara ad attaccare, cosa mai accaduta con lei prima di allora.

  Nessuna risposta.

  "Ti senti bene?" sussurrò la ragazza, allontanandosi sempre di più da Tom.

Ancora nessuna risposta.

  "Tom?"

  "TI AMMAZZO!" gridò Tom, furente, lanciandosi contro la ragazza, che scappò via a gambe levate, nuovamente in direzione del luogo dove era fuggita poco più di un mese prima.

  Questa volta, però, Tom sapeva dove andava e come era fatto il terreno, quindi, con rapidità, l’afferrò sul ponticello, prima che potesse gettarsi a rotta di collo per lo stretto sentiero che costeggiava il Castellano.

  "PRESA!" esclamò lui, afferrandola per un polso, ma perdendo irreparabilmente l’equilibrio.

  Tom oscillò pericolosamente sul ponticello, pensando solo a tenere salda la sua presa sul polso di Martina, ma uno strattone in avanti della sua ragazza lo fece sbilanciare ulteriormente e cadere rumorosamente in acqua, trascinandosi dietro una recalcitrante Martina.

  Per fortuna l’acqua era molto bassa, ma questo non impedì ai due di finire bagnati fradici e infreddoliti, l’una sopra all’altro.

  "Tom…"

  "Sì?" disse il ragazzo, a cui i bollenti spiriti erano passati [NdA: e direi! L’acqua era gelata! :-P].

  "Se volevi farti una nuotata, potevamo andare più in là! E, magari, a maggio o giugno!"

  "Scusami, Martina" disse Tom, sinceramente dispiaciuto per averle fatto fare quel bagno fuori programma.

  "Sono stata io a combinare il guaio."

  "Ma io non me la sarei dovuta prendere."

  "E’ colpa mia."

  "No, è mia!"

  "No, mia!"

  "Martina, ma ti rendi conto che stiamo litigando di nuovo? E, colmo dei colmi, lo stiamo facendo per decidere chi di noi due abbia la colpa del nostro litigio precedente?"

  "Strana come cosa, vero?" disse lei, fresca fresca.

  "Tu sei sempre strana!" disse lui, trattenendosi dal ridere, mentre scuoteva la testa rassegnato.

  "Ha parlato Mister Normalità, che mi dedica un goal allo stadio chiamandomi Megafono Umano!"

  "Non è colpa mia se hai una voce così forte!"

  "Ho una voce bellissima!" disse lei, indignata.

  "Ma su questo non ho dubbi. La tua voce è musica per le mie orecchie.

  "Adesso non fare il lecchino, oppure potresti spingermi a torturarti" disse lei, avvicinando il volto a quello di Tom, con uno dei suoi sorrisi poco raccomandabili dipinto in volto.

  "Cosa hai intenzione di fare, Martina Maroni? Approfittarti di questo povero calciatore a mollo?"

  "Chissà. O magari, pizzicarlo fino a quando non mi molla questa cappero di polso, che comincia a farmi male."

  "E dove si troverebbe?"

  "Magari sotto la tua schiena?"

  "Ah" disse lui, liberandole il polso.

  "Bene, e adesso… tortura!" disse lei, cominciando a fare solletico al centrocampista, che, impotente, rideva come un pazzo e si contorceva, cercando di spostarsi da sotto la ragazza.

  Tanto tentò di liberarsi che alla fine riuscì a togliersela di dosso e a capovolgere la situazione.

  "Adesso chi è il capo?" disse lui, dopo averla bloccata sotto di lui con il peso del proprio corpo.

  "Sì, sì, lo so. Il capo sei tu, Tom. A proposito, proprio belle le mutande a palloni da calcio" disse lei, che aveva notato che durante la caduta i jeans del ragazzo si erano anche strappati.

  Tom arrossì di nuovo, poi un improvviso pensiero gli attraversò il cervello come un fulmine. 

 

Tom Becker 1 Marzo  ore 13:46 PM

  Cosa cappero sto facendo? Se qualcuno ci vedesse, certamente fraintenderebbe. Insomma, un ragazzo ed una ragazza, bagnati fradici, l’uno sopra all’altra, non è esattamente una situazione convenzionale né tantomeno è una situazione poco fraintendibile. Se qualcuno ci vedesse…

  Immediatamente Tom si tolse di dosso alla ragazza e l’aiutò a mettersi a sedere nell’acqua, poi la prese in braccio e la portò fuori dal corso c’acqua, facendola sedere sul cemento del ponticello, per poi affiancarla.

  "Sei bagnata fradicia" disse piano lui.

  "Ma dai! Non ci avevo fatto caso!"

  "Se avessi qualcosa d’asciutto, te lo darei.

  "Un po’ d’acqua non ha mai fatto male a nessuno."

  "A parte forse prendersi una polmonite?"

  "Forse" disse lei, sorridendo.

  "Non scherzare. Mi preoccupo seriamente per la tua salute."

  "Non dovresti preoccuparti, invece."

  "L’acqua è gelida."

  "Ma io sono di tempra forte."

  "Ah, questo lo so. Ma mi preoccupo ugualmente."

  "Io mi preoccupo più che altro per il fatto che tu non possa di certo andare il giro con i pantaloni rotti."

  "E allora?"

  "Non mi conosci? Io sono pronta a tutto."

  "Cosa? Puoi tradurre le tue parole anche per i comuni terrestri?!"

  La ragazza non rispose, ma si cavò di tasca una minuta scatolina metallica.

  "Cosa sarebbe?"

  "Guarda!" disse lei, aprendogliela sotto il naso.

  "Ma… è una scatolina con ago e filo. Non vorrai mica…"

  "Senti, bello mio, o ti cucio i lembi dei pantaloni insieme e poi tu lo tagli quando arrivi a casa, oppure giri per Ascoli con le mutande a palloni da calcio in bella mostra. A te la decisione, Tom Becker" disse Martina con un tono che sottoindendeva l’ordine di prepararsi al rammendo dei pantaloni, che lui volesse oppure no.

  "Devo proprio?"

  "E’ una tua decisione. Puoi anche non seguire il mio saggio consiglio" disse Martina con l’aria di una che voleva anche aggiungere “ma se non lo farai, me la pagherai cara”.

  "E va bene! Ma attenta a non pungermi!"

  "Con tutto il sospensorio, sarai ben protetto."

  "Ma io ora non lo indosso!"

  "Ma la borsa ce l’hai, e so che te lo metti regolarmente."

  "Ma sai tutti i fatti miei, Martina? Va bene che stiamo insieme e dai una mano al mister, ma questo non ti autorizza a frugare tra le mie cose!" disse lui, arrossendo violentemente.

  "Scusa Tom, ma chi credi che te l’abbia lasciato in portineria, dopo che te l’eri dimenticato, la settimana scorsa?"

  "Ma non potevi sapere che era mio!"

  "Quanti Tom ci sono in squadra?"

  "Ma non c’era scritto il mio nome."

  "Tu non ce l’hai scritto, ma Renzi non era della tua stessa opinione, e ha fatto una cosa giusta, una volta tanto."

  Tom divenne rosso fuoco, per l’ennesima volta, mentre ringhiava un “Se l’acchiappo…”

  "Per non offendere il tuo orgoglio di maschietto, mi potrai bendare e portare dove non ti possa vedere, ok?"

  "Volevi pure guardare? - disse lui, sorridendole da dietro, mentre toglieva la maglietta bagnata dalla borsa e la bendava - Non ti sposterò da qui, ma non cercare di sbirciarmi, ok?"

  "Va bene, capo."

  Tom stava per andare dall’altra parte del ponte, dove c’era una vegetazione abbastanza fitta da nasconderlo, quando decise che doveva pur ringraziare Martina in qualche modo, così le posò una mano sotto il mento e le fece voltare il volto, poi le sfiorò le labbra con un bacio delicato, che, dato il fatto che la ragazza rispondeva con passione, divenne sempre più appassionato, poi si allontanò, lasciandola con il sorriso in volto.

  Tom fu di ritorno in pochi secondi e tolse la benda alla ragazza, che lo guardò con malizia.

  "Ma tu non sai baciarmi senza usare trucchi?"

  "Oh, ma così è molto più divertente!"

  La ragazza sorrise, poi prese ago e filo ed, in pochi minuti, non senza alcuni gridi di dolore da parte di Martina che si pungeva con l’ago, dove prima c’era una cerniera lampo ora c’era un’intricata foresta di filo bianco, in forte contrasto con i blue jeans del ragazzo.

  "Ma tu non avevi del filo blu?"

  "No, solo bianco. In fondo, devo rattoppare calzettoni e calzoncini bianchi, all’allenamento."

  "Cambiando argomento… tremi come una foglia. Marty, sei sicura di non sentire freddo?"

  "Ma ricominci! Io sto benissimo!

  "Almeno permettimi questa cosa" disse il ragazzo, abbracciandola con fare protettivo.

  "Tom, mi viene quasi voglia di morderti" disse Martina, stringendosi contro di lui, al calduccio.

  "Come mai?"

  "Sei un ragazzo troppo dolce!"

  "Grazie, fiamma della mia vita" sussurrò lui, appoggiando la testa tra i lunghi capelli bagnati della ragazza.

  "Ho un ragazzo davvero galante, e guarda io come lo tratto! Sono una cafona, certe volte."

  "Non m’importa come mi tratti. Io so cosa tu voglia dire. Sono ormai diventato un buon dizionario di Martinese-Italiano."

  "Il mio vocabolario umano" disse lei, sorridendo.

  "Per sempre, sarò il tuo vocabolario. E ti giuro che non ti lascerò mai."

  "No, non dirlo" disse lei, slegandosi dall’abbraccio e arretrando, come se l’avesse schiaffeggiata.

  "No, Martina, voglio dirlo, perché è la verità. Con il pensiero, io sarò con te per sempre. Non ti dimenticherò mai, per nessuna ragione al mondo. Te lo giuro sulla mia stessa vita."

  "No, non giurare."

  "Lo faccio, invece. Io ti amo, Martina. Per me sei la persona più importante del mondo."

  "Oh, Tom! Come fai ad essere così?"

  "Così come?"

  "Così convincente. Io…"

  "Lo so che tu non riesci mai a fidarti completamente delle persone, Martina, ed hai paura che le mie promesse vengano spezzati, ma non è così. Tu sei tutto, per me, e farebbe male a me quanto a te, se le mie promesse non potessero essere mantenute. Ma se dovesse accadere, io lotterò con tutte le mie forze, per impedirlo."

  "Io farei lo stesso, Tom."

  "Lo so, e ci credo."

  "Sei davvero molto innamorato di me, Tom, per sopportarmi."

  "Sei più importante della mia stessa vita."

  "E del calcio?"

  "Certo. Più importante anche del calcio."

  La ragazza, come segno che gli credeva, appoggiò nuovamente la testa sulla sua spalla e l’abbracciò.

  "Come non si può non amare una persona come te, Tom?" sussurrò la ragazza, sorridendo.

  Nessuno dei due, in tutto quel tempo, si era accorto che c’era un altro paio di occhi a guardarli e di orecchie a sentirli. E quegli occhi non esprimevano nulla di buono, brucianti e pieni di lacrime di gelosia.

  "Me la pagherai, sporca puttanella d’una Martina Maroni! Oh, se me la pagherai! E anche il tuo amichetto Tom Becker verrà punito per ciò che sta facendo con te! Tutti e due capirete! Non si scherza mai con me!" sibilò la persona nascosta, mentre fissava quei due giovani, prima uniti in un bacio ed ora stretti in un inequivocabile abbraccio d’amore.

  All’improvviso, il cellulare di Tom, anche se bagnato fradicio, cominciò a squillare debolmente.

  Era Benji.

  "Tom?"

  "Ciao Benji! Qual buon vento?"

  "Un pessimo vento, purtroppo. Ho delle brutte notizie."

  "Dimmi."

  "Hai sentito la notizia dell’aereo schiantato a Marsiglia?"

  "Sì."

  "Sai chi c’era all’interno?"

  "No. Chi?"

  "I genitori di Patty e Holly."

  "Oh mio Dio! Non può essere!"

  "E’ la verità, purtroppo."

  "Sai come stanno?"

  "No. A me l’ha detto Bruce che c’erano anche i loro genitori tra le vittime e non ha potuto contattarli."

  "Sai quando ci saranno i funerali?"

  "No. Appena lo saprò, te lo farò sapere. Magari anche di persona."

  "Grazie mille, Benji."

  "Io direi di partire il prima possibile."

  "E quando?"

  "Per te va bene se prendessi l’aereo che stasera alle nove parte da Parigi e fa scalo anche a Roma?"

  "Per me andrebbe bene. Ma non so a Martina."

  "E chi è?"

  "Te lo spiego in aereo. Aspetta che glielo chiedo."

  "Cosa devi chiedermi, Tom?" chiese la ragazza che, dato che Tom e Benji avevano parlato in giapponese, non aveva capito un’acca della discussione che avevano avuto, tranne un “Aspetta che glielo chiedo” pronunciato in lingua inglese.

  "Ci sono brutte notizie. I genitori del mio amico Holly sono morti in quell’incidente aereo."

  "Oh, ma è terribile!"

  "Devo andare in Giappone con Benji. Mi chiedevo se volevi venire anche tu insieme a noi."

  "E perché?"

  "Così potresti aiutarci anche a consolare Patty. Sai, anche i suoi erano sull’aereo che è precipitato a Marsiglia. E poi, non me la sento di lasciarti qui per non so quanto tempo."

  "Mi chiedo come farai quando sarai in ritiro per i mondiali. Comunque la mia risposta è sì. Verrò con te e con il tuo amico Benji. Così potrò anche conoscere i tuoi amici giapponesi."

  "Benji, verrà anche Martina. A te non da disturbo, vero?"

  "Certo che no. Ci vediamo stasera alle undici, allora" disse il portiere e riagganciò.

  "Come facciamo con Trappippi?" chiese immediatamente Tom.

  "Tu non farti problemi per lui, ma va a casa tua a preparare le valigie e, per favore, contatta anche mia madre e dille che ti seguirò in Giappone."

  "Ti lascerà venire?"

  "Se sono con te, di certo."

  "Come fai a dirlo con certezza?"

  "Tom, ci credi se ti dicessi che ci manca poco che mia madre ti eriga un altare come santo protettore?"

  Dopo un momento di scombussolamento, in cui vide la sua ragazza allontanarsi di corsa, disse:

  "Va bene. Ma tu che farai?" le chiese.

  "Vado a parlare con Trappippi!" disse lei, senza girarsi a guardarlo in faccia, prima di sparire dietro l’angolo a tutta velocità.

  Tom sbiancò, ma non poteva farci nulla. Conosceva bene Martina e la sua cocciutaggine. Sapeva che nulla e nessuno l’avrebbe potuta fermare. Neppure un Trappippi in versione assassina.

  Sospirò, poi si diresse verso casa sua, pronto a fare ciò che la ragazza gli aveva ordinato.

  "Cosa vuoi dire con “Tom deve partire immediatamente”?" chiese Trappippi, sulla soglia di casa sua, dove la ragazza era andata a cercarlo.

  "E’ un’emergenza, mister, e so che lei non gli negherà questo favore."

  "Spiegati meglio, Martina."

  "I genitori di due cari amici di Tom sono morti in un incidente aereo, stamattina, a Marsiglia."

  "Sono morti in quell’incidente?"

  "Esattamente."

  "Allora digli di partire il più presto possibile. Ha il mio permesso. E scommetto che anche la mia assistente mi abbandonerà per seguire il suo centrocampista preferito in Giappone, esatto?"

  "Esatto."

  "Andate pure, ragazzi. Ma, per favore, tentate di tornare per la partita contro la capolista."

  "Ok! E tantissime grazie! Sei il mio mister preferito, Trappippozzo caro!" esclamò Martina, saltando al collo del mister e stampandogli un grosso bacio umido sulla guancia rubiconda, prima di saltare sull’albero che dava sulla cucina e, dopo essere scivolata giù dal tronco come una scimmia, scappare verso la fermata dell’autobus a velocità razzo.

  "Trappippozzo caro?" si chiese lo sconvolto allenatore, guardando con gli occhi sgranati la ragazza dai capelli rossi che bagnata fradicia si era presentata a casa sua e, per attirare la sua attenzione, si era introdotta nella cucina arrampicandosi su un albero e passando per la finestra aperta del bagno, in cui lui aveva appena finito di farsi la doccia.

  Erano le prime luci dell’alba quando il giovane Oliver Hutton aprì gli occhi su un nuovo giorno, il suo primo giorno da orfano. Ed anche il primo della ragazza che si stringeva a lui sotto quella coperta che si erano gettati sulle spalle il pomeriggio precedente.

  Immediatamente il ragazzo ripensò al giorno precedente e incontrollate lacrime gli bagnarono i suoi occhi scuri.

 

Oliver Hutton 2 Marzo  ore 4:59 AM

  Se loro fossero ancora vivi, a quest’ora forse sarebbero già qui e ci avrebbero svegliato per salutarci. Magari ieri sera io e Patty avremmo visto un film e ci saremmo addormentati comunque sotto questa stessa coperta, su questo stesso divano, ma, almeno, noi saremmo stati felici, e non scossi per una perdita di così ingente portata.

  Fece per alzarsi, ma la mano di Patty stringeva con forza la sua maglia e, vedendola così calma e serena, non ebbe il coraggio di destarla e riportarla alla crudele realtà.

 

Un sorriso triste apparve sul volto del ragazzo, mentre osservava meglio il volto e le braccia di Patty, segnati da minuscole ferite. Notando che erano presenti alcune schegge nei tagli, con tutta la delicatezza possibile, cercò di toglierle. La cosa non era semplice, dato che non poteva muoversi troppo senza rischiare di svegliarla. Difatti, poco dopo, Patty aprì gli occhi e guardò il ragazzo che, colto di sorpresa, arrossì.

 

Patricia Gatsby 2 Marzo  ore 5:03 AM

  Ma cosa stava facendo? Mi stava sfiorando il viso. Ah, forse c’erano ancora delle schegge di vetro. E’ probabile. Ho proprio ridotto quella bottiglia ad un ammasso di schegge. E poi, ho anche macchiato il pavimento. Chissà cosa dirà la mamma quando… Ma cosa sto dicendo! Lei non tornerà mai più! Non ci saranno mai più lei e papà a sgridarmi! E neppure per Holly! Nessuno dei nostri genitori tornerà mai più a casa. Siamo soli! Siamo soli! Non abbiamo più i genitori! Siamo orfani e forse ci spediranno in una qualche casa per ragazzi orfani fino a quando non compiremo i diciotto anni d’età. Sarà per poco, ma non credo che resisterei molto in un postaccio del genere. Io… non sono un uccellino da mettere in gabbia. Non ce la faccio a stare ferma e a farmi comandare a bacchetta da una persona che ti rinfaccia il fatto che sei soltanto un peso per lei e che dovrei ringraziare il buon cuore dello stato. No, io non voglio fare quella disgustosa fine! Non voglio! Voglio restare a casa mia, a potermi disperare come voglio e, soprattutto, essere chi mi pare!

  Lei lo guardò negli occhi, poi le lacrime le annebbiarono la vista ed il ragazzo, impulsivamente, abbracciò con forza la ragazza prima che scoppiassero entrambi a di piangere rumorosamente.

  "Holly… è venuto ad aiutarci" disse Patty, con voce sottile, dopo quella crisi di pianto così dolorosa.

  "Chi?" chiese lui incuriosito.

 

Oliver Hutton 2 Marzo ore 5:14 AM

 Chi sarà mai arrivato di così speciale? Sembra che la sua presenza sollevi almeno un pochino Patty. Chi sarà mai venuto? Magari lei ieri si è svegliata, mentre io ho continuato a dormire come un sasso.

 

"Presto lo vedrai" disse la ragazza, alzandosi e stiracchiando le membra, indolenzite dalla notte passata sul divano.

  Anche Holly si alzò, ma una fitta lancinante al ginocchio, che gli fece vedere tutte le stelle del firmamento, lo fece rischiare di cadere a terra. Fortunatamente la ragazza aveva una buona prontezza di riflessi e riuscì a sostenerlo fino a farlo sedere nuovamente sul divano. C’era di nuovo una luce nei suoi occhi, e questa era dovuta al fatto che Holly avesse bisogno di aiuto con quella maledetta gamba che non ne voleva sapere di guarire completamente.

  Si mise a sedere sui talloni, sul pavimento e, senza parlare, sollevò la gamba dei pantaloni del ragazzo fino al ginocchio e cominciò a tastare il ginocchio del ragazzo con aria seria, provocando in lui sussulti di dolore anche al tocco più delicato che poteva.

  Quando la ragazza gli disse di muovere il ginocchio in avanti, il ragazzo obbedì, ma una nuova fitta lo fece gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, tanto che Patty, per farlo smettere, gli tappò la bocca con una mano.

  "Ci hai dormito sopra, Holly. Questa è la mia diagnosi. Dovresti cercare di muoverlo a poco a poco e con calma. Credo che sia consigliabile che tu, per oggi, usi le stampelle."

  "Cosa?!"

  "Vuoi o non vuoi guarire?" chiese lei, con aria severa.

  "Credo proprio che il nostro prode numero dieci non voglia mai più sentir parlare di quegli aggeggi malefici per il resto della sua vita, figurarsi prenderli in mano un'altra volta. Dico bene, Holly?" disse Roberto, entrando nella stanza, con gli occhi impastati dal sonno ma un sorriso smagliante in volto.

  "Roberto! Sei tu! Eri tu la persona di cui parlava Patty!" disse il ragazzo balzando in piedi.

  In un attimo Patty lo afferrò per la collottola e riuscì a sorreggerlo, dato che una nuova fitta rischiava di farlo cadere a terra.

  "Ciao Holly. Accidenti, non ti vedo in gran forma - disse l’uomo, avvicinandosi ai due ragazzi, poi si abbassò fino a sfiorare un orecchio del ragazzo e gli sussurrò maliziosamente - Per fortuna che hai accanto l’angelo del focolare. Davvero un’ottima scelta."

  Il ragazzo avvampò per la vergogna, poi guardò bene il suo vecchio allenatore, che in quel momento non portava gli occhiali.

  "Faccio fatica a riconoscerti, Roberto" disse Holly.

  "Come mai?"

  Patty, comprendendo cosa intendesse dire il ragazzo, sogghignò.

  "Gli occhiali."

  "Cosa c’entrano?"

  "Senza occhiali non sembri tu."

  Holly e Patty scoppiarono a ridere, almeno per un attimo, in quel triste giorno, felici almeno d’avere qualcuno su cui contare.

  

[NdA: d’ora in avanti, quando chiunque di loro parlerà con Martina (tranne Tom), o ******* (personaggio top secret che molto presto avrà un nome e una fisionomia) (tranne Benji), sarà in inglese e loro risponderanno nella stessa lingua ma, visto che sarebbe un po’ scomodo esprimermi in lingua e tradurre… vi prego d’immaginare soltanto che parlino in inglese.]

 

"Ehi, Tom! Sono qui!" gridò Benji, sventolando una mano dal terzo sedile della corsia destra dell’aereo.

  Il ragazzo gli fece un cenno con la mano poi, seguito prontamente dalla fedele Martina, si avvicinò a lui, che gli fece cenno di sedersi in due dei tre sedili liberi accanto a lui.

  "Benji, permetti che ti presenti Martina Maroni" disse Tom, accennando alla ragazza che era accanto a lui.

  "Piacere - disse il portiere, alzandosi in piedi e ricambiando la vigorosa stretta di mano della ragazza – Io sono Benjamin Price, ma tu, come tutti gli amici, puoi chiamarmi Benji."

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 00:02 AM

  Accidenti a Tom! E questa bellezza qua da dove l’ha tirata fuori? E’ uno schianto, per la miseria!

 

"Io sono Martina, come avrai già capito dalla presentazione che ha fatto Tom. Felice di conoscerti, Benji."

  "E saresti…"

  "Lei è la mia ragazza, Benji" disse Tom, passando una mano attorno alla vita della ragazza con fare protettivo, mentre arrossiva come un pomodoro e Martina rideva divertita.

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 00:02 AM

  Porco cane! Me lo dovevo immaginare che fosse la sua ragazza. Ma è proprio bella, non posso negarla. E dalle poche che ha pronunciato, sembra anche una tipa piuttosto spiritosa. Ah, mi dispiace, mio caro Tom, ma d’ora in poi credo proprio che saremo acerrimi rivali. Un bocconcino così gustoso non te lo lascio, senza aver prima combattuto.

 

"Non sapevo che avessi trovato qualcuno, Tom" disse Benji, sorridendo stupito all’amico.

  "Ah, ma tu non sai neppure che Holly e Patty stanno insieme!" disse Tom, sorridendo.

  "Cosa cosa cosa?" chiese Benji, sempre più stupito, guardando con aria ebete il suo vecchio amico.

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 00:03 AM

  Alleluia! Finalmente Oliver s’è dato una mossa con quella poveretta di Patty. Era ora!

 

"Hai sentito benissimo, Benji. Holly e Patty stanno insieme."

  "E da quando?"

  "Sono due settimane, oramai."

  "Ma se non si parlavano più!"

  "Hanno fatto pace, evidentemente."

  "E come mai non lo sapevo?"

  "Holly conosce bene tutti noi nel giro della nazionale, e sa come siete fatti tu e Bruce."

  "Giusta osservazione" disse Benji, sedendosi, come avevano già fatto Tom e la sua compagna.

  "Benji?" disse Martina.

  "Sì?"

  "Mi racconteresti qualcosa del passato di Tom?"

  "Certamente Martina!"

  "E’ sempre stato un po’ goffo?"

  "Tom goffo? No, non lo è mai stato."

  "Strano. Con me è sempre destinato a fare il pagliaccio."

  Benji, che sedeva nel sedile più esterno, fissò prima la ragazza che sedeva accanto a lui, poi il ragazzo imbarazzato che fissava ostinatamente il vetro.

  "Non t’immaginavo goffo, Tom."

  "E’ una sua impressione" disse lui, contrito.

  La ragazza capì che Tom se l’era preso, così l’abbracciò da dietro e lo tirò indietro, fino a quando non se lo trovò con la testa appoggiata alle gambe.

  "Scusami, se ho detto qualcosa di male" disse la ragazza, con la faccia triste.

  "Mi hai definito un pagliaccio goffo" disse lui, imitando l’atteggiamento di un bambino offeso.

  "Scusami tanto."

  "Non basta."

  "Cosa posso fare per farmi perdonare?"

  "Io ce l’avrei un’idea."

  "E quale?"

  "Se mi molli te lo dico" disse lui.

  Immediatamente Martina lo liberò dall’abbraccio, lasciandolo tornare seduto composto.

  "Guardami negli occhi."

  "Tutto qua?"

  "E abbracciami bene, Marty."

  La ragazza sorrise con dolcezza, poi si strinse con forza contro Tom, che ricambiò la calorosa stretta, e lo baciò con passione, sotto lo sguardo di un imbarazzatissimo, oltre che gelosissimo, Benji, che li fissava come due alieni, incapace persino di distogliere lo sguardo dai due.

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 00:07 AM

  Ma Tom vuole mettere alla prova la mia pazienza? Certo, lui non sa che dal primo istante in cui l’ho vista, ho provato attrazione per questa stramba tipa, ma baciarla così, sotto i miei occhi… non è leale! E se continuano così…. Aaaahhhh! Che rabbia mi fa, vederli insieme e in così tenere effusioni! Quanto vorrei essere io quello torturato da questa ragazza! E’ troppo bella, allegra e arguta, per lasciarla nelle mani di un manichino come Tom. Ah, Martina Maroni, molto presto ti dimenticherai di quel beccamorto di un centrocampista!

  

 "Ragazzi, credo che vi convenga allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo per decollare" disse Benji, dopo un po’, nascondendo a stento una nota di profonda gelosia.

  I due si slegarono da quell’abbraccio e fecero come il portiere dell’Amburgo aveva detto loro.

  "Sarà così per tutto il viaggio, Tom?" chiese Benji, sperando che la risposta fosse negativa.

  Il centrocampista arrossì, poi disse:

  "Non preoccuparti, ma sappi che sarà un viaggio molto lungo e molto allegro."

  "Come mai?"

  "Riesce a mettere tutti in imbarazzo con i suoi modi."

  "A proposito, Tom, te li sei cambiato i pantaloni?" chiese Martina, con una sbalorditiva innocenza.

  Il ragazzo passò rapidamente dal rosso carminio dell’imbarazzo al bianco candido del terrore.

  "No" sussurrò, poi abbassò lo sguardo sulla bianca cucitura che svettava dal cavallo dei suoi pantaloni fino al retro.

  "E bravo il pollo!" esclamò Martina, cominciando a ridere.

  "E i miei pantaloni sono tutti nella valigia!"

  "Tanto, pure se si spezza la cucitura, hai il sospensorio no? Posso sempre rifarla, se vuoi."

  "Ehm… mi spiegate cosa state dicendo, in modo che capisca cosa c’entrano un sospensorio con un fantomatico lavoro di taglio e cucito sul cavallo dei tuoi pantaloni?" chiese Benji, continuando a nascondere il suo disappunto per il legame molto forte che legava Martina a Tom.

  "Oggi gli ho rotto la cerniera dei pantaloni, che si era incastrata, in piazza; sono scappata per salvarmi ma lui mi ha acchiappata su un ponticello e siamo caduti in acqua, dove la cerniera si è rotta del tutto e si sono strappati i jeans; io gli ho rattoppato i jeans come potevo poi hai telefonato tu e ci siamo fatti prendere dalla fretta. Credo che questo sia un resoconto breve ma abbastanza soddisfacente della situazione dei suoi pantaloni" disse Martina, parlando come una mitragliatrice in piena attività.

  "Ma non respiri mai?" chiese Benji, scoppiato al ridere nel sentire a quale velocità parlava la ragazza.

  "Ti abituerai" disse Tom, che nel frattempo era arrossito.

  "E cosa c’entra il sospensorio?"

  "Se l’è messo per evitare che nel rammendo gli facessi del male" disse cristallina Martina.

  Fu a quel punto che Benji scoppiò a ridere come un pazzo, incurante degli sguardi che gli altri passeggeri, assonnati, che lo guardavano con aria omicida, data l’ora tarda.

  "Martina, sei troppo forte! – esclamò il portiere – Raccontami ancora che cosa fa Tom in Italia."

  Fu così che Martina gli raccontò per filo e per segno il modo in cui Tom si era dichiarato quel dieci febbraio e la trovata dei suoi compagni, la mitica maglia con la scritta di spray rosso “Megafono Umano ti amo… ma grida un po’ più piano, o ci spaccherai i timpani”.

  "L’hai ancora quella maglia, Tom?" chiese Benji, interessato.

  "No. Scomparve, dopo quella partita, e non l’ho mai più vista" disse Tom, accarezzando i capelli di Martina, la cui testa, piano piano, era scivolata sulla sua spalla.

  "Te la saresti messa anche la partita successiva?" gli chiese il portiere.

  "Non so. Ma è stata molto importante per noi e mi sarebbe piaciuto tenerla come ricordo."

  Guardò la sua ragazza e vide che aveva in faccia un sorriso colpevole.

  "Ce l’hai tu, non è vero, Martina?"

  "Era dedicata a me!"

  "Non me l’avevi mai detto."

  "E tu non me l’avevi mai chiesto."

  "Ma come hai fatto? Insomma, me la sono tolta per andare a fare la doccia e dopo… non c’era più" disse Tom, pronunciando con un tono tra il trasognato e il terrorizzato le ultime tre parole.

  "Io mica mi vergogno!"

  "Vuoi dire che…?" chiese Tom, con voce sempre più strozzata, ridotta quasi a un sibilo.

  !Stavate tutti sotto la doccia! Mica sono scema ad entrare mentre vi state cambiando o sbirciare mentre vi stavate facendo la doccia! Lo so che voi ragazzi avete un fragile orgoglio mascolino da difendere. Scusate, ragazzi, chiudo gli occhi solo per un… attimo" disse Martina.

  Poi chiuse gli occhi e, nel giro di pochi secondi, il respiro di lei si fece lento e regolare.

  Era crollata come una pera cotta.

  Tom sorrise, continuando ad accarezzarle con dolcezza i capelli.

 Benjamin Price 2 Marzo  ore 01:23 AM

  Che ragazza straordinaria! E’ fantastica! Ed è ormai chiarissimo nella mia testa: sono a dir poco geloso della fortuna che ha avuto Tom, a trovare una ragazza del genere, in giro per il mondo. E, può starne certo, non lascerò portarmi via un gioiello del genere senza aver lottato. Io VOGLIO che quella ragazza molli Tom e si metta con me. Sarà mia. Oh, ma continua ad accarezzarla? Ma me lo fa apposta, allora. Vuole forse farmi ardere dalla rabbia? Oh, Benji, ma che razza di discorsi stai facendo! Stai pianificando con rabbia di rubare la ragazza ad uno dei tuoi amici più cari e cominci a non sopportare l’idea che il loro rapporto possa essere più solido del tuo desiderio di averla per te. Come stai cadendo in basso, Benjamin Price!

  

"Sembra quasi un angelo sceso sulla terra, quando dorme. Vedi Benji, cosa subisco io tutti i giorni? La mia piccola peste una ne pensa e centomila ne fa. Ma è tanto dolce!" disse Tom, dopo qualche minuto di silenzio.

  "Si vede che la ami davvero molto."

  "Farei di tutto per lei."

  "Il vostro non è il piatto rapporto di coppia tipico dei ragazzi moderni. Siete, allo stesso tempo, amici, fratelli e fidanzati. Ed è una bella cosa. Che la noia non s’infiltri nel vostro rapporto." 

 

Benjamin Price 2 Marzo  01:29 AM

  Quanto sei falso, Benji! Tu aspetti soltanto che questa idea si avveri, e non il contrario.

  

 "Non la lascerei mai sola. Mi chiedo come ho fatto senza di lei, tutto questo tempo. E’ come se fosse una parte del mio io, persa da tanto tempo e finalmente ritrovata. Quanto amo il suo solo esistere!" disse il centrocampista, lanciando uno sguardo affettuoso alla ragazza addormentata.

  "Anche lei ti ama immensamente."

  "Lo so."

  "Come va la carriera?"

  "Bene. Anche troppo."

  "Cosa vuoi dire?"

  "Che mi cercano molti grandi club di serie A."

  "Non è una buona cosa?"

  "No, ora che c’è lei."

  "Capirà."

  "No, non credo."

  "Ma dovrà accettarlo."

  "Neppure questo farà."

  "Allora cosa?"

  "Quello che ha fatto anche questa volta. Mollerà tutto per potermi seguire fino in capo al mondo."

  "Ne sei sicuro?"

  "No. Ma se lei non lo farà, lo farò io."

  "Saresti disposto a lasciare il mondo del calcio soltanto per non lasciarla ad aspettarti?"

  "Esattamente."

  "Non te lo lascerà fare, se ti ama davvero."

  "Neppure io dovrei lasciarla fare, se la mettessimo su questo piano."

  "Sei proprio cotto, Tom."

  "Non voglio deluderla. Non voglio spezzare la promessa di restare per sempre con lei."

  "Sono promesse che si fanno, Tom. Tutti possiamo romperle."

  "Ma io non lo voglio fare. E’ troppo importante per me. Non voglio deluderla."

  "Credo che se ti clonassero, tutte le ragazze del mondo farebbero la fila per avere una tua copia. Non credo che n’esistano molti, di ragazzi leali e capaci di sacrificio come te, Tom."

  "Adesso smettila con i complimenti, Benji. Mi fai pensare a male! Io, comunque, amo solo la mia Martina."

  "Su questo non avevo dubbi." 

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore  01:31 AM

  Purtroppo non posso fare leva su questo. Tom è troppo innamorato di questa ragazza.

  

"Non avrei mai immaginato di poter voler bene così tanto ad una persona."

  "Lo so, è una cosa incredibile."

  "Che cosa nascondi, Benjamin Price?"

 

?????????  2 Marzo  ore 01:32 AM

  Oh no! Si è accorto che ci sono! E ora cosa faccio? Uscire o restare qui dietro? E Benji? Se la prenderà se esco solo ora? Mi aveva detto di stare accanto a lui ma ho preferito stare qui. No, non posso uscire allo scoperto. Ma che dico! Mi ha già scoperto questo ragazzo. Credo proprio che dovrò affrontare gli amici di Benji, prima o poi, quindi è meglio ora, dato che questo qua ha scoperto che sono qui e nascosta. Spero solo che Benji non mi odi. Non riuscirei a sopportare la vita, sapendo che per me lui prova odio. E’ troppo importante il suo sostegno, per vincere la mia battaglia.

 

"Sì, hai ragione, ragazzo. Lui sta nascondendo qualcosa, su questo aereo. E’ me, che Benjamin nasconde" disse una ragazza, dietro di loro, con voce sottile e quasi dispiaciuta.

  Capelli cortissimi e lisciati con il gel, di un biondo talmente chiaro da sembrare argento filato ed occhi grigi e brillanti facevano bella mostra sul volto affilato di una ragazza più o meno della loro età.

  "Tom, ho il piacere di presentarti Colette" disse il portiere, sorridendo alla nuova venuta.

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 01:33 AM

  Finalmente si è decisa ad uscire da là dietro! Certe volte è davvero una sciocca. Aveva paura di fare conoscenza con loro, ma, in fondo, è naturale. E’ molto timida.

 

Tom Becker 2 Marzo  ore 01:33 AM

  Ma…. Ma è una ragazza! E se conosce Benji, si vede che è in sua compagnia. Che sia la sua ragazza? O lo è, oppure non so proprio spiegarmi che diavolo ci faccia su quest’aereo. E poi, lo scorbutico Benji che si porta in aereo una ragazza? E’ una cosa incredibile. Se Holly lo sapesse, credo che il poveretto sverrebbe dalla sorpresa.

  

 Il ragazzo guardò il suo amico portiere, poi la ragazza, e di nuovo Benji, poi scoppiò a ridere così forte che riuscì a svegliare Martina, che gli lanciò un acuto sguardo assassino.

  "Piacere. Il mio nome è Colette Montgomery" disse la ragazza con un timido sorriso sulle labbra, porgendo la mano ossuta verso Martina e Tom.

  "Io sono Tom Becker" disse Tom, sfoderando uno dei suoi abituali sorrisi smaglianti.

  "Il mio nome è Martina Maroni" disse la ragazza, stringendo con calore la mano della ragazza.

  "Tu sei un vecchio compagno di squadra di Benji, vero?" chiese lei, timidamente.

  "Sì. Senti, il posto accanto a Benji è libero. Perché non ti siedi lì?"

  La ragazza arrossì e scosse la testa.

  "Dai, non essere timida" l’incoraggiò Martina, con gentilezza ed un sorriso dolce in volto.

  "Posso davvero, Benji?" chiese la ragazza.

 

Colette Montgomery 2 Marzo 01:35 AM

  Ma che razza di domanda gli faccio? Mi aveva detto lui di sedermi lì, ed io prima ho rifiutato! Però, sarà ancora della stessa opinione?

  

Il portiere annuì e il volto della ragazza s’illuminò mentre si metteva a sedere tra il portiere, che le aveva ceduto il posto, e la ragazza italiana.

  Era molto magra ed alta quasi quanto Benji, e, con la carnagione pallida, gli occhi grigi ed i capelli biondissimi, sembrava quasi un elfo, se non fosse stato per quel sorriso che la illuminava.

  "Allora, Colette, raccontaci di te" l’incalzò Martina, appoggiandole una mano sulla spalla.

  "Che dire? Mi chiamo Colette Montgomery, ho sedici anni e abito ad Amburgo. Sono la figlia del presidente dell’Amburgo Calcio."

  "E questo spiega dove vi siete incontrati" disse Martina.

  "Parrebbe, ma non è così - disse Colette, con un po’ d’imbarazzo – E’ stato all’ospedale che io ho conosciuto Benji."

  "All’ospedale?"

  "Sì. Sapete, io ho sofferto d’anoressia, per un periodo" disse cristallina la ragazza, con un sorriso triste in volto.

  Martina e Tom rimasero interdetti da quella candida dichiarazione: non era cosa da tutti ammettere a se stessi e agli altri di avere dei disturbi alimentari di quella gravità, tantomeno a delle persone appena conosciute.

 

Colette Montgomery 2 Marzo  ore 01:36 AM

  Ma… io… ho raccontato il mio segreto senza neanche rendermene conto. Sono felice, però. Sento che di loro mi posso fidare, e forse è stato il mio istinto a spingermi ad essere completamente sincera nei loro riguardi. Sì, credo di aver fatto bene a dire la verità e racconterò loro tutta la mia storia senza omettere un solo avvenimento. Lo sento, loro mi sono amici, ed amici come non se ne trovano molto facilmente.

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 01:36 AM

  L’ha ammesso candidamente davanti a degli estranei! E’ quasi incredibile che l’abbia fatto. Forse si fida di loro perché Tom è anche amico mio. E magari la schiettezza di Martina ha facilitato le cose. Sono contento, però, che si sia fidata di loro.

  

 "Benji era venuto a controllo da un celebre ortopedico, dato che aveva avuto un lieve infortunio in allenamento, e per il corridoio incontrò mio padre, che stava male per me. Lui cercò di consolarlo e mio padre gli raccontò tutto ciò che mi era successo. Ero svenuta in classe, quel giorno, e lui si sentiva responsabile del mio malessere, pensando che l’avessi fatto perché mi sentivo trascurata. Sapete, mia madre mi abbandonò a lui quando avevo sette anni, per andare a lavorare a Praga in un’importante industria di moda. Da quel momento i loro rapporti si sono raffreddati fino al divorzio, quando avevo nove anni, e lei decise che non avrebbe mai più voluto rivedermi. Io non la presi molto bene e decisi che avrei riacquistato il suo amore assomigliando alle cose più care che aveva al mondo, le sue modelle dalla linea perfetta. Lo so, sono stata una sciocca a fare ciò che ho fatto, ma in un primo momento io credevo veramente che questo gesto avrebbe potuto aiutarmi ad avere nuovamente l’amore di mia madre. Ma dopo quel giorno, ho capito di aver sbagliato, e, grazie a Benji e mio padre, essendo solo loro a conoscenza della mia malattia, sono uscita da quel baratro e lentamente mi sto riprendendo. Non sono ancora del tutto fuori, ma sono a buon punto. Sapete, Benji mi è stato sempre accanto, durante le sedute dal nutrizionista e dallo psichiatra."

  "Allora, da quanto è che state insieme?" chiese Martina.

  Colette arrossì violentemente, mentre Benji cominciò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.

  "Noi non stiamo insieme! - disse Colette, con veemenza – Sono venuta con lui perché ho sempre sognato di andare in Giappone e Benji è stato d’accordo al portarmi con lui."

  "Per una volta tanto, hai toppato, Martina" disse Tom, vedendo l’espressione delusa della sua ragazza.

  "Lo so, che non è per un viaggio di piacere che andate lì, ma Benji ha accettato ugualmente di portarmi con sé ed ha convinto anche me stessa che era un’occasione da non perdere" continuò, con voce debole, la giovane tedesca.

  "Vedrai, nonostante tutto riuscirai a divertirti" disse Tom, nel tentativo di sollevarle il morale.

  "Un funerale resta sempre un funerale" rispose Colette, con gli occhi lucidi.

  "Dai, Colette, non piangere. Non devi" disse Benji, facendola appoggiare alla sua spalla, con non poco imbarazzo.

 Benjamin Price 2 Marzo  ore 01:41 AM

  Eccola di nuovo, quella sensazione. E’ un forte calore, ed è capace di trasmettermelo soltanto Colette. E’ un affetto talmente grande… ma sarà amore? No, il mio deve essere affetto fraterno, e non amore. Non posso essermi innamorato di lei.

  

 Tom e Martina si guardarono, sul punto scoppiare a ridere nel vedere la faccia di Benji, seria come sempre ma diventata un unico colore con il suo inseparabile cappellino rosso.

  "Testa Dura, credi che sia ora di dormire?" chiese Martina.

  "Dico di sì, Megy."

  "NON OSARE CHIAMARMI MEGY [NdMartina: tanto più che dopo mi s’infuria anche la Mentina!]!" disse la ragazza, offesa ma con un mezzo sorriso sulle labbra, dando uno scappellotto a Tom.

  "Hai ragione, Megafono Umano!"

  "Tom!"

  "Ma è vero!"

  "Adesso non farmi la solita sceneggiata da lecchino patentato su quanto la mia voce forte ti piaccia, perché da oggi in poi si cambia, caro mio! Non ci casco più nella tua trappola."

  "Ma come? Non vuoi che ti faccia ancora i complimenti sulla tua voce melodiosa come un usignolo."

  "Non attacca!"

  "Ma io non sto facendo lecchinaggio!"

  "Ah no? Stai soltanto oliando gli ingranaggi che fanno spostare i sedili in avanti e indietro, allora."

  Quest’ultima battuta fece azzittire Tom, che in compenso si mise a fare la faccia da cane bastonato, guardando negli occhi la ragazza con un’aria talmente mogia da spezzare il cuore.

  Cercò di resistere, ma era troppo dolce l’aria assunta da Tom, così la ragazza battè un pugno sulla gamba per stizza, poi disse:

  "E’ sleale, però, puntare sulla pietà, Tom."

  "Mi perdoni?" disse, mantenendo la stessa aria derelitta.

  "Sì, Tom" sospirò la ragazza, prima di abbracciare il suo ragazzo ed essere ricambiata.

  Colette, nel frattempo, li aveva visti ed era arrossita, sentendosi indiscreta, poi Benji le aveva appoggiato una mano sulla spalla, scosso la testa e sorriso dolcemente, facendole cenno che, come aveva notato, quei due erano delle persone davvero speciali per quanto riguardava il loro rapporto di coppia, ma alla ragazza non sfuggi una strana luce negli occhi del portiere. Una luce che le faceva male più di mille coltelli.

 

Colette Montgomery 2 Marzo  ore 01:46 AM

  Lo sguardo di Benji… è così strano, ed ho anche capito cosa nasconde. Quella strana luce che li illumina è quella emanata una gelosia fortissima nei confronti di Tom. Non ci sono dubbi. A Benji piace Martina. Purtroppo.

 

"Sicuramente sei stata con le cuffie per quasi tutto il tempo, vero?" le chiese il portiere.

  "Sì. Non volevo ascoltare le vostre conversazioni."

  "Sei sempre la solita, dolce ragazza che tenta di lasciare agli altri la massima libertà e riservatezza" disse, sempre sorridendo, il ragazzo, scompigliandole i capelli con una mano.

 

Benjamin Price 2 Marzo  ore 01:47 AM

  Non c’è che dire. Martina è una bomba d’allegria e simpatia, ma Colette è la ragazza più dolce che io abbia mai conosciuto. Prima d’incontrare Martina, pensavo di dichiararmi a Colette, ma ora non ne sono più molto sicuro. Devo soppesare tutti i pro e i contro delle due ragazze, ma non ora. Prima di farlo devo conoscere meglio Martina e vedere come si comporta Colette insieme agli altri. Come faccio, però, a scegliere una di loro due!

  

 "E’ buon educazione" rispose la tedesca.

  "Non avevo dubbi in proposito. Non fare caso a loro. Sono innamorati pazzi. E, come avrai notato, lo sono nel vero senso della parola."

  La ragazza sorrise, poi fece uno sbadiglio mastodontico.

  "Ti conviene seguire il loro esempio" disse Benji, accennando a Tom e Martina, che, quasi sicuramente per caso, data l’estrema timidezza di Tom, si erano addormentati stretti nell’abbraccio.

  Colette colse al volo che Benji intendeva dire il dormire, così appoggiò la testa contro il sedile e chiuse gli occhi, così come fece il portiere.

  Era passato qualche minuto quando Benji riprese la parola.

  "Colette, stai dormendo?"

  "Non ancora."

  "Sei felice?"

  "No. Mi dispiace molto per i tuoi amici."

  "Ma se non fosse per quello, come saresti?"

  "Al settimo cielo. Ho sempre sognato di visitare il Giappone."

  "Ed ora realizzerai questo sogno. Per qualche giorno resteremo lì e tu potrai fare la turista per quanto vorrai. E avrai anche una guida d’eccezione, per la grand’occasione."

  "E chi?"

  "Ma me, naturalmente."

  "Ti … ti ringrazio Benjamin" disse la ragazza, avvampando di piacere.

  "Come mai sei diventata rossa?"

  "E’ che sei sempre così gentile con me ed i tuoi amici… così diverso da come appari in campo…"

  "Non amo esprimere le mie emozioni quando sono circondato di persone che conosco solo marginalmente."

  "Sei stato molto spigliato con loro. Non ti avevo mai visto così."

  "Tom è un mio grande amico e la sua ragazza è davvero molto simpatica, anche se mi sembra un uragano."

  "E’ allegra e spigliata. Una dote che io non ho. Sono sempre così goffa…"

  "La timidezza non è un difetto, Colette."

  "Ma non è neppure un pregio, in certe occasioni."

  "Ma ti sei trovata a tuo agio con loro?"

  "Sì. Sono dei bravi ragazzi."

  "Sono molto più che bravi ragazzi. Sono dei veri amici."

  "E tra loro si vogliono molto bene. Si sentono importanti l’uno per l’altra, ma non come semplici innamorati. Sono molto di più, lo sento. Chissà se un giorno potrò mai avere un rapporto del genere, con una persona… ma non credo. Sono troppo chiusa per una cosa del genere."

  "Io credo che invece ce la faresti. Dovresti solo avere più fiducia in te stessa, e tutto andrebbe nella direzione che desideri."

  "Dici, Benji?"

  "Certamente."

  "E tu? Vorresti avere con una persona un rapporto come il loro?"

  "Sì, mi piacerebbe, ma non con una come Martina. E’ un ciclone e se tutte le ragazze fossero così… povero mondo! Tutti noi ragazzi ci ritroveremmo al manicomio. E’ a questo che servono le ragazze come te, Colette. A soddisfare le richieste dei ragazzi che amano in una ragazza non la spigliatezza, ma la dolcezza di maniere."

  "E tu?"

  "Io cosa?"

  "Non sei un tipo da tornado?"

  "Ma per carità! Non voglio finire scemo nel giro di una settimana!"

  "Allora quale tipo preferisci?"

  "Una ragazza dolce, pacata e calma, come la neve che a volte ti capita di vedere all’alba. Immacolata e intatta, senza nessuna impronta sulla sua superficie, eppure con il fascino donatole dalle prime luci, con quel gioco di tonalità calde e fredde che t’incanta."

  "E’ davvero una bellissima frase, Benji."

  "Grazie, Colette."

  "Allora tu vorresti una ragazza calma?"

  "Sì. Sono già tanto turbolento per conto mio…"

  Colette sorrise, e lo stesso fece Benji.

  "Dici che è ora di dormire?" chiese il portiere.

  "Credo che sia auspicabile."

  "Che ore sono?"

  "Le due e tre minuti del due Marzo."

  "Allora saremo lì che il tuo orologio segnerà le undici del mattino."

  "Già, ma laggiù saranno come minimo le sette di sera."

  "Prepariamoci all’effetto jet-lag."

  "Già" disse la ragazza, chiudendo di nuovo gli occhi.

  "Buonanotte Colette."

  "Buonanotte Benji."

 

Colette Montgomery 2 Marzo  ore 02:04 AM

  Lo so, Benjamin mi ha mentito su Martina. Credo che gli piaccia molto, nonostante non l’abbia riempita esattamente di lodi. Ma perché mi fa questo? Io non pretendo di essere la sua ragazza, e non pretendo nessun rapporto amoroso con lui, ma almeno dimostrarsi mio amico sincero e dirmi apertamente a cosa pensa. Anche se la verità potrebbe ferirmi più delle sue omissioni e delle sue bugie.

 Benjamin Price 2 Marzo  ore 02:04 AM

  Io… cosa devo fare? Sono molto attratto da Martina, anzi, sono morbosamente attratto da Martina, ma, parlando con Colette e tentando di nascondere il mio interesse per quell’italiana, mi sono reso davvero conto che per lei è solo una questione d’attrazione fisica e di desiderio d’emulazione per le gesta di Tom e Holly, che quei difetti che ho elencato a Colette sono veri e che è la verità quella che le ho detto. Era tutta verità quella che le ho detto. Ora sarà solo il tempo a darmi conferma di queste mie emozioni contrastanti, anche se, credo che con Martina potrebbe essere solo una questione d’attrazione, mentre con Colette... come andrebbe se ci provassi con Colette? Ah, ma che razza di confusione ho in testa! Non ci capisco più niente!

  Il portiere riaprì un poco gli occhi, osservando la tedesca a cui aveva dedicato tanto tempo in quegli ultimi tempi ed era entrata in punta di piedi nel suo cuore, e l’italiana, piombata nella sua vita come un tornado ed entrata nel suo cuore come un panzer, spazzando via ogni certezza sui sentimenti che provava per la filiforme tedesca. Sì, era indubbiamente la situazione più spinosa in cui si fosse mai cacciato in vita sua.

  "Allora Raiden… hai dormito bene?" chiese Bruce, entrando piano nella stanza dell’uomo.

  "Sì, a parte… lui – disse, accennando all’uomo, il padre di Bruce, che dormiva abbracciato ai suoi pantaloni – E’ stato tutta la notte a ripetere e a parlare. Persino nel sonno ripeteva il mio nome!"

  "Te l’ho detto che è un tuo gran fan!"

  "Non ne ho più dubbi su questo fatto."

  "Ti ha fatto firmare qualche altro autografo?"

  "Sì."

  "E dove? Non mi pare che ci siano dei pezzi di carta in giro per la stanza. Cosa ti ha fatto autografare?"

  "Vediamo un po’…. Apri la finestra e capirai."

  Il ragazzo fece come gli era stato detto e rimase senza fiato nel vedere che attorno a lui le pareti ed il pavimento erano tappezzati di firme, oltre naturalmente al futon in cui Raiden aveva dormito.

  "Tuo padre ha detto che d’ora in poi questa sarà la stanza Raiden, dove nessuno più dormirà e verrà eretto un altare votivo dopo la mia morte. Quando l’ha detto, ho fatto corna e bicorna, toccando ferro. E’ un tipo di scaramanzia che ho imparato in uno dei miei numerosi viaggi. Mi pare che quella di questo genere sia in uso in Italia o giù di lì."

  Bruce era sbiancato ed aveva gli occhi sgranati, nel sentire fino a che punto il padre ammirasse quell’uomo.

  "E’ completamente pazzo!"

  "Ah, me ne sono accorto" concordò Raiden, guardando il padre di Bruce dormire avvinghiato come una cozza ai suoi pantaloni, con un’espressione di profonda beatitudine in volto.

  "Gli dirò di non esagerare. E’ davvero troppo ossessionato dalla tua persona!"

  "No no! Mi fa piacere il modo in cui mi ammira ma diciamo che è troppo…"

  "Appiccicoso, giusto?"

  "Parole sante, Bruce. Sai, credo che stasera me n’andrò a casa. Per carità, tuo padre è una gran brava persona, ma mi sembra un po’ troppo appiccicoso ed ossessionato da me."

  Detto questo i due si diressero nella cucina, dove la signora Harper li aspettava a tavola.

  Aveva preparato una colazione degna di un re, con pancetta affumicata, uova sode e riso bianco.

  "Prego, signor Raiden, si accomodi pure. Finchè resterà qui, sarà nostro ospite e avrà sempre lauti pasti. Anzi, ho un’idea migliore. Signor Raiden, lei vive da solo, non è vero?"

  "Sì."

  "Allora perché non si stabilisce qui. Le giuro che sarà sempre soddisfatto del servizio."

  Fianco a fianco l’uomo e il ragazzo si sedettero attorno al tavolo.

  Raiden, in un attimo in cui la donna non li osservava, sussurrò rapidamente all’orecchio di Bruce:

  "Senti Bruce, puoi dimenticare le parole che ho appena detto?"

  Lui annuì e sorrise, divertito.

   Oramai era giunta l’ora di fare colazione e, mentre Roberto si dedicava alla cucina, preparando qualche panino ripieno e un po’ di succo d’arancia per i due ragazzi che da quasi ventiquattro ore non toccavano cibo, Holly e Patty, in religioso silenzio, si dedicavano alla riabilitazione della gamba del ragazzo, nel tentativo di non pensare troppo alla crudele realtà che li circondava e che, molto presto, avrebbero dovuto affrontare.

 

Oliver Hutton 2 Marzo  ore 08:47 AM

  Non ho il coraggio di pronunciare una singola parola. Ho paura di rompere questo fragile equilibrio che si è instaurato tra noi. Se parlassi, forse nella sua mente tornerebbero ad affacciarsi quelle maledette immagini di ieri, ed io non voglio che soffra ancora. Devo proteggerla. Forse non posso certo salvarla da tutto il dolore che le sta provocando questa situazione, ma posso ugualmente tentare di alleviare almeno in parte il suo patimento.

  

 "Holly…"

  Il sussurro quasi impercettibile di Patty giunse alle orecchie del ragazzo, strappandolo bruscamente dai suoi pensieri.

  "Sì?"

  "Perché sei così silenzioso?"

  "Non lo so" rispose lui, con semplicità.

  "Ti va di parlare?"

  "A te va?"

  "Io… io… non lo so. Vorrei tanto parlare ma… ma poi non ho più le parole. E’ come se scomparissero dalla mia mente, per proteggermi. Come se parlarne, riaprisse la ferita."

  "Ti capisco. Anche io provo la stessa cosa."

  "Cosa faremo, adesso? Cosa ne sarà di noi?"

  "Che vuoi dire?"

  "Dove vivremo? Lo stato ci lascerà essere indipendenti? Oppure verremo mandati in una casa famiglia oppure in un istituto? Se così fosse, ci separeranno, non è vero Holly?" disse Patty, continuando a fissare la gamba del ragazzo, per nascondere le lacrime.

  Holly rimase interdetto, fissando la testa bruna della sua ragazza e la fasciatura che gli stava facendo.

  Improvvisamente, vide apparire macchie più scure sulla candida stoffa.

  Patty stava piangendo.

  "Io non permetterò a nessuno, di portarti via, Patty. Io e te resteremo insieme per sempre, hai capito?"

  "Holly…"

  "Venderò la casa dei miei genitori e con quei soldi riusciremo a tirare avanti per un po’. E io andrò anche a lavorare. Vedrai, Patty, noi ce la faremo a restare insieme. Niente e nessuno potrà mai separarci, perché finchè i nostri cuori saranno uniti dagli stessi sentimenti non saremo mai senza l’altro [NdA: lo so, questa frase è tremendamente sdolcinata]."

  "Andrò io a lavorare. Tu devi solo pensare a far guarire la tua gamba" disse Patty, con sicurezza, mentre alzava lo sguardo sul ragazzo e si asciugava gli occhi con una manica.

  "Nessuno di voi lavorerà, ragazzi, e neppure verrete separati" disse Roberto, entrando nella stanza con un grosso piatto pieno di panini.

  "Cosa vuoi dire, Roberto?" chiese Holly.

  "Che andrò io a lavorare, essendo il tuo tutore fino ai diciotto anni d’età, Holly. Avevo fatto domanda per il posto di allenatore della New Team, qualche tempo fa, ed ero venuto qui proprio per prendere servizio, a partire da lunedì prossimo."

  "Cosa?" sussurrò Holly, stupito.

  "Sono il nuovo allenatore."

  "No, intendeva dire quella prima" intervenne la ragazza, anticipando Oliver.

  "Holly, tuo padre ha svolto tutte le pratiche prima che io partissi per il Brasile, quando tu eri ancora un undicenne molto promettente. Io sono il tuo tutore legale e sarai sotto la mia tutela fino alla maggiore età."

  "E Patty?"

  "Certo, se ci fosse la firma di un qualche parente… ma in fondo è quasi maggiorenne…"

  "Cosa?" chiesero all’unisono i ragazzi.

  "C’è un modo per cui non venga affidata ad un istituto oppure a dei parenti, oltre a non essere dipendente dallo stato, ma non so se andrebbe bene. E poi, è una cosa molto seria…"

  "Cosa vuoi dire, Roberto? Sputa il rospo" disse Patty.

  "Lo vuoi proprio sapere?"

  "Sì."

  "Dovreste sposarvi."

  Patty, con lo sguardo stralunato, passava ripetutamente da Roberto a Holly, il quale, bianco come un cencio, lo guardava a bocca spalancata.

  "Ehi, siete stati voi a voler sapere questo metodo!"

  Lo sguardo dei ragazzi rimase uguale.

  "Ehi, vi siete incantati?"

  "Matrimonio?" sussurrò Holly.

  "Sì."

  "Non è una buona pensata" intervenne la ragazza, scatenando il disappunto del suo ragazzo.

 

Oliver Hutton 2 Marzo  ore 09:07 AM

  Patty… non… vorrebbe… sposarmi? No, non è possibile. Non può avermi detto così a bruciapelo una cosa del genere. Io vorrei tanto, invece. Ma perché non vorrebbe farlo? Cosa la spinge a dire di no? Insomma, lei mi ama, giusto? Allora perché non dovremmo coronare il nostro sogno d’amore con il matrimonio? Cosa c’è di sbagliato nello sposarsi? In fondo, siamo già conviventi. Cosa ci costerebbe a fare un passo in più? Ha forse paura che io non la ami abbastanza perché ancora non l’abbiamo fatto? No, Patty non è una tipa del genere. Oppure lo è? Che sia questa nostra timidezza nel rendere il nostro rapporto da platonico ad intimo a farla desistere dallo sposarmi?

  

 Roberto, vedendo la faccia ancora più scioccata del suo pupillo, fece cenno a Patty di seguirlo nell’altra stanza.

  "Patty, ho la sensazione che Holly c’è rimasto un po’ male da questo tuo rifiuto al matrimonio."

  "L’ho notato anche io e non capisco perché mai."

  "Credo che lui fosse favorevole."

  "Dici?"

  "Dico di sì."

  "Ma io non volevo che ci restasse male."

  "Perché hai subito detto di no, allora?"

  "Roberto, siamo ancora troppo giovani per il matrimonio ed io non mi sento pronta a questo. Abbiamo soltanto diciassette anni e stiamo insieme da sole due settimane. Inoltre, non potrei mai sposarmi adesso. Vorrei attendere ancora qualche tempo. Il nostro rapporto è ancora acerbo e non vorrei metterlo alla prova in questo modo. Per questo ho detto no."

  "La definizione acerbo mi fa capire che ancora non siete diventati, come si suol dire, amanti."

  Patty, a quelle parole, divenne rossa come un peperone e guardò il brasiliano con due occhi che parevano tizzoni ardenti.

  "Calma, non attaccare" disse lui, tirandosi indietro e scotendo le mani, come per allontanare la ragazza.

  "Ma come osi farmi una domanda del genere, Roberto?! E’ una cosa molto intima e personale!"

  "No, vero?" disse lui, come se fosse la cosa più innocente del mondo.

  "No" disse piano lei, tirando un sospiro ma lanciando all’allenatore un eloquente sguardo di fiele.

 

Patricia Gatsby 2 Marzo  ore 09:12 AM

   Ma guarda tu questo qua che razza di domande mi viene a fare! La prossima volta che lo fa, giuro che lo porto dal tassidermista.

 "Credo che il tuo ragazzo voglia delle spiegazioni, però" disse Roberto, accennando alla porta, dove era appena apparso Holly, che per tenersi in piedi si reggeva allo stipite della porta.

  "Holly! Ma sei matto? Ti ho detto che devi stare fermo e seduto" disse lei, prendendolo per un braccio e aiutandolo a tornare nel salotto per mettersi a sedere sul divano.

  Roberto, da dietro, li fermò.

  "Patty, credo che sia meglio trasportarlo di sopra. La colazione ve la verrò a portare più tardi."

  Così i due ragazzi, con non poca fatica, si recarono al piano superiore, dove Holly fu messo a sedere sul letto, imitato subito dopo da Patty.

  A parte quell’esclamazione di Patty, i due non si erano mai rivolti la parola dalla discussione con Roberto.

  Fu Patty quella a prendere l’iniziativa, notando che il ragazzo non accennava ad aprire bocca.

  "Cosa ti è dispiaciuto, Holly, di ciò che ho detto? Spiegami in che modo le mie parole ti avrebbero ferito. E’ forse stato il modo in cui l’ho detto?"

  "No."

   "Allora cosa?"

  "La rapidità con cui hai risposto. Hai scartato subito l’idea e non hai chiesto cosa ne pensassi io."

  "Perché tu vorresti…?"

  "No!"

  "Allora?"

  "L’hai detto con talmente tanta fretta… e poi…"

  "Poi cosa?"

  "Perché no?"

  "Cosa?!"

  "Perché non farlo, se ci separerebbero in caso contrario?"

  "Mi sposeresti solo per farmi restare qui?"

  "Sì!"

  "Io non accetterei, però."

  "E perché?"

  "Perché…ecco…"

  "Non mi ami?" chiese lui, terrorizzato.

  "Holly, se io non ti amassi, non credi che ti avrei lasciato perdere già da un bel pezzo?"

  "Allora perché?"

  "Holly, io voglio sposarmi per amore, quando mi sentirò pronta, e non perché una stupida carta dice che se non ci sposassimo, io dovrei andarmene da questa casa e lasciare tutte le persone care che ho in questa città. Non lo farei, Holly, sia per me, che per te."

  "Ma perché? Tu mi ami! L’hai appena detto!" gridò lui, infuriato.

  "Sono ancora troppo giovane per mettere su famiglia! Non mi sento pronta a diventare tua moglie."

   "Eppure conviviamo da due settimane e sembriamo una coppia di giovani sposini! Perché non rendere quest’illusione, una realtà?"

  "Non me la sento, Holly. Non me la sento proprio di sposarmi con te, in questo momento della mia vita" disse lei, con voce stanca.

  "Ma perché no?"

  "Sono in lutto, pezzo di cretino! E lo sei anche tu, ma pare che a te non importi nulla di ciò che è accaduto ieri! - esplose, furiosa, la ragazza – Ho perso tutta la mia famiglia!"

  "Cosa c’entra?" chiese Holly, infuriato anche lui per il fatto che la ragazza avesse tirato fuori l’argomento.

  "Certo che sei proprio tardo! Come tutte le ragazze innamorate, io sognavo il nostro matrimonio, e ci vedevo sempre in compagnia dei miei e dei tuoi genitori, uniti in un abbraccio, nella foto più importante di tutti, quella che avremmo tenuto sulla credenza e fatto vedere ai nostri figli prima ed ai nipotini poi. Dammi il tempo di accettare questa nuova realtà, Oliver Hutton! Dammi il tempo di rifarmi dei sogni! Dammi il tempo di rendermi conto di cosa sarà la mia vita d’ora in poi! Fammi rimettere a posto i cocci del mio cuore in frantumi! E se non vuoi, andatevene, tu e Roberto, e non tornare mai più. Andate a casa tua e lasciatemi vivere, lasciatemi piangere, lasciatemi mostrare il mio dolore! Vattene via, Oliver Hutton e non tornare mai più, se non vuoi accettare la mia reazione e la mia decisione di non sposarti, per ora."

  Patty era arrivata ad un punto di tensione talmente alto che le lacrime non avrebbero tardato a scorrerle per le guance, così fece per andarsene, ma una mano si posò sulla sua prima che potesse muovere un muscolo, e la strinse con una forza a lei sconosciuta.

  "Lasciami! - sibilò la ragazza – Non voglio parlare con te, per il momento. Dammi tempo."

  "Ho capito, sai" disse lui, con serietà.

  "Cosa avresti capito?"

  "Che non mi ami."

  "Vai a farti fottere" disse lei, stremata.

  "Questa n’è una prova."

  "Non fare l’idiota, Holly."

  "No Patty, sei tu a fare l’idiota."

  "Non osare offendermi, Oliver Hutton."

  "Di certo non mi prendo degli insulti senza rispondere altrettanto."

  "Mi spingi tu a farti questo. Non mi capisci."

  "Sei tu a non capirmi!"

  "E quando mai non avrei capito?"

  "Non capisci quanto bene io ti voglia. Non capisci che io ti amo talmente tanto che vorrei arrivare fino a un certo punto, pur di rendere ancora più saldo il nostro rapporto? Io non sono una statua, Patty. Sono un uomo ed ho i miei bisogni, eppure non ti ho mai forzata a fare nulla che tu non volessi fare. Sai cosa ho deciso, Patty? Lo sai cosa ho deciso di fare, pur di non ferire i tuoi sentimenti? Io ho deciso di aspettarti. Ti aspetterò fino alla fine del tempo, se è necessario. Piuttosto che andare con un’altra ragazza, resterei vergine per tutta la vita. Voglio che la mia prima volta sia con te, così come tutte le altre volte in cui farò l’amore. Io voglio solo e soltanto te, Patricia Gatsby. Ecco cosa tu non riesci a capire. Non riesci a capire quanto amore io provi nei tuoi riguardi, perché non te ne sei mai accorta di questo, non è vero Patty?"

  "Tu vorresti…" chiese una Patty sconvolta.

  "Sì, con tutto il cuore, lo vorrei, ma non te l’ho mai detto perché te lo leggo negli occhi che non sei ancora pronta."

  Patty, stupita e rossa come un’aragosta, lo guardò [NdA: io non ci trovo nulla di così eclatante! E’ umano pure lui, no?].

 

Patricia Gatsby 2 Marzo  ore 9:36 AM

  Lui… vorrebbe… ed io… oh… ma… io… Holly vuole… Lui… che ha sempre pensato al calcio… oppure no… In effetti però… lui ha avuto molto tempo libero… magari… ma in fondo è normale…. Ha ragione lui… È pur sempre un essere vivente con i suoi desideri e bisogni… andiamo anche per i diciotto anni, dopo tutto… ma io voglio? No…. Io non sono pronta… sono ancora così immatura ed infantile… e non mi sento all’altezza… sarò abbastanza per lui? Io… no, non posso farlo, ora… non me la sento… e lui se n’è accorto da un pezzo… sono stata ingiusta nei suoi confronti. L’ho trattato male, quando lui da me voleva una semplice risposta, per dissipare i dubbi. Devo cercare di spiegarmi. Devo cercare di fargli capire che cosa volevo dire.

 "Scusami, Holly, non avrei mai dovuto dire che non riesci a capire quello che provo. Sono stata ingiusta nei tuoi confronti."

  "No Patty, sono stato io a sbagliare. Tu non te la senti di sposarmi, in un momento di lutto, ed io non avrei mai dovuto prendermela così tanto. Avrei dovuto capire quello che ti faceva soffrire t’impediva di accettare la mia proposta. Scusami, se ti ho accusata di non amarmi, ma… ecco… Ero fuori di me e non sapevo cosa dicevo."

  "Anche io. Ti ho persino cacciato di casa!"

  "Non fa nulla, Patty. L’importante, per me, è aver fatto la pace."

  "Holly?"

  "Sì?"

  "Pensavi davvero quello che dicevi prima?"

  "Cosa?"

  "Che tu… si, insomma… che vuoi… che vuoi fare l’amore… con me?"

  "Mai stato più serio in vita mia."

  "Sei tanto, tanto caro, Holly. Ti amo tantissimo!" disse Patty, gettandogli le braccia al collo.

  "Cosa ho fatto di speciale?" chiese lui, mezzo affogato dall’abbraccio della sua ragazza.

  "Sei proprio speciale! Un altro ragazzo sarebbe andato altrove a cercare ciò che voleva, mentre tu mi hai appena detto che vuoi che la tua prima volta sia soltanto con me. Ti amo, Holly. Io non posso dirti che questo. Io ti amo da impazzire, Holly. Non ti abbandonerò mai e insieme ce la faremo a superare ogni avversità, anche la peggiore. Holly, ti giuro sul mio onore che io farò tutto ciò che mi è concesso per farti tornare a calcare i campi di calcio ai massimi livelli. Io ho fatto danno, ed io rimedierò" disse Patty, sciogliendo il boccheggiante Holly da quell’abbraccio stritolatore.

  "Tu non hai fatto nessun danno, Patty."

  "Sì, invece. Io sono stata l’incosciente e tu ci hai rimesso sei mesi di vita, sei mesi in cui tu hai lottato contro la morte. Io non posso certo cancellare il passato, ma riuscirò a farti avere nuovamente un futuro da gran giocatore, Holly. Ce la metterò tutta e ci riuscirò" disse Patty, stringendo i pugni e sorridendo convinta al ragazzo, poi si alzò dal letto.

  "Dove vai?"

  "Guarda che dopo una rivelazione del genere, io di stare da sola con te in una stanza dotata anche solo di pavimento, non mi fido più" disse scherzando la ragazza, dando una sferzata di capelli.

  "Patty!" esclamò Holly.

  "Scherzavo, scioccone! - disse lei per risposta, tornando verso di lui e baciandolo a fior di labbra – Vado di sotto a prendere la nostra colazione, se no per mangiare dovremo aspettare il pranzo, e, sinceramente, non credo che il mio stomaco abbia tanta resistenza."

  "Roberto non aveva detto che sarebbe salito lui da noi?"

  "Credo che, dopo aver sentito le nostre orribili urla, ci abbia rinunciato. Pensava che magari ci saremmo sbranati a vicenda, riducendo a zero le spese per il nostro mantenimento."

  Holly la fissò con aria sconvolta, poi sorrise e, visto che la ragazza gli stava di fronte, le abbracciò la vita ed affondò il volto nel suo ventre.

  "…Holly, stai bene?" chiese lei, fissandolo.

  "Non lasciarmi mai, Patty."

  "Cosa?"

  "Non lasciarmi mai. Ho bisogno di te come dell’aria."

  "Non ti lascerò solo, Holly. Non preoccuparti. Ma ora, lasciami andare di sotto, che ho molta fame."

  In quello stesso momento lo stomaco della ragazza si fece sentire, scatenando l’ilarità di Holly, che si staccò, e l’imbarazzo di Patty che, rossa come un peperone, corse in direzione della cucina, con il risultato di mancare uno scalino e rotolare fino al pian terreno.

  "Ehi, Patty, tutto bene?" chiese, preoccupato, Roberto.

  "Sì, a parte un paio di centinaia d’ossa rotte, altre quattro o cinque incrinate e un paio d’emorragie interne."

  "Ah, mi preoccupavo!"

  "Patty, tutto ok?" chiese Holly, sporgendosi dal corrimano.

  "Sì, non preoccuparti."

  "Sei sicura?" chiese lui, dubbioso, sporgendosi ulteriormente.

  "Sì, ti ho detto."

  "Sicura sicura?" continuò lui, sporgendosi anche troppo dal corrimano e perdendo l’equilibrio.

  "HOLLY! - strillò terrorizzata Patty, mentre vedeva il ragazzo cadere giù - Roberto, fa qualcosa!"

  L’uomo per fortuna era a un paio di metri e riuscì a posizionarsi sotto il ragazzo, nel tentativo di prenderlo al volo.

  La ragazza, in preda al panico, chiuse gli occhi e se li coprì con le palme delle mani, attendendo il colpo sordo che avrebbe fatto il suo ragazzo spiaccicandosi contro il pavimento, ma ciò non accadde. O, almeno, non era un rumore sordo ma una frase del brasiliano.

  "Porco cane ladro! Holly, togliti subito di mezzo! Non sei mica una leggiadra piuma d’oca!"

  La ragazza, timidamente aprì gli occhi e aprì uno spiraglio tra le mani, per guardare com’era andato il salvataggio.

  Non ci trovò niente da ridere nel vedere il suo ragazzo, a pancia in giù, svenuto e con un sottile filo di sangue dalla labbra, sulla schiena del suo vecchio allenatore, che imprecava e gli intimava di andarsene prima che decidesse di sodomizzarlo o torturarlo.

  "Holly, ti senti bene?" chiese la ragazza, in pena, trascinando via il ragazzo dalla schiena di Roberto.

  Lui lentamente aprì gli occhi e disse:

  "Bene, ma la mia lingua non tanto."

  Patty sollevò un sopracciglio, poi disse:

  "Non ti fa male nient’altro?"

  "Nulla. Roberto è davvero un ottimo materasso."

  "Grazie per il complimento, Holly" disse lui, con tono che non lasciava intendere nulla di buono.

  "Ok, se non ti sei fatto nient’altro, posso farlo."

  "Cosa?"

  "GRIDARTI CHE SEI UN CRETINO! MI HAI FATTO PRENDERE UN COLPO E CI RIDI SOPRA! E SE NON CI FOSSE STATO ROBERTO? IO ALL’OBITORIO COME TI CI PORTAVO! NON SEI MICA UNA LEGGIADRA FARFALLA INCONSISTENTE ED INCORPOREA, OLIVER HUTTON! A PARTE IL FATTO CHE SE TU FOSSI MORTO… AH, COME SONO INFURIATA!"

  "Obitorio? Ho fatto cadute peggiori!"

  "Holly, ti sei leggermente accorto che sei caduto da almeno sei metri e stai bene come un fiore appena annaffiato?"

  "Erano sei metri?"

  "Sì che lo erano! Te lo confermo io" disse Roberto, mentre si stirava la schiena indolenzita.

  "Non c’avevo fatto caso."

  "A parte il fatto che dovevi startene a letto…"

  "Patty, ma non abbiamo già litigato abbastanza, per oggi?"

  "Vero. Credo che per oggi possa bastare. Allora, continuiamo domani la litigata, oppure il secondo round è destinato ad un altro giorno? - chiese Roberto, massaggiandosi ancora la spina dorsale – E ora, voi due, andate a fare colazione, capito?"

  I due ragazzi guardarono il brasiliano, di solito calmo e pacato, che ora li guardava, furente e dolorante, e capirono che la scelta migliore era quella di lasciarlo stare per un po’, oppure sarebbe letteralmente esploso.

  I ragazzi, in silenzio, consumarono la colazione, poi Patty portò di nuovo Holly al piano superiore e, chiudendo a chiave dall’esterno, lo segregò nella sua stanza ed andò ad occuparsi di Roberto, che nel frattempo si era steso sul suo letto, continuando a massaggiarsi la schiena.

  "Ti fa molto male, Roberto?" chiese con dolcezza la ragazza, facendo capolino dalla porta.

  "Abbastanza."

  "Dai, ci penso io. Posso?"

  "Te ne sarei grato."

  La ragazza sorrise e, dopo aver preso un tubetto di crema contro le contusioni, fece togliere la camicia a Roberto e, massaggiandogli la schiena, gli spalmò addosso la crema.

  "Allora, avete parlato?"

  "Sì."

  "Com’è andata?"

  "Ci siamo chiariti."

  "Ha capito?"

  "Sì, ed anche io ho capito."

  "Cosa vuoi dire?"

  "Che anche io non capivo qualcosa. Non avevo mai capito fino a che punto lui mi voglia bene."

  "La cosa si va interessante. Racconta."

  "Cosa dovrei dire? Lui non aveva capito che ora come ora non me la sento di sposarmi, ed io non avevo capito che lui … beh, che desiderava che la nostra relazione non fosse soltanto platonica."

  "Certo che la botta in testa gli ha fatto proprio aprire gli occhi!"

  "No. Forse non è stata la botta. E’ stata la paura di potermi perdere a fargli quest’effetto."

  "Cosa intendi dire, Patty?"

  "Voglio dire che un paio di giorni prima che lui si dichiarasse, io avevo tentato di suicidarmi."

  "Cosa?"

  "E’ la verità. E’ stato Holly a salvarmi la vita, quel giorno. Mi ero ubriacata e imbottita di sonniferi."

  "Ma come hai potuto farlo, Patty?"

  "Ero terribilmente giù di morale, dal giorno in cui Holly mi aveva cacciato dall’ospedale, dopo che scoprì che erano già due settimane che sapevo il fatto che forse non sarebbe mai più potuto tornare a giocare a calcio. Io non gliel’avevo detto perché era stato il medico in persona a chiedermi di tacere, dato che c’erano ancora possibilità di ripresa, ma lui lo scoprì e mi odiò per questo. Non ci siamo visti per dei mesi."

  "Quando vi siete rivisti?"

  "Il giorno del tentativo di suicidio, il quattordici di Febbraio."

  "Il giorno di san Valentino?"

  "Sì."

  "L’avevi chiamato?"

  "No. Lo fece di sua spontanea volontà. E fu una fortuna."

  "E’ da allora che abita qui?"

  "Sì. Ha avuto paura che potessi cadere di nuovo in depressione."

  "E tu?"

  "Credo che fosse stata solo una fase. Anche adesso, che il dolore per la perdita dei nostri genitori è così fresco, non mi sento così triste come nei giorni in cui sapevo che Holly mi odiava."

  "Sono felice che tu la stia prendendo non troppo male."

  "Cerco di farmi forza."

  "Allora, come è andata, poi?"

  "Holly mi ha salvato la vita e, il sedici di febbraio ci siamo dichiarati. Sai, dormii fino a quel giorno."

  "Dovevi aver preso davvero parecchio sonnifero."

  "Sì, ne avevo preso moltissimo ed avevo bevuto anche parecchio."

  "Stavi proprio male."

  "Sì. Mi sentivo in colpa per il fatto che Holly avesse perso la carriera che da sempre aveva sognato."

  "Lui non te l’avrebbe mai rinfacciato."

  "Era furioso, ed entrambi abbiamo detto cose non vere."

  "Patty, non per cambiare argomento… Ma sei proprio sicura che Holly sia al sicuro, di sopra?"

  "Sicurissima, Roberto."

  "Come fai ad avere tanta sicurezza?"

  "L’ho chiuso a chiave in camera sua."

  "Ah, allora quello che sta con la schiena contro finestra è un suo sosia appeso a testa in giù. Oppure quel ragazzo oggi ha proprio deciso di fare l’acrobata e ha tentato la fuga con i lenzuoli come i carcerati e c’è rimasto appiccato per una gamba alla finestra."

  La ragazza, con aria indemoniata, guardò verso la finestra, dove si vedeva l’ombra di qualcuno che si agitava, penzolando a capo in giù.

  "La prossima volta lo metto in gabbia!" sibilò Patty, uscendo di corsa dalla stanza per uscire fuori a recuperare quel salame appeso di Holly, adesso nel vero senso della parola.

  I giornalisti, vedendo Holly, si erano ammassati su di lui e, senza pensare minimamente a farlo scendere, lo stavano intasando di domande, e quasi non si accorsero di Patty, che, con passo marziale ed aria assassina, si faceva spazio fra i giornalisti, fino a raggiungerlo.

  Senza una parola e con la delicatezza di un orso, la ragazza tirò le lenzuola fino a stracciarle e, dopo aver liberato la caviglia di Holly, che si era impigliata ed aveva causato la posizione a mo di salciccia della promessa del calcio giapponese, lo fece appoggiare alla sua spalla e lo accompagnò a casa, sempre mantenendo il silenzio più assoluto.

  "Ehi! Lo stavamo intervistando!" protestò un giornalista, afferrando la ragazza per un braccio.

  Il sangue gli si gelò nelle vene, quando vide lo sguardo furibondo che la ragazza gli rivolse.

  "Lei non intervista proprio nessuno. Come tutti i giornalisti riuniti qui attorno, è pregato di andarsene. Io e Holly non abbiamo nulla da dire, sono stata abbastanza chiara?"

  "Ma noi stiamo solo facendo il nostro lavoro!"

  "Noi non rilasciamo interviste, le ho detto. Per caso parlo arabo?" disse, furiosa Patty, poi portò Holly in casa, senza degnare di uno sguardo i giornalisti che la fissavano, chiedendosi se quella fosse la padrona di casa e cosa ci facesse il giovane Hutton lì.

  "La prossima volta invece che in camera ti chiudo in gabbia e butto via la chiave, Holly" gli sibilò Patty, mettendolo a sedere sul divano.

  "Scusami, ma…"

  "Non fa niente, ma ora promettimi che starai buono e fermo, va bene? Io mi devo occupare anche di Roberto, se non ti dispiace tanto" disse Patty, poi gli voltò le spalle e tornò di là.

  "Tutto a posto?"

  "Credo di sì, ma sono solo le dieci del mattino e già mi sento distrutta."

  "Posso immaginarlo" disse, sorridendo, il brasiliano.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Il Bene più Prezioso che C'è (parte seconda) ***


Capitolo 6:

Il bene più prezioso che c'è

(parte seconda)

 

Avviso Importante:

d’ora in poi questa fanfiction

è dedicata,

ad una persona molto vicina a me

che ha sofferto e soffre ancora molto.

Io non posso fare altro che pensare a te,

scrivendo questa fanfiction.

Non avrei mai pensato che potesse

Accadere davvero una tragedia del genere,

anche se so cosa significa

perdere una persona cara

all’improvviso

e

quanto la vita possa

essere fragile.

Sappi che ti voglio bene e

che sono sempre stata sincera.

Potrai sempre contare su di me,

in ogni momento,

perché ora siamo ancora più legate l’una all’altra.

Fatti forza, sorella di sventura,

perché io sono al tuo fianco

e non voglio più lasciarti sola.

 

  Nota dell'Autrice:

  lo so, lo so, non avrei dovuto interrompere lì il capitolo, ma era davvero troppo lungo, se non lo avessi scaglionato in più parti. Non so se questa sarà l’ultima parte di questo lungo capitolo, ma spero che vi piaccia ugualmente, questo strano capitolo, molto, ma molto lungo, e che perdoniate se, almeno in questa fanfiction, sono a dir poco prolissa.

 

***

 

  "E’ questa la casa della tua amica, Bruce?" chiese Raiden, accennando alla casa con giardino che era alla loro sinistra, del tutto simile ad un’altra qualsiasi e comune casa giapponese.

  "Sì. Quella è la casa di Patty."

  "Pensavo ci fossero più giornalisti, in giro" continuò l’uomo, accennando ai tre furgoni delle più importanti televisioni parcheggiati sulla carreggiata opposta e i cinque giornalisti che, con aria piuttosto infuriata, attendevano che qualcuno uscisse da quella casa.

  "Lo pensavo anche io, a dire il vero."

  I due lasciarono l’automezzo a pochi metri dalla casa, poi, senza degnare di uno sguardo i giornalisti, andarono alla porta.

  "Aspettate! - tuonò lo stesso giornalista con cui Patty aveva parlato poco prima - Che ci fate qui?"

  "Vado a trovare il mio amico" disse, neutro, Bruce, continuando a camminare come se nulla fosse.

  A quelle parole, i giornalisti si accalcarono attorno a Raiden e Bruce, ma, prima che potessero dirgli altro, la porta della casa di Patty si spalancò e la furiosa ragazza ne uscì, armata di ramazza.

  "Toglietevi di mezzo!" gridò, facendo rabbrividire di terrore i giornalisti, che si ritirarono quasi tutti. Quasi tutti perché il solito giornalista era ancora fermo lì, stavolta pronto ad affrontare la ragazza, che, come una furia, dopo aver mollato la ramazza con stizza, afferrò per un braccio i due e fece per tornarsene in casa, se non fosse stato per la mano del giornalista, che l’aveva afferrata per il colletto della maglia.

  Il momento in cui quell’uomo dette uno strattone a Patty e quello in cui un poderoso pugno lo colpì al naso fu unico.

  Patty guardò stupita l’anziano uomo che aveva dato un pugno al giornalista, poi gli sorrise e li accompagnò in casa, lasciando sul selciato il giornalista, con il naso sanguinante.

  "Buongiorno - esordì l’uomo, mentre entrava in casa, porgendo la mano alla ragazza dai capelli bruni - Io sono Patrick Horance Tzunoshi, ma puoi semplicemente chiamarmi Raiden."

  "Era un pugile" specificò Bruce, sorridendo.

  "Questo spiega come abbia messo al tappeto quel giornalista. E’ stato davvero fantastico. Quello lì è una vera e propria sanguisuga" disse Patty, stringendogli la mano.

  "Come stai?" chiese l’uomo.

  "Potrebbe anche andare peggio" disse Patty, sospirando.

  "E Holly dov’è?" chiese Bruce.

  "Spero non sul tetto a fare equilibrismo" disse, acida, Patty.

  "No, non preoccuparti, sono sul divano" disse Holly, dall’altra stanza.

  "Accomodatevi pure. Scusate, ma io devo andare ad assistere un malato."

  "E chi?" le chiese Bruce.

  "Roberto."

  "Roberto è qui?" le chiese Bruce.

  "Sì. Con la schiena a pezzi, ma ci sono" disse l’uomo, camminando verso il gruppetto.

  "Vai immediatamente di là!" ordinò Patty.

  "Va bene, ma tu tieni d’occhio il tuo ragazzo."

  "Cosa cosa cosa?! Il TUO ragazzo?! Holly è il TUO ragazzo?! Per la miseria, Patty! Ce l’avete fatta finalmente!" esclamò Bruce, correndo come un forsennato dall’amico, mentre Holly e Patty cambiavano colore e Raiden ed il brasiliano se la ridevano.

  Holly era seduto sul divano, con la gamba sostenuta da una sedia.

  "Cosa è successo, Holly?" chiese Bruce, notando le escoriazioni sul giovane calciatore.

  "Glielo racconto io o glielo racconti tu?" chiese, furiosa, Patty.

  Holly, imbarazzato, si strinse nelle spalle e si fece piccolo piccolo, aumentando la curiosità dei nuovi arrivati.

  "Ho capito, Holly, glielo racconto io. Dovete sapere che questo pazzo, che, per la cronaca, oggi ha delle noie con la gamba, prima è caduto dal piano superiore, cadendo per fortuna sulla schiena di Roberto poi, tanto per combinare altri guai, ha pensato bene di evadere per finestra dalla stanza usando una fune di lenzuola, con il risultato di rimanere appeso a capo in giù dalla finestra, in balia di quegli sciacalli di giornalisti, soprattutto quello che tu, Raiden, hai messo al tappeto" disse Patty, con rapidità impressionante.

  I due scoppiarono a ridere fragorosamente, vedendo il ragazzo che cercava di rendersi invisibile, apparendo sempre più imbarazzato di fronte allo sguardo inferocito della sua ragazza.

  "Però… - aggiunse Patty, sospirando – Io non dovevo chiuderlo a chiave in camera, l’ammetto."

  "L’hai chiuso a chiave in camera?"

  "Sì, per evitare che scendesse dalle scale senza che ci fosse qualcuno nei paraggi per aiutarlo. Sapete, stanotte ha dormito con la gamba in una pessima posizione, per questo oggi gli causa parecchio dolore" spiegò Patty con calma, per poi sedersi con naturalezza accanto al suo ragazzo e facendo cenno anche ai due ospiti di accomodarsi.

  Holly, timidamente e con falsa noncuranza, appoggiò il braccio sulla sponda del divano, tentando una riappacificazione con la sua ragazza, ma non si aspettava che lei si appoggiasse immediatamente a lui, sorridendo pacificamente, come se nulla fosse accaduto.

  "Vedo che vi siete riappacificati" disse Bruce, ghignando come una iena, mentre Holly se n’infischiava altamente delle allusioni dell’amico e di tutto il resto: aveva appoggiato la sua mano sulla sua spalla ed affondato il volto nella soffice e profumata capigliatura della sua girlfriend.

  "Credo che non ti senta" sussurrò Raiden a Bruce, poi il ragazzo gli fece cenno di seguirlo e solo quando furono fuori dalla portata dell’udito dei due piccioncini, si espresse.

  "Non stanno poi tanto male, Raiden."

  "Ancora non se ne rendono conto. Sarà la quotidianità a farli soffrire più di tutto il resto" disse l’anziano pugile, con saggezza.

  "Dici?"

  "Sì. Sarà lo svegliarsi ogni mattina senza rivedere più il sorriso delle loro madri, la mancanza di consigli e gelosie paterne, il fatto di non sentire più le loro voci, a far loro del male. Fidati, io… ho una certa esperienza nel campo."

  Il ragazzo lo guardò titubante.

  "Sai, la mia nipotina, che viveva con me e mia moglie, è affogata quando non aveva neppure cinque anni. Eravamo in vacanza in Finlandia, dove abitavano i suoi nonni paterni, e cadde giù dal traghetto. Sai, non riuscirono neppure a ritrovare il suo corpo. Adesso, avrebbe dovuto avere più o meno la tua età" disse l’uomo, tradendo dolore dalla voce.

  "Mi dispiace per te, Raiden. E tua moglie come la prese?"

  "Morì di crepacuore due settimane dopo. Voleva molto bene alla nostra Sylvia."

  "Si chiamava Sylvia?"

  "Sì. Fu suo padre Herik a volere che si chiamasse come sua nonna, colei che fece incontrare lui e mia unica figlia Shimone."

  "Shimone? Non è un nome comune."

  "E’ vero. Vedi, io sono per metà olandese e desideravo che dal nome si notasse che lei non aveva tutto il sangue di origine giapponese, così io e mia moglie ci accordammo per chiamarla per metà con un nome europeo, Simone, e metà con un nome nipponico, Shizune. Il risultato è stato questo Shimone, che le calzava a pennello."

  "Cosa faceva sua figlia?" continuò Bruce, vedendo che all’uomo faceva piacere poter parlare della sua famiglia.

  "Era infermiera. Si occupava della nonna di Herik, mandata qui per delle visite specialistiche dal dottor Hishizaku. E’ stato un luminare noto in tutto il mondo, nel campo oncologico."

  "Per questo, lei è stata colei che li ha fatti incontrare."

  "Esatto. Purtroppo lei morì prima del loro matrimonio e, amareggiati per questo, decisero che la loro prima figlia si sarebbe chiamata come la bisnonna che non avrebbero mai potuto conoscere. Purtroppo, Shimone e Herik morirono in un incidente stradale, lasciandoci in custodia Sylvia, che aveva appena compiuto due anni, ed in seguito… accadde quello che ti ho già detto. Nel giro di due settimane, persi sia la mia adorata nipotina che mia moglie."

  "Vuoi dire che da allora vivi solo?"

  "Sì."

  "Allora, se per te va bene, puoi restare a vivere da noi."

  "Oh, Bruce, non vorrei disturbare…"

  "Disturbare? Sarà mio padre a disturbare te, piuttosto."

  Raiden rise, poi sospirò:

  "Va bene. Mi piazzerò a casa tua."

  "Solo una condizione?"

  "Quale?"

  "Che glielo dici tu a mio padre."

  "Perché?"

  "Hai visto che mio padre è piuttosto corpulento?"

  "E allora?"

  "Quello si metterà a saltare e abbracciare tutto quello che gli capiterà a tiro. Non vorrei essere stritolato o pestato. Rischierei di finire in anticipo la mia carriera da calciatore."

  "A proposito… sei stato preso?"

  "Non credo. Ma non ho problemi. Proverò di nuovo ad entrare nel Fujisawa."

  "Quante volte hai già provato?"

  "Due."

  "Vedrai che alla terza ce la farai."

  "Speriamo… non vorrei arrivare agli ottant’anni e cercare ancora una squadra disposta ad ingaggiarmi!"

 

  Nel frattempo, alla stazione di Fujisawa, i quattro ragazzi che il giorno precedente avevano fatto una scampagnata, si stavano organizzando per prendere un treno. Il fatto era che, cullati dalla sottile brezza e il calore del sole marzolino, si erano addormentati e solo al tramonto si erano accorti di essersi assopiti, così avevano deciso di passare la notte in un piccolo albergo e tornare alle rispettive città il giorno dopo.

  Fu alla stazione che la triste novella li raggiunse.

  Julian era andato in edicola, seguito a ruota da tutti gli altri, per comprare un giornale sul calcio, quando l’occhio di Philip cadde sui titoli dei quotidiani.

  “Grave incidente aereo. Morti quattro giapponesi”; “Morti quattro giapponesi di Fujisawa durante atterraggio a Marsiglia” dicevano le testate, e, dato che per il treno che i ragazzi dovevano prendere sarebbe passato soltanto tre ore dopo, Philiph decise di acquistare un quotidiano locale per informarsi.

  Fu solo quando furono tutti e quattro seduti e Philip si mise a sfogliare il giornale di calcio assieme a Julian, che Amy notò le foto di Holly e Patty, in un angolo della prima pagina.

  "Ehi, cosa ci fanno qua sopra le foto di Patty e Oliver? Cosa c’entrano loro due con tutta questa brutta storia?" si chiese la ragazza, poi lesse il titolo che stava sopra la foto.

  "Oh mio Dio! No… non è possibile" sussurrò, dando una gomitata a Jenny, per richiamarne l’attenzione.

  "Cosa succede, Amy?" chiese la ragazza.

  La biondina si limitò ad indicarle il titolo dell’articolo, troppo shoccata per poter parlare.

  "Per la miseria! Philip! Philip! Guarda qua! Svelto! Anche tu, Julian! Guardate cosa è successo!"

  I due ragazzi, richiamati dalla voce di Jenny, resa acuta dal dolore, si avvicinarono alle ragazze.

  "Che suc…" stava dicendo Julian, ma le parole gli si gelarono in gola, leggendo il titolo del piccolo paragrafo “Morti i genitori d’Oliver Hutton e della sua migliore amica”.

  Il “baronetto del calcio” guardò la sua Amy, rimasta con gli occhi fissi sulla foto di quel loro caro amico e della ragazza a cui tanto si era affezionata per l’affinità che le legava: il fatto di servire e amare, fin quasi ad annullarsi, il capitano della propria squadra.

  "Amy, andiamo" disse, con voce ferma, Julian, prendendo con delicatezza la mano della sua ragazza.

  "Veniamo anche noi, vero Jenny?" disse Philip.

  La ragazza annuì e si alzò in piedi, seguendo il suo Philip alla ricerca di un taxi, mentre Julian cercava di scuotere Amy dallo stato di trance in cui sembrava essere caduta la ragazza.

  "Amy, tutto bene?" sussurrò il ragazzo.

  "No - sussurrò lei con tono trasognato – Come può andare bene qualcosa? Come, Julian?"

  "Lo so, ma non devi crollare. Devi farlo per aiutare Patty e Holly a superare questo brutto momento."

  "Lo so… Ma… ma è così difficile!"

  "E’ difficile, ma dobbiamo aiutarli a superare quest’ostacolo con il nostro appoggio. E le lacrime non servono a questo scopo, Amy. Capisci cosa ti sto dicendo, non è vero?"

  "Sì, hai perfettamente ragione, Julian" disse la ragazza, passandosi una manica sugli occhi, come se volesse liberarsi dei residui di un sonno in cui non era mai caduta, per poi alzarsi e seguire il suo capitano verso l’uscita, dove Jenny e Philip li aspettavano su un taxi.

 

  Holly e Patty, ora da soli, avevano ripreso a piangere.

  Ad entrambi, era balenata nella mente un’immagine diversa eppure identica: due foto, la prima, quella di Holly, posta sopra un cassettone in camera da letto dei suoi genitori; la seconda alla loro destra, sulla credenza di mogano, entrambe incorniciate in argento e legate da un solo sentimento: l’immenso amore che provavano quell’uomo e quella donna.

  "Patty…" sussurrò Holly.

  "Sì?"

  "Ti giuro… io ti giuro che tornerò a giocare a calcio e che vincerò la Coppa del Mondo."

  "Ne sono sicura. E io ti sarò sempre, sempre al tuo fianco e ti sosterrò, se ne avrai bisogno, Holly."

  "Credi che possa farcela per i Mondiali?"

  "Non sono tra due anni?"

  "Sì."

  "Allora sono certa che ce la farai."

  "Roberto mi aiuterà, vero?"

  "Questo è scontato."

  "Sai quanto avremo, dopo quei Mondiali?"

  "Sì. Quasi venti."

  "Credi che saremo sposati per allora?"

  "Non lo so. Questo dipende da molte variabili."

  "Lo so. Grazie per la tua sincerità."

  "Holly…"

  "Sì?"

  "Mi mancano tanto!" disse la ragazza, con voce rotta, stringendosi ancora di più al suo ragazzo.

  "Anche a me, Patty. Anche a me."

  "Non li voglio far soffrire."

  "Chi?"

  "Quelli… quelli che ci sono accanto in questo momento e ci vogliono bene. Se piango, li faccio soffrire."

  "Se ne hai voglia, devi farlo, Patty. Nessuno si aspetta che tu non pianga e non sia male per quello che è successo."

  "Ma… ma tu sei più forte di me."

  "Al contrario. Io sono più debole di te, perché non ho il coraggio di dire quello che mi porto dentro e di esprimere i miei sentimenti."

  "Ma cosa dici? Non è vero."

  "Sì che è vero. Non so esprimere ciò che provo, se non si tratta di calcio, e quando lo faccio… sbaglio sempre."

  Patty si rese immediatamente conto che stava accennando a quel maledetto giorno di fine Ottobre e si fece forza, sollevando il volto dal ragazzo.

  "Holly, non ne parliamo più, ok? E’ stato soltanto un momento d’estremo dolore, e poi… era la verità, quindi…"

  "No, non erano parole vere."

  "Erano parole dette con rabbia. Le più vere di tutte. Ma per me, non hanno più importanza. So che ti è dispiaciuto aver detto quelle parole e voglio che anche tu dimentichi quelle parole, come ho fatto io. Non ti porto alcun rancore, e quelle parole per me hanno perso qualsiasi significato. Erano solo il mostrare per quello che erano le tue emozioni. [(NdA: un po’ cervellotico e illogico, come ragionamento? Per riassumere, dato che non sempre il corso dei pensieri è troppo lineare…) (Nd****: soprattutto il corso dei TUOI di pensieri) (NdA: zitto tu! Stavo dicendo che, in parole povere, lei sa che quelle parole erano vere e lo perdona) (Nd****: e queste poche parole le dovevi far diventare un enigma degno della Sfinge? Secondo me, tu stai male) (NdA: guarda che poi io canto con tu sai chi, e se canto…. Tu sei nei guai fino al collo) (Nd****: ok, mi arrendo) (NdA: bravo cagnolino) (Nd****: raga, non sono un cane) (NdA: allora come mai mi lecchi i piedi?) (Nd****: megera!) (NdA: lasciami continuare!) ]

  "Sei grande, Patty" sussurrò lui, sorridendo, per poi baciarla con estrema dolcezza.

 

 

  Oliver Hutton,  2 Marzo  ore 11:04 AM

 

 

  Dio, quanto la amo! Non so più se riuscirei a sopravvivere, senza averla al mio fianco. Come farei, senza Patty che si prende cura di me? Come ho fatto a vivere senza di lei, in questi mesi? No, la verità è che io non ho vissuto, in quel periodo, ma sono solo sopravvissuto. Come ho mai potuto farle del male e non trovare mai il coraggio di parlarle con il cuore in mano, svelarle i miei sentimenti o soltanto dirle quanto sia importante nella mia vita, la sua presenza? Come ho fatto ad ignorare un angelo del genere per tutto quel tempo che lei mi è stata accanto e non avere il coraggio di spiccicare una sola parola, pronunciare una singola sillaba di quei sentimenti. Quale calore e forza riesco a trovare in lei. Sembra fragile, eppure è molto più forte di quanto si possa pensare.

 

  "Patty, non sai quanto ti amo" le sussurrò Holly ad un orecchio, slegandosi, solo per un istante, da quel dolce bacio.

  Quel bacio, che per Holly era stato un bacio qualunque, ebbe per Patty l’effetto di una scossa. Aveva finalmente compreso.

 

  "Ehi… ma… davanti alla loro casa non c’è nessuno!" esclamò Philip, scendendo dal taxi e vedendo che, molto stranamente, non vi erano giornalisti appostati di fronte alla casa di Patty [NdA: e certo! Dopo quello che ha fatto Raiden a quel poveretto, anche gli ultimi temerari che avevano resistito a Patty, se la sono data letteralmente a gambe!].

  "Ma dove saranno? Insomma, siamo già passati davanti a casa di Holly, e neanche lì non c’era anima viva. Cosa può essere mai successo a loro?" chiese Julian, che nel frattempo era sceso anche lui dal taxi, seguito a ruota da Jenny, che sorreggeva una distrutta Amy.

  Fu proprio la ragazza dai capelli più chiari a notare il particolare che li avrebbe spinti a restare lì e pagare la corsa a quel tassista che li aveva trasportati per le vie della cittadina.

  "C’è una luce, in casa" disse, indicando la luce che filtrava dalla finestra della camera di Roberto.

  "Allora qualcuno ci sarà - disse Philip, mollando nella mano del tassista i soldi necessari e una lauta mancia – E tenga pure il resto, buon uomo. E’ per la sua cortesia."

  L’uomo, in cenno di rispetto, sfiorò la tesa del suo cappello, poi ripartì, lasciando i quattro sul marciapiede.

  "Su, avviamoci" disse Philip, facendo strada agli altri tre.

  In pochi istanti i quattro furono davanti alla porta, e stavano per bussare, se dall’interno non fosse arrivato Bruce, che li aveva notati da una finestra, a fare gli onori di casa.

  "Da chi l’avete saputo?" chiese il ragazzo, appena aperta la porta.

  "I giornali. Abbiamo letto i titoli stamattina. Eravamo alla stazione di Fujisawa" disse semplicemente Julian.

  "Entrate pure. Vi faccio strada io, non preoccupatevi. Sono di là, in salotto" disse Bruce, facendo strada ai quattro visitatori verso il salotto, dove Holly e Patty, per puro caso, si stavano ancora baciando.

  I quattro nuovi arrivati rimasero sbalorditi nel vede il ragazzo che aveva detto per anni ed anni che il pallone era il suo migliore amico, baciare la sua ex manager, la ragazza a cui aveva salvato la vita quasi un anno prima, e, per di più, il giorno dopo un grave lutto.

  "Vi faccio notare che un grave shock può fare brutti scherzi a chiunque - disse Bruce, sarcasticamente – Compreso far svegliare il ragazzo che ha portato la New Team alla vittoria del campionato nazionale tre anni di fila e che non si è mai accorto di quanto tenesse a lui la sua manager."

  "Sì, ho notato, Bruce. Ho notato" disse Philip, con tono trasognato, per poi scoppiare a ridere come un matto, seguito a ruota da Julian, Jenny e Amy.

 

  Mark Lenders, mentre nella sua città si stava consumando la tragedia di Holly e Patty, si allenava a calcio in una radura piuttosto appartata del bosco, ignaro di tutto, sotto gli occhi attenti della giovane alta e piuttosto muscolosa, dai cortissimi capelli fulvi e gli occhi neri come le tenebre, che, con aria attenta e piuttosto critica, osservava quel ragazzo giunto dal nulla una fredda mattina di novembre e che le aveva chiesto accoglienza a casa sua, non potendo permettersi una stanza d’albergo, soprattutto dato che non poteva dare un tempo definito alla sua permanenza in quel suo sperduto paese. Quanto tempo era trascorso… e quanti eventi avevano segnato entrambi…

 

  Holly e Patty guardarono i loro amici, imbarazzatissimi per la situazione in cui i quattro li avevano trovati.

  Holly cominciò a boccheggiare, nel tentativo di spiegare, ma Julian fu più rapido di lui.

  "Inutile negare l’evidenza, Oliver. Ormai abbiamo scoperto tutto. A quando le nozze?"

  Holly sorrise, imbarazzato, mentre Patty, con tutto il sangue freddo di cui era capace, disse:

  "Il prima possibile. Comunque, prima che Holly ritorni a giocare. Sempre che lui sia d’accordo."

  Holly smise di respirare, nel sentire quelle parole, guardando Patty come se fosse diventata calva all’improvviso.

  "Che c’è, Holly? Non ti senti bene?"

  Il ragazzo non rispose, continuando a guardare la sua ragazza con aria a dir poco stralunata.

  "Vuoi parlare con me in privato, vero?"

  Lui annuì.

  "Scusateci, andiamo un attimo al piano di sopra. Credo di dover parlare con lui."

  "Io ne ho l’assoluta certezza" disse Bruce, accennando alla faccia a dir poco stranita di Holly.

 

  Holly, arrivato di sopra non si sa neanche come, fissava Patty con aria interrogativa.

  Il ragazzo fece per parlare, ma fu preceduto dalla ragazza.

  "No, Holly, non dire niente. Mi renderesti tutto ancora più difficile. Io… io ho finalmente capito una cosa. Sì, è vero che i cadaveri dei nostri genitori sono ancora caldi, ma…. ma ho capito che devo rifarmi una vita. Il prima possibile. Io… io ti amo, Holly, e farei qualsiasi cosa per te. Ma questa volta sarai tu a dover fare una cosa per me."

  "Dimmi pure, Patty" sussurrò il ragazzo.

  "Dovresti… dovresti…"

  "… sposare te?"

  Patty arrossì, imbarazzata.

  "Sì. Lo so che prima ho detto di no, ma…"

  "No, non devi spiegarti, Patty. Non devi. E’ una tua decisione, e puoi cambiare opinione quante volte ti pare e piace. Basta che tu mi dia un preavviso di almeno un mese, se non mi vuoi più sposare."

  "E per sposarti?"

  "Prendo il telefono e chiamo il prete all’istante? Sai com’è, per evitare che tu cambi idea…"

  La ragazza non potè fare a meno di ridere, nonostante avesse gli occhi inumiditi dalle lacrime.

  "Adesso, senza scherzare – disse Holly – Sei proprio sicura di volerlo fare? Insomma, stiamo insieme da così poco tempo…"

  "Non certo per colpa mia."

  "Ma non è neppure colpa mia."

  "Pareggio?"

  "Non sono abituato a pareggiare."

  "Ah, lo so. Il signorino le vince tutte."

  "No, non tutte" disse Holly, abbassando gli occhi.

  Patty aveva avvertito la nota di tristezza della sua voce e comprese che cosa intendesse dire.

  Con piglio caparbio, disse:

  "Ehi, non fare scherzi, ok? Tu tornerai a giocare a calcio. Dovessi correre tutto il tempo dietro di te per calciarti come il pallone che tanto adori, tu sarai di nuovo Oliver Hutton, stella del calcio nipponico e aspirante vincitore del prossimo campionato mondiale e della Scarpa d’Oro. Hai capito bene, Holly, oppure devo ripetertelo?"

 

 

  Oliver Hutton 2 Marzo  ore 11:18 AM

 

 

  Sbaglio o è piuttosto irritata? Forse… Forse non vuole che mi deprima in questo modo. Ma certo che non vuole che mi deprima! Che cretino che sono! Certo che però il dottore è stato chiaro sul fatto che, dal punto di vista muscolare e dei legamenti, la mia gamba non è più la stessa di un tempo. Come può Patty essere certa che potrò tornare a giocare? E’ forse un medico? Certo è che lei abbia molta esperienza in questo genere di cose, ma da qui al saperne più di un medico…. Lei non può neppure immaginare le mie vere condizioni. Erano settimane che non ci vedevamo, e lei subito si è messa a dire che io posso guarire! Lo fa certamente per mettersi l’anima in pace!

 

  "Scusami se sono stata così brusca, Holly, ma non ce la faccio a vederti in queste condizioni. Tu, che sei sempre stato il tipo più allegro ed ottimista che io abbia mai conosciuto, non puoi arrenderti in questo modo" disse la ragazza, abbassando lo sguardo.

  "Ecco, brava! Scusati sempre dopo che il danno è già fatto. Il dottore ha detto che non potrò mai più giocare a calcio! Cosa ne puoi sapere tu, più del dottore? Come pretendi di essere più esperta di un medico?! Ma tu non capisci di quanto io mi senta male ad essere menomato e che il sentirti ripetere che devo avere fiducia e che guarirò mi fa sentire solo peggio?! Sappi che tu non puoi…"

  Holly comprese troppo tardi di aver sbagliato ad aggredirla in quel modo.

  La sua ragazza soffriva almeno quanto lui della menomazione che lo affliggeva e, allo stesso modo in cui lui ancora si sentiva colpevole per il furioso litigio all’ospedale, lei si sentiva ancora in colpa per l’incidente accaduto quasi un anno prima.

  "Patty…"

  La ragazza non emise neppure un singolo suono. Si limitò a prendere la porta ed andarsene.

 

 

  Oliver Hutton / Patricia Gatsby  2 Marzo  ore 11:20 AM

 

 

  Mi odia! Adesso mio odia! Mi odia!

 

  Patty, nonostante in quella stanza si fosse trattenuta, non riuscì ad arrivare al piano di sotto senza essere sull’orlo delle lacrime.

  Mai avrebbe immaginato che Holly potesse farle male in quel modo e, senza pensarci, andò in cucina e fece finta di guardare nella credenza e nel frigorifero, celando così il rumore che fece nel prendere dal cassetto una valigetta di metallo in cui suo padre, poliziotto, tra le altre cose, custodiva la pistola d’ordinanza, per poi dire, rivolta a coloro che erano seduti nel salotto:

  "Ragazzi, io vado a comprare un po’ di roba da mettere sotto i denti, dato che mi sono accorta di avere la dispensa vuota. Non preoccupatevi, torno immediatamente. Intanto voi fate come se foste a casa vostra."

  Senza attendere la risposta dei suoi ospiti, la ragazza uscì di casa, con la ventiquatt’ore sotto braccio, ma, appena uscita di casa, non si negò un sorriso a dir poco diabolico.

  Poi scappò, di corsa, sotto il cielo plumbeo di quel Marzo, diretta verso l’ospedale dove era stato curato Holly.

 

  "Lo so! Sono un emerito testa di cazzo!" gridò Holly, frustrato, appena sentì la porta scricchiolare, segno che qualcuno si stava introducendo nella stanza.

  "Non pensavo che conoscessi termini del genere, Oliver. Soprattutto, poi, se qualcuno viene quassù per non lasciarti completamente solo" disse Philip, con aria divertita entrando nella stanza, seguito a ruota da Julian, Roberto, Raiden, Amy, Jenny e Bruce.

  "Non so cosa tu le abbia fatto, ma devo dire che l’hai fatta grossa per l’ennesima volta, Oliver - disse Roberto, sospirando – Ma è possibile che con lei tu non ne faccia una giusta?"

  "Cosa vi ha raccontato Patty?"

  "Nulla. Ma il tuo grido era piuttosto chiaro che le hai fatto qualcosa di non molto positivo" disse Bruce.

  "Volete sapere cosa è accaduto, vero?"

  "Direi!" esclamò Julian.

  "Volevi chiederle qualcosa da mangiare molto particolare e lei l’ha presa male, vero?" gli chiese Jenny.

  "Deve essere così. Non sarebbe mai uscita di casa così in fretta, se non fosse stato per questo" continuò Amy.

  "Cosa? Patty è uscita?"

  "Sì, circa mezz’ora fa. E’ passata per la cucina, dove ha frugato per qualche minuto nella credenza, poi è uscita. Come mai aveva tutta quella fretta, Oliver?" chiese Philip.

  "In cucina?! Ha frugato nella credenza?! Oh no, Patty! Non puoi avermi fatto questo! Non puoi averlo fatto davvero! Non puoi!" esclamò Holly, catapultandosi giù per le scale, diretto verso la cucina e il cassetto dove sapeva che si trovava la pistola del padre della ragazza.

  Era stato il terzo o quarto giorno di convivenza che lei gli aveva mostrato il luogo in cui si trovava l’arma.

  Gli aveva anche chiesto espressamente di impedirle di impugnarla, qualsiasi fosse stata la situazione. Gli aveva confidato che aveva piuttosto timore di quell’arma, ma che anche, una volta, le era passato per la testa di farla finita usando proprio quell’arma.

  Rapidamente, Holly aprì il cassetto e ne rovesciò il contenuto sul pavimento, disperato, senza badare al rumore che faceva e agli sguardi sorpresi che i suoi ospiti gli rivolgevano, ammutoliti dalla reazione talmente impulsiva e sconclusionata del ragazzo.

  Il suo rovistare era spasmodico e non si accorse neppure di essere in lacrime, nel vedere che, senza ombra di dubbio, la scatola che la conteneva non era più al suo posto.

  "Cosa succede?" chiese Roberto, l’unico ad avere il coraggio di rivolgergli la parola, nel vederlo lì, con gli occhi fissi in quel cassetto, ormai svuotato completamente del suo contenuto.

  Il ragazzo sembrò riscosso dalle sue parole e, senza esitazione, si lanciò all’inseguimento della sua ragazza. Nessuno dei presenti capì che cosa fosse accaduto.

 

 

  Oliver Hutton 2 Marzo  ore 12:03 AM

 

 

  Patty, giuro che se mi fai un’altra volta una cazzata come quella di due settimane fa, io non ti perdono. Ma cosa sto dicendo! Per la miseria! Patty vuole suicidarsi ed io riesco ancora a pensare a quello che le farò quando la troverò?! Ma come posso pensare cose del genere! Patty! Patty! PATTY!!! Patty, non mi puoi morire in questo modo! Patty! Non fare cazzate, Patty! Ti supplico, Patty! Non posso vivere senza di te! Patty!

 

  "Ma che gli sarà preso?" chiese Julian.

  "Sinceramente, non so dirtelo, ma dall’aria, sembrava davvero parecchio preoccupato per Patty. Chissà che cosa ha combinato questa volta?" disse Philip.

  "Per far infuriare Patty, però, non è che ci voglia poi molto. Dovevate vedere che scapaccioni, quando era la manager della New Team…" disse Bruce, rabbrividendo al solo pensiero.

  "Ah, me la ricordo! - intervenne Roberto, ridendo – Vi ricordate che tornado era? Sembrava sempre sul punto di picchiare qualcuno. Una volta per poco non mi spellava!"

  "Me in particolar modo, voleva fare nera - disse Amy – Non sopportava che parlassi con Holly perché pensava potessi essere d’intralcio alla loro storia. Almeno fino a quando non le dissi chiaro e tondo che a me non piaceva Oliver Hutton, ma Julian Ross."

  "Aspettate un attimo – disse Raiden – Voi state dicendo che anche lei è stata una manager della squadra di calcio in cui giocava lui?"

  "Lo ero anche io" disse Jenny, arrossendo.

  "Non farci caso, Raiden. Il detto dice 'i grandi uomini sono sempre affiancati da grandi donne', ma per loro vale il detto 'i grandi calciatori in erba sono sempre affiancati dalle loro manager'."

  I presenti scoppiarono a ridere, ignari di tutti i problemi e, soprattutto, dell’imminente arrivo dei quattro ragazzi proveniente dall’Europa.

 

  Intanto, all’ospedale…

  "Dottore, c’è una signorina che la cerca" disse un’infermiera, entrando nello studio del primario d’ortopedia, il medico che aveva operato la gamba di Holly e lo stesso che aveva comunicato al giovane la ferale notizia della fine della sua carriera agonistica.

  "La faccia entrare. Di chi si tratta?"

  "La ragazza che è stata per sei mesi in Terapia Intensiva, al capezzale di quel giovane finito sotto il camion. Mi pare che fosse un calciatore molto giovane di nome Oliver Hitton."

  "La signorina Patricia Gatsby?"

  "Sì. Credo che sia questo il suo nome."

  "Dille pure che è la benvenuta e che può accomodarsi. Vado a prendere le carte del suo amico ed arrivo."

 

  "Per la miseria! Adesso ha iniziato anche a piovere forte!" imprecò Holly, mentre correva come una freccia per le strade della città, bagnandosi di conseguenza come un pulcino.

  Non si accorgeva neppure, a causa della preoccupazione, che stava filando come il vento, allo stesso modo in cui s’involava verso la porta ai tempi degli allenamenti del San Paulo.

  Oliver Hutton, in preda al terrore, non si rendeva neppure conto che, forse, quella determinazione, che aveva inconsciamente perso il giorno del litigio con Patty, era la vera chiave per una sua completa guarigione dal drammatico incidente che aveva avuto.

 

  "Signorina Gatsby?"

  "Sì?" disse la ragazza, che nel frattempo si era accomodata su una sedia, appoggiando ad un lato la valigetta contenente l’arma letale, pronta per essere utilizzata.

 

  Holly, non sapendo dove potesse essere andata Patty, si diresse verso l’ospedale più vicino, quello in cui era stato ricoverato per più di sette mesi, sperando di non trovarla lì, con un proiettile conficcato nel cervello.

 

  "Allora di cosa voleva parlarmi, signorina Gatsby?"

  "Vorrei fare un piccolo esperimento. Lei si presterebbe a fare… Diciamo da cavia, dottore?"

  "E di che genere d’esperimento si tratta?"

  Senza dire una parola, la ragazza estrasse dalla valigetta la pistola appartenuta al padre, e l’appoggiò sul tavolo.

  Come in stato d’ipnosi, con il volto dal quale non trasparivano emozioni di sorta, la giovane donna rimirava la fredda linea della pistola. L’aveva vista moltissime volte, quando suo padre la infilava nella fondina, eppure solo in quel momento si accorgeva di quanto potesse essere aggraziata la linea di quell’arma, di quanta lucentezza possedesse il metallo di quello strumento di morte, di quanto fatale potesse rivelarsi, con un singolo gesto.

  Sorrise tristemente, poi l’impugnò e la puntò verso il medico, come se volesse sparare.

 

  "Cosa?! Patty è qui?"

  "Sì. Adesso la signorina Gatsby è con il dottore. Forse doveva dargli qualcosa di molto importante. Non tutti arrivano qui con una cassetta di metallo" disse l’infermiera.

  Holly, in preda al più puro panico, entrò nella stanza come un fulmine, scoprendo Patty che puntava la pistola contro il volto del suo medico, che la fissava con gli occhi sgranati, mentre molti rivoletti di sudore freddo gli scorrevano sul volto e sul collo.

  Holly, come un fulmine, fu sulla ragazza e la disarmò, stando però attento a non farle del male.

  Fu allora, quando l’ebbe disarmata, che Patty scoppiò a ridere come una pazza, non riuscendo più a controllare l’ilarità.

  "Ti senti bene, Patty?" chiese il medico, che era stupito dell’accaduto almeno quanto il ragazzo, che, per lo shock, l’aveva lasciata andare ed ora la fissava, a dir poco sbigottito.

  "Benissimo! Mai sentita più felice, dottore!"

  "Patty, tu gli stavi puntando contro una pistola! E adesso ridi come una pazza, per questo?"

  "Qui servono un paio di precisazioni. La prima, è che la pistola è scarica; la seconda… ma l’ha visto, dottore? Sono settimane che ne sono convinta, e questa è la prova che ho ragione!"

  Solo allora il medico si rese conto della fluidità dei movimenti delle gambe del ragazzo, durante la corsa per la stanza.

  "Non so cosa dirti, Patricia Gatsby. Sei a dir poco geniale. Ma come sapevi che sarebbe arrivato proprio adesso, qui?"

  "Mi sono messa d’accordo con la sua infermiera, mentre lei era di là a prendere i referti di Holly."

  "In parole povere saresti rimasta a guardare la pistola fino a quando lui non fosse arrivato?"

  !Esatto. Mi dispiace averla fatta spaventare, e mi dispiace aver fatto prendere un coccolone anche a te, Holly, ma era l’unico modo che avevo per mostrare al dottore che tu hai ottime possibilità di guarire. E, naturalmente, dovevo dimostrarlo anche a te."

  "Non è che me lo potresti dire chiaro e tondo, quello che hai fatto? Sai, da solo non riesco ad arrivarci" disse il ragazzo, che ancora non aveva capito nulla di quello che aveva escogitato la sua ragazza.

  "Dimmi un po’, Oliver Hutton, da quanto tempo era che non correvi a quel modo? Come, ad esempio, se ti stessi involando sulla fascia, pronto per dare l’assist per un sicuro goal?"

  Il ragazzo si mise a riflettere, comprendendo rapidamente che cosa la sua ragazza stesse dicendo: lui aveva corso! E non era stata una corsa di quelle che aveva fatto da qualche mese a quella parte. Era stata una vera corsa, una corsa degna del grande Oliver Hutton dei vecchi tempi. Il vero Holly Hutton. Era la corsa del futuro campione della nazionale giapponese, non la corsa di una persona che sarebbe rimasta zoppa per tutta la vita.

  Più il suo ragazzo sbiancava, comprendendo cosa avesse voluto dirgli con quelle parole, più Patty si sganasciava dalle risate, così come il medico, anche se era ancora alquanto sconvolto per il fatto che la dolce ragazza con cui aveva stabilito uno pseudo-rapporto d’amicizia, durante tutti quei mesi in ospedale, gli avesse puntato contro una pistola.

  Impulsivamente, il ragazzo abbracciò la sua folle ragazza e la sollevò tra le sue braccia, facendola volteggiare in aria, mentre lacrime di gioia solcavano i volti di entrambi i giovani.

  "Sei pazza! - continuava a ripetergli il ragazzo – Sei completamente uscita di testa, ragazza mia. Ma come t’è saltato in mente di fare tutto questo per provarmi la validità delle tue tesi?"

  "Tu mi avresti creduto?" continuava lei a chiedergli, sorridendogli.

  "Certo che no!" era la sua risposta, poi le proponeva di nuovo la sua domanda, ricevendo sempre la medesima risposta.

  Passarono cinque minuti buoni a dire le stesse cose. Fu il medico ad interrompere il loro idillio.

  Si schiarì la gola, poi disse:

  "Questo l’abbiamo capito. Grazie tante per averlo precisato."

  I due arrossirono, imbarazzati.

  "Ci scusi - disse Holly – ci siamo lasciati prendere un po’ la mano. A dire il vero, un bel po’."

  "Ci perdoni. Soprattutto me. Lo so, ho sbagliato a fare quel che ho fatto, ma ero a dir poco disperata."

  "Lo capisco, non preoccuparti. Anche io ho avuto a che fare con questo testone, Patty."

  "In fondo, però, è tanto caro."

  "Sbaglio o mi sono perso qualche puntata?"

  "Direi proprio di sì, dottore - disse Holly, sorridendo – Sempre che la storia in torni indietro a causa di qualche parole detta ma non pensata seriamente."

  Aggiungendo queste parole guardò Patty con aria speranzosa.

  "Scusami, Patty, se non ti ho creduto. Sono stato anche ingiusto, nei tuoi confronti. Ogni tanto non connetto il cervello, quando parlo."

  "Capita a tutti. E poi, io ho ne ho fatte di peggio. Ehm… Holly, potresti accompagnarmi dalla polizia?"

  "Guarda, signorina Gatsby, che io non ho mica intenzione di denunciarti."

  "Oh, lo so. Ma io non posso più tenere in casa quest’arma. Devo restituirla alla Polizia. Quando muore il poliziotto, la sua arma deve essere restituita. E’ questa la prassi."

  Dette quelle parole, gli occhi della ragazza si colmarono improvvisamente di lacrime e Holly prontamente l’abbracciò, conscio anche lui di quanto male facesse il sorridere e poi ripensare in quale triste realtà si è stati sballottati all’improvviso, dal destino maligno.

  La gioia del momento era stata spazzata via all’improvviso da quel violento ritorno alla realtà.

  "Cosa è accaduto?" chiese il medico, vedendo il dolore che traspariva dai volti dei ragazzi.

  "Non ha saputo dell’incidente aereo di Marsiglia?" rispose Holly.

  "No. Quando?

  "E’ successo tutto ieri mattina" sussurrò Patty, con la voce rotta dal pianto, continuando a nascondere il volto contro la maglietta, già abbastanza bagnata, del suo ragazzo.

  "Ho dovuto operare un uomo per parecchie ore, poi mi sono addormentato in una stanza vuota ed ho iniziato un nuovo turno. Non ho notizie dal mondo dall’altro ieri, a sera."

  "I nostri genitori sono morti in quell’incidente" disse Holly, abbassando lo sguardo sulla ragazza.

  "Cosa?"

  "Erano andati a fare una seconda luna di miele, ma l’aereo ha avuto un incidente all’aeroporto di Marsiglia. Sono morti tutti, equipaggio e passeggeri" disse il ragazzo.

  "Vi faccio le mie più sentite condoglianze, ragazzi. Mi dispiace davvero molto per voi."

  "Grazie, dottore. Ora, se non le dispiace, portiamo l’arma alla polizia poi torniamo a casa" disse il ragazzo, accompagnando, con il solo tocco, la sua ragazza fuori dallo studio, dopo aver afferrato con una mano la valigetta di metallo e la pistola del padre di Patty.

  "Non credo che sia una buona idea portarla fuori dalla valigetta" disse il medico, togliendo il tutto di mano al ragazzo e, in seguito, mettere l’arma all’interno della valigetta.

  "Adesso va meglio. E… le mie più sincere condoglianze, ragazzi. Mi dispiace molto, per voi."

  Holly stiracchiò un pallido sorriso, poi, con Patty ancora stretta a lui, si diresse verso la centrale di polizia, dove i due giovani vennero trattati con ogni gentilezza possibile.

  Quando furono di ritorno a casa, erano circa le due del pomeriggio, ed entrambi erano stanchi e con gli occhi arrossati.

  "Alla buon ora! - esclamò Bruce, spalancando la porta – Cominciavamo a preoccuparci! No, non dovete dire niente. Amy e Jenny hanno anche preparato il vostro pranzo. E’ in caldo, nel forno. No, non dovete dire niente. Il vostro compito è mangiare e riposarvi."

  Il sorriso che Patty gli rivolse valeva più di mille parole, e Bruce lo capì.

 

  Dopo il pranzo Holly e Patty, stremati dalle molteplici emozioni provate, decisero di andare a dormire nelle rispettive stanze,lasciando soli nel salotto Raiden, Bruce, Julian, Philip, Amy e Jenny.

  "Secondo voi cosa è successo stamattina?" chiese Amy, preoccupata per l’espressione a dir poco strana che Patty e Holly avevano da quando erano rientrati in casa.

  "Non ne ho la più pallida idea - ammise, con estrema sincerità, Roberto – Conosco bene Holly, ma non l’ho mai visto così … enigmatico. Non era lo stesso ragazzo di poco prima."

  "Dal giorno dell’incidente Holly è cambiato molto. L’ho visto molto più maturo, eppure, oggi ho visto Holly ulteriormente cambiato. Deve essere accaduto qualcosa, nelle ultime tre settimane. Forse il fatto che si sia messo insieme a Patty?" disse Bruce, con aria pensosa.

  "Può darsi, ma secondo me è tutt’altra faccenda. Pensa quanto deve essere scosso! Ha appena perso i suoi genitori, ed è perfettamente normale che soffra e che appaia cambiato, Bruce" disse Julian.

  "No. A me non sembra questo il cambiamento" disse Philip.

  "E allora cosa c’è che noi non sappiamo? Quale segreto nasconde Holly?" disse Jenny.

  "Voi non sapete una cosa. Io non posso rivelarvela. Vi basti solo sapere che Patty non è stata molto bene, da quando ha litigato con Holly, quel maledetto giorno d’Ottobre."

  "Cosa vuoi dire, Roberto?" chiese Julian.

  "Holly è seriamente preoccupato per Patty?" disse Amy.

  Il brasiliano annuì.

  "Ma cosa può essere accaduto di tanto terribile - sussurrò Jenny – da indurre Holly a controllare Patty? A meno che…. Roberto, ti prego, non mentire. Patty ha tentato di fare una sciocchezza, vero? Io… avevo letto questa intenzione nei suoi occhi, il giorno in cui Holly si sveglio, ma… Ma non riuscivo a crederci! Roberto, dicci qualcosa!"

  Il brasiliano si morse il labbro inferiore, incapace di nascondere quell’informazione ai ragazzi e all’anziano uomo, e gli altri compresero che la ragazza aveva indovinato quello che nascondeva Roberto.

  "Cosa ha fatto?" chiese Amy, in un soffio.

  "Non dovrei essere io a dirvelo, ma … Patty, due settimane fa, ha tentato di suicidarsi."

  I presenti allibirono a quella rivelazione.

  "Ma… come…" balbettò Bruce.

  "Si è ubriacata di brutto ed ha ingollato una dose massiccia di sonniferi. Se Holly non fosse stato qui… ora Patty sarebbe morta. Mi ha rivelato che è stato lui a salvarle la vita. E’ stato solo un caso, che lui fosse venuto in questa casa. Forse voleva parlarle di ciò che accadde."

  "Ma … come…. perché…"

  "Philip, il senso di colpa di Patty era enorme. Odiava il fatto di aver strappato ad Holly la sua carriera. E di non averglielo detto subito. Il medico ha rivelato a lei, il giorno in cui lui si è svegliato dal coma, che Holly non aveva molte possibilità di salvare la sua carriera. Il litigio che ebbero ad Ottobre fu proprio a causa di questo segreto che Patty custodiva. Non so come, ma Holly deve aver scoperto che Patty lo sapeva e deve essersela presa con lei. Credo anche che siano volate parole piuttosto grosse tra quei due."

  "Che brutta faccenda! E ora, questo nuovo dramma. Come farà Patty a sopravvivere, ora?" chiese Amy, in lacrime, così come Jenny.

  "Ho Holly, e sono sicura che lui guarirà completamente. Questo mi dà la forza di andare avanti" disse la ragazza, facendo la sua comparsa sulla porta.

  "Patty!" esclamarono in coro.

  "Sai che non avevi il diritto di raccontare ciò che accadde il quattordici di Febbraio, vero Roberto?"

  "Patty…"

  "Era un segreto. Io mi fidavo di te!" disse la ragazza, scotendo il capo.

  "Avevamo il diritto di saperlo, Patty – disse Raiden – E’ meglio, così potremmo aiutarti meglio."

  "E come? Spedendomi da uno psichiatra? Abbiamo già abbastanza spese, grazie tante."

  "Ma…" cercò di parlare Julian.

  "Ma un corno! Voi non dovevate sapere nulla. Era un segreto tra me, Roberto e Holly. Nessun altro doveva saperlo!"

  Detto questo, la ragazza fece per andarsene, ma furono Amy e Jenny a fermarla, con le loro parole.

  "Noi ti vogliamo bene."

  "Lo so, ed è per questo che non dovevate sapere. Non dovevate soffrire ulteriormente, per me" sussurrò Patty.

  "E’ questo, allora?" esclamò Bruce.

  "Tu non volevi… farci preoccupare?" sussurrò Amy.

  "Esattamente - disse Holly, entrando anche lui – E’ per questo che abbiamo taciuto, ragazzi."

  Il ragazzo si avvicinò alla sua Patty, abbracciandola con dolcezza.

  "Holly…"

  "Sì?"

  "Hanno il diritto di sapere di questa mattina."

  "Lo so, piccola peste. Vogliamo raccontargli anche questa?"

  "Direi di sì. Un bel colpo massiccio in una volta sola e via!" sussurrò la ragazza, ridacchiando debolmente.

  "Ti amo immensamente, angelo mio" disse il ragazzo, chinandosi per sussurrarle quelle parole all’orecchio.

  "Sei così dolce, certe volte" disse lei, sorridendo e affondando ancora di più nel suo abbraccio.

  Fu Bruce, che si schiariva rumorosamente la voce, a rompere l’idillio tra i due giovani piccioncini.

  "Ehm, ragazzi… non è che potreste risparmiarci la scena 'un grande amore e niente più'?"

  Patty e Holly presero colore per l’imbarazzo, poi si fecero coraggio e sciolsero il loro abbraccio.

  I due ragazzi, imbarazzati, si misero a sedere tra Julian e Philip, poi la ragazza si schiarì la voce.

  "Ebbene…- iniziò la ragazza – Dovete sapere che tutta questa surreale faccenda ha avuto inizio questa mattina…"

 

 

[NdA: non vorrete veramente che racconti da capo tutto quello che è accaduto in questi due capitoli? E’ stata già una battaglia scriverlo nel minimo spazio possibile! Quindi fate finta che qui ci sia un bel racconto che dura un intero pomeriggio. Perché proprio un intero pomeriggio?]

 

 

  Fianco a fianco, i quattro ragazzi provenienti dall’Europa scesero dalla scaletta dell’aeroporto di Tokyo ma man mano che si erano avvicinati al Giappone la gioia e spensieratezza erano state rimpiazzate dalla tristezza del motivo per cui si trovavano lì.

  Senza la traccia di un sorriso, passarono il check-in, recuperarono i loro bagagli e chiamarono un taxi per andare alla stazione, stipandosi alla meglio all’interno della vettura.

  Benji era seduto sul sedile anteriore, essendo il più robusto, mentre Martina sedeva tra Colette e Tom, ed i tre erano stipati lì dietro come le sardine in una scatoletta di latta.

  Nonostante la tristezza che aveva nel cuore fosse molta, la giovane tedesca non potè fare a meno di rimanere affascinata dalla scintillante città che appariva davanti ai suoi occhi.

  "E’ bellissimo!" sussurrò piano la ragazza, in inglese.

  Martina, che non aveva proferito parola fino ad allora, si voltò anche lei verso la metropoli e rimase a bocca aperta. Abitando ad Ascoli Piceno e non essendo mai stata in una gran città, non aveva idea di quanto potesse essere bello vedere un centro abitato di quelle dimensioni dal vivo.

  "E’ una visione fantastica!" esclamò la ragazza nella sua lingua madre.

  "Cosa ha detto, Tom?" chiese Benji.

  "Che le piace molto" rispose Tom, guardando, anche lui strabiliato, nonostante l’avesse vista già parecchie volte vista, la visione che aveva scatenato la gioia nell’animo delle ragazze europee.

  "Ha ragione. Anche se per me rappresentano casa e le ho viste moltissime volte, le città giapponesi in notturna hanno un loro fascino particolare" concordò, sorridendo, il portiere.

  "Certo che è strano! - esclamò Martina, tornata, almeno per un po’, in vena di sorridere - Io mi sento come se dovessi fare la prima colazione o al massimo pranzo, invece qui è già l’ora di cena!"

  "Esatto" le confermò Tom.

  "E poi, ora che ci penso, ci sarà da andare a dormire, tra qualche ora. Ma noi ci siamo svegliati poco più di due ore fa!"

  "Hai ragione anche su questo" disse Tom, non riuscendo ancora a comprendere dove volesse arrivare Martina.

  "Tom, dove andremo, appena arrivati a Fujisawa? A casa di Holly o di Patty?"

  "Non so neppure a che ora arriveremo, comunque credo che sia consigliabile andare da Patty."

  "E come mai?" disse Benji, voltandosi verso l’amico.

  "Io non credo che Holly lascerebbe sola Patty in un momento del genere."

  "E con ciò? Patty non potrebbe essere andata da lui?"

  "Hai ragione, ma ho come la sensazione che Holly non sia a casa sua. Chiamalo sesto senso, se vuoi, ma sono certo che Holly è da Patty e non il contrario."

  "Martina, ti abbiamo mandato in Italia un calciatore e al ritorno ce lo trasformi in un veggente?" chiese Benji, ridendo.

  "Queste facoltà non le ha certo acquisite in Italia. Deve essere l’aria di casa a fargli quest’effetto. Di solito non si accorge neppure se una ragazza è interessata a lui e cosa sta dicendo."

  "Certo, se non si mettesse a parlare come la Sibilla, magari capirei anche cosa voglia dire" disse Tom, sorridendo.

  "Quanto gli voglio bene! - esclamò Martina – L’insulto, e lui non reagisce che con un sorriso!"

  Colette, nel frattempo, sorrideva, vedendoli sorridere un po’.

 

 

  Colette Montgomery 2 Marzo  ore 7:43 PM

 

 

  Come sono gioiosi, insieme. Io non riesco ad essere così neppure quando sono di buon umore, figurarsi ora. E’ inutile credere di poter essere come loro oppure una di loro. Non ci riuscirò mai. Mi sento così inadeguata in loro compagnia! Loro sono così diversi da me! E Benji… è così felice con loro. Non l’avevo mai visto fare battute così di gusto. Al massimo fa le sue solite battutine acide. Ed è così amichevole con loro. Ad Amburgo, invece, è soprannominato “l’Orso” a causa del suo essere taciturno e scostante.

 

  "Va tutto bene, Colette?" le chiese Benji, notando che non aveva un’espressione felice.

  "Sì, non preoccuparti, Benji. Tutto bene. Sul serio."

  Il portiere la fissò, dubbioso, poi il suo volto si distese in un largo sorriso e le diede un delicato buffetto sul naso.

  Intanto Martina si era praticamente accasciata sul povero Tom, coprendogli bocca e naso con la sua chioma e provocando solletico al centrocampista, che si contorceva e sputacchiava sotto il dolce peso della sua ragazza.

  "Ma che cappero stai facendo?" le chiese in italiano, sputacchiando i capelli della ragazza.

  "Mi rilasso e guardo il panorama."

  "Sì, ma mi stai addosso."

  "E allora?" chiese lei, chinando la testa all’indietro fino a riuscire a guardarlo in faccia e guardandolo con aria interrogativa.

  "Saresti un po’ fastidiosa, così messa."

  "E perché?"

  "Mi stai praticamente facendo mangiare i tuoi capelli."

  "Saporiti?"

  "Martina!"

  "E dai, stavo scherzando."

  "Ma stai ancora qua?"

  "Devo proprio spostarmi?" chiese lei, facendo l’aria disperata.

  "Direi."

  "Sicuro?"

  "Sì."

  "Sicuro sicuro?"

  "Sì."

  "Sicuro sicuro sicuro?"

  "Sei forse diventata sorda?!" disse lui, con una punta d’irritazione.

  "Ah, mi tratti così? - chiese lei, infuriata, balzando su come una molla - Voglio il divorzio!"

  Tom, spaventato dalla fulminea reazione di Martina, riuscì solo a balbettare, a mezza voce:

  "Ehm… ma noi non siamo sposati."

  "Dettagli irrilevanti!" disse lei, non potendosi trattenere dal fargli un enorme sorrisone [NdA: avete presente quello che ogni tanto facevano fare ad Antonio Baldes della vecchia edizione di Saranno Famosi (ora ribattezzato Amici di Maria de Filippi)e ci mettevano l’effetto sonoro dello scintillio?Tipo quello].

  "Sai che sei strana?" disse lui, stupito dal repentino cambiamento di comportamento di Martina, nonostante oramai avesse fatto l’abitudine al suo modo di fare disarmante.

  "E’ in senso dispregiativo?"

  "Mai."

  "Allora l’accetto con piacere, detto da te" disse lei, gettandosi di nuovo a peso morto sopra di lui.

  "Siamo punto e a capo?"

  "Esatto."

  "Ma…"

  "Lo sai no? Tu puoi vincere contro tutti, ma non contro la sottoscritta."

  "Ah, lo so benissimo, oramai."

  "Ehm, ragazzi… - disse Benji che, come Colette, che nel frattempo si era raggomitolata in un angolo del sedile posteriore, li guardava con aria a dir poco traumatizzata – Ma… tra voi è così tutti i giorni? Dico … il fare i contorsionisti nei taxi."

  "Diciamo che siamo molto, ma molto affiatati e ci divertiamo moltissimo insieme. E poi, Tom è il mio dolce e tenero bambolotto con gli scarpini ai piedi" disse candidamente Martina.

  Benji guardò Tom come a volergli dire “ Ma come fai a stare insieme a un elemento del genere? E’ completamente fusa!”, ma il centrocampista sorrise e guardò Martina con immenso amore.

  Benji, nonostante i tentativi di trattenersi, scoppiò a ridere, mentre Martina lo guardava male, avendo compreso che il portiere aveva qualcosa da ridire sul modo in cui faceva le coccole a Tom.

  Colette, vedendo lo sguardo assassino che la ragazza rivolgeva a Benji, comprese che n’avrebbe viste di cotte e di crude, in futuro, in compagnia di quella strana ragazza venuta dall’Italia, mentre Benji continuava ad essere sempre più titubante su cosa provasse per quella strana ragazza. Nessuno dei due fidanzati si era accorto che il portiere aveva celato i suoi veri sentimenti, ossia una bruciante gelosia, sotto la sua immancabile faccia tosta, mentre Colette, avendo ormai compreso la complessa mente di Benjamin Price, sapeva perfettamente che dietro a quegli occhi neri si nascondeva un essere che, se soltanto lo avesse desiderato, avrebbe potuto distruggere il mondo.

 

  Dopo il lungo racconto di Patty e Holly, in cui i ragazzi avevano rivelato ogni minimo dettaglio di tutta la storia di quell’anno, il gruppetto si era riunito per cenare nella sala da pranzo.

  Erano quasi le dieci, piuttosto tardi, dato che le ragazze avevano avuto qualche piccolo problema in cucina, e la fame di Holly faceva già sentire la sua possente voce, quando finalmente il pasto arrivò a tavola.

  Si trattava di un menù cinese, composto da riso alla cantonese [NdA: ammazza quant’è buono!!!!!!!] e nuvolette ai gamberi [NdA: buonissime! Ed è tanto detto da me, che non amo per nulla i gamberi!], il tutto accompagnato da una deliziosa salsina in agrodolce [NdA: mi faccio venire fame da sola!], piuttosto scarno ma dall’ottimo gusto.

  Fu proprio mentre stavano assaporando gli ultimi bocconi del loro pasto, che un vociare continuo e un ridere incontrollabile richiamarono la loro attenzione.

  Non ci misero molto per capire che i suoni provenivano dal giardino di fronte alla casa.

  I convitati si guardarono reciprocamente, cercando d’immaginare chi potesse mai essere a quell’ora. Erano quasi le undici!

  Tutti si avvicinarono alla porta e tesero le orecchie per ascoltare cosa stesse accadendo là fuori.

  Sembrava quasi una battaglia verbale in una lingua straniera, inframezzata qua e là da qualche risata.

  "Non è inglese" sussurrò Jenny.

  "No, non sembra neppure a me che lo sia" confermò Julian.

  "Secondo me è francese" disse  Bruce.

  "Quanto sei ignorante, Bruce! - sibilò Patty – Questo a me sembra italiano. Anzi, ne sono certa."

  "Italiano? Ma allora deve essere …" sussurrò Holly, spalancando la porta e mostrando a tutti la scena di una ragazza dai capelli biondo-rossicci sulla schiena di un Tom che sembrava non essere dispiaciuto, anzi, sembrava essere piacevolmente soddisfatto.

  Dietro a loro due c’erano due persone all’ombra, entrambe alte, ma molto differenti nella struttura fisica.

  Tutti i presenti rimasero a lungo a fissare il centrocampista e la bella ragazza sulle sue spalle, sbigottiti dalla naturalezza con cui quei due esprimevano i loro più intimi sentimenti.

  "Ehi, ciao Holly!" salutò Benji, facendosi avanti e facendo cenno alla sua amica tedesca di seguirlo. Lei era un po’ titubante, ma sapeva che doveva farlo, così affiancò il portiere che, come segno d’approvazione, le passò un braccio attorno alla vita, facendola avvampare.

  "Ciao Holly!" esclamò Tom, continuando a ridere, mentre la sua adorata Martina scendeva dalle sue spalle e sfoderava il suo sorriso più radioso, posizionandosi alla sua sinistra.

  I quattro si avvicinarono alla porta, fino a portarsi di fronte a Holly, che ancora non aveva aperto bocca.

  "Ehi, Holly, come stai?" chiese, piano, Tom.

  Fu allora che il giovane scoppiò in lacrime e si accasciò sul suo migliore amico, in preda ai singhiozzi.

  Tom sorrise amaramente, mentre Martina cercò il suo sguardo, come se gli occhi di Tom potessero dirle come comportarsi, ed infatti fu come se il giovane l’avesse incoraggiata.

  "Piacere - disse l’italiana, facendo l’inchino – Il mio nome è Martina Maroni. Sono venuta qui dall’Italia con Tom."

  Patty la fissò e sorrise, per poi abbracciarla fraternamente, come se la conoscesse da molti anni.

  "Mi dispiace molto fare la tua conoscenza in un momento così triste, Patricia Gatsby. Le mie più vive condoglianze" sussurrò l’italiana, accarezzando la chioma bruna della ragazza.

  "Ti ringrazio, Martina."

  "Tu chi sei?" chiese Jenny, alla tedesca che affiancava il vecchio portiere della New Team.

  "Io… io sono Colette Montgomery. Sono la figlia del presidente dell’Amburgo Calcio" disse, imbarazzata la ragazza.

  "Ah, il capo ti ha messo dietro una spia di grosso calibro, vero Benji?" chiese Bruce, ridacchiando.

  Fu una pessima idea, dato che nel giro di un secondo Bruce si trovò a penzolare dal braccio del portiere, che lo fissava con aria a dir poco demoniaca.

  "Frena la lingua, stupido che non sei altro!" sibilò il giovane, facendo impallidire l’altro.

  "Ehi, calmo Benji" disse Philip, forzando il braccio del portiere, nel tentativo di liberare il povero Bruce da quella presa d’acciaio, ma senza successo.

  "Stava solo scherzando, Benji. Io… non me la sono presa, ma per favore, fallo scendere" sussurrò la ragazza, posandogli una mano sul braccio.

  Quell’unico contatto fece immediatamente abbassare il braccio fino a quando Bruce non si trovò di nuovo con i piedi per terra e senza più la mano che lo stringeva per il colletto della maglia.

  I presenti, zitti e impotenti, avevano osservato la rapida reazione del portiere dell’Amburgo, che arrossi come una liceale nel trovarsi al centro dell’attenzione per quel gesto.

  "Cosa avete da guardare?" sbottò, imbarazzato.

  "Nulla nulla!" disse Bruce, allontanandosi dal suo manesco amico prima che potessero di nuovo salirgli alle labbra parole che avrebbero potuto provocarne altri scatti d’ira.

  "Che ne dite di rientrare in casa, ragazzi?" disse Roberto, facendo cenno ai nuovi arrivati di entrare.

  Tutti seguirono il consiglio di Roberto e, giunti nel salotto, si accomodarono alla meglio sul divano e sulle sedie, che i baldi giovini andarono a recuperare dalla sala da pranzo e, nel giro di un paio di minuti, si erano tutti sistemati.

  Sul divano stavano Holly, Patty, Tom, con Martina sulle ginocchia, mentre accanto a loro, in ordine orario, stavano Roberto, Bruce, Raiden, Julian, Amy, Jenny, Philip, Benji e Colette.

  "Lei deve essere la tua ragazza, vero Tom?" disse Holly, sorridendo.

  "Sì. Lei è Martina."

  "Adesso me la devi raccontare, la storia. Mi avevi scritto che me l’avresti raccontata appena ci saremmo visti, ed ora sei qui."

  "Posso raccontartela, ma non so fino a che punto."

  "Perché?"

  "Perché la sua ragazza non sta mai zitta più di tre secondi!" intervenne Benji, rimediandosi un’occhiata bieca da parte di Martina ed una non certo amichevole di Tom.

  "Ehi, guardate Tom!- esclamò Bruce, ridendo come un pazzo – E’ andato in bestia per la prima volta in vita sua!"

  "E fa bene! – esclamò Martina, ridendo – Nessuno deve dire cose malevole sul mio conto. Vero Tom?"

  I ragazzi rimasero sorpresi dalla sorprendente naturalezza con cui la ragazza diceva cose del genere.

  "Lo tieni al lazo, eh Martina? - disse Patty, sorridendole – Credo che tu abbia molte cose da insegnarmi, sul come trattare i ragazzi..."

  "Patty, noi ragazze dobbiamo sempre tenerli sulle spine questi ragazzi, altrimenti si prendono troppe libertà e diventano indisciplinati e incapaci di difenderci dai pericoli della vita."

  "Eh che siamo, cani?" chiese Bruce.

  "Tu no di sicuro, scimmia" lo azzittì Patty, facendo scoppiare tutti a ridere.

  Tutti tranne Colette che, imbarazzata, si guardava intorno.

  "Qualcosa non va, Colette?" chiese Amy, sorridendo alla pallida tedesca.

  "No, va tutto bene. Davvero" disse la timida ragazza, arrossendo violentemente.

  "Ti senti un po’ spaesata, vero?"

  "Sì, un po’. Mi dispiace essere arrivata a disturbare in un momento così delicato, in cui gli amici si riuniscono…"

  "Non devi preoccuparti, Colette. Ci fa piacere averti qui con noi" disse Holly, con sincerità.

  "Non devi sentirti di troppo - le disse Jenny, sorridendo – Noi ci fidiamo delle azioni di Benji. Non ti avrebbe mai portato qui se non avessero prima di tutti vagliato i pro e i contro."

  "Tu dovresti sapere meglio di noi come sono le maniere di Benji" disse Bruce, rischiando nuovamente di essere picchiato dal portiere dell’Amburgo.

  Questa volta anche Colette si unì alla risata del gruppo, divertita dalla battuta di Bruce.

 

 

  Bruce Harper 2 Marzo  ore 11:24 PM

 

 

  La ragazza che Benji ha portato dalla Germania è davvero carina. Chissà se sta insieme a Benji… beh, dalla reazione del nostro caro portiere sembrerebbe di sì, eppure non mi sembra. Certo, lei è molto timida e quindi potrebbe esserci stato un chiarimento tra loro, magari non vogliono far trasparire i loro sentimenti in pubblico… beh, ma questo non toglie che la pupa sia davvero carina ed abbia un carattere che mi piace. Certo che se quei due fossero una coppia sarebbero come il giorno e la notte. Lei è così calma e posata… mentre lui è un buzzurro di prima categoria. Il brutto è che non posso manco chiederglielo, in primo luogo perché Benji mi ammazzerebbe, sia nel caso fosse la sua ragazza sia che fosse il contrario, inoltre, lei è talmente timida che scapperebbe, se solo tentassi di rivolgerle una singola parola. Chissà come potrei fare per avvicinarla…. Ah, che rompicapo! Ma una soluzione la troverò. Devo trovarla. Pensando ad altro… certo che Tom s’è trovato una bella gatta da pelare! Quella lì non è una ragazza! E’ un vulcano! Possibile che si sia messo con quella pazza di sua spontanea volontà? Deve essere completamente pazzo! Quella non mi sembra una tipa con tutte le rotelle al posto giusto. Sempre che le rotelle le abbia. Ma come fa a piacergli una tipa così?! E’ …. È così strana!

 

***

 

  Note dell'Autrice:

  lo so, sembrano strane tutte queste risate in un momento del genere, ma, credetemi, per esperienza personale molto recente, è proprio così che va a finire quando dal lutto sono colpiti degli adolescenti. Bene, adesso vi lascio e mi scuso ancora per essere stata così prolissa.

  Tornando alla fanfiction … spero che mi perdonerete se lascio qui il capitolo, ma farli troppo lunghi non mi pare molto giusto.

Bye Bye, MysticMoon

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: La Tigre Ammansita ***


                                                                                         Capitolo 7

La Tigre

Ammansita

NdA: piccolo salto indietro nel tempo, in questo capitolo. E, naturalmente, la trama sarà un po’ riadattata all’atmosfera della fanfiction e ad i fatti accaduti in essa(Nd****:diciamo pure che cambierà quasi del tutto) discosta dalla storia originale. Sappiate che la mia vena drammatica è solo al principio, quindi…

Capitolo Contenente

Scene dal Contenuto

Forte

Il ragazzo dai capelli corvini osservava, assorto, l’immensa potenza delle onde che s’infrangevano sulla scogliera. Lui era lì, a picco sul mare, sotto quel violento acquazzone da cui non tentava neppure di difendersi. Un suo minimo errore, l’avrebbe portato allo sfracellarsi sulle viscide pietre sottostanti, e dopo un volo del genere sarebbe stato difficile tornarne vivo, soprattutto con il mare in tempesta, come in quel momento, quando le onde sono in grado di sollevarti e ucciderti con il loro eterno moto contro quella muraglia naturale. L’idea non era allettante, eppure, nei momenti di tristezza, Mark Lenders aveva avuto una volta la tentazione di andare all’altro mondo. Era accaduto quando, molto piccolo, aveva perso il padre, che amava con tutto il cuore, e, arrivato alla ferrovia, aveva deciso di farsi mettere sotto da un treno. Era stato grazie all’enorme affetto che provava nei confronti di sua madre e i suoi fratellini, che quel giorno non aveva compiuto il folle gesto. Erano trascorsi diversi anni da allora, e mai, dopo quel giorno, il pensiero del suicidio l’aveva sfiorato. Aveva imparato che la vita era un dono troppo prezioso per gettarla via e che valeva la pena viverla, nonostante gli ostacoli che la vita ti metteva davanti. Ma questo non gli impediva di soffrire. Ora, a picco sul mare di quella sperduta isoletta del nord-est del Giappone, si sentiva un po’ meno oppresso dalla vita e dalla notizia, shoccante, che i giornali gli avevano dato. Holly Hutton aveva finito la sua carriera da calciatore, ed con la sua carriera, sembrava essersi esaurita anche la carica vitale del ragazzo. Era andato a trovarlo, due giorni prima, e il vederlo su quel letto, pallido e demotivato, nonostante mai e poi mai si sarebbe sognato di ammetterlo, faceva stare molto male la punta di diamante dell’istituto Toho. Adesso che il suo rivale, l’unico che Mark Lenders considerava alla sua altezza, era ridotto all’ombra di se stesso, il giovane aveva deciso di staccare dal mondo del calcio e da tutto ciò che lo poteva portare a pensare ad esso. Certo, non aveva rinunciato a portare con sé il suo fido pallone, ma nulla più. Nessuno sapeva dove fosse andato, ma sapeva che non si sarebbero preoccupati, data la sua tendenza  all’allontanarsi da loro, nei momenti di sconvolgimento emotivo. Aveva deciso di portare con sé il minimo indispensabile d’abbigliamento e una modesta cifra, dato che, per sfogarsi, avrebbe cercato lavoro in quel paese sperduto ed avrebbe in seguito inviato il denaro guadagnato a sua madre.

Stava lì, rimirando il mare, quando notò una figura, qualche metro più in là, osservare, come lui, l’affascinante potenza dell’oceano in tempesta. Era indubbiamente una ragazza, dai capelli fulvi corti fin sotto alle orecchie, che in quel momento erano mossi dalle forti folate di vento che spazzano quella fredda costa. Doveva essere una sua coetanea o giù di lì, dall’età che dimostrava esteriormente. La giovane indossava una tipica divisa scolastica, con camicia bianca a maniche lunghe, coperta parzialmente da una giacca dotata dello stemma bianco e rosso della sua scuola, che era di colore blu scuro, ossia la stessa tonalità della gonna a pieghe che le arrivava fino al ginocchio. Indossava anche i tipici calzettoni di spugna, che però ora aveva arrotolato alle caviglie, poco sopra ai mocassini di pelle. Con la mano destra teneva una cartella marrone, segno che si stava recando a scuola, mentre nella sinistra, aiutandosi anche con una spalla, aveva un ombrello multicolore.

Il solo incontrarla con lo sguardo, fece scendere un brivido sulla schiena. Si vedeva che il suo umore non era dei migliori. Stava lì, ferma, ad osservare quel perpetuo movimento, ma i suoi occhi sembravano non percepire nulla di tutto ciò, come se nulla avesse importanza e nulla accadesse attorno a lei.

Come guidato da una forza soprannaturale, il ragazzo si avvicinò, attratto da quella misteriosa figura e fu davvero una grande fortuna, dato che la ragazza, all’improvviso, scomparve dalla sua vista, come inghiottita dalle rocce, e solo grazie all’istinto felino del giovane, che riuscì ad afferrarla per un polso e tirarla su, che non fece la stessa fine del suo ombrello.

- Tutto a posto?- chiese lui, prima di gettarsi a terra, ansimante, appena fu certo che la ragazza fosse al sicuro sulla terraferma.

Lei non rispose alla domanda, ma guardò, con aria stupita, colui che le aveva salvato la vita pochi istanti prima.

Certamente lui non poteva immaginare quello che aveva fatto per lei in quegli istanti di mortale pericolo, eppure, aveva fatto molto di più di quello che pensava.

Maki Akamine 4 Novembre  ore 7:48 AM

Chi è questo ragazzo? Perché mi ha salvato? Cosa l’ha spinto ad avvicinarsi a me? Solo un istante di ritardo e… e io sarei morta. Lui mi ha salvato la vita, e non solo… che sia stato il destino a farci incontrare? Cosa può significare questo? Che sia lui la persona che stavo aspettando? Oh, come vorrei che fosse vero! Se fosse davvero lui… io sarei molto più al sicuro.

- Ehi, ci sei?- chiese lui, sventolandole una mano di fronte agli occhi.

Fu solo allora che lei sembrò rendersi conto che il ragazzo dai capelli corvini stava parlando con lei.

- Sì?

- Ho detto, ti senti bene? Non è che ti sei fatta male?

- No no. Tutto ok.

- Ah, per fortuna- disse lui, tirando un sospiro di sollievo. Nonostante non l’avrebbe ammesso neppure sotto minaccia di morte, aveva avuto una fifa blu che quella ragazza si fosse ferita, durante la caduta, fortunatamente interrotta dal suo intervento.

- Tu… chi sei?- chiese la ragazza, guardandolo attentamente. Non le pareva di aver mai visto quel tizio in giro. Eppure il paese era piccolo ed era difficile non conoscere tutti perlomeno di vista.

- Il mio nome è Mark Lenders.

- Io sono Maki. Maki Akamine. Non ti ho mai visto in giro, prima d’ora. Sei nuovo della zona, vero?

Il giovane annuì, osservandola meglio e constatando che effettivamente doveva essere una sua coetanea.

- Cosa ti ha portato qui, Lenders?- chiese, mentre si rialzava.

- Nulla di particolare. Volevo solo restare un po’ lontano dal mio ambiente.

- Come mai?

- Troppa tensione- disse, vago, il ragazzo.

- Dove stai di casa?- chiese Maki, mente si spolverava gli abiti, umidi e un po’ infangati.

- Dove abito?

- No. Dove alloggi, da queste parti?

- A dire il vero non lo so ancora. Sono appena arrivato.

Una nuova luce si accese negli occhi di Maki, a quelle parole.

- Hai intenzione di trattenerti per molto?

- Non lo so. Dipende dal fatto di trovare o no un lavoro.

- Posso offrirti io un posto, Lenders. Io e mio padre abitiamo in una fattoria ed abbiamo bisogno di un paio di braccia in più.

- Mi stai proponendo di venire a lavorare per te?

- Certamente. C’è qualcosa di strano? Insomma, noi abbiamo bisogno di un aiuto e tu vuoi un lavoro. Semplicissimo.

Il ragazzo guardò stupito la ragazza di cui conosceva soltanto il nome. Ricordava ancora i giorni in cui la gente lo guardava male per il suo abbigliamento sciatto, i capelli scarmigliati e l’espressione seria. Sentiva su di lui gli sguardi disgustati delle donne e quelli di disapprovazione degli uomini, udiva le risate degli altri bambini e, spesso, i sassi che quelli più grandi gli lanciavano. Tutto ciò accadeva quando aveva le mani impegnate, che fosse una cassa di bottiglie, cartone oppure quando era in presenza dei suoi fratelli e della madre, in modo tale che in un modo o nell’altro fosse frenato.

Sorrise alla ragazza dai capelli fulvi, cosa che sbalordì più se stesso che la ragazza, per poi seguirla lungo la strada che conduceva all’abitazione.

Rimasero in silenzio per venti minuti, ossia fino a quando Maki  voltò in una stradina secondaria ed  aprì il primo cancello. Era uno cancello di legno ormai vecchio, dipinto con della vernice bianca, ormai scrostata. Cigolò, al tocco della ragazza, segno che i cardini non erano stati neppure oliati. Ai lati c’erano un paio di stretti campi: sulla destra erano piantati degli alberi di melo, che portavano ancora il prezioso carico sulle loro fronde, mentre a sinistra c’erano una mezza dozzina di stretti filari di viti, piuttosto malconce, una ventina di ulivi e, più avanti, un lungo campo completamente ricoperto di erbacce. Di fronte a loro, un centinaio di metri più avanti, si stagliava una piccola casa affiancata da un pagliaio di esigue dimensioni ed un capanno in lamiera, palesemente arrugginito. Tra la casa e il capanno si vedevano sventolare delle lenzuola.

- Questa è casa mia, Mark- disse Maki, sforzandosi di sorridere – Lo so, non è esattamente un posto da sogno, ma non è malaccio. Sempre meglio che non avere un tetto sopra la testa, in fondo.

- Io sono sempre stato convinto che basti il calore di una famiglia, per rendere una casa cadente uguale al più ricco dei palazzi.

Mark Lenders 4 Novembre  ore 8:10 AM

Ma… cosa m’è venuto in mente? Da quando in qua parlo come quel signorino di Julian Ross! Mi sa che l’infortunio di Hutton mi ha fatto male più di quanto pensassi. O sarà la pioggia a farmi questo effetto? Certo, quello che ho detto non è sbagliato, ma ciò che papà e mamma mi hanno insegnato, ma… ma non l’avevo mai detto con parole del genere! Come mai, invece, adesso ho parlato in un modo così poco “da me”? E se fosse per Maki che l’ho fatto, per fare bella impressione su di lei? Ma cosa mi passa per la testa! Io non sono quel genere di persona! Hutton è così, non io. Io non mi butterei mai sotto un camion, rischiando di ammazzarmi, soltanto per salvare una ragazza imbranata e completamente scriteriata come quella Patty. Va bene che nemmeno Holly è tanto normale, con la sua filosofia “la vita è un pallone da calcio”…

- Devi avere una famiglia molto unita- sussurrò Maki, abbassando lo sguardo, come se si vergognasse.

- Sì. Voglio molto bene a mia madre ed i miei fratellini. Per questo cerco di non pesare troppo sulle spalle di mia madre, durante la mia assenza. Non voglio che soffrano qualche patimento a causa mia- rispose lui, con il sorriso sulle labbra, che comunque svanì all’istante appena vide gli occhi bassi di Maki.

- Non sei felice con i tuoi genitori ed i tuoi fratelli e sorelle?

- Io sono figlia unica- fu la laconica risposta di Maki.

Lei continuò a camminare e si fermò soltanto quando la grande e forte mano di Mark le cinse il polso.

Mark Lenders 4 Novembre ore 8:10 AM

Cosa mi nasconde? Che cosa la turba in questo modo? Sono state forse le mie parole a ferirla? Devo assolutamente chiederglielo. Cosa posso aver detto di tanto sbagliato? Che cosa?

Maki Akamine 4 Novembre ore 8:10 AM

Ma cosa gli prende? Perché ha fatto così? Che voglia sapere qualcosa? Io… io non voglio parlare con lui di questo. Il fatto che non abbia nominato il padre può significare che ha abbandonato la famiglia oppure è morto… Quelle parole sulla casa… erano parole che venivano dal cuore, emozioni provate sulla propria pelle… ma perché ha lasciato quella gioia per quest’isola? Cosa può averlo spinto ad allontanarsi da casa, con poche cose e voglia di lavorare?

- Maki, ho forse detto qualcosa di sbagliato?- chiese, portandosi davanti a lei per guardarla negli occhi.

- No, Mark- fu la risposta data dalla ragazza.

- Ti vedo turbata. Cosa ho detto di sbagliato?

- Nulla, te l’assicuro. E’ solo che… mio padre non è più felice da quando mia madre è morta.

- Mi dispiace. Quando è accaduto?

- Tre anni fa. Una brutta polmonite.

- Mi dispiace. So cosa provi.

- Non devi angustiarti, Mark.

I due fecero solo qualche passo, poi fu Maki a fermarsi.

- Anche tuo padre è morto?

- Sì, ma da quasi undici anni. Ebbe un incidente sul luogo di lavoro. E’ caduto da un’impalcatura, rompendosi una paio di costole. Un frammento aveva perforato un polmone, ma sarebbe guarito, se non avesse deciso di non dirci nulla e continuare a lavorare per poterci crescere. E’ peggiorato, ma non ha mai abbandonato il posto di lavoro. E’ morto lì, sotto i miei occhi. E’ da quel giorno che mi prendo cura della mia famiglia.

- Mi dispiace immensamente, Mark.

Bonariamente, il ragazzo le passò una mano tra i capelli.

- E’ il passato, Maki Akamine. Adesso a me importa soltanto il presente.

Detto questo ripresero a camminare, silenziosi.

Solo di fronte alla porta della casa, in legno, Maki fermò il ragazzo con un gesto della mano.

- Gli parlo io.

Detto questo, entrò in casa, lasciando il ragazzo fuori, sotto la cadente tettoia, ad attendere un suo cenno.

Con le dita incrociate, la giovane percorse il corridoio che conduceva alla cucina. Sapeva che suo padre era lì dal brusio provocato dalla televisione. Non era affatto tranquilla, in quel momento.

Maki Akamine 4 Novembre 8:17 AM

Forse avrei dovuto avvertire Mark del pessimo carattere di papà e della sua gelosia nei miei confronti. Non gli ho neppure detto che papà non sa neppure di questa mia iniziativa e che l’unica volta che gliene ho parlato mi ha fatto un occhio nero… Speriamo solo che non mi faccia fare una brutta figura.

Maki entrò nella stanza e si guardò attorno, per vedere dove si trovasse il padre. Lo trovò sulla cadente poltrona, davanti alla televisione in bianco e nero, l’unica che potevano permettersi da quando avevano venduto quella a colori per comperare le medicine per Kyoko Akamine.

Guardava con aria assente il teleschermo. I suoi occhi, cerulei, erano fissi sullo schermo, e non sembrava aver notato il ritorno a casa della figlia. I pochi capelli che erano rimasti sul suo capo erano grigi e unti, segno di poca igiene, e la pelle, giallastra, raggrinzita e scagliosa, era lo specchio del suo precario stato di salute. Sulla sua canottiera, unta e macchiata, poggiava un piatto con un hamburger, mentre a terra erano gettate una dozzina di lattine di birra.

Maki sospirò, poi si fece coraggio e si schiarì la gola, attirando su di sé l’attenzione del genitore.

- Cosa ci fai tu già in casa a quest’ora?- chiese, con tono astioso – Lo sai che non ti mando a scuola per divertimento. Se vuoi lasciarla, dillo subito e non farmi più sprecare dei soldi. Sono stato chiaro?

L’uomo guardò la camicia e la gonna della figlia, entrambi bagnati e sporchi, e storse la bocca.

-E cosa ha quella divisa? Dove sei stata? Se ti sei andata a farti scopare da qualcuno giuro che ti rompo le ossa.

Maki si fece piccola piccola udendo quelle parole. Ai tempi di Kyoko, lui non si sarebbe mai sognato di parlarle così.

- No, papà. Ho avuto un piccolo incidente, ma sto bene- rispose lei, per poi prendere il coraggio a due mani e continuare – Senti, papà, ti ho portato l’aiuto per la fattoria. E’ un ragazzo…

- Un ragazzo?!- sbraitò lui, saltando in piedi con aria minacciosa, mentre Maki indietreggiava fino a sbattere contro il tavolo.

- S… sì. Lui… cerca alloggio ed io gli ho proposto… di stare da noi e lavorare.

- Sei impazzita?- continuò lui, avvicinandosi alla ragazza, che istintivamente si allontanava da quell’uomo.

- Io… io pensavo…

- Se tu avessi pensato, non avresti detto a questo tizio che cercavamo aiuto e lo avremmo alloggiato. E come l’hai conosciuto, sentiamo.

- Lui… mi ha salvato la vita. Sono scivolata giù dalla scogliera.

- E cosa ci facevi sulla scogliera, signorina? La scuola non è vicino alla scogliera.

- Lo so, ma… volevo vedere il mare- continuò Maki, ad occhi bassi.

Suo padre, in momenti come quello, la spaventava.

L’uomo guardò la figlia ormai diciassettenne. Assomigliava come una goccia d’acqua alla sua povera madre, e questo, soprattutto quando era ubriaco, lo rendeva morbosamente protettivo nei confronti della ragazza fino all’arrivare a farle del male lui stesso.

- Vai a dire a quel tipo che non se ne fa niente- fu la sua lapidaria battuta.

- Ma…

- Niente ma, sono stato chiaro?

- Ma Mark ha bisogno d’aiuto! Lui ha aiutato me, poco fa, ed io…

- Sta zitta!- gridò, colpendola con uno pugno.

La violenza del colpo la fece capitombolare a terra.

Le lacrime le rigavano il volto, mentre andava alla porta, dove l’attendeva Mark.

- Senti Mark…- fece lei, mostrando solo parzialmente il volto, da uno spiraglio della porta- Non possiamo permettercelo. Mi dispiace.

Dopo queste parole chiuse la porta, sbalordendo il giovane.

- Non preoccuparti- fece lui, sforzandosi di sorridere- Ci vedremo in giro.

Detto questo si allontanò dalla casa, anche se le lacrime di Maki, il fatto che lo avesse liquidato con quella fretta e le grida che erano giunte al suo orecchio lo avevano insospettito.

Era passata ormai più di una settimana e Maki, di Mark, non sapeva nulla. Aveva sentito perfettamente le parole rivoltele, da dietro quella porta, ma da quel momento lui sembrava essere svanito e lei, impegnata con la scuola e con il suo lavoro di cameriera, nella birreria più malfamata della cittadina, non aveva più avuto occasione d’incontrarlo.

Erano le nove di sera quando il suo cuore si fermò: nella sala era appena entrato Mark Lenders.

Appariva più stanco che mai, pallido come un cencio, con la solita canotta blu, lisa e sporca di terra e fango, gli occhi infossati ed i capelli sudati. Sulle mani, che teneva strette allo stomaco, aveva delle fasciature, che arrivavano fino al gomito ed una fasciatura sulla testa. Erano tutte insanguinate.

- Cosa ti è successo, Mark?- esclamò, avvicinandosi a lui.

Lui la guardò indagatore e lei sorrise, tra sé e sé. Era difficile riconoscerla, con la parrucca nera e le lenti a contatto verdi, mentre indossava una stretta camicia bianca con una scollatura piuttosto profonda, risaltata dal colletto di pizzo,  corpetto piuttosto stretto, che sosteneva ed esaltava le sue grazie femminili ed i pantaloni neri molto aderenti. Se a questo si aggiungeva anche il fatto che si fosse truccata in modo piuttosto pesante, cosa insolita per lei, nessuno sarebbe stato in grado di riconoscerla.

Se l’avesse vista suo padre l’avrebbe di certo ammazzata di botte, per questo evitava di farsi riconoscere dagli avventori della birreria, che avrebbero potuto raccontare quale ambiente la ragazza frequentasse la sera, quando lui si addormentava sulla poltrona, troppo sbronzo per accorgersene.

- Chi… chi sei? Ti conosco?

- Sì. Non preoccuparti. Vieni con me- fece lei e, senza pensarci due volte, gli fece passare sulle sue spalle un braccio.

Lui la guardò attentamente, fino a quando non sussurrò:

- No, non può essere…

- Non sbagli, Lenders - fu la secca risposta della ragazza, che faceva fatica ad aiutare il ragazzo a camminare.

- Dove… dove mi stai portando?

- Alla capanna abbandonata su, sulla montagna. Lì non ci abita nessuno da secoli, ma nessuno la vuole. Troppo cadente e terra troppo sassosa intorno. Lì potrai stare fino a quando non starai bene.

Il silenzio cadde tra i due e durò fino a quando Maki, dopo aver spalancato la porta, fece sdraiare il ragazzo ferito su una vecchia branda.

Con estrema delicatezza, tentò di sfilare la maglia al giovane.

- Co… cosa vuoi fare?- chiese lui, stringendo i denti. Si vedeva che doveva provare un grande dolore.

- Controllare cosa ti fa male e, dato che hai le mani lì, sono sicura che lì c’è una ferita che ti da molto fastidio.

- Non… non potresti fare nulla. Tu non sei un dottore.

- Senti, non sarò un medico, ma la figlia di uno di loro. Ho dato più volte una mano a mio padre durante qualche operazione, almeno prima che smettesse. Fidati di me, Mark Lenders, e ti assicuro che starai subito molto meglio- fece lei, a occhi bassi, continuando nella sua opera.

Mark si lasciò maneggiare più facilmente, dopo aver sentito che il padre di Maki era un medico e lei doveva saperne almeno qualcosa di medicina.

Ciò che la ragazza vide non le piacque per niente: all’altezza dello stomaco aveva uno squarcio piuttosto recente, molto gonfio e che trasudava pus.

- Penso proprio che tu abbia un’infezione, Mark. Devo portare qui immediatamente mio padre o perlomeno la sua borsa. Lì ci  sarà certamente qualcosa di utile per curare le tue ferite.

Detto questo la ragazza svanì di nuovo, lasciando l’attaccante del Toho completamente solo in quella fredda abitazione.

Completamente dimentica del suo abbigliamento e del suo volto, entrambi considerati dal genitore poco innocenti, Maki entrò in casa come un tornado e si recò subito nella sua stanza, spalancando le ante dell’armadio che stava proprio di fronte alla porta. Dall’armadio estrasse la valigetta da medico del padre, oggetto che l’uomo, dopo la morte della moglie, aveva gettato nella spazzatura e la ragazza aveva recuperato.

Quel trambusto ebbe l’effetto sperato: il signor Akamine, sentendo quel rumore, si era alzato ed era entrato nella stanza della ragazza, accendendo la luce.

Fu estremamente sorpreso nel trovarsi di fronte una giovane donna dai capelli neri e gli occhi verdi, vestita come una cameriera della birreria, che frugava con foga nell’armadio di sua figlia.

- Chi sei tu? Cosa ci fai in camera di mia figlia? Che cosa stai cercando, sporca ladra? Soldi?- gridò l’uomo, con fare minaccioso, entrando a grandi passi nella stanza, mentre la ragazza istintivamente si appiattiva contro il muro. Era bianca cadaverica e tremava come una foglia.

Maki Akamine 11 Novembre  ore 00:03 AM

Accidenti! Non ho pensato a papà! Se si accorge che sono io mi ammazza! Ma anche se non si accorgesse che sono io lo farebbe! Oh mio Dio, ha l’aria furiosa! Come faccio a scamparla? Come posso fare? Se… se si accorge che sono io potrebbe costringermi a lasciare morire Mark, oltre che ammazzarmi di botte! Che brutta situazione!

Il signor Akamine continuava ad osservare attentamente la sconosciuta. Non gli sembrava che fosse una delle amiche di Maki e, in qualsiasi caso, non sembrava molto educato frugare tra la roba altrui.

Eppure quelle movenze, quegli atteggiamenti, quello sguardo gli sembravano piuttosto familiari. Certo, aveva la mente fortemente annebbiata dall’alcool, ma quella ragazza sembrava muoversi come sua figlia quando la redarguiva.

- Maki! Sei tu?- sibilò tra i denti, attendendo la reazione della ragazza, che non si fece attendere.

La giovane strinse con maggiore forza la borsa che aveva con sé e divenne ancora più pallida. Non c’era dubbio: nonostante il trucco e gli abiti che la facevano apparire più grande, nonostante la parrucca e le lenti a contatto colorate, quella era proprio sua figlia Maki!

- Sporca puttana!- gridò l’uomo avventandosi contro di lei e colpendola con un pugno alla mascella.

Maki, terrorizzata, cercò rifugio in un angolo della stanza e si coprì la testa con le mani, mentre le lacrime scorrevano ininterrotte sulle sue guance.

- E’ questa la tua riconoscenza per quello che faccio per te, Maki Akamine? Vai a fare la sgualdrina alla birreria giù un paese? Vai a svergognare il buon nome della nostra famiglia in questo modo?- gridò, afferrandola per un braccio, torcendoglielo e sbattendola contro la specchiera, incurante del male che potesse fare alla figlia.

- Guardati!- ordinò lui, colpendola con un calcio, mentre lei continuava a tenere la testa bassa e le braccia su di essa per coprirsi- Guardati, troia che non sei altro! Guardati allo specchio!

Maki sollevò leggermente il capo, guardandosi. Ormai la parrucca era caduta e le lacrime avevano rovinato il trucco. Le lenti a contatto dovevano essere cadute e il sangue che usciva dalla sua bocca macchiava la camicia, che il padre considerava così peccaminosa. Soltanto l’aderente corpetto nero era rimasto al suo posto, continuando ad esaltare il seno della ragazza.

- Vai a mettere in mostra il culo e le tette come la più volgare delle puttane? Sei un’ingrata! Una giuda! Sgualdrina! Guarda cosa succede se salta un bottone! Guarda cosa succede, Maki!

Maki chiuse gli occhi ed attese la punizione che il padre aveva intenzione di infliggere.

Dopo un lungo rapporto, l’uomo continuò ad approfittare del corpo della ragazza in molti modi, poi, stanco, si lasciò andare sul suo corpo martoriato dalle percosse e dalla violenza sessuale e s’addormentò come un sasso, abbracciandola.

La ragazza si destò poco dopo, con un grande dolore all’addome ed uno ancora più grande nel cuore. L’unica persona che avesse al mondo l’aveva ingannata. Prima le aveva fatto credere che fosse ubriaco per evitare che si ribellasse e poi l’aveva violentata rivelandole che lei in realtà non era sua figlia. Lei era figlia dalla violenza subita dalla madre in un vicolo di Tokyo. Con fatica riuscì a liberarsi dell’ormai patrigno senza svegliarlo. Si accorse soltanto dopo quel momento i polsi erano liberi, magari perché liberati dallo stesso uomo.

In silenzio, Maki si lavò, cercando di portare via con il sangue e il seme del padre anche le lacrime amare e la vergogna che, le sembrava, inzaccherasse tutto il suo essere. Dato che non avevano uno specchio nel bagno, dovette rivestirsi di fronte allo stesso specchio che aveva visto il patrigno iniziare la sua messa in scena dell’allucinazione per farla sua, rabbrividendo ad ogni fitta che salita dal suo addome. Constatò che il padre non era stato davvero avaro di “cure” per lei: l’occhio destro era semichiuso e tumefatto, così come il naso e la mascella, sul suo collo si vedevano i segni lasciati dalle avide labbra del padre durante il rapporto, le gambe erano segnate dai lividi. Non osava constatare come fosse ridotta sotto i jeans e la maglietta che aveva indossato, soprattutto dato che sentiva il seno gonfio e dolorante e, come aveva notato mentre s’infilava il reggiseno, perdeva anche sangue, che le macchiava la biancheria.

Dopo di ciò, Maki prese con sé qualcosa da mangiare ed un paio di vestiti, oltre a delle coperte. Aveva deciso che il suo patrigno, al risveglio, non l’avrebbe trovata a casa, soprattutto dopo quella violenta dimostrazione di forza e la crudeltà con cui l’aveva trattata mentre la violentava come se non fosse mai stato suo padre. Decise che sarebbe stata con Mark nella capanna, d’ora in avanti. Di certo non voleva continuare a vivere con quell’uomo violento che era il suo patrigno, soprattutto dopo che lui, cosciente delle proprie azioni, come aveva dimostrato nel riconoscerla, l’avesse costretta a farse sesso con lui. Aveva deciso: quel bastardo non aveva mai avuto una figlia propria né la figliastra sarebbe diventata la sua schiava da picchiare e violentare a suo piacimento.

Mark aveva la febbre alta, quando Maki finalmente tornò alla capanna.

- Scusami Mark- sussurrò, in lacrime, al giovane addormentato, la cui fronte bruciava di febbre e ansimava.

Disinfettò le lesioni e gli cambiò le fasciature, constatando che erano fatte davvero bene, poi si occupò del taglio purulento sul suo stomaco. Lo trattò con della polvere di penicillina, poi, stanca, prese le coperte, si coricò accanto a lui, nonostante il terrore la scuotesse da capo a piedi nel giacere accanto ad un uomo, e coprì entrambi. Stanca com’era, si addormentò all’istante, ma le lacrime continuavano a scorrere sul suo volto anche nel sonno, agitato, nel quale riviveva quei tragici momenti.

Il sole appena sorto illuminò la stanza e l’uomo che, nudo, guardava lo stato in cui aveva ridotto la stanza dal riflesso di uno specchio. Era sbronzo quando l’aveva fatto, eppure ricordava ogni istante del terrificante scorrere degli eventi di pochi ore prima. Le lacrime rigavano il suo volto mentre si voltava verso il letto, ancora sporco del sangue verginale di Maki e la vedeva piangere mentre abusava di lei. Si odiò per ciò che aveva fatto alla ragazza innocente. Non solo l’aveva picchiata a sangue, come era fin troppo spesso capitato negli ultimi anni, ma le aveva strappato con l’inganno la verginità, con violenza e cattiveria allo stato puro, godendo di quella vista e delle sensazioni che gli donava la figliastra. Aveva fatto sesso con lei legandole i polsi dietro la schiena e bloccandola con il suo peso, oltre che con la balla dell’allucinazione e la proverbiale fiducia della figlia. Lui aveva abusato della figlia di cui si vergognava ma che aveva anche amato con tutto il cuore. E adesso, lo sapeva, aveva rovinato tutto. Irreparabilmente. La sua rabbia  repressa e gelosia, che avevano formato un cocktail fatale con l’alcool che aveva in circolo, avevano distrutto sia la sua vita che quella della giovane figliastra. Il suo lato animale aveva distrutto completamente il loro rapporto, portandolo da quello padre e figlia a quello uomo e donna, anzi, animale e ragazza innocente. Mai l’avrebbe perdonato, lo sapeva bene. Come sua moglie non aveva mai perdonato gli uomini che l’avevano violentata, concependo Maki con quel gesto di brutale violenza e devozione ad un oscuro signore, nel quale avevano bevuto il suo sangue dal corpo inerme e giunti fin quasi ad ucciderla, con quegli affilati coltelli con i quali l’avevano trafitta.

In un certo senso non sopportava il fatto che tre bastardi, con qualche manciata di minuti ed un rituale satanico piuttosto macabro, avessero fatto ciò che lui, in un totale di quindici anni di tentativi, non era riuscito a fare, e di conseguenza il suo affetto per Maki era sempre stato offuscato da questo fatto, in particolar modo in quel periodo, quando l’alcool avevano acuito i suoi peggiori sentimenti ed i difetti. La picchiava perché era figlia della violenza ed aveva avuto il coraggio di farle violenza proprio perché in lei vedeva i suoi fallimenti ed il simbolo di Satana, incarnato in quella ragazza nata in un rituale dedicato proprio a questa divinità. Lui voleva farla pagare cara ai fallimenti, e così aveva umiliato i fallimenti rappresentati in Maki, in cui si riflettevano i tre sconosciuti e la moglie che era stata incapace di sottrarsi a quell’aggressione e a quel trattamento.

Adesso, però, che la sbronza era passata, si rendeva conto che il suo gesto aveva un significato particolare: era diventato come coloro che avevano aggredito la moglie, con l’aggravante che lui avesse tradito la fiducia dell’unica persona che ancora sembrava provare affetto per lui.

Con coraggio, nudo com’era, scese nel capanno e prese un pezzo di corda. Soltanto quel gesto estremo avrebbe lavato l’onta che aveva macchiato la sua famiglia. Gli piangeva il cuore lasciare sola Maki, ma sapeva anche che lei sarebbe stata felice nel saperlo morto e sepolto, dopo quella sera di follia.

Fissò la corda sul lampadario della cucina, salendo su una sedia e, dopo aver fatto il cappio, se l’infilò al collo e si lasciò penzolare nel vuoto, colpendo la sedia con un calcio. L’ultima serie d’immagini che si parò davanti ai suoi occhi ebbe inizio con quella della moglie Kyoko, nuda e piangente, distesa sull’asfalto di un lurido vicolo dietro ad un pub malfamato, che con la sua luce intermittente fluorescente illuminava il corpo della donna, posto all’interno di un cerchio disegnato sull’asfalto e contenente strani simboli, segno di un rituale satanico. Vide le braccia coperte di ecchimosi, legate dietro la schiena; le gambe, divaricate, segnate da mille ferite; la bocca, dal quale scendeva un rivolo di sangue, bloccata dal nastro isolante; l’uomo che la domava, spingendosi in lei, con le grida strozzate dal bavaglio, mentre gli altri, eccitati quanto colui che stava penetrando in lei, succhiavano furiosamente il sangue che fuoriusciva dai capezzoli tagliati, apice di due dei tre tagli, volti a creare una specie di triangolo rovesciato che congiungevano la punta dei capezzoli tra loro e con il pube. Improvvisamente i tre si calcavano sulla testa un cappuccio nero e, preso un coltello affilato, tracciarono tre rette perpendicolari all’interno del triangolo e, giunti nel punto in cui si incontrarono, affondarono i coltelli fino al manico. Il tutto sotto lo sguardo implacabile di una telecamera, che filmava l’orrido atto da setta oscura. Improvvisamente quest’immagine veniva sostituita alla sua con Maki, che nel giro di un istante svaniva, lasciando l’immagine della moglie, coperta solo da uno svolazzante telo bianco, che maternamente stringeva al petto la figlia, coperta anch’essa da un telo immacolato. Entrambe, illuminate da una luce bluastra, piangevano disperate, poi, eteree, svanivano in un buio impossibile da rischiarare. Il buio di una fredda morte per soffocamento lo avvolse e trascinò via, senza lasciare il minimo di fiato per pronunciare la parola “Perdonatemi”, che gli morì sulle labbra.

Il cadavere del padre “incestuoso” fu rinvenuto soltanto qualche giorno prima di Natale, dopo oltre un mese dalla morte, dal parroco del paese, che si chiedeva come mai Maki non andasse più a scuola né si fosse più fatta vedere in giro.

Maki aprì lentamente gli occhi, trovandosi a guardare quelli scuri del ragazzo ferito.

Non parlava, ma i suoi occhi sembravano esprimere mille emozioni, prima fra tutte una gran compassione.

- Cosa ti è successo, Mark?- chiese lei, con fatica.

- Brutto incontro. Ho trovato lavoro in un cantiere, ma sono in nero. E’ stato lì che mi sono tagliato. Stavamo trasportando un pezzo di lamiera molto affilata, sono inciampato e mi sono ferito. E tu, Maki? Chi ti ha fatto questo?-sussurrò lui, sfiorandole l’occhio destro, tumefatto.

- Sono caduta anche io.

- Sui pugni di tuo padre?- chiese lui, scettico.

A malincuore, Maki annuì.

- Avrei dovuto capirlo prima che quella volta ti nascondevi perché ti aveva picchiato. Ho sentito le grida dalla porta, quel giorno. Che bastardo!

- Già… un bastardo- singhiozzò.

- Se potessi, verrei io a dargli una lezione. Come ha osato picchiarti in questo modo? Voleva per caso ammazzarti?

- No… non voglio più pensarci… non voglio più vedere quell’uomo in vita mia… lui… lui per me è morto!

Quando la mano di lui toccò la sua testa, Maki sentì un brivido di terrore attraversarla da capo a piedi, e l’adrenalina salì di nuovo quando, con delicatezza, fece appoggiare contro di lui la fronte.

- Piangi pure, Maki- sussurrò lui – Sfogati. Non aver paura di esprimere il tuo dolore. E non aver paura di me. Io non ti farò mai del male.

Maki, al suono di quelle parole, si sentì riscaldare il cuore. Lasciò andare la sua anima, che si sfogò con grosse lacrime e singhiozzò fino a quando non si assopì di nuovo, così come il ragazzo che tentava di consolarla.

La convivenza tra Maki e Mark si rivelò fruttuosa: Mark decise di non tornare a lavorare al cantiere, dedicandosi al fitto bosco che circondava la casa, mentre a Maki, non avendo più la divisa da lavoro e gli accessori per nascondersi, non restava che dedicarsi alla raccolta di frutti selvatici ed erbe officinali, come le aveva insegnato la madre quando era soltanto una bambina.

Nonostante la stagione inoltrata, Maki riusciva sempre a trovare qualcosa di utile in quei boschi, cosa che a Mark non dispiaceva affatto. La ragazza cucinava piuttosto bene, nonostante la materia prima fosse piuttosto scarsa. Certo, mangiavano pochissimo, ma erano felici e sereni, oltre che in buona compagnia.

Mark, che poteva farsi vedere in giro senza rischiare di essere pestato da un padre furioso, qualche tempo dopo il loro insediamento nella catapecchia, vendette della legna e qualche frutto per una zappa, un’ascia ed un piccone, in previsione dell’attività invernale che avrebbero dovuto compiere.

Stava tornando verso casa quando vide, in una vetrina, una collanina formata da una cordicella in nylon, nera, ed un piccolo ciondolo a forma di stella, con un brillantino al centro. Costava poco meno dei pochi yen che gli erano avanzati per l’acquisto degli attrezzi e, impulsivamente, entrò e la comprò.

Fu mentre usciva che udì la discussione tra due donne e seppe che nulla sarebbe stato più come prima.

- Lo immaginavo. Appena si è accorto che la figlia era scappata di casa… era naturale che lo facesse.

- Povero diavolo! Quella Maki è sempre stata un problema! Una ragazza strana e solitaria, come sua madre, del resto.

A quelle parole il giovane si nascose dietro un angolo, per origliare la conversazione delle donne.

- Ma non sai niente? L’hanno trovato impiccato nella stanza della figlia e dal letto… si direbbe che quel tipo amava moltissimo la figlia.

- Tutti i genitori amano i figli

- Ma non molti in quel senso.

- In che senso, Yumi?

- In senso fisico, Hitomi. Hanno trovato tracce di sperma sul letto ed il sangue verginale della figlia. Il tutto era in una stanza che non sembrava esattamente in ordine.

- Vuoi dire che…

- Esatto, quello ha fatto sesso con sua figlia, si dice che l’abbia addirittura violentata, dato lo stato della stanza e gli abiti strappati di Maki, e poi se n’è pentito. Magari l’ha anche ammazzata, fatta a pezzi e nascosta da qualche parte. Fortunatamente adesso quell’elemento non può più fare del male a nessuno. Ha persino scritto una lettera di perdono indirizzata alla figlia, ma non credo che sia vero che fosse pentito. Come si fa a fare una cosa del genere alla propria figlia?

- Ma come, non lo sai? Kyoko Akamine fu violentata da tre uomini quando andò a vivere a Tokyo nel periodo di crisi del loro matrimonio. Maki deve essere nata da quell’incontro, secondo qualcuno. Non assomigliava per nulla a lui ed ho sentito dire da Maya Suguri che quando la vecchia Nanami Honda faceva l’infermiera per il dottor Sumiyoshi ha letto sulla sua cartella clinica che era sterile.

- Dici sul serio? Ecco perché la ragazza è sempre stata l’immagine vivente della madre, infatti.

- Eppure ha anche dei tratti diversi. Magari quelli del padre biologico.

- Ma chi potrà essere?

- Se è nata da quell’incontro, un tossicodipendente che ha costretto con la forza la nostra vecchia amica a fare sesso con lui e con i suoi degni compari.

- Ma Maki non lo sapeva che quell’uomo non era il padre?

- Penso di no. Kyoko mi disse, qualche anno fa, che avrebbe aspettato i diciotto anni prima di dirglielo.  Pensava che non avrebbe potuto comprendere.

- Chissà se adesso lo sa chi era in realtà quel bastardo del padre. Forse crede di essere stata violentata dal padre…

- Se fossi in lei, non m’importerebbe molto se a sbattermi su un letto e costringermi a fare sesso fosse mio padre o uno sconosciuto. L’ha violentata, punto e basta.

- Anche questo è vero.

- Yumi, io preferisco chiedermi dove si trovi lei, piuttosto. Si dice che fosse lei la cameriera della birreria, quella svanita una sera con un ragazzo forestiero ferito. Quella deve essere stata la sera della violenza, a giudicare dalla data. E se anche quel ragazzo avesse partecipato? Se Soichiro avesse organizzato una specie di festino orgiastico con quel ragazzo?

- Hai troppa fantasia, Hitomi. Comunque quel giorno anche lui sembra essere svanito nel nulla. Non mi stupirei se fosse trovato morto su in montagna. Dicevano che doveva essersi fatto male di brutto.

- Va bene, ma torniamo all’argomento principale: dov’è adesso quella povera ragazza? Se è vero che il padre ha approfittato di lei… ma sei sicura che non l’abbia fatto di sua spontanea volontà? Dico, il sesso con il padre.

- Di certo non c’è nulla, se non una camicia strappata ed un bottone dei pantaloni che può essere saltato anche da solo, oltre che i segni di colluttazione. Ho sentito dire che l’avesse addirittura legata.

- E come fanno a dirlo?

- Hanno trovato delle tracce sui legacci del corpetto.

- E con questo?

- I legacci non erano al loro posto, ma sul letto. Magari le ha bloccato i polsi o le caviglie per evitare che si opponesse.

- Che uomo perverso!

- Si dice in giro che gli Hasegawa, che abitano parecchio più in giù, abbiano sentito un grido di Maki, quella notte. Magari è stato quando lui l’ha deflorata. Si diceva in giro che fosse diventato violento ma non pensavo fino a questo punto. Tu immaginavi che il marito di Kyoko potesse arrivare a fare questo? Se gli Hasegawa hanno sentito davvero quello che hanno detto… deve essere stato qualcosa di molto doloroso e violento, soprattutto per una ragazza al suo primo rapporto.

- Prima Maki mi faceva pena, ma adesso… adesso me ne fa ancora di più. Vivere con un tipo del genere, come magari la picchiava regolarmente e le concedeva come unico svago l’andare a scuola… eppure mi domando, se è vero che Maki faceva la cameriera giù alla birreria, come mai il padre non l’ha mai impedito? Me lo ricordo come un tipo piuttosto geloso sia della moglie che della bambina e quello non è certamente il luogo più indicato per un’adolescente.

- Magari non lo sapeva. E, magari, quella sera l’ha scoperto e, picchiandola, s’è fatto prendere troppo la mano. Si dice che la camicia era strappata.

Mark preferì andare via, giunto a questo punto. Lo disgustava ciò che aveva appena udito sulla ragazza con la quale viveva.

Mark Lenders  23 Dicembre ore 11:54 AM

Maki…la mia piccola Maki è stata…lei è stata… violentata! O per la miseria!  Ma… ma allora quel giorno lui non solo l’ha picchiata ma anche… oh mio Dio! Che abominio! Avrei dovuto capirlo subito che non era soltanto per le botte che non voleva che la toccassi! Avrei dovuto intuire qualcosa dal suo atteggiamento fin troppo guardingo. Povera, povera Maki! Lei è stata…è stata violentata dall’uomo che credeva suo padre… che cosa orribile! E adesso lui è… è morto. Si è impiccato per la vergogna. Quasi mi fa pena, oltre che ribrezzo! Possibile che abbia fatto alla figliastra una cosa del genere? E perché Maki non me ne ha parlato? Aveva paura che potessi andare lì ad ammazzarlo? Conoscendomi, sa che lo avrei fatto. Inoltre, penso che si vergogni anche profondamente del fatto. Povera Maki, picchiata e violentata dall’uomo che ha sempre creduto essere suo padre. Mi viene la nausea al solo pensiero… ma come si può? Devo tornare immediatamente da lei ed avvertirla del padre. Non le farà piacere, ma deve saperlo. Deve sapere che quell’uomo mostruoso ha fatto una brutta fine. Certo, non curerà mai questa ferita, ma almeno non avrà più paura di rivederlo in giro… ma come ha potuto farlo? Ha cresciuto una ragazza… l’ha trattata sempre come una figlia, nonostante lui sapesse benissimo che non lo era e poi… poi si approfitta di lei. Se hanno visto… quel sangue, deve essere stata di certo la prima volta, a meno che… a meno che lui non si fosse mai spinto fino a quel punto con lei. Che rabbia! Accidenti! Lo odio per averla ferita in quel modo! E mi odio per non essere stato in grado di riconoscere le sue movenze.

Mark Lenders, sconvolto, corse verso la casa che divideva con Maki ed entrò come un fulmine, scoprendo che colei che cercava era seduta accanto al fuoco, con le braccia attorno alle ginocchia, persa nei suoi pensieri.

Si sedette accanto a lei e Maki si voltò verso di lui, sorridendo.

Ormai ogni segno delle percosse subite nella notte tra il 10 e l’11 novembre era svanito e lei, lentamente, sembrava aver ripreso anche un po’ di sicurezza. Sembrava quasi un piccolo passerotto infreddolito, pensò Mark.

- Maki…

- Sì?

- Odio girare attorno ai problemi, quindi ti dico subito che in città ho sentito delle brutte notizie. Eventi che ti riguardano.

Maki abbassò lo sguardo.

- Mio padre mi cerca, vero? Sa che siamo qui? Ti ha visto?- chiese, rapida e con voce rotta dalla paura.

- No. Tuo padre non ti cerca.

- E allora cosa…- fece lei, alzando il capo per guardare gli occhi del ragazzo, nel quale era riflesso un grande dolore.

- E’ morto.

- Fatto bene- fu la frettolosa e gelida risposta della ragazza. Troppo frettolosa per essere detta con il cuore.

Mark le sollevò il mento con una mano, scoprendo il volto rigato di lacrime della ragazza, e le depose un bacio sul naso, stupendola e facendole spalancare gli occhi, raggiungendo così lo scopo che Mark si era prefissato.

- Maki, guardami negli occhi- sussurrò – Lui si è suicidato. Si è tolto la vita il giorno stesso in cui sei scappata di casa, a quanto pare. Si dice che si vergognasse immensamente di ciò che ti ha fatto quella notte.

- Vuoi dire che la gente sa che lui…

Mark annuì, poi prese coraggio.

- Mi dispiace per ciò che hai passato. Tu non fossi tornata a casa a prendere la valigetta da medico di tuo padre, non ti avrebbe mai visto vestita da cameriera e forse non sarebbe accaduto nulla.

- Non darti colpe che non hai. Prima o poi l’avrebbe scoperto ed io sarei stata comunque picchiata.

- Maki, so cosa ti ha fatto. Tutti al paese sanno che lui ti ha…tutti sanno che lui ha abusato di te.

Maki arrossì furiosamente e nuovamente sentì su di sé le sudice mani dell’uomo che le percorrevano in lungo e in largo il corpo, il suo grosso membro strapparle via con violenza l’innocenza, i gemiti eccitati dell’uomo che si mescolavano con i suoi singhiozzi misti al piacere, poi il calore al suo interno ed il nulla. Rabbrividì violentemente, completamente persa nel terrore e Mark, istintivamente, andò a prendere una coperta e gliela mise sulle spalle.

Gli occhi della ragazza, riportata alla realtà dal calore della coperta e del gesto affettuoso di Mark, si riempirono di lacrime, per poi si posarsi sul volto  del ragazzo un po’ chiuso ma sensibile che le aveva salvato la vita. Le sembrava impossibile che non fossero trascorsi neppure due mesi dal loro primo incontro.

- Mark… .sussurrò lei, con voce rotta.

- Dimmi.

- Cosa ne pensi adesso di me, adesso?

- In che senso?

- Io… io ho fatto sesso con mio padre.

- Ma non è stato di tua volontà.

- No, ma… ma io l’ho lasciato fare all’inizio…

- Maki, volevi fare sesso con tuo padre?

- No! Ma… ma non ho avuto la forza di dirglielo. Lui… lui diceva di vedere mia madre… mi faceva pena… credevo che non mentisse…

- Cosa vuoi dire?

- Che lui mi toccava ma si rivolgeva a me come se fossi mia madre.

- Lo credeva davvero?

- No, non penso. Prima di… prima di…

- Non dirlo, se non vuoi, Maki.

- Devo affrontarlo, Mark. Prima di… prima di penetrare in me, lui ha parlato riconoscendomi, parlandomi del fatto che non fossi sua figlia e che voleva… voleva fare di nuovo ciò che aveva fatto, ogni sera- singhiozzò.

- L’hanno detto anche quelle donne, infatti.

- Cosa?

- Che non era il tuo padre biologico.

- E’ vero, ma… ma lui era l’unico padre che io abbia mai conosciuto. Mi voleva bene come se fossi figlia sua. Se mamma non fosse morta e lui non fosse diventato alcolizzato, forse non l’avrebbe mai fatto.

- Maki, posso domandarti come… come sei arrivata a quello?

Maki arrossì furiosamente, poi gli fece cenno di stendersi sul pavimento, supino. Lei si coricò al suo fianco, appoggiando il capo nell’incavo del suo braccio e una mano sul suo torace. Chiuse gli occhi, poi iniziò a parlare.

Allibito, Mark guardava il fagottino tremante e piangente che si sfogava con lui, dopo un mese e mezzo di segreto e, mosso a compassione, l’abbracciò con tutta la forza che aveva, per farle coraggio.

Rimasero in silenzio qualche minuto, poi Mark non potè più attendere e fece la sua domanda.

- Lui… lui ha avuto persino il coraggio di legarti le mani? Che uomo orribile! Come ha potuto farti questo?- sussurrò.

- Io… non lo so. Non aveva mai fatto qualcosa del genere, prima. E’… è stato completamente inaspettato, il suo gesto. Dio, come mi sento sporca! Lui… lui mi toccava come se fossi un oggetto da distruggere, come se non fossi la figlia che ha cresciuto per quasi diciassette anni. E’ stato orribile. Per un attimo, ho persino desiderato che tu non mi avessi mai salvato da quella caduta.

Le lacrime scorrevano copiose sul suo volto, bagnando la maglia del ragazzo e liberando tutto il dolore che sentiva ancora in cuore. Sobbalzò quando Mark, che già l’abbracciava, iniziò ad accarezzarle i capelli e le sussurrò:

- Ti giuro che nessuno più potrà farti del male, Maki Akamine. Nessuno ti tratterà più in quel modo.

Lei sollevò il capo, guardando negli occhi quel ragazzo arrivato da chissà dove e pieno di misteri.

- Tu quindi… non mi disprezzi.

- Affatto. Sei una ragazza molto, molto dolce, Maki. Sei una  che ha un grande carattere ed un cuore delle stesse dimensioni. Sei determinata e caparbia,non ti lasci mai piegare da nessuno. Non importa ciò che tuo padre ti ha fatto, perché non sei stata tu a volerlo e sei stata costretta. E non importa neppure che il tuo corpo reagisse ai suoi gesti, perché è naturale.

- Tu… tu…

- Maki, io…- fece lui, mettendosi a sedere, trasportando con se la ragazza, che ancora teneva tra le braccia.

Tolse una mano da Maki e frugò nella tasca per qualche minuto.

- Oggi, prima di sentire quello che hanno detto, ti ho comprato un regalo. Non è nulla di particolare e non sentirti obbligata a ricambiare. E’ un pensierino che voglio donarti, ora più che mai. Dovevo dartelo tra qualche giorno, ma mi rendo conto che è meglio farlo adesso.

Dalla tasca emerse un piccolo pacchetto, incartato con della semplice carta marrone.

Maki lo scartò in fretta, a dir poco curiosa, e quando trovò di fronte a sé quel regalo ebbe un sussulto: il ciondolo era uguale a quello che lei aveva messo al collo di sua madre prima che la seppellissero.

- Mark… è bellissimo!- sussurrò, commossa.

Mark Lenders, la tigre della Toho School, sorrise apertamente. Non un sorriso sardonico o uno di quei sorrisi a mezza bocca, che era solito fare ai suoi fratellini o alla madre, ma un vero, grande sorriso apparve sul suo volto ed i suoi occhi brillavano di nuova luce. Il vedere Maki felice e sinceramente commossa lo faceva sentire bene, in pace con il mondo. Improvvisamente si rese conto che non aveva pensato al calcio per molti giorni, troppi, se davvero era questa la sua vita. Per un istante il pensiero di lasciare quel luogo attraversò il suo cervello, ma fu subito soppresso dal pensiero di dover lasciare Maki sola.

Era talmente immerso nei suoi pensieri dal non accorgersi che la ragazza si era avvicinata a lui. Timidamente, posò sulla sua guancia un bacio, che fece arrossire come una scolaretta l’attaccante della nazionale.

- Grazie mille, Mark- sussurrò lei- Per ripagarti voglio prepararti un pranzetto con i fiocchi e controfiocchi.

Detto questo, fece per alzarsi, ma inciampò nei suoi stessi piedi, rischiando di finire a terra e farsi male. Tra lei e il pavimento si frappose Mark Lenders, che cadde riverso a terra, con la ragazza sopra.

Imbarazzati, i due si guardarono a lungo, timorosi di respirare e di muoversi. Sembravano aver stabilito un contatto visivo che nessuno dei due desiderava rompere, una specie di barriera in cui si sentivano a loro agio.

- Maki…- sussurrò lui, guardando il volto imporporato della ragazza.

- Vuoi che mi tolga?- chiese lei.

Istintivamente lui scosse la testa.

- Perché no?

- Non lo so. Tu vuoi toglierti?

- No.

- E perché?

- Non lo so neppure io. Mi sento bene, però.

- Anche io mi sento bene.

- Mark…

- Sì?

- Non mi sento completa, però. Cosa posso fare?

- Segui ciò che il tuo cuore ti dice di fare e non sbaglierai.

- Allora… perdonami in anticipo, se quello che sto per fare non ti piacerà, Mark Lenders, ma il mio cuore mi ordina questo, adesso.

La ragazza, incapace di resistere, posò le sue labbra su quelle del ragazzo. Percepì una scossa elettrica, a quel contatto. Era qualcosa di diverso dalle violente scosse provate ogni volta in cui il padre affondava il suo membro in lei, scosse che al solo pensiero le facevano salire un conato di vomito su per la gola. Questa era delicata e dolce, non debole ma neppure forte, qualcosa che emanava calore e serenità. Le sensazioni aumentarono un istante dopo, quando Mark ricambiò il timido bacio della ragazza, stringendo le braccia attorno alla sua schiena.

Adesso che si erano trovati completamente, sapevano di essere inseparabili, legati da un sentimento che per il giovane Lenders esisteva soltanto nei confronti della madre e dei fratellini.

Finalmente capiva come mai Oliver Hutton si fosse gettato in mezzo a una strada, sotto quello stramaledetto camion, per salvare la vita a Patty. Sapeva cosa aveva spinto la ragazza a stare al fianco del suo capitano per mesi e mesi, senza mai arrendersi e trascorrendo con lui tutto il tempo possibile e anche quei momenti in cui non avrebbe potuto passare il suo tempo con lui.

Quel pensiero ruppe l’incanto, costringendolo a fermarsi. Non aveva sicuramente ritrovato la serenità adatta per accettare il fatto che il suo rivale numero uno non potesse più giocare, ma ne aveva abbastanza per tornare ad allenarsi. Ma per farlo, sarebbe dovuto andare come minimo dal suo vecchio maestro, il mister che l’aveva allenato ai tempi del Muppet, in un isola vicina.

- Maki… so che ti parrà molto sfacciato da parte mia ma… vuoi venire con me sull’isola di Kitabana?

La ragazza annuì.

- Io qui non ho più nulla e non voglio più tornare al villaggio, che per me adesso rappresenta soltanto brutti momenti. Verrò con te, Mark. Ma prima dovrai dirmi chi sei in realtà. Tu adesso di me sai tutto.

- Hai perfettamente ragione, Maki. Io sono Mark Lenders, attaccante e numero nove della nazionale giapponese di calcio. Sono venuti fin qui per trovare un po’ di pace, ritrovare me stesso dopo il gravissimo incidente che il mio rivale numero uno ha subito. Ho perso lo stimolo, da quando ho scoperto che lui non potrà mai più giocare a calcio. Questo è il motivo per cui sono venuto a rifugiarmi qui, lontano dai mass media e dalla mondanità, ad annegare, in un luogo in cui potevo essere almeno meno noto che nel resto del Giappone, tutti i miei brutti pensieri nel lavoro manuale. Ecco, adesso sai tutto, Maki. Sei libera di odiarmi, se lo desideri.

- Cosa vuoi dire?

- Che ti ho costretta a vivere qui, in totale povertà, quando avrei potuto fare molto di più per te.

Lei sorrise e scosse la testa.

- Non importa, Mark. Tu desideravi vivere per un po’ in questo modo ed io sono d’accordo con la tua determinazione a farlo. A me non importano minimamente i soldi, ma il poter stare insieme a te. Non m’importa dove vuoi andare né cosa vuoi fare, l’importante, per me, è sapere che ci sei e che sarai sempre al mio fianco, magari anche soltanto spiritualmente. Questo a me importa, di Mark Lenders, non se è un calciatore famoso o un muratore che lavora in nero.

- Adesso capisco davvero molte cose- rispose Mark, con un sorriso.

- Cosa?

- Maki, voglio raccontarti una storia.

- Aspetta un attimo- disse Maki, recuperando la coperta e stendendosi di nuovo accanto a lui, sotto la coperta.

- E’ la storia di Oliver Hutton, il calciomane più sfegatato del Giappone e mio ex compagno della nazionale giapponese, e di quella pazza ragazza di Patricia Gatsby, sua tifosa numero uno e manager della squadra. Tutto ebbe inizio qualche anno fa, quando… - iniziò lui, mentre la ragazza, delicatamente, si accoccolava contro di lui, facendolo arrossire nuovamente.

Mark si fece inviare dalla madre una modesta somma di denaro, necessaria giusto per i due biglietti del traghetto, e, nel giro di ventiquattro ore, si trovavano entrambi sul battello che li avrebbe portati a Kitabana, da mister Turner, dove Mark avrebbe ripreso ad allenarsi seriamente e a cercare un nuovo stimolo per tornare dai suoi compagni della nazionale, tra le cui file non si sarebbe più trovato Oliver Hutton.

Se qualcuno dei mass media avesse visto come Mark si comportava nei confronti di Maki avrebbero avuto molto da scrivere, a partire dal titolo, che sarebbe suonato più o meno come: La Tigre Ammansita.

NdA: mi scuso moltissimo con tutti quelli che hanno seguito la fanfiction per questo lungo stop, dovuto a motivi personali. Questa fanfiction è quella che prediligo e mi è costato molto allontanarmene, ma non potevo fare altrimenti. Spero di poter tornare ad aggiornare con un ritmo più costante. La storia di Holly e Patty riprenderà nel capitolo 8, dal titolo “Crudele Realtà” e, per la sicura gioia di uno di voi lettori, tornerà anche la storia tra Tom e Martina, quest’ultima più scoppiettante che mai.

Bye Bye, MysticMoon

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Crudele Realtà ***


Capitolo 8

Capitolo 8

La Nuova

Realtà

Mille Nuove Strade

Ed

Altrettante Scoperte

 

NdA: scusate immensamente, carissimi lettori di Life, per questo lunghissimo stop. Da questo capitolo si ritorna a casa Gatsby, la sera dopo l’arrivo di Martina, Tom, Benji e Colette. Ah, ragazzi, mi sono presa la “piccola” libertà di eliminare il fratello di Holly, scomodo per la trama della storia (oh, non è che è morto pure lui, soltanto che non è mai nato!).

 

Quando la mattina successiva Roberto andò in camera di Patty, dove erano alloggiate anche Jenny, Amy, Colette e Martina, per controllare le ragazze, si trovò davanti ad una scena molto dolce ed un po’ equivoca: Patty e Holly, beati, l’uno nelle braccia dell’altra, riposavano sul letto, mentre appoggiati di schiena al letto stavano Julian e Philip, che cingevano con un braccio le rispettive compagne. Colette era su una poltrona di vimini, con Benji come materasso, ma di Martina e Tom non c’era neanche l’ombra. All’appello mancava anche Bruce, che però aveva visto dormire in compagnia di Raiden, nella stanza che teoricamente avrebbe dovuto occupare tutta la componente maschile della compagnia.

 

Roberto Sedinho 3 Marzo  ore 6:04 AM

 

Oh no! Dove sarà adesso quel tornado di ragazza? Ieri sera per poco esco pazzo, con quella ragazza in giro. E adesso lei e il suo degno compare scompaiono dalla stanza in cui, almeno teoricamente, dovrebbero trovarsi. Chissà che fine avranno fatto? Certo che sono tremendamente teneri, sia loro che quei due! Ma, per il tempo che resteranno qui a dormire, dovranno stare in stanze separate. Non vorrei ritrovarmi a dare ricovero anche a un branco di ragazze madri con relativi ragazzi al seguito, rischiando anche il linciaggio dalle rispettive madri.

 

Lo sguardo di Roberto vagò di nuovo per la stanza, sperando di vedere una traccia della ragazza dai capelli rossicci, ma non la vide da nessuna parte, così sospirò e uscì dalla stanza, sperando che non si fosse cacciata nei guai. Conosceva l’indole pacifica e calma di Tom, ma, perlomeno da quanto aveva visto e sentito la sera prima, pareva l’italiana riusciva a trascinarlo in situazioni al limite dell’assurdo.

 

Di certo Roberto Sedinho non immaginava che la folle Martina Maroni aveva avuto l’idea di andare a guardare le stelle sul letto, trascinando anche il riluttante Tom, e, dopo circa un’ora passata sdraiati sulle tegole, si erano addormentati là sopra, nonostante la notte fosse piuttosto fredda, l’una tra le braccia dell’altro.

Il primo a svegliarsi fu Tom che, intontito, guardò prima il cielo che lentamente stava schiarendo e la bella ragazza che ronfava tra le sue braccia, la ragazza che, sapeva,  sarebbe stata capace di seguirlo fino ai confini del mondo ed anche oltre, se il suo ragazzo glielo avesse chiesto. I suoi capelli, illuminati dal primo sole, mandavano dei magnifici riflessi rosso-dorati, ed il sorriso che aveva sulle labbra gli scaldava il cuore. Certo, Martina Maroni era una ragazza forte che sprizzava energia da tutti i pori, forse un po’ fuori dal normale ideale di ragazza, ma possedeva in sé anche un punto debole, una parte del suo cuore, nascosta a tutti, nella quale qualcuno le aveva inferto una ferita che la faceva soffrire ancora e della quale Tom non conosceva nulla, un’incrinatura nella sua sicurezza e giovialità, quasi come se fosse un pezzo di puzzle che qualcuno le aveva strappato e cercava di nascondere a tutti.

Delicatamente, iniziò a passarle una mano tra la folta chioma, sorridendo a quella straordinaria ragazza che riposava al suo fianco.

 

Tom Becker 3 Marzo  ore 6:29 AM

 

Quanto è bella! Non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Nessuno sembra comprendere la sua complicata psiche. Neppure io la capisco completamente, ma una cosa penso di saperla: lei fa tutto alla ricerca della felicità. Che sia la sua o quella altrui non importa, ma lei è volta sempre alla felicità. Ancora non è completamente felice, lo sento, ed io voglio impegnarmi per donarle ciò che desidera. Io la amo, non ci sono dubbi. E lei? Lei è così affascinante, dolce, premurosa, allegra… ma mi ama? Come io non l’ho mai detto, almeno a voce, lei neppure l’ha fatto. Mi dimostra un immenso affetto ma… questo è amore?  Lo so, dovrei smetterla di pensarlo… e dovrei smettere anche di  darle retta ed esaudire i suoi capricci più strampalati, dato che fa “un po’” freddino qui fuori. Me lo dice sempre Trappippi che la sua compagnia mi carica in campo ma mi rende anche piuttosto pittoresco, se non del tutto strambo fuori! Ma come posso non accontentarla? E’ così convincente…

 

Martina Maroni 3 Marzo  ore 6:31 AM

 

E’ talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorge neppure che non dormo! Quanto è dolce, però. Come farò quando lui se ne andrà via? Crede che non sappia che l’Ascoli ha ricevuto parecchie richieste da parte di altre squadre, oltre, naturalmente, alla chiamata della sua ex squadra? Lo so che molto presto mi abbandonerà. Tom, tu dovrai lasciarmi e ti dimenticherai di me, eppure non posso fare a meno di aggrapparmi a te, quasi come se per me la tua presenza sia diventata essenziale per l’esistenza. Cosa farò quando andrò allo stadio e la maglia numero undici la vedrò sulle spalle di un altro? Cosa farò quando agli allenamenti non potrò più gridare il tuo nome, rendendo sordi Trappippi ed i tuoi compagni? Cosa ne sarà di me senza Thomas Becker? Come farò se in un unico momento svanissero il mio fratellone iperprotettivo, il mio buffo amico del cuore, il mio più intimo confidente e, soprattutto, come farò senza il dolce centrocampista che ha fatto gol nel mio cuore? Come farò? L’ho visto ieri, insieme a tutti i suoi vecchi amici. Lui è felice qui con loro, nonostante il pessimo momento. Ha degli amici ed amiche molto simpatici, gioviali ed io, un’italiana, potrei rovinare tutto. Mi sento come se dovessi portarlo via da loro, se lo legassi ad una promessa, ma non posso neppure rinunciare a lui. Ormai è troppo importante per me.

 

Tom fu sconvolto dalla vista delle lacrime di Martina, che rigavano il suo volto sorridente. Possibile che con quel sorriso nascondesse le sue vere emozioni? Che qualcosa, in quel momento, la stesse sconvolgendo a tal punto da far sciogliere persino la sua irreprensibile corazza di ragazza forte ed indipendente?

- Martina, stai bene?

Lei scosse la testa.

- Cosa c’è? Cosa ti turba?

- Il pensiero di un giovane giocatore di calcio giapponese che è richiesto da molte squadre, ha tanti amici al suo fianco ed una ragazza di troppo che potrebbe tarpargli le ali e allontanarlo dagli amici perché la sua patria è a migliaia di chilometri dal paese d’origine di lui- rispose, aprendo gli occhi ma senza guardarlo, mentre un sospiro le sfuggiva dalle labbra.

- Pensi che tu, per me, sia un ostacolo?

- Sì, perché lo sono. Io sono italiana, abitante di una città non certo piccola, ma una piazza del calcio non certo importante come quelle di Roma, Torino e Milano, non importante come i club di calcio sudamericani o europei. Non posso tenerti lontano dal tuo amato calcio. E neppure dai tuoi amici. Io non posso pretendere che tu rinunci a tutto questo per me.

- Martina, non definirti come ciò che non sei. Tu non sarai mai un ostacolo per me. A me non interessa dove gioco, ma divertirmi mentre lo faccio. Non posso essere un giocatore di calcio che non si diverte. E sai quando mi diverto?

- Quando?

- Quando guardo in panchina e ti vedo gridare per me, magari con il cappello e la sciarpa al collo, vedere che tu tieni a me. Se tu sei con me, io mi diverto sempre. E per quanto riguarda gli amici… Benji sta in Germania e Holly, se si riprenderà, verrà in Europa con Patty, posso giocarmi tutto quello che ho su questo. Avrò i miei più cari amici molto più vicini che se giocassi qui. Poi ci saranno i ritiri per rivederci. Inoltre, non sarò mai lontano da loro finchè sarò in contatto con Holly e potrò telefonare a Benji. Un’amicizia non si basa sulle distanze.

- Ma non vorresti giocare in una grande squadra, Tom?

- Non posso mentirti. Mi piacerebbe poter giocare di nuovo in un grande club, ma non adesso. Ho ancora tanto da imparare da Trappippi.

- Ma quando non avrai più nulla da imparare?

- Allora mi dedicherò all’Ascoli. Diverrò la sua bandiera, se è necessario, e lo porterò in serie A. Così potrò giocare contro i grandi club e non saremo costretti a separarci. Io non posso lasciarti, lo sai. Ho promesso.

Le lacrime continuarono a scorrere lungo le sue guance, irrefrenabili.

- Tom… perché fai ciò per me?

- E’ scritto sulla tua maglia, Megafono Umano- rispose, asciugandole una lacrima dalla guancia.

Martina, per la prima volta in quella giornata, lo guardò negli occhi.

- Cosa vuoi dire?

- Che ti amo- sussurrò, baciandola dolcemente.

- Come puoi amare una come me?- chiese tra le lacrime.

- Sei speciale. Tu illumini la mia giornata, sai farmi ridere quando ne ho bisogno, sfogare se ne ho voglia, mi liberi dalla mia innata timidezza e sai spronarmi a dare il massimo con un solo sguardo. Io amo di te la tua forza, la tua allegria, anche la tua caparbietà e lo strano senso dell’umorismo che possiedi, perché senza non saresti la stupenda ragazza che sei. Non posso fare a meno di volerti bene e di prometterti mari e monti. Io voglio donarti tutto ciò che desideri, vederti sorridere ogni giorno, voglio che tu sia la persona più felice di questo mondo, capisci?

Vedendo ancora le lacrime rigarle il volto Tom non capì che non era dolore il suo, ma sollievo, la gioia di sentire che qualcuno al mondo le voleva un bene tale da arrivare al sacrificarsi per lei.

- Io non ti merito, Tom- sussurrò, chiudendo nuovamente gli occhi – Sei sempre così dolce nei miei confronti… vorrei poterti dimostrare quanto tengo a te senza apparire scontata o troppo melensa. Io…

Un dito di Tom la bloccò.

- Non dire nulla. Quando sarà il momento il cuore saprà che cosa farti dire e come farti agire, capito?

Lei sorrise ed annuì. Aveva capito che Tom non le avrebbe mai rinfacciato nulla, anche se fosse stato costretto a lasciare andare il treno del successo. E comprese anche che doveva impedirgli di compiere questo sacrificio.

 

La prima a svegliarsi fu Colette, svegliata dal rumore della porta che si chiudeva.

Intontita, si guardò intorno qualche istante, prima di ricordare come mai si trovasse lì, addormentata sul portiere della sua squadra, in una stanza piena di ragazzi e ragazze, che dormivano gli uni sugli altri.

 

Colette Montgomery 3 Marzo  ore 6:08 AM

 

Sono tra persone che non conosco, eppure… io non mi sento fuori posto. Loro mi hanno trattato come una di loro, con naturalezza e tranquillità, come se mi conoscessero dalla vita. Persino Benji mi sembra diverso da quando è ad Amburgo. E’ vero che mi ha detto che non gli piace comportarsi naturalmente con i suoi compagni di squadra, ma vedendolo tra gli amici sembra quasi un altro Benji. Chissà cosa prova per Martina… Lei, si vede perfettamente, è legatissima a Tom, ed è ricambiata con la stessa intensità, ma non so se questo potrà fermare i suoi piani.

 

Guardò attentamente la stanza della ragazza, sorridendo alla vista di Holly e Patty che, nonostante il dolore che avevano nel cuore, nel sonno riuscivano a sorridere. Sapeva che non avrebbe potuto comprendere il loro dolore, ma lei sapeva cosa significasse non poter più vedere uno dei genitori, anche se, naturalmente, quella distanza era stata una precisa volontà di sua madre.

Ripensare alla madre la faceva sentire sempre tremendamente sola. Aveva nove anni quando aveva visto per l’ultima volta la madre. Ricordava perfettamente quel giorno, al “Grand Hotel” di Milano. Lei e suo padre erano andati lì per seguire una sfilata della madre, la più importante dell’anno, e lì la madre sarebbe andata ad incontrarli, per cenare tutti assieme.

Aveva stentato a riconoscere la rubiconda madre nell’eterea bellezza che, con passo sicuro, si avvicinava a loro. Due anni prima, quando era andata via, era un’alta donna, leggermente in soprappeso, che di solito indossava jeans e maglietta, entrambi di almeno un paio di taglie più grandi, eternamente sorridente, con i capelli biondo platino, come quelli della figlia, lasciati sciolti e gli occhi azzurro ghiaccio, che sprizzavano energia, mentre la donna che si avvicinava a loro con passo fermo era una pallida silfide, fasciata da un abito argenteo, che sotto la luce dei lampadari brillava di mille riflessi cangianti, con i capelli raccolti in un elegante chignon, la bocca, velata da un sottile filo di rossetto di una tinta fredda di rosa, ridotta ad una rigida fessura e gli occhi, color del ghiaccio, privi di qualsiasi luce, esaltati da un ombretto argenteo ed il mascara.

Lei si era slanciata tra le sue braccia, ma la donna l’aveva ignorata, avvicinandosi al marito e porgendogli la mano, che lui galantemente baciò.

- E’ un piacere rivederti, Maria.

- Bando ai convenevoli, Vincent. Andiamo a cena, così potremo sbrigarci a firmare le carte e renderlo ufficiale.

- Io speravo che avremmo potuto parlare.

- Il tempo delle parole è finito. Ormai non provo più nulla per te. E’ già tanto se ti ho concesso trenta minuti per questa insulsa cena.

- Non vuoi ripensarci?

- No.

- Neppure per Colette? Cosa le dirò?

- La verità- fece lei, gettandole un’occhiata con la coda dell’occhio- Che i suoi genitori non si amano più e che sono davvero troppo impegnata per essere stilista e madre, quindi rinuncio alla patria potesta. Io non ho tempo da perdere con i bambini, neppure se sono figli miei.

- Come puoi dirlo? E’ pur sempre tua figlia!

- Un peso, ecco cosa è. E’ una bambina grassoccia e con le gambe corte. Non voglio più vedermela davanti. Io non ho più una figlia e, quando avrò firmato quelle carte, non avrò neppure più un marito. E, dato che hai perso tutto questo tempo, dammi una penna, così firmiamo. Devo tornare subito dalle mie modelle.

Sul momento non aveva capito cosa stesse accadendo, poi, quando aveva visto la madre andarsene, aveva fatto per rincorrerla, ma la donna, con voce stizzita, guardò la bambina sorridente e disse:

- Colette, tu non sei più mia figlia, adesso. Vattene. Non voglio vederti vicino a me mai più, capito?

A quelle parole, ricordò, era scoppiata a piangere e aveva cercato di abbracciarla, ma una guardia del corpo della donna, impietosita, l’aveva presa in braccio e consegnata al padre, che guardava l’esile figura dell’ormai ex moglie con aria depressa.

A quel punto Colette chiuse di nuovo gli occhi, cadendo nuovamente tra le braccia di Morfeo.

 

Patty fu svegliata da un lieve movimento accanto a sé ed aprì gli occhi. Holly era sveglio e, tentando di non svegliarla, cercava di scendere dal letto.

Patty sorrise al suo capitano e, silenziosa, scese dal letto e lo aiutò a scendere, facendolo quasi gridare per la sorpresa quando la vide apparire davanti a lui, con la mano tesa per aiutarlo a mettersi in piedi.

- Holly, so dove vuoi andare- sussurrò lei, sorridendo.

- Come?

- Ti conosco. E’ tutto pronto.

Gli occhi di Holly brillarono nel vedere la ragazza del suo cuore accucciarsi a terra ed estrarre da sotto il letto un borsone, che si mise a tracolla.

 

Patricia Gatsby 3 Marzo  ore 06:17 AM

 

Crede che non sappia che da quando si è ritrovato in grado di correre come una freccia, la sua voglia di allenarsi è  decuplicata? Ho preparato tutto ieri, in segreto, quando mi credeva addormentata. Ho messo tutto il necessario e adesso è pronto per tornare ad allenarsi. Non è certo il giorno più indicato, ma è anche vero che il tempo scorre veloce e dobbiamo sbrigarci a farlo tornare l’Oliver Hutton di un tempo. Bene, Patty, da oggi torni ad essere la manager del capitano.

 

Oliver Hutton 3 Marzo  ore 06:07 AM

 

Come fa a leggermi dentro così bene? Si aspettava che oggi volessi tornare ad allenarmi ed ha già preparato tutto. Mi sembra di essere tornato ai tempi della New Team, quando lei era sempre al mio fianco, sfacchinando tra il campo e gli spogliatoi ed aspettando sempre che finissi gli allenamenti, soltanto per darmi un asciugamano pulito con cui asciugarmi la fronte. Come avrei fatto senza di lei?

 

- Vogliamo andare?- sussurrò Patty, passando un braccio di Holly sulle sue spalle, per aiutarlo a scendere le scale.

Nonostante l’imbarazzo, accettò l’aiuto offertogli da Patty, assaporando quel dolce momento con tutto il cuore, cosa che anche Patty faceva, e a malincuore, arrivati al piano terra, si separarono.

 

- Sei pronto capitano?- chiese Patty, guardando il suo ragazzo uscire dallo spogliatoio del vecchio campetto comunale, con indosso la sua divisa della New Team, che, a quanto sembrava, gli stava ancora a pennello, cosa di cui si stupì.

Il sorriso sul volto di Patty ebbe l’effetto di fargli capire tutto: doveva essere stata lei a sistemarla per fare in modo che potesse indossarla di nuovo nonostante il tempo passato dall’ultima volta.

Il ragazzo si avvicinò alla ragazza, che indossava un paio di shorts neri, piuttosto attillati, ed una maglietta bianca lunga, che per comodità aveva annodato poco sopra l’ombelico, in modo che fosse larga ma non l’intralciasse nei movimenti. I lunghi capelli scuri erano legati in una coda alta, che poi aveva piegato contro la testa e legato alla base della stessa, riducendo sensibilmente la massa di capelli in movimento, che avrebbero potuto interferire con i suoi movimenti ed infastidire Holly in un probabile scontro di gioco. Sapeva che per far riprendere Holly avrebbe dovuto partecipare attivamente e prontamente al moto del giovane calciatore.

- Patty…- fece Holly, comprendendo solo in quel momento l’utilità del suo abbigliamento molto sportivo.

- Sì, Holly?

- Come mai ti sei vestita… così?

- Per aiutarti. Dovrai superare anche qualche blocco psicologico, dopotutto, e avere un avversario ti aiuterà a superarli.

- Ma io sono… come dire…

- Un campione?- fece lei, con aria scettica.

- In effetti….

- Ma tu devi ricominciare da capo, non dimenticarlo. Devi iniziare con un avversario relativamente facile.

- Cosa vuoi dire con “relativamente facile”?

- Lo vedrai, Oliver Hutton- rispose, con un sorriso sornione che non faceva presagire nulla di buono.

La ragazza prese la palla dal borsone e la lanciò nel campo.

- Vediamo come va il controllo di palla, signor Campione- fece lei, con tono di sfida.

Holly immediatamente si lanciò verso la palla ed iniziò a correre lungo il campo, ma improvvisamente la palla non era più tra i piedi, ma un paio di metri più in là, dove i suoi piedi, fuori allenamento, l’avevano spedita.

- Uhm… dobbiamo fare un mucchio di roba, io e te- fece Patty, recuperando la palla con i piedi e lanciandola verso Holly, che non riuscì ad agganciare non per colpa del lancio della ragazza, piuttosto preciso.

Lo sguardo che Holly rivolse alla ragazza era di puro stupore: non riusciva a credere che Patty potesse aver fatto un passaggio così preciso!

 

Oliver Hutton 3 Marzo ore 06:24 AM

 

Ma… ma è stata proprio Patty a farlo? Ma… ma come ha fatto? Non mi ha mai detto di essere così brava nei passaggi… anzi, non mi aveva mai detto di cavarsela così in campo calcistico! Ma dove ha imparato a farlo?

 

Patricia Gatsby 3 Marzo ore 06:24 AM

 

Poverino! Mi sa che l’ho scioccato! Non immagina minimamente che abbia imparato a giocare proprio guardando giocare lui e gli altri! Se non avessi osservato attentamente i loro movimenti a quest’ora non me la caverei così.

 

- Come mai quella faccia? Vuoi essere l’unico a saper giocare a calcio in questa città? Su, adesso muoviti ed iniziamo con i passaggi tra me e te. Hai ancora molto da recuperare, in quanto a controllo di palla, ed il tempo stringe, per tua sfortuna- fu l’entusiastico incoraggiamento di Patty, che a stento si tratteneva dal ridere alla vista del volto stupito di Holly.

Holly fece come gli era stato detto ed iniziò a fare dei passaggi, molto lenti, tra lui e Patty, sperando con tutto il cuore di potersi riprendere alla svelta il posto di capitano del San Paulo e della Nazionale Giapponese, ma allo stesso tempo domandandosi dove e come Patty avesse imparato a giocare a calcio. Non era certo al suo livello come preparazione, ma, pensò, sarebbe riuscita a saltare un avversario del calibro di Bruce, con un pizzico di fortuna.

- Patty…- fece lui, mentre cominciava a prendere il ritmo dei passaggi- Chi ti ha insegnato a giocare così?

- Come chi mi ha insegnato a giocare? Ma tu, ovviamente- fece lei, tranquilla, senza staccare gli occhi dal giovane.

- Io? Ma… come…

- È bastato osservarti mentre ti allenavi e copiare i tuoi movimenti. Sono stata così tanti pomeriggi a seguirti nei tuoi allenamenti, straordinari e non, che ho cominciato a capire e ricordare i movimenti che facevi. Mi sono allenata ogni giorno, mentre eri in Brasile, e anche mentre stavi male ho continuato a lavorare. Sapevo che saresti tornato il mio Oliver Hutton, il calciomane indefesso e volevo farti una sorpresa- fece lei, abbassando il capo ed arrossendo un po’ mentre pronunciava l’ultima parte, perché si era resa conto di aver esagerato un po’.

- Dici sul serio, Patty?- fece lui, imitando nel colorito delle gote la ragazza che gli stava di fronte.

Lei annuì, continuando a passare la palla, per poi sorridere e tornare a guardare in volto il ragazzo.

- Certo, non sarò mai in grado di fare una rovesciata, ma con la palla a terra non penso di essere poi troppo male. Sai, nessuno sa che io gioco così. Bruce e gli altri mi avrebbero preso in giro, se avessero saputo.

- Mi piacerebbe molto poterti far vedere ciò che ho imparato al San Paulo, invece che certi concetti base- fece lui, rattristato dal fatto che Patty potesse mostrargli i suoi progressi mentre lui no.

- Presto mi potrai far vedere tutto quanto. Tornerai come nuovo ed anche meglio. Te lo giuro Holly. Io starò qui con te fino a quando non sarai di nuovo il campione che sei sempre stato.

Holly guardò la ragazza, stupito. Nei suoi occhi nocciola si vedeva l’ombra delle lacrime ma bruciava anche una forza che lui conosceva sin troppo bene, dimostrata anche dalla sua bocca, ridotta ad una fessura stretta ed i pugni che stringeva con forza.

Per un attimo rivide in lei la piccola Patricia Gatsby, allora undicenne, quella forte ragazzina che andava in giro indossando l’uniforme maschile, che, con aria assassina, guardava gli avversari che osavano fargli fallo, tanto da tentare più volte di scendere in campo per fare giustizia con le sue stesse mani, alla cui immagine si sovrappose una Patty più recente, stavolta quattordicenne, che, tra le lacrime che le portava l’immensa preoccupazione per il suo stato di salute, lottava al suo fianco per farlo tornare in campo nonostante la reticenza del suo medico.

Lentamente, si avvicinò alla ragazza e l’abbracciò con molta tenerezza, lasciando che la ragazza potesse appoggiare il volto contro la sua forte spalla. Sapeva che era uno dei momenti in cui si faceva sommergere nuovamente dal senso di colpa per quel maledetto incidente.

- Io ce la metterò tutta, Patty- sussurrò lui, aspirando con calma il profumo della sua capigliatura mentre l’accarezzava lentamente – Non mollerò mai, hai capito? Ma tu non devi lasciarti andare, mi capisci Patty? Non devi avere più pensieri del genere, capito? Lo sai che cosa penso di questi sensi di colpa.

Sentì Patty singhiozzare sommessamente contro di lui, per alzare di nuovo il volto, passarsi un braccio sul volto per asciugare gli occhi dalle lacrime che non aveva versato e guardarlo con intensità. Sapeva che aveva ragione ed ormai quel discorso lo avevano fatto decine di volte.

- Continuiamo?- sussurrò lei.

Il radioso sorriso del suo Holly e il lasciarla andare rispose al posto della sua voce, così la ragazza recuperò il pallone e ricominciò a fare i passaggi con il ragazzo, con rinnovata energia.

 

Quando Raiden si svegliò notò che Bruce non era al suo fianco ma alla finestra, a fissare con aria assorta il cielo azzurro.

- Qualcosa non va, Bruce?- chiese l’uomo, accomodandosi accanto al ragazzo dai capelli scuri.

- Pensavo a tutta questa situazione, Raiden.

- Cosa intendi dire?

- Che tutti, intorno a me, stanno crescendo, viaggiano, evolvono… mentre io sono fermo dove ero qualche tempo fa. Tom adesso gioca in Italia, è corteggiato da parecchie squadre ed ha una ragazza un po’ matta ma bella come il sole; Benji è considerato uno dei migliori portieri d’Europa ed ha al suo fianco una ragazza delicata e a modo, di cui è più geloso della sua stessa vita; Roberto è tornato dal Brasile ed allenerà la New Team; Julian e Philip hanno trovato lavoro e le ragazze che sempre li hanno affiancati non li hanno abbandonati; per non dimenticare Patty e Holly… loro in un anno hanno visto la vita capovolgersi completamente. Come è possibile che io non riesca ad evolvere come loro? Io ancora dipendo dai miei genitori.

- Non dire così, Bruce. Tu stai cercando di entrare in una squadra di calcio e questo significa che desideri lavorare. Per il resto, ossia il campo sentimentale, non dovresti farti certi problemi. Quando sarà il momento troverai chi ti starà a fianco per la vita.

Bruce guardò l’uomo saggio che gli stava a fianco e pensò anche al dolore che poteva covare sotto il sorriso radioso che mostrava. Figlio e nuora morti in un incidente stradale, una nipotina caduta in mare ed una moglie morta di dolore soltanto due settimane dopo, ed ora solo al mondo. Provò improvvisamente un moto di grande affetto per quell’uomo, quasi fosse una specie di nonno, e l’abbracciò con forza, come non aveva mai potuto fare con suo nonno, morto prima che lui nascesse.

Non una parola fu pronunciata mentre quell’abbraccio sanciva lo stringersi di un legame sempre più forte tra i due,  che fino a qualche giorno prima non si erano neppure mai visti ed ora si trovavano a vivere una realtà drammatica non loro.

 

Il pallone da calcio sfrecciò piuttosto rapido in direzione del palo alla destra della ragazza e Patty, lesta, si gettò per tentare di fermarne la corsa. Non era certamente uno dei migliori tiri di Holly, dato che era palese che sarebbe finita fuori, ma in quanto ad energia non era scarso come la ragazza si aspettava da qualcuno che non calciava più una palla da diversi mesi ed aveva subito un intervento di ricostruzione quasi totale dell’ossatura dell’intera gamba sinistra.

Holly la vide letteralmente volare in direzione della palla, rapida ed aggraziata come una pantera, e deviarne la traiettoria con un pugno, per poi ruzzolare a terra, finendo a pancia in giù sul prato.

Holly immediatamente le fu accanto, preoccupato per le sue condizioni, ma lei, senza scomporsi, si sedette, spazzò via terra ed erba dai vestiti e, accettando l’aiuto della mano tesa di Holly, si rimise in piedi.

- Holly, sei stato grandioso!- esclamò lei, donandogli un immenso sorriso mentre, troppo euforica per trattenersi, gli gettava le braccia al collo- Non mi aspettavo che ancora avessi un tiro del genere! Se già va così bene la potenza, sono certa che anche il controllo tornerà quello di un tempo.

 

Oliver Hutton 3 Marzo ore 07:25 AM

 

Il suo sorriso… come ho fatto a sopravvivere senza vederlo per più di tre mesi? Come ho fatto senza di lei in quel periodo? E’ così dolce… e bella. Quando sorride è come se l’aria intorno s’illuminasse ed i suoi occhi divenissero luce pura, in grado di donarmi nuova forza.

 

Guidato dal puro istinto, Holly le passò le braccia attorno alla vita e pose le sue labbra su quelle della ragazza con estrema dolcezza, quasi volesse ringraziarla con quel gesto per tutto ciò che lei aveva fatto per lui.

- Come mai tutto questo?- sussurrò lei, sorridendo.

- Ti amo. Basta per giustificarmi?

- Penso di sì, ma non dobbiamo battere la fiacca, per cui lasciamo le coccole per stasera e torniamo ad allenarci, ok?

La luce che i suoi occhi emanavano era troppo forte perché Holly avesse la forza di opporsi al suo volere, così prese la palla e tornò sul dischetto del rigore, pronto a lanciare nuovamente la palla alla ragazza tra i pali.

 

Quando Benji si svegliò per poco non ebbe un colpo apoplettico. Colette dormiva ancora in braccio a lui, con la testa appoggiata alla sua spalla, raggomitolata in posizione fetale. Ciò che lo fece sobbalzare fu una lacrima rimasta intrappolata in un ciglio e il fatto che fosse così contratta, come se cercasse un po’ di calore da quel contatto.

 

Benjamin Price 3 Marzo  ore 07:12 AM

 

Cosa succede? Perché Colette sembra così triste? Cosa può averla ferita? E’ imbarazzata dal fatto di essere qui come turista? No, non penso. Certo, non era spigliata come con Tom e Martina, ma sembrava trovarsi bene con loro. Che sia qualche sogno che l’ha fatta soffrire? Un incubo?

 

Con fare affettuoso, abbandonò la testa in direzione della sua ed abbracciò la tedesca, che a quel contatto sembrò rilassarsi, sorridendo e accoccolandosi ancora di più contro di lui, si spostò verso di lui. Fu durante questo movimento che le sue labbra sfiorarono inavvertitamente ed in modo a malapena percettibile quelle di Benji, che immediatamente smise di respirare al contatto. Sentiva mozzarsi il respiro in gola ed il cuore, all’improvviso, aveva iniziato a battere talmente forte che sembrava sul punto di esplodere.

Mai in vita sua aveva provato un’emozione del genere, men che meno a causa di un semplice tocco di labbra sulle sue! Fin troppe volte le fan gli erano saltate addosso per baciarlo o anche andare oltre, ma nessuna era riuscita a suscitare emozioni tanto forti in lui come Colette in quel momento. Era stato qualcosa di estremamente coinvolgente, la sensazione più intensa dei suoi diciassette anni di vita, e gli era stata donata proprio da quella ragazza, la più tranquilla e pacata che conoscesse, con il gesto più innocente di questo mondo.

I suoi occhi si posarono su quella figura esile, sulla ragazza dai capelli chiari e con occhi simili al mercurio, al momento celati dalle palpebre. Ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista, al suo arrivo al campo della società.

Lunghissimi capelli biondi, tenuti stretti in una lunga coda che ricadeva sulla spalla sinistra, ed aria un po’ spaurita, stava seduta su una panchina accanto ad una limousine e, probabilmente, attendeva il padre.

Stava scrutando con i suoi grandi occhi tutto ciò che la circondava, quando si era soffermata sul giovane giapponese che stava ricambiando il suo sguardo, incuriosito da tutto ciò che lo circondava.

Lui aveva salutato toccando la tesa del cappello, poi era stato chiamato da Freddy ed era andato da lui, che voleva presentarlo all’allenatore.

Improvvisamente, vide le palpebre della ragazza iniziare a sollevarsi, sino a quando gli occhi di Colette, spalancati, incrociarono i suoi, mentre un sorriso faceva capolino sul suo volto pallido.

- Buongiorno Benji.

- Buongiorno Colette. Dormito bene?

- Sì, soprattutto grazie a te. Sei stato davvero molto gentile. Tu non sarai riuscito a chiudere occhio, immagino.

- Affatto. Sei talmente leggera che non ti sentivo neppure. Vogliamo alzarci?

- Sì.

I due rimasero fermi, in attesa.

- Hai ripensato?- chiese Benji, sorridendo.

- No.

- E allora come mai non ti alzi?

- Magari se mi lasci andare… -rispose lei, ridendo nervosamente.

 

Colette Montgomery/ Beniamine Price

3 Marzo  ore 07:21 AM

 

Che imbarazzo! Questa non me la potevo risparmiare?

 

Solo in quell’istante il giovane si accorse di stringere ancora a se la giovane e, arrossendo, la lasciò andare.

In quel momento anche le due rimanenti coppiette ripresero vita, stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente.

 

Steso sul campo di calcio, con le braccia sotto la testa e gli occhi chiusi, Oliver Hutton si stava riposando dopo le fatiche dell’allenamento mattutino, concentrandosi sul fresco venticello che spirava sulla città, il profumo dell’erba ed i giochi di luce che il sole faceva sulle sue palpebre.

Era a dir poco stanco, dopo tutto ciò che i due avevano fatto quella mattina: prima i passaggi, che erano andati piuttosto male; poi i tiri che, nonostante l’imprecisione, sembravano essere ancora piuttosto potenti.

Ma ciò che l’aveva stancato di più era stata la sorpresa di trovarsi a fare quei passaggi con Patty ed  affrontarla come portiere, soprattutto quando aveva visto un paio di parate piuttosto buone.

 

Oliver Hutton 3 Marzo  ore 08:01 AM

 

Accidenti… non mi sarei mai immaginato che Patty fosse in grado di giocare. Sì, in questi anni l’ho davvero sottovalutata in campo sportivo. Mai mi sarei immaginato che lei fosse in grado di giocare contro di me e parare un paio di tiri. Non erano i miei tiri migliori, ma accidenti, non erano neppure così scarsi. Ha delle capacità nascoste che non mi sarei mai immaginato. Non mi aveva mai parlato di queste sue capacità. Mai. Magari perché sapeva che avrei finito la carriera, a partire da ottobre… ma perché prima non mi ha mai rivelato tutto questo? Cosa l’ha spinta a nascondermelo? Che si vergognasse di questo? E se è così, perché?

 

I suoi pensieri furono interrotti dal contatto di qualcosa di freddo contro la sua calda fronte sudata. Immediatamente aprì gli occhi, trovandosi ad incontrare quelli della ragazza, che sorrideva.

Con calma, si mise a sedere accanto a lui e posò sul suo stomaco un involto piuttosto leggero ma discretamente voluminoso, mentre al suo fianco deponeva due bottiglie d’acqua ed un paio di lattine di limonata.

- Polpette di riso. Le ho preparate ieri sera- spiegò Patty al ragazzo che, incuriosito, la guardava.

- Ma…

- Dormivate tutti. Ne ho preparate anche per la colazione degli altri, non preoccuparti Holly. Queste sono tutte per me e per te.

Holly si sedette, si stiracchiò con calma ed infine aprì l’involto, dove trovò  una dozzina di polpette.

- Devi rimetterti in forze, per tornare un campione- spiegò lei, vedendo l’espressione famelica di Holly, che già pregustava  la colazione che la sua ragazza gli aveva preparato - Non so se ho esagerato, ma ho pensato che potessi avere molta fame, dato che non sei più troppo allenato.

Mise tra se e la ragazza la colazione ed iniziarono a banchettare, sbafandosi tutto ciò che la ragazza aveva portato.

Alla fine del pasto, Patty guardò Holly, notando il riso che gli era rimasto incollato al volto.

Svelta, gli passò una salvietta sul volto, pulendolo dal cibo che lui aveva fagocitato con tanta fretta, poi balzò in piedi ed andò a gettare via l’immondizia, mentre lui, ripresosi dalla sorpresa, si alzò in piedi e recuperò il pallone.

 

Tutti attorno al tavolo della cucina, gli ospiti di Holly e Patty gustavano l’abbondante quantità di polpette di riso che la padrona di casa aveva gentilmente preparato per la loro colazione.

Colette sedeva tra Amy e Jenny, proprio di fronte al portiere, che però sembrava piuttosto restio anche solo a guardarla, quasi fosse arrabbiato con lei per un qualche motivo a lei oscuro.

Dal canto suo, Benjamin Price non riusciva a guardare la giovane tedesca, sia per la figura fatta poco prima che per le emozioni che la presenza di Colette suscitava in lui, dopo quell’involontario contatto.

 

Colette Montgomery 3 Marzo  ore 08:06 AM

 

Ma cosa gli prende, stamattina? Che sia stata la figuraccia di prima a farlo inquietare? Mi sembra un po’ eccessivo, il suo torcersi le mani, per essere soltanto un fatto di imbarazzo per una battuta. Ho forse fatto qualcosa di male che l’ha fatto inquietare? Se è così, sarebbe più corretto dirmelo, invece che continuare ad evitare di guardarmi e sembrare un’anima in pena. Ma non devo prendermela. Certamente se non mi guarda devo aver fatto qualcosa, e di conseguenza il suo modo di fare è colpa mia, e non sua. Penso che cercherò di spiegarmi, più tardi.

 

Benjamin Price 3 Marzo  ore 08:07 AM

 

Mi sento un emerito cretino. Perché non riesco più a guardarla in faccia? Insomma, è stata lei a baciarmi. Se quello si potesse chiamare bacio, naturalmente. E’ stato un incidente, devo stamparmelo in mente. IN-CI-DEN-TE. Un semplice, innocuo ed innocente incidente, nulla di più. Quello non era nulla… beh, tanto nulla no, se mi ha fatto quell’effetto. Ma non era niente in senso fisico…oh! Mi fa male alla testa pensare troppo! Come faccio? Cosa faccio? Cosa… ah!

 

La gomitata che Bruce gli rifilò tra le costole fece tornare finalmente Benjamin Price sulla terra, scoprendo che Roberto stava uscendo fuori dalla stanza di gran carriera, mentre tutti gli altri si erano affacciati alla finestra, per osservare qualcosa che, a quanto pareva, aveva attratto la loro attenzione.

 

Silenziosi come due gatti, Martina e Tom tentarono si scendere dal tetto usando la grondaia come scala, sperando di non fare troppa confusione. Sfortuna volle che all’altezza della finestra del primo piano, Martina, che scendeva per seconda, scivolasse e si aggrappasse alla schiena di Tom, facendo così perdere l’equilibrio anche a lui. La coppia capitombolò, per loro fortuna, in un cespuglio, ma il baccano causato dalla loro disavventura non passò inosservata.

In meno di dieci secondi le teste di Colette, Benji, Bruce, Raiden, Amy, Jenny, Philip e Julian erano apparse alla finestra e un paio di secondi dopo un Roberto Sedinho in versione “massiccio e incazzato” era di fronte a loro e li guardava con l’aria di chi volesse fulminarli con lo sguardo.

Martina sfoderò il suo sorriso più innocente, nel vano tentativo di far svanire la rabbia che ribolliva nelle vene dell’allenatore, ma non riuscì a variare l’aria omicida dipinta sul volto del brasiliano.

- DOVE SIETE STATI FINO AD ORA, RAZZA DI SCRITERIATI?- tuonò l’uomo, facendo rabbrividire anche la coraggiosa Martina, che si fece piccola piccola nel cespuglio, nel vano tentativo di svanire sotto quelle fronde o, magari, sotto il terriccio umido che le stava gelando il fondoschiena. Lo stesso valeva per lo spaurito Tom, che le era seduto accanto.

Martina, timidamente, indicò il tetto e la grondaia, leggermente danneggiata, che ancora dondolava per la loro bravata, poi si spinse verso il muro, cosciente che Roberto sarebbe diventato ancora più furioso di quanto già non lo fosse in quel momento.

Quando lo sguardo del brasiliano tornò su i due malcapitati sembrava essere appena uscito dal carnevale cinese: i capelli scarmigliati; la bocca aperta, ferma in una specie di smorfia ferina; gli occhiali per terra, lasciando così perfettamente visibili i suoi occhi, con grandi pupille dilatate e iniettati di sangue; tutti i muscoli di volto e collo contratti ed una suono gorgogliante e gutturale che saliva lento ma costante dalla sua gola, quasi fosse una pentola a pressione con la valvola otturata, pronta ad esplodere.

Tutti i presenti si portarono le mani alle orecchie, sperando di non subire danni permanenti all’udito per le imminenti grida di Roberto.

 

Fu Alan Crocker a notarli. Stava facendo una corsa e si trovava proprio accanto al campo di calcio comunale. Non aveva fretta, così si fermò per un istante a guadare quel vecchio campo, sede di vecchi ricordi e luogo in cui per la prima volta aveva incontrato Oliver Hutton, entusiasta undicenne che aveva sfidato Benjamin Price per il dominio di quel rettangolo di terra.

La sua sorpresa fu immensa, quando vide Oliver in campo, con la sua vecchia divisa, calciare la palla in direzione di una ragazza tra i pali, che sembrava essere piuttosto brava in quel ruolo. Dovette avvicinarsi per riconoscere una grintosa Patty in tenuta sportiva nel portiere che stava affrontando l’ormai ex stella del San Paulo.

- Ehilà, guarda chi c’è! Ciao Alan!- esclamò Patty, salutando con la mano l’allibito ex portiere della New Team, che passava ripetutamente, con lo sguardo, da Holly a Patty e viceversa, sconvolto.

- Ciao Alan! Come stai? C’è per caso qualcosa che non va?- chiese il giovane dai capelli corvini, notando lo stupore del portiere.

- Holly, ma tu stai… giocando!- sussurrò lui, di rimando.

- E’ questo che ti stupisce, Alan?- chiese la sua lei, sorridendo amabilmente al vecchio compagno.

- Sì, dato che sono mesi che dicono che lui non mai più giocare a calcio ed invece, per quanto ho visto, non mi sembra affatto vero.

- E’ una lunga storia, Alan- rispose Patty, asciugandosi in sudore con una mano e sbuffando, piuttosto affaticata- Alan, che ne dici di aiutare Holly con i tiri in porta, per un po’? Sai, sono leggermente stanca e fuori allenamento.

- Fuori allenamento non lo sembravi proprio, Patty, ma ti sostituisco volentieri tra i pali. Voglio vedere se riesco a parare qualcuno di quei tiri. Ai vecchi tempi non ci riuscivo quasi mai.

Patty, sollevata, si sedette sulla panchina, luogo che le era molto più congeniale che il campo, ed osservò i due giovani allenarsi, come se i vecchi tempi fossero tornati e la New Team si preparasse al campionato nazionale.

Quel ricordo fece riaffiorare nella mente di Patty un nuovo pensiero, il ricordo di due delle prime pagine di qualche mese prima. La prima annunciava la fine della carriera di Oliver Hutton, mentre la seconda l’ennesima scomparsa di quella persona che veniva definito da molti giornalisti “la prima donna del calcio giovanile giapponese” ossia quella di Mark Lenders, svanito nel nulla qualche giorno dopo l’annuncio della fine della carriera agonistica di Holly.

 

Patricia Gatsby 3 Marzo ore 08:27 AM

 

Chissà dove sarà adesso Mark… nessuno ha più saputo nulla e se fosse tornato la notizia sarebbe su tutti i giornali. Chissà come mai è scappato… Che sia per Holly? No, poco probabile. Uno come lui non si lascerebbe mai scoraggiare da una cosa del genere… o forse sì? Possibile? Certo che è svanito qualche giorno dopo l’annuncio di Holly, quindi collima almeno sul piano temporale…

 

I suoi pensieri furono interrotti da un grido di pura gioia emesso da Holly, che stava correndo nella sua direzione.

Patty fece a malapena in tempo a notare Alan, che giaceva supino sull’erba ed il pallone che giaceva all’interno della porta, prima che lui la sollevasse dalla panchina e si mettesse a piroettare con lei in braccio, con gli occhi bagnati dalle lacrime e un radioso sorriso dipinto sul volto.

Patty non potè fare a meno di sorridere, felice per la sua gioia. Aveva atteso talmente tanto per vedere di nuovo Holly mandare quella sfera in porta… certo, sapeva che doveva trattarsi di un caso fortuito, ma almeno adesso lui aveva uno stimolo in più per andare avanti, per guarire dal dolore che presto avrebbero di nuovo dovuto affrontare. Un dolore che presto avrebbe preso la forma di quattro bare coperte dalla bandiera giapponese.

Improvvisamente caddero sull’erba, ma non importava. Volevano soltanto ridere e gioire di quel momento, rotolando sull’erba.

 

- Come sarebbe a dire spariti?- sbraitò Roberto, mentre un terrorizzato Bruce, a testa china, attendeva la morte.

Dopo la gran lavata di capo di Tom e Martina, i ragazzi avevano setacciato l’intera casa alla ricerca di Patty e Holly, ma era stato tutto vano. Dei due, all’interno della casa e nel giardino, non ve n’era traccia.

Avevano deciso di tirare a sorte chi avrebbe comunicato la notizia all’allenatore e il caso aveva voluto che fosse Bruce l’agnello sacrificale che avrebbe affrontato l’ira funesta dell’uomo.

- No, Roberto. Non si trovano da nessuna parte- confermò Raiden, frapponendosi nel frattempo tra l’uomo ed il ragazzo, quasi volesse difenderlo da un possibile attacco di furia del brasiliano.

- Forza, muoviamoci. Dobbiamo cercarli- fece lui, voltando le spalle all’intero gruppo di giovani, che lo guardavano incuriositi.

 

Roberto Sedino 3 Marzo  08:22 AM

 

Accidenti a loro! Ma perché questi ragazzi vogliono proprio farmi impazzire! Prima quei due funamboli sul tetto, che se avessero avuto più sfortuna si sarebbero potuti rompere l’osso del collo, ed ora Patty e Holly che svaniscono nel nulla. Speriamo solo che non ci sia qualche giornalista sciacallo a dargli fastidio. Certo che con la lezioncina data da Raiden a quel tizio, è assai improbabile che qualcuno li infastidisca di nuovo. Speriamo per il meglio…

 

Colette guardò gli altri con aria interrogativa, imitata contemporaneamente da Martina. Nessuna delle due aveva capito una parola, essendo stata l’intera discussione pronunciata in perfetto giapponese, soprattutto non avevano compreso cosa Raiden, con voce calma, avesse detto al brasiliano.

Martina, timidamente, tirò una manica di Tom e fece un gesto che stava a significare che non aveva capito nulla del discorso dell’uomo.

- A quanto sembra Raiden riesce ad evitare le sue furie- sussurrò Tom alla ragazza, azzittendosi non appena l’uomo aveva voltato lo sguardo verso il gruppo.

 

Il gruppo stava camminando lungo la strada che portava alla loro scuola. Ormai erano giunti all’ultimo anno di frequenza delle scuole superiori e volevano andare a controllare come se la cavassero i componenti della squadra delle medie. La loro era solamente curiosità, dato che da quando Holly se n’era andato la squadra si era al massimo qualificata per la fase finale ma senza mai superare il primo incontro. C’erano troppe squadre con migliori giocatori che competevano contro di loro, prima fra tutte quella della Toho School, rinomata per il suo club di calcio.

Erano passati da un po’ i tempi della coppia d’oro Hutton-Becker e della “saracinesca” Price, e dovevano ammettere di provare molta nostalgia di quei tempi. Dopo l’incidente occorso a Holly, inoltre, avevano abbandonato la squadra delle superiori e continuato a giocare da soli, ma senza entusiasmo, solo per tenersi in forma.

Fatto sta che, mentre transitavano lì accanto, videro Alan Crocker steso tra i pali e un groviglio di braccia e gambe carambolare sull’erba.

- Ehilà Alan!- salutò Bob Denver, scendendo la scalinata dietro alla porta, seguito a ruota dagli altri amici.

- Ciao ragazzi! Avete visto?

- Cosa?- chiese Paul Diamond.

- Il gol!

- Sì, quel tizio ti ha fatto gol. E con ciò? Se non ci fosse stato Bob ne avresti prese a carrellate anche durante l’ultimo campionato delle scuole medie- fece Ted Carter, ridendo e trascinando con sé anche gli altri.

- Tu al posto degli occhi hai le fette di prosciutto, Ted? Anche se adesso si sta rotolando sull’erba con Patty, quello è Holly!

Gli occhi di tutti volarono ai due ragazzi che, finalmente, si erano accorti di essere osservati e si erano rialzati.

Un boato di pura gioia invase l’aria circostante, tanto da attirare l’attenzione di un altro gruppo di persone, che stavano iniziando a setacciare la città appunto per rintracciare quei due giovani.

- Holly! Patty! Ecco dove eravate andati a cacciarvi!- ruggì Roberto, gettandosi a rotta di collo verso il campo, mentre gli altri lo seguivano con maggior calma ed usufruendo di una scalinata.

- Roberto!- gridò il giovane, praticamente volando tra le braccia del suo tutore a dir poco furibondo- Ce l’ho fatta Roberto! Ce l’ho fatta!

 

Oliver Hutton 3 Marzo ore 08:32 AM

 

Io… non posso fare a meno di piangere! So che dovrei ridere, ma non riesco ad esprimere al meglio i miei sentimenti se non adesso. Tutti questi mesi… tutti i dolori… tutte le sciagure… e adesso mi sembra tutto risolto. O, almeno, mi sembra tutto diverso, mi appare tutto sotto un’ottica diversa, come se fosse importante solo quella sfera andata in rete quasi per caso. Sono forse egoista pensando solo a quel pallone? Non mi sento così, eppure mi sembra di esserlo… eppure il calcio è importante. Sento che è importantissimo, vitale. Lo è sempre stato ed ora sotto un certo aspetto è ridimensionato… eppure sento ancora questo attaccamento al pallone, come se lui fosse il mondo, quando si trova tra i miei piedi. Il pallone…Patty… il mio lutto… l’incidente… quanto è cambiata la mia vita in quest’anno! Come sono cambiato anche io, interiormente e nella mia visione delle persone! Patty mi è sempre sembrata fortissima, eppure non lo è. Per quel maledetto senso di colpa… se solo penso che due settimane fa avrei potuto perderla… cosa ne sarebbe stato di me, se fossi andato a trovarla il quindici? O, addirittura, se le avessi riferito la notizia il giorno dell’incidente? Cosa ne sarebbe stato di me se la mia Patty fosse morta quel giorno di San Valentino? Sarei riuscito a tornare dal pallone? Sarei sopravvissuto a questi molteplici dolori concentrati in un unico giorno? Eppure il pallone resta importante… la mia ottica è così confusa… tutto è importante, lo so, ma a cosa dovrei dare la priorità? Al mio dolore? No, a questo no, perché Patty ha bisogno di me. Al pallone? Lui deve comunque avere una parte importante, se no come potrei mantenere anche Patty… oh, quanto sono sciocco. La mia priorità è Patty, di sicuro. Tutto ciò che faccio è in relazione a lei. E’ lei la mia priorità ed il mio amore più grande. Persino il calcio è passato in secondo piano, ricordi Holly? Per lei anche il tuo migliore amico, il pallone, poteva andare a farsi fottere. L’importante era Patty, che potesse sorriderti di nuovo, che gioisse con te, che stesse bene, anche a rischio di ogni tuo avere, anche a rischio della tua stessa vita. Non importavano le conseguenze. L’importante era che Patty stesse bene. Ecco la mia gioia più grande. Io vivo per lei e la mia gioia non è solo scaturita dal fatto che abbia segnato, ma che sia stato grazie al suo aiuto che sono tornato sul campo, che soltanto grazie alle sue trovate geniali che io ho scoperto di poter guarire e tornare a giocare. Le devo molto, per questo, e devo dimostrarle tutta la mia gratitudine per essere sempre stata con me, da quando sono arrivato a Fujisawa e durante quei mesi all’ospedale. Quanto devo al mio angelo. Quanta gratitudine e gioia è presente nel mio cuore, in questo momento. Patricia Gatsby, cosa avrei fatto senza di te? Se non ti avessi mai conosciuta, come sarebbe andata la mia vita? Sarei stato già un campione a livello internazionale? Oppure sarei rimasto qui, in Giappone, fenomeno incompreso? Se sono qui è grazie a lei e a tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto in questi anni, in primis Roberto, che mi ha portato con lui in Brasile come promesso… chissà come starà Pepè, a proposito? Sono mesi che non so come stia e come vadano le cose laggiù. Certo che anche io, a parte con Tom, ho tranciato i ponti. Ogni mio amico mi ricordava troppo qualcosa che pensavo di aver perso per sempre e che ho potuto ritrovare solo grazie a lei, la ragazza che amo. Adesso, per tutti quelli che mi vogliono bene, ed in particolar modo per Patty, devo tornare l’Oliver Hutton campione. Devo, per pagare il mio debito nei suoi confronti.

 

Roberto fissò il suo piangente pupillo, non capendo che cosa fosse preso ad Holly per piangere in quel modo. Che fossero lacrime di gioia l’aveva intuito, ma non gli sembrava del tutto normale piangere in quel modo.

- Holly, cos’hai?- chiese, calmato dalle lacrime.

- Roberto… ce l’ho fatta. Lo vedi? Vedi quel pallone? L’ho tirato io. Sono stato io a fare gol. Ho superato Alan!- singhiozzò il campioncino, sbalordendo l’allenatore, a cui per lo stupore perse gli occhiali, che caddero a terra, mentre il suo volto perdeva rapidamente colore.

- Tu…- fece lui, sgranando gli occhi, mentre si chinava a raccogliere gli occhiali, sperando con quel gesto di calmarsi almeno un po’, dato che, si rese conto, stava addirittura tremando e piangendo per l’emozione.

- Cosa gli prende adesso?- chiese Bruce a Ted, che sembrava emozionato quanto l’ex giocatore carioca.

- Holly ha fatto gol- rispose Alan, che era il più calmo del gruppo, essendosi già ripreso dallo shock iniziale del vedere Holly giocare.

- Holly… che cosa?- fece Bruce, fissando sbigottito la scena tra il campione in erba, aggrappato al collo del carioca che recuperava gli occhiali dall’erba nel tentativo di non mostrare la sua emozione.

Gli altri, sbigottiti quanto Bruce, fissavano le due figure avvinte e una terza, poco discosta, che indossava abiti sportivi e non aveva paura di essere commossa per la bellezza di quella scena di gioia.

 

Patricia Gatsby 3 Marzo  ore 08:32 AM

 

E’ strano… mi sento come se il tempo si fosse fermato. Qui, tra di noi, si è formata una specie di bolla temporale in cui nessuno può penetrare. Un luogo in cui ha importanza unicamente il presente, un presente di gioia e felicità, dove ha solo importanza la gioia straripante di un gruppo di amici per il ritorno alla vita di un altro, per vedere che l’inizio del ritorno è diventato presente e che presto sarà completato questo ritorno. Se solo questo istante potesse durare in eterno… Se solo la nostra realtà non fosse così oscura… se solo.. se solo… quanti se esistono… se solo non fossi stata così imprudente, quel giorno… se solo non avessi confessato tutto a Holly credendolo svenuto… se solo lui non mi avesse salvato la vita… se solo lui non mi avesse baciato… se solo io non l’avessi mai conosciuto… se solo quell’aereo non fosse mai andato a schiantarsi… se… se… soltanto se… la realtà ne è dominata, eppure non contano mai quanto una realtà, un’affermazione, una tangibile prova di una concreta concezione… quante domande… quante risposte mai ottenute… quante possibili vite…

 

Roberto, ricompostosi, fece cenno al suo ex allievo di andare dai suoi compagni a festeggiare questo evento, mentre lui, alla chetichella, si avvicinò a Patty e le fece cenno di seguirlo negli spogliatoi.

 

- Ti ringrazio, Patricia Gatsby- sussurrò Roberto, appena Patty ebbe chiuso alle sue spalle la porta metallica – Non so come tu abbia fatto, ma l’hai fatto nascere una seconda volta. Ti devo molto.

La giovane arrossì, sentendo quelle parole. Non avrebbe mai immaginato certe parole dette nei suoi confronti.

- Patty, ascolta bene ciò che ti dico, perché è molto importante. Hai visto bene come gioca Holly?

- Certamente.

- Come ti sembra?

- Il controllo di palla è un po’ carente, ma è normale dopo un intervento del genere e con i muscoli fuori forma, ma la potenza non è affatto male.

- Ce la può fare per i mondiali?

- Lui vorrebbe farcela.

- Tu come la pensi?

- Ce la può fare. Ha un anno per tornare in forma perfetta e ce la farà di sicuro, Roberto. Ne sono certa.

- Dovrà allenarsi molto?

- Per ora no. Non deve strafare, o rischia un infortunio muscolare.

- Ma ce la farà, giusto?

- Roberto, parla chiaro. Ho capito che punti a qualcosa, quindi sputa il rospo e smettila di girarci intorno.

- Posso annunciarlo alla stampa?

- Certo che no! Holly ha già avuto troppa pubblicità in questo periodo. Almeno secondo me, non dovresti farlo.

- Holly sarà d’accordo?

- Non voglio che abbia pressioni. Se esagera potrebbe rischiare, capisci?

- Allora… niente stampa.

- Chiedi a Holly qual è la sua opinione, se proprio vuoi una fonte certa, ma credo che sarà d’accordo con me sul fatto di evitare la stampa, almeno finché sarà possibile. Già sarà una baraonda durante i funerali, se poi scoprissero che Holly Hutton è tornato a giocare a calcio… hai già provato sulla tua pelle l’impatto che potrebbe avere sul pubblico una cosa del genere.

- Sì, ma…

- Niente ma, Roberto. Holly non ha bisogno di altra pubblicità. Dagli tempo di migliorare e fai passare questo brutto momento, poi potrai anche noleggiare un aereo e scriverlo in cielo, se vorrai. Ma ora non puoi, Roberto, capisci?

- Scusami, ma… sono davvero felice.

- Anche io lo sono.

- Lo immagino. Ma… come hai fatto?

- Scusa tanto, ma ieri ti abbiamo raccontato quello che è successo, no?

- Sì, ma così presto…

- Era inaspettato, lo so. Persino io mi stupisco che abbia segnato già dopo il primo allenamento, ma in fondo è di Holly che stiamo parlando, no? Lui è sempre stato un fenomeno del calcio.

- I progressi saranno così costanti?

- Certo che no, purtroppo, ma sa anche lui che quello di stamattina è stato soltanto un caso, non preoccuparti. Certo, la pazienza non è mai stata una delle sue doti, ma riuscirà a superare anche questo.

- Dico per l’ennesima volta che lui è un ragazzo davvero fortunato, ad avere al suo fianco una ragazza come te.

Patty sorrise all’uomo, poi, insieme, tornarono al campo di calcio, dove Holly li attendeva assieme a tutti gli altri, seduto sull’erba.

- Ehi, dove eravate andati a cacciarvi?- chiese non appena i due si accomodarono accanto a lui.

- Roberto doveva chiedermi un parere.

- Su cosa, Roberto?

- Il fatto di avvertire i mass media di questo tuo ritorno, Holly.

- Come mai l’hai chiesto a lei prima che a me?

- Perché è lei che è la responsabile del tuo completo ritorno in campo e volevo sapere qualcosa su quanto ci metterai e come i mass media avrebbero potuto influenzare il tuo recupero.

- E tu cosa hai detto, Patty?

- Che sono assolutamente contraria a questo, ma che la scelta finale doveva essere tua. In fondo, è il tuo, di ritorno, ed io non ho potere decisionale su questo argomento- rispose la giovane, con calma.

- Quindi pensi che possa essere dannoso.

- Sì.

- Va bene anche a me, la tua decisione, Patty. Fai sempre tutto per il mio bene. Mi fido della tua decisione.

- Tu avresti voluto annunciarlo, Holly?

- Conoscendolo, vorrebbe gridarlo ai quattro venti!- intervenne Benji, ridendo, mentre Holly si grattava la testa, imbarazzato.

- Mi pare naturale, no?- intervenne Martina – Insomma, anche io farei lo stesso.

- Ma tu sei un caso diverso- intervenne Tom – Sei spesso molto plateale, mentre il nostro Holly…

- Parla Mr. Maglia “Ti-Amo-Megafono-Umano-ma-grida-un-po’-più-piano-o-ci-spaccherai-i timpani!”. Quello non era plateale, vero Thomas Becker?- fece lei, con aria piccata e nel contempo compiaciuta.

- Ma quella mica l’ho preparata io!

- Ma in compenso l’hai indossata e mostrata ad uno stadio gremito.

- Mi hanno costretto! Non avevo scelta!

- C’è sempre una scelta, Tom- fece lei, seria.

- Ehi, ragazzi, calma…- fece Bruce, tentando di smorzare la tensione, ma Benji lo fermò ed gli sussurrò ad un orecchio:

- Aspetta un paio di altre battute a testa e vedrai.

- Tom, allora? Rispondi! La volevi indossare oppure no? Desideravi davvero dirmi quelle parole?

- Certo che volevo! A parte quella parte del megafono umano e dello spaccare i timpani, naturalmente.

- Allora che male c’era nella maglietta?

- Nessuno. Però avrei voluto dirtelo in modo più romantico, tutto qui…- rispose lui, arrossendo, mentre lei sorrideva dolcemente, felice per quelle parole.

- Scommessa vinta, Bruce- disse Benji, ridacchiando mentre guardava lo sbigottito Harper che fissava con gli occhi fuori dalle orbite il sorriso della ragazza dai capelli di fiamma e la dolcezza con cui accarezzava la guancia del suo ragazzo.

 

Benjamin Price 03 Marzo  ore 08:44 AM

 

Accidentaccio però! Ogni volta che la vedo in teneri atteggiamenti con lui mi sale il sangue alla testa. Possibile che sia così geloso e che quella matta mi piaccia? Certo, fisicamente non è male, ma in quanto a carattere… invece Colette è così bella e dolce, così calma e delicata… e poi, quello… come può avere una tale importanza per me un semplice bacio, per di più casuale e involontario… Ma è stato così coinvolgente… oh, Colette o Martina? Martina o Colette? Distruggere la mia amicizia con Tom per una ragazza bella ma psicopatica oppure distruggere la mia amicizia con Colette? E se lei ricambiasse? Ma cosa sto pensando! Colette non ha in mente certe cose, poco ma sicuro. Ma come faccio a saperlo? E se sbagliassi? E se lei fosse innamorata di qualcun altro? Certo, non me l’ha rivelato, ma mica sono il suo padre confessore! Non è costretta a dirmi tutto. Oh, ma perché mi trovo in una situazione del genere! Prima di partire per l’Italia pensavo a Colette come una dolce sorellina da proteggere, ma adesso… possibile che in una manciata di ore sia cambiato tutto e sia diventato così complicato e, per di più, del tutto fuori luogo per gli eventi di questo luogo?

 

- Benji, qualcosa non va?- chiese con voce flebile Colette, notando comunque l’aria incantata con la quale il portiere osservasse la coppietta.

 

Colette Montgomery 03 Marzo  ore 8:44 AM

 

La ama. Non ci sono dubbi. Ecco il perché del suo comportamento. La notte gli avrà certamente fatto capire che Martina Maroni è la ragazza che vuole avere al suo fianco e che io non sono ciò che vuole. In fondo, è un bene che abbia deciso chi lui desideri amare. Almeno non mi farò più stupide illusioni sul suo conto. Non sarò mai nulla più che un’amica, per lui, o, al massimo, sarò la sua piccola e stupida sorellina malata di mente, un peso per il suo amore.

 

-Uh? Stavi dicendo qualcosa Colette?- chiese il portiere, tornando alla realtà ed alla ragazza che era al suo fianco.

- No, nulla- rispose, mostrando un sorriso smagliante, la ragazza, mentre il suo cuore si spezzava in mille piccoli frammenti per quell’affetto che, a quanto pareva, non sarebbe mai stato ricambiato.

 

Erano a malapena passate le dieci di sera quando il campanello a casa Gatsby suonò.

Patty subito andò ad aprire, trovandosi davanti la signora Harper ed una ragazza che non aveva mai visto in vita sua.

Non appena il donnone la vide, l’abbracciò e scoppiò a piangere, singhiozzando e gridando il suo dolore, mentre la giovane stava in disparte, guardando il pavimento con aria piuttosto interessata.

- Signora Harper, come mai qui a quest’ora?- chiese Patty, mezzo soffocata dall’abbraccio caloroso della donna.

- Sono qui per vedere Raiden. Anzi, è questa ragazzina che lo vuole vedere.

- Prego, entrate- fece Patty, accompagnandole nel salotto, dove tutti erano seduti a chiacchierare.

La giovane aveva lunghi capelli castano chiaro, trattenuti da un elastico, con grandi occhi verde smeraldo e labbra carnose. Poteva essere sua coetanea, nonostante le curve del suo corpo fossero nascoste sotto una grande T-shirt rossa, scolorita e sporca, e jeans altrettanto luridi e stinti. Ai piedi un paio di consumate scarpe da ginnastica ed un cappello giallo, calcato sulla testa, completavano il suo sciatto abbigliamento. L’aria spaurita e il guardarsi attorno nervosamente, mentre si torturava le mani, denotavano la grande tensione che doveva avere nel cuore.

 

****** ****** 03 Marzo  ore 10:07 PM

 

Ecco, è il momento. Presto lo rivedrò. Ma come reagirà? Mi riconoscerà? Sarà felice di vedermi? E se mi fossi sbagliata? Se ciò che ho sentito non fosse vero? Se avessi fatto tutta questa strada per nulla? Comunque ormai non posso più tornare indietro. Almeno devo vedere quell’uomo che si chiama Terence Horance Tzunoshi. Devo sapere la verità. Devo farlo.

 

Tutti i presenti furono sorpresi di vedere le tre donne varcare la soglia della stanza.

- Mamma! Cosa ci fai qui!- esclamò Bruce, balzando in piedi.

La donna stava per parlare quando un’altra persona balzò in piedi, facendo cadere la sedia all’indietro per il rapido movimento, e fissò incredulo il volto della ragazza dai capelli castani.

Tutti si voltarono verso di lui, che sapevano molto pacato e saggio, non aveva mai reagito in quel modo, così prontamente e con un tale nervosismo, neppure quando aveva steso quel giornalista.

- Sei mio nonno?- chiese la ragazza d’impulso, rompendo il silenzio che si era creato in quegli istanti.

L’uomo continuò a guardarla, incredulo.

I tratti del viso, i capelli e gli occhi erano quelli della sua bambina da adolescente, la sua Shimone ai tempi delle superiori.

- Sylvia… sei davvero tu, bambina mia?- sussurrò, incapace di trattenere oltre le grosse lacrime che straripavano dai suoi occhi.

- Nonno… sei tu! Sei tu! Nonno, non sai quanto ti ho cercato!- gridò la ragazza, slanciandosi tra le braccia dell’uomo, anche lei in lacrime.

- Mamma, ma… chi è?

- Dice di chiamarsi Sylvia Holler e di essere la nipote di Raiden, figlia di Herik Holler e Shimone Tzunoshi.

- La nipotina caduta in mare… è lei la figlia della sua unica figlia - sussurrò Bruce, trasognato, guardando quell’uomo per il quale provava un immenso affetto sorridere e piangere, felice, mentre stringeva a sé la nipote ritrovata.

 

NdA: ebbene sì, anche questo capitolo è concluso. E ancora il funerale non ha avuto luogo. Lo so, la sto tirando per le lunghe. Spero di riuscirci per il prossimo capitolo, a concludere questa parentesi, se no… dovrete avere ancora pazienza.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Reality ***


Capitolo 9

Capitolo 9

Reality

 

 

ATTENZIONE:

In questo capitolo sono presenti varie frasi che contengono espressioni scurrili e potenzialmente offensive.

 

 

Raiden e sua nipote rimasero abbracciati per qualche minuto, sotto lo sguardo stupito di buona parte degli spettatori.

Soltanto Bruce, che sapeva del modo in cui la famiglia di Raiden fosse andata a rotoli, poteva sapere quanto sentimento fosse presente in quel momento nei cuori di nonno e nipote che dopo quasi quindici anni si erano ritrovati.

 

Bruce Harper  03 Marzo  ore 10:09 PM

 

Aveva detto che era morta in mare. Chissà come ha fatto a sopravvivere? E dove sarà stata in tutti questi anni? Come mai sarà tornata proprio adesso? Da come è conciata, sembra aver viaggiato parecchio. Che sia arrivata qui dall’Europa?

 

Terence Horance Tzunoshi 03 Marzo  ore 10:09 PM

 

Grazie, chiunque tu sia. Grazie per avermi permesso di rivedere la mia bambina. Non ho mai creduto davvero in qualche entità sovrannaturale, ma dopo oggi… io credo in tutto. Credo in ogni cosa, perché avere di nuovo la mia piccola Sylvia davanti a me è un vero miracolo.

 

Sylvia Holler 03 Marzo  ore 10:09 PM

 

Finalmente l’ho trovato! Allora era vero. Era tutto maledettamente vero. Io ho un nonno materno. E non sono nata in Svezia, ma qui, in Giappone. E quelli… oh, amo ancora quei dolci nonni, ma non posso perdonarli di avermi nascosto tutto sulla parte materna della mia famiglia, sul conto dei  miei genitori e dei nonni. Da quanto hanno detto, è stato quest’uomo, Terence Horance Tzunoshi a far promettere loro di non rivelarmelo, ma la loro opposizione al mio viaggio mi sembra molto strana. Erano irremovibili, come se stessero nascondendo qualcosa. E se avessero mentito su questo?  E come mai lui è così felice di vedermi, se è stato davvero lui a non volermi più con sè? Mi hanno raccontato che è stato lui a cacciarmi e dire loro di nascondere tutto, ma io… io non posso credere che quest’uomo l’abbia fatto. E’ troppo felice nel rivedermi, per essere ciò che loro mi hanno descritto. Devo assolutamente scoprire la verità.

 

- Potremmo parlare in privato?- chiese la ragazza, staccandosi dall’uomo. Non le piaceva stare tra tutta quella gente, a parlare di argomenti molto delicati.

- Certamente. Di là sarete più comodi e, se avrete fame o sete, potrete rifocillarvi- rispose Patty, alzandosi in piedi ed indicando la cucina ai due- Ma non sarebbe meglio che prima ti riposi un po’ oppure fai una doccia? Devi aver viaggiamo molto per arrivare qui in Giappone, vero?

 

Sylvia Holler 03 Marzo  ore 10:10 PM

 

Com’è gentile questa ragazza! Una perfetta padrona di casa. Sebbene non mi conosca mi sta trattando come se sapesse perfettamente chi sono. Sono… sono commossa da questa cortesia. Possibile che esistano persone del genere? Questa ragazza ha appena perso i genitori eppure sembra… felice. Come è possibile? Sono… sono felice di essere qui con questa gente ed il nonno.

 

Patricia Gatsby 03 Marzo  ore 10:10 PM

 

Deve sentirsi in tremendo imbarazzo. E’ giusto che faccia tutto il possibile per metterla a proprio agio.

 

- Grazie mille, signorina Gatsby. Accetto volentieri la sua cortese ospitalità- fece la ragazza, inchinandosi, sia per cortesia sia per celare i lucciconi che le erano apparsi agli angoli degli occhi.

- Non c’è di che, ma non chiamarmi signorina Gatsby. E’ troppo formale. Per gli amici sono solo Patty. E tu, conoscendo Raiden, rientri a pieno titolo nella categoria- fece lei, sfoderando un sorriso incoraggiante alla ragazza straniera, che sembrava un po’ intimidita dalla gran massa di gente che la circondava ed ancora un po’ commossa per l’abbraccio con il nonno.

- Seguimi, ti faccio strada e ti preparo qualche vestito della tua misura. Spero che ti fermerai anche tu qui con noi per la notte.

- Veramente… ecco, io non vorrei disturbare…

- Nessun disturbo. Sul serio- fece lei, continuando a sorridere alla straniera.

- Ma io…

- Resta pure, Sylvia. Non preoccuparti per il conto alla pensione. Tanto poi verrete ad alloggiare lì, tu e tuo nonno- fece la signora Harper, togliendo alla ragazza anche l’unico appiglio per lasciare quella casa.

- Se è così… va bene. Ti ringrazio immensamente, Patty.

Il radioso sorriso sul volto della giovane dai capelli chiari fece capire alla padrona di casa che il suo trattamento aveva avuto effetto e, facendole cenno con il capo, l’accompagnò al piano superiore.

Raiden, nel frattempo, si diresse verso la sua sedia e la rialzò, per poi sedersi. Sul suo volto erano chiari i segni dei forti sentimenti che aveva provato mentre stringeva a sé la nipote ritrovata.

- Raiden… chi era?- chiese Holly, dopo qualche minuto di silenzio, esponendo all’uomo la domanda che tutti avevano nel cervello sin dal momento in cui l’uomo aveva stretto a sé quella sconosciuta.

- Mia nipote Sylvia, a quanto pare- rispose lui, con voce fioca ed un tono vicino al trasognato.

- Capisco…- fece Holly, anche se il suo lasciare in sospeso la frase indicava insoddisfazione per la spiegazione.

- Io credevo che fosse morta. Cadde in mare, tanti anni fa, e pensavo che fosse affogata. Nessuno avvertì me o mia moglie del fatto che fosse sopravvissuta. Non sapevo nulla fino a qualche minuto fa.

- Allora è proprio come immaginavo- fece Bruce, attirando su di sé l’attenzione di tutti gli altri.

- Tu lo sapevi, Bruce?

Alla domanda di Tom, il giovane annuì, per poi tornare con lo sguardo all’uomo che, in quel momento, gli appariva come quello più felice del mondo. Sorrise all’uomo, poi disse:

- Sono davvero felice che tu abbia ritrovato la tua famiglia, Raiden.

- Già… la mia famiglia… ma senza di te, mio giovane amico, tutto ciò non sarebbe accaduto. Non so ancora come abbia fatto ad arrivare qui né come abbia saputo che mi trovavo in questa casa, ma sono troppo felice per soffermarmi in questo momento su facezie simili.

Le lacrime agli angoli degli occhi scuri dell’uomo lasciavano intendere quanta felicità stesse provando il suo vecchio cuore in quel momento.

Il silenzio regnò per qualche minuto, fino a quando non squillò il telefono e Roberto si alzò, spostando rumorosamente la sedia sulla quale era accomodato per prendere in mano la cornetta.

Il colorito del brasiliano si smorzò non appena udì la voce dall’altra parte dell’apparecchio ed era praticamente cinereo quando chiamò Holly alla cornetta.

- Pronto?

- Parlo con il signor Oliver Hutton?- chiese una voce profonda.

- Sì, sono io.

- Benissimo. Sono il dottor Keitaro Koshino, del dipartimento statale di medicina legale della prefettura di Tokyo.

Holly perse colore al sentire quella voce. Cosa poteva volere una persona simile da lui e a quell’ora della sera?

- Signor Hutton- continuò l’uomo, interpretando come comprensione il silenzio di tomba che giungeva da casa Gatsby- Devo richiedere la vostra presenza e quella della signorina Patricia Gatsby qui nel mio ufficio domattina alle ore 9 per il riconoscimento delle salme di coloro che dovrebbero essere i vostri genitori.

Non una parola fuoriuscì dalle labbra del giovane, così l’uomo si sentì in dovere di indagare su questo strano silenzio.

- Signor Hutton, si sente bene?

Il ragazzo sembrò svegliarsi da un profondo sonno, tanto da sobbalzare quando quel suono giunse al suo orecchio.

- Sì, ci saremo. Buona serata- disse, frettoloso, riagganciando e muovendosi per tornare della stanza.

Fu un rumore di passi leggeri a richiamare la sua attenzione. Patty stava scendendo dalle scale e appena lo vide sorrise, ignara che la mattina dopo avrebbe dovuto identificare dei cadaveri.

Gli occhi di Holly, pieni di lacrime, si posarono per un istante su quella ragazza vestita con una lunga maglietta gialla con stampato sopra un cuore e jeans, poi si allontanarono da lei, quasi avessero paura di contaminare quella pura, spontanea gioia, con l’onta di una crudele realtà.

 

Oliver Hutton  3 Marzo  ore 10:23 PM

 

Con quale coraggio posso spegnere quel suo sorriso? Perché devo comunicarle che domani rivedrà i suoi? Come posso dirle ciò che accadrà domattina? Ma perché proprio a noi doveva accadere tutto ciò? Non potevamo vivere una vita come quella di altri, una vita tranquilla e felice, con una famiglia completa ed unita. Io forse soffro meno di lei, per quanto riguarda la mancanza del padre. Io il mio l’ho sì amato, ma lo vedevo talmente poco che la sua assenza quasi non la noto, a differenza di quello della mamma… ma Patty ha sempre avuto con sé i genitori che l’amavano ed aiutavano in ogni singolo istante. Perché proprio adesso, che la ferita sembrava iniziare a rimarginarsi almeno un pochino, dovevano chiederci una cosa simile? Non bastava dover organizzare il funerale?

 

Patty aveva sentito il telefono e sentendo che Holly era desiderato all’apparecchio, non appena aveva finito di fornire gli abiti a Sylvia, era andata sulle scale a controllare ed aveva visto il suo ragazzo impallidire e, mentre lei scendeva le scale sorridendo, non aveva potuto fare a meno di notare che l’aveva guardata per un attimo per poi allontanare lo sguardo da lei, nascondendole gli occhi che, lei aveva notato, erano pieni di dolore profondo, qualcosa che sembrava aver privato di qualsiasi energia il giovane.

 

Patricia Gatsby 03 Marzo  ore 10:23 PM

 

Cosa sta succedendo? Cosa mi nascondi Holly? Perché i tuoi occhi se ne sono andati tanto in fretta? Perché stai nascondendo le lacrime evitando di guardarmi? Chi era al telefono, Holly? Quali cattive notizie ci ha recato questa volta quell’apparecchio? Perché mi stai nascondendo i tuoi sentimenti, Holly?

 

Oliver Hutton vide la ragazza avvicinarsi a lui con calma ma ne intuì le preoccupazioni. Nonostante la giovane sorridesse, nei suoi occhi non vi era gioia, ma una profonda preoccupazione che sembrava celare dietro spesse e oscure nubi la fiamma che bruciava sempre nei suoi occhi.

Conscio che non poteva nasconderle nulla, le prese una mano poi, con il capo, le fece cenno di seguirlo in cucina e, dopo esservi giunti, fuori, sulla veranda.

Solo in quel luogo di massima privacy Holly lasciò la candida estremità di lei per sedersi sul dondolo acquistato l’estate precedente dai signori Gatsby, imitato subito dopo dalla sua ragazza.

- Holly, chi era al telefono?- chiese la ragazza, con calma.

- Un medico legale. Domattina dobbiamo andare a Tokyo per… per il riconoscimento dei cadaveri.

Holly vide Patty impallidire a quelle parole e mordersi il labbro inferiore, ma non versò neanche una lacrima. Anzi, sorrise amabilmente al giovane.

- Non dovresti prenderla così male. In fondo, sapevamo che poteva presentarsi anche questa eventualità.

Holly guardò sbalordito la ragazza che gli stava accanto, conscio che quel sorriso celava qualcos’altro.

 

Oliver Hutton  03 Marzo  ore 10:25 PM

 

Perché mi sta mentendo? Come mai non vuole che veda ciò che prova? Per caso non si fida ancora di me?

 

Patricia Gatsby  03 Marzo  ore 10:25 PM

 

Non vorrei fare così… mi sento morire all’idea di vedere i loro cadaveri, ma devo mostrarmi forte per lui. Sta già soffrendo abbastanza, senza che io lo angosci ancora di più. Devo essere forte anche per lui, una volta tanto. Non devo piangere né disperarmi, domani. Devo essere forte come lo è stato lui.

 

- Patty… allora… rientriamo?- chiese il ragazzo, dopo aver lasciato trascorrere un po’ di tempo in silenzio.

- No. Preferisco restare qui. C’è quiete, qualcosa che in casa a quanto pare è diventata un’utopia- sussurrò Patty, accennando con il capo alla casa, nella quale in quel momento risuonavano il ruggito dell’inferocito portiere dell’Amburgo e le  risate dell’italiana, che a quanto pare aveva escogitato qualcosa per far infuriare Benji.

- E’ bello però sentire questo rumore. E’ vita.

- Già, vita… qualcosa che le persone che rivedremo domani non hanno più.

- Lo so che sei triste, anche se non vuoi mostrarlo, Patty.

Le parole di Holly fuoriuscirono dalle sue labbra in fretta, prima che il suo cervello potesse mandare un comando cosciente al giovane.

- Sì, lo sono, Holly, hai ragione, ma so che dobbiamo andare avanti e non voglio cadere di nuovo nella depressione. Non dobbiamo mai dimenticarci di questo, Holly. Noi dobbiamo vivere anche senza di loro. Così come tu avresti dovuto vivere senza di me, se il mio suicidio fosse andato a buon fine.

Le ultime parole di Patty furono come scaglie di ghiaccio che s’infilzavano nel cuore di Holly, risvegliando in lui i terribili ricordi dell’ultimo giorno di San Valentino che avevano trascorso insieme.

- Sai Holly, mi rendo conto solo adesso di quanto potesse essere egoistico il mio gesto. Tu avresti sofferto se fossi morta, non saresti di certo stato felice di sapere che l’avevo fatto per pagare il mio debito nei tuoi confronti. Sono stata una sciocca a pensare che ciò potesse renderti felice o soddisfarti. Il mio era solo un modo per sfuggire ai sensi di colpa che mi stavano consumando. Mi spiace averti fatto vedere una scena simile. Mi sono comportata davvero da idiota. E se tu non ci fossi stato, a quest’ora non sarei più qui a vedere quanta gioia c’è nel mondo, non avrei mai potuto vedere Sylvia e Raiden tornare insieme né la gioia negli occhi di Tom quando guarda quell’uragano della sua ragazza e neanche il modo in cui Benji protegge la sua amica tedesca. Ti devo la vita, Oliver Hutton. Mi hai salvato la vita per ben due volte ed io non ho fatto altro che procurarti problemi. Ma ti prometto che farò tutto ciò che è nelle mie facoltà per aiutarti e rendere meno pesante questo fardello, Holly.

La risposta del calciatore fu rapida: rapì le labbra della ragazza in un bacio e l’abbracciò con tutta la forza che aveva, mentre dai suoi occhi scendevano fiumi e fiumi di lacrime, espressione del mare di emozioni che si scuotevano in lui.

 

Nel frattempo, nell’abitazione, rimbombavano le grida furibonde di Benjamin Price, che cercava di acciuffare Martina Maroni, che correva per il piano inferiore come una forsennata, ridendosela della grossa.

- Tu! Maledetta di un’italiana! Rendimi immediatamente il cappello!- gridava il portiere, con gli occhi iniettati di sangue.

Martina, tenendo fermo in testa il cappello del giovane, rideva come una pazza.

- Allora tu rimangiati tutto quello che hai detto su di me!

- Cosa avrei detto di male?

- A parte che sono una folle psicopatica, una stupida e maledetta italiana, una belva disumana e, soprattutto, un Megafono Umano?

- Ma se è la verità? E poi Megafono Umano ti ci chiama anche il tuo perfetto ragazzo!

- Ma lui ha il mio permesso ed è il mio ragazzo!- ribattè lei, continuando a ridere.

Benji stava ancora correndo quando lei, nel corridoio, inchiodò all’improvviso e si abbassò.  Il cappello le era sfuggito di mano e lei era fermata di botto per poter raccogliere il prezioso oggetto.

L’impatto fu inevitabile: lui, ancora in corsa, andò a sbattere contro la ragazza, che era chinata, e, piroettando in aria, cadde sulla schiena dall’altra parte, colpendo con un piede il corrimano della scala, mentre Martina cadde a terra a faccia in giù, prendendo un forte colpo al mento ed al naso, oltre che un poderoso calcio ai reni.

Il grido di dolore di Benji e Martina chiamò tutti nel corridoio, eccezion fatta di Sylvia, che era ancora sotto la doccia, e i due orfani che, immersi nel loro mondo, non percepirono i suoni che provenivano dall’interno.

Il primo a giungere sul luogo dell’impatto fu Roberto, seguito a ruota dal resto dei compagni, che trovarono il portiere steso sulla schiena, con il piede sinistro tirato al petto, e la ragazza rannicchiata a terra, con il sangue che colava sul pavimento ed una mano sulla schiena.

- Cosa è successo stavolta?- chiese il brasiliano, fissando quelle due teste calde con aria assassina.

- Mi ha rubato il cappello- sibilò Benjamin Price, piccato, mentre iniziava a massaggiarsi il piede leso- C’è mancato poco che me lo rompessi, razza di deficiente.

- Ammetto di aver sbagliato- fece lei, rivolgendo uno sguardo al portiere- ma era solo uno scherzetto innocente. Non c’era bisogno di investirmi con tutta la tua mole, razza di bisonte giapponese.

- Su, andiamo di sopra- disse Tom, prendendo la sua ragazza per un braccio per sollevarla da terra.

- Va bene- rispose la giovane, finalmente calma, mentre si alzava faticosamente dal terreno, lanciando poi sul calciatore dell’Amburgo il cappello incriminato- Forse preferivi pestarlo, grande eroe?

Detto questo fu letteralmente tirata via dal suo ragazzo, aiutato anche da Bruce, Jenny e Philip, mentre gli altri cercavano di tenere inchiodato al pavimento il portiere che, dopo quell’ennesima frecciata, aveva dipinta sul volto l’espressione di un folle assassino.

 

Benjamin Price/Martina Maroni 03 Marzo  ore 10:28 PM

 

Ma vai un po’  a cagare, idiota che non sei altro! Persone imbecilli come te è meglio perderle che trovarle.

 

- Potevi risparmiartela quella provocazione- disse Tom, calmo come al solito, mentre aiutava la ragazza a fermare l’emorragia al naso, chiusi nella stanza occupata dalle ragazze, dato anche il fatto che Sylvia si trovava ancora sotto la doccia, ignara della situazione delicata che si stava creando in quell’ambiente- Io Benji lo conosco bene. Sono certo che prima o poi te la farà pagare amaramente.

- Sai che paura!- fece lei, per poi soffiare di nuovo con il naso nell’asciugamano che Tom le aveva procurato- Io quello lo stendo quando mi pare e piace.

- Non cercare grane. Benji è uno tosto.

- Uffa! Ma io volevo solo scherzare un pochino!- sbottò Martina, guardando imbronciata il suo ragazzo.

- Con lui è meglio non scherzare. E comunque… ti sta bene che ti sia fatta male. Almeno adesso capirai che può essere pericoloso scherzare troppo con il fuoco. Su, adesso fammi vedere la schiena.

Martina, non senza un attimo di esitazione, si stese sul letto ed alzò la maglia, mostrando al suo ragazzo un livido nero-bluastro dall’aria poco rassicurante poco sotto le ultime costole, proprio accanto alla colonna vertebrale.

- Sei stata fortunata a non esserti fatta nulla di serio. Avrebbe potuto romperti un osso, con un colpo simile- fece lui, prendendo dal borsone da allenamento di Patty ed Holly la crema per trattare le contusioni.

Con mano esperta, prese la crema e iniziò a passarla, con un movimento circolare, sull’area offesa, notando quanto potesse far male dalla tensione della schiena della ragazza e un suo gemito a stento soffocato.

- Per stasera è meglio se resti qui a riposarti. Ti terrò compagnia io per un po’, ok?

- Se non ti spiace, vorrei restare sola per un po’.

- Nessun problema- rispose Tom, andandosene.

Fu solo quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle che Martina scoppiò a piangere, incapace di resistere oltre al dolore che custodiva nel cuore e che, da quando c’era Tom, riusciva a nascondere sempre meno.

Tra le copiose lacrime che le appannavano la vista, le sembrò di rivedere una ragazzina uguale a lei, di qualche anno più giovane, rannicchiata in un angolo di una stanza buia, a piangere.

- Sii più allegra! Devi essere felice! Lui non tornerà mai se sei sempre triste!- singhiozzava, con un braccio sugli occhi, mentre abbandonata accanto a lei stava una foto che la ritraeva assieme ad un suo coetaneo dai capelli scuri.

La ragazza scivolò nel sonno rapidamente, mentre quelle immagini le vorticavano  sempre più rapide davanti agli occhi, ricordi di un difficile passato che l’aveva già distrutta una volta e che, adesso che si era scoperta innamorata di Tom, sembrava voler tornare alla riscossa a tutti i costi.

Si era già addormentata quando Tom entrò nella stanza, per avvertirla che avevano intenzione di andare a fare una passeggiata.

Le lacrime che bagnavano il cuscino ed il volto della ragazza non sfuggirono al centrocampista dell’Ascoli, che subito fu al suo fianco.

 

Tom Becker  03 Marzo  ore 10:58 PM

 

Continuo a non capirla. Cosa c’è che non va? Cosa la fa soffrire in questo modo? Possibile che voglia nascondermi ancora qualcosa? O è soltanto il timore di essere d’intralcio per la mia carriera a farla soffrire in questo modo? Non capisco cosa la spinga a tenersi tutto dentro. Martina, perché nascondi a tutti, anche a te stessa, il tuo vero io?

 

Silenzioso, scivolò accanto a lei e l’abbracciò, sperando che il suo calore potesse lenire il dolore che le stava rovinando il riposo, scivolando anche lui nelle braccia di Morfeo.

 

Al piano di sotto, Colette era intenta a imparare da Roberto ed Amy la difficile arte del medicare le contusioni.

Osservava rapita il modo in cui Roberto massaggiava il piede del portiere con la crema lenitiva, mentre la ragazza dai capelli fulvi controllava come stese la colonna vertebrale della vittima.

Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorgeva neanche del modo in cui Benji la guardava con grande affetto, sentendosi bene in sua compagnia per la prima volta dopo quel bacio.

 

Benjamin Price  03 Marzo  ore 10:31 PM

 

Com’è carina quando è assorta nei suoi pensieri. Non so come faccio ad essere attratto da quel maschiaccio. E’ di certo molto bella… ma dentro è strana. Mentre lei è così bella sia dentro che fuori. Però… lei è  troppo dolce per un tipo come me. Potrei proteggerla da tutti, certo, ma non da me stesso. Io potrei farle del male e non accorgermene minimamente. Ma è così pura e candida. Quel paragone è azzeccato: lei è proprio come la neve del primo mattino, candida e intatta, affascinante e quieta, tanto bella quanto delicata. Ed io sono troppo rozzo per desiderare di affiancarmi ad una creatura simile.

 

- Vuoi provare tu, Colette?- chiese Roberto – Io dovrei andare a prendere del ghiaccio e qualcosa per steccargli questo piede. Non penso che sia rotto ma vorrei che lo muovesse il meno possibile.

Le gote della tedesca divennero immediatamente color porpora e subito il suo sguardo volò al volto del portiere, che per risposta le sorrise ed annuì.

 

Sylvia Holler scese circa un’ora dopo essere arrivata, indossando una camicia verde chiaro e un paio di blue jeans e con i capelli legati in una coda di cavallo da un elastico rosso, e subito si diresse nel salotto dove trovò soltanto il nonno ad attenderla, seduto sul morbido divano.

- Gli altri sono usciti a fare una passeggiata per darci la possibilità di parlare con tutta calma. Siediti accanto a me.

In perfetto silenzio, la ragazza si accomodò accanto a lui, per poi partire con la domanda che più le premeva.

- Tu… tu sei Terence Horance Tzunoshi?

- Sì, sono io.

- E sei anche mio nonno?

- Penso di sì, ma non conosco ancora il tuo nome per intero.

- Io sono Sylvia. Sylvia Erika Mariko Holler.

- Sì, sei mia nipote. Figlia di mia figlia Shimone Tzunoshi e di Herik Holler.

- Come mai non ti ho mai incontrato?

- Non so cosa sia accaduto. Tua nonna ed io ti abbiamo vista cadere in acqua in Svezia, quando avevi soltanto un paio d’anni. Credevamo che fossi morta, altrimenti ti avremmo fatta cercare per più tempo, piccola.

- Quindi è una menzogna il fatto che tu mi abbia cacciata.

- Esatto. Ti amavamo come se fossi nostra figlia e tua nonna è stata talmente male quando ti credevamo morta che è stata uccisa dal dolore in pochissimo tempo.

- Posso fidarmi di te?

- Sì. E’ la verità.

- Allora perché i miei nonni paterni mi hanno detto che tu non mi volevi più tra i piedi e mi avevi affidata a loro? Perché hanno mentito così spudoratamente?

- Non lo so, ma ti giuro che mai e poi mai io ti avrei allontanata da me. Eri la luce dei miei occhi, dopo la morte dei tuoi genitori.

 

Sylvia Holler  03 Marzo  ore  11:03 PM

 

Questa è la prova. Nonno e nonna mi hanno mentito tutto questo tempo sul conto di nonno Raiden. Lui mi voleva bene e loro… loro mi hanno strappato a lui ed hanno fatto morire la nonna dal dolore! Come posso perdonare persone simili? Come posso voler bene a certa gentaglia? Li detesto con tutto il cuore! Sono stati dei bastardi! Perché mi hanno portata via in quel modo orribile? Perché hanno fatto così tanto male ai genitori della mia povera mamma? Io… io non voglio più avere a che fare con persone simili. Voglio restare qui con loro. Non lascerò che quei bastardi mi riportino in Svezia. Voglio restare con l’unica persona che mi ama davvero, senza condizioni e senza limiti. Voglio vivere con nonno Raiden.

 

- Quindi loro mentivano. Li odio! Ecco perché non volevano che venissi qui a parlarti! Non volevano che scoprissi che negli ultimi quattordici anni mi hanno ingannato e raccontato solo frottole!

Sylvia si alzò dal divano come una furia e, armeggiando freneticamente con la maniglia della finestra, cercò di uscire dalla stanza.

Vi era quasi riuscita quando il nonno, che si era avvicinato molto lentamente alla nipote disperata, l’abbracciò da dietro nel tentativo di calmarla.

- Sylvia… non devi odiarli. Ti hanno raccontato delle bugie ma non per questo devi odiarli. Sono certo che in questi anni ti hanno trattato bene quanto avrei fatto io e ti hanno amata come una figlia. Tu sei figlia di tutti noi, bambina mia, perché sei parte dei figli che tanto amavamo e che abbiamo perso troppo presto. Devi capire quanto abbiano sofferto loro, quando hanno saputo che il figlio si sarebbe stabilito qui e, dopo la loro morte, che tu non saresti stata affidata a loro. Devono aver sofferto molto, e questo li ha spinti a compiere un gesto simile. Non devi odiarli per averti amato troppo, Sylvia, ma dovresti essere grata a loro per l’amore che hanno dimostrato nei tuoi confronti. Non ti spingo a contattarli stasera stessa, piccola mia, ma dovrai farlo e decidere con chi stare.

- Io ho già scelto, nonno. Voglio restare con te. Non voglio più avere a che fare con loro. Non li voglio più vedere neanche in fotografia. Hanno mentito ogni giorno. Ogni minuto hanno vissuto con il rimorso di aver lasciato la nonna morire di crepacuore ma non se ne sono mai curati. Io li odio, nonno, e non capisco come tu possa essere così comprensivo nei loro confronti.

- Capisco il loro amore nei tuoi confronti e mi metto nei loro panni. Capisco cosa devono aver provato, per questo accetto che abbiano fatto ciò. Forse anche io sarei stato capace di fare altrettanto, se addolorato come loro.

Gli occhi verdi di Sylvia si rivolsero a quelli del nonno, poi si chiusero, lasciando che le lacrime scorressero sul volto della sedicenne che tanta strada aveva fatto per ritrovare il ramo materno della sua famiglia.

 

Le sorprese per coloro che erano usciti non furono poche.

Sin dalla strada notarono che le luci in salotto erano ancora accese, nonostante la tarda ora, così, per rientrare in casa, il gruppo decise di passare per la porta di servizio che dava sulla cucina, e sotto la veranda trovarono Patty e Holly profondamente addormentati sul dondolo. Holly riposava con la testa appoggiata sulle sue ginocchia, mentre Patty aveva una mano destra tra i suoi capelli e la testa, chinata a sinistra, appoggiata all’altra, quasi la ragazza si stesse concentrando.

Sdraiato sul letto, con una borsa del ghiaccio sul piede e una buona dose di crema per trattare le contusioni sulla povera schiena dolorante, Benji vegliava sul riposo di Colette con la coda dell’occhio.

La tedesca, che si era prestata per restare a fargli compagnia, aveva letto per lui fino a quando non era stata vinta dal sonno e si era assopita sulla sedia, con il libro in grembo e la testa reclinata di lato.

E l’ultima sorpresa fu il trovare Tom e Martina nella stanza delle ragazze, profondamente addormentati.

Con una scrollata di spalle, coloro che erano ancora svegli, si accomodarono in salotto, su delle coperte o nei sacco a pelo, e attesero con pazienza che la notte passasse

 

(NdA: e qui è d’obbligo la nota: facciamo un piccolo saltino indietro nel tempo e nello spazio per vedere come se la cava qualcuno di nostra conoscenza. E’ da un po’ che non lo vedevamo all’opera con un pallone tra i piedi…)

 

Il sole non era molto caldo in quella soleggiata giornata di Marzo ma non per questo l’alto calciatore dalla pelle abbronzata non sudava.

Erano già quattro ore che si allenava, quella mattina, e doveva ammettere di essere davvero esausto.

Usare un pallone da quasi quattro chilogrammi era già faticoso, ma i pesi che il suo allenatore, Jeff Turner, gli aveva fatto applicare alle caviglie rendevano tutto molto più complesso e faticoso, tanto che Maki, che aveva trovato lavoro come aiuto inserviente all’interno della scuola calcio, appena poteva sfuggiva dalla sorveglianza della superiore e andava da lui per aiutarlo a superare meglio la fatica con piccoli interventi, come un massaggio alle articolazioni indolenzite oppure portandogli qualcosa da mettere sotto i denti.

Sapeva che nonostante lui non volesse ammetterlo, per lui era estremamente faticoso allenarsi e lavorare part-time come addetto alla cura dei campi di allenamento, lavoro al quale puntualmente partecipava anche Maki, soprattutto da quando la madre di Mark aveva iniziato a scrivere lettere per entrambi e mandato una foto sua e dei tre fratellini di Mark, che la ragazza custodiva gelosamente in una cornice di plastica posta sul tavolo del locale che l’istituto aveva concesso ai due, ossia una stanza inutilizzata del capanno per le attrezzature.

Desiderava ardentemente donare a quella donna ed ai suoi tre figli parte del ricavato del suo lavoro, nonostante ancora non avesse trovato il modo per rivelarlo a Mark, che di certo non avrebbe accettato il suo denaro.

Stanco, si gettò sull’erba ed in men che non si dica la ragazza dalla chioma fulva fu al suo fianco, con una piccola busta in una mano e due lattine di birra nell’altra.

- Ho pensato di venire a vedere come stavi. Ci stai dando dentro, Mark, ma non pensi sia più salutare riposarti un po’?

- Non preoccuparti Maki. Io sono forte, e lo sai bene- fu la risposta del calciatore che, steso sulla fresca erba, aveva chiuso gli occhi ed assaporava il lieve calore del sole sulle membra indolenzite.

- Lo so benissimo che sei forte, Mark, ma resti un essere umano e quella caviglia gonfia non mi convince affatto- fu la secca risposta di lei, che gattonò fino all’articolazione che, arrossata, spuntava dalle logore scarpette da calcio indossate senza calzini.

Sfilò la scarpa dal piede e, staccata la plastica che univa le due lattine, le pose ai due lati.

- Sono fredde!- squittì il cannoniere, che comunque dimostrava sollievo per il refrigerio donatogli.

- Se no non le avrei messe lì. E adesso tirati su e mangia, se no si raffredda- fece lei, passandogli una scatola di ramen confezionato di fresco che, tra le mani del giovane, scottava.

- L’avevano appena preparato- spiegò, passando al compagno le bacchette ed una confezione con quattro polpette di riso.

- Grazie mille Maki- sussurrò, prima di gettarsi a capofitto sul pasto.

 

Maki Akamine  02 Marzo  ore  12:34 AM

 

Quanto mi fa piacere essergli utile... Lui si prende cura di me con talmente tanto affetto… non che lo dimostri in modo plateale, ma lo vedo dai suoi occhi e dai suoi gesti quando siamo soli che mi vuole bene. E’ giusto che io ricambi questo affetto aiutandolo. Lui mi ha sostenuta ed aiutata in molte occasioni. E poi… è talmente dolce quando mangia! Sembra non aver mai visto una scodella di ramen in vita sua! Mi fa piacere che il suo appetito sia abbondante. Significa che brucia molta energia per allenarsi. Speso solo che non esageri con questi esercizi o rischia di spezzarsi una gamba di questo passo. Lo vedo che soffre quando colpisce la palla. Io lo aiuterò in tutti i modi per evitare che si faccia del male.

 

Mark Lenders 02 Marzo ore  12:34 AM

 

Maki… quanto sei dolce! Capisco Oliver e il suo splendido rapporto con Patty solo adesso che trascorro questi giorni in tua compagnia. Mi piaci fisicamente e caratterialmente. Solo una ragazza molto forte avrebbe reagito come te a certi eventi. Sei molto forte ed allo stesso tempo sei la dolcezza fatta persona. Ti voglio bene Maki. Grazie per tutto ciò che fai. Mi curi e sostieni, mi sfami ed aiuti nei momenti in cui sono troppo stanco per muovere un muscolo, nonostante anche tu lavori con impegno e molto a lungo. Un giorno ripagherò questo tuo impegno, te lo prometto. Un giorno tornerò a Tokyo e tu sarai al mio fianco. Ti donerei anche la luna, se il tuo desiderio fosse di possederla. Mia preziosa Maki, voglio che tu sia felice.

 

I due mangiavano da qualche minuto quando un affannato Jeff Turner, stranamente sobrio, li raggiunse.

Aveva corso fino a lì ed in mano stringeva un giornale.

- Cosa succede Mister?- chiese, guardando il suo allenatore che, pallido, ora era piegato sulle ginocchia per riprendere fiato.

- Guarda- riuscì a dire, gettando ai piedi del suo calciatore un giornale nazionale con una grossa foto di un aereo in fiamme in prima pagina.

- Cosa significa?

- I genitori di Oliver Hutton e della sua amica… hai presente quell’esaltata che gridava alle partite con quella bandiera ridicola…- disse Turner, intercalando agli spezzoni di frasi un profondo respiro- sono morti.

- Morti?! I genitori di Holly sono morti?

Maki posò una mano su quella del compagno, che nel frattempo sembrava impietrito dalla notizia.

 

Mark Lenders  02 Marzo  ore 12:41 AM

 

Non posso ignorare tutto questo! Devo andare da lui! Devo andare da lui! Devo andare da lui!

 

Mark guardò Maki, poi il suo mister, che annuì.

- Il battello parte il cinque, alle sei del mattino. I biglietti sono già nella vostra stanza. Ho già parlato con il preside e vi ha accordato un permesso di quattro giorni, anche di più se mi informate con qualche ora di preavviso.

- Perché possiamo partire così tardi?

- Mark, l’ultimo battello è partito ieri mattina. Lo sai che passa ogni cinque giorni.

Il cannoniere annuì, poi tornò a mangiare.

- Io vado con lui. Se quella megera della Nobushi mi scopre…

Lui si limitò ad annuire svogliatamente, ma lei non se la prese e lo lasciò nuovamente solo con i suoi pensieri, sapendo che la sua forza non sarebbe venuta a mancare in un momento del genere.

 

(NdA: torniamo al “presente”, e più precisamente a Tokyo…)

 

Tokyo, ore 07:22 AM

 

Mano nella mano, Patty e Holly stavano fermi, guardando quel piccolo aereo da dove, lo sapevano, sarebbero state scaricate quattro bare coperte dalla bandiera giapponese, che contenevano i miseri resti dei loro genitori.

Erano stati portati all’aeroporto dal fido Roberto, che era qualche passo dietro di loro, lontano dai ragazzi che attendevano le salme dei genitori.

Oliver guardò per un istante la ragazza al suo fianco. I capelli scuri erano mossi dalla brezza che spirava da est ad ovest, che creavano una specie di lucida aura attorno al viso pallido. Dai suoi occhi scuri scivolavano giù lacrime piccole ma frequenti, che bagnavano a tratti quelle guance pallide.

Le strinse la mano in segno di sostegno, ma i suoi occhi rimasero fissi sul velivolo e sul suo carico.

 

Patricia Gatsby  04 Marzo  ore 7:27 AM

 

Come vorrei poter mandare indietro le lancette del tempo… Vorrei avessero potuto vivere la nostra felicità, il nostro amore, vedere il nostro matrimonio e poi i nipotini… ora invece sono solo resti di un incendio, morti in un momento di gioia, proprio mentre tornavano a casa da noi. E Holly è così protettivo nei miei confronti… ma è naturale. Sono arrivata a fare una pazzia e potrei rifarla. Ha ragione ad aver paura di me. Sono pericolosa sia per me stessa che per gli altri. Forse dovrei farmi curare da qualcuno… ma non abbiamo il denaro per farlo. Dobbiamo assolutamente vendere una delle case ed io devo cercare lavoro per mantenerci. Di certo non posso permettere che lui si accolli anche questa responsabilità, soprattutto in questo momento così delicato. Sta guarendo, se vede, ma non deve dedicarsi ad altro che al calcio se vuole farcela e non sarò di certo io quella che lo distrarrà.

 

Roberto Sedinho 04 Marzo  ore 07:27 AM

 

Holly Hutton, adesso devi mostrarti forte. Aiutarla a superare il colpo e tornare di nuovo il grande calciatore che eri. Solo in questo modo potrai aiutarla a guarire da questa ferita interna. Speriamo che tu riesca a migliorare in fretta… E’ egoistico dirlo, ma voglio rivedere il magico tocco di quell’undicenne minuto e sorridente che chiamava amico il fedele pallone. Voglio rivedere la rovesciata e le punizioni, i tiri ad effetto e quelli di potenza, il colpo di tacco e quello di testa. Voglio rivedere la stella del calcio giapponese.Grazie mille Patty. Sono sicuro che senza di te lui non sarebbe mai tornato a sorridere e non sarebbe mai riuscito a toccare di nuovo la palla. Grazie mille, Patricia Gatsby. Un giorno o l’altro ti giuro che mi sdebiterò.

 

Oliver Hutton 04 Marzo  ore 07:27 AM

 

Patty… quanto vorrei risparmiarti questo dolore…ma non posso farlo. Soffro anche io, nonostante il mio desiderio di nasconderlo. Io desidero immensamente che tu sia felice con me e sono certo che pian piano, insieme, riusciremo a superare anche questo dolore. Ti voglio bene Patty.

 

Con un gesto molto semplice, la mano di Patty sfiorò il volto del suo ragazzo e fece in modo che la guardasse.

- Non vergognarti di piangere. E’ normale- sussurrò lei.

 

Oliver Hutton 04 Marzo  ore 07:28 AM

 

Questi grandi occhi sinceri… la sua voce calma… la  forza che trasmette nella sua apparente fragilità… Neanche ti accorgi di quanto sei bella. Grazie mille Patty! Grazie di esistere!

 

Il calciatore abbracciò la sua lei con forza ma lei non fiatò. Ricambiò con tenerezza la stretta di Holly e iniziò ad accarezzargli i capelli. Il calciatore singhiozzava contro la sua spalla con forza, quasi avesse dentro un enorme peso di cui liberarsi e che lei, con la sua calma e discrezione, era riuscita a sciogliere. Dal canto suo, Patty piangeva in silenzio e con calma, in un modo che alcuni definirebbero “maturo”. Non un suono, solo grandi lacrime di dolore che scivolavano lungo le sue gote. Solo dolore puro che fuoriusciva direttamente dal suo cuore. Un cuore che, di nuovo, aveva rimesso in sesto alla meglio, attaccando i pezzi di quel mosaico complesso in modo che la struttura fosse solida e pronta ad affrontare un nuovo dolore.

 

Sin dalle prime ore del mattino da casa Gatsby fuoriuscivano suoni a dir poco spaventosi.

Urla e grida in italiano, inglese tedesco e giapponese avevano svegliato tutti quella mattina e gli autori non erano altri che Martina Maroni e Benjamin Price.

La furia della sera prima non si era ancora placata e adesso il portiere, con al braccio una terrorizzata Colette, stava guardando con occhi di brace l’italiana che aveva avuto la pessima idea di attaccarlo verbalmente per l’ennesima volta.

- Tu, brutta italiana che non sei altro! Tornatene al tuo paese e lasciaci in pace! Qui siamo a lutto!

- E tu non portarti dietro il Touring Club!

- Come osi dire questo in sua presenza! Non provare più ad offendere Colette, o ne pagherai le conseguenze!- grugnì il giapponese, pronto a balzare alla gola della ragazza dalla quale era fisicamente attratto.

- Per favore, smettetela…- sussurrò Colette, con voce rotta dal pianto.

- Io non la smetto. Questa straniera ti ha offesa!

- Di certo sono più educata di te!

- Non credo proprio. Hai l’educazione di un orango!

- E tu quella di un babbuino! Anzi, di un gorilla. E gli assomigli anche, ad un grosso gorilla puzzolente!

- Come osi dirmi certe cose, piccola oca con i capelli dal colore assurdo! Sembri essere caduta in un barattolo di vernice! E poi il modo in cui li hai… sei per caso stata spedita dentro un semaforo da qualcuno che non voleva più vederti?

- Cretino che non sei altro! Ti faccio vedere io…

Raiden guardava la scena da lontano, pronto ad intervenire nel caso ve ne fosse la necessità.

Al suo fianco stava Sylvia, che non staccava gli occhi dall’anziano parente.

 

Sylvia Holler 04 Marzo  ore 08:34 AM

 

Mi sembra così strano… sono ospite a casa di una ragazza che ha appena perso i genitori e ne sta organizzando il funerale, assieme a un gruppo di ragazzi giapponesi e non che litigano da mattina a sera, un uomo di colore e il  nonno che, secondo i nonni paterni, era quello che mi aveva cacciata di casa quando ero molto piccola. Non so neanche come comportarmi con loro… sono molto gentili ma capisco pochissimo quando parlano in giapponese o in italiano e soltanto un po’ di più se lo fanno in inglese. Gli unici che capisco sono la ragazza tedesca e il portiere. E non so neanche come comportarmi con il nonno. E’ quasi uno sconosciuto per me, ma mi vuole talmente tanto bene… come è strana la vita! Non so neanche come ringraziare quelle ragazze che hanno preparato la nostra colazione... Quando torneranno lo farò certamente, anche se ancora non so in quale lingua. Mannaggia a me e alla mia testaccia dura! Avrei dovuto studiare di più l’inglese! E poi… c’è quel buffo ragazzo che sta sempre accanto al nonno. Da quel che ho capito si chiama Bruce… certo che è proprio strano quando ride. Come adesso. Spalanca la bocca e ride di gola. Ho quasi la sensazione che prima o poi ingoierà una mosca ridendo in questo modo! Non è molto bello, ma sembra simpatico. E poi la sua famiglia si è dimostrata molto gentile nei miei confronti. E’ bello sentire l’amore di questi perfetti sconosciuti. Sono felice di essere qui con loro. La mia vita cambierà radicalmente.

 

- Ridi anche tu per il litigio di quei due?- le chiese Raiden, sorridendo alla nipote.

Sylvia si scoprì ridacchiante di fronte a quelle sfuriate tra Benji e Martina.

- Sì. Ma fanno sempre così?

- No… hanno fatto anche di peggio ieri sera- disse Bruce, sorridendo alla nuova arrivata dall’altra parte dell’ex pugile- Benji è sempre stato piuttosto irritabile ma Martina... è straordinario come Tom riesca a sopportare una ragazza simile. E’ irruenta e con la delicatezza di un bulldozer, oltre ad avere quella voce decisamente troppo alta. E’ assordante.

- Io la trovo gradevole. La voce intendo.

- Sei abituata a sentire le sirene?

Sylvia gli fece la linguaccia ma non riuscì a trattenere molto quell’espressione e sorrise con dolcezza al giapponese, che si trovò spiazzato da un’espressione tanto dolce ed abbassò gli occhi sulle sue fette biscottate con la marmellata.

Raiden scoppiò a ridere di fronte alla faccia stralunata del ragazzo, mentre lei lo guardava interrogativa, non capendo che cosa fosse preso al nuovo amico.

 

Horance Tsunoshi 04 Marzo  ore 08:39 AM

 

Ahi ahi ahi! Bruce è bello che cotto! Un sorriso e Sylvia l’ha conquistato. Sono felice. E’ un bravo ragazzo e se a Sylvia fosse simpatico, sarei felicissimo di vederli insieme. Solo che non so che cosa possa pensare Sylvia… Bruce è simpatico ma di certo non è molto carino. Ha il naso come quello di un pugile. Magari sono state tutte le pallonate che ha preso in piena faccia! Ma resta il fatto che lui non è carino come lo sono Julian, Holly, Benji, Tom o Philip.

 

Fu il rumore di vetri rotti a spingerli ad alzarsi da tavola e vedere che cosa fosse accaduto nell’altra stanza.

 

Colette cercava in tutti i modi di fermare i due litiganti, ma non c’era riuscita. Tra i due stavano per volare parole grosse quando lei si era messa tra di loro e Martina, poco gentilmente, l’aveva spinta via, verso il divano. Era stato a quel punto che Benji aveva perso il lume della ragione e tentato di colpire la ragazza.

 

Benjamin Price 04 Marzo  ore 08:35 AM

 

Come si è azzardata a dire e fare tutto questo a Colette? Sporca italiana, te la farò pagare cara! Altro che bella ragazza… questa è una stronza di prima categoria. Ma adesso le farò passare io la voglia di parlare male di Colette e stuzzicare un portiere del mio calibro. E’ ora di farla finita con questa storia. Voglio darle una lezione che ricorderà finché vivrà. Preparati  bella mia. Ha inizio la tua esecuzione

 

Un brivido corse lungo la spina dorsale di Martina quando guardò il portiere. Aveva gli occhi di un assassino.

 

Martina Maroni 04 Marzo  ore 08:35 AM

 

Accidenti! Si è incazzato a morte! Meglio così! Mi serviva proprio una bella scazzottata. Speriamo solo che lei non si metta di nuovo in mezzo. Credo che se la toccherò un’altra volta il portiere qui presente mi manderà all’altro mondo. Accipicchia, ma perché mi sono cacciata in una situazione simile? Come mi è saltato in mente di far imbestialire un colosso simile. Oh, se Tom fosse stato sveglio mi avrebbe fermata, ma lui dorme ancora… maledetta la mia lingua lunga!

 

Dopo aver schivato una serie di colpi, Martina decise che era ora di reagire.

Si stavano battendo da un paio di minuti quando Colette aveva avuto il pessimo tempismo di frapporsi nuovamente tra loro e la tedesca era stata colpita da un sinistro degno di un pugile professionista dell’italiana, finì per colpire la credenza ed infrangere il vetro di una delle ante con il gomito destro.

 

Benjamin Price 04 Marzo  ore 08:38 AM

 

Colette! Oh mio Dio! E’ ferita! Sta perdendo del sangue.

 

Martina Maroni 04 Marzo  ore 08:38 AM

 

No… non può essere successo… non posso aver fatto questo… non di nuovo… non posso! Non posso averlo fatto di nuovo! Come ho potuto? Sono davvero quel tipo di cattiva ragazza? Sono davvero come mi ha detto lui? Sono davvero quel pessimo elemento? Come? Come? COME?

 

Quando il gruppo entrò nella stanza Benji era accanto all’amica, che, pallida come sempre, stringeva i denti sostenendo il gomito sanguinante. La tremante Martina, invece, era in lacrime di fronte alla finestra e guardava terrorizzata il sangue che usciva dalla ferita della tedesca.

- Maledetta italiana!- gridò Benji, guardandola con occhi iniettati di odio- Come hai potuto farle una cosa del genere!

- Non volevo…- sussurrò, portando le mani al volto mentre gli altri correvano a soccorrere la sedicenne.

Solo Tom, sveglia dal baccano causato dall’evento, era distante da loro e guardava Martina con occhi dispiaciuti.

Fece per avvicinarsi, ma lei fu più rapida. Corse in direzione della porta e, nel corridoio, si diresse verso l’ingresso e fuggì via da quella casa, luogo in cui aveva compiuto nuovamente un misfatto.

Tom fece per inseguirla, ma poi posò gli occhi su Colette, ora tra le braccia di Benji, e comprese che era meglio che Martina restasse sola per un po’. Aveva bisogno di assorbire l’impatto del suo gesto e trovare il coraggio di guardarli di nuovo in faccia. Non immaginava che per lei quell’evento era più traumatizzante di quanto potesse immaginare. Non sapeva cosa era accaduto a Martina prima del suo arrivo. Non sapeva che era tutto collegato.

- Mi sembra piuttosto grave- disse Benji, osservando il gomito trafitto dell’amica- Io la porto al Pronto Soccorso.

Tutti si fecero da parte mentre Benji passava, ma non Tom, che rimaneva fermo sulla porta d’ingresso, dando le spalle al portiere e alla ragazza che lui trasportava.

- Spostati Tom. Dobbiamo passare- disse, gelido.

Il centrocampista si spostò senza una parola ma guardò Benji con aria dispiaciuta.

- Mi dispiace…- disse all’amico.

- Mettile la museruola, piuttosto. Quella è pazza. Te lo dico da un sacco di giorni, Tom. Lasciala perdere.

- Nonostante il suo gesto, Martina rimane la ragazza di cui sono innamorato e sono certo che non ha colpito Colette di proposito.

- Di proposito oppure no, ha ferito Colette. Mi basta questo per odiarla.

Detto questo il portiere uscì come una furia e sbattè la porta in faccia all’ex compagno di squadra.

 

Patty e Holly, affiancati da Roberto, stavano di fronte al ministro dei trasporti, Kaede Nagashima, mandata in rappresentanza dello stato per l’arrivo delle salme dei coniugi Hutton e Gatsby.

- Mi spiace moltissimo per i vostri genitori- disse la donna, stringendo prima la mano di Holly e poi quella di Patty- Vi assicuro che l’intero Giappone vi è accanto in questo momento di difficoltà, ragazzi.

Detto questo, il ministro e la delegazione si allontanarono dal piccolo gruppo.

Roberto guardò i volti dei due orfani poi passò un braccio attorno alle spalle di ognuno e disse:

- Dobbiamo andare a firmare qualche documento per la consegna dei corpi poi dobbiamo partire per Fujisawa e organizzare… se volete, posso farlo io per voi. Non c’è alcun problema.

- No. Ce la caveremo. Vero Holly?

Il ragazzo guardò la ragazza per la quale aveva rischiato la vita e sorrise.

- Sì. Insieme ce la faremo.

 

- Sei stata davvero molto coraggiosa- disse Benji sorridendo alla ragazza dai capelli chiarissimi.

Erano all’interno di una stanza del Pronto Soccorso e stavano attendendo la documentazione necessaria per lasciare la struttura ospedaliera.

Fortunatamente li avevano fatti passare immediatamente per via dell’emorragia e adesso, dopo averle fatto diverse radiografie, estratto i vetri e messo una serie di punti al gomito, Colette stava visibilmente meglio e, aiutata da Benji, stava indossando il tutore che avrebbe dovuto sostenere il suo braccio per un paio di settimane.

- Non ho fatto nulla di speciale- disse, tenendo lo sguardo basso mentre lui, dietro, le aggiustava il tutore.

- Nessuna persona l’avrebbe fatto per me. Mi guardano e poi si dicono “ma chi lo riuscirebbe a mettere KO un tipo come quello?”, così preferiscono darsela a gambe, lontano dai miei pugni.

- Si vede che non ti conoscono.

- Perché dici così?

- Io non scapperei mai di fronte a te, neanche nel momento di maggiore collera- fece lei, arrossendo- Insomma… so che sei un ragazzo giusto, un tipo che non mena le mani senza un ottimo motivo. Inoltre… io so non mi faresti del male. Me l’hai ampiamente dimostrato. Si vede benissimo che ci tieni alla mia incolumità e non vuoi che qualcuno mi faccia del male.

Benji si sentì avvampare a sua volta. Era stato davvero così cristallino? Aveva davvero dimostrato di tenere a lei in un modo così palese?

- Sai…- continuò la tedesca- quando oggi Martina ha detto quella cattiveria sul mio conto ho creduto che volessi ucciderla.

- Non nominarla neanche quella stronza. Guarda come ti ha conciata- disse, indicando il livido nerastro che si stava allargando sotto il suo occhio sinistro.

- Non attaccarla così duramente. Non è poi così grave…

- Ma ti ha fatta del male- fu la secca risposta del portiere.

- E’ stato un incidente, Benji. Poteva capitare a chiunque.

- Non le perdono di averti fatto del male.

Colette annuì, sapendo perfettamente che il portiere era davvero furioso e niente sarebbe riuscito a smuoverlo dalle sue intenzioni.

- Va bene- sussurrò lei, scendendo dal lettino in modo tale da sentire come il tutore le avrebbe limitato i movimenti.

 

Colette Montgomery 04 Marzo  ore 10:26 AM

 

Io non me la sento di odiarla come fa lui. E’ stato un caso che io finissi contro quella credenza e mi facessi male. Ahi! Certo che fa male! Ma non devo mostrarlo. Benji è già talmente preoccupato… litigare con Martina non deve piacergli molto, a giudicare dalla faccia. Sembra quasi triste… sì, deve essere dispiaciuto per il battibecco con Martina. Certo che lei ha esagerato. Come fa a trovare così tanti motivi per litigare? E poi perché prende di mira soltanto Benji? Che voglia attirare la sua attenzione su di sé? No, ma cosa sto pensando! Lei è la ragazza di Tom e sembrano molto affiatati. E’ impossibile! O forse sì? E’ possibile che anche lei si sia accorta del modo in cui lui la guardava e che abbia deciso di giocare con lui ed i suoi sentimenti? Possibile che Martina sia così falsa? Oh, ma cosa sto pensando! Sono davvero una stupida. E…  gelosa? Possibile che io sia gelosa di lei, con quel suo carattere tutto strano e le sue maniere ben poco femminili? No, sono gelosa della sua bellezza, di quello strano mix di mistero e luce che la avvolge e la rende appetibile ai ragazzi, ecco di che cosa sono gelosa. Insomma, lei non è una specie di maxi stuzzicadenti piatto e pallido. Ha i colori del sole e della salute mentre io… io sono solo una che è a malapena uscita dall’anoressia, abbandonata dalla madre e innamorata di un ragazzo che non mi guarderà mai con occhi differenti da quelli di un apprensivo fratello maggiore. E’ questa la realtà. Lui mi considera una sorellina da proteggere, non certo una papabile ragazza con cui uscire o andare al cinema. Io sono solo una fragile ragazza che gli è stata affidata dal presidente del suo club per farle fare un viaggio e liberarla per un po’ dall’opprimente clima familiare, soprattutto ora che lui ha trovato una nuova donna da amare.

 

- Colette… qualcosa non va?- le chiese il portiere, che aveva notato le lacrime che inavvertitamente la tedesca si era lasciata sfuggire.

Lo guardò sorpresa, poi si asciugò il fretta il volto e sorrise:

- Non è nulla.

- Colette, non dimenticare che se vuoi parlare di qualcosa, io sono sempre pronto ad ascoltarti. Come hai detto tu, ci tengo alla tua incolumità ma allo stesso modo desidero vederti felice. Sai… anche ieri mattina stavi piangendo, naturalmente nel sonno, e questo mi preoccupa. Cosa succede? Sono stato per caso io a farti soffrire? Perché se è così… mi dispiace averti fatta soffrire e vorrei ovviare in qualche modo.

Colette sorrise.

- No, non è affatto colpa tua.

- Allora di chi è? Di Martina?

- No. Non è sua. La colpa è di me stessa e delle mie incertezze. Sono solo pensieri sciocchi, non farci caso.

 

Benjamin Price 04 Marzo  ore 10:27 AM

 

Se non vuole parlarne non la costringerò a farlo. Speriamo solo che non sia qualcosa di grave…

 

Il silenzio cadde tra i due ragazzi e solo il medico che portò loro la documentazione del Pronto Soccorso fu in grado di rompere quell’imbarazzante parentesi di mutismo.

 

- Basta! Io vado a cercarla- sbottò Tom, guardando l’orologio che oramai segnava l’una passata- E’ uscita da più di quattro ore. Non è normale.

Erano tutti seduti in salotto, dove Colette occupava il divano con Benji e Sylvia.

Gli altri guardarono Colette, poi Benji ed infine Tom. Se la prima sembrava imbarazzata ed il secondo aveva lo sguardo da belva indemoniata, Tom era triste e palesemente nervoso.

- Aiutiamolo- disse Bruce- Che cosa stiamo aspettando? Dividiamoci in gruppo e andiamo a cercarla. E’ un’italiana in una città giapponese. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essersi persa.

- A me non importa. Che torni a casa da sola quella figlia di puttana. Se fosse per me, potrebbe anche andare a buttarsi giù da un ponte. Non m’importa minimamente di dove diavolo sia andata a cacciarsi quella bastarda.

Naturalmente il parere contrario veniva dall’infuriato Benji, che adesso aveva la mano sinistra di Colette sul braccio e gli occhi glaciali della tedesca puntati su di lui in segno di rimprovero.

Tom, il pacato e calmo Tom, guardò con disprezzo il portiere, poi si alzò ed uscì dalla casa sbattendo la porta.

- Non ho mai visto Tom così incavolato- disse Bruce alla sbalordita Sylvia- Ma ha ragione. Hai esagerato Benji. Persino Colette non ce l’ha con Martina. Perché tu, invece, fai tutto questo polverone?

- Non se se ricordi che Colette ha dovuto mettersi quaranta punti e dovrà portare il tutore per altre due settimane. E le è andata bene. Per quanto ne so, avrebbe potuto ammazzarla con un pugno simile. E’ una sconsiderata e non intendo cambiare opinione. Non voglio più vederla.

Raiden e tutti i ragazzi, tranne Colette e Benji, si organizzarono in gruppi di ricerca e, lasciati a casa Amy e Julian ad attendere Patty, Holly e Roberto, uscirono alla ricerca dell’italiana.

 

Quando Holly e Patty giunsero a casa, trovarono gli abitanti tutti in fermento.

Colette era sul sofà, con un livido in volto ed un tutore a sorreggerle il braccio destro e Benji era al suo fianco, che squadrava tutto e tutti con aria truce; la credenza aveva un anta dal vetro rotto e insanguinato, con vetri, cocci e schegge sul pavimento; in cucina c’erano soltanto Ami e Julian, seduti al tavolo.

- Cosa è successo in salotto?- chiese Holly.

- Martina e Benji si sono presi a pugni. E di mezzo c’è andata Colette. Le hanno messo quaranta punti e dovrà portare il tutore per una settimana. In compenso Martina è scappata e non sappiamo dove sia andata a finire. Gli altri sono fuori a cercarla mentre noi restiamo qui ad aspettarla e difenderla.

- Difenderla?- chiese Patty.

- Sì- fu la risposta di Amy- Benji la vuole squartare. E’ stata lei a  colpire Colette con il pugno che le ha fatto colpire la credenza.

- Benji non è tipo da esagerare.

- Infatti, ma per Colette è diverso- fece Julian, facendo l’occhiolino ai due per far intuire cosa rendesse diversa la situazione- Holly, quell’italiana e Benji non vanno assolutamente d’accordo.

- Cosa vuoi che faccia? Cacciare uno dei due?

- No. Ma tu devi iniziare l’allenamento. Porta Benji con te il più possibile. Lo stesso farà Tom con Martina. Lui crede che Martina non stia bene per qualche ragione. Ha paura che ci sia molto di più.

I due annuirono, poi si sedettero sulle sedie.

- Roberto arriverà tra un paio d’ore con le bare. Dovremo liberare il salotto. E’ l’unica stanza che può contenerle tutte e quattro e nella quale avanzi anche un po’ di spazio. Ma adesso non me la sento. Soprattutto con Benji in quello stato- fece Patty, passandosi una mano sugli occhi.

- Ci penseremo noi. Voi due riposatevi. Anzi, vi prepariamo il pranzo.

La gentile proposta di Amy le fece guadagnare un sorriso da parte dei due orfani, grati all’amica per l’aiuto che, assieme a Jenny, stava fornendo a Patty sia sul piano psicologico che su quello pratico.

 

Oliver Hutton 04 Marzo  ore 02:43 PM

 

Che guaio! Colette ferita, Benji infuriato e l’imprevedibile Martina in piena fuga. E dobbiamo anche organizzare i funerali. Eh sì, saranno giorni davvero molto pesanti per me e Patty.

 

Patricia Gatsby 04 Marzo  ore 02:43 PM

 

Martina, perché l’hai fatto? Cosa ti ha spinto ad arrivare alle mani con Benji? Che cosa ti passava per la testa?

 

Martina Maroni correva da ore per le vie, piangendo disperata. L’immagine di Colette ferita era stampata nella sua mente e non voleva togliersi dai suoi occhi. Era troppo. Non poteva più stare con loro.

 

Martina Maroni  ore  02:08 PM

 

Come ho potuto? Come? Anche l’altra volta… anche quella volta è stato lo stesso. Io volevo solo scherzare. Non volevo farle del male. Non volevo che andasse a finire così. Non era mia intenzione ferirla.

 

Intanto la pioggia iniziò a scendere dal cielo, prima lenta e rada, poi sempre più forte e fitta, fino a tramutarsi in un vero e proprio temporale.

Stanca e bagnata, Martina si sedette su un altalena in un parco giochi, con lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime che si mescolavano alla pioggia e rimase lì per diversi minuti, incurante del tempo che scorreva e della pioggia che diveniva sempre più violenta.

Fu una mano a svegliarla dai suoi pensieri.

Guardò chi l’avesse disturbata ed incontrò gli occhi castani di Tom, il quale, in lacrime, si era messo accanto a lei.

Neanche lui aveva qualcosa per ripararsi dall’acqua ma non sembrava essere disturbato dalla pioggia. Era concentrato su di lei e sulla disperazione che traspariva dai suoi occhi sotto forma di lacrime.

- Non volevo deluderti- sussurrò.

- Lo so che non l’hai fatto di proposito.

- E’ meglio che torni in Italia…

- Non dire sciocchezze…

- E non è tutto. Tom, tu sei un ragazzo stupendo ed io ti amo moltissimo… ma non può funzionare tra noi. Dimenticati di me. Cambierò scuola e tu non mi vedrai più. Presto sarai di nuovo felice, magari in una squadra di maggior prestigio. E con una ragazza migliore al tuo fianco.

- Tu sei la migliore.

- Io ho la fedina sporca. Ti rovinerei la vita.

- Solo per quell’incidente?

Martina puntò i suoi grandi occhi nei suoi e, furiosa, disse:

- Tu non sai niente di me! Tu non sai quello che è accaduto! Tu mi conosci da pochi mesi, Tom, e non sai quello che ho fatto. Non sai che bambina ero né che ragazzina ero qualche anno fa. Tu non sai nulla del mio passato.

- Allora dimmelo tu.

- No. Non posso.

- Perché no?

- Non posso farlo. Mi odieresti.

- Ho il diritto di saperlo.

- Questa è la fine del nostro discorso. Adesso ti ho riferito tutto ciò che avevo da dirti. Addio Tom.

Detto questo, la ragazza fuggì via, lasciando Tom sotto la pioggia, sbigottito e disperato allo stesso tempo.

 

Tom Becker 04 Marzo  ore 03:27 PM

 

Martina… cosa ti è successo? Che cosa mi nascondi? Perché mi hai trattato in questo modo? Vuoi davvero che tra noi finisca così? Non puoi! Non puoi farlo! NON PUOI LASCIARMI IN QUESTO MODO! Non puoi lasciarmi per colpa di Benji! Non puoi farlo! NON PUOI FARMI QUESTO!

 

Il grido di Tom si levò nell’aria e fu udito anche dall’italiana, ma non si fece intenerire. Doveva andarsene dal Giappone. Per il bene di Tom, lei doveva lasciarlo. Il suo problema più impellente era quello di trovare il denaro per tornare in Europa. A malincuore si diresse verso casa Gatsby per recuperare i suoi bagagli.

 

La porta di casa Gatsby si aprì con un colpo che fece sussultare tutti i presenti in cucina, poi si udirono passi rapidi per il corridoio ed il grido di Colette.

Holly, Patty, Amy e Julian si precipitarono in salotto e videro Tom seduto sopra a Benji, con una mano alla gola del portiere e l’altra chiusa a pugno, che calava aritmicamente sul volto dello sbalordito Benji.

- Tu!- gridava Tom, in preda alla furia cieca- Tu me l’hai portata via! E’ stata tutta colpa tua! Sei stato tu a farle del male! E’ tutta colpa tua se lei mi ha lasciato! Sei stato tu a farlo, Benji! Ti odio!

Holly e Julian, sbalorditi, corsero da Benji per portare via l’infuriato centrocampista, ma solo quando intervennero Patty e Amy riuscirono a permettere al portiere di alzarsi e prepararsi ad attaccare il centrocampista.

- Ma cosa ti salta in mente?- ringhiò il tedesco, pulendo il sangue che macchiava il suo mento.

- L’hai fatta andare via! Martina vuole tornare in Italia solo per colpa tua! Mi ha lasciato per colpa tua, Benjamin Price!

Fece per dargli un altro pugno quando una persona si parò a difesa di Benji e prese il colpo per lui: era Martina, bagnata fradicia e con gli occhi gonfi, che lo guardava con aria dispiaciuta dal pavimento.

- Non è per lui che lo faccio- disse, alzandosi in piedi.

- Allora perché? Che cosa significa?

- Mi odieresti. Anzi, tutti voi mi odiereste se ve lo dicessi.

- Posso parlarti?

La voce sottile di Colette sorprese tutti. Con calma si avvicinò ed inginocchiò accanto alla ragazza.

- Io non ho avuto paura di esporre il mio problema perché sono consapevole di essere tra amici. Capisci? Nonostante io mi vergognassi di ciò che avevo fatto, loro mi hanno accettata per ciò che sono e non mi hanno giudicata. Tu stessa sei stata molto socievole sin dal nostro primo incontro. Non puoi proprio dirci perché stai così male?

 

Martina Maroni 04 Marzo  ore 03:34 PM

 

Come? Come può essere così gentile nei miei confronti? Io le ho fatto del male ma lei mi vuole ancora bene. E’ mia amica nonostante le mie parole offensive. Sì, ha ragione lei. Devo dirlo. Devo confessare il mio reato più grave e far luce su questo mistero. E’ loro diritto sapere. Tom… spero solo che grazie a questo racconto tu capirai come io potrei nuocere alla tua carriera. Avevo quasi rimosso quell’evento, ma oggi tutto è tornato vivo ed attuale. Sono pronta a confessare il mio crimine.

 

- Come puoi dire una cosa simile a me, quella che ti ha fatto del male?

- Sei mia amica, ricordi?

Martina sorrise a Colette, poi si alzò.

- Vi racconterò tutto. Ma non sarà un bel racconto.

Martina prese il fiato poi iniziò.

- E’ iniziato tutto quando avevo tredici anni. Mi sono innamorata di un ragazzo di un paio d’anni più grande. Stavamo insieme da un anno quando lui mi disse che aveva deciso che dopo il diploma del terzo anno avrebbe lasciato la scuola. Non sarebbe andato a lavorare, però. Lui aveva scelto l’esercito ma era ancora indeciso per via di me. Eravamo molto innamorati. Io non volevo che se ne andasse e glielo dicevo spesso. Questo ha portato al logoramento del nostro rapporto, tanto che alla fine ci lasciammo. Io ero furiosa perché ero ancora innamorata di lui. Un giorno di marzo, mentre facevo la babysitter a sua sorella, litigammo selvaggiamente ed inavvertitamente colpii sua sorella. Lei finì in mezzo alla strada e fu investita. L’impatto le è stato fatale e lui non mi ha mai perdonata. Anzi, ora è in riformatorio proprio perché, per vendicarsi, lui ha tentato di uccidermi per quello che ho fatto. Ma aveva ragione a volerlo fare. Io ho ucciso quella bambina. Ecco di che cosa ho paura. Sono un’assassina.

- Avevi paura di essere odiata da noi?- chiese Patty.

Martina annuì, mentre le ragazze la guardavano con affetto.

Benji si avvicinò a lei con aria truce.

- Non sprecherei anni preziosi della mia carriera per uccidere una mosca come te, Martina Maroni- fece Benji, nascondendo a stento un lieve sorriso- Credo che sia meglio perdonare il tuo gesto non intenzionale, ma ricordati di non osare più insultare Colette, sono stato chiaro?

Martina annuì, poi lasciò che gli altri la abbracciassero.

L’unico a non farlo fu Tom.

Martina si avvicinò a lui e, preso il ragazzo per mano, lo portò al piano di sopra, in una stanza per avere un po’ di privacy.

- Tu hai paura che io possa lasciarti e questo, unito all’incidente con Colette, ti ha fatto tornare in mente questa storia?- fece lui non appena la porta fu chiusa.

- Sì.

- Dovevi dirmelo.

- Non volevo essere un peso. Ho già rovinato una vita con i miei capricci.

- Martina, quel tizio la vita se l’è rovinata da solo. Tu non hai colpa.

- Ho ucciso una bambina.

- Eri tu stessa poco più di una bambina e non l’hai spinta sotto quell’auto di proposito. E’ stato un incidente.

- Ma la bambina è morta!

- Colette però non è morta. Lei sta bene e prestissimo starà meglio.

- L’ho ferita.

- Non volevi farlo. Non essere così severa con te stessa.

- Devo esserla. Ho sbagliato e devo pagare il fio.

- No. Devi tornare a vivere e a fidarti di chi ti vuole bene. Per prima cosa devi rimangiarti ciò che hai detto al parco sul fatto che la nostra storia è finita. Non devi dire mai più che vuoi lasciarmi per il tuo passato. Io ti amerei anche se fossi un gerarca nazista. Sei la mia Martina e non importa il tuo passato senza di me, ma la vita insieme. Ti amo.

- Anche io ti amo. Oh Tom!

Abbracciò con forza il centrocampista e si baciarono tra le lacrime. Pian piano i baci si fecero sempre più roventi e desiderosi. Caddero sul letto con dolcezza e, tra carezze e baci, fecero per la prima volta l’amore.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: La Teoria del Caos ***


Capitolo 10

Capitolo 10

La Teoria

Del Caos

 

Nota dell’autrice: finalmente siamo arrivati al capitolo in cui si svolgerà il funerale e, direte voi lettori, era ora. Non è da tutti scrivere capitoli interi di attesa ad un funerale.

Ah, naturalmente mi scuso per i ritardi astronomici che, ammetto, ormai sono un’abitudine per questa fanfiction.

 

- Zia Kat!- esclamò Patty, correndo verso la donna appena scesa dal taxi.

Una donna dai lunghi capelli rossi era appena scesa dal mezzo e stava scaricando i bagagli quando la nipote l’aveva notata dalla finestra del salotto.

Bruce guardò con attenzione la donna alla quale Patty si stava stringendo. Era una donna sulla trentina, alta e sottile, con lunghissimi capelli rosso fiamma e occhiali scuri. Il lungo vestito rosso che indossava era in netto contrasto con il nero completo indossato dalla nipote e dalla maggior parte dei presenti.

Le due donne, mano nella mano, percorsero il breve tragitto che separava la cancellata dalla porta d’ingresso, aiutate dal solerte tassista che trasportava il bagaglio della donna.

Dopo aver pagato all’uomo la cifra dovuta, la donna seguì la nipote nel salotto gremito di ragazzi, dando loro l’occasione di notare altri particolari del suo aspetto, come le lunghe dita con le unghie colorate dello stesso rosso e la presenza di una smagliatura sulle calze nere.

- Ragazzi- disse Patty- Vorrei presentarvi la sorella minore di mio padre, Katherine Gatsby.  Lei è una giornalista per il Times e lavora a Londra. Zia Katherine, questi sono i miei amici più cari. Loro abitano con Roberto, Holly e me, almeno per questo delicato periodo. Non t’infastidisce, vero zia?

La donna annuì poi sorrise e, con grazia, si sfilò gli occhiali da sole. I grandi occhi blu, illuminati da un sorriso disarmante, lasciarono senza fiato più di un esponente del sesso maschile.

- Sono felice di conoscervi, ragazzi- disse la donna, con un forte accento inglese- Sono felice di fare la vostra conoscenza. Nonostante i nostri incontri siano molto limitati, mia nipote mi ha parlato spesso di voi.

Katherine sorrise in direzione di Holly, che arrossì di fronte allo splendido sorriso della zia della sua Patty.

- Tu devi essere Oliver Hutton- disse la donna, prendendo la mano destra di Holly tra le sue- Ti ringrazio infinitamente per aver salvato mia nipote. Spero che adesso che non puoi più giocare a pallone ti decida presto ad accorgerti che lei ti muore dietro da quando era un maschiaccio.

La schiettezza fece scoppiare a ridere i presenti, facendo passare i diretti interessati dal colorito normale al viola acceso.

- Si sono già dati una mossa, signora Gatsby- disse Bruce, ridacchiando come un pazzo.

- Come osi?!- disse lei, guardando con aria assassina colui che aveva parlato- Come puoi chiamarmi signora?! Vedi per caso qualche stupido anello sul mio anulare sinistro, ragazzo impertinente?

Lo stupore gelò l’auditorio e solo una fragorosa risata di Katherine riuscì a scioglierlo e far ridacchiare qualcun altro, tra cui spiccava l’immancabile Martina.

- Scherzavo, piccoletto! Mamma mia come sei suscettibile! Tesoro, non mi avevi detto che uno dei tuoi amici era un ragazzo bassino con un pessimo senso dell’umorismo. Non sarà per caso quel piccolo rompiscatole di Bruce Harper? Come avrete capito la sottoscritta non è sposata ed è anche piuttosto suscettibile a chi la chiama signora. Per voi sono la signorina Katherine o, se preferite, semplicemente Kat. Non sopporto che mi si chiami “signora” e, soprattutto, non dovrete mai chiamarmi “Kathy”. Trovo sciocchi e poco simpatici i diminutivi troppo vezzosi o i nomignoli cretini, quindi non osate rivolgervi a me con parole del genere ed andremo perfettamente d’accordo.

Patty guardò allarmata la zia, poi rivolse uno sguardo al volto rosso di Bruce, che sembrava tutt’altro che divertito dalle battute pungenti della zia.

 

Patricia Gatsby 05 Marzo  ore 08:32 AM

 

Forse avrei dovuto fare un discorsetto a zia Kat prima di farla entrare. E’ qui da pochi secondi e già ha messo in imbarazzo me, Holly e Bruce. Lo so che le piace molto mettere in imbarazzo gli intervistati, che il suo carattere è a dir poco particolare ed ha un fiuto fin troppo raffinato per lo scoop… ma non vorrei che si facesse troppe idee sbagliate sul nostro conto o che vi costruisse sopra una complicatissima trama da romanzo. Con la fantasia che ha, potrebbe immaginare che in questa casa accada chissà cosa. Per non parlare della sua esagerata schiettezza ed i commenti pungenti che è solita fare. Speriamo che si trattenga dal farli… e che resti qui il meno possibile.Già siamo parecchio incasinati e non vorrei che la sua presenza rendesse la situazione ancora più instabile.

 

Bruce Harper  05 Marzo  ore 08:32 AM

 

Ed io che pensavo di aver conosciuto la persona più pazza del mondo quando Tom ha presentato quella svitata della sua ragazza! Questa è addirittura peggio! E pensare che è addirittura imparentata con Patty! E poi come si permette? Mi ha chiamato piccoletto! Io non sono un piccoletto! No, non mi piacciono affatto le persone di questo genere. Almeno Martina è quasi sempre coerente con se stessa.

 

La donna sorrise ai ragazzi, osservandoli uno alla volta.

 

Katherine Gatsby 05 Marzo  ore  08:32 AM

 

La mia cara nipotina… è un po’ sciupata ma è probabile che sia dovuto al lutto. Per il resto sembra a posto. Il suo ragazzo sembra simpatico e non è neanche male. Muscoli e sorriso sulle labbra. Sì, ha scelto bene, anche se deve essere parecchio tonto per capire che la mia piccola Patty gli correva dietro dalla quinta elementare. E se la usasse solo come surrogato della palla? Niente palla allora passiamo alle bocce… ah, ma che discorsi sto facendo?! Sto pensando a mia nipote che si fa usare come un fazzoletto di carta da un fissato con il pallone! E’ ancora molto giovane… certo che è anche cresciuta molto e non sembra affatto una tavola da surf, lui è un ragazzo con gli ormoni in subbuglio, non hanno più il controllo di un adulto… e se dormissero nella stessa stanza? E se avessero già fatto sesso? E SE MIA NIPOTE FOSSE INCINTA DI QUEL CALCIATORE AZZOPPATO!!!! Ma cosa diavolo vado a pensare! Lei non è stupida… e poi io sono una zia moderna che ha avuto la sua prima esperienza a quattordici anni. Non posso biasimarla se per caso volesse darsi alle attività del letto. Voglio solo assicurarmi che prenda le dovute precauzioni. Questi calciatori spesso usano sostanze stupefacenti e si iniettano sostanze proibite con delle siringhe che si passano da mano a mano. Potrebbe essere sieropositivo o addirittura un malato di AIDS. Avranno fatto certi controlli nell’ospedale in cui era ricoverato? E se non li avessero fatti? Mia nipote rischia molto avendo una relazione con lui. Sì, devo proprio farle un discorsetto sulla pillola e sul preservativo.

Certo che, ora che li guardo meglio, gli amici di mia nipote sono davvero vari. Alcune sono addirittura occidentali.

Quella dai capelli rossicci mi è già simpatica. Sa stare allo scherzo, o almeno sembra così, e sprizza felicità da tutti i pori, anche se quel naso schiacciato la rende un po’ bruttina. Una rinoplastica la farebbe diventare una ragazza stupenda. Certo che adesso la sua  bellezza è  smorzata da quel palo telefonico che a malapena respira che le stringe la mano. Mai visto un diciassettenne così ingessato. E’ carino fisicamente, ma non sembra davvero umano, con quel sorrisetto idiota stampato in faccia. Quella biondina accanto a quel muro di muscoli dall’espressione di pietra, invece, sarebbe una ragazza carina se avesse qualche chilo in più e si facesse una bella plastica a quelle tettine davvero esigue. Altro che coppa di champagne! Quelle starebbero comodamente in una sola  tazzina da caffè! Inoltre quell’energumeno che le sta accanto l’hanno messo lì per trattenerla in caso tiri vento. Magari si è fatta male perché la tramontana l’ha spinta contro qualche muro. Il tappetto dalla faccia scimmiesca che non sa stare allo scherzo non mi piace per niente. Sembra poco sveglio e quando ride o si irrita diventa talmente brutto che sarebbe meglio non incontrarlo in una strada poco illuminata. Quei due spilungoni che stringono a loro le ragazze più composte che abbia mai visto mi sembrano svegli ma… non so, non mi convincono al cento per cento. Sembrano anche loro piuttosto ingessati e magari non hanno il coraggio di toccare quelle due ragazze graziose che hanno accanto. Certo, non sono delle grandi bellezze, ma in certi casi è necessario sapersi accontentare. La  ragazza che sta appiccicata al vecchietto non mi piace. Che stiano insieme? Ma no! Mia nipote non prenderebbe mai in casa un vecchio pervertito con la sua eccitante lolita proveniente dall’ovest. Mi pare di aver osservato tutti…  ah, dimenticavo quel fenomeno da circo che ancora non si è tolto gli occhiali da sole e sembra incazzato quanto il muro di muscoli. Che non mi voglia qui? Io sono venuta a prendermi mia nipote e onorare la memoria di mio fratello, nulla di più. Certo che mi guarda male… se non sapessi che è impossibile direi che è un maniaco che si nasconde qui perché ricercato dalla polizia per aggressione. O magari uno che si diverte a guardare i giovani fare sesso… ma cosa diavolo mi viene in mente?! Va bene che sono una giornalista, ma non per questo devo immaginare che in casa del mio defunto fratello sia stato allestito un bordello! Certo che l’immagine sarebbe proprio quella. Due uomini, sei ragazzi e sei ragazze che abitano nella stessa casa, anche se si tratta solo di una situazione temporanea, sono quantomeno sospetti. Se invece anche io restassi qui… sì, la situazione potrebbe normalizzarsi. Peccato che io lavori a Londra… vorrà dire che sarà Patty a stabilirsi da me. Sarà doloroso lasciare questa casa e il suo ragazzo un po’ tonto, ma dovrà farlo. Io ho una vita a Londra, e non posso certo modificarla solo perché devo prendermi cura della mia nipotina quasi adulta. Tra un anno, se vorrà, potrà tornare in questa casa, ma fino ad allora dovrà stare da me. Non so come farò a dirglielo… ma dovrò farlo e dovrà accettarlo senza fare inutili scenate. Nulla potrebbe trattenermi in Giappone per più di due settimane. Non esiste nulla che potrebbe farmi abbandonare carriera e successo per restare in una cittadina da cui sono scappata quando avevo solo quindici anni.

 

Benjamin Price 05 Marzo  ore 08:32 AM

 

Questa donna deve essere simpatica… ma non mi piace il modo in cui ci sta studiando con lo sguardo. Sembra un entomologo davanti ad una nuova specie di farfalla. Speriamo che non ci siano problemi…

 

- Zia, sarai stanca. Il volo da Londra deve essere stato faticoso. Vieni con me- disse Patty, prendendo per mano l’alta zia e conducendola al piano superiore, verso la stanza da letto a lei assegnata.

 

- Zia Kat, sei pregata di non fraintendere la situazione- disse Patty, decisa, non appena la porta della stanza si chiuse alle sue spalle- Ti conosco bene e so cosa stai pensando adesso, quindi ti chiedo di parlare con me prima di fare domande sciocche o ferire i miei amici con la tua curiosità. Lo so che lo fai per il mio bene, ma io faccio questo perché voglio difendere i miei amici, quindi devi fare a me tutte le domande che vorresti fare a loro ed evitare di avere delle conferme dai diretti interessati.

La donna sorrise alla giovane, riconoscendo la sua stessa determinazione nella figlia del fratello.

- Va bene Patty- disse, sedendosi sul letto e facendo cenno alla nipote di fare altrettanto- Affronterò questo discorso mentre mi cambio, così non sprecherò tempo prezioso. Allora… fino a che punto ti sei spinta con quel bel ragazzo che hai?

La domanda era stata formulata con tranquillità e Patty, nonostante l’imbarazzo per l’argomento affrontato dalla zia, non arrossì.

 

Patricia Gatsby 05 Marzo  ore 08:35 AM

 

Adesso si balla… speriamo solo che non si sia fatta troppe fantasie…

 

Katherine Gatsby 05 Marzo  ore 08:35 AM

 

E’ giunto il momento della verità.

 

-   Soltanto fino ai semplici baci, zia. Abbiamo deciso di comune accordo di aspettare prima di andare oltre.

-   Ne sono felice. Potrebbe essere malato…

-   Oliver non è malato.

-   Ha fatto delle analisi del sangue recentemente?

-   Lui ci tiene alla salute e le ultime analisi gli sono state fatte un paio di mesi fa.

-   Fa uso di sostanze stupefacenti?

-   No.

-   In passato ha usato certa roba?

-   No, non lo farebbe mai perché, come ti ho già detto, è un ragazzo che cura molto la sua salute.

-   Ti ha mai forzata a fare cose che non volevi?

-   Holly non mi farebbe mai pressione su certi argomenti. Lui mi rispetta- disse Patty, indignata di fronte alle insinuazioni della zia.

-   Va bene. Per quanto riguarda il tuo ragazzo abbiamo finito. Adesso le domande sugli altri. Patty, chi è quel vecchietto?

-   Un amico di Bruce.

-   Piuttosto vecchiotto come amico.

-   Sarà in là con gli anni, ma Raiden ci aiuta moltissimo. Senza di lui saremmo ancora assediati dai giornalisti.

-   Va bene. E chi è quel tizio con gli occhiali da sole?

-   Roberto Sedinho, allenatore di Holly ai tempi delle elementari. E’ tornato qui per svolgere quel lavoro per la nuova New Team.

-   E’ sposato?

-   No.

-   Fidanzato?

-   No.

-   Convivente?

-   No, non ha relazioni con l’altro sesso.

-   E’ gay.

-   No! E’ single. Un banalissimo uomo eterosessuale che non ha legami con l’altro sesso e che vive sotto questo tetto con noi in quanto tutore di Holly fino alla maggiore età.

-   Capisco… Ha mai fatto pressione su di te o sulle tue amiche?

-   Roberto non ci farebbe mai del male, zia! E’ una persona dai sani principi. Forse è un po’ ossessionato dal pallone, ma non ha mai fatto del male ad una mosca e di certo non farebbe del male a noi!

-   E il vecchio ha rapporti con la ragazzina che abbracciava? Si è trovato un’amichetta davvero giovane. Per caso la paga?

-   Zia, tu sei ripugnante!

-   Ho indovinato?- chiese lei, sfoderando un sorriso smagliante.

-   Sei troppo maliziosa, Kat! Sylvia è la nipote di Raiden!

-   Sembra europea.

-   Lo è.

-   Come fa ad essere sua nipote?

Patty scosse la testa e sospirò, guardando la donna che faceva delle domande maliziose con l’aria da innocente pecorella.

 

Patricia Gatsby 05 Marzo  ore 08:41 AM

 

Ma che razza di fantasia ha! Pensa male di tutti quanti! Va bene essere curiosi e fantasiosi… ma qui stiamo sfiorando il ridicolo! Tra poco mi chiederà anche i certificati di nascita, tutti i documenti  e le cartelle mediche sin dalla prima visita della madre dal ginecologo!

 

Katherine Gatsby 05 Marzo  ore 08:41 AM

 

Ti ho per caso messa in imbarazzo, nipotina? Stai inventando una bugia per coprire qualche scandalosa storia di prostituzione? Che la figlia di quest’uomo abbia fatto il mestiere lungo i marciapiedi di Amsterdam o Parigi o Vienna, restando incinta di un uomo dal pessimo passato, magari un serial killer o un drogato? E se quella ragazzina fosse malata di AIDS? E’ pallida… E se anche la storia della nipote fosse una bufala e quella ragazzina, insieme alla mia Patty e agli altri, sia una lavoratrice di questa casa di appuntamenti? Uhm… il tizio con gli occhiali ha l’aria sospetta…

 

-   Zia, conosco quella faccia e sappi che non sto mentendo. Sylvia è nata dalla figlia e da un europeo.

-   Cosa ci fa qui?

-   Si è trasferita in Giappone.

-   Come mai non sta con i suoi genitori?

-   Sono morti quando era piccola.

-   Capisco… il nonno si prende cura della piccola orfanella…  E chi è la ragazza dai capelli rossi?

-   Martina, la fidanzata di Tom.

-   E’ straniera?

-   Italiana.

-   E’ incinta?

-   No!- disse Patty, scandalizzata-  E mi stupisco di te, zia Kat! Un po’ di grasso sulle ossa non significa che una è in stato interessante!

-   Qualcuna di loro è incinta?

-   No.

-   Chi è la biondina alta alta?

-   Un’amica di Benji.

-   Ha l’aria familiare…

-   Impossibile- disse immediatamente Patty.

-   Come mai quel bestione che sembrava la sua guardia del corpo sembrava intenzionato ad uccidermi con lo sguardo?

-   E’ normale che ti guardi così. E’ la sua espressione naturale.

-   Sono soddisfatta- disse la donna, sfilando la sottile camicia di seta, ultimo indumento che non fosse intimo- Sono felice che tu abbia voluto difendere i tuoi amici. Mi ricordi tanto mio fratello.

-   Strano… papà diceva che assomigliavo più a te che a lui.

- No, non mi assomigli affatto. Io sono più carina- disse la donna, facendo la linguaccia alla nipote.

- Ma io ho accalappiato il più bel calciatore del Giappone. Un ragazzo forte, gentile, incredibilmente bello e dolcissimo.

- La mia diagnosi è: pazza d’amore. E questo non va bene, soprattutto per una futura residente di Londra.

Detto questo, la donna uscì dalla stanza indossando solo il completo intimo.

Patty nascose il volto tra le mani e sospirò. Comprese allora che la miccia era stata accesa e presto la bomba sarebbe esplosa.

 

I ragazzi non parlarono: il volto distrutto di Patty fece intuire loro che era meglio non rivolgerle la parola per almeno un paio d’ore.

Amy, seduta in poltrona, si alzò in fretta, lasciando che la ragazza vi si buttasse sopra a peso morto mentre tutti, Holly escluso, uscivano dalla stanza per darle un po’ di tranquillità, stato impossibile per un gruppo così numeroso.

Holly si avvicinò alla ragazza con circospezione, sperando che non lo uccidesse per il solo fatto che respirasse troppo rumorosamente.

 

Oliver Hutton  05 Marzo  ore 08:47 AM

 

Patty… mia piccola Patty, chi è quella donna? Perché questa persona ti mette tanto a disagio? Non mi hai mai parlato di lei, tranne un paio di accenni. Come mai per te è così dura avere a che fare con quella donna? Sì, l’ho visto anche io che è strana… strana quanto Martina, ok, ma pur sempre un essere umano con cui condividi il DNA. Cosa ti fa del male?

 

Patricia Gatsby  05 Marzo  ore 08:47 AM

 

Holly… non mi guardare così. Non guardarmi come se aspettassi che io ti spieghi cosa è la zia Katherine. Perché non capisci? Perché non ti rendi conto che quella donna è… è simpatica sì… ma è quella che potrebbe dividerci. Non capisci che è lei la zia che ha la mia tutela? Non capisci che se lei vorrà, io dovrò andarmene a Londra? Io non voglio! Non voglio lasciarti! Vorrei che tutto questo fosse solo un brutto sogno. Non voglio lasciarti andare! Non voglio! Lei mi vuole strappare da questo luogo e da te! Io non voglio andarmene!

 

Patty lo guardò torva, senza dire una parola, fino a quando i suoi occhi si riempirono di grandi lacrime ed il ragazzo si gettò su di lei, stringendola con grande affetto.

Patty si strinse a lui con tutta la sua forza, sperando che quel momento fosse eterno e che la zia non decidesse di portarla via, se lei non lo desiderava.

 

Colette e Benji, dopo aver preso un maglione a testa, uscirono per la strada, decisi a fare una piccola passeggiata per lasciare un po’ di intimità ai ragazzi che ben presto avrebbero dato l’ultimo saluto a coloro che avevano dato loro la vita.

Colette camminava alla sua sinistra e il portiere aveva appoggiato la sua grande mano sulla sua schiena, quasi desiderasse guidarla ed essere pronto per proteggerla.

- Sei davvero molto buona- disse il ragazzo, guardando l’amica.

- Ti ringrazio infinitamente per le tue belle parole, ma non ho fatto nulla di speciale perdonando Martina. Il dolore che prova è già abbastanza.

- Sono fortunato ad avere un’amica come te.

- Sbagli. Sono io ad essere fortunata ad avere un amico come te. Non so come avrei fatto se non ci fossi stato tu a sostenermi.

- Non credo di essere così importante come dici. Ieri tu piangevi ed io l’ho capito cosa significava.

- Sbagli.

Benji, si parò rapidamente davanti a lei e le prese il volto tra le mani, sbalordendo la giovane, che arrossì violentemente.

- Dimmelo di nuovo ma questa volta guardami negli occhi. Sono stato io a farti del male, Colette?

- No.

- Allora cosa ti è successo? Anche l’altra mattina, prima di svegliarti, piangevi nel sonno. Sono preoccupato per te.

- Vuoi la verità?

Benjamin Price annuì.

- Sono io il problema. E’ tutta la mia vita ad essere un problema. Il mio essere stata incapace di tenermi una madre, il mio essere stata malata ed il mio contare troppo su mio padre e su di te sono i motivi per cui mi preoccupo.

- Tu potrai sempre contare su di me. Sarò sempre al tuo fianco…

- Almeno fino a quando non sceglierai una nuova squadra. Poi te ne andrai e finiremo per sentirci solo per sms a Natale e Pasqua.

- Sbagli. Io resterò sempre all’Amburgo.

- Ma poi? Quando la tua carriera finirà, tu tornerai qui.

- Potrei anche restare in Germania.

- Ma non sarebbe la stessa cosa.

- Perché?

- Perché un giorno o l’altro troverai una donna che amerai con tutto il cuore e sarai ricambiato. Allora io sarò un ostacolo tra voi, qualcosa che vorrai rimuovere al più presto. Come del resto sta facendo mio padre.

- Cosa vuoi dire?

- Si risposa. Mio padre ha trovato una donna da amare, una persona semplice e gentile che rimpiazzerà mia madre nel suo cuore. E per evitare problemi con la sua figlia sedicenne e complessata mi ha mandato qui con te, lontana dalla donna del suo cuore e dal suo nuovo matrimonio.

- Non lo sapevo. Ma non capisco cosa c’entri con me.

- Un giorno anche tu te ne andrai, magari con la bella e brillante Martina Maroni che mangi con gli occhi da quando siamo partiti dall’Italia ed io… io mi sento male al solo pensiero di perdere la tua amicizia e il tuo appoggio.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 09:04 AM

 

Oh mio Dio! Cosa mi è saltato in mente! Io… perché l’ho fatto? Perché mi sono esposta così tanto?

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 09:04 AM

 

Colette… dolce e cara Colette, come ho potuto ferirti in questo modo? Lo so benissimo che mi leggi dentro ed hai visto come guardavo Martina in questi giorni. E’ stato palese per te. E questo ti ha fatto male perché conti molto su di me, soprattutto in un momento simile. Certo, io non lo sapevo che tuo padre aveva fatto questo, ma avrei dovuto capire quanto fossi importante per te. Hai paura che tutti scelgano un’altra invece che te. In fondo è ciò che è accaduto: tua madre ha scelto la moda, tuo padre una nuova moglie, ed io… io stavo scegliendo Martina.

 

- Anche tu sei molto importante per me Colette. Sei molto importante.

- Ti ringrazio per queste belle parole, Benji. Ma sappiamo tutti e due che finirà tutto. La nostra amicizia finirà e quella ad uscirne ferita sarò io. Non voglio legarti a me usando le mie debolezze come un cappio… ma essere amici prevede anche l’essere sinceri l’uno con l’altra. Ed io non potevo nasconderti tutto questo. Non sono riuscita a tenermelo dentro e mi sto già pentendo di avertelo detto…

- Colette, adesso calmati. Sono stato cieco a non vedere quanto tu potessi starci male. Mi dispiace.

 

- Ehi, ma quello lì è Price! Vieni Maki, ti voglio presentare il più grande rompiscatole della nazionale giapponese.

Benji lasciò andare immediatamente Colette, imbarazzato e confuso per la sua reazione, e si voltò nella direzione da cui proveniva la voce.

Un giovane con un paio di jeans blu scuro ed una maglia nera attillata si avvicinava a loro, seguito a breve distanza da una ragazza dai capelli fulvi che le arrivavano alle spalle che indossava un lungo vestito nero. Entrambi avevano in mano dei piccoli bagagli.

- Che mi venisse un colpo! Mark Lenders!

- Ciao Price. Sono arrivato il prima possibile- disse il giovane, avvicinandosi per stringere la mano all’avversario di grandi partite e scomodo compagno di Nazionale.

- Sono felice di vederti, Lenders, e sono certo che anche Oliver sarà felicissimo di vederti. Dove ti sei nascosto per tutti questi mesi?

- Si è allenato moltissimo- rispose la ragazza al suo fianco- Mark adesso è il miglior cannoniere che la nostra nazionale abbia mai avuto. Piacere, io sono Maki Akamine.

Benji sorrise e strinse la mano della ragazza che sorrideva amichevolmente, mentre Mark guardava con affetto la ragazza che l’affiancava.

 

Mark Lenders  05 Marzo  ore 09:07 AM

 

Non mi sono mai sentito così prima d’ora. Una volta, se fosse capitato, mi sarei vergognato oppure avrei fatto il duro, ma adesso… sono felice di avere una donna come Maki al mio fianco. Lei… oh, come posso esprimere ciò che è lei per me. Sono innamorato. Tanto innamorato che trovo gradevole Benjamin Price solo perché sono in sua compagnia. Maki, sei davvero la luce che indica la mia strada. A proposito di batticuore vari… chi sarà quella bella ragazza accanto a Price. Ha una bellezza nordica e sembrava in grande confidenza con Price, almeno fino a poco fa. Che sia la sua ragazza? No, troppo carina e fragile per un carro armato come Price.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 09:07 AM

 

Chi è questa ragazza? E cosa ci fa con Mark? Non ditemi che io e Bruce siamo rimasti gli unici due single della compagnia… No, è impossibile che una ragazza così carina e cordiale sia la ragazza di quel buzzurro di Lenders. Certo che poteva arrivare un pochino più tardi… adesso come trovo il coraggio di parlare nuovamente di certe cose con Colette? Io non capisco più nulla! Devo fare qualcosa! Qualcosa di avventato o di pazzo o… non so più cosa fare!

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 09:07 AM

 

Lenders… non è il giocatore sbruffone che Benji ha tentato di picchiare qualche tempo fa? Sì, credo proprio che sia lui. Chissà come sarebbe andata a finire con Benji, se lui non fosse arrivato… cosa mi avrebbe detto? Avrebbe continuato? Oppure sarebbe finito tutto così? Beh, siamo amici. Cosa mi aspettavo di più. Io ne sono innamorata ma lui ha occhi per tante tranne che per me… forse anche per quella ragazza bella e sicura che affianca questo calciatore.

 

Maki Akamine  05 Marzo  ore 09:07 AM

 

Che ragazzo simpatico! E pensare che Mark me l’ha dipinto come un orso! Mi sembrava sì un orso con questa ragazza, ma uno di quelli di peluche, grande e coccolone! Credo proprio che Mark li abbia interrotti. E’ una bella ragazza e sembra anche una tipa dolce. Sono proprio una bella coppia.

 

- Price, chi è questa splendida ragazza che ti accompagna?- chiese Mark,sorridendo mentre porgeva la mano a una imbarazzatissima Colette Montgomery- Io sono Mark Lenders e lei è la mia ragazza, Maki Akamine.

Benji intercettò lo sguardo terrorizzato di Colette e subito le fu accanto e, con fare possessivo, la strinse a sé.

- Che cattive maniere Price! Guarda non me la mangio mica! Le ho solo chiesto quale fosse il suo nome.

Colette sentì la stretta di Benji farsi più possessiva, poi percepì il lungo respiro che il ragazzo stava prendendo.

- Non l’ho fatto perché pensavo che tu le potessi fare del male, te l’assicuro Lenders- rispose Benji, vergognandosi dell’eccessiva possessività dimostrata nei confronti dell’amica.

- Lei è Colette Montgomery. E’ la mia ragazza ma è ancora un po’ intimidita e non capisce molto bene la nostra lingua. Non lo fa per cattiveria.

Alle parole  “è la mia ragazza” Colette divenne ancora più paonazza e per un attimo ebbe l’impressione di non essere più salda come prima sulle proprie gambe.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 09:08 AM

 

Ecco, ho fatto una nuova ed immensa cavolata, e stavolta a pagarne le conseguenze sarà Colette. Dovrei andare a sotterrarmi o fustigarmi. Adesso sarò io a farle del male. Mi dispiace ma… no, non posso sfigurare davanti a Lenders. Lo so che le sto facendo del male  e che il mio è solo stupido egoismo ma… no, non posso sfigurare davanti a Lenders. Non posso proprio. Le spiegherò la situazione più tardi. Sempre che mi regga il gioco o non mi odi per questo.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 09:08 AM

 

Benji… cosa ti salta in mente! Perché lo fai? Perché dici certe cose? Certo, mi fa piacere… ma è una finzione. E’ tutto finto. Ma io capisco che ti serve che io reciti questa parte e sono tua amica. Ti aiuterò anche questa volta. E non sarà l’ultima perché mi conosco e sento che per te farei di tutto, anche negare tutto ciò in cui credo.

 

- Molto piacere, Colette- fece Mark, stringendo finalmente la mano di quella che pochi secondi prima era diventata la ragazza di Benjamin Price.

- Piacere mio, signor Lenders.

- Che formalità! Chiamaci pure Maki e Mark. Io e il tuo Benji ci conosciamo da anni! Non sono sempre state rose e fiori… ma non ci siamo mai uccisi a vicenda, e questo è già molto, credimi.

Colette rise nervosamente.

- Cosa ti è successo al braccio?- chiese Maki.

- E’ una lunga storia- disse Colette- Ve la racconteremo strada facendo.

Benji guardò Colette con aria preoccupata, ma lei non incontrò il suo sguardo e, allontanatasi da lui, si mise al fianco di Maki.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 09:09 AM

 

Non voglio metterti in imbarazzo con il mio comportamento impacciato. Sii felice e speriamo che ripartano presto e non raccontino a nessuno quello che sembra essere accaduto tra noi. Non sopporterei che quel Bruce Harper ti  prenda in giro, Benji! Sono certa che non l’hai fatto per fini egoistici.

 

- Goooooooooooooooooooooooooooooollllllllllllllll! Ottimo Tom! Sei il migliore del mondo! Vai così! Sei fantastico!

Il grido di Martina Maroni risuonò nuovamente per il campo di calcio, fermando per l’ennesima volta il gioco.

- Senti Tom- disse Bruce, avvicinandosi minaccioso al centrocampista che aveva appena segnato- Le soluzioni sono tre: o la smetti di giocare o le dici di stare zitta o vado da lei e la strangolo con queste mani. Pensavo che scherzassi con la storia del megafono umano!

I ragazzi erano andati a giocare a calcio e per la strada Tom si era preoccupati di avvertire gli altri della “leggiadra voce” che lo accompagnava quando giocava a calcio. Lui ormai si era abituato o, come aveva detto Julian alla prima interruzione, aveva subito una precoce perforazione del timpano, ma per gli altri era impossibile giocare con una sirena che partiva alla minima azione di Tom.

Tom corse a bordo campo, dove Martina sedeva assieme agli ormai storditi Raiden, Sylvia, Amy e Jenny.

- Martina, tesoro…

- Ok. Abbasso il volume.

- Grazie.

- Non mi paghi?

Il dolce sorriso che Martina gli rivolgeva ogni volta che desiderava una piccola dose d’affetto lo stregava ogni volta.

Baciò dolcemente la sua compagna poi corse via, seguito dalla sua Martina con lo sguardo.

 

(NdA: e finalmente c’è questo benedetto funerale! Non ne potevate più, vero? Ah, sarà una normale cerimonia occidentale e, mi spiace dirvelo… io non ne so molto di riti funebri, quindi verrà fuori qualcosa di poco convenzionale)

 

La piccola chiesa era gremita di gente.

Holly e Patty sedevano al primo banco, alla sinistra delle bare dei genitori, tra Roberto e Katherine, mentre gli altri sedevano dietro di loro, in gruppi da quattro.

 

Patricia Gatsby  05 Marzo  ore 03:40 PM

 

Mamma… Papà… mi mancherete tantissimo. Vi voglio bene e non voglio disobbedire a voi… ma non voglio vivere a Londra con la zia Kat. Fate in modo che lei capisca che non c’è niente di male qui. Non voglio lasciarla sola… ma questa è casa mia, il mio mondo. Non può strapparmi dalla mia vita.

 

Oliver Hutton  05 Marzo  ore 03:40 PM

 

Mamma, mia carissima mamma, ti ho fatta piangere tanto e quando sono andato in Brasile ti ho spezzato il cuore. Mi dispiace averti ferita. Mi dispiace immensamente. E tu, papà… mi mancherai, nonostante le tue lunghe assenze per me sono sempre state la normalità. Addio. Addio a entrambi.

 

Katherine Gatsby  05 Marzo  ore 03:40 PM

 

Fratellone… proteggerò la tua piccola Patty da ogni pericolo. Entro una settimana saremo a Londra. La tua casa è diventata un covo di ragazzi e ragazze che certamente praticano il sesso non protetto e magari fanno anche orge. No, non lascerò che Patty viva in queste condizioni.

 

Roberto Sedino  05 Marzo  ore 03:40 PM

 

Questa donna non mi piace… sento che nasconde qualcosa. Ho paura che Patty sia in pericolo.

 

- Fratelli- esordì il parroco- siamo qui riuniti per dare l’estremo saluto ai nostri fratelli, scomparsi in un luogo lontano, e per confortare i loro figli, Oliver e Patricia. Preghiamo per la loro pace e perché dall’alto veglino sui cari che hanno lasciato in questo triste mondo. Signore, accoglili nella valle della gioia a cui tutti tendiamo.

Iniziò la lettura delle Sacre Scritture ed in seguito il lungo sermone sull’importanza della vita.

 

Martina Maroni  05 Marzo  ore 03:43 PM

 

La vita… che senso ha avuto la mia vita fino ad ora? Ho ucciso una bambina, fatto del male a una persona a cui volevo un bene dell’anima, ferito una ragazza d’oro e legato a me un ragazzo troppo buono per essere vero. Sono solo buona a impedire agli altri di essere felice. Sono solo un peso per il mondo. Eppure tanti soffrirebbero se io perdessi la vita. Cosa significa? Perché io mi sento così inutile mentre tanta gente mi ama? Perché mi sento così strana?

 

Sylvia Holler  05 Marzo  ore 03:44 PM

 

Nonno… quanto mi sento bene… Mi fa piacere essere qui, anche se sento la mancanza degli altri nonni. Dovrei perdonarli per ciò che mi hanno fatto? Sono stata tanto male… perché mi hanno nascosto la verità? Perché tutto questo mistero? Perché non mi hanno detto chiaro e tondo che mio nonno non era quell’orco che descrivevano? Io volevo tanto bene a loro due… di cosa avevano paura? Che li amassi di meno? Perché non hanno avuto fiducia in me? Perché?

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 03:43 PM

 

Mia dolce Colette… perdonami se ti sto facendo del male soltanto per il mio egoismo. Io sono davvero innamorato di te… sei l’unica che con un tocco di labbra mi abbia donato una gamma di emozioni così intense. Sei tutto per me. Tutto. Non vorrei ferirti ma… ma lo sto facendo. Me ne vergogno. La mia vita sarà solo un mucchio di menzogne se non ti svelerò la verità sui miei sentimenti. Non so ancora quando riuscirò a farlo e se tu continuerai a volermi bene quando ti dirò quello che provo per te… ma non posso concepire una vita di menzogna, soprattutto se sei tu quella a cui sto raccontando un mare di bugie. Ti prego, perdonami.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 03:47 PM

 

Benji, perché sei così serio? Ti stai già pentendo di quello che hai fatto stamattina? Oppure mi sto comportando in modo poco appropriato? Non voglio che tu sia in imbarazzo perché sono imbranata all’ennesima potenza. Devo essere più credibile… più rilassata e meno timida. Devo farcela per il tuo bene.

 

Tom Becker  05 Marzo  ore 03:45 PM

 

Martina… la mia vita sei tu. Ho tentato di nasconderlo prima di quel giorno di gennaio ma era destino che prima o poi mi rendessi conto di quanto tu fossi importante. Sei la luce dei miei occhi ed è per questo che non ti lascerò mai più sola. Non soffrirai mai più, piccola mia.

 

Maki Akamine  05 Marzo  ore 03:44 PM

 

Mark… ti sono vicina e resterò con te per sempre. Sei la mia casa, l’unica persona al mondo che mi ami ancora. Non so cosa fare quando non sei con me. Mamma, sono sicura che sei stata tu a mandarmelo e ti ringrazio. E’ il dono più grande che la vita mi abbia mai fatto?

 

Raiden Tsunoshi  05 Marzo  ore 03:46 PM

 

La mia piccola Sylvia è con me. Non ho più niente da chiedere alla vita se non una fine dignitosa e il ricongiungimento con i miei cari. Mi basta tutto questo per essere felice di ciò che ho.

 

Mark Lenders  05 Marzo  ore 03:48 PM

 

La mia vita è stata dura e ancora ho molto da imparare, ma sono certo che non sarà mai una vita sprecata. Io amo la mamma ed i fratellini. Amo Maki e voglio bene anche a Ed, al mister e Danny. Ringrazio il destino perché la mia vita, per quanto dura, non è stata vuota. Il mio obiettivo si rinnoverà in eterno. Avrò sempre qualcuno di cui curarmi e una nuova meta da raggiungere. Non mi lascerò più abbattere dal destino ma lotterò per migliorare la mia condizione. La vita con Maki mi ha insegnato questo. Grazie Maki. Grazie mamma e papà. Grazie vita mia.

 

Il ciliegio sotto il quale erano stati seppelliti i coniugi Hutton e Gatsby aveva appena messo i germogli e già qualche fiore si era dischiuso.

L’inizio di quel ciliegio coincideva con la fine di una vita e lì, sotto i suoi rami, due ragazzi dai capelli scuri, salutarono per l’ultima volta le persone che avevano dato loro la vita.

- Addio- sussurrò Patty, lasciando cadere un’ultima rosa sulla terra ancora smossa- Vi ameremo in eterno.

 

NdA: ci ho messo mesi e mesi… ma finalmente sono tornata. Ormai questi capitoli hanno una gestazione lunga come quella per un bambino… Ok, vi saluto. Bye Bye

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Dopo il Funerale ***


Capitolo 11

Capitolo 11

Dopo

Il Funerale

 

NdA: ci voleva anche un capitolo per dopo questa cerimonia, no? Non preoccupatevi, dopo questo basta con la questione funerale. E’ già durata abbastanza, non trovate? Ah, anche qui la cronologia è un optional (nel senso che ho messo brani di diversi momenti affiancati e non in ordine cronologico).

 

Patty e Holly rientrarono in casa quando il sole stava per tramontare.

Nell’abitazione c’era un gran fermento per le prossime partenze.

I primi a lasciare il gruppo sarebbero stati Julian, Amy, Philip e Jenny, che avrebbero preso il treno di lì a tre ore, così adesso le due ragazze stavano cucinando l’ultimo pasto della loro permanenza.

Martina e Colette, essendo la prima imbranata e la seconda ferita, non erano con loro a cucinare: Colette, era nel salotto assieme a tutti i ragazzi, escluso Tom, che si trovavano fuori per una nuova passeggiata durante la quale dovevano scambiare qualche parola in privato.

Dagli occhi gonfi ed arrossati, i presenti intuirono che era meglio lasciarli andare a riposare almeno fino all’ora di cena.

 

Roberto, steso sul suo letto, stava pensando al nuovo adulto che si era unito a lui nel ruolo di guida per i due adolescenti.

 

Roberto Sedinho  05 Marzo  ore 06:57 PM

 

No, non mi fido. Quella donna non mi convince neanche un po’. Vuole portare via Patty, ne sono certo. Lo so che è sua nipote, ma la vita di quella ragazza è qui, accanto al ragazzo che ama e nei tranquilli luoghi della sua infanzia, non in una grande e chiassosa metropoli come Londra. No, devo trovare qualche modo per impedire che Patty venga portata via dalla zia. Ma quale? L’unico possibile sarebbe… ma come posso proporre a Patty e Holly di farlo solo per impedire la separazione? E  Patty starebbe male per aver aggirato l’autorità della zia. E’ inutile pensare senza agire. Devo andarle a parlare assolutamente e chiarire le cose.

 

Sospirò, poi si tirò a sedere e, deciso, si diresse verso la porta.

 

Raiden giaceva sul suo futon a pancia all’aria, ascoltando il suono del vento che muoveva le fronde dell’albero vicino alla finestra.

Dopo tanti anni di dolore, finalmente si sentiva bene e felice di ciò che aveva. Quello era stato un giorno triste per gli occupanti della casa, questo era vero, ma sembrava che fosse un giorno qualsiasi dato il lieve ciarlare che sentiva venire dal salotto e dalla cucina.

Non viveva in una casa piena di vita da  molto tempo e nonostante il volume fosse un pochino sopra le righe, lasciava che quelle voci si mescolassero con il vento, creando una melodia che lui identificava come “il canto della vita”, una voce che portava in alto il cuore, lontano dai dolori terreni e più vicino alla spiritualità.

 

Raiden Tsunoshi  05 Marzo  ore 06:57 PM

 

Il canto della vita è stupendo. Tutti parlano mentre il vento muove le foglie, creando questa splendida melodia. La vita mi ha restituito la mia piccola Sylvia, luce degli occhi di mia figlia, ed ora ho anche una nuova famiglia. Sì, resteremo dagli Harper. Mi vogliono bene e a Sylvia farà bene stare con un ragazzo più o meno suo coetaneo. Naturalmente dovrò iscriverla a scuola e fare tante altre cose… ma sono felice. La mia vita ha finalmente ritrovato il suo senso.

 

La tedesca indossava ancora il completo grigio che aveva portato per la cerimonia, formato da gonna di lino lunga fino al ginocchio e camicia dello stesso tessuto, il tutto corredato da una sottile catenina d’argento e gli stivali neri fino al polpaccio.

Benji, nonostante la serietà della cerimonia, non aveva potuto fare a meno di ammirare la bellezza di quella che aveva spacciato per la sua ragazza in presenza di Mark Lenders. Quella sera gli sembrava ancora più bella del solito.

Lui quella sera indossava un paio di blue jeans scoloriti e una maglia a maniche corte blu scuro con sopra una felpa azzurra dotata di chiusura lampo.

Stavano camminando da quasi un quarto d’ora ed ancora non si erano rivolti la parola né guardati, imbarazzati per i fatti di quella mattina.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 07:11 PM

 

Benji, come mai mi hai invitata a seguirti? Avevi detto che dovevamo parlare ma ancora tu non hai aperto bocca? C’è forse qualcosa che ti turba? Che sia ciò che è accaduto stamattina? Vuoi parlarmi di questo?

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 07:11 PM

 

Colette… non so cosa mi abbia spinto a farlo, ma stasera voglio chiarire tutto. Desidero che tu sappia la verità e che tu viva una serata di pura gioia. Voglio farti vedere tutti i luoghi più belli di Fujisawa. Voglio che tu sia felice. Non importa se mi dirai di no o se mi odierai… sarò felice di essere insultato da te. Puoi calpestarmi quanto vuoi, trafiggermi con delle lance o buttarmi sotto un rullo compressore, se ciò potesse farti sentire meglio. Io desidero ripagarti per ciò che fai e che hai fatto per me.

 

Benji si schiarì la gola, attirando su di sé l’attenzione di Colette.

- Senti… ti andrebbe di andare a mangiare fuori stasera? Non ho voglia di passare l’ennesima serata con tutta quella gente. Ti va di stare un po’ da soli? Forse ti aiuterà anche a sentirti meglio.

Lo sguardo di Colette esprimeva tutto lo stupore che provava per quell’improvviso invito e per un attimo Benji ebbe il timore di aver sbagliato ad invitarla per mangiare da soli proprio in un giorno tanto particolare.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 07:12 PM

 

Vuole andare a cena con me? Cosa significa? Che la cosa di cui mi deve parlare sia più seria del previsto? E se non c’entrasse nulla ciò che è accaduto questa mattina? Se fosse una scusa per parlarmi di altro? Che abbia parlato con qualcuno in Germania? Oppure… cosa può spingerlo a invitarmi a cena? Possibile che sia solo per fare quattro chiacchiere amichevoli? Se rispondo di no lui ci resterà malissimo. No, non posso deluderlo, soprattutto data la sua estrema gentilezza.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 07:12 PM

 

Ecco, ho fatto un errore! Dopo la figura di stamattina e la menzogna a Maki e Mark è naturale che lei non ne voglia più sapere di me. Sono solo uno stupido indeciso che non è in grado di capire i propri sentimenti e che si dimostra molto attratto da persone affascinanti ed energiche. Se solo Colette capisse che io non voglio la volubile fiamma al mio fianco, ma il candido manto di neve ancora intatta… Voglio farti capire che io ci tengo a te oltre ogni limite immaginabile.

 

La giovane, sorridendo, annuì, spazzando via ogni timore dal volto di Benji.

 

Roberto entrò nella stanza della donna senza neanche bussare, trovandosi davanti a Katherine Gatsby davanti allo specchio, con le mani incrociate dietro alla nuca,  intenta a controllare se sulle sue snellissime cosce c’erano i primi segni della cellulite o che sui suoi preziosissimi fianchi non ci fosse un filo di grasso o segno del tempo che passava.

Per la sorpresa i suoi proverbiali occhiali scuri caddero a terra, svelando i suoi occhi grigi alla donna.

 

Roberto Sedinho  05 Marzo  ore  07:00 PM

 

Merda! Ma perché, tra tutti i pessimi momenti che potevo scegliere, dovevo arrivare mentre si specchia con indosso solo l’intimo? Certo che è davvero bella! Guarda che bel davanzale! E che culo sodo! Ehi, ma a cosa vado a pensare! Sono qui per questioni della massima serietà, non per guardare la zia di Patty in mutande. Però è bella… Roberto! Datti un contegno. Può essere anche la più bella donna che tu abbia mai visto… può essere quella con la miglior combinazione Culo/Tette… e anche quella con il sorriso più candido… ma da qui a fare pensieri su di lei… pensieri che mi fanno girare la testa e dimenticare che sono qui per discutere di Holly e Patty… Holly e Patty… Holly… e Patty… mamma mia quanto è bella… pensa a Jeff Turner in mutande… pensa a Jeff Turner in mutande… Oh mio Dio! Potevo scegliere almeno Clifford Yuma! Ma sto pensando a uomini in mutande? Mamma mia! Roberto, torna serio per la miseria! Non fare inutili viaggi mentali!

 

Katherine Gatsby  05 Marzo  ore  07:00 PM

 

Eccolo qua il porco! Cosa vorrà fare adesso? Meglio che faccia finta di essere a mio agio e sperare che se ne vada subito o che non provi a fare nulla di sciocco mentre tutti i ragazzi sono in casa. Oppure per loro è l’abitudine? Certo che mi sta fissando con aria allupata… sono bella e questo lo so… e non mi dispiace che lui mi ammiri… ma cosa sto dicendo?! E’ un pazzo, un maniaco che spia le donne mentre si cambiano! Certo che senza occhiali sta meglio!

 

Si voltò verso di lui e, con estrema tranquillità, gli fece cenno di chiudere la porta dietro di sé.

- Lo fai anche con le ragazze?- chiese, continuando ad esaminarsi.

- Cosa?

- Entrare in stanza senza bussare. Chissà quante volte hai visto mia nipote o le altre ragazze mentre si cambiavano.

- Kat…

- Signorina Gatsby- puntualizzò, voltandosi per esaminare anche i glutei.

- Signorina Gatsby, io non farei mai una cosa simile.

- E non la farà mai più. Sa che potrei denunciarla per la sua intrusione nella mia stanza?

- Ora non esageri. Non immaginavo che lei fosse in biancheria intima, altrimenti avrei bussato prima di entrare.

- Lascerò correre per questa volta… mi dica, cosa l’ha spinta ad introdursi nella mia camera con così poco garbo?

Roberto si dimenticò immediatamente dell’imbarazzo.

- Sono qui per chiederle, signorina Gatsby, se lei è il tutore di Patty.

- Sì. Sono l’unica zia di Patricia e la sua parente più prossima.

- Cosa farà con lei?

- Partiremo tra qualche giorno, giusto il tempo di convincerla a lasciare la responsabilità della vendita della casa ad una brava agenzia immobiliare e organizzare il trasporto del minimo necessario a Londra. Il mio appartamento è molto piccolo e posso trovarne uno più grande, ma mai abbastanza grande per contenere tutte queste cianfrusaglie.

 

Roberto Sedinho  05 Marzo  ore 07:01 PM

 

Che donna spregevole! Lo sapevo che aveva in mente qualcosa!

 

- Quelle che lei considera cianfrusaglie sono le uniche cose che legano Patty ai suoi genitori. No, lei non se ne andrà da qui.

- Mi sta sfidando?

- No. Sto cercando di fare il meglio per quella splendida ragazza.

- Complimenti audaci su una minorenne?

- Lei, signorina, deve essere ossessionata dal sesso! Come può dare ad ogni mia parola un significato tanto basso? Io ammiro Patty ma non la sfiorerei neanche con un dito.

- E il suo protetto?

- Non siamo qui per parlare dei rapporti tra Oliver e Patricia, ma per discutere sul futuro di quella ragazza che ha tanto sofferto e lottato per riuscire a stare assieme al ragazzo che ama da sei lunghi anni.

- Cosa vuole dire con “sofferto”?

- Smettiamola con questo “voi”. Mi dispiace essere io a dirtelo, Katherine, ma tua nipote ha tentato il suicidio, tre settimane fa, perché aveva paura che Holly potesse odiarla per sempre. Se lui non fosse arrivato avresti trovato un cadavere ad attenderti. E’ stata male e solo grazie a Holly lei sta meglio ed è riuscita a superare questi momenti. E lo stesso vale per Holly. Tua nipote gli ha donato una nuova speranza di vita e ha fatto in modo che lui si rendesse conto che può tornare a giocare a calcio e realizzare il suo sogno nel cassetto. Tu non puoi separarli. Sono legati in modo indissolubile e li uccideresti se li allontanassi l’uno dall’altra.

L’uomo cadde in ginocchio e si prostrò ai piedi della donna, che lo osservava con aria sconvolta.

 

Katherine Gatsby  05 Marzo  ore 07:04 PM

 

Patty… la mia piccola, coraggiosa Patty… ha rischiato di morire per il dolore causatole dalla lontananza da quel calciatore zoppo? E quel ragazzo sarà di nuovo la stella del Giappone grazie alla mia piccola? E’ così? Ed io che pensavo a qualcosa di così basso e carnale… il loro non è un legame basato sul corpo, ma sull’anima. No, ha ragione quest’uomo. Non posso essere la causa di nuovo dolore per mia nipote. Non posso farle questo.

 

- Ti supplico, Katherine Gatsby, non dividerli di nuovo.

La donna si accovacciò accanto all’uomo e sorrise. Un sorriso sincero di una donna con gli occhi pieni di lacrime.

- Non lo farò. Non sapevo quanto fossero legati mia nipote e quel ragazzo, altrimenti non ci avrei neanche pensato. Non la porterò a Londra con me.

Roberto sorrise e gettò le braccia al collo della donna, che strinse a sua volta l’uomo venuto dal Brasile.

 

- Holly… stai dormendo?

La voce di Patty spinse il ragazzo ad aprire gli occhi e guardare la ragazza che lo sovrastava. Lei si era sdraiata sul letto mentre lui aveva preferito riposare sul freddo pavimento, quasi sperando che la bassa temperatura lo aiutasse a rendergli un po’ dell’energia spesa in una giornata ricca di eventi.

- No.

- Senti freddo?

- No.

- Vuoi sdraiarti sul letto?

- No. Sto meglio qui.

- Va bene.

Holly guardò il volto triste della ragazza. Anche così, con gli occhi arrossati e il lieve trucco sfatto, la trovava bellissima. I lisci capelli le incorniciavano il volto come cortine di scura seta e quei suoi occhi, in quel momento arrossati per il grande pianto, erano per lui stelle di rara bellezza.

In quelle ore era stata molto forte: aveva stretto la sua mano con forza ed aveva pianto, questo era vero, ma non c’erano state scene di grave isteria ed il dolore non era riuscito a farla crollare neanche quando avevano finito di mettere la terra sulla buca che conteneva le bare dei suoi genitori. Aveva sentito uno o due commenti positivi su quella ragazza dai pantaloni neri e la maglietta di lana grigia, che si stringeva con forza nella leggera giacca di jeans e si sentiva orgoglioso del suo perfetto contegno. Era stata molto coraggiosa ma sembrava non essersene neanche accorta.

 

Oliver Hutton  05 Marzo  ore 07:25 PM

 

Patty, sei più forte di quanto credi. Tu non hai bisogno di me. Sei stata sempre forte e non sai neanche di esserlo. Sei stata talmente forte da non arrenderti davanti a questa vita che bastardamente sta tentando di distruggere ogni nostro sogno. Nonostante quella sciocchezza di tre settimane fa mi abbia fatto ridimensionare la mia visione della tua forza, io credo ancora che tu sia una ragazza forte e non puoi lasciarti andare. Non puoi farlo tu e neanche io posso farlo.

 

- Dobbiamo andare avanti. Non possiamo arrenderci. Dobbiamo restare insieme e lottare per il futuro. Loro non vorrebbero che buttassimo alle ortiche tutta la nostra vita perché loro non ci sono più.

Patty annuì, rincuorata dal fatto che almeno uno di loro due avesse la forza per sostenere l’altro nei momenti di sconforto come quello, quando erano soli in una stanza buia, in piena crisi per la recente sepoltura e con la testa pesante per i pensieri tristi ed il simultaneo richiamo della vita.

 

Patricia Gatsby  05 Marzo  ore 07:27 PM

 

Sei il mio sostegno in questo inferno e di questo ti ringrazio. Non sarò mai più sola, adesso, perché so che tu sarai sempre qui al mio fianco. Che sia questa la debolezza dell’amore? Che questo mio bisogno di te, questa dipendenza quasi morbosa, sia ciò che distrugge coloro che soffrono per amore? Che sia questa breccia la causa del mio desiderio di suicidio? Io ho tentato di farla finita non perché ero depressa, distrutta dalla responsabilità, ma perché sentivo che tu non saresti mai tornato da me e che quindi sentivo di non avere più l’unico appiglio da cui dipendevo completamente?

 

La grande pizza margherita a forma di cuore che il cameriere aveva portato al loro tavolo stupì non poco i due ragazzi.

- Ve la manda il proprietario del locale- spiegò il cameriere, tornando da loro con un brocca di vino rosso ed una di acqua- Ha detto che non gli capita spesso di ospitare celebrità come il grande Benjamin Price, uno dei più giovani portieri professionisti della Bundesliga, soprattutto se in compagnia di una così bella ragazza. Più tardi verrà qui per sapere come vi trovate e fare una bella foto. Sempre che a voi ed alla vostra compagna non dispiaccia di essere la prima coppia vip del nostro muro delle celebrità.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 07:37 PM

 

Mio Dio! Ed io che volevo solo trascorrere una serata tranquilla e priva di tensioni amorose con Colette… Ok, le volevo parlare di ciò che c’è tra noi in un ambiente tranquillo e davanti a una pizza… ma non in un ristorante con un proprietario patito di calcio che chiede autografi e tenta di organizzarci la cena! Uffa! Chissà come si sente lei in questo momento. Sorride ma si vede che questa storia la mette in imbarazzo.

 

Colette sorrise nervosamente al cameriere, con le guance rosse per l’imbarazzo che sentiva crescere in lei più guardava il giovane davanti a lei e quell’enorme pizza dalla singolare forma.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 07:37 PM

 

Che imbarazzo! Io non sono la sua fidanzata. Certo, lo vorrei… ma di certo non glielo dirò. Anche lui sembra disturbato da questo, ma più che imbarazzato mi sembra irritato per ciò che è accaduto. Sono certa che non se la prenderebbe mai con me… ma se lo facesse? No, sono certa di no. Ma è così nervoso… non ha mai amato la celebrità e questa uscita del proprietario è stata la peggiore possibile. Lo vedo… è molto nervoso. Ed è solo colpa mia se sta così. Deve essersi preoccupata per come mi sentivo e deciso di portarmi un po’ a spasso per farmi svagare o per farmi pensare meno alla mia spalla. Oh, mi dispiace Benji. Mi dispiace tanto!

 

- Colette, non preoccuparti- le disse Benji, improvvisamente apparso al suo fianco- Ci penso io.

Il giovane, sorridendo, tagliò la pizza in pezzi, permettendo così a Colette di servirsi in modo autonomo, senza dover chiedere aiuto a lui, poi le versò un po’ di vino e dell’acqua nel bicchiere.

- Questa è una serata e possiamo fare un piccolo strappo alla regola- le disse quando incontrò il suo sguardo sorpreso- Stasera sei mia ospite e devi essere servita come se fossi una regina.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 07:41 PM

 

Benji… sei dolcissimo. Sei irritato eppure nascondi i tuoi sentimenti perché sai che mi farebbe stare male.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 07:41 PM

 

Sei splendida. Se non avessi paura della tua reazione ti bacerei qui, davanti a tutti, incurante dei fotografi e dei rompiscatole di qualsiasi genere. Sì, mi sono innamorato di te. Ho scelto la neve.

 

Il dolce sorriso di Colette fece improvvisamente arrossire il portiere, che passò al suo posto e iniziò a mangiare, cercando di nascondere la dolce reazione che quella ragazza suscitava in lui.

 

Katherine presero da parte la sua ragazza subito dopo cena e la portò fuori, sulla veranda, per discutere loro di ciò che aveva deciso per loro.

- Patty, io ti voglio molto bene e vorrei portarti con me a Londra- esordì, vedendo subito il pallore invadere il volto della ragazza- Ma sono certa che tu non voglia seguirmi in Inghilterra, così ho scelto cosa fare.

- Resterai a Londra?

- No. Ora ho cose più importanti a cui pensare. Questa casa è grande ed, se davvero tu vuoi vivere sotto lo stesso tetto di Roberto e Oliver, io lo accetto. Ma ad una condizione, ossia che viva anche io con voi. Ne abbiamo già parlato e troviamo che due salari siano meglio di uno, soprattutto se continuerete gli studi.

- Andrò io a lavorare- intervenne Patty.

- No. Il tuo posto non è dietro un bancone di supermercato. Devi studiare e laurearti. Ne hai le potenzialità e non voglio che tu le sprechi. Io potrò collaborare per il giornale come corrispondente estera e, se non dovesse funzionare, potrei trovare un impiego qui. Sarà meno di ciò che guadagno a Londra… ma i soldi non fanno la felicità. Staremo insieme come una famiglia o quasi.

- Grazie zia. So che ti costa molto lasciare la tua vita.

- Oh, che sarà mai! Perdo solo una festa vip ogni tre giorni… interviste con i migliori attori di Hollywood…  cercare di infiltrarmi a Buckingam Palace… i negozi più alla moda del mondo… sì, credo che sia una scelta vantaggiosa.

Patty abbracciò la donna con forza, felice per ciò che era accaduto.

 

Katherine Gatsby  05 Marzo  ore 08:06 PM

 

Patty, per te rinuncio a molto, ma non posso fare altrimenti. Voglio che tu stia bene ed ho capito che questo è l’unico posto in cui tu possa stare. Spero solo di non litigare troppo con quel brasiliano dall’occhio lungo. Ho notato che sembrava aver apprezzato la visione di poco fa. Va bene che sono una bella donna e che spesso mi hanno fatto apprezzamenti anche pesanti… ma cavoli! Sembrava pronto a togliermi di dosso anche le ultime cose che avevo addosso! Ammetto che mi ha fatto venire i brividi. Mi sembra una brava persona ma non mi è piaciuto affatto il modo in cui mi guardava… ma a cosa sto pensando in un momento simile?! Dovrei dedicare tutta la mia attenzione a mio nipote, non a quel tizio che porta gli occhiali scuri anche quando dorme. Ma prima, quando gli sono caduti… devo ammettere che ha gli occhi di un colore poco comune. Ma sto ancora pensando a quel maiale!

 

Patricia Gatsby  05 Marzo ore 08:06 PM

 

Non ci separeranno… io e Holly potremo stare assieme… sono così felice! Mi dispiace che zia debba sacrificarsi ma sono troppo felice! Devo dirlo subito a Holly! Sarà felicissimo anche lui!

 

Patty si sciolse dall’abbraccio della zia in pochi minuti e corse immediatamente in casa per avvertire il ragazzo.

 

- Ma guarda quanto è bella la sua ragazza, signor Price! Certo che lei se le sa scegliere proprio bene le donne! Ha un sorriso splendido e due occhi che brillano come stelle! Come è fortunato!

Colette, per nulla tranquilla, rideva vedendo Benji diventare di tutti i colori mentre quell’uomo, un tipo di mezz’età ed il ventre prominente che si era presentato come il proprietario di quel locale, stringeva con forza la mano del portiere e lo guardava adorante, quasi fosse un dio sceso in terra.

- Non mi perdo una sua partita, signor Price, e sono onorato di averla nel mio modesto ristorante. Lo sa che la TV la ingrassa? E’ molto più magro da vivo. L’espressione imbronciata che ha è ormai leggenda. Signorina, ma il suo fidanzato ha sempre questa espressione?

Colette smise di ridere all’istante.

Non aveva l’aspetto di un uomo malvagio, con quella sua testa coperta solo sulla nuca da una scura capigliatura e la pelle dai toni europei. I tratti del volto, oltre agli occhi ed i capelli scuri, notò Colette, sembravano mediterranei, greco o al massimo italiano. Se a questo si aggiungeva quel sorriso un po’ sbilenco e l’aria da pacioccone, ne veniva fuori il ritratto di un simpatico ristoratore che, dopo quel breve scambio di parole, si stava dimostrando un po’ troppo invadente.

 Colette ci pensò un pochino, poi sorrise.

- No. Benjamin è una persona con un sorriso fantastico.

Benji divenne immediatamente rosso e perse la sua espressione piuttosto disturbata per dedicare un sorriso a quella dolce ragazza.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 08:24 PM

 

Non posso dire che lui ha sempre l’aria così severa perché non è vero. Con me ha sorriso più volte ed il suo volto è dolcissimo quando lo fa. E’ un ragazzo d’oro e, nonostante quest’impiccione sia divertente, non posso stare al suo gioco. No, lui è una persona con uno stupendo sorriso e devo dire la verità.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 08:24 PM

 

Dolcissima Colette, sei magnifica.

 

- Dice davvero? Allora facciamo una bella foto con il sorridente Benjamin Price e questa bellissima ragazza.

L’uomo rubicondo indirizzò il suo sorriso migliore in direzione di Colette.

 

Luca Antonioli  05 Marzo  ore 08:25 PM

 

Se questa ragazza riesce a farlo sorridere, ci vorrà poco per convincerlo a farsi fotografare con lei e firmare la foto. Certo che sembrano un elefante e una farfalla. Lei è così delicata… mentre lui potrebbe atterrare un grizzly con un pugno. Fanno un effetto strano assieme ma sono ben assortiti. Credo proprio che la loro foto mi frutterà un bel gruzzolo! Che ingenui che sono questi ragazzetti! Sono sicurissimo che accetteranno di farsi fotografare assieme e allora…

 

- Posso farvi una foto?

Benji  guardò Colette, poi le tese la mano, invitandola ad alzarsi.

L’uomo, felice, fece strada fino alla parete in legno e li fece posizionare davanti a questa.

- Benissimo- disse l’uomo- Adesso, signor Price, passi una mano attorno al fianco della sua fidanzata e sorridete.

Benji, senza esitazione, fece ciò che l’uomo aveva detto, stringendo a sé con delicatezza la tedesca.

Il volto le si imporporò lievemente ma cercò di apparire rilassata mentre l’uomo scattava qualche foto con la sua Polaroid.

 

Luca Antonioli  05 Marzo  ore 08:27 PM

 

Se questa foto la vendessi, potrei farci un bel po’ di quattrini. Fingersi un fan è stato un vero colpo di genio! Al costo di una pizza… io faccio uno scoop con tutte le O maiuscole. Chissà quanto mi pagheranno… un bel po’, essendo questo ragazzo una star internazionale. Sì, credo proprio di aver concluso un ottimo affare.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 08:27 PM

 

Credo che Colette si stia vergognando. E’ tutto il giorno che la spaccio come mia fidanzata ed in effetti non si è ancora lamentata… ma lei è sempre così dolce e disponibile… non credo che sia in grado di dirmi no. Non voglio costringerla a fare ciò che non vuole e lei potrebbe ribellarsi… ma non lo fa. E’ troppo buona con me. No, io non merito una ragazza come questa e lei non può rovinarsi la vita per un tipo del mio stampo. Assolutamente no. Io ti amo, Colette, ma non voglio rovinarti la reputazione e la vita soltanto perché sono uno sciocco egoista. Questa foto potrebbe fare il giro del mondo e causarti guai con tuo padre. No, non posso proprio permetterlo.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 08:27 PM

 

Benji è stato così dolce con me questa sera… E’ bello sentirsi apprezzata da lui. Sembra quasi vedermi davvero come la sua ragazza. Ma so che questa è solo una farsa. Sono una messa in scena che gli è sfuggita di mano.

 

L’uomo aveva appena preso in mano le foto quando Benjamin lasciò andare Colette e si avvicinò a lui con passo marziale.

- Posso avere le foto che ha scattato? Ho cambiato idea e vorrei conservarle per me e per la mia amica, tranne una, in cui compariremo io e lei, la firmerò e lascerò qui, dove potrà vantarsi di avermi ospitato.

L’uomo impallidì.

 

Luca Antonioli  05 Marzo  ore 08:27 PM

 

Come mai questo cambiamento improvviso. Che abbia capito l’inganno? Accidentaccio! E adesso come faccio? Conviene obbedire.

 

L’uomo gli porse le tre foto che aveva fatto al giovane, che ne fece due in piccoli pezzi che poi gettò per terra.

Colette lo guardò incredula.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 08:28 PM

 

Perché getta le nostre foto? Cosa sta facendo? Cosa gli sarà venuto in mente? Benji… perché l’hai fatto? Non vuoi farti fotografare con me? Potevi dirmerlo, accidenti! Potevi parlarne chiaramente! Non dovevi ferirmi in questo modo. Lo so che non potrò mai avere il tuo cuore e che sono soltanto un’amica pesante e sempre triste… ma potevi dirmi che non volevi farti vedere in giro con me. Avrei capito. Credi che non avrei potuto capire come ti sentivi? Lo so benissimo che non volevi vedermi al tuo fianco perché sono solo un problema, un peso per te. Io sono un peso per tutti. Per la mamma… per papà… e adesso anche per te. Sono solo un’inutile anoressica che spera di essere amata per quello che è ma sa che non vi riuscirà mai! Ecco cosa sono io!

 

Colette sentì le sue gambe muoversi guidate da una forza superiore, la sua disperazione, e con passo controllato si avvicinò alla porta del locale ed uscì.

Solo allora, quando fu all’aperto, iniziò a correre alla cieca, ignara della direzione presa. L’importante è che si allontanasse da lui, riuscire a trovare un luogo dove avrebbe potuto piangere e disperarsi senza che Benji le fosse accanto per lenire un dolore che era stato lui stesso a causarle.

 

Benji, nel frattempo, si era seduto ad un tavolo e stava parlando con il proprietario.

- Non voglio che la foto mia e di questa ragazza vadano a finire sui rotocalchi rosa. E’ importante.

- Ammetto di averlo pensato, signor Price. Il locale non va un granché bene, come avrà certamente notato. Un po’ di soldi mi avrebbero fatto comodo… ma sono un uomo felicemente sposato da ventidue anni con una donna per la quale ho fatto salti mortali e capisco quanto lei possa tenere a quella ragazza… ma dov’è andata?

Benji impallidì e si voltò.

Solo allora vide che Colette era sparita.

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 08:32 PM

 

Mamma mia! Colette! Dove sta Colette? Che stupido che sono stato! Deve aver frainteso. Sono stato un’idiota! Lei è molto sensibile e può aver capito una cosa per un’altra.

 

Senza parlare, Benji corse via, seguito con lo sguardo dal ristoratore che, sospirando, tornò in cucina..

 

Senza preavviso, Holly si trovò con Patty che gli passava le braccia attorno al collo, con grosse lacrime che rotolavano lungo le sue gote e un sorriso smagliante dipinto in volto.

- Cosa succede?- chiese, sorpreso dalla reazione della sua ragazza, che stava manifestando tutto il suo affetto per lui davanti a tutti gli ospiti della sua casa, che stavano salutando i partenti.

- La zia Kat resta- sussurrò- Non me ne vado io. Resta lei.

Holly si liberò dal suo abbraccio e la guardò negli occhi, sorridendo per la lieta notizia che aveva appena dato la sua adorata Patty.

- Davvero?

La ragazza annuì ed immediatamente si trovò rapita dalle labbra di Holly, che esprimeva davanti a tutti l’immensa gioia che provava.

Roberto si voltò verso la donna che aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza e le sorrise.

 

Roberto Sedinho  05 Marzo  ore 08:12 PM

 

Grazie, Katherine. Mi impegnerò per esserti d’aiuto e per evitare di trovarti in altre situazioni imbarazzanti. Certo che sarebbe bello dare una nuova sbirciata ad argomenti del genere… Che argomenti… Ma che sto facendo? Non posso avere pensieri così poco casti verso la zia della fidanzata del mio figlioccio. Ok, Holly non è il mio figlioccio ma è sotto la mia tutela. Io non posso vivere sotto lo stesso tetto di una donna che mi fa venire in mente certe cose! E’ contro natura! E potrebbe rendere le cose molto difficili. Inoltre… è bella ed ha un cuore, questo sì, ma ha anche difetti a bizzeffe e in certi momenti è fin troppo controllata… Ma perché penso a lei, maledizione! Pensa a  Jeff Turner in mutande… Pensa a Jeff Turner in mutande…

 

Katherine Gatsby  05 Marzo  ore 08:12 PM

 

Roberto, non l’ho fatto di certo per te, ma per la mia bambina. Sarà dura superare questo periodo… ma devo farlo. Ora Patty è una mia responsabilità. Inoltre… qui potrò controllarla da vicino. Ok, ammetto che Roberto ha sia degli occhi bellissimi che un sorriso bianchissimo… ma non significa che ti piaccia, Katherin Gatsby. No, lui è un uomo e non può piacerti un essere di quella specie, soprattutto se di quel colore. No, toglitelo dalla testa.

 

Nota dell’autrice sul pensiero espresso qui sopra:

Questa nota è messa qui per evitare le polemiche tanto care a noi italiani.

L’affermazione di Katherine sulla pelle di Roberto può apparire  razzista e sotto un certo punto di vista lo è,  lo so, ma ha delle ragioni che verranno spiegate nei prossimi capitoli, quindi evitate di fare polemiche perché tutte le affermazioni hanno un loro scopo e un loro significato che, come in questo caso, è nascosto.

Vi assicuro che non c’è volontà da parte mia di offendere una qualsiasi etnia.

Spero di essere stata abbastanza chiara e mi scuso se l’affermazione offende qualcuno.

Non è mia intenzione farlo e lo capirete appena leggerete il capitolo in questione.

 Questa affermazione non ha valenza razzista ma vi si nasconde un altro messaggio che ancora non siete in grado di cogliere.

 

 

Benjamin Price  05 Marzo  ore 10:21 PM

 

Idiota! Sei solo uno stupido idiota! Colette è chissà dove, sola e in lacrime, in una città che non conosce. E’ solo colpa tua! Solo tua! Come puoi essere stato così stupido! Come puoi aver fatto questo alla creatura più bella del mondo, la neve all’alba che hai detto di preferire all’uragano? Come puoi aver ferito quella ragazza che dicevi di amare. No, non ne sei degno, Benjamin Price. Non meriti l’affetto di quella ragazza. E forse, in questo momento, lei starà pensando con dolore ai momenti passati con quel buono a nulla di Benji Price, il portiere dell’Amburgo dal cuore di ghiaccio! Colette dove sei? Dove sei, piccolina?

 

Il gruppo stava tornando dalla stazione quando videro Benji seduto su una panchina, piegato su se stesso e con il volto tra le mani.

- Benji, cosa succede?- chiese Tom, sedendosi accanto all’amico.

Lui non rispose, continuando a nascondere il volto tra le mani che tante volte avevano afferrato una palla impossibile diretta a una porta di calcio ma che non erano state in grado di trattenere l’unica cosa che sembrava aver senso per lui in quel momento.

- Benji… stai piangendo!- osservò Patty, avvicinandosi all’amico.

- Lasciatemi in pace!- sbottò, saltando in piedi.

Anche alla fioca luce di un lampione distante era possibile notare il gonfiore e rossore di quegli occhi umidi- Non impicciatevi! E’ affare mio! Tornatevene a casa e non rompete i ciglioni!

Detto questo, corse via, lasciando sbalordita l’intera compagnia.

 

Tom Becker  05 Marzo  ore 10:23 PM

 

Cosa sarà successo? Sembrava sconvolto! E dove si trova Colette? Non era con lui?

 

Patricia Gatsby  05 Marzo  ore 10:23 PM

 

E’ successo qualcosa, me lo sento.

 

Mark Lenders  05 Marzo  ore 10:23 PM

 

Non ho mai visto Price piangere. Deve essere per via della sua ragazza. Avranno litigato… certo che l’ha messo KO. Lo capisco.

 

Colette correva da diverso tempo, incapace di orientarsi in quella città invasa dalle tenebre, accecata dalle lacrime e dai mille pensieri che le vorticavano nella mente, idee che facevano impallidire il buio di quella notte senza luna.

Era già inciampata più volte e ormai i suoi bei vestiti erano coperti di polvere ed aveva le ginocchia e i palmi delle mani scorticati.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 10:57 PM

 

Sono sola! Non ho nessuno! Pensavo che Benji mi volesse bene… invece sbagliavo! Ho sbagliato tutto. Nessuno vuole stare con me. Tutti se ne vanno quando io comincio a sperare che la cosa possa essere permanente. Benji mi ha illusa. Non volevo crederci… ma è stato più forte di me. Ti ho creduto Benjamin! Ho creduto a quella menzogna della relazione e a quelle belle parole che mi hai detto stamattina. Credevo di essere importante per te e invece… tu non vuoi neanche vedermi in foto! Non vuoi che la gente veda che eri in mia compagnia! Perché mi hai fatto questo? Perché? Sono davvero così inutile? Sono per caso una persona talmente debole che questa mia caratteristica si vede anche in una fotografia appesa al muro di un ristorante semideserto? Ha ragione. Io sono soltanto una debole ragazzina che nessuno vuole avere tra i piedi. Mamma… tu mi hai cacciata! Io ti volevo bene e tu mi hai fatta portare via! Hai rinunciato a me perché ero un ostacolo per la tua vita! E papà… lui vuole stare tranquillo e per questo mi ha mandato qui con Benji. Non vuole una figlia iperdepressa che gironzola per casa mentre lui si diverte con la sua nuova fiamma. Sono felice per lui… la merita un po’ di gioia… ma a me non resta nessuno! Sono sola. Anche tu mi hai lasciata per qualcun altro. Ve ne siete andati tutti quanti! Mi avete lasciata sola! Ma non posso restare qui. Non posso proprio farlo. Devo andarmene da questo posto.

 

Colette inciampò nuovamente e cadde a terra.

Sconsolata, si sedette ed osservò il ginocchio destro insanguinato. Grosse lacrime le pungevano gli angoli degli occhi ma le tratteneva. Non voleva piangere né attirare l’attenzione dei pochi passanti, così si tirò su e continuò la sua corsa senza meta, stanca e dolorante.

Si fermò solo quando vide davanti a lei un telefono pubblico.

Con le lacrime agli occhi, compose il numero del centralino.

- Centralino, mi dica.

- Vorrei addebitare una chiamata al signor Charles Montgomery, Beethoven Strasse, Amburgo.

- Una chiamata in Germania?

- Sì.

- Chi è lei?

- Colette Montgomery. Sono sua figlia. Per favore- disse Colette, trattenendo a malapena un singhiozzo- E’ importante.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Il Portafoglio di Benji ***


Disclaimer:

Disclaimer

 

Scrivo questa brevissima disclaimer per esprimere la mia delusione per il comportamento di alcuni utenti di questo fandom. Non è mia intenzione fare i nomi né delle vittime né dei carnefici. Ogni utente sa se è pulito oppure sporco e non sarò io a fare da coscienza per quelli tra voi che si sono dimostrati dalla parte del torto.

Colgo l’occasione in questa sede e proprio oggi perché so che altri lanceranno questo messaggio in questo giorno.

Il plagio è un atto spregevole e prima o poi verrà a galla e sarà punito dall’amministrazione, in questo fandom rappresentato dalla persona di Alex_kami con i suoi collaboratori e le sue collaboratrici.

Non ci saranno sconti.

In nessun caso.

I plagi verranno studiati e giudicati dalle persone preposte a questo compito e questi risultati verranno comunicati all’autorità competente che ne darà l’avallo.

Se desiderate che il personaggio di un’altra fanfiction venga inserito nella vostra perché non provate a chiedere all’autore se vi concede i credits? Quanto vi costa? Non penso che una domanda simile, per essere formulata, impegni più di cinque minuti del vostro tempo. Invece di compiere un atto scorretto che potrebbe costarvi molto caro perché non fare la cosa alla luce del sole e chiedere il permesso? Io mi sarei sentita lusingata.

Purtroppo qualcuno preferisce la via più semplice e più scorretta.

Ragazzi, fate come volete ma poi non lamentatevi se poi le conseguenze saranno quelle che saranno perché come le mettete voi le emozioni per creare una storia (un minimo di coinvolgimento l’avrete, no?) le mettiamo anche noi. Ciò che rubate non sono quattro caratteri scritti nero su bianco in un sito di fanfiction ma le emozioni degli autori della storia che plagiate e questo non è ammissibile. Non avremo alcun diritto concreto sui personaggi presi in prestito dall’autore e neanche su quelli originali ma cavoli, quelli sono stati creati da noi! Abbiamo dei diritti morali su quei personaggi e NON è accettabile che qualche furbetto rubi certe cose, rubi le emozioni e le esperienze di una persona!

Io metto delle vere emozioni nella mia storia e lo stesso fanno Alex_kami, Scandros, Luxy, Mentina, Sakura_chan, Momo_chan e tantissime altre persone che sono su EFP o che lo erano e se ne sono andate per non vedere più la loro vita stravolta e spiattellata su pagine di qualche cretino che si credeva furbo quando invece feriva solo i sentimenti di un altro essere umano.

Per questo io sono contro questo comportamento molto scorretto e, per quanto possibile, aiuterò coloro che si occupano di questa sezione a risolvere il problema.

Siete avvertiti, furbetti.

Colgo l’occasione anche per promuovere il contest di Melanto.

Per maggiori informazioni potete andare sul forum. E’ nella sezione concorsi di fanfic.

Adesso vi lascio alla lettura.

 

14 Ottobre 2006

MysticMoon

Capitolo 12

Capitolo 12

Il Portafoglio

Di Benji

 

Il telefono dell’ufficio di Charles Montgomery suonò insistentemente, costringendo la trafelata segretaria a rispondere.

- Hello. Questo è l’ufficio del presidente dell’Amburgo Football Club, il signor Charles Montgomery. Al momento il signor Montgomery è in riunione. Sono la sua segretaria, Edith Stein.

- Ho in linea una ragazza di nome Colette Montgomery da Fujisawa, Giappone. La chiamata a carico del destinarlo. Posso inoltrarla? Ha detto che è urgente.

La donna sorrise.

- Certamente. Parlerò io con la ragazza.

 

Edith Stein  05 Marzo  ore 15:03 PM

 

Chissà cosa vorrà quella ragazzina! Non se ne poteva stare buona buona in Giappone con quel ragazzetto grezzo e sempre incazzato? Insomma, domenica ci sposiamo! Non può stare qui! E’ una tale piattola… Speriamo che non chieda soldi… Quelli sono importantissimi nella relazione tra me ed il mio futuro marito.

 

- Pronto Colette? Sono Edith.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 23:03 PM

 

No, non lei! Non lei! Io volevo parlare con papà, non con la sua futura moglie. Ma non posso riattaccare. Devo per forza affrontarla.

 

- Ciao Edith- disse, cercando di calmarsi – Ho bisogno di denaro. Voglio tornare ad Amburgo immediatamente.

. Come mai? Mi sembravi contentissima di partire.

- Non ho più motivo di restare qui.

- Il tuo ritorno è previsto tra una settimana e tu tornerai la settimana prossima, non prima. Tuo padre non ha soldi da buttare per un futile capriccio.

- Il mio non è un capriccio- sbottò lei.

- E’ un capriccio. Ci vediamo la settimana prossima, Colette. Divertiti in Giappone e non fare più sprecare soldi a tuo padre. Saluterò  Charles da parte tua e gli riferirò di questo tuo insulso capriccio.

Detto questo la donna riappese e sorrise. Se c’era una cosa che non avrebbe fatto, era proprio riferire al suo futuro marito che l’adorata figlia, quella che lui chiamava “luce dei miei occhi”, aveva telefonato.

 

Edith Stein  05 Marzo  ore 15:05 PM

 

Piccola mia, quanto sei sciocca! Credi davvero che riferirò al papino che sei nei guai? No. Niente mi separerà da Charles. Almeno fino a quando non sarò la signora Montgomery. Sarà allora che potrò lasciarti il tuo papà, Colette. Un padre sul lastrico e con il cuore a pezzi, certo, ma sempre un padre.

 

Colette guardò la cornetta per qualche istante, poi scivolò sul pavimento della cabina telefonica e si coprì il volto con le mani, versando qualche lacrima di rabbia.

 

Colette Montgomery  05 Marzo  ore 23:06 PM

 

Tenta ancora di tenermi lontana da papà. E ci riesce, purtroppo.  Io non posso restare qui. Devo trovarmi un posto dove andare e guadagnare qualche soldo per partire. Non posso aspettare fino alla partenza di Benji. No, lui non voglio vederlo neanche in fotografia. Devo muovermi. Devo tornare in Germania, costi quello che costi.

 

La giovane si rialzò in fretta ed tornò a camminare lungo quelle strade che le apparivano uguali ed infinite.

 

Benjamin Price fu trovato da Martina sul dondolo della veranda.

Aveva gli abiti sporchi di polvere ed il viso segnato da quella che riconobbe come disperazione. Furono soprattutto le occhiaie scure che gli cerchiavano gli occhi del calciatore.

 

Martina Maroni  06 Marzo  ore 07:43 AM

 

Cosa diavolo è successo? Dove sta Colette? E che ci fa qui l’energumeno, ridotto a uno straccio e tutto sporco?

 

Con decisione, Martina scosse il giovane.

Non ci volle molto. Benji saltò su quasi subito, mostrando alla ragazza che i suoi occhi erano iniettati di sangue.

Lentamente, Benji si tirò a sedere e guardò la ragazza che l’aveva svegliato.

Aveva cercato Colette fino alle sei passate poi, sfinito, si era gettato su quel morbido giaciglio e si era addormentato.

- Cosa è successo tra te e Colette?- chiese Martina, serissima, guardandolo negli occhi- E non provare a inventare storie perché non credo più alle favole da parecchio tempo, signor Price.

Lui rimase in silenzio, sentendo le lacrime tornare a premere agli angoli degli occhi.

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 07:45 AM

 

Come faccio a dirle che non so dove si trova Colette? E perché dovrei confidarmi con questa ragazza? Prima la trovavo attraente ma adesso non più. Io voglio Colette! Mi sono innamorato di lei e non vedo altre. Colette… dove sei andata a finire? Ti prego, torna da me, Colette!

 

Martina Maroni  06 Marzo  ore 07:45 AM

 

E’ in lacrime! Cosa è successo a Colette? Ho quasi paura di ciò che potrebbe dirmi. Cosa ti opprime, Price?

 

Colette aprì gli occhi  lentamente, ferita dalla luce del primo sole e dal freddo che si era insinuato nelle sue ossa.

Si tirò su appoggiando le mani sull’erba e  guardò il riparo sotto il quale si era rifugiata. Dovevano essere passate le due di notte quando, stremata, era scesa giù per una scalinata e si era trovata su un prato che costeggiava un corso d’acqua incanalato. Era stato sotto un ponte che lei si era accoccolata, in posizione fetale e con la schiena a contatto con il muro di cemento.

Si era spostata di poco dal muro, giusto qualche centimetro che le aveva permesso di girarsi verso di esso con il volto.

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 06:59 AM

 

Cosa sto facendo… non posso vivere come una vagabonda per tornare a casa. Forse potrei chiedere aiuto ai ragazzi… se trovassi lavoro, di certo non otterrei il denaro necessario prima del ritorno programmato. Sì, andrò da loro e chiederò in prestito del denaro. Farò di tutto per avere quel po’ di soldi che mi permetteranno di allontanarmi da una persona che mi disprezza così profondamente.

 

Colette si alzò in piedi e guardò le sue ginocchia doloranti.

- Credo che chiederò loro anche qualche cerotto- aggiunse ad alta voce, iniziando la ricerca della casa.

 

- Questo è tutto.

Con quelle parole Benji concluse il racconto della serie di errori che aveva fatto nei confronti di Colette.

Martina, seduta al suo fianco, guardava assorta il volto bagnato di lacrime del portiere.

 

Martina Maroni  06 Marzo  ore 08:10 AM

 

Poverino! Certo che ne ha fatte di belle a quella povera ragazza! Colette doveva essere distrutta quando lui ha strappato le foto. E la storia dell’essere il suo ragazzo… ma è davvero così cieco da non capire che Colette aveva una gran bella cotta per lui? No, non è possibile che non se ne sia accorto.

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 08:10 AM

 

Perché l’ho capito solo dopo che lei poteva essere ferita dalla mia reazione? Perché non ho capito quanto male le potevo fare? Lei mi voleva bene, contava su di me! Ed io, da vero idiota, l’ho fatta scappare e lei è sola per Fujisawa, sola e infreddolita, con la spalla ferita e il desiderio di sparire.

 

Benji si alzò all’improvviso, facendo sobbalzare Martina.

- Devo andare a cercarla.

Detto questo, si diresse verso il cancello ma l’italiana lo seguì ed afferrò il grosso polso del portiere, fermandolo.

- Cosa vuoi?

- Vengo con te. Non puoi cercarla da solo.

- Smamma, Martina. Ti ho raccontato tutto ma resti qui. E’ una questione tra me e Colette, sono stato chiaro?

Con una dolcezza che non gli era propria, Benji abbracciò l’italiana, grato che in quella situazione lei fosse al suo fianco.

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 08:12 AM

 

Stronzo! Sei solo uno stronzo, Benjamin Price! Solo uno stronzo! Lo sapevo! Lo sapevo sin dall’inizio che non dovevo credere alle tue parole! Lei ti piace! Martina ti piace tantissimo, talmente tanto che l’abbracci davanti alla casa nel quale alloggia con il suo attuale ragazzo! Sei uno stronzo, Benjamin! Sei solo un giapponese egoista che si è preso gioco di me e dei miei sentimenti. D’ora in poi la smetterai di prenderti gioco del mio cuore. Sono stanca.

 

Martina vide un movimento sulla strada e riconobbe Colette, impietrita, che li guardava con aria sbigottita.

Immediatamente si liberò della stretta del giocatore e corse da lei, lasciandolo senza una parola.

- Colette, non è come pensi. Io…

- Stanne fuori, Maroni. Non sono questioni che ti riguardano, quindi ti pregherei di entrare in casa e non uscirne fino a quando non verrò da te ad avvertirti o lascerò questa proprietà. Muoviti.

 

Martina Maroni  06 Marzo  ore 08:12 AM

 

Oh oh! Se Colette usa questo tono deve essere davvero fuori di sé.

 

Martina tornò in casa in fretta, lasciando Colette ad affrontare Benji, che non si era mosso da dove si trovava, quasi pietrificato dal gelo di quegli occhi grigi e quelle labbra ridotte ad una rigida fessura.

Era sporca e spettinata, con le ginocchia sbucciate e le mani coperte di polvere, eppure non gli era mai sembrata più bella di quel giorno.

La ragazza si avvicinò a lui con passo marziale, fermandosi solo quando fu a meno di un metro da lui.

- Ti odio, Benjamin Price.

A quelle parole il giovane cadde in ginocchio davanti a lei, guardandola negli occhi con aria disperata.

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 08:14 AM

 

Il cuore mi scoppia di gioia eppure si è appena spezzato. La mia Colette mi odia. Hai giocato troppo con lei e adesso si è stancata di essere un pupazzo nelle tue mani.  E’ forte più che mai… eppure sembra così fragile! Come faccio a farle capire quanto amore provo per lei? Come fosso riconquistare la sua fiducia, qualcosa che sembrava inesauribile? Come posso farmi perdonare?

 

- Cosa ti prende? Non ti reggi in piedi?

- Forse anche per questo, ma no. Mi inginocchio davanti a te e chiedo il tuo perdono. Ti chiedo di darmi un’altra possibilità.

- E perché dovrei concederti una nuova possibilità? Per farmi strappare nuovamente il cuore grazie a delle foto? O per umiliarmi facendomi passare per la tua ragazza muta e cretina? O magari per vederti baciare la ragazza che ti attrae? No. Sono stufa. Non voglio più vederti. Benjamin Price, d’ora in poi noi due saremo due estranei, sono stata chiara?

- No!- gridò Benji, alzandosi in piedi e prendendola per i polsi.

- Lasciami- ringhiò- O ti denuncio per percosse.

- Non posso. Come tu non puoi perdonarmi, io non posso permetterti di zittirmi.

- Ti odio, Benj!- gridò.

- Io ti amo Colette- sussurrò, lasciandole andare i polsi – Mi dispiace averti fatto del male. Volevo una scusa per stare con te. Volevo avere la possibilità di amarti senza forzarti a ricambiare.

Colette cercò la menzogna nei suoi occhi, scoprendovi però solo una grande commozione ed il dolore di un cuore ferito e calpestato da parole grandi e pesanti. Non sembrava essere in malafede.

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 08:15 AM

 

No! Non posso credergli! Non posso crederci! No, non posso fidarmi di lui! Mi farà male di nuovo ed io potrei non riprendermi più da questo. Non posso permettergli di fare breccia nel mio cuore proprio adesso che ho detto addio al mio sogno di stare con lui!  Non posso cedere… ma sembra sincero!

 

Benji vide grandi lacrime riempire gli occhi di Colette e tese la mano per asciugarle, ma questa si ritrasse e, voltate le spalle, tornò verso la strada.

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 08:15 AM

 

No, stavolta non ti faccio scappare! Non posso perderti di nuovo!

 

Benji le si parò davanti, bloccandole l’uscita dal giardino.

- Lasciami passare.

- No. Ti ho cercata tutta la notte e non ti faccio andare via.

- Non puoi costringermi.

- Ti prego… sei la persona più importante per me.

- Balle!

- Non è vero! Quando mi hai baciato io... non so cosa era ma non ho mai provato nulla di simile prima di quel giorno. E’ stata l’esperienza più intensa di tutta la mia vita.

- Mi hai baciata?!

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 08:16 AM

 

E questa da dove esce? Lui avrebbe baciato me? Ma è diventato pazzo? Oppure… mi ha rubato un bacio. Lui ha rubato il mio primo bacio!

 

- Tu, sporco maiale… non voglio mai più vederti! Voglio tornare in Germania e dimenticarmi di te, mostro!

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 08:16 AM

 

Mi odia… lei mi odia… Non posso fare altro che aiutarla ad allontanarsi da me. Morirò, lo so, ma non posso fare altrimenti.

 

- Tieni il mio portafogli- disse, porgendolo alla bionda- Ci sono dentro abbastanza soldi per tornare in Germania. Io mi farò spedire dei soldi da mio padre. Sono dollari, quindi non avrai problemi a farteli cambiare all’aeroporto.

Colette prese l’oggetto che lui le porgeva, poi voltò le spalle e si allontanò senza rivolgergli la parola.

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 08:18 AM

 

Ben ti sta! Maiale! Mi hai rubato l’innocenza ed anche il primo bacio! Sono felice che tu stia male! Sono felice… talmente tanto… che piango per la gioia! Il mio è un pianto di gioia, Benjamin Price!

 

- Signorina, sono 300$.

La ragazza guardò l’oggetto donatole dal ragazzo. Era un portafoglio di semplice stoffa, con una comunissima chiusura a strappo.

L’aprì, pronta a prendere le banconote lasciate da Benji, e il respiro le morì in gola: davanti a lei, sotto una sottile membrana di plastica trasparente, c’era una foto scattata con una Polaroid, la stessa foto che aveva visto strappare a Benji.

- Non le hai strappate tutte…- sussurrò- Allora eri sincero. Tu eri sincero, Benji… Sei sincero!

Tra le lacrime di dolore si accese un sorriso radioso e la ragazza si voltò e corse nella direzione dalla quale era venuta, lasciando l’uomo con il biglietto in mano e l’espressione di disapprovazione dipinta sul volto.

 

Benji era in giardino, seduto sugli scalini che portavano alla veranda.

Aveva le mani tra i capelli e piangeva disperatamente.

Tutti in casa si erano avvicinati a lui ma nessuno era riuscito a farlo smettere di disperarsi o era riuscito a fargli mangiare qualcosa per il pranzo.

Vide a malapena un’ombra avvicinarsi e quando sentì quella mano sfiorargli i capelli scostò con decisione la testa.

Non voleva essere compatito. Colette aveva scelto e lui doveva accettare ciò che lei aveva deciso.

La mano si posò nuovamente sul suo capo e lui di nuovo si spostò.

Quando la mano lo toccò per la terza volta, il suo lato violento ebbe il sopravvento e strinse con decisione il polso che, al tatto, appariva sottile e appartenente ad una persona di sesso femminile.

- Lo so che non vuoi farmi del male e non volevi farlo neanche in questi giorni. So che non l’hai fatto apposta.

Una voce dolce come il miele accarezzò le sue orecchie e lo spinse a guardare colei che aveva parlato.

Colette era in piedi davanti a lui e sorrideva con dolcezza.

Benji si alzò in piedi e lasciò andare il polso di lei.

- Benji, ho trovato una di quelle foto nel tuo portafoglio. Ho capito che hai strappato quelle foto per un motivo che io non posso capire, ma sappi che mi sono sentita malissimo quando l’hai fatto. Ho creduto che anche tu ti eri stufato di me. Io so di essere pesante e lagnosa e so anche che non è facile essermi amico perché sono problematica e tremendamente insicura, che sono una fragile buona a nulla…

- Ehi- disse lui, sollevandole il mento mentre un lieve sorriso incurvava gli angoli della sua bocca- smettila di offenderti. Tu non sei nulla di questo. Non sei pesante perché a me fa piacere stare in tua compagnia. Non sei lagnosa o problematica perché ti lamenti solo in casi di grave disagio. E soprattutto non sei debole. Una persona debole non ammetterebbe davanti a tante persone sconosciute di essere stata anoressica. Colette, tu sei uscita dal tunnel dell’anoressia ed io ero al tuo fianco perché tuo padre mi aveva pregato di farlo, ma dopo un solo incontro io non l’ho più fatto per lui. L’ho fatto per te, perché mi sono sentito a mio agio in tua compagnia, e non solo perché sei una ragazza molto bella. Era la tua anima a legarmi a te.

- Sono bellissime parole, Benji, ed io ti credo.

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 01:49 PM

 

Sei tornata la mia Colette… i tuoi occhi sono così belli quando sei felice e la tua voce è musica. Sono stato uno stupido e adesso devo parlare chiaro e farle capire quanto tengo a lei.

 

Il giovane prese una mano di Colette tra le sue e se la portò alle labbra.

- Se non fossi stato così stupido, forse non ti saresti mai fatta male ma non avrei mai capito quanto io conti per te e quanto tu fossi importante per me. Ho passato una notte da incubo per cercarti e quando ti ho visto così rabbiosa... Colette, mi sono sentito morire quando hai detto di odiarmi.

Colette sorrise dolcemente.

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 01:49 PM

 

Ti credo e voglio farti capire che per me sei importante quanto io lo sono per te. E voglio sapere cosa aveva di speciale quel bacio che non ricordo. Non so se me l’hai rubato o cosa è accaduto quel giorno, ma io voglio sapere come mai l’hai considerato così importante. L’hai definita l’esperienza più intensa di tutta la tua vita e desidero sapere se sarà anche per me così.

 

- Non ricordo quel bacio- sussurrò, guardandolo fisso negli occhi per controllarne la reazione- Puoi ricordarmi come è stato?

Benji, al culmine della felicità, prese Colette per la vita e vorticò per il giardino con la ragazza tra le braccia, stringendola a sé come se fosse l’oggetto più prezioso di questo mondo.

Caddero a terra sorridendo e Colette, contrariamente alla sua natura, scelse di prendere l’iniziativa.

Lui le stava accarezzando la guancia quando lei, che si trovava sopra di lui per ovvie ragioni di peso, si chinò su di lui e lo baciò.

 

Colette Montgomery  06 Marzo  ore 01:52 PM

 

Le stelle… un’esplosione… una supernova… la luce in fondo al più oscuro dei tunnel… amore. Questo è l’amore.

 

Benjamin Price  06 Marzo  ore 01:52 PM

 

Neve… mia candida e pura neve… intatta neve che all’alba risplendi e infondi pace e serenità… io sarò il gelo che ti conserverà intatta e ti proteggerà dal fuoco della vita. Nessuno potrà farti del male finchè io sarò con te.

 

Dalla finestra del salotto, un nutrito gruppetto di persone osservava la scena che stavano vivendo i due. Tutti sorridevano, felici che anche quello strappo fosse stato finalmente ricucito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: Il Dono di Nozze ***


Capitolo 13

Capitolo 13

Il Dono

Di Nozze

 

NdA: andiamo avanti con la storia di Colette e Benji dedicando loro un nuovo capitolo.

 

L’aereoporto di Tokyo era praticamente vuoto a quell’ora di notte. Solo due persone si aggiravano in quelle grandi sale, trascinando dietro di loro un pesante bagaglio.

Avevano salutato gli amici subito dopo la cena, quando avevano annunciato il loro intento di tornare immediatamente in Germania. Avevano già preparato i bagagli e rivenduto i loro biglietti, mutandoli in biglietti per l’aereo per Dusseldorf  delle ore 02:25 della notte.

Avrebbero dovuto prendere un paio di treni per arrivare in città ma sarebbero arrivati in Germania almeno dodici ore prima delle nozze e quindi avrebbero avuto molto tempo per  arrivare ad Amburgo, cambiarsi e partecipare alla cerimonia.

Colette guardò il volto serio del calciatore di cui era innamorata e gli strinse di più la mano, per fargli sentire che gli era accanto.

 

Benjamin Price  07 Marzo  ore 01:54 AM

 

Piccola Colette, hai paura che io possa soffrire per il distacco dal Giappone? Ormai sono abituato a vivere lontano da qui. E’ la mia terra di origine, questo è vero, ma l’ho lasciata quando ero poco più che un bambino e soffro molto meno di allora. Mi preoccupo soprattutto per la reazione di tuo padre. Non sa che stai tornando e quella Edith non mi piace un granchè. Secondo me fai benissimo a voler partecipare alle loro nozze. Non so se hai intenzione di fermarle o no, ma io sarò con te per sostenerti.

 

Colette Montgomery  07 Marzo  ore 01:54 AM

 

Benji, non so se hai capito o se approverai quello che ho intenzione di fare, ma spero che sarai in grado di perdonarmi. Quello che non mi perdonerà sarà mio padre. Sono certa che mi sbatterà fuori di casa, sia che la sposi o che mi dia retta. Gli rovinerò la vita, così come gliel’ha rovinata la mamma, ma sarà per una buona causa. Edith non mi sembra la donna dolce e buona che spesso mi ha descritto. Mi sembra più legata ai suoi soldi che a sua figlia. Non vorrei che fosse solo un’arrampicatrice sociale, una di quelle donne che sposano uomini ricchi e importanti per poi divorziare e rubare tutti i suoi soldi. Papà potrebbe soffrire anche se non mi opponessi alle sue nozze. Di sicuro non capirà come mi sento e non capirà cosa mi spinge a diffidare di quella donna. Cosa posso fare per lui? Cosa? Ti prego Benji, aiutami tu a non sbagliare.

 

- Non devi essere troppo tesa, oppure sull’aereo non dormirai e arriverai stanca morta in Germania. Ricordati che poi dobbiamo partire per Amburgo, arrivare a casa tua e a casa mia per metterci qualcosa di adatto alla cerimonia e correre in chiesa. Arriveremo lì più o meno all’una di notte e prima delle due non potremo andare in stazione a prendere il treno. Il matrimonio è alle quattro, vero?

- Sì. Se non avessi rovinato il vestito…

- Non è il momento di piangere sul latte versato. Ormai è accaduto. Abbiamo un buon margine di tempo. Possiamo fare tutto con calma.

Colette annuì e sorrise lievemente, ma il suo umore non era migliorato.

 

La stanza veniva lentamente sommersa dalla dorata luce del primo sole quando una delle due figure avvolte tra le lenzuola del grande letto matrimoniale si sollevò e, con passo pesante, si diresse verso il bagno interno.

Charles Montgomery osservò con attenzione la propria immagine riflessa nello specchio: il gran giorno era appena iniziato e lui voleva che fosse tutto perfetto.

I suoi occhi, fortunatamente, non avevano risentito del poco sonno e con un getto d’acqua e un buon caffè tutto sarebbe potuto andare per il meglio.

Passò stancamente una mano sul capo, coperto da una massa di capelli scuri che da qualche tempo si stavano diradando sulla fronte, allargandola. No, quel fatto era negativo, ma non poteva ovviare al problema in poche ore.

Fece qualche smorfia, sperando di individuare un qualsiasi segno dell’allegra nottata trascorsa in compagnia della bionda segretaria, ma nulla era rimasto sul suo volto.

Sapeva che era di malaugurio vedere la sua donna prima delle nozze, ma non aveva saputo resistere alla donna che da qualche giorno si era trasferita sotto il suo stesso tetto. Tornato dalla festa di addio al celibato ubriaco come non mai, era entrato nella sua stanza e l’aveva convinta a passare la notte insieme nonostante la tradizione.

Adesso lei giaceva di là, ancora tra le braccia di Morfeo. Era supina, con i capelli ricciuti sparsi sul cuscino e il corpo avvolto parzialmente da un lenzuolo di seta rosa.

- Come sei bella, amore mio- sussurrò al suo orecchio, piegandosi sul corpo della sua futura sposa- Adesso vado di là, prima che vengano a svegliarti per indossare l’abito e dare gli ultimi ritocchi.

La donna mugolò, voltandosi dall’altra parte mentre lui sfiorava la sua gota con le labbra.

Charles Montgomery sorrise e lasciò la stanza, felice come non mai.

Non si accorse neanche dell’occhio ceruleo che, completamente aperto, ne spiava i movimenti.

 

Edith Stein  07 Marzo  ore 06:02 AM

 

Per fortuna che presto questa farsa sarà finita… non mi piace quando quello scimmione mi tocca. E non sopporto quella lagna di sua figlia. Povera piccola scioccherella… presto avrò distrutto il tuo papino, avrò tanti soldi ed anche la mia vendetta. Tra poco più di dodici ore Charles Montgomery firmerà la sua condanna.

 

Colette e Benji si guardarono attorno in cerca di un taxi.

Un ritardo del taxi a Dusseldorf aveva fatto perdere loro il treno diretto e solo grazie alla puntualità dei diversi treni che avevano dovuto cambiare erano giunti ad Amburgo entro le due del pomeriggio, poco più di quattro ore prima della cerimonia.

Un taxi guidato da un uomo con bianchi baffi a spazzola si fermò accanto a loro.

- Dove vi porto, ragazzi?- chiese sbadigliando.

- Karl August Strasse, il numero 24- disse Benji.

- Benissimo- disse l’uomo, voltandosi per osservare la coppia con esasperante lentezza, quasi non volesse sforzarsi troppo per trasportare due adolescenti.

Solo allora riconobbe Benjamin Price e sgranò gli occhi, ora perfettamente sveglio.

- Volo, signor Price- disse, ingranando la marcia e lanciandosi veloce tra le auto del grande viale.

 

Benjamin Price  07 Marzo  ore 01:58 PM

 

Non sono mai stato così felice di essere celebre. Spero solo che Colette non se la prenda troppo se prima passiamo da me. Il suo abito migliore è da buttare ed è meglio che non passi da casa prima delle nozze. Faremo prima comprando qualcosa di nuovo e presentandoci in chiesa per la cerimonia.

 

Colette Montgomery  07 Marzo  ore 01:58 PM

 

Benji… se tu sapessi cosa sto per fare… no, Edith non mi piace affatto e devo fermare questo matrimonio ad ogni costo. Spero solo che si sbrighi a cambiarsi. Devo arrivare a casa prima che papà esca. Non posso intervenire davanti a tutta quella gente. Papà subirebbe un’umiliazione pubblica ed io sarei tacciata come ragazzina viziata che non accetta che il padre si rifaccia una famiglia. Certo, lo so che è giusto che papà si trovi un’altra donna e sia felice… ma Edith è Edith! Quella donna vuole soltanto i suoi soldi! Vuole allontanarmi da lui per renderlo più vulnerabile. Ho paura che papà stia per fare un altro grave errore. Papà, ti prego, non sposare quella donnaccia!  Non uscire di casa prima del mio arrivo!

 

- Colette, mi hai sentito?- chiese Benji, sventolandole una mano davanti agli occhi per attirare la sua attenzione-  Ti stavo chiedendo se per te va bene se passiamo da me e poi andiamo a comprare l’abito per te.

- Ho avuto un’altra idea. Perché non mi vieni a prendere davanti al cancello di casa mia alle quattro? Tu va pure a casa e preparati per la cerimonia. Io mi faccio accompagnare a casa da questo gentile tassista e mi metterò qualcosa all’altezza. Va bene?

Benji annuì ed estrasse il portafoglio dalla tasca.

Colette sorrise nel rivedere quella foto che le aveva fatto capire tante cose. Di certo quello era stato il giorno più bello che avesse mai vissuto, nonostante l’inizio fosse stato piuttosto burrascoso. In quelle ore aveva versato tante lacrime ma quella brutta situazione l’aveva aiutata a capire quanto tenesse a Benji e con quanto affetto i suoi sentimenti fossero ricambiati. Ridacchiò dentro di sé mentre si vedeva attaccare Martina e con Benji con una forza che non sapeva di possedere.

- Sono cento euro- le disse il portiere, porgendole una banconota - Credo che basti sia per la mia parte di corsa che per la tua.

- Non devi darmi dei soldi. Pagherà mio padre.

- Lascia che gli faccia risparmiare dei soldi. Non ho neanche acquistato un regalo per il suo matrimonio.

Lo guardò pensierosa.

 

Colette Montgomery  07 Marzo  ore 02:06 PM

 

Non voglio accettare questi soldi! Già Benji è stato tanto gentile da assecondarmi nel mio desiderio di tornare a casa senza sapere che ho intenzione di rovinare il suo matrimonio, figurarsi se posso accettare i suoi soldi… ma se non trovassi papà in casa sarebbero necessari. Di certo Edith non mi darebbe un centesimo. Già sarà incavolata nera vedendomi presenziare alle nozze… se le chiedessi dei soldi potrebbe ammazzarmi! E se sapesse quali sono le mie intenzioni sarebbe capace di sputare fuoco dalla bocca e iniziare a girarmi su uno spiedo dell’Inferno. Devo accettare questo denaro. Sono sicura che troverò papà ancora a casa ma devo assolutamente accettare questo denaro. Sì, lo accetterò.

 

Colette sorrise ed accettò la banconota.

Nel giro di altri cinque minuti la macchina si fermò davanti allo stabile in cui abitava il portiere dell’Amburgo.

 

Senza degnare della minima attenzione le persone che la salutavano affettuosamente, Colette salì su per la scalinata in marmo rosa e, giunta di fronte alla stanza in cui alloggiava quella che presto sarebbe diventata la sua matrigna, entrò senza neanche bussare.

Aveva scelto di lottare per salvare suo padre e adesso stava mettendo in pratica ogni sua intenzione varcando la soglia che la separava dalla donna.

Le sghignazzanti Hilda e Linde si voltarono verso la ragazza trasandata, stupite che l’odiata figliastra dell’amica si trovasse in quel palazzo, vestita da viaggio e con l’aria tutt’altro che mite.

Dalla nuvola di chiffon bianco che era il suo abito, Edith Stein squadrò la futura figliastra ma non si scompose.

- Sei già tornata, Colette?- chiese, spostando un ricciolo biondo dal viso per poter guardare la ragazza negli occhi.

La freddezza di Edith non era un mistero per le sue starnazzanti amiche quindi la donna non si preoccupò di nascondersi dietro un muro di falsa gentilezza.

- Sì, Edith, sono qui e vorrei parlare a quattr’occhi con mio padre prima delle nozze, se non ti dispiace. Tu sai dove posso trovarlo?

- Tuo padre è già in chiesa, ma puoi parlare con me. Hilda, Linde, andate pure di sotto ad assaggiare qualche stuzzichino. Lo sapete come sono questi italiani… non vorrei che avessero speziato troppo la salsa per le tartine.

Le rosse colleghe di Edith obbedirono ed immediatamente la temperatura nella stanza scese ancora di più.

- Edith, io devo parlare con mio padre- scandì Colette.

- Ed io ti ho detto di parlarne con me. In fondo stai per diventare mia figlia.

Colette storse la bocca in un’espressione amara.

- Cosa significa quella espressione, signorinella?

- Io non sarò mai tua figlia, Edith Stein. Mia madre è stata orrenda come genitrice, mi ha abbandonata quando ero una bambina e mi ha fatto capire chiaramente che se non ero una modella della sua scuderia non ero nessuno. Quella donna ha distrutto la vita di mio padre, gli ha fatto soffrire le pene dell’inferno. Ma nonostante tutto questo resta sempre la mia unica madre.

- E’ per questo che adesso ci sono io, mia cara. Io riporterò la gioia nella vita di tuo padre. Sapessi quanto lo amo..

- Tu ami i suoi soldi, Edith, non la sua persona. Prova a negarlo.

- Mi ferisci, Colette! Io provo un sentimento sincero per tuo padre.

- Tu lo provi per il suo portafogli. Ma credi che non abbia visto che non t’importa assolutamente nulla di lui? Mi credi tanto cieca da non vedere il tuo disprezzo per me perché allontano mio padre da te? Non sono una sciocca e non sono una bambina, Edith.  Per questo non permetterò che una segretaria a caccia di soldi lo incastri e lo distrugga di nuovo.

Gli occhi di Edith si accesero.

Afferrata la ragazza per il braccio lesionato, le fece colpire l’anta dell’armadio a muro, in quel momento spalancato e, dopo averla spinta in malo modo all’interno, chiuse a chiave la ragazza.

- Tu non rovinerai i miei piani, ragazzina!

Detto questo uscì dalla stanza con passo imperioso.

 

Edith Stein  07 Marzo  ore 03:57 PM

 

Porca miseria! Quella piaga aveva intenzione di usare la sua influenza sul padre per mandare a monte le nozze. Piccola intrigante che non è altro! Se riuscisse a parlare con il padre non so come andrebbe a finire. Meglio che se ne stia lì fino al sì. Io voglio quei soldi e non mollerò così facilmente!

 

Benji guardò preoccupato l’orologio da polso. Erano quasi le cinque ma di Colette non c’era ombra ed ormai tutti erano usciti di casa. L’unica auto che era ancora parcheggiata di fronte alla scalinata della villa era quella della sposa.

 

Benjamin Price  07 Marzo  ore 04:58 PM

 

Ma dove cavolo è finita Colette? Possibile che già andata in chiesa con il padre e non mi abbia avvertito? No, non lo farebbe mai. Ma allora dove è andata a cacciarsi? Tra un’ora inizia la cerimonia.

 

Benjamin Price prese coraggio e suonò al campanello.

 

Colette colpì di nuovo la porta con una spallata ma questa, di solidissimo noce, non diede segno di aver subito danni dall’urto con il corpo leggero della ragazza.

Adesso le facevano male entrambe le spalle e non sembrava che fosse destino uscire da quella prigione in cui si era introdotta da sola.

 

Colette Montgomery  07 Marzo  ore 04:18 PM

 

Mi sono fregata con le mie stesse mani. Ma perché ho parlato così chiaro con Edith? Possibile che quando avrei dovuto tacere non ho saputo fare altro che dar fiato alle trombe e finire in un armadio a muro dal quale non posso uscire se non dopo che mio padre sarà sposato con quella donnaccia? Lei lo spennerà e lo lascerà depresso più di prima ed io non posso fare altro che lasciare che questo avvenga. Ma perché ho parlato! Sto sempre zitta, no? Perché adesso invece ho questa parlantina? E perché ho parlato così tanto con quella larva succhiasoldi! Se soltanto qualcuno potesse aiutarmi ad uscire da qui…

 

Si fece spazio per l’ennesima volta sul fondo dell’armadio, spostando scatole di scarpe, vestiti dal fortissimo profumo e biancheria intima piuttosto succinta appena lavata, ed iniziò a dare calci e pugni alle ante, cercando ancora di aprire quella trappola infernale o, nella peggiore delle ipotesi, fare a pezzi le scarpe dagli acuminati tacchi di Edith, che stava usando per l’operazione come una sorta di piccone.

 

Il maggiordomo stava sbarrando la strada ad un irritatissimo Benjamin quando un rumore infernale venne dal piano superiore e spinse la maggior parte dei domestici ad andare a controllare.

La sorpresa dei presenti fu grande nel vedere l’armadio della futura padrona scosso dai colpi ed un occupante che, a giudicare dalla voce, era la signorina Colette che si esibiva in un a performance che comprendeva un colorito vocabolario di epiteti degni di uno scaricatore di porto piuttosto sboccato.

Sul pavimento c’erano molte schegge dell’armadio, prezioso dono del signor Charles alla futura moglie e dall’apertura che si era creata nel legno fuoriuscivano dei tacchi e quella che sembrava l’asta dell’appendiabiti.

- Qualcuno vuole aprire quest’orrendo armadio o devo rompere un’altra preziosissima statuina di cristallo della beneamata signorina Edith Stein, detta anche la più sporca puttana presente sulla faccia della terra?

Benji accorse subito, aprendo l’armadio e trovando una Colette ben lontana dalla solita ragazza solare e timida a cui era abituato. I capelli biondi erano incollati al cranio dal sudore che la bagnava completamente ed i suoi occhi erano iniettati di sangue. Solo quando aveva intenzione di uccidere Martina possedeva quello stesso piglio deciso.

- Andiamo a rompere le ossa a quella troia!- ringhiò, uscendo dall’armadio mentre cercava di togliersi di dosso le schegge di legno ed il sangue che le bagnava le mani martoriate da quell’ardua lotta.

Benji si fece da parte e lo stesso fecero gli altri.

Erano ormai seduti nel taxi quando lo stesso maggiordomo che aveva fermato Benji porse ai ragazzi dei vestiti ed un paio di scarpe, facendo finalmente notare a Colette di avere ai piedi solo i calzini.

 

Benjamin, voltato verso l’esterno, non guardava ciò che Colette stava facendo con i vestiti. Sapeva quanto le ragazze fossero pudiche e per questo non osava neanche lanciare uno sguardo alla ragazza di pessimo umore che viaggiava al suo fianco.

 

Benjamin Price  07 Marzo  ore 05:28 PM

 

Mamma mia, ha l’aria feroce! Ma cosa cavolo sarà successo? Che ci faceva rinchiusa in un armadio? E perché ce l’ha tanto con Edith? Che voglia impedire al padre di sposarsi è ormai lampante… ma cosa avrà mai detto a quella donna? Non so cosa voglia fare, ma non mi piace per niente questa faccenda. Non vorrei che restasse ferita da suo padre o che lui reagisca male… Io, dal canto mio, non posso fare altro che appoggiarla in tutto e per tutto. Glielo devo e credo sia la cosa più giusta da fare. Certo che poteva anche cambiarsi in casa invece che qui, in mezzo al traffico… ma soprattutto qui vicino a me! Ma non si rende conto di essere una tentazione? Ok, adesso ha altro a cui pensare ma io non posso fare altro che immaginare ed essere tentato. Mi pare più che naturale, no? Insomma, io sono un uomo e lei è una gran bella ragazza che si sta cambiando a pochi centimetri da me. Ma perché non sono in grado di evitare di pensare a lei in questi termini in una situazione simile? Sono orribile.

 

Colette Montgomery  07 Marzo  ore 05:39 PM

 

Quella sporca puttana me la pagherà! Ah, se me la pagherà… Le farò ingoiare tutto quel suo ego a suon di calci! La farò pentire di avermi chiuso in quello stramaledetto armadio e di avermi sfidata! Io salverò mio padre da questo matrimonio di convenienza, fosse questa l’ultima cosa che faccio in vita mia! Non permetterò a un’altra donna di spezzargli il cuore! MAI! Ma riuscirò a salvarlo? Arriverò in tempo?

 

- Credi che arriveremo in tempo?

Le prime parole pronunciate da Colette da quando erano usciti di casa ebbero su Benji l’effetto di una fucilata.

Si sforzò di non voltarsi, sentendo ancora il frusciare della stoffa sulla pelle di lei, e, preso fiato, rispose.

- Non so. La cappella è molto fuori città e con questo traffico non ce la faremo prima di un’altra ora, se non oltre.

- Quindi ho perso.

- Certo che no! Non devi arrenderti. Non so cosa abbia spinto Edith a farti questo ma tu non devi mollare. Ce la faremo a salvare tuo padre da quella donna. Non la sposerà senza la tua approvazione. Ti ama troppo per farti questo.

- Ma ama anche lei. Chi sceglierà?

- Sceglierà te. Sono assolutamente sicuro che non ascolterà neanche una parola di Edith.

- Vorrei avere la tua stessa sicurezza.

- Non ti fidi di tuo padre?

- Vuoi la verità? No. Prima ha sposato una donna che dopo neanche dieci anni di nozze l’ha abbandonato rinunciando a qualsiasi diritto sulla figlia solo perché non poteva permettersi di avere lui e la bambina intorno. E adesso cerca di sposare una donna che disprezza la figlia e vuole soltanto i suoi soldi. Non mi pare che abbia molto fiuto con le donne.

- Non sei un tantino troppo severa nei suoi confronti?

- No. Sono obiettiva.

- Obiettiva ma severa.

- Non diresti la stessa cosa se conoscessi mio padre. Benjamin, tu non hai mai avuto questi problemi.

- No, di certo non posso capire tutto questo, Colette- rispose lui, con tono risentito ma senza guardare la ragazza- Io sono stato molto più fortunato di te su questo versante della mia vita: so che faccia hanno i miei genitori perché ogni Natale mi mandano un bel mazzetto di soldi corredato di foto. Questo mi crea ben altri problemi, come ad esempio sentirmi sottovalutato dai miei e molto solo, ma di certo non ho questi problemi, dato che di me se ne infischiano altamente.

 

Colette Montgomery  07 Marzo  ore 05:44 PM

 

E brava Colette! Se volevi che lui ti odiasse ci sei riuscita alla grande! Lo sai perfettamente come è la sua situazione ma tu no! La delicatezza l’hai buttata nella pattumiera e gli hai fatto del male. Quanto sono stronza! Non avrei mai dovuto dire una cattiveria simile alla persona che penso di amare.

 

Benjamin Price  07 Marzo  ore 05:44 PM

 

Quanto sei cretino, Benjamin! Lei ti parla dei suoi problemi e tu non sai stare zitto per una cosuccia detta mentre è sconvolta? Sei davvero un pirla. Complimenti vivissimi, signor Price: lei ha vinto il Mongolino d’Oro. Altro che Pallone d’Oro! Questo lo vincono solo i coglioni più coglioni della categoria “homo insapiens”. Se fossi in Colette come minimo mi sputerei in un occhio.

 

Dopo qualche minuto di silenzio, Colette spinse Benji a guardarla e, preso coraggio, parlò.

- Mi dispiace. Sono stata davvero indelicata.

- E’ anche colpa mia. Tu mi hai fatto del male tentando di escludermi, questo è vero, ma non avrei dovuto reagire in quel modo. Tu sei molto preoccupata per la felicità di tuo padre ed io lo capisco, ma ti stavo semplicemente spronando a fidarti di più del suo giudizio. E’ pur sempre l’uomo che ti ha cresciuta, Colette, quindi non può essere così sprovveduto come lo dipingi.

Colette annuì ma non era per nulla convinta.

 

Il prete stava per pronunciare la formula finale della cerimonia quando il pesante portone fu spalancato e una ragazza con un lungo abito verde acqua entrò nella chiesa con passo rapido, seguita a ruota da un ragazzo in giacca e cravatta.

I presenti si voltarono per osservare la coppia arrivata in grande ritardo e non fu necessaria più di una manciata di secondi per riconoscere nei ritardatari la figlia dello sposo ed il portiere titolare dell’Amburgo.

- Papà, non sposare quella donna!- ordinò Colette quando si trovò davanti agli sposi.

L’uomo si stupì di trovarsi davanti alla figlia. Non si aspettava che tornasse dal Giappone per il matrimonio e non immaginava che potesse presentarsi davanti a lui con gli occhi iniettati di sangue e le mani ferite.

Un brusio si diffuse immediatamente per la chiesa mentre la sposa, livida di rabbia, guardava la ragazza che le stava rovinando l’occasione della sua vita ed il suo prestante accompagnatore, che sembrava più la sua guardia del corpo che un amico.

 

Edith Stein  07 Marzo  ore 06:59 PM

 

Che razza di puttanella! Quella ragazza me la pagherà cara se non riuscirò a mettere il cappio al collo del suo paparino! C’ero quasi riuscita… Maledetta Colette Montgomery, maledetto Benjamin Price e maledetta Micaela Schulz! Giuro che gliela farò pagare se mi rovina le nozze!

 

Charles Montgomery, senza perdere la calma, fece avvicinare il prete e, dopo aver sussurrato qualche parola al suo orecchio, fece cenno ai ragazzi e alla moglie di seguirlo in sagrestia.

- Colette- esordì l’uomo con fermezza- Come mai ti opponi al mio matrimonio?

Gli occhi della ragazza lo supplicavano mentre pronunciava il suo accorato appello.

- Papà, non puoi sposare una donna che punta solo al tuo conto in banca. Edith è perfida. Non ti ama e non vuole che io intralci la sua vita perché è cosciente che io potrei rovinarla. Mi ha chiuso dentro l’armadio della sua stanza pur di non farmi venire qui ad impedirti di sbagliare.

Charles Montgomery sorrise.

- Sono felice che tu sia preoccupata per me.

- Allora non la sposerai?

Il volto di Edith si fece livido.

- Piccola, mi fa piacere ma non devi preoccuparti. Edith mi ama ed io amo lei.

 

Edith Stein 07 Marzo  ore 07:01 PM

 

Cosa cosa cosa? Quel coglione ci è davvero cascato? Ed io che mi ero sforzata tanto per evitare che la vedesse!

 

- Non è vero!

- Colette…

- Signor Montgomery, è la verità.

L’uomo guardò il ragazzo che aveva parlato con aria furibonda.

- Tu non c’entri, Benjamin Price.

- Non essere ingiusto papà! Benji mi ha aiutata a…

- Colette, so bene quanto ti abbia aiutato questo ragazzo perché sono stato io a chiedergli di farlo ma non voglio che un mio dipendente si intrometta in una questione che riguarda solo la famiglia.

Benjamin strinse i pugni ma non parlò.

 

Benjamin Price 07 Marzo  ore 07:02 PM

 

Se resto qui potrei solo complicare le cose tra Colette e suo padre. E’ meglio che me ne vada e lasci Colette, Edith e Charles da soli. In fondo ha ragione. Io sono il ragazzo di Colette ma non faccio parte della loro famiglia e se faccio incavolare Charles non solo non ne farò mai parte ma potrei essere costretto a trasferirmi non appena inizia il calciomercato, cosa che io non voglio fare.

 

- Allora vi lascio soli.

- No!

Colette si aggrappò al braccio di Benji e lo pregò con lo sguardo di non lasciarla da sola mentre, per la prima volta in vita sua, sfidava apertamente la volontà del padre.

Benji annuì.

- Signore, ho il diritto di essere qui.

Lo sguardo di fuoco di Charles e quello raggiante di Edith si puntarono sul suo volto.

Poi tutto crollò.

- Fuori di qui- sibilò Charles Montgomery.

- No papà.

- Colette…

- No papà, niente “Colette…”. Io voglio che il mio ragazzo resti e lui resterà.

Lo sguardo di Charles si fece ancora più furibondo e Benji ebbe l’impressione che in breve avrebbe visto la vena sul collo iniziare a pulsare.

- Dovevo immaginarmelo. Ecco perché sei stato tanto disponibile. Persino portarla in Giappone per un funerale… non solo si è fatta male ma l’hai anche circuita! Bastardo di un portiere!

Benji non vide neanche il pugno che lo colpì alla mascella e lo fece indietreggiare.

- Non avvicinarti mai più a mia figlia!

Colette, tra l’allibito e il furioso, barcollò in direzione di Benji e, nonostante sapesse quanto il padre potesse soffrire per ciò che stava facendo, si strinse al ragazzo e guardò il padre con aria di sfida.

- Come hai osato…

- Come osi tu! Un calciatore, Colette! Un calciatore giapponese, per giunta.

Benji lo guardò furente.

- Cosa ha contro i giapponesi?

- Contro i giapponesi nulla, ma contro i calciatori giapponesi molto. Non avete mai vinto una competizione importante e non vincerete mai perché non avete il calcio nel sangue come i sudamericani o gli europei.

Ormai Benji non ci vedeva più per la grande rabbia che covava dentro.

- Mi pare di essermi guadagnato il mio stipendio, presidente.

- Come poteva fare qualsiasi altro giocatore europeo e con meno problemi alle mani, Benjamin Price. E adesso fuori dalla mia vita e da quella della mia famiglia. Colette, andiamo. Dobbiamo concludere la cerimonia.

L’uomo, sconcertato, vide la figlia guardare il portiere per poi lasciarlo andare e sorridere amaramente.

- Tu vai pure a sposarti. Io non accetterò mai questa unione e non ti perdonerò per come hai trattato Benji.

- Tu sei mia figlia!

- Non più.

Lo sguardo di Benji era più che sconcertato ma lei gli rispose con un sorriso che le illuminava il volto. I suoi occhi brillavano di gioia mista a dolore mentre osservava il suo Benji.

- Io non voglio più averti come padre.

Detto questo prese per mano il ragazzo e lo guidò verso la porta.

- Se provi a uscire da questa stanza non avrai più un centesimo da me e tu… tu considerati pure già ceduto.

Colette, trattenendo a stento le lacrime, rispose.

- Io non ho mai voluto il tuo denaro, papà. Il tuo amore è stato l’unico sostegno che ho avuto in questi anni ma adesso… adesso non ti riconosco. Mi neghi il tuo amore paterno opponendoti alla mia relazione con Benji e mi deludi sposando quella donna contro il mio consenso. Se ti scuserai con Benji adesso io sarò ancora tua figlia ma se non lo fai… considerami morta.

Detto questo attese qualche istante.

 

Colette Montgomery 07 Marzo  ore 07:10 PM

 

Papà, ti prego, non deludermi. Io ti voglio molto bene ma non posso vivere con quella donna e non posso accettare che tu discrimini Benjamin perché la sua patria non è blasonata nello sport quanto lo è la Germania. Ti prego, non costringermi a buttarti fuori dalla mia vita e impedirti di riappropriarti dei tuoi diritti su di me. Se non parlerai io… io chiederò a Benji ciò che è importante per la mia indipendenza da te e non potrò mai tornare indietro. Mai più tornerò ad essere la bambina che hai cresciuto!

 

Vedeva le lacrime negli occhi di suo padre, poi la mano di Edith sulla sua spalla lo spinse a distogliere lo sguardo dalla figlia e pronunciare le parole che spezzarono il cuore a quella che fino a un’ora prima considerava la sua bambina.

- Non mi scuserò mai.

- Allora addio.

Con queste parole Colette Montgomery uscì, seguita da un Benjamin Price che era stato poco più che un figurante in quello scontro che aveva diviso un padre e una figlia.

Un gran brusio si diffuse per la sala mentre i ragazzi lasciavano mestamente la chiesa e gli sposi tornavano sull’altare per completare la cerimonia.

 

Come una diga distrutta da una piena, la forza di Colette andò in mille pezzi quando, messo piede nel taxi, sentì che adesso solo il ragazzo che sedeva al suo fianco era l’unico porto sicuro.

L’abbracciò e pianse per diversi minuti mentre l’auto tornava verso la città, singhiozzando il nome di suo padre ed il nome di lui.

- Colette- esordì il ragazzo non appena i suoi singhiozzi si furono fatti più rari- Hai sacrificato la tua famiglia per difendere le tue idee ma soprattutto per difendere me. Io merito davvero di avere una persona così buona al mio fianco? Se potessi farei qualsiasi cosa per aiutarti. Qualunque cosa tu mi chiederai, io la farò.

Colette singhiozzò, poi sussurrò una parola quasi incomprensibile.

Benji dovette chiederle tre volte quale fosse la parola che stava pronunciando.

Solo allora divenne bianco carta.

Si sarebbe aspettato di tutto tranne che una cosa simile.

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Capitolo 14

La Nuova

Famiglia

 

Nota Introduttiva:

Vi ho lasciati con il fiato sospeso nello scorso capitolo, vero?Vi ho lasciati un “tantino” troppo tempo con il fiato in sospeso? Sì? Volete sapere cosa ha detto Colette a Benji, non è vero? Ma ne siete davvero sicuri? Sapete perché ve lo chiedo? Perché era mia intenzione  tornare in Giappone e lasciarvi  un altro pochino in ansia…un anno… forse un anno e mezzo… magari anche un pochino di più… Sto scherzando! Si torna in Giappone, questo sì, ma vi prometto che per la fine di questo capitolo avrete notizie dalla Germania, ok? Vi lascio al quattordicesimo capitolo di Life.

 

Quando Roberto, Oliver e Patty tornarono a casa trovarono, come era solito da tre settimane a quella parte, un forte odore di bruciato e le scatole del cibo ordinato da Katherine sparse sul tavolino della cucina.

La donna, con un appariscente grembiule giallo canarino indosso ed i lunghi capelli trattenuti da un mollettone scarlatto, era seduta al tavolo e, come accadeva ogni giorno da quando aveva iniziato a vivere in quella casa, aveva un diavolo per capello e l’espressione di chi medita seriamente di eliminare tutti gli altri componenti della famiglia con il coltello che stringe tra le mani con forza eccessiva.

Il piatto del giorno, che aveva bruciato anche quella volta, sarebbe dovuto essere riso in bianco come primo e carne alla griglia ed insalata per secondo, quindi aveva ordinato del cibo che a suo giudizio era una pietanza equivalente.

Il marchio di Mac Donald’s fece immaginare all’allenatore che la donna, anche quel giorno, aveva ripiegato su qualche pietanza occidentale dall’apporto di grassi paragonabile a quello di un vassoio di ciambelle strafritte che aveva assaggiato quando, calciatore professionista ma ancora sconosciuto, aveva giocato in Francia una partita amichevole con la squadra del Lione. Una sola di quelle aveva avuto l’effetto di mandarlo al bagno per tre giorni e lo stesso accadeva ogni volta che Katherine Gatsby gli propinava qualcosa che veniva da quel tipo di locale.

Roberto si lasciò cadere stancamente su una sedia e guardò i ragazzi che, allegri, scherzavano e chiacchieravano.

Era trascorso a malapena un mese dalla morte dei loro genitori ma avevano reagito e adesso sembravano quasi tornati ad essere dei normali ragazzi, degli adolescenti che si preoccupano di problemi proporzionati alla loro età.

Sbuffò e guardò la porta attraverso la quale sarebbe uscita a momenti la sua convivente, tanto bella quanto stressante.

 

Roberto Sedinho, 06 Aprile  ore 01:35 PM

 

Ma perché non capisce che quelle schifezze mi distruggono l’intestino? Che ci provi gusto nel vedermi correre al bagno e imprecare contro tutte le divinità di questo mondo? Non si rende conto che quella spazzatura che lei chiama cibo a me distrugge le budella? Ah, ma oggi non gliela faccio passare liscia! Porca miseria, io ho bisogno di mangiare! Alleno Holly e la squadra, mica faccio un lavoro di ufficio! Ho bisogno di nutrirmi, non di fare una dieta disintossicante! Capisco che non sappia neanche accendere un fiammifero senza l’intervento della Guardia Nazionale ma potrebbe comprare qualcosa di un pochino più sano! Per la miseria, anche un pollo allo spiedo coperto di maionese sarebbe più sano di quella… quella robaccia da fast-food.

 

Katherine Gatsby, 06 Aprile  ore 01:35 PM

 

Quel brasiliano non lo sopporto più. Ogni volta che compro qualcosa lo guarda con quella sua aria schifata. Ma perché non resta lui a cucinare, se è tanto bravo? Ma no! Lui deve dare quattro calci a quel pallone sporco di fango e erba ed insegnarlo a tanti bambini che crederanno di diventare tutti come il loro eroe Oliver Hutton. Non sanno che forse non arriveranno neanche a giocare un torneo regionale. Ma loro ci credono e Roberto racconta loro quelle panzane sul pallone che è un amico e del vivere con il pallone. Questo vivere con il pallone è servito ad una sola cosa: sporcare questa casa che io, la grande giornalista Katherine Gatsby deve pulire più volte al giorno. Ma chi me l’ha fatto fare a restare in questo buco di Giappone quando la mia carriera era così sfolgorante da accecare tanti altri reporter uomini! Ed io cosa faccio? Mi faccio bloccare qui dalla cottarella che mia nipote ha per un ex campione della nazionale juniores del Giappone che adesso è quasi zoppo e deve allenarsi con i bambini per rimettersi in forma. Ok, la guarigione c’è stata ma quel ragazzo potrà ritrovare la forma in meno di un anno e dimostrarsi all’altezza della maglia nipponica? Mi fa piacere che sia sopravvissuto e che adesso stia molto meglio, per carità, ma io sono incatenata qua da mia nipote che non vuole separarsi da lui. Forse dovrei portarla via con l’inganno e costringerla a vivere con me a Londra. Io starei molto meglio e non vedrei il brutto muso di questo… questo sporco brasiliano che tra poco infilzo con il coltello se non la smette di fissarmi come se fossi coperta di compost da capo a piedi! Non lo sopporto più! Non dice nulla ma lo vedo da come mi guarda che non approva il modo in cui tiro avanti questa casa! E’ soltanto… soltanto un ex calciatore con problemi alla retina con cui devo condividere questa casa fino a quando alla mia piccola Patty non passa l’infatuazione per il calciatore e si decide a passare al tennista o al cestista… o magari a qualche rampollo di una facoltosa famiglia inglese o un attore con una barca di soldi. Se così fosse sì che potrei fare davvero dei soldi! Io farei un articolo strepitoso e mia nipote l’affare di una vita! Case, automobili, titoli… Quanti soldi farebbe divorziando da uno di quei tipi! Ah, se solo…

 

Un colpo sul braccio la fece sussultare.

Sua nipote la guardava con aria seria ed indicava la porta sulla quale stava Roberto.

Aveva in mano un vassoio che conteneva i resti carbonizzati di quelli che dovevano essere gli hamburger.

- Katherine- disse Roberto, cercando di modulare la voce mentre il ragazzo, afferrata Patty per un braccio, la spingeva fuori dalla stanza per evitarle il lancio di oggetti tra i due contendenti- Perché invece di stare con la testa tra le nuvole non pensi al pranzo? Oggi hai bruciato persino le schifezze che hai comperato.

- Schifezze che ho comperato?

- Sì, Katherine. Vedi questo vassoio? Conteneva alimenti così ricchi di grassi che avrei potuto spremerli e lucidarci tutti i palloni della squadra.

Katherine lo guardò malissimo e stava per attaccare quando la porta d’ingresso si chiuse con un lieve scatto.

- Hai visto cosa hai combinato? I ragazzi sono usciti perché tu ti sei messo a fare questa stupida scenata contro quello che io preparo per nutrirli.

- Li prepara il fast food, vorrai dire! Tutto ciò che cucini finisce nello stomaco della stessa persona: il cane dei vicini che mi domandano spesso che cosa abbia il loro cuccioletto da lamentarsi. Mica lo sanno che quella povera bestia ha ingurgitato alimenti più cancerogeni delle mele che crescono nei campi abbandonati di Chernobyl!

- Come ti permetti, razza di cafone che non sei altro!

- A chi hai dato del cafone, Miss Puzza-Sotto-il-Naso?

- Tu… buzzurro! Sei solo un brasiliano selvaggio e idiota che gioca con un pallone perché non è in grado di fare altro!

- Ehi bella, non offendere, chiaro? Rimangiati immediatamente quell’insulto oppure…

- Oppure cosa, Roberto?

La donna si avvicinò a lui a grandi falcate e lui lasciò cadere il vassoio a terra, facendo poi altrettanto.

Adesso erano l’uno di fronte all’altra e si guardavano con tale forza che avrebbero comodamente sciolto un iceberg.

- Ti odio- sibilò- E porterò via mia nipote da qui.

- Usi ancora Patricia come un’arma, Katherine? Lo sai che non ti perdonerebbe mai una cosa simile.

- Lo so. Ma farei di tutto per allontanarmi da un uomo di colore che mi guarda con quella faccia schifata.

Detto questo la donna girò sui tacchi e, attraversata la sala, salì in camera sua, lasciando Roberto a sbollire al piano di sotto.

 

Roberto Sedinho 06 Marzo  ore 01:48 PM

 

Che razza di stronza! Ogni volta che non le va bene qualcosa tira fuori la solita storia di tornarsene a Londra e portare via Patty. Ma non si rende conto che se lo facesse la ucciderebbe? Quella ragazza ha dedicato una vita intera a Oliver e quel gesto estremo è la prova della disperazione che alberga nel suo cuore quando è costretta a stare lontana da lui. Perché non capisce che dobbiamo sopportarci a vicenda per amore dei ragazzi che dobbiamo crescere insieme? Loro non hanno più dei genitori e siamo noi ad avere questa responsabilità adesso. Perché non capisce che facendo così li destabilizziamo ancora di più? Perché quel suo cervellino di moccio non arriva a questa conclusione così banale? Ok, io forse sono stato troppo brusco con lei e l’ho ferita nell’orgoglio… ma cavoli! Non si è mai vista una donna più imbranata di lei ai fornelli. Non è neanche in grado di fare un uovo sodo! Chissà come faceva a vivere da sola a Londra? Magari andava a mangiare al ristorante ogni giorno. O forse aveva una cuoca… certo, una giornalista di successo deve sicuramente aver avuto una governante che le puliva casa mentre lei lavorava. Che sia ingiusto farle vivere una vita simile? Forse ho pensato troppo ai ragazzi quando avrei dovuto pensare un po’ anche a lei. Sono stato molto egoista a riversare su di lei così tante responsabilità. Insomma, era una donna in carriera e di punto in bianco si ritrova a fare la regina della casa senza neanche capire come è finita in queste condizioni. Forse dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’idea di tornare a Londra con sua nipote e lasciarla tornare solo quando sarà maggiorenne e libera di scegliere dove e con chi vivere. Devo parlarle e chiederle scusa per tutto. Forse la colpa non è tutta sua se le cose vanno in questo modo.

 

Patricia strinse i pugni. Oliver era già uscito dalla casa mentre lei era andata di sopra a prendere il borsone poi, curiosa di sapere come andavano le cose e al tempo stesso desiderosa di prendere qualcosa da mangiare per sé e per Oliver, si era cautamente avvicinata alla porta che dava sul salotto, sentendo la minaccia della zia e, qualche istante dopo, la sua uscita di scena.

Uscì furente dalla porta di servizio.

 

Katherine Gatsby piangeva riversa sul grande letto che si era fatta mandare da Londra appositamente per restare in quella casa con la nipote. Pur di stare con lei aveva speso un capitale per far trasportare in Giappone buona parte della mobilia di Londra e venduto l’appartamento che aveva scelto con tanta pignoleria quando, appena ventitreenne aveva messo piede in quella grande città.

Guardò con gli occhi velati di lacrime la grande cassettiera in ciliegio con le foto delle amiche e degli amici londinesi, persone che da quando era partita non si erano più fatte sentire in alcun modo; lo specchio sul quale Jordan Frost, noto divo di Hollywood, aveva scritto un falso numero di telefono per scaricarla; il letto che aveva visto una straordinaria performance live di Josh Spanner, cantante dei BoomerShake, con la sua “Sono ubriaco e tu sei una stronza”.

A Londra non le era rimasto nulla, lo sapeva, e non aveva affatto intenzione di portare sua nipote in quei luoghi ma per ricattare Roberto avrebbe usato qualsiasi mezzo, anche il più subdolo.

 

Katherine Gatsby, 06 Aprile  ore 01:44 PM

 

Sono una sciocca a piangere per quella sfuriata! Lui ha perfettamente ragione a criticare la mia cucina ed il mio modo di fare le faccende domestiche. Loro sono calciatori ed è normale che debbano allenarsi e mangiare sano. D’ora in poi mi impegnerò di più e riuscirò a fare qualcosa di commestibile. Sissignore! Ho scritto tanti articoli di successo e superato ostacoli che pensavo essere insormontabili. Io ce la farò anche questa volta o non mi chiamo più Katherine Gatsby. Sì, devo chiedere scusa a Roberto per il mio sfogo e per quella minaccia ed impegnarmi di più per il bene e la felicità di mia nipote. Non posso fare altrimenti. Oltretutto ho offeso pesantemente Roberto e questo non è giusto. Non mi piace sentirmi così colpevole. Non è colpa di Roberto se quel porco ha fatto quel che ha fatto. Non è colpa di tutte le persone con la pelle di quel colore e devo smetterla di essere razzista solo per quello.

 

Katherine si mise a sedere e andò alla cassettiera, dove frugò fino a trovare il diario in cui aveva riposto quel segreto per tanti anni. Aprì il piccolo quaderno, ormai usurato dal tempo, alla pagina che la interessava e si sentì uno schifo per come aveva trattato Roberto.

 

18/07/19xx

 

Caro diario,

oggi Gonzalo mi ha chiesto se voglio posare per lui per qualche foto. Io ho accettato, mi piace tantissimo farmi fotografare! Ha detto che domani verrà a prendermi con la sua moto e andremo in montagna per farci qualche foto sui prati. A me piace tantissimo la montagna e sicuramente mi ha invitata lì perché si è ricordato quello che gli ho detto. Sono tanto felice, carissimo diario, e sono convinta che questo calciatore sarà il mio futuro marito. Ho già pianificato tutto. Vivremo in una casa a San Paolo, lui giocherà per la squadra della città mentre io starò a casa a badare ai nostri tre bambini e alle nostre due bambine. Naturalmente saranno tutti bravissimi a giocare a calcio, proprio come il loro papà. Gonzalo non mi ha ancora baciata ma sono sicura che accadrà molto presto e allora sarà bellissimo. Sono così…

 

Katherine chiuse di botto il diario e lo gettò via.

Gonzalo Torres, giocatore brasiliano di diciotto anni, l’aveva portata in montagna tre giorni dopo che aveva scritto quella pagina ed aveva scelto un luogo così isolato non perché avesse ricordato qualche discussione di quella ragazzina di tredici anni. L’aveva portata in quella baita con intenzioni molto più intime di un semplice bacio e la fortuna di Katherine era che quel giovane uomo avesse deciso prima di farle delle foto molto spinte, costringendola a posare per lui sotto la minaccia di un coltello. Sarebbe arrivato ad altro se lei non fosse riuscita a scappare da quella baita con uno stratagemma e rifugiarsi tra i boschi, tremante e con poco abbigliamento indosso ma fisicamente integra. Aveva persino pensato che avrebbe potuto denunciarlo ma la minaccia di mostrare ai suoi parenti quelle foto l’aveva fatta desistere ed il suo aguzzino non si era più fatto vedere né sentire. O, perlomeno, lei non ne aveva più saputo nulla di lui e di quelle foto di contenuto pedopornografico fino a quando, durante un’inchiesta sul traffico di minori fatta due anni prima, non aveva visto quelle stesse foto nel computer di un anonimo londinese, foto che portavano la firma di un tale di nome Lorenzo Mariano Montero, cittadino brasiliano ma residente a Glasgow, che adesso marciva nelle carceri del Regno Unito per violenza carnale su almeno otto ragazzine tra gli otto e i quindici anni. Si era sentita da schifo quando, all’uscita del tribunale il giorno della condanna, vide Sarah Blunt, nove anni appena, che trasaliva ogni volta che una persona la sfiorava ma che aveva trovato il coraggio, in un angolino del suo esile corpo di bambina, di denunciare l’uomo. Lei non aveva avuto la stessa forza nonostante tutti in casa dicessero che era sempre stata una persona molto forte che non mollava mai e che lottava sempre contro le ingiustizie.

Sentì il cuore saltarle in gola quando qualcuno bussò alla porta della sua stanza.

Con lentezza, la porta si aprì e Roberto entrò nella stanza, trovando la donna seduta sul letto, con gli occhi gonfi ed un quaderno consunto tra le mani.

- Se è un brutto momento me ne vado- disse il brasiliano cortesemente, colpito dal fatto che quella donna così tosta fosse in lacrime per una semplice discussione.

La donna scosse il capo.

Non voleva farsi vedere in quel modo da quello che considerava il suo “convivente nemico” ma di certo non poteva fargli capire che era sconvolta.

- Entra pure, Roberto.

L’uomo, vedendola provata per la prima volta da quando era in quella casa, decise di darle tempo. Non voleva farlo mentre era in lacrime, forse proprio a causa sua. Preferiva che si calmasse prima di fare la scelta che riteneva essere la più giusta.

- Katherine, vorrei parlare con te della questione di cui mi hai parlato poco fa e non mi pare il caso di discuterne mentre sei in questo stato. Ti aspetto in salotto. Prenditi pure tutto il tempo che vuoi.

 

Roberto Sedinho 06 Aprile  ore 01:52 PM

 

Accidenti, non l’ho mai vista in quello stato? Che il mio commento l’abbia ferita più di quanto pensassi? Ma perché? Insomma, non mi pare di essere stato più odioso di altre volte. E quella è una donna tosta, una che non si metterebbe mai a piagnucolare per una cavolata come quella? Chissà che cosa le è preso… E se fosse nostalgia della sua vita? Possibilissimo, dato che ha espresso il desiderio di tornare da dove è venuta. Sì, devo aiutarla a tornare a Londra. Sarà più facile per entrambi e lei sarà certamente più felice tornando a casa sua.

 

Katherine Gatsby 06 Aprile  ore 01:52 PM

 

Accidentaccio a queste lacrime! Adesso quel brasiliano penserà che stavo piangendo per lui quando in realtà c’è molto altro. Non piango mica per questo problema con lui. Devo ricompormi alla svelta e andare a vedere che cosa vuole adesso. Spero non voglia crearmi altri problemi… non è così pessimo come vuole sembrare ma in certi momenti è di una pesantezza indiscutibile.

 

- Aspetta!

La voce di Katherine lo fermò.

- Non mi piace discutere animatamente con persone che non sono completamente padrone di se stesse.

- Sto bene.

- Katherine, stavi piangendo.

- Non preoccuparti. Non piangevo per te.

Roberto si fece serio.

- Non mentirmi.

- E’ vero- disse alzandosi dal suo letto e avvicinandosi al brasiliano- Non è a causa tua se piangevo. E’… è che mi manca una vita qui. Mi manca il mio lavoro… mi manca Londra… mi mancano i miei amici… mi manca persino lo smog, Roberto! E’ la nostalgia di casa che mi fa piangere. E’ anche vero che questo tuo atteggiamento non mi aiuta…

- Il mio atteggiamento?

- Mi aggredisci ogni volta che faccio un errore.

- Sei una donna, per la miseria! E stai tutto il giorno in casa! Cosa pretendi? Che io torni a casa stanco e sorrida vedendo che non solo non sei stata in grado di cucinare ma ci passi schifezze da fast food carbonizzate o quasi?

- Lo so che è un problema ma ce la sto mettendo tutta, Roberto! Io ero una donna in carriera fino a un mese fa e devo imparare molto della cura della casa. A Londra avevo una donna delle pulizie e molti ristoranti tra cui scegliere… qui non è la stessa cosa e mi sto adattando. Lentamente ma mi sto adattando. Patty mi ha insegnato a fare gli onigiri ma fino a quando non verranno bene non posso certo farveli mangiare!

- Ma non avevi detto di voler andartene?

- Ero furiosa e lo sai.

- Perdonata. Anche per l’insulto razzista.

- Mi spiace per quello- disse Katherine abbassando gli occhi- Vorrei essere in grado di spiegarti come mai l’ho detto ma questa è una questione molto delicata di cui preferirei non parlare.

L’uomo annuì e porse la mano alla donna.

- Andiamo in cucina a preparare qualcosa?

La donna annuì e, docile, seguì l’uomo.

 

Patty era sconvolta da quanto aveva sentito dire da sua zia e da Roberto.

 

Patricia Gatsby 06 Aprile  ore 02:32 PM

 

Porca miseria! Lei mi aveva promesso che avremmo vissuto qui! Aveva giurato di aver abbandonato quel suo lavoro a Londra e invece quale è la verità? Non ha smesso e adesso vuole tornarsene in quella città e portarmi via da Oliver. Ma se crede che sarà così facile si sbaglia di grosso! Nossignore, io a Londra non ci vado neanche morta! Me ne andrò via da questo posto. Scapperò lontano da lei fino a quando non sarò maggiorenne e potrò vivere con Oliver. Non ho alcuna intenzione di lasciare il Giappone. Ma Holly vorrà venire con me? No, lui deve giocare a calcio, allenarsi e rimettersi in forma per i mondiali. Non può certo scappare con me. Ma se cercherà di fermarmi lo dovrò portare per forza con me! Speriamo che capisca che non ho intenzione di fare… per scappare avrò bisogno di un mezzo di trasporto… di certo sono esclusi i mezzi pubblici e non posso scappare in bicicletta… come posso fare? Uno motociclo o un’automobile farebbero al caso mio… ma quelli non crescono sugli alberi. E poi sarebbe un furto… sono disposta a rubare qualcosa pur di stare con Oliver?

 

Holly guardò la sua ragazza che, le mani infilate nelle tasche della giacca di jeans, lo precedeva di qualche passo. Aveva l’aria assorta e non voleva disturbarla tuttavia temeva che ci fosse qualcosa che non andasse in lei. Non sapeva cosa era accaduto quando lei era rientrata in casa per prendere l’indumento per difendersi dal vento pungente di quel nuvoloso pomeriggio di aprile, ma se c’era qualcosa che capiva era che qualunque cosa fosse accaduta l’aveva irritata non poco. Non era da lei stare lontana ed in silenzio, con l’aria assente e quella piccola ruga che si formava all’angolo dell’occhio sinistro, segno che qualunque fosse il suo pensiero non era qualcosa di bello.

- Patty- la chiamò Oliver, fermandosi.

La ragazza, persa nei suoi pensieri, continuò a camminare. Era concentrata sui suoi pensieri e non riusciva a sentire alcun rumore, figurarsi la voce del suo ragazzo preoccupato.

Holly fu costretto a fermarla fisicamente per farsi ascoltare.

Accelerando il passo, la superò e si parò di fronte a lei, posandole le mani sulle spalle per rendere più palese il suo intento di parlarle.

La ragazza sembrò riscuotersi ma la sua espressione non migliorò molto. I suoi occhi, assenti fino a qualche minuto prima, adesso dimostrava che c’era qualcosa che non andava. C’era una luce che a Holly piaceva davvero poco. Sembrava tristezza ma non debolezza. E non era neanche la forza che aveva dimostrato nei giorni che avevano preceduto il funerale. Quella era una forza che bruciava, alimentata da qualcosa che non comprendeva ma che lo inquietava.

- Patty, cosa non va?- chiese.

- Nulla.

- Non è vero- rispose lui con calma- Sei preoccupata e si vede. Per favore, dimmi che cosa c’è.

 

Patricia Gatsby 06 Aprile  ore 03:21 PM

 

Che tempismo, bello! Ti sei svegliato tutto di botto?

 

Patty si morse la lingua per evitare che questo suo pensiero fosse espresso. Non voleva dirgli una cattiveria simile solo perché era irritata e preoccupata, quindi cercò una via di fuga per quella situazione.

 

Patricia Gatsby 06 Aprile  ore 03:22 PM

 

Oliver, di certo non posso farti partecipe di ciò che ho sentito dire dai nostri tutori. Mia zia vuole tornare a Londra e Roberto ci sta praticamente buttando fuori da casa mia. Sono troppo furiosa e sono certa che tu capiresti, ma allo stesso tempo non ti opporresti alla decisione di Roberto. Tu vuoi troppo bene a quell’uomo per opporti ed io non posso permettermi di avere te contro. Voglio andarmene da questa topaia e lo farò, con o senza il tuo aiuto, ma non posso permettermi di essere ostacolata da te quindi preferisco farti soffrire piuttosto che essere bloccata da te. Nossignore, io non ne posso più di quei due e di questa situazione, quindi se non la smuovono loro la smuovo io ed a mio modo. Farò qualcosa di eclatante e me ne andrò da quella casa, non importa se con o senza di te, Oliver. Mi mancherai ma non posso metterti al corrente delle mie intenzioni.

 

- Holly, ti ripeto che non c’è nulla che non vada, quindi evita di fare certe domande e goditi la passeggiata.

 

Oliver Hutton 06 Aprile  03:22 PM

 

Ma cosa le prende? Perché non vuole parlarne? Cosa può essere così terribile da spingerla a mentirmi in questo modo? Perché non si fida di me? Crede che non sia in grado di mantenere un segreto? Oppure è qualcosa che mi riguarda, qualcosa che mi potrebbe ferire e di cui non vuole parlarmi? Che abbia sentito Roberto parlare di me a sua zia? Che Roberto abbia parlato male di me? E se invece fosse stata sua zia? Se sua zia avesse parlato di me come un ragazzo sciocco che insegue insulsi sogni di gloria invece che lavorare e guadagnare del denaro per la nostra futura vita insieme? Che mi disprezzi? Oppure… e se Patty le avesse parlato di quella questione? Se le avesse riferito della questione… “S-E-S-S-O”? Quella donna è già molto fantasiosa senza che Patty le racconti anche questo… non oso immaginare cosa potrebbe pensare di me! Potrebbe anche portare via la mia Patty per paura che possa saltarle addosso mentre tutti dormono e approfittare di lei! No, Patty non l’avrebbe mai fatto… ma se costretta? E se decidesse di nuovo di portarla via? No, non potrei permetterglielo… ma Roberto sarebbe d’accordo ed io sono sotto la sua tutela e minorenne… la mia opinione non varrebbe nulla senza Roberto. E se lui fosse d’accordo con Katherine? Se volesse liberarsi di lei al punto tale da cacciare Patty e sua zia dalla loro stessa casa? Ma cosa vado mai a pensare! Non può essere questo e non si potrebbe mai arrivare a certe conseguenze. Ci hanno promesso di non separarci e Roberto non si rimangerebbe mai la parola data. Non so cosa preoccupi Patty ma spero che prima o poi si decida ad aprirsi.

 

Holly, preso dai suoi pensieri, la vide a malapena scartare di lato e correre verso l’abitazione dall’altra parte della strada.

 

Patty aveva visto la via di fuga e di certo non se la sarebbe fatta scappare.

Aveva adocchiato un allegro vecchietto che trotterellava verso l’interno della sua casa lasciando la portiera dell’utilitaria aperta.

Cosciente che forse l’uomo potesse aver lasciato le chiavi nel quadro Patricia Gatsby si fece coraggio ed iniziò a correre in quella direzione, lasciando di stucco il suo accompagnatore e sperando che la sorpresa lo paralizzasse il tempo necessario per permetterle di partire sgommando in una direzione sconosciuta, verso l’ignoto di un destino tracciato dalla disperazione.

Patty si sedette al posto di guida e mise in moto, compiendo immediatamente una inversione a U pigiando sull’accelleratore.

Oliver, trafelato, riuscì a malapena ad aprire la portiera e issarsi sul veicolo.

- Patty, cosa diavolo…- disse prima che la ragazza gli desse una manata in pieno volto per allontanarlo da sé.

Fu questione di un istante: guidato dalla forza di gravità dovuta alla violenta manovra, Oliver colpì il vetro della portiera al suo fianco con la testa e in un istante fu nel mondo dei sogni.

La ragazza non si curò di quello che era accaduto. Era preoccupata ma in un momento simile non poteva certo permettersi quel lusso. Il pensiero di rubare un’auto era una cosa, l’averne appena rubata una era tutt’altro paio di maniche!

Colpì con il palmo il pirolo posto sulla portiera alla sua destra e la chiusura centralizzata bloccò automaticamente tutti gli sportelli.

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 03:26 PM

 

Porca miseria!

L’ho fatto.

Ho rubato.

Ho rubato un’auto.

Ho rubato un’auto a un vecchietto.

Ho rubato un’auto a un vecchietto ed io non ho ancora la patente.

Per non dimenticare il fatto che ho coinvolto in un furto quello che era la stella della nazionale giovanile, appena ripresosi da un pessimo infortunio e di certo non in forma… ah, e adesso l’ho appena steso. Oh merda! Ho rapito Oliver Hutton! Prima lo faccio investire da un camion e adesso lo sequestro…penso che la prossima volta dovrò tentare di affogarlo inavvertitamente in qualche fiume.

Ma che cosa diavolo sto pensando?! Ho commesso un furto e Holly è sul sedile accanto perché messo fuori combattimento da una sportellata in fronte! Roberto e zia Kath si infurieranno… no, non si infurieranno… cercheranno semplicemente di mettermi in un tritarifiuti dopo avermi gonfiata come un dirigibile…

 

Lo strombazzare di un clacson fece tornare Patty sulla terra appena in tempo per accelerare e sfrecciare attraverso un incrocio senza dare la precedenza a un grosso camion, tagliandogli la strada.

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 03:26 PM

 

Ho la netta sensazione che sia meglio pensare dopo a ciò che ho fatto. Se lo ammazzo i giapponesi non mi perdoneranno mai…

 

La donna guardò con aria accigliata la ciotola di riso che aveva appena cucinato con l’ausilio di Roberto.

Era incerta se aggiungere o meno quel miscuglio parzialmente carbonizzato di carne, uova e piselli che aveva preparato di sua iniziativa, quella che aveva definito “una frittata”.

Roberto, alle sue spalle, ridacchiava.

Si era divertito a tormentare la  donna facendole cucinare qualcosa di semplicissimo e adesso era curioso di sapere che sapore avesse quel cibo dall’aspetto non certo invitante.

- O la va o la spacca- sibilò Katherine prendendo un pezzo di quel composto dall’aspetto orrendo con le bacchette e portandolo alle labbra.

L’espressione che si dipinse sul volto della donna fece ridere con vigore Roberto: sembrava avesse ingoiato spazzatura e vermi.

- Buono?

- Prova ad assaggiare.

- No, grazie. Preferisco evitare una corsa all’ospedale per intossicazione alimentare.

La donna annuì e gettò il tutto nella spazzatura.

- Sono un disastro- disse abbandonandosi su una sedia.

- Piano piano imparerai.

- Spero prima della prossima era glaciale.

Roberto la guardò e sorrise nel tentativo di incoraggiarla.

 

Katherine Gatsby 06 Aprile  ore 04:18 PM

 

Cosa avrà da fissarmi? Ho il volto sporco? Oppure la mia faccia sta diventando verde a macchie viola? Sono una frana, maledizione! Possibile che non sia capace di cucinare un uovo al tegamino senza creare un alimento potenzialmente letale? Eppure sono una donna, maledizione! Ce l’avrò nel DNA il gene della cucina, no? Magari nascosto ma deve esserci… o no? E se io non avessi questo gene? Magari sono completamente negata ai fornelli proprio perché non sono geneticamente preparata a cucinare… No, devo ammettere con me stessa che sono stata una sfaticata che non ha mai voluto imparare a cucinare e adesso sono nei guai, quindi adesso devo alzarmi ed impegnarmi per creare una cena degna di questo nome a Roberto e ai ragazzi! Sissignore, per stasera le mie pietanze non saranno più delle armi!

 

Katherine Gatsby balzò in piedi e si mise nuovamente davanti alla stufa, pronta a cominciare di nuovo con i suoi esperimenti.

 

Roberto Sedinho 06 Aprile  ore 04:18 PM

 

Questa donna mi stupisce ogni giorno di più. Prima è forte e volitiva mentre qualche minuto dopo si abbatte per un fallimento ed ora è di nuovo in piedi. L’ho vista essere più tenace di un mastino in caso di necessità, sa rispondere a tono ed il suo carattere in generale non è dei più facili… ma poco fa mi è sembrata così fragile e dolce… Che strana donna è questa. E’…  particolare, e con le persone particolari non ci si annoia proprio mai. Speriamo solo che la prossima volta non cerchi di rifilare a me quella porcheria!

 

L’uomo si mise nuovamente al fianco della donna per aiutarla a superare le sue difficoltà e sperando che fosse in grado di creare qualcosa di commestibile prima che i ragazzi tornassero a casa.

 

Patty guidava da ormai due ore, usando come meglio poteva le sue poche conoscenze degli autoveicoli. Conosceva le basi e suo padre una volta le aveva permesso di spostare la loro auto di un paio di metri ma questo non era abbastanza per renderla una pilota capace di guidare nelle ipertrafficate strade principali quindi aveva optato per una larga strada provinciale. Questo prima che, non sapeva come, si fosse ritrovata in uno sperduta strada non trafficata e costeggiata solo da campi ormai sepolti dalle sterpaglie.

Accostò l’auto al ciglio della strada e si guardò attorno. Non c’era un’anima in quel luogo e vedeva già le prime avvisaglie dell’imminente tramonto, periodo che le avrebbe causato problemi visto che non aveva la più pallida idea di come accendere i fari e di quale differenza ci fosse tra abbaglianti e anabbaglianti.

Holly giaceva ancora sul sedile accanto al suo. Proprio al centro della fronte, in quel momento pigiata contro il vetro, era spuntato un grosso livido nero-violaceo e la ragazza iniziava a credere di averlo mandato nuovamente in coma.

Gli appoggiò una mano sul braccio sinistro e questa fu immediatamente ghermita da quella del ragazzo. Solo allora si accorse che fingeva: Oliver era perfettamente cosciente e, ora che la guardava, nei suoi occhi leggeva rimprovero.

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 06:04 PM

 

Non ti biasimo per questo sguardo, Oliver. Ho fatto una cazzata pazzesca, ti ho fatto del male e messo nei guai. E’ naturale che tu adesso mi odi ed io non te ne farò una colpa se non vorrai più vedermi… ma io l’ho fatto anche per te. Se sono fuggita è perché non voglio che la zia mi porti a Londra. Io non voglio andarmene, Oliver, e se l’unico modo è fuggire fuggirò. Se sarà necessario fare documenti falsi li farò e se dovrò fare qualcosa di molto sciocco lo farò.  Anche a costo della via io resterò qui con te. Io ti amo troppo per accettarlo.

 

Se Oliver aveva intenzione di farle una solenne ramanzina ci ripensò.

In pochi istanti vide le lacrime scivolare lungo le sue guance. Prima erano soltanto piccole perle che le bagnavano le gote ma presto divennero rapide e pesanti gocce che le inondavano il viso e scivolavano fino al colletto della giacca di jeans che indossava, inumidendolo.

Vedeva i muscoli della sua bocca lottare furiosamente per evitare che le labbra si dischiudessero ed un singhiozzo si facesse udire e si stava tormentando le mani con forza, affondando nella carne le dita e le corte unghie, quasi come se questi gesti potessero impedire alla paura di impossessarsi di lei.

 

Oliver Hutton 06 Aprile  ore 06:06 PM

 

Patty, ma perché hai fatto una cazzata simile? Che cosa significa? Che cosa mi nascondi? L’hai fatto per provare nuove esperienze o c’è qualcosa di diverso sotto? Cosa non mi dici, Patricia? Che cosa c’è di così grave? Perché di sicuro c’è qualcosa che non va ed io voglio capire che cosa ti ha spinta a fare una cavolata simile. Io amo tutto di te… ma non capisco questa tua fuga in auto. Non capisco che cosa ti ha spinta a fare una scelta simile… Se mi guardi così mi fai sentire peggio

 

- Patty…

Nessuna risposta.

- Tesoro…

Neanche allora la ragazza rispose.

- Patricia…

- Smettila! Smettila immediatamente!

La ragazza schizzò fuori dalla vettura e Oliver la imitò all’istante ma non aveva fatto i conti con il campo accanto a lui. Patty si era accostata talmente tanto che il ragazzo non toccò il rigido asfalto o la terra battuta al lato della strada ma lo sconnesso dislivello. Prima che potesse rendersi conto di aver sbagliato a fare i suoi calcoli era capitombolato tra la terra inumidita dalle recenti foglie e le verdi piantine appena spuntate.

- Patty!- gridò.

Nessuno rispose mentre lui si tirava su e cercava di liberarsi del fango che gli inzaccherava i pantaloni.

Con lo sguardo studiò lo spazio circostante mentre il sole continuava la sua inarrestabile discesa verso le colline alla sua destra. Di Patty non era rimasta alcuna traccia.

 

Katherine guardò con aria preoccupata l’orologio della cucina.

Erano passate da un pezzo le undici e dei ragazzi ancora nessuna traccia. Certo, erano grandi abbastanza per badare a loro stessi ma era davvero strano che non fossero ancora di ritorno. Qualche volta era capitato che andassero a mangiare fuori ma avevano sempre avvisato entro le otto.

Lanciò un’occhiata a Roberto, disteso sul divano. Il brasiliano, come spesso capitava, si era assopito davanti al televisore acceso e adesso, raggomitolato su un fianco, russava della grossa.

Sorrise. Non amava affatto quel brasiliano rompiscatole che la criticava alla prima occasione ma doveva ammettere che quella sera era stato più sopportabile del solito.

Il riso appena troppo cotto e la frittata era molto frammentata ma il sapore era accettabile e una pacca sulla schiena dell’uomo l’aveva rassicurata almeno un pochino.

Con delicatezza recuperò dal pavimento la coperta che avevano sistemato in quella posizione per casi analoghi a quello e la depose sull’uomo.

- Grazie Katherine- sussurrò nel sonno l’uomo.

- Prego.

Prese una coperta per lei e, avvoltasi in questa, si sedette sul pavimento, all’altezza della testa dell’uomo. Quella era la posizione migliore per rispondere al telefono in caso i ragazzi avessero cercato di contattarli.

 

Patty corse a lungo, incapace di fermarsi.

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 07:38 PM

 

Perché diavolo corro? Non sarebbe meglio affrontare la situazione con Oliver? No, non mi pare assolutamente il momento adatto. Sono stata sciocca e avventata ma non mi hanno dato la possibilità di scegliere, maledizione! Io voglio restare in Giappone e con Holly… ed è per questo che l’ho abbandonato in una campagna sconosciuta, in un’automobile rubata, in una fredda sera di Aprile… nulla di meglio, senza ombra di dubbio. Ma cosa diavolo mi sto dicendo? Sembro una di quelle sceme che si fa la ramanzina da sola… che io sia una persona così? E se fossi impazzita? In effetti non è da tutti minacciare un tizio con una pistola per spingere al limite una terza persona… ma neanche lì avevo scelta… oppure sì? Sto impazzendo, questo è chiaro. Con il giudice mi appellerò alla semi infermità mentale… o forse a quella completa? In effetti tanto sana di mente non posso essere. Sto correndo alla cieca in una direzione ignota di un luogo sconosciuto e isolatissimo… e se non fossi così sola come penso? E se Oliver avesse bisogno di me? Cosa potrei fare per lui se sono qua? Che cazzata che ho fatto… cosa è stato?

 

Patty si bloccò. Alla sua sinistra aveva sentito un rumore sospetto. Tra le piante c’era qualcosa e questo qualcosa stava correndo rapidamente verso di lei.

Terrorizzata la ragazza indietreggiò e, voltatasi, riprese la sua folle corsa tra la buia campagna mentre il cane usciva dal cespuglio, lo annusava e si liberava su quello, ignaro di aver terrorizzato una ragazza di città.

 

Oliver, raggomitolato all’interno dell’auto fredda, attendeva con ansia il ritorno di Patricia. Era uscita dal veicolo da quasi tre ore e lui iniziava davvero ad essere spaventato. Non aveva una torcia quindi non poteva uscire a cercarla né il fare luce con i fari dell’auto sarebbe stato utile ed avrebbe solo sprecato della preziosa batteria.

Batteva i denti, stretto nella sua giacca e con lo stomaco ancora vuoto.

Si era svegliato quando l’auto era ancora in moto ma nella sua memoria era tutto così annebbiato e la testa gli doleva così tanto che era scivolato nuovamente in uno stato di lieve incoscienza fino a quando Patricia non aveva accostato.

L’assenza di movimento l’aveva scosso e, più riposato, era stato in grado di ricordare che era salito su un auto in corsa rubata dalla sua fidanzata. Per questo quando si era avvicinata l’aveva afferrata con quella che adesso gli sembrava una forza eccessiva. Quando l’aveva guardato gli occhi di Patty erano pieni di paura incontrollabile ed era stato per questa tensione che era fuggita a gambe levate.

Chiuse gli occhi per ricacciare indietro le lacrime poi, passato al posto di guida, fece una preghiera ad ogni divinità del genere umano e si mise al volante senza aver mai provato neanche le macchine dell’autoscontro.

 

In un’abitazione di Fujisawa un uomo e una donna dormivano nel salotto della casa che dividevano con i ragazzi a loro affidati un mese prima, ignari che non fossero in città né che avessero tra le mani un’auto rubata.

 

Sulle prime tutto quello che Patty sentì fu un grande sferragliare poi qualcosa di enorme apparve nel suo campo visivo e delle luci si accesero, accecandola.

Si portò una mano al volto e riuscì a intravvedere tra le dita qualcosa di grosso, scuro e ormai troppo vicino perché potesse spostarsi.

L’automobile che aveva rubato qualche ora prima e alla cui guida, a giudicare dal casino che il motore sofferente faceva, c’era il suo ragazzo completamente digiuno di guida la stava per investire.

Chiuse gli occhi ed attese l’impatto.

 

Holly non riusciva a capire perché quell’auto facesse tutto quell’assordante rumore di metallo piegato ma si accontentava.

Non aveva mai guidato in vita sua e il fatto di riuscire ad andare avanti e in linea retta lo riempiva di orgoglio.

Incoraggiato dalla crescente familiarità con il veicolo iniziò a trafficare con i bottoni e le levette in cerca di quello che avrebbe acceso i fari.

Dopo aver acceso il climatizzatore ed averlo spento quando si era reso conto di gelare, dopo messo in moto i tergicristalli del parabrezza e del lunotto posteriore, dopo averli puliti con il getto d’acqua e persino infilato un dito nell’accendisigari, Oliver riuscì ad accendere il riscaldamento, la radio e, in ultimo, gli abbaglianti.

Fu allora che vide Patty a pochi metri da lui, proprio nel punto in cui l’automobile si sarebbe trovata di lì a tre secondi.

Pigiò il freno e pregò tutti i santi che l’auto non la colpisse.

 

Patty non sapeva come fosse accaduto ma soltanto che non era stata esattamente lei  a reagire in quel modo ma qualcosa nel suo cervello, una forza superiore che la spinse a gettarsi sull’asfalto e sperare che Holly avesse il polso fermo.

L’auto le passò sopra, sfregando il fondo contro la sua schiena coperta dalla giacca ma senza ferirla.

L’auto la sovrastava quando finalmente si fermò e Holly uscì di gran carriera gridando come un ossesso il suo nome.

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 07:38 PM

 

Porca puttana ladra! Ho messo sotto Patty! Patty, dove diavolo sei finita! Patty, porca miseria, dove sei! L’ho ammazzata! L’ho ammazzata! L’ho sicuramente ammazzata! Patty! Dove sei? PATTY!

 

Patricia vedeva i piedi di Oliver muoversi a pochi centimetri da lei ma non riusciva a muoversi.

Non era ferita ma piuttosto confusa.

Allungò la mano verso di lui e, faticosamente, afferrò la sua caviglia.

Il grido di puro terrore che riecheggiò tra quei campi fu agghiacciante ed era una fortuna che nessuno vi abitasse perché avrebbe gelato agli abitanti il sangue nelle vene. Era un verso di puro terrore.

Il cuore di Holly, che in un decimo di secondo era salito a mezza altezza tra la bocca e polmoni, batteva all’impazzata mentre quella cosa calda che si era avviluppata attorno alla sua caviglia sembrava risalire su.

In realtà Patty, sentendo il grido, aveva deciso di uscire dal suo nascondiglio ma era faticoso uscire da sotto un’automobile quindi stava facendo perno sulla sua gamba per tirarsi fuori da quell’infuocata trappola.

Holly, impietrito, lasciava che lo strambo animale che l’aveva colto alle spalle smettesse di salire su di lui, incapace di spostarsi né di fare altro.

- Oliver Hutton- sbottò Patty, tirandosi faticosamente via- mi aiuteresti a uscire da qui sotto invece di fare il palo, per favore?

Il ragazzo si riscosse all’istante. Si chinò sulla ragazza ed in un attimo Patty si trovò tra le sue braccia, stretta in un abbraccio da spezzare le ossa, con i piedi che penzolavano nel vuoto ed il capo appoggiato alla sua spalla.

- Credevo di averti ammazzata- sussurrò mentre la deponeva sul sedile posteriore del veicolo per poi accomodarsi al suo fianco- Ho avuto paura di averti uccisa con questa stramaledettissima automobile. Ho avuto tantissima paura.

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 07:41 PM

 

Cavolo… non mi abituerò mai a vedere un uomo disperarsi ma non piangere. Perché non versare qualche lacrimuccia innocente invece che distruggersi dentro per evitare che esca fuori? Io sono stata al suo posto e ho pianto per mesi e mesi al suo fianco, attendendo il suo risveglio.

 

- Ti sei fatta male- osservò indicando i palmi scorticati per il colpo subito quando si era gettata sotto l’auto e quando si era tirata fuori.

- Non è niente- disse Patty massaggiandosi le mani doloranti.

Se non avesse saputo che Holly avrebbe avuto una crisi isterica avrebbe anche potuto dirgli che probabilmente si era scorticata anche le ginocchia.

- Non abbiamo dell’acqua?

La ragazza scosse il capo. Aveva guidato a lungo come se avesse il diavolo alle calcagna, persa nei suoi tristi pensieri, figurarsi se aveva pensato a qualcosa di banale come comprare dell’acqua e del cibo!

- Dobbiamo pulirle.

- Sono inezie.

- Ma dobbiamo pulirle ugualmente. Adesso mi metto al posto di guida e…

Patty sorrise con aria pericolosa e lo fermò posando una mano sulla sua.

- Oliver, tu prova a prendere di nuovo in mano quel volante ed io ti spezzo i braccini, chiaro?

- Perché?

- Perché non ne sei capace?

- Era la prima volta e a me pare di essermela cavata egregiamente!- ribattè piccato il calciatore.

- Soltanto tu puoi considerare “guidare in modo egregio” far fare alla macchina tutto quel casino senza insospettirti.

- Certo che mi sono insospettito ma ho controllato tutto quanto ed era ok!

- Non penso.

- Quindi tu sai quale era il problema- disse, poi aggiunse- E magari sei stata tu a causarlo, vero?

 - Holly, c’era tutto quello stramaledetto sferragliare perché l’automobile aveva il freno a mano tirato.

Il ragazzo divenne paonazzo e, docile, si accomodò sul sedile passeggero, accanto a quello sul quale si posizionò la ragazza qualche secondo dopo.

 

Oliver Hutton 06 Aprile  ore 07:44 PM

 

Questa volta lo devo proprio dire: che figura di merda!

 

Il telefono squillò per tre volte prima che Roberto, assonnato, afferrasse la cornetta.

- Pronto?- disse prima di sbadigliare.

- Parlo con il tutore legale del signor Hutton Oliver? Sono il commissario Shinohara della stazione di polizia di Fujisawa.

L’uomo si svegliò completamente.

- Cosa è successo?

- E’ presto detto: a quanto pare il suo ragazzo è stato visto rubare un’auto assieme ad una ragazza dai capelli scuri che è stata identificata come Patricia Gatsby.

- Hanno fatto cosa?- scandì Roberto, scotendo con una mano la donna dai capelli rossi che dormiva con la schiena appoggiata al divano.

- Ha capito bene. La ragazza è balzata nell’auto di un pensionato e il suo ragazzo l’ha seguita subito dopo. Non sappiamo dove siano andati ma si suppone si trovino nel raggio di 200 Km da qui.

- Sta scherzando.

- Purtroppo no. Non sappiamo dove si siano andati a cacciare. A quanto pare hanno preso strade poco trafficate.

Katherine guardò l’uomo con aria assonnata.

- Chi guidava il veicolo?

- La ragazza.

- Tua nipote è figlia del diavolo- sibilò Roberto dopo aver coperto la cornetta con una mano per non farsi sentire.

Questo bastò per portare alla realtà anche la rossa.

- Cosa è mia nipote?

Roberto le fece cenno con la mano di attendere.

- Commissario Shinohara, io e la signorina Gatsby arriveremo subito.

- Buona serata- disse l’uomo riagganciando.

- A tra poco.

 

Roberto Sedinho 07 Aprile  ore 00:08 PM

 

Porca puzzola impestata! Ma quella ragazza non riesce a non creare problemi? Prima il camion, poi il tentato suicidio e gli alcolici. Pensavo avesse toccato il fondo con il falso attentato e invece no! Rubiamo un’auto, Oliver! Diamoci alla pazza gioia! Proviamo nuove emozioni! Giuro che appena metto le mani addosso a quei novelli Bonnie e Clyde gli faccio vedere tutte le stelle! Ma come le è saltato in mente di compiere un furto?! Va bene, forse avevano le loro buone ragioni per farlo… ma questo non li giustifica affatto!

 

Roberto riagganciò e guardò la donna con la quale aveva trascorso il pomeriggio.

Stava per parlarle con tono irritato ma non lo fece. Anche appena sveglia era una gran bellezza, questo non poteva non influenzarlo, soprattutto ad una distanza talmente ravvicinata: i capelli di fiamma, scompigliati, le incorniciavano il volto pallido, chiazzato da qualche piccola lentiggine, sul quale spiccavano occhi blu, ora semichiusi per il sonno, e labbra carnose e rosee che sembravano chiedere di essere baciate.

 

Roberto Sedinho 07 Aprile  ore 00:09 PM

 

Cavolo, sarà una frana in cucina ma è davvero una bella donna. Se non fosse così terribile a livello caratteriale avrei anche potuto farci un pensierino sopra… ma il suo carattere è orrido quindi proprio no.

 

Tossicchiò per allontanare il suo pensiero non attinente al caso che doveva esporle e la guardò dritta in volto.

- Per farla breve… tua nipote ha rubato un’auto e Holly le è andata dietro. Non so quali fossero le loro intenzioni ma sembrano svaniti nel nulla. Dobbiamo andare in commissariato per saperne di più.

- Puoi ripetere?

- Patty e Holly sono on the road su un’auto rubata a un anziano signore e non sanno dove si siano cacciati.

- Hanno rubato un auto?! E perché?

Si mise a sedere e, tesale una mano, l’aiutò a sollevarsi.

 

Le mani le bruciavano, lo stomaco le brontolava e le occhi le si stavano inesorabilmente chiudendo. Troppe emozioni in un giorno solo avevano esaurito tutte le sue energie e adesso, stanca ed affamata, stava lottando faticosamente per non cedere.

- Patty, che ne dici di fare una pausa?

- Non possiamo mica fermarci in mezzo al nulla.

- Ma non puoi continuare a guidare. Sei stanca e si vede.

La ragazza frenò e, sbuffando, si voltò verso di lui.

- Vorresti guidare tu?

Annuì.

- Seguirai le mie indicazioni?

- Guarda che tu non hai la patente.

- Ma ho maggiore esperienza di te e, ci tengo a ricordartelo, fino a qui sono stata io a portare l’automobile e non mi pare ci siano state catastrofi come guidare con il freno a mano tirato e senza luce in una strada non illuminata.

Oliver divenne paonazzo.

 

Oliver Hutton 06 Aprile  ore 08:56 PM

 

Riuscirà mai a dimenticare la mia pessima performance al volante? Certo, ha ragione… e non ha citato il fatto che per poco la ammazzo…Ma non ha il diritto di trattarmi come un povero deficiente! Era la prima volta che guidavo, per la miseria, e l’ho fatto solo per venire a cercarla! E poi è stata lei a imbarcarmi in quest’azione criminale senza spiegarmi quale è il motivo!

 

Patricia Gatsby  06 Aprile  ore 08:56 PM

 

Forse sono stata un pochino troppo dura con lui… Probabilmente non aveva mai guidato in vita sua ed io, nervosa, scarico la mia frustrazione su di lui umiliandolo… E non devo scordarmi che l’ho praticamente sequestrato e costretto a essere mio complice in questo furto… ma che altro potevo fare se non scappare nel tentativo di stare lontana da mia zia fino al momento in cui sarei diventata maggiorenne?Io non voglio andare in Europa! Non ci voglio andare!

 

Oliver fece un colpetto di tosse per attirare l’attenzione su di lui e, pronto a dirne quattro a Patty riguardo il suo pessimo comportamento, prese fiato per attaccarla ma non riuscì a farlo.

Nonostante fosse buio pesto e l’unica fonte di luce fosse il fioco bagliore della luna Holly notò che stava piangendo.

- Patty… io…

- Scusami! Scusami tanto!- ululò gettandogli le braccia al collo- Mia zia vuole tornare a Londra ed io non voglio andare con lei!

Fu dura per Holly concentrarsi sulle sue parole. Non capitava raramente che Patty si avvicinasse così tanto a lui ma non era normale che all’improvviso Patty riuscisse ad annebbiargli la mente con un solo abbraccio. Era innamorato di lei, questo era innegabile, e i suoi ormoni avevano già dato prova di non essere in letargo eppure c’era qualcosa di diverso. Non sapeva se era l’adrenalina a fargli quello scherzo, la stanchezza per la pessima giornata appena trascorsa o l’ovattata intimità di quell’abitacolo ma si sentiva improvvisamente… uomo.

- Non lo permetterò. Non ti porteranno via dal Giappone. Te lo giuro sulla memoria dei miei genitori, Patricia.

- Grazie. Grazie mille. Ma non potremo farci nulla se ci ritroveranno.

- Fai guidare me e nessuno ci raggiungerà mai.

Patty annuì e, cambiato sedile, chiuse gli occhi.

 

Quando Holly, qualche ora più tardi, si fermò Patricia si svegliò e rimase senza fiato.

Erano in un centro abitato dalle dimensioni spaventose, tutto luci e insegne.

- Oliver… cosa succede?

Senza una parola lui la trascinò all’esterno.

- Holly… non capisco.

- Tua zia e Roberto non potranno separarci. Basta qualche minuto e non potranno più farci nulla.

Patty lo seguì, sempre più preoccupata.

Quel posto era sì luminoso ma non sembrava affatto tranquillo: lungo le vie c’erano ragazze dalla divisa da scolaretta provvista di gonna vertiginosamente corta, altre dagli abiti così ridotti da sembrare in costume da bagno o seminude; alcune erano a braccetto con uomini che avrebbero potuto essere come minimo i loro padri mentre altre erano in compagnia di altri uomini o altre donne; qualcuna fumava, altre bevevano e Patty vide di sfuggita persino una ragazza che, accasciata contro il muro di un vicolo tra due love hotel, si iniettava in vena una qualche droga.

Istintivamente si strinse ancora di più a Oliver, cercando di non guardare altro che il lastricato.

Alzò gli occhi solo quando Oliver si fermò di fronte a quella che sembrava una cappella.

Patricia capì subito che cosa intendeva fare.

- Stai scherzando?!

- Non lo saprà nessuno se non nel caso vogliano dividerci.

- Io non posso sposarmi, te l’ho già detto.

Oliver si fermò.

- Se lo facciamo non ti chiederò nulla di… di quello che tu sai fino a quando non ci sposeremo per bene ma ti prego, in nome del nostro futuro come coppia, di fare questa cosa.

- Ma non possiamo sposarci per questo motivo. Sarebbe squallido.

- Squallido? Tu pensi che il volerti sposare per non perderti sia squallido?

- Forse ho sbagliato termine… ma io voglio sposarmi per amore.

 

Oliver Hutton 07 Aprile  ore 00:43 PM

 

Perché non riesce a capire? Io mi voglio sposare perché ci amiamo! Non voglio farlo solo per farla restare qui. Io la amo e mi voglio sposare qui, dove nessuno può fermarci, proprio perché così nessuno potrà separarci. Io non riesco a immaginare di vivere nuovamente senza di lei. Io… io amo Patricia. La amo. Perché non riesce a capire che il mio è amore? Perché?

 

La ragazza sentì tremare la mano di Oliver ed alzò gli occhi su di lui. Aveva l’aria di chi era finito sotto un tir.

 

Patricia Gatsby  07 Aprile  ore 00:43 PM

 

Perché non riesce a capire? Io mi voglio sposare perché ci amiamo! Non voglio farlo solo per restare qui. Io non voglio farlo soffrire… ma ho paura che sposarci in questo modo possa essere un errore. E se un giorno ci pentissimo di esserci sposati nel quartiere più squallido di questa città? Il matrimonio dovrebbe essere il giorno perfetto, quello più bello della vita, quello da raccontare ai figli… non il risultato di una notte brava né un espediente per sottrarci alla tutela dei nostri tutori… Sarebbe sbagliato farlo in questo modo. Sì, sarebbe sbagliato come… come rubare un’automobile e renderlo partecipe del mio furto.

 

Sentì la mano di Holly fermarsi e stringersi attorno alla sua con forza tale da farle male.

- Non mi ami?

La domanda fattale da Oliver le gelò il sangue nelle vene.

- Non dirlo neanche per scherzo! Certo che io sono innamorata di te!

- Non è la stessa cosa. Io ti amo Patty, ma tu ami me?

- Certo che ti amo- rispose la ragazza, poi aggiunse- E mi pare di avertelo ampiamente dimostrato.

- Allora quale è il problema? Ti prego, Patty…

La ragazza guardò attentamente degli occhi scuri ed espressivi e sospirò.

- Ma sarà legale?

- Non so neanche se riusciremo a farcela… ma dobbiamo provare. Non posso lasciare che ti porti via senza fare nulla.

Patricia annuì e Holly, fattosi coraggio almeno quanto la sua compagna, la guidò all’interno.

 

Katherine immaginava già da qualche minuto che presto il suo compagno di tortura sarebbe finito con le chiappe a terra.

Il commissario Shinohara aveva loro riferito che i ragazzi erano stati visti salire sulla vettura ma che per il momento non avevano ancora idea della direzione che avevano preso. Aveva anche spiegato loro i problemi che avrebbero avuto i ragazzi una volta che fossero stati riacciuffati, tra cui una possibile sanzione disciplinare in caso di rientro nella squadra nazionale, poi era uscito.

Era stato allora che l’ex calciatore aveva iniziato a mostrare segni di nervosismo. Erano trascorsi appena un paio di minuti che già si dimenava, sospirava, si mordicchiava unghie e dita, torturava barbaramente i braccioli della comoda poltrona su cui era accomodato e i biglietti da visita del commissario. Katherine ridacchiò quando, dopo aver lanciato un’occhiata alle dita ormai sanguinanti, lo vide masticare la penna che l’uomo aveva dato loro per firmare il verbale.

- Roberto…

L’uomo si voltò nella sua direzione. Aveva l’aria di una persona sull’orlo di una crisi di nervi.

- Sì?

- Non credi sia meglio stare calmi?

- Io sono calmo. Calmissimo. Vedrai quando tua nipote mi capita tra le mani… sarò così calmo che più calmo non si può. Così calmo che neanche con il test del DNA potrebbero identificarla.

Katherine annuì.

 

Katherine Gatsby 07 Aprile  ore 00:52 PM

 

Questa volta ha proprio ragione, devo ammetterlo. Non è colpa di Oliver, visto che da quanto ha detto il proprietario è stata lei a prendere l’auto e lui l’ha seguita… Spero non ci siano conseguenze per quel ragazzo. Chissà perché Patty ha fatto una stupidaggine simile… non è da lei fare certe bravate. Che voglia attirare la nostra attenzione? E perché in questo modo? Che cosa è che  turba mia nipote in questo modo? E se quel ragazzo le avesse fatto del male? E se fosse… Sempre sola con quel calciatore… Potrebbe anche essere accaduto! La virtù della mia nipotina… E se fosse incinta? E se lui non volesse il bambino? E se… e se io fossi partita per la tangente e saltata di palo in frasca come faccio al mio solito? Sì, decisamente l’ultima. Katherine, ricordati di avere fiducia. Fiducia. Fi-du-cia. Fiducia. Sì, devo fidarmi di Patty, di Holly e anche di Roberto. Devo chiedergli conferma dei miei sospetti.

 

- Roberto, tu credi che i nostri protetti possano fare sesso non protetto durante le pause dell’allenamento?

La risposta di Roberto rimase impressa nella plastica della penna: un profondo solco dal quale sgorgò dell’inchiostro nero che sporcò la sua bocca.

- Era solo un’ipotesi… magari sono scappati perché pensavano che non avremmo accettato il bambino.

Nonostante il saporaccio dell’inchiostro gli facesse venire la nausea e pensasse che forse era tossico Roberto non mosse un muscolo.

 

Roberto Sedinho 07 Aprile  ore 00:54 PM

 

No… non è possibile… non Holly… e poi Patty era così contraria… dopo matrimonio… matrimonio a quell’età e senza il consenso dei tutori… li sposerebbe solo un pazzo nel quartiere più malfamato di Tokyo… No, è impossibile che accada una cosa simile! I-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e! M-a-i!

 

- No- biascicò- Patty non accetterebbe mai di farlo senza prima essersi sposata, lo sai.

La donna annuì e lì la conversazione cadde.

Un’ora più tardi il commissario Shinohara entrò nella stanza come un turbine.

- Hanno trovato la macchina a Tokyo. Li stanno cercando.

I due tirarono un sospiro di sollievo.

- E dove esattamente?

- A Kabukicho.

 

Roberto Sedinho 07 Aprile  ore 00:54 PM

 

Oh merda!

 

Roberto si alzò con il massimo della dignità concessa dall’incresciosa situazione e cadde rovinosamente a terra.

- Teoricamente sono le madri quelle preoccupate se le loro figlie vanno a Kabukicho. Sa, i love hotel… le notti brave… le gravidanze indesiderate… Di solito le mamme preferirebbero che le figlie arrivassero illibate al matrimonio.

- Ah, io non mi preoccupo del sesso prematrimoniale- disse sfilando davanti a Roberto con un sorriso omicida dipinto sul suo bel volto- Il qui presente Roberto Sedinho mi ha assicurato che prima di andare al love hotel mia nipote si sposerà con il suo ragazzo nonché compagno di fuga. Quindi il frutto dei loro lombi nascerà all’interno del matrimonio. Civile o religioso non importa, magari concepito in una squallida stanza di un hotel pieno di prostitute… ma sarà un bambino con due genitori minorenni legalmente sposati in un qualche schifoso posto di una periferia malfamata e corrotta. Grazie per avermi fatta sentire meglio, Roberto.

La donna uscì dalla stanza con passo marziale, lasciando gli uomini da soli.

- Che bambola!- sussurrò Shinohara.

- Che casino!- rispose l’uomo sporco di inchiostro ancora seduto sul pavimento.

 

Patty guardò nuovamente l’uomo di tipo caucasico che indossava un completo di lustrini di un viola talmente acceso da far male agli occhi.

I capelli scuri impomatati e i baffi arricciati color del fuoco davano una impressione davvero poco clericale a quello che teoricamente doveva essere un ministro della chiesa cattolica ma che con quel sorriso falso dipinto in volto sembrava piuttosto Lucifero senza corna e piedi caprini.

- Allora signorina, vuoi tu prendere questo bietolone qui accanto come tuo legittimo sposo entro il secolo?

Patricia abbassò gli occhi. Aveva detto a Holly che l’avrebbe fatto ma sposarsi davanti a quel tizio vestito in modo assurdo e che la trattava in maniera così sgarbata si sentiva a dir poco mortificata!

- Ti dai una mossa? Io mi voglio sposare prima che mi si rompano le acque e di questo passo partorirò qui per terra.

La ragazza in chiaro stato interessante che aveva accettato di farle da testimone le rifilò una gomitata. Viste le dimensioni del suo ventre Patty non aveva problemi a credere che avrebbe potuto capitare una cosa simile.

- Scusami… - sussurrò ad occhi bassi.

- Allora, ti vuoi sposare con questo tizio sì o no?

Lo sgarbato prelato l’afferrò per la spalla e scosse.

- Sì, lo voglio- sussurrò la ragazza tra le lacrime.

- Alla buon’ora, cocca!- esultò l’uomo- E tu, vuoi prendere questa frignona come tua legittima sposa in modo tale di potertela spassare con lei senza che i genitori possano dirvi nulla?

Patty impallidì e Oliver, già livido di rabbia, afferrò l’uomo per il colletto.

- Chiedile immediatamente scusa o ti faccio ingoiare le scarpe.

L’uomo era più basso e più leggero di lui quindi fu facile sollevarlo da terra per puntualizzare meglio la sua affermazione.

- Scu…sa…mi… cattivo… cattivo Don Carlo…

Oliver lo lasciò andare.

- Io vorrei prendere in sposa la qui presente Patrica Gatsby… ma non qui e non stanotte. Voglio che abbia un matrimonio da favola e non un incubo simile.

- Vorrei prendere a calci i vostri culetti pallidi, ragazzini, ma smammate prima che qualcuno abbia le doglie.

- O che qualcuno scopra che stava per sposare due minorenni.

- Prova a dirlo a qualcuno ed io te la farò pagare- disse, estraendo da una tasca del completo qualche centimetro di una lama dall’aria molto pericolosa- Quindi adesso sei pregato di andartene e di portarti via la tua troietta.

Oliver avrebbe voluto rispondergli per le rime ma decise di non farsi ripetere due volte l’avvertimento del prelato dall’aria pericolosa. Afferrata Patty per un braccio uscì dalla sala in cui aveva cercato di proteggere la donna che amava e dove aveva rischiato di umiliarla nel modo peggiore che potesse trovare.

 

Oliver e Patricia, seduti sulla fredda panca metallica della loro cella, aspettavano con il cuore in gola l’arrivo dei loro tutori.

Patty, inconsolabile, aveva il volto affondato nella maglietta del suo compagno e piangeva tutte le lacrime che aveva a disposizione mentre Oliver cercava di confortarla stringendola a sé.

 

Oliver Hutton 07 Aprile  ore 03:06 PM

 

Ok, questa volta Roberto mi scuoia vivo… Ci hanno presi in un quartiere di Tokyo a dir poco equivoco. Forse sarebbe stato peggio se ci fossimo sposati… come minimo mi avrebbe ammazzato. Certo,  forse Patty sarebbe arrivata prima… Ma come mi è saltato in mente di tentare di sposarmi in un posto simile e con un prelato simile? Non permetterò che la porti a Londra, poco ma sicuro. La sposerò in modo consono, con una vera cerimonia da favola per farmi perdonare di quello schifo di pseudo matrimonio.

 

Patricia Gatsby  07 Aprile  ore 03:06 PM

 

Oliver… finirò in galera a Londra… mi chiuderanno in cima alla Torre di Londra… zia mi rinchiuderà in quel suo appartamento e non uscirò mai più. Perderò la mia vita… i miei amici… e marcirò in galera per furto d’auto. Io non voglio! Non voglio! Voglio la mia vita, maledizione! Voglio vivere con Oliver, sposarmi, avere dei figli e vivere la MIA vita come voglio, maledizione! Io non voglio Londra né nessun altro posto che non sia casa mia con Oliver!

 

- Le tue lacrime di coccodrillo non mi incantano, Patricia.

La ragazza alzò gli occhi sulla donna che si stava avvicinando alle sbarre con passo marziale. Katherine Gatsby, perfetta sui suoi tacchi a spillo vertiginosi e elegantissima con il suo completo rosso, era a pochi metri da loro.

- Io a Londra non ci vengo manco morta!

Il grido di pura rabbia uscito dalle labbra di Patty la fece rabbrividire. In quegli occhi arrossati c’erano rabbia, rancore, delusione e odio, sentimenti che la donna credeva non potessero appartenere alla sua adorabile e dolcissima nipote.

- Se ti sei stancata di me vattene pure! Io da casa mia non mi muovo e tu non puoi costringermi ad andarmene! Se non vai d’accordo con Roberto vattene ma non distruggere la mia vita!

Il commissario Shinohara, Roberto e Katherine studiarono con attenzione quella specie di belva strillante che Oliver tratteneva a stento sulla panca della cella.

- Signorina, perché non mi ha riferito che voleva portare la ragazza all’estero?

La donna non si mosse: fissava imbambolata sua nipote chiedendosi perché pensasse che volesse portarla via.

- Non hai neanche il coraggio di rispondere a quel poliziotto?- ringhiò la nipote.

- Io non so di cosa tu stia parlando.

L’ammissione della donna era pura, innocente, e ciò fece svanire immediatamente la rabbia di Patty.

- Cosa?! L’hai detto tu oggi mentre litigavi con Roberto! Hai detto che avresti fatto di tutto per allontanarti da lui, anche distruggere la mia vita.

Katherine abbassò gli occhi.

- Ero furibonda… avrei detto di tutto pur di fargli del male…

- E mi hai usata, vero?

Annuì.

- Ed io che ci ho creduto! Ho rubato un’auto pur di non venire a Londra con te! E per poco non mi sposo in uno squallido quartiere a luci rosse pur di impedirti di avere il controllo della mia vita! Ti rendi conto di quante cazzate ho fatto pur di poter restare in Giappone, zia?

 

Katherine Gatsby  07 Aprile  ore 03:06 PM

 

Cavolo… sono stata io a fare questo casino. Se non fossi stata così impulsiva Patty non si sarebbe sentita messa alle strette e costretta a fare una pazzia. Sono davvero pessima come tutrice.

 

- Scusami… non immaginavo neanche che tu potessi aver sentito quella brutta discussione. Mi dispiace.

- Dispiace anche a me… mi sono rovinata la vita per aver ascoltato la vostra conversazione. Non è colpa tua. Nessuno mi ha costretta a farlo, dopotutto.

Detto questo tornò a singhiozzare contro Oliver e i tre se ne andarono. Non era stato necessario parlare per far capire a Katherine e Roberto che Shinohara aveva bisogno di discutere della situazione con loro.

 

Katherine e Roberto, seduti l’uno accanto all’altra sulla panca della fredda cella, non si rivolgevano la parola da quando si erano accollati la colpa del furto dell’automobile di fronte al vecchietto a cui i ragazzi l’avevano rubata, il quale aveva accettato di ritirare la denuncia purché i ragazzi e i tutori facessero una notte di carcere.

Era per quel motivo che adesso si trovavano lì, chiusi in una cella, mentre i loro ragazzi dormivano nei loro letti. La donna dai capelli rossi si mise le mani tra i capelli e sbuffò, lanciando un’occhiata al suo compagno di prigionia. Stranamente sembrava tranquillo e rilassato, le mani dietro la testa per non doverla posare a diretto contatto con il cemento della parete retrostante e le gambe distese. Guardava un punto del soffitto che alla donna non diceva nulla.

 

Katherine Gatsby  08 Aprile  ore 01:56 AM

 

Chissà che cosa diavolo sta pensando quest’uomo? Che si sia pentito di aver coperto la bravata di Patricia? Oppure sta pensando al suo pupillo che è stato praticamente rapito da mia nipote? Giuro, quei ragazzi un giorno o l’altro ci faranno morire di crepacuore! Eppure non posso fare a meno di voler bene a quei due birbanti.

 

- Non li scuoierò, se è di questo che ti preoccupi. In fondo siamo stati noi a spingerli a fare una cosa simile. Anzi, sei stata tu a spingere tua nipote a fare una cosa simile ed io ho messo sopra il carico.

Katherine sorrise al sentire quelle parole.

- Avranno una punizione da qui al giorno del Mai- aggiunse- Ma non credo sia consigliabile tartassarli troppo. Li abbiamo messi sotto pressione ed era naturale che reagissero impulsivamente.

- Mi dispiace averti messo in questo guaio. Se avessi saputo cucinare Patty non sarebbe stata così disperata dal rubare.

- Se io avessi chiuso questa mia boccaccia non avresti detto certe cose e Patty non si sarebbe spaventata. Abbiamo colpa entrambi, Kate, e forse il più colpevole sono stato io, sempre pronto a buttarti giù.

- Nessuno mi hai mai chiamata Kate.

- Suona bene. E ti sta d’incanto.

- Kate… mi piace.

L’uomo chiuse gli occhi e la donna fece altrettanto, appoggiandosi a lui per stare più comoda.

- Non stai esagerando?

- Siamo tutori. Abituiamoci ad andare d’accordo.

- Andare d’accordo non è metterti a dormire addosso a me.

- Cominciamo da qui.

- E perché?

- Perché sei comodo.

La donna sorrise e Roberto non poté fare a meno di imitarla, per poi passarle una coperta per ripararsi dal freddo pungente di quella cella.

- Sai che sei una donna bellissima?- sussurrò.

- Me l’hanno detto in molti.

- Sai di avere anche un pessimo carattere?

- Lo so. Ma neanche tu sei uno zuccherino.

- Sai che non ti sopporto?

- Neanche io.

- E sei una pessima cuoca.

Katherine si tirò su e lo fissò negli occhi.

- Tu sei un rompiscatole di prima categoria! Per una volta tanto che andavamo quasi d’accordo…

Roberto non seppe mai cosa avrebbe voluto dire perché la donna, di punto in bianco, si bloccò e lo baciò con un trasporto tale da confondergli la mente abbastanza da fargli dimenticare i litigi e la sua pessima cucina. Quella donna piacente lo stava baciando. Cosa gli importava di cose futili come il fatto che si trovassero in una cella e che avessero litigato fino a qualche secondo prima? Era qualcosa di bello, lei sembrava piuttosto decisa a continuare e lui poteva anche procrastinare i pensieri ad un altro momento meno denso di impegni.

 

Un urlo disumano squarciò la quiete di un tranquillo mattino di aprile in quella che era ormai diventata casa Gatsby-Sedinho-Hutton.

Patty si portò le mani al volto e coprì gli occhi, sperando che ciò che si trovava davanti a lei svanisse al più presto.

Si era svegliata molto presto quella mattina e voleva fare una doccia in santa pace.

Aveva sentito l’acqua scrosciare ma, visto che non aveva avuto risposta, aveva aperto la porta credendo che non ci fosse nessuno.

 

Patrica Gatsby 15 Aprile  ore 06:29 AM

 

Che sbadati Holly e Roberto! Scommetto che ieri sera erano talmente stanchi da lasciare aperta l’acqua. Certo che è un bello spreco! Più tardi tirerò le orecchie a entrambi i calciatori, sissignore.

 

Sfilò rapidamente ogni capo di abbigliamento che aveva indossato per la notte, si avvolse in un asciugamano lilla ed aprì la tenda dietro la quale scrosciava l’acqua.

L’ultima cosa che Patty si aspettava di vedere era una coppia avvinghiata nel vano doccia, entrambi con aria sbalordita e molto intimi, a giudicare dalla posizione dei corpi nello stretto spazio.

Patty chiuse immediatamente la tendina.

Non era cosa da tutti i giorni trovare la propria zia in dolce compagnia nel vano doccia ma non si trattava neanche di un evento così significativo.

Del resto non era neanche così eclatante trovare l’allenatore del proprio ragazzo nella medesima condizione.

Il vero problema era che se sommate le cose avevano dello straordinario e se si considerava anche la loro palese antipatia era paragonabile allo stupore che avrebbe potuto provare trovando un passerotto che discuteva della filosofia di Nietzsche con il grosso gatto tigrato che aveva come unico desiderio quello di stroncare la sua esistenza.

In pochi minuti nella stanza apparve anche un Oliver Hutton appena buttato giù dal letto. Aveva gli occhi semichiusi e la t-shirt con cui dormiva era storta. Sbadigliando, Holly si tirò su i boxer dal motivo a palloni di calcio e guardò Patty.

- Cosa succede?

Patty indicò la tenda che aveva prontamente chiuso dopo aver scoperto la coppia che si nascondeva all’interno del vano doccia.

Katherine Gatsby e Roberto Sedino si prepararono ad essere nuovamente osservati mentre erano intenti nelle intime effusioni che ormai andavano avanti da un paio di settimane e che avevano tanto faticosamente tenute nascoste ai due adolescenti con cui dividevano la casa. Patty sembrava molto tranquilla e decisa ad andare avanti con certe idee ma era consigliabile non far capire loro cosa accadeva sotto le lenzuola. O, come aveva detto una sera Katherine ad un assonnato Roberto, farli restare all’oscuro di quanto fosse bello condividere certi momenti della giornata con la persona amata.

Holly guardò l’uomo e la donna con aria assonnata poi chiuse la tenda con la stessa flemma con la quale l’aveva aperta ed osservato i due personaggi avvinghiati nel vano doccia.

 

Patricia Gatsby 15 Aprile  ore 06:31 AM

 

O non si sente bene o si tratta di cecità temporanea. Ha appena visto mia zia e Roberto nel vano doccia! Nudi! E anche piuttosto impegnati, direi! Ma pensa che si stiano lavando la schiena a vicenda? No. Lui a certe cose pensa. E’ un sedicenne non ancora sessualmente attivo ma che sa di cosa si tratta. Non so se ha mai visto un porno in vita sua ma ormai in ogni film si vedono scene simili… dovrebbe saperlo. Insomma, lui non vede solo il pallone come una volta e almeno una volta DEVE aver visto qualcosa del genere, soprattutto dopo quella discussione tra noi sulla questione della castità. Non capisce che quei due stanno facendo sesso nella doccia?

 

Si mise davanti a Patty e con la stessa aria assonnata con la quale aveva studiato i due guardò la sua ragazza.

- Quella è tua zia- disse, indicando la tenda chiusa dietro la quale i due si guardavano, imbarazzati e preoccupati per la reazione dei ragazzi.

Patty annuì.

- E quello che sta lì dentro con lei è il mio tutore.

La ragazza annuì di nuovo.

- E sono nella doccia a quest’ora del mattino.

- Esatto.

- Nudi.

- Sì.

- Insieme.

- Non capisco dove tu voglia arrivare, Oliver.

- E fanno sesso.

- Lo facevano quando io li ho beccati.

- Capisco.

Il ragazzo annuì e, sospirando, uscì dalla stanza, seguito da vicino dalla sua ragazza, preoccupata per quella reazione così controllata a quell’inaspettata novità.

- Holly, ti senti bene?- gli chiese, fermandolo prima che iniziasse a scendere al piano di sotto.

Il ragazzo scosse il capo e solo allora, quando potè guardarlo nuovamente dritto in volto, Patty si accorse di quanto poteva essere imbarazzato per la situazione.

- Cazzo- disse, sedendosi sul primo gradino- E’ stato imbarazzante come beccare i propri genitori.

- Già.

- Tu lo sapevi?

Patricia scosse il capo.

- Io pensavo che si odiassero a vicenda- ammise la ragazza, accomodandosi accanto a lui con calma, per evitare che Holly potesse scovare qualcosa sotto il grande asciugamano che indossava.

Holly appoggiò la testa sulla sua spalla nuda, solleticandole il collo con i capelli.

- Non me lo sarei mai aspettato da loro. E tu?

- Te l’ho già detto, Holly, il fatto che stiano insieme mi coglie del tutto impreparata. Non pensavo che sarebbero mai andati d’accordo invece… invece sembrano aver trovato una bella intesa.

Holly piegò appena la testa, in modo da poter incontrare gli occhi della sua coinquilina e compagna.

- A me quella sembrava più di una bella intesa. Mi sembrava più… come dire… un bel rapporto.

Patty arrossì.

- Non farmi ripensare a ciò che ho visto, Holly. Tu li hai visti fermi ma quando sono arrivata io erano in piena attività.

Holly sorrise in un modo che Patty non aveva mai visto. Nei suoi occhi così innocenti adesso c’era una luce diversa, molto distante da quella che appare negli occhi di un bambino che gioca a pallone e chiama amico la sfera bicromatica che rotola tra i suoi piedi. Era qualcosa di molto maturo e magnetico.

- Posso immaginare ciò che hai visto. Sai, devo ammettere che un po’ li invidio…

- Non ti capisco- disse Patty, nervosa e tutt’altro che all’oscuro del motivo dell’invidia di Oliver.

- Li invidio perché condividono quel momento di intimità. Deve essere bello diventare un tutt’uno con la persona per la quale provi fortissimi sentimenti. Eppure la mia invidia si ferma lì e da quando abbiamo fatto quella discussione ho iniziato anche a pensare ad un’altra cosa.

- Ossia?

- Se è così bello quando lo si fa quando si vuole, pensa cosa diventa quando c’è l’attesa del momento, il sapere che un giorno sarà così anche per noi ma che non è ancora accaduto per farne un evento ancora più speciale. Celebrare in un modo così completo la nostra unione davanti al mondo è il tuo sogno e penso che potrebbe diventare un po’ anche il mio.

Detto questo il ragazzo si alzò in piedi, lasciando seduta la sua ragazza.

- Penso che quei due abbiano finito. Va pure a farti la tua doccia mentre io preparo la colazione per quattro. Ho la sensazione che dovremo parlare di alcune regole con i nostri tutori tipo i luoghi off limits per le loro effusioni.

Patty annuì ma solo quando lui entrò in cucina si alzò. Non voleva staccare gli occhi dal ragazzo che non solo aveva accettato questo suo desiderio di purezza fino al matrimonio ma che la lodava per quella scelta che a lui costava non poco in autocontrollo.

Sentì il suo cuore esplodere di gioia e a fatica trattenne le lacrime di commozione che continuavano a salire ai suoi occhi nonostante la sua ferma volontà di ricacciarle indietro.

 

Patty e Oliver avevano appena finito di definire aree “sex-free” ogni locale della casa ad eccezione delle stanze dei due amanti quando il clacson del postino richiamò la loro attenzione.

Sapevano che quando faceva così era perché era arrivata posta aerea quindi i ragazzi si precipitarono alla cassetta della posta, dove tra un paio di pubblicità ed una bolletta spiccava, bianca al centro e con i bordi colorati, una lettera dall’Europa.

- E’ di Colette! Non ci speravo più!

Patty strinse al petto l’attesa missiva per qualche istante poi aprì rapidamente la lettera inviatale da un paese dal nome impronunciabile. Sapendo che Colette abitava ad Amburgo si stupiva di quella strana località riportata sul timbro postale. Aveva sentito dire che il contratto di Benji con l’Amburgo era stato bruscamente rescisso ed era preoccupata per la neonata relazione del portiere con la figlia del presidente, soprattutto perché sospettava che gli eventi fossero connessi.

 

Carissima Patricia,

come stai? Holly migliora? E la convivenza tra il signor Roberto e la signorina Katherine? Spero che la loro intesa sia migliorata.

Nel caso la notizia non fosse arrivata lì in Giappone, cosa assai improbabile,  informo te e tutti gli altri ragazzi che Benji non è più un giocatore della squadra di mio padre.

Il quindici marzo ha rescisso il contratto e adesso siamo in viaggio per l’Europa in cerca di un nuovo ingaggio.

Esatto, hai letto bene. Siamo.

Di sicuro in Giappone non sapete nulla di tutto ciò, quindi vi spiego tutto.

Il sette marzo io ho interrotto la cerimonia che avrebbe unito in matrimonio mio padre Charles con la sua segretaria Edith Stein, una donna interessata soltanto al suo denaro.

Purtroppo ho fallito.

Mio padre, nonostante le mie parole contro Edith, si è sposato. E non è finita qui. Ha preso a male parole Benji e mi ha imposto di lasciarlo stare.

E’ stato davvero ingiusto nei suoi e nei miei confronti ed è per questo che ho dato l’addio a mio padre e ora seguo Benjamin per l’Europa. Ho rinunciato al mio denaro ed ho acquisito il cognome di mio marito.

Esatto, hai nuovamente letto bene.

Colei che ti sta scrivendo è la signora Colette Price.

Grazie al caro Freddy siamo riusciti ad organizzare tutto e, in una piccola chiesa della Svizzera, un vecchio sacerdote un po’ sordo ci ha uniti in matrimonio.

La faccia di Benjamin era un vero disastro quando gli ho fatto la proposta.

Esatto.

La proposta di matrimonio l’ha fatta la sottoscritta.

Ci crederesti che la timida Colette Montgomery potesse fare una proposta di nozze?

Eppure l’ho fatto e Benji… lui è diventato di mille colori prima di chiedermi se avevo svuotato la conca dell’acqua santa o avevo rubato di nascosto il vino dalla sagrestia. Ed io che non ero mai stata più seria di così! Per fortuna lui ha capito e accettato!

Così adesso sono una donna regolarmente sposata e nessuno potrà mai separarmi dal mio amato Benjamin.

Sono così felice!

E che luna di miele stiamo facendo! Abbiamo già visitato Roma, Milano e Firenze in Italia, Losanna e Ginevra  in Svizzera, Parigi e Marsiglia in Francia e Berlino. Ancora non ha preso una decisione perché mancano il Portogallo e la Spagna.

Nel caso in cui non riesca ad essere soddisfatto delle condizioni delle squadre europee opterà per il campionato sudamericano o per quello giapponese.

A me non importa cosa sceglierà. La mia casa è lui e dovunque lui vada io sarà al suo fianco per sostenerlo e aiutarlo. Fino a quando mio padre non mi ha imposto di scegliere tra lui e Benjamin non avevo capito quanto potesse essere importante il nostro sentimento. Ora lo so e sono felice di aver scelto Benji.

Se sarà possibile verremo a trovarvi in estate.

Per ora un saluto speciale da

 

Colette Price

Ex Montgomery

 

La ragazza porse al suo compagno la lettera e la foto allegata.

- Sono davvero poco originali- disse fingendo sdegno.

Oliver rise di gusto nel leggere quella lettera. Come diceva una celebre pubblicità, molte cose avevano un prezzo… ma tra queste non c’era il vedere la faccia color porpora Benjamin Price che posava per la foto del suo matrimonio!

 

Note dell’Autrice: per questo particolare capitolo devo aggiungere un ringraziamento speciale a Luxy.

La sua fan fiction “I Gatti non sono Cani” mi ha ispirata fortemente e senza di questa forse non avrei mai ambientato in una cella  una sola scena di Life, figurarsi una scena simile! Se quella scena vi è piaciuta ringraziate lei e la sua impareggiabile bravura per avermi fatto sognare.

Se non si fosse capito Kabuchicho è un quartiere piuttosto malfamato di Tokyo.

Ah, e vi assicuro che l’istinto di sopravvivenza può davvero spingere una persona a fare ciò che ha fatto Patty.

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