Confessions from a hospital room

di LubyLover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01: Danny Messer ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02: Jo Danville ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03: Sheldon Hawkes ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04: Mac Taylor ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05: Lindsay Monroe-Messer ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06: Stella Bonasera ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07: Adam Ross ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08: Sid Hammerback ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09: Jessica Angell ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Donald Flack Junior ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01: Danny Messer ***


01. Capitolo 01: Danny Messer

 

Titolo della storia: Confessions from a hospital room

Fandom: CSI: NY

Personaggi: Un po' tutti

Rating: Giallo

Genere: Angst, introspettivo, spirituale

Avvertimenti: Potrebbe esserci un po' di OOC sparso. È che certi personaggi sono così ermetici... (come se questa fosse una spiegazione plausibile) 

Set In Time: Inizio stagione otto. Dopo Indelible, ma prima di Officer Down

Disclaimer: Onestamente, come fanno ad essere miei i personaggi? Non mi appartiene nulla, se non la storia in sé. Ma questo non basta per farmi guadargnare dei soldi. Né ora, né mai.

Nota: La fan fiction che vi apprestate a leggere non ha una trama tipicamente collegabile a CSI: NY. Niente casi da risolvere, prove da raccogliere, interrogatori, inseguimenti vari. Nulla. È una fiction immobile, in cui succede ben poco. Quello che volevo provare a fare (fallendo?) era uno studio dei personaggi, una semplice analisi dei loro pensieri quando messi di fronte ad un particolare avvenimento.

Va detto, che la fiction trae una grandissima ispirazione dall'episodio Near Death (sì, proprio quello in cui sparano a Mac). Spero che per gli appassionati della serie la mia fiction non sia troppo un insulto.

Buona lettura. 

 

Capitolo 01: Danny Messer

Danny: "You know what? You should mind your own business"

Flack: "You're my friend, Danny. Make it my business"

Episodio 04x13: All In The Family 

 

Se c'era una cosa che Danny odiava - e sempre avrebbe odiato - erano gli ospedali. E non era nemmeno una cosa direttamente connessa al suo lavoro. Sette anni, sì, avevo sette anni quando sono stato portato per la prima volta al pronto soccorso. Papà ce l'aveva detto di non arrampicarci su quell'albero, ma Louie... Louie, suo fratello maggiore, era sempre stato, allo stesso tempo, una buona ed una cattiva influenza. Il piccolo Danny aveva sempre cercato di imitarlo in tutto. E così, quando gli aveva suggerito che papà sbagliava, che l'albero, seppure malandato, era sicuro, Danny si era arrampicato senza indugio. Ed ho duvuto portare uno scomodissimo gesso per otto settimane... oltre ad avere problemi a sedermi per una settimana intera. Ma le sculacciate di suo padre non gli avevano fatto troppo male; era stato più doloroso vedere suo fratello mentre veniva punito col divieto di uscire per un mese intero. Non sono mai stato bravo a proteggere gli altri, a non fare la spia; sono sempre stato debole, bisognoso di sostegno. E questo è il risultato.

Il risultato era quello di dover visitare l'ennesimo ospedale, camminando lento, cercando dentro di sé una forza che non credeva di avere. Non dopo tutti quegli anni e non dopo tutto quello che era successo. Ma fatti forza, Daniel, hai già fallito con lui una volta, deluderlo di nuovo non è nemmeno lontanamente concepibile. Nel 2006 era stato fin troppo facile prendere la scusa di dare un passaggio a Lindsay ed andarsene; il dolore di quanto accaduto a Louie era ancora troppo recente. Se anche qualcuno avesse trovato il suo comportamento errato - e, sicuramente, Mac dall'alto della sua statura morale mi ha bollato come un codardo - non gli era stato detto nulla. Ma, hai mai chiesto a lui cosa ne ha pensato? No, come sempre hai dato per scontato che saresti stato perdonato, che avrebbe dovuto capirti, che la situazione era drammatica e stavi male. Tu capisci, non lui. Tu stavi male, tu soffrivi. Un po' egocentrico, non trovi?

Ed era probabilente vero, ma, durante gli anni, Danny sapeva di aver raggiunto un livello di maturità maggiore - e Lucy era la prima persona da ringraziare per questo - e quindi, era certo che non si sarebbe tirato indietro ancora, anche se, magari sarebbe stato più facile. Sarebbe stato esattamente nel posto in cui ci si aspettava che lui fosse. Anche se avrebbe continuato a detestare gli ospedali. Così, spinse piano la porta ed entrò nella stanza asettica ed impersonale. Senza indugi, rivolse la sua attenzione alla persona che occupava l'unico letto e si avvicinò. Si sedette esausto sulla sedia ed osservò il viso inerme del suo migliore amico. Potrei illudermi che tu sia solo addormentato, distrutto dopo il turno dei turni e che, tra poco, ti sveglierai e farai una battuta sarcastica sul fatto che mi hai trovato qui a guardarti dormire, ma non lo farò. Sarebbe come scappare da quello che ti è successo, sarebbe come fingere che stia andando tutto bene; che, tra le prove raccolte dalla scena, non ci sia il tuo DNA. Ed io non lo voglio fare. Mi vedi, Flack? Sono diventato grande. Guardami. 

Danny si appoggiò allo schienale, chiudendo gli occhi con un lunghissimo sospiro. Non era quello che si era aspettato dalla promozione a Sergente.

***

Il motivo per cui Danny e l'agente Cooper avevano preso la chiamata era stato semplicemente la vicinanza alla scena. La radio aveva gracchiato informando le unità disponibili che la vittima di un'aggressione giaceva all'angolo di un vicolo non troppo distante da dove si trovavano loro. Danny era stanco, ma voleva dare il buon esempio: non era una dei suoi nuovi compiti, forse? Aveva risposto alla Centrale comunicando la posizione e confermando che sarebbero andati a vedere. Non avevano parlato di un cadavere, ma Messer si trovò quasi a sperarlo. Non per il poveretto, ovviamente, ma almeno avrebbe potuto chiamare la sua vecchia squadra ed avrebbe potuto scambiare due parole con sua moglie. E se questo faceva di lui un mostro, bene, avrebbe accettato le accuse senza fiatare.

Dopo aver parcheggiato la volante con maestria, Lauren stava già scendendo per visionare la scena. Danny la seguì, decidendo che l'avrebbe lasciata gestire la situazione, dandole solo qualche piccolo suggerimento in caso di necessità. Attraversò con malcelato fastidio il piccolo capannello di curiosi e si apprestò a guardare la vittima. E tutto ciò che aveva imparato sparì dalla sua testa. Senza pensare, si inginocchiò vicino al corpo del suo amico e gli toccò un braccio: "Don...". Il polso era debole ed aritmico, la pelle del viso coperta da un sottilissimo strato di sudore, i capelli intrisi dal sangue che fuoriusciva copioso da una ferita sulla fronte e gli occhi semichiusi. Danny strappò con forza lo sguardo da Flack e cercò la collega. La giovane lo stava guardando confusa e quasi orripilata: ovvio, lei non conosceva Flack, le pareva soltanto che il suo Sergente avesse deciso di infrangere una serie di regole, così, senza alcuna motivazione logica. "L'ambulanza! Dove sono i paramedici?", gettò una breve occhiata a Don, come per assicurarsi di non averlo disturbato con le sue urla. La Cooper non si era ancora mossa e Danny valutò quante eternità preziose stessero perdendo, quanta era la vita dell'amico che stava andando sprecata nella speranza che Lauren si muovesse. "Cooper, adesso! Muoviti! E poi chiama Taylor della Scientifica e digli che si tratta di Flack", la guardò con serietà, usando un tono di voce che non lasciava spazio ad interpretazioni. Certo che lei avrebbe fatto quanto ordinatogli tornò a concentrarsi su Don. Lui non si era mosso e non aveva nemmeno mostrato di capire cosa stesse succedendo. Danny appoggiò entrambe le mani sulla ferita che aveva sul torace e premette con tutte le forze possibili. Il contatto con il sangue ancora caldo gli provocò le vertigini, ma riuscì a non muoversi. "Stai tranquillo", sussurrò, "Ci sono qui io, adesso", e si domandò quando mai questo dettaglio avesse migliorato la situazione.

***

Riaprì gli occhi e si guardò intorno: nella stanza non c'era nessuno a parte loro due. E persino il reparto sembrava deserto. In modo guardingo - anche se sapeva di non stare facendo nulla di male - si chinò verso l'amico, appoggiando le mani sul materasso. "Hey... il tuo chirurgo dice che potresti sentire, cioè, non ne era sicuro, e forse lo ha detto solo per darci qualche speranza, non lo so... comunque all'inizio ho pensato fosse una stronzata, ma, sai, trovo confortante potere parlarti ed immaginare che mi ascolti", si guardò di nuovo intorno, "... so che staresti pensando 'Ecco, tra tutti quelli che potevo trovarmi qui, mi tocca Messer... '. O mi piacerebbe immaginare che tu lo stessi pensando, che è un po' la stessa cosa. Perché, per me, la tua testa è sempre piena di battute divertenti a mio discapito, perché questo è il modo che usi per farmi ascoltare da te.

Non so bene cosa dirti, non sono bravo in queste cose, e poi sono un uomo e mio padre mi ha insegnato che gli uomini veri non sono sentimentali e non devono mostrare le emozioni in pubblico. Mai. Penso che anche tuo padre ti abbia insegnato qualcosa del genere, vero? E quindi mi sento come una scolaretta timida ed imbarazzata mentre sto qui a parlarti e continuo a verificare che nessuno entri perché ho paura di quello che potrebbero pensare gli altri. E sbaglio, perché tu, adesso, hai bisogno di conforto e di sapere che non sei da solo. Sai? Sto guardando la tua mano, così inerme e senza forza, e vorrei stringerla, vorrei fartelo capire che ti sono vicino davvero e che devi lottare, ma..."

***

"Basta piangere!", la voce dura di suo padre risuonò nella stanza, "Era solo una stupida mazza da baseball. E se si è rotta è stata solo colpa tua, perché non sai occuparti delle tue cose... E tu...", l'uomo si rivolse all'altro ragazzino presente, "... togli quel braccio dalle sue spalle. Sarai mica una checca?"

***

"Ricordo Mac, i giorni dopo l'esplosione. Una mattina sono arrivato in ospedale e lui sonnecchiava su una sedia accanto al tuo letto. Cioè, sonnecchiava come può sonnecchiare Mac Taylor, sai cosa intendo... comunque... ti stava stringendo la mano. Non forte, ma con dolcezza quasi. Mi è tornato in mente mio padre ed il suo assoluto ribrezzo verso i contatti fisici tra uomini, ed il modo offensivo in cui diceva checca, come se si trattasse dell'insulto peggiore che si potesse dire a qualcuno, un modo breve per dire debole uomo senza spina dorsale. La verità è che, guardando Mac, ho visto tutto, tranne che un uomo debole o debosciato. L'ho un po' invidiato, a te posso confidarlo. Io non sarò mai come lui. E, maledetto me, sono qui seduto a parlare di me stesso, a pensare a me stesso, come ho sempre fatto e sempre farò. E tu... tu mi stai ascoltando, forse, come hai sempre fatto e sempre...", Danny deglutì, nervoso. Sospirò e lasciò passare qualche secondo. Il silenzio intervallato dai BIP ritmici dei macchinari avrebbe potuto farlo impazzire, "Volevo scusarmi, solo questo. Qualche volta avrai sicuramente pensato che per te non ci fossi, ma non l'ho fatto apposta. Non che questo migliori le cose, obiettivamente. Ma volevo chiederti scusa soprattutto per non esserci stato la notte dell'esplosione. So che se potessi obiettare mi diresti che tanto eri incosciente e non era necessaria la mia presenza, ma... avevo paura. Dopo Louie ed Aiden e... sembrano sterili scuse, vero? Perché anche adesso ho paura, parecchia, ma sono qui lo stesso. E non me ne frega nulla di quello che ha detto il dottore; io so che ce la farai, io so che non mi lascerai qui senza i tuoi consigli. Lo so. Così come sapevo che mio fratello sbagliava ad immischiarsi con i Tanglewoods anche se non gliel'ho mai detto, perché ero un codardo. Ma sono davvero cresciuto, adesso, come ti ho già detto. Quando hai un figlio non puoi fare altro ed è un desiderio - avere dei figli - che vorrei esprimere per te. E quindi...", senza esitazione, Danny afferrò la mano dell'amico e la tenne stretta, "... non me ne frega cosa penseranno gli altri, non me ne frega chi potrà vederci. Io sono qui, con e per te, e non me ne andrò stavolta. Starò qui e quando ti sveglierai ti racconterò tutte le ultime notizie sportive dei tue Rangers, ok?"

Nessuno rispose e la vove di Danny cadde nel vuoto. Ma la stanza sembrò approvare.

 

--

NdA: Non c'è nulla di meglio che prendere il proprio personaggio preferito e metterlo in coma. Così, giusto per...  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 02: Jo Danville ***


02. Capitolo 02: Jo Danville

 

 

Capitolo 02: Jo Danville

 

Jo: "We've known each other for about a year now, Don. I have never told you this, but I think you're one hell of a detective"

Flack: "Thanks, Jo"

Jo: "You're welcome"

Flack: "Jury's still out on you, interim boss"

Episodio 08x01: Indelible

 

Jo Danville si era subito sentita a proprio agio all'interno della squadra della scientifica capitanata da Mac Taylor. Oh, aveva avuti i suoi dubbi in fase di trasferimento - soprattutto per quanto riguardava la mia Ellie - ma già dopo qualche settimana se li era scordati. La nuova casa era accogliente, Ellie si era finalmente ambientata a scuola ed i suoi colleghi... sono adorabili. Tutti. Persino il boss. Da buona profiler, aveva scovato in tutti un tratto distintivo ed unico, qualcosa che glieli faceva apprezzare ancora di più. Ma la cosa che più le piaceva era l'affetto che legava l'uno all'alltro, un sentimento che andava ben oltre il semplice essere colleghi, un sentimento che si era sviluppato e continuava a crescere ed aveva fatto sì che due di loro si fossero sposati, altri due fossero diventati migliori amici e tutti sostenessero tutti in ogni battaglia. Era incredibile da vedere. Ed all'inizio ne ero un po' intimorita, domandandomi se mai ci sarebbe stato posto per me in un gruppo così esclusivo, un gruppo che non aveva semplicemente perso una collega ma, di sicuro, un'amica ed una confidente. Ma quando si era trovata oggetto di una delle battute demenziali di Flack aveva capito che sarebbe stata bene. Benvenuta tra noi, era stato il messaggio dietro il suo sguardo divertito. Ed il suo sguardo divertito era una cosa di cui sentiva già terribilmente la mancanza.

***

Jo non aveva mai particolarmente amato il turno di notte. Forse era il fatto di essere mamma a farglielo soffrire poco. L'idea che Ellie dotesse passare la notte da qualche amica o che ci fosse qualche vicino gentile che la teneva d'occhio non era la stessa cosa che sentirla dormire nella stanza accanto alla sua. Quindi, quando il suo cellulare aveva cominciato a vibrare sul comodino, aveva sbuffato, infastidita. 'Non sono nemmeno reperibile, cosa accidenti vorranno?', si era domandata quando aveva letto il nome del suo capo sul display. Eppure, nella parte meno razionale del suo essere aveva percepito il nodo stretto dell'inquietudine, perché, in verità, c'era un solo motivo se il tuo capo - uno degli uomini più efficienti sul pianeta - ti chiamava nella tua serata libera. E non era un motivo felice.

"Pronto?", era riuscita a tenere un tono di voce fermo, qualunque cosa fosse stata non voleva farsi sentire fragile , ' qualcuno lì fuori ha bisogno di me. Lo so.'

"Jo, sono Mac. So che è la tua serata libera, ma ho bisogno di te. Ho già chiamato anche Lindsay, ti darà una mano lei", l'uomo si fermò; a Jo la sua voce sembrò incerta. Sicuramente si stava sbagliando.

"Mac..."

"È Flack, qualcuno lo ha aggredito. Sheldon è con lui sull'ambulanza, io li sto seguendo in macchina"

Jo sapeva che non c'era bisogno di informarsi ulteriormente sulle condizioni del detective: il fatto che sia Hawkes che Mac stessero andando in ospedale valeva più di mille parole. La donna non sapeva cosa dire. Annuì nel telefono, nonostante sapesse che Mac non avrebbe potuto vederla. Ma non era un problema: il capo aveva già chiuso la comunicazione, avendo la certezza che Jo si sarebbe catapultata sulla scena. Non aveva avuto nemmeno bisogno di ricordarle di non contaminarla e di trattare tutto con estrema cura e precisione. E nemmeno un accenno al fatto che quel caso sarebbe stato la priorità assoluta. Jo era affidabile, sicura. Sapeva cosa fare e come farlo.

Una ventina di minuti dopo, era già sulla scena. Molti poliziotti - sicuramente più di quanti fossero realmente necessari - tenevano libera la zona allontanando i curiosi. I loro sguardi e le loro posture erano immagine della preoccupazione interiore che li angustiava, la paura che uno di loro avrebbe anche potuto non esserci più. La Danville scorse un paio di loro controllare velocemente il telefono per verificare la presenza di eventuali aggiornamenti. In un angolo c'era Lauren Cooper, intenta a studiare la punta delle dita con ansia.

"Cos'è successo?"

La novellina alzò lo sguardo, ma non rispose.

"Sono Jo Danville, lavoro per la scentifica"

"Conosce il detective?"

"Sì", 'e com'è che tu invece non sai nemmeno chi sia?'

La Cooper cominciò a parlare, ripetendole quello che aveva già detto a Mac. La chiamata, la reazione del sergente Messer, l'ambulanza, i colleghi poliziotti che erano arrivati di gran carriera. Persino il paramedico era sembrato dispiaciuto. Jo l'ascoltò, concentrandosi più che altro su sui gesti: la giovane sembrava veramente scossa ed abbandonata. Forse, sotto sotto, stava incolpando Danny per averla lasciata lì. 'Benvenuta in polizia, ragazzina', Jo pensò con una punta di compatimento.

Lindsay non si vedeva ancora e Jo decise di cominciare. Si accovacciò ed illuminò con la sua torcia una macchia di sangue. 'È una macchia di sangue generico, non appartiene assolutamente a qualcuno che conosco. E non è nemmeno vasta come sembra, è la luce che la ingrandisce'. Erano bugie, e mentire non andava bene, ma Jo doveva pur riuscire ad analizzare la scena.

***

"Sai, Don, io ti conosco da poco e questo è un male. Almeno dal mio punto di vista. E sai perché? Quando sono arrivata mi sono fermata sulla porta per riprendere fiato e ti ho visto. Qui, in questo letto, dove uno come te non dovrebbe nemmeno immaginare di stare. Se ti avessi conosciuto meglio, se fossi stata nella tua vita da più tempo, io ti avrei abbracciato. Avrei fatto la contorsionista per superare tutti questi tubicini e ti avrei tenuto stretto come fanno le mamme con i loro bambini. Perché non è giusto.

Tempo fa ti ho detto che sei un bravo detective e sono contenta di avertelo detto. Mi piace come lavori, come noti i dettagli, le sfumature di voce delle persone, come sai fare la domanda giusta facendola sembrava una domanda del tutto casuale. Direi che tu fai con le persone quello che noi facciamo con le prove. Ed è appassionante guardarti. Sai, Ellie, mia figlia? Ti confido un segreto che non dovrai mai rivelare. Ha una cotta per te. Oh no, non me l'ha mai detto, ma una mamma le sa certe cose. Colgo un aumento del suo interesse quando mi capita di parlare di te. E, certamente, sa riconoscerti ad occhi chiusi sulla foto della squadra che le ho mostrato. È una cosa tenera, questa sua cotta. Anche se è un chiaro segnale che sta diventando grande e quindi ha un sapore dolce-amaro per me. Mi domando quanto tempo passerà prima che mi chieda di stare fuori per qualche giorno o chissà che altro. Tremo già all'idea del giorno in cui vorrà partire per il college o, magari, mi presenterà un ragazzo. Ma, per ora, sono fiera di lei. Perché è una ragazzina intelligente, che si fa volere bene, che non ha troppi grilli per la testa. E, vedi, persino la sua cotta è approvabile dalla giuria materna. Perché sei tu, capisci? E tu sei una brava persona, con la testa sulle spalle, e non qualche cantantucolo punk con abitudini quanto meno equivoche. 

È brutale questa città, sono brutali le sue strade. Sono qui da poco più di un anno e ne ho viste già forse troppe. Più delle cose terribili viste a Washington; e questo ti fa capire com'è davvero New York. Ma non dev'essere poi tanto male se tu la ami così tanto. Perché è evidente. Perché parli di lei come se fosse l'unica donna che potrai mai veramente amare per sempre, anche quando racconti dei tuoi vecchi angoscianti casi. C'è sempre un tono nascosto nella tua voce, una specie di non importa quanto questa città mi farà del male io la perdonerò, perché è mia. Ed a proposito di donne...", Jo si bloccò, incerta. Non poteva sapere se Don riuscisse a sentirla, ma l'addentrarsi in quel particolare discorso la faceva sentire insicura. 

***

"Tyler, possiamo parlare?"

"Mamma, per piacere!", il giovane le stava dando le spalle, i muscoli tesi.

"Tesoro... è solo che non voglio che ti metta nei guai...", sospirò, pensando a Russ. In momenti come quelli quasi rimpiangeva di essersi separata. Quasi.

Lui si voltò di scatto, i pugni chiusi, gli occhi fiammeggianti: "Certo, perché io sono uno stupido! Guarda...", si avvicinò alla scrivania e, dal secondo cassetto, estrasse una confenzione di preservativi, "Hai visto? Non sono uno sprovveduto"

Jo non sapeva bene cosa rispondere. Il fatto era che era orgogliosa di suo figlio. Gli sorrise: "Non penso che tu sia uno stupido, Ty, e questa ne è la prova. Ma quando si è così giovani..."

"... gli ormoni impazziti eccetera, eccetera. Lo so, mamma", rispose al suo sorriso, "Starò attento. So che sei troppo giovane per diventare nonna. O così credi..."

"Piccolo impertinente...", lei gli diede uno schiaffetto su una spalla, scoppiando a ridere. Un'alra battaglia chiusa, ma la guerra non sarebbe mai finita.

***

Jo, immalinconita dal ricordo di suo figlio, strinse la mano di Flack, che continuava, ignaro, a navigare nel grigio del suo coma. "So che hai il cuore spezzato. Ed è per quello che non faccio troppo l'impicciona per quanto riguarda la sfera sentmentale. Voglio mantenere la nostra amicizia leggera, libera da fardelli dolorosi. E mi sono ripromessa che mi intrometterò solo se sarai tu a chiedermelo. Non si gioca con i cuori infranti. Ho visto una sua foto, una volta... mi dispiace. Non so quanto valga, non so se servirà, ma mi dispiace", gli accarezzò una guancia, "E così ti ho fatto il profilo, non so se lo hai notato, le vecchie abitudini non muoiono mai. Ma è solo perché non ho potutto tenerti abbracciato, come avrei voluto fare. E guarda il lato positivo: sei davvero un detective meraviglioso; riesci a far confessare le persone anche mentre stai dormendo", l'ultima parola le si impiglià in gola.  Rimase ad osservarlo, sincronizzando il proprio respiro col suo.    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 03: Sheldon Hawkes ***


03. Capitolo 03: Sheldon Hawkes

 

 

Capitolo 03: Sheldon Hawkes

 

Flack: "What happened down here? I got a call from dispatch saying there was some kind of problem. I got here as fast as I could"

Danny: "Some methane bubbles caused an explosion, Hawkes got caught underneath the ship's mast"

Flack: "Some guy would do anything for an early retirement"

Episodio 04x02: The Deep 

 

I macchinari continuavano a fare il loro lavoro, instancabili. L'uomo nella stanza li studiava con attenzione, spostando continuamente lo sguardo per osservare le linee regolari e ritmiche sui monitor, il corpo addormentato di fronte a lui ed il cellulare che stringeva in mano. È passato troppo tempo, troppe ore... 

***

Per una strana coincidenza del destino, quando Mac Taylor ricevette la telefonata dell'agente Lauren Cooper, Sheldon Hawkes era con lui. Stavano riguardando le annotazioni conclusive di un caso di qualche tempo prima; di lì ad un paio di giorni, Hawkes avrebbe dovuto testimoniare in tribunale e voleva presentarsi preparato. Non mancava loro molto e Sheldon ne era contento: era uno stakanovista, indubbiamente, ma ciò non toglieva che, di tanto in tanto, avesse bisogno di rilassarsi. 'Non come l'instancabile ex marine seduto qui di fronte a me', si era ripetuto in più di un'occasione. Arrivati all'ultima pagina del rapporto, Hawkes aveva cominciato a lottare con la forza di gravità che sembrava far pesare le sue palpebre tonnellate.

"Magari un caffè?", aveva domandato Mac con un mezzo sorriso. Non era arrabbiato, sapeva che i suoi ragazzi lavoravano duramente.

Sheldon si alzò, scrollando le spalle, imbarazzato. Sapeva che la sua stanchezza sarebbe stata notata - cosa sfugge mai a Mac Taylor? - ma non poteva non sentirsi a disagio. Era una cosa che si portava dietro da molto tempo, uno dei motivi per cui, per un periodo, aveva fatto il patologo: i morti non avevano l'abitudine di giudicare. Stava uscendo dalla porta, diretto al distributore per prendersi il tanto agognato caffé - ed offrirne uno anche al capo -, quando il cellulare di Mac cominciò a vibrare. 'È successo qualcosa, ne sono certo'. Questo pensiero, che percorse con un lungo brivido tutta la sua colonna vertebrale, lo bloccò sull'attenti sullo stipite. Non si chiese nemmeno se fosse appropriato trattenersi ad ascoltare una conversazione che avrebbbe potuto essere privata; sapeva che non era una questione personale. 'Come quando in ospedale sapevo che stava per arrivare una grossa emergenza... si crea una staticità angosciante nell'aria'. Intanto Mac stava ripetendo a qualcuno di calmarsi. Hawkes spostò la sua attenzione sulla metà di dialogo che riusciava a sentire, cercando di indovinare le battute mancanti.

"... Agente Cooper, mi deve parlare con calma, così non si capisce niente", il classico tono professionale di Mac.

'È Danny. La Cooper è la sua recluta.' 

"Il Sergente Messer, cosa?", Mac sbattè le palpebre. 

'È lui davvero. Stupido, impulsivo, Danny. Scommetto che hai tentato qualche azione folle delle tue. E ti sei messo nei guai. Come puoi non pensare mai a Lindsay ed a Lucy? Come fanno loro se a te succede qualcosa? Perché non pensi mai?' 

Mac si stava infilando la giacca, indicando ad Hawkes il corridoio senza smettere di parlare: "Dove siete? Bene... Lauren, avvisa la centrale, immediatamente"

"Danny?", si azzardò a chiedere Sheldon, seguendo Mac che, speditamente, si stava dirigendo verso l'ascensore.

"Flack", alle orecchie di Hawkes suonò come un colpo di pistola. Si sarebbe fermato comunque, realizzò, anche se non avessero dovuto aspettare l'ascensore.

Durante il viaggio, Mac disse poco e nulla, lasciando il suo passeggero nell'incertezza. 'Non è morto, me l'avrebbe detto, ma cosa sarà successo?'. Una volta arrivati Sheldon lasciò che il suo mai sopito istinto da medico prendesse il sopravvento. Si affrettò verso i paramedici che, accucciati, si stavano occupando di Flack.

"Allora?", li incalzò un po' senza fiato.

"Pulsazioni e respiro irregolari ed accelerati. Forte trauma cranico. Ferita da arma da taglio", uno dei due indicò il torace di Flack, poi si girò verso Hawkes. Lui lo riconobbe da altre scene di altri delitti. "È messo male... mi dispiace"

"Va bene. Carichiamolo sull'ambulanza. Io vengo con voi", li seguì verso la vettura, notando appena Mac che dava istruzioni a Jo e Lindsay.

Lo strillo della sirena era quasi assordante ed Hawkes si trovò a ponderare se avesse potuto infastidire il loro ferito. 'Vorrei che si svegliasse e commentasse lamentoso che uno non può manco stare male in pace'. Sospirò: era praticamente un sogno e Sheldon lo sapeva. La sua parte razionale era troppo razionale per qualunque tipo di illusione, anche quelle concernenti i suoi amici. Osservò Flack, così stranamente pallido e sperduto. 'Nemmeno la sera dell'esplosione eri così inerme'. Accanto a lui, uno dei due paramedici continuava a monitorare i parametri vitali, scandendoli ad alta voce. L'altro, invece, cercava di tenere in vita il detective. Ma sembrava una lotta impari, il sangue sembrava uscire senza sosta, imbrattando tutto. Sheldon si guardò le mani, sentendosi come Lady Macbeth: 'è la sua vita, qui sulla mia pelle, che sta seccando lenta. Non saranno mai più puliti i miei palmi, se lui non ce la farà. Non mi considereò mai più un medico'

"È in arresto cardiaco!", quasi urlò il paramedico, cercando di sovrastare la sirena ed il bippare allarmato dei macchinari.

Hawkes si riscosse con un movimento brusco e parlò con decisione: "Epinefrina... so che ce l'avete"

"Ma ci vuole un medico", ma una siringa stava già entrando nel campo visivo di Sheldon. Aveva usato un tono di comando impossibile da contraddire.

"Ed io lo sono", iniettò il medicinale direttamente nel cuore del suo amico, senza esitazione alcuna. Il muscolo riprese a battere. 'Bene e non farmi più questi scherzi'

***

"Ma quegli scherzi hai continuato a farli, vero? Ho parlato col chirurgo, prima, una bella chiacchierata tra amici. In effetti io e Jack abbiamo fatto l'università e parte del tirocinio insieme. Due arresti cardiaci, Don. A quanto sembra la lama è passata troppo vicina al cuore, ed anche adesso, ogni battito va a disturbare la ferita. Cosa facciamo? Non possiamo fermare tutto. È un bel rompicapo. Ma lo sai cosa preoccupa veramente Jack? Il trauma cranico. È molto esteso e comprime il cervello. No, non si può operare. E comunque nessun medico ti opererebbe mai dopo l'emorragia che hai subito. Al cervello, poi. Ho visto la TAC. E guardo le tue onde cerebrali registrate sul monitor. Tremo all'ipotesi che la linea diventi piatta, perché non c'è nessun miracolo medico, niente nel senso più assoluto, che ridà vita ad un cervello morto. E, non lo so se mi senti, ma non devi mollare", Hawkes sospirò, sentendosi stanco. Le possibilità offerte dalla scienza medica stavano rapidamente terminando, lo sapeva.

"Ho visto tua sorella, Samantha. Puoi immaginare come sta. E so che non è colpa tua se sei in questa situazione che, sicuramente, una persona come te vorrebbe essere fuori a vivere la vita. So anche quanto detesti gli ospedali. Però pensa a Sam. Riesci ad immaginare come si sentirebbe?"

***
“Maya!”, Hawkes corse verso la sala emergenza in cui i suoi colleghi stavano cercando di stablizzare ‘la solita tossica in overdose’. Solo che la drogata in questione aveva un nome che lui conosceva ed amava: Maya.
Jack lo intercettò fuori dalla porta e lo bloccò: “Non puoi entrare, lo sai”
Sheldon lo fissò con gli occhi spalancati e spaventati: “È mia sorella…”
Il collega gli strinse un braccio: “Starò io qui con te”
E Jack aveva mantenuto la parola: non solo gli era restato accanto durante la lunga attesa, ma non lo aveva abbandonato nemmeno quando ogni speranza si era dissolta nella terribile fissità di una linea piatta.
*** 

"Ti prometto la stessa cosa. Non voglio farlo, ma, razionalmente, so che devo. Se le cose dovessero andare male, ti prometto che starò accanto a Samantha e che non la lascerò sola. E se ci fosse una cosa sola che tu potessi sentire, se ci fosse l'assoluta certezza, capisci, vorrei che fosse questa. Sam sarà al sicuro", Hawkes osservò ancora per qualche secondo le onde cerebrali del suo collega, quasi certo che, da buon copione drammatico, la linea si sarebbe appiattita. Guardò trattenendo il fiato e preparandosi al peggio, ma non successe nulla.

"A volte penso a quando ci siamo incontrati la prima volta, io ero ancora patologo, e ricordo il tuo sguardo curioso nei miei confronti. Avrai pensato che, forse, ero un po' strano... certo, poi è arrivato Sid ed io ti sarò sembrato il più normale dei normali... ricordi quella volta in cui ci mi hai rimproverato perché avevo lasciato il mio biglietto da visita alla mamma di quella giovane vittima? Al momento ho davvero pensato che fosse solo una questione di territorialità, ma, dopo tutti questi anni, ho capito che avevi ragione. Noi scienziati abbiamo bisogno di calma per lavorare al meglio; e tu non fai altro che garantirci in ogni modo la tranquillità necessaria.

E visto che siamo qui e non abbiamo nulla da fare ti voglio svelare un segreto. È una cosa che ho scoperto, perché anch'io sono un po' profiler. So che non sei stupido come vuoi farci credere. E so che ti piace farcelo credere. So che se su una scena troviamo, non so, tracce di benzodiazepine tu sai di cosa stiamo parlando. Magari non lo sai con precisione scentifica, ma di sicuro sai in che campo siamo e quali potrebbero essere le implicazioni. Sei intelligente. E, da intelligente quale sei, lo nascondi, e ci guardi mentre ti spieghiamo le cose. E ti ci diverti, mi sa. Perché ti fa piacere farci sentire bene, noi che siamo scienziati e non vediamo l'ora di dimostrare quanto abbiamo studiato ed imparato. È il modo in cui ti fai volere bene. Ed a me sta bene, Don, perché ho passato secoli a studiare ed approfondire ed a cercare di dimostrare quanto sono erudito. E fa piacere se gli altri se ne accorgono. Al bando la falsa modestia, non porta da nessuna parte", Hawkes si fermò per prendere un po' di fiato. Trovava quasi terapeutico poter parlare a briglia sciolta, parlare di me e non di nozioni che conosco.

"Ma non ti preoccupare", continuò con un sorriso, "Il tuo segreto è al sicuro con me", e, oh Don, quanto vorrei vedere adesso e qui una tua espressione confusa. Parlerei per ore per cercare di spiegarti qualcosa che tu già probabilmente sai. Apri gli occhi, dai, dimostra a noi dottori che te ne freghi della prognosi riservata e delle percentuali che si assottigliano. Ma il suo compagno non si mosse. Ed il bippare quieto delle macchine non era poi così confortante. Non più.

 

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NdA: Capitolo un po' complicato, il dottor Hawkes non è mai stato uno dei miei personaggi preferiti; però mi pareva giusto dedicargli un capitolo. Spero di non aver fatto troppi macelli. 

Grazie a chi ha letto e un grazie ancora più grande a chi ha trovato il tempo di commentare.    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 04: Mac Taylor ***


04 - Capitolo 04: Mac Taylor

 

 

NdA: Questo è stato un capitolo ancora più complicato rispetto a quello dedicato ad Hawkes; come disse Flack in un vecchio episodio "Now Mac, there's a man with a poker face. Who knows what he's thinking?"

Questo capitolo è dedicato a margheritanikolaevna (che, a ben pensarci, sa leggere dentro Mac alla perfezione). Spero di esserci riuscita un po' anch'io. Sii gentile.

 

 

Capitolo 04: Mac Taylor

Mac: "Will you be giving me milk and cookies and sing a lullaby?"

Flack: "The lullaby thing is a little weird. But milk and cookies could happen. Let's go!"

Episodio 07x20: Nothing For Something

 

C’era una cosa che la vita aveva insegnato a Mac Taylor: mai arrendersi, mai darsi per sconfitti. E lui aveva vissuto la sua vita esattamente in questo modo. Non importava quanti erano stati gli ostacoli - terribili in alcune occasioni - che si era trovato davanti, da buon Marine li aveva affrontati a testa alta. E anche se con difficoltà – e dolore – li aveva superati.

Si organizzava al meglio: razionalità, precisione ed attenzione ai dettagli più minuziosi erano le sue armi preferite. Come una specie di panzer blindato procedeva senza esitazione, risolvendo i piccoli intoppi e vincendo una battaglia per volta. Anche se, a volte, im un primo momento, le battaglie vinte sembravano perse. Così, dopo aver praticamente accerchiato il medico per farsi spiegare per filo e per segno qual era la situazione di Flack, aveva preso posto sull’unica sedia nella stanza dell’amico, quasi come un soldato in trincea, nell’attesa di affrontare – e sconfiggere – il nemico.

***

Mac si sentiva sicuro nel lasciare la scena nelle mani di Jo e Lindsay. Si fidava totalmente dei suoi sottoposti, se così non fosse stato non avrebbe mai scelto di lavorare con loro. Aveva ricevuto critiche, in passato, a causa dell’assunzione di taluni elementi – Danny Messer era l'esempio più lampante – ma il tempo aveva dato ragione a lui. E Mac lo aveva sempre saputo. Era vero: faceva affidamento sulle prove, ma sapeva anche seguire l’istinto in rarissime occasioni… ‘come quando ho chiesto a Claire di uscire la prima volta… che prove avevo che lei sarebbe stata perfetta per me?’

Sbatté le palpebre, riportando la sua attenzione sulla strada. Era vitale, per lui e per la sua squadra, che non rimanesse coinvolto in un incidente. Sospirò: a volte era terribilmente stancante mostrarsi sempre forte e senza cedimenti. ‘Se almeno una volta potessi essere come Danny e lasciarmi sconvolgere dagli avvenimenti…’. Da qualche tempo a quella parte, Mac si era ritrovato spesso a pensare che stava invecchiando e che il lavoro che faceva (e la sua vita in generale) stesse diventando troppo pesante. 'E non è che sia arrabbiato con Flack o che non voglia stargli vicino in questo momento... non è che esattamente se la sia andata a cercare per infastidirmi, è solo che...'. Le luci dell’ambulanza davanti a lui e il loro urlo nella notte lo richiamarono all’attenzione, facendolo sentire stranamente colpevole: non avrebbe dovuto preoccuparsi di se stesso, o della sua stanchezza. Ci sarebbe stato tempo dopo, quando nessuno lo guardava, quano la situazione di Flack sarebbe stata più definita. 

Tempo che parcheggiò la macchina e riuscì a superare lo sbarramento del pronto soccorso, Don era già in sala operatoria. Hawkes gli andò incontro lungo il corridoio: “L’hanno stabilizzato. Adesso stanno cercando di fermare l’emoraggia e riparare il danno”. A Mac non sfuggì l’ultilizzo del verbo “cercare” da parte del collega. Ci sarebbe stato da aspettare. E poi da aspettare ancora. ‘O forse no…’, suggerì una voce malevola nella sua testa, una voce che a cui non voleva nemmeno dare un millimetro di spago. 'Perché di sicuro non vuoi cominciare a pensare quale alternativa sarebbe meglio per te in termine di gestione della stanchezza e dello stress'.

***

Mac Taylor osservava intensamente l’amico inerme, addormentato nel suo letto d’ospedale. Era partito deciso e combattivo, ma stava cominciando a sentirsi vacillante, visto che il nemico sembrava troppo crudele ed astuto. Anche Hawkes aveva aggiunto dettagli a quelli già in suo possesso e la situazione non era buona e Mac non era tranquillo. Non poteva esserlo.

Non ti sei mai considerato una persona ‘di testa’, hai sempre puntato tutto sulla forza fisica, ed invece, guarda il destino che scherzi fa… i dottori temono per l’attività cerebrale, a quanto sembra si sta indebolendo. Ed io…”, diglielo, Mac, perché devi sempre tenerti dentro tutto? Perché devi sempre fare quello impassibile? Si tratta di uno dei tuoi migliori amici!

“… tu mi assomigli, sai? Mi assomigli moltissimo, e vorrei che non la prendessi come una cosa negativa. Hai la mia stessa abnegazione per il lavoro, la stessa voglia di far rispettare la legge, lo stesso amore per la giustizia. Ammetto che io porto tutto un po’ all’estremo, ma la pasta di cui siamo fatti è uguale. E credo che ci assomigliamo anche per quello che non possiamo dire…”, quel lato oscuro e terribile che, a volte, ci getta nel pozzo nero della disperazione. La parte crudele ed irrazionale, quella che ci fa commettere azioni indicibili.

Io ti capisco, Don, più di quanto tu possa immaginare. Capisco il tuo dolore, ed il senso di vuoto causato dalla perdita”, ed avrei voluto prenderti da parte, dopo la morte di Jess, e tenerti con me, per spiegarti che tutto il dolore che provavi non aveva soluzione, ma era necessario. Avrei voluto dirti che tutte le lacrime piante erano giuste e che, comunque, non eri da solo. Non ti avrei sommerso – infastidito – con consolazioni vuote, perché non ce n’è, ma avrei rispettato la tua sofferenza, in silenzio, standoti fisicamente vicino, ed avrei aspettato. Ti avrei aspettato sulla riva, alla fine della tempesta. Non ho potuto farlo, perché mi conosci e sai qual è l’immagine che voglio dare di me.

E so che adesso stai un pochino meglio. E quando ho visto i primi veri miglioramenti sono stato felice per te. Non che dubitassi che, prima o poi ce l'avresti fatta...", ma ho avuto qualcosa di molto simile alla paura per un breve periodo. Ero arrabbiato con te da Terrance, e non per il caso del killer della bussola, ma per il rischio che avevi corso. Cosa avrei fatto se fossi arrivato su una scena del crimine e dietro i nastri gialli della polizia ci fosse stato il tuo cadavere?

Mac bloccò per un attimo il corso dei suoi pensieri - cosa non facile -. Deglutì, trasportato dalla profonda intensità del suo riflettere. A voce alta stava dicendo ben poco, ma quello che gli girava nella testa valeva molto di più. Ed aveva il sospetto che Don potesse sentirlo.

"Me lo dici cosa faccio? Non fraintendermi: a livello ufficiale so come mi devo comportare, chi chiamare, cosa dire... ma a livello personale, intimo... dovrei esserci abituato dopo tutti questi anni, dopo che...", dopo che tutti quelli a cui voglio bene sembrano morirmi intorno come delle mosche. Mio padre, mia madre, Claire, i mie ex commilitoni, Aiden, Angell, Bill... non sono altro che prove che si aggiungono al mio caso. Quasi come se fossi maledetto. Proprio io, io che non ho mai creduto a queste cose. E nemmeno tu, vero? O forse vuoi far credere di non crederci, e ci ridi su per darti forza. E diventi giullare per noi, anche per me, per rendere questo lavoro meno pesante. E di solito ci riesci bene.

Sai qual è una grossa differenza tra noi? Sul lavoro entrambi nascondiamo le emozioni, ma nel privato tu non lo fai. Non hai paura di farti vedere allegro, non hai paura di far capire a qualcuno che ha la tua amicizia. E che amicizia, la tua... Nonostante gli anni che ci separano, io ti considero un amico. E so che tu fai lo stesso con me.

Taylor studiò ancora per qualche istante il volto di Flack. In apparenza, era come il 2006, ma nella realtà era peggio: perché gli anni passati avevano arricchito la loro relazione. Perché c'erano stati scontri, ma anche infiniti momenti in cui la vita dell'uno era stata difesa dall'altro. Non è come il 2006, perché io, oggi, ti voglio bene davvero. E non so dirtelo. Perché la morte di Claire mi ha rubato la spontaneità. Ma vorrei che tu lo sapessi.

"Quindi, non puoi smettere di lottare. Perché me lo devi insegnare. Insegnami come far vedere alle persone a me care quanto sono importanti. E, se questo deve essere un ordine perché fuznioni, che lo sia. Perché ti devi svegliare". Poi, con un gesto fluido, Mac estrasse dalla tasca il distintivo di Flack e lo appoggiò sul comodino accanto al letto. I numeri 8571 brillarono, colpiti dalla luce e riscaldarono la stanza. "Abbiamo recuperato il distintivo. Jo si è occupata della sua pulizia come se fosse l'unica cosa importante. È qui, accanto a te, dove so che lo vorresti", dove, comunque, spero che ti protegga e ti mandi la forza necessaria.  

Nessun movimento, nessun battito di ciglia, niente. Ma Mac aveva la certezza che il suo messaggio fosse arrivato completamente a destinazione. Anche senza prove evidenti.

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 05: Lindsay Monroe-Messer ***


05 - Capitolo 05: Lindsay Monroe-Messer

 

 

Avah chiedeva di Lindsay... eccola!

Buona lettura

 

Capitolo 05: Lindsay Monroe-Messer

Lindsay: "Wow. Ok, how weird is that? There's no way one of those could replace a real woman!"

Flack: "Oh, I don't know, Linds. They're not bad looking. Think of all the money a guy could save on dinner"

Lindsay: "A doll?! I mean, I could understand if you dump me for a real woman but a piece of plastic? What does she have that I don't have, huh?"

Flack: "Forgive my wife, she's not well... I'm gonna get you for that, Monroe. Big time"

Episodio 04x04: Sex, lies and silicone

 

 

Da sempre, molte persone avevano cercato di dire a Lindsay Monroe-Messer cosa fare della propria vita, ma, spesso, i loro suggerimenti erano caduti nel vuoto. Diventerai una bravissima maestra elementare qui a Bozeman, è sicuro, non aveva fatto altro che ripeterle sua nonna, mentre gli altri parenti annuivano soddisfatti. Ma Lindsay non aveva mai voluto fare la maestra; e men che meno progettava di rimanere per sempre nel Montana. Nei suoi sogni, prima di fermarsi e formarsi una famiglia, c’erano viaggi, avventure e sorprese. Poi, il destino si è messo di traverso, comunque… Comunque, New York era stata la sua scialuppa di salvataggio sotto più di un punto di vista. Era caotica, vero, sconvolgente, certo, e un po’ folle, sicuro; ma erano caratteristiche che associava anche a suo marito. Quindi non può essere troppo male, vero?

Così il semplice sogno di viaggiare e cambiare aria era diventato la realtà; ed in Montana non era più tornata. E quando le capitava di parlare con i suoi, la nostalgia svaniva subito al pensiero di tutto quello che aveva ottenuto. Abbassò lo sguardo ed incontrò la testolina di Lucy, delicatamente appoggiata nell'incavo del suo braccio. Starai scherzando, Lindsay! Non vorrai davvero portare le tua bimba in ospedale a tenere compagnia ad un tizio in coma? Le parole di sua madre l'avevano ferita su più livelli. Prima di tutto perché mettevano in dubbio la sua capacità di essere mamma e poi per il modo in cui era stato definito Flack. Lui non è un tizio qualunque che ha attraversato la mia strada per caso, è un mio amico. E non lo lascerò da solo.

***

Lindsay studiava con attenzione la scena, non volendo farsi scappare nemmeno il più piccolo dei dettagli. Le prove erano fondamentali in ogni caso, servivano per sbrogliare una matassa ingarbugliata che aveva quantomeno complicato la vita di un qualche sconosciuto. Raccoglierle, conservarle ed analizzare era tendere la mano alla richiesta muta arrivata alle sue orecchie. 'E stasera hanno un'importanza doppia per me, perché conosco benissimo la voce che mi chiede aiuto'. A pochi metri da lei, Jo stava parlando con uno degli agenti accorsi, mentre la Cooper se ne stava in disparte. La CSI non la degnò che di un fugace sguardo: aveva altro a cui pensare. Si accovacciò per guardare la pozza di sangue sull'asfalto. Non c'era alcun dubbio su  chi fosse il suo proprietario, ma lei fece il suo lavoro diligentemente e ne raccolse un campione, etichettando la fiala con cura ed affetto, quasi.

Oltre al sangue, Lindsay raccolse un memo-book aperto su una delle pagine centrali, ed una penna nera. Li tenne stretti tra le mani coperte dai guanti di lattice e sorrise tristemente.

"Stava tornando a casa dopo il lavoro, ma, comunque, il suo blocchetto non l'ha lasciato in Centrale...", commentò Jo, sopraggiunta alle spalle della giovane.

"Lui è sempre un poliziotto... come Mac"

"Già. Metti che vede qualche infrazione e la deve segnare... o che gli viene ispirazione per qualche caso aperto..."

La Monroe non disse nulla, le parole di Jo erano talmente corrispondenti al vero che era superfluo qualsiasi commento.

"Ho telefonato a Mac. Don è in sala operatoria, e non sanno ancora nulla. Sanno solo che le sue tasche erano vuote, niente documenti, niente distintivo, nulla. Il suo turno era terminato circa due ore ore fa"

Lindsay si guardò attorno, usando anche la torcia per illuminare le zone più buie: "Qui non c'è nulla... la pistola?"

"Denunciarnone la scomparsa, credo sia la cosa migliore da fare. Magari chi l'ha aggredito non è molto intelligente e decide che è il caso di giocare a fare il poliziotto"

"Non è molto intelligente no, se ha deciso di colpire Flack...", la giovane continuò a pensare al distintivo dell'amico toccato dalle mani sbagliate. Sentì la rabbia montare.

"E Danny dov'è?", volle sapere Jo. Era strano, ma solo in quel momento si era accorta dell'assenza di Messer.

"È già a colloquio con gli Affari Interni. Come se lui c'entrasse qualcosa. Come se avesse organizzato con Flack chissà che numero di magia misterioso... li detesto", Lindsay dichiarò con astio. Aveva avuto modo di parlare con Danny solo per qualche minuto prima che gli Affari interni si intromettessero. E non poteva fare a meno di rivedere nella sua testa lo sguardo smarrito con cui l'aveva osservata. 

Jo le si avvicinò per strizzarle una spalla. Sapeva che la sua frustrazione veniva principalmente dal non poter capire come se la stesse passando il marito. Sapeva che avrebbe voluto stargli accanto. "Dai, non pensarci adesso. Continuiamo con l'analisi della scena. Glielo dobbiamo".

***

“E gli Affari Interni non hanno mollato la presa. Come se il fatto che tu sei qui e non puoi rispondere alle loro domande fosse un’offesa personale. Come se tu ti stessi comportando da bambino capriccioso che fa i giochetti. E non ti dico Danny… gli hanno chiesto che amicizia è la vostra, perché, sai, in verità voi due avete una relazione ed io sono la squallida copertura. E, durante i vostri incontri erotici, progettate chissà quali crimini ai danni della polizia. Lo so, è il loro lavoro, ma sembra sempre che esagerino quando si tratta di Danny. E di te. È che tu sei troppo onesto e non riescono a trovare qualcosa che ti fa crollare”, anche se potrebbero sapere, ma nessuno di noi vuole testimoniare contro di te. Sei stato avventato, ed impulsivo, ma ti difenderò, perché sei mio amico e ti capisco.
“Ho portato Lucy. Ed è un’altra delle cose che mi hanno detto non avrei dovuto fare”, Lindsay accarezzò la guancia della bimba, “Adesso sta dormendo. È tranquilla, capisci, e quindi che male può farle? Non è lì fuori, in una sala emergenza a guardare i medici che si agitano intorno ad un paziente. È qui, al sicuro tra le mia braccia, immersa nella calma di questa stanza silenziosa. Quando era sveglia un attimo fa, parlava solo a bassa voce perché non voleva disturbarti. Perché è quello che le dico di fare – tenere un tono di voce basso – quando Danny dorme devastato sul divano dopo un lungo turno. ‘Piano, Lucy, che papà ha bisogno di dormire, così poi quando si sveglia è bello attivo e ti può dedicare tutto il tempo che vuoi’. Ed allora lei fa tutto con calma, come una piccola damina ben educata, ed aspetta, perché so che vuole suo padre al massimo delle sue capacità. Perché Lucy è un piccolo tornado di energia e pazzia. E credo che lo stia facendo anche con te; ti vuole bene, sai? Ed anche io te ne voglio. E Danny… e voi uomini non vi dite mai le cose, ma io, non solo sono una donna, sono anche una mamma e quindi sono più che autorizzata a dirti cosa provo. Mi fa solo arrabbiare che mi riduco a dirtelo solo in questo momento drammatico. Ti volevo bene anche prima, vorrei che fosse chiaro. E te ne vorrò sempre, non dubitare. Ma non lasciarmi qui. Ma non lasciare qui Danny da solo. La tua morte lo distruggerebbe. Sei il suo migliore amico, ed io so cosa vuol dire perdere i tuoi migliori amici in un attimo. Sono passati anni da… beh, lo sai… ed ancora oggi continuo a pensare a loro, ancora oggi ho cose che vorrei dire loro."
***
Lindsay sospirò stancamente guardando il calendario.
“Tutto bene?”, suo marito le si avvicinò.
“Oggi sarebbe stato il compleanno di Mandy… lei era una patita dei compleanni. Cominciava almeno un mese prima ad organizzare la festa, scrivere gli inviti e tutto il resto. E, ovviamente, noi eravamo tutte arruolate. Ed oggi non posso non pensare a cosa avrebbe fatto per i compleanni dei suoi figli e…”, un singhiozzo le ruppe la voce.
Danny l’abbracciò stretta, mormorando tenere rassicurazioni tra i suoi capelli.
***
"In più, sai benissimo anche tu cosa si prova a perdere qualcuno di importante; quindi, non puoi fare la stessa cosa, non qui e non adesso. Non sarebbe giusto. Non dopo tutto quello che è successo. E poi...", Lindsay si piegò in avanti, riuscendo a non svegliare Lucy ed a spostare una ciocca di capelli dalla fronte di Flack, mentre nella sua testa correvano nitide le immagini di uno scherzo divertente di molti anni prima, "... non vorrai andartene senza esserti vendicato per la scenetta con... com'è che si chiamava la tua amante di silicone? Già, Melody", la donna sorrise in maniera malinconica. Se fosse servito continuare a ricordare a Flack episodi imbarazzanti per farlo svegliare lei non si sarebbe di certo tirata indietro. Fermami se puoi, mio caro detective...   

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 06: Stella Bonasera ***


06 - Capitolo 06: Stella Bonasera

 

NdA: Questo capitolo è una piccola sorpresina pasquale per i miei lettori. Io non mi sono dimenticata della cara Stella; e non posso ignorare che sia esistita.

Buona lettura e buona Pasqua!

 

Capitolo 06: Stella Bonasera

Stella: "Thank you. Thanks for staying with me, Don"

Flack: "It's my job. Not to mention I'm your friend"

Stella: "And you are a really good friend"

Episodio 02X21: All Access

 

Stella Bonasera non aveva ancora prenotato un albergo. La cosa la faceva sentire un po' a disagio - un po' come quando stavi all'orfanotrofio, vero? Tutta sola, senza un posto in cui rifugiarti da tutto e da tutti... - ma, al momento, aveva la testa occupata da altro. Era sicura che, non appena gli altri lo avessero scoperto, si sarebbero affrettati ad offrirle ospitalità ovunque; però lei avrebbe rifiutato. Perché sono una testa dura indipendente che non vuole sembrare una piccola bimbetta in cerca di carità. Anche se i miei amici di sicuro non mi vedono così... e di tutti i suoi amici, in quel preciso istante, ne aveva a cuore particolarmente uno, uno che aveva pensato fosse una buona idea farsi aggreddire mentre tornava a casa dopo il lavoro. In una delle città considerate più sicure d'America. Anche grazie a te, Flack. Stupida ironia...

***

Fin dai primissimi giorni a New Orleans, nel suo ufficio Stella aveva fatto installare uno schermo al plasma sintonizzato sulle ultime notizie di New York. Era un'abitudine che aveva preso da Mac, e la aiutava a sentire meno la nostalgia di quella che era stata casa sua per molti anni. Nonostante a New Orleans succedessero moltissime cose, e spesso toccava a lei mettere a posto la situazione, era certa che non sarebbe mai riuscita a tagliare definitivamente col passato. E guardare le immagini di New York la faceva sentire meno in colpa quando si accorgeva di non aver avuto il tempo di fare una telefonata amichevole. 

Quella sera, sembrava quasi che la voce della giornalista si facesse pressante e presente poco a poco, quasi come se tentasse di non spaventarla troppo: "... ed il poliziotto è stato portato d'urgenza all'ospedale", Stella sollevò di scatto la testa dai rapporti che stava compilando, "Le sue condizioni rimangono critiche, e la prognosi è riservata", Stella aggrottò le sopracciglia, alzando il volume della televisione, "Donald Flack Junior, questo il suo nome, lavora per la polizia da quasi quindici anni, non è sposato e non ha figli", 'e questo dovrebbe rendere la situazione più accettabile?' urlò il cervello della donna. Si alzò rapidamente ed agguantò il cellulare. C'era solo una persona da chiamare; non controllò nemmeno l'orario: sapeva che le avrebbe risposto.

Mentre ascoltava Mac raccontare a grandi linee quanto successo Stella non poté fare a meno di dipingere nella sua testa il viso di Flack mentre sorrideva. Non era passato molto tempo dalla loro ultima telefonata che, ovviamente, era stata interrotta da un'emergenza improvvisa. 'Ci sentiamo presto', si erano promessi alla fine. Certi di avere ancora tempo infinito.

Salutò Mac, un po' sotto shock, e chiuse la comunicazione, mentre un piano si andava già delineando nella sua mente. Non era abituata a prendersi giorni di ferie, ma quella era decisamente una situazione che non poteva ignorare. Avrebbe dovuto lasciare tutto a Jason, che era ancora un po' incerto come suo vice. 'Ma si dovrà arrangiare. Io devo volare a New York subito'

***

"E così eccomi qui... certo, potevi inventarti anche qualcosa di meno tragico per convincermi a venire, no? Ma tu, tutto sommato, ami fare questi stunt un po' drammatici, non sei di certo uno di quelli che se ne sta in un angolo in silenzio; quando hai qualcosa da dire lo dici e basta", gli toccò i capelli con tenerezza, "Mi piace molto questo taglio, ti dona, sembri davvero un bravo poliziotto onesto e sincero. Come quelli che non si vedono più in giro. Mi dispiace essermene andata via così, Don. Credo che tu non l'abbia proprio presa bene, ma, ovviamente, non ne avrai parlato con nessuno. Tu e Mac siete sempre così solitari. Vi tenete sempre tutto dentro... poco fa ho parlato con Jo. Credo che vi faccia bene una come lei, simile a me sotto certi aspetti. Sicuramente eviterà alle vostre belle testoline di esplodere...", fece una smorfia, ripensando con imbarazzo a quanto appena detto, "... brutta battuta, lo ammetto. Ma se almeno tu ti svegliassi per rimproverarmi scherzosamente come sai fare solo tu..."

Stella guardò fuori dalla finestra per cercare, dipinta nel cielo terso di ottobre, la frase che sarebbe servita per rimettere tutto a posto. Nessuna risposta, nessun suggerimento. Nulla. Guardò ancora Flack, mezzo incantata dalla perfezione di quel viso. Sorrise.

"Sai, quando abbiamo cominciato a lavorare insieme, secoli fa ormai, ho giocherellato con l'idea di avere una mezza relazione con te. D'altronde, era il playboy della omicidi - e sapevi di esserlo - ma poi... non lo so... un giorno ho scoperto che eravamo diventati amici, buoni amici, e che il momento era passato. Chissà se lo hai pensato anche tu; chissà come sarebbe stato. Probabilmente non sarebbe durata, o forse non sarebbe nemmeno cominciata davvero. Sembravi così giovane ed innocente, ma nei tuoi occhi, di tanto in tanto, traspariva un'espressione furba... sei un bel tipo.

Senti, ci sto più o meno girando intorno e non riesco a dirti quello che vorrei dirti. Ho sempre fatto la persona che puntava sull'onestà, sull'importanza del dirsi le cose e... adesso mi sento abbastanza ipocrita. Il punto è, mi dispiace per Jess. Per la sua morte assurda e per non esserti stata vicina come avrei dovuto. Sapevo che non stavi bene, ma non ho fatto nulla. Nulla. Ti ho mai chiesto una volta come ti sentivi? E sì che tu hai aspettato che mi dimettessero dall'ospedale quando Frankie mi ha aggredita, e mi sei stato vicino. Forse pensavo di aver già pagato il mio debito durante la veglia del tuo precedente ricovero, ma la verità è che non ci sono debiti da pagare quando si tratta di affetto. Mi sentivo in colpa. Perché una delle ultime cose che Angell aveva fatto era stata quella missione rischiosa con me, la faccenda greca, ricordi?" 

***

"Stella, ma tu sei sicura?"

"Angell, tranquilla, ho pensato a tutto... che c'è?"

"Nulla, è solo che... non è che abbia paura che possa succederci qualcosa, è che... non l'ho detto a nessuno e..."

***

"Ora so che si riferiva a te, che le pesava averti taciuto una cosa tanto grossa. Non so come si sia risolta tra voi due, poi, vorrei illudermi che non avete discusso, che la cosa non ha lasciato segni nella vostra relazione. Nulla, però, toglie importanza al fatto che vi ho rubato del tempo. Tempo che avreste potuto passare insieme. Non potevo sapere cosa sarebbe successo, chiaro, ma quelle ore trascorse con Jess a cercare di incastrare Kolovos... e se le avesse passate con te? Magari non sarebbe stata nemmeno assegnata alla scorta di Dunbrook... mi dispiace...", sentiva di avere gli occhi lucidi, era come immaginare una palla che scivolava sempre più veloce ed inarrestabile lungo un piano inclinato, una lunghissima trafila di se terribili che, alla fine, l'avevano condotta lì, al capezzale di una delle persone che contava ancora molto nella sua vita.

"È per questo che ti sono stata lontana nel momento del bisogno. Perché non volevo leggessi la colpa nei miei occhi, perché sono sempre stata abituata a sopravvivere con tutte le forze, perché, quando stavo all'orfanotrofio, le suore ti mettevano nello stanzino buio per punirti, ed io non volevo finire nello stesso stanzino messa da te. Perché ti voglio bene, Don, e non posso immaginarti arrabbiato con me. Oltre che ipocrita, lo vedi, sono persino codarda. Ma è la vita che me lo ha insegnato. Quando tutti intorno a te ti abbandonano, a volte, vuoi essere la prima ad andartene.

Dopo la morte di Angell è stata difficile per tutti. Eravamo lì a galleggiare nel nostro sconcerto; e Danny aveva anche da pensare alla sua ferita ed al rischio di paralisi. Ho avuto un po' di paura, perché sembrava che il nostro gruppo, così forte ed unito in passato, si stesse disgregando. Sembrava che ognuno di noi non avesse più tempo per gli altri. A me non piaceva questa situazione, ed ho fatto un grande errore che ha spezzato il cuore di qualcuno... ma non voglio parlarne adesso. È vero, un po' alla volta le cose sono tornate dentro i soliti binari ed eravamo ancora tutti lì a sostenerci. Ma non so perché, però io e Mac eravamo ancora distanti. Credo che la mia avventura in Grecia abbia scavato un solco troppo profondo tra di noi. Ci parlavamo ancora, eravamo ancora lì l'uno per l'altra, ma non era la stessa cosa. Mac è sempre stato uno dei miei punti di riferimento, e pensarlo così distante da me mi ha fatto male. 

Quando mi è arrivata la proposta da New Orleans sapevo cosa avrei dovuto rispondere. Era come se parte di me se ne fosse già andata. Mi dispiace: so che non era intenzione di nessuno allontanarci, so quanto era profonda la nostra amicizia. Ho sofferto; quelle settimane di cortina di ferro hanno fatto parecchi danni. Ma vi ho virtualmente abbracciati tutti quando sono partita, ed ho pianto augurandovi ogni bene, sapendo che mi sareste mancati. E così è stato; e la tua risata travolgente è stata una delle cose che più mi è mancata. Mi dicono che hai ripreso a ridere così; e non so cosa darei perché tu ti svegliassi adesso e cominciassi a ridere per me. 

Facciamo un patto: se ti svegli ti racconto cos'era quella butta cosa che ha spezzato un cuore. Tanto so che tu sai mantenere i segreti", Stella si zittì e studiò Flack. Si illuse che lui stesse considerando la sua proposta.

 

--

NdA: Giusto per chiarire, non credo assolutamente che Stella sia codarda o ipocrita. Lei è forte.    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 07: Adam Ross ***


07 - Capitolo 07: Adam Ross

 

Capitolo 07: Adam Ross

 

Flack: "Whose belong to? [...] You sure about this?"

Adam: "I've checked three times"

Flack: "Do Mac and Stella know about this?"

Adam: "No, I came to you first"

Flack: "I've got this"

Episodio 05x01: Veritas

Adam Ross non si era mai definito un cuor di leone. E mai l'avrebbe fatto. Non aveva alcun problema ad ammettere che certe situazioni gli mettevano ansia, che preferiva starsene al sicuro per evitare di creare problemi. Devo ringraziare mio padre per questo, ma tant'è. Eppure era orgoglioso di se stesso, di quello che era riuscito a diventare. Oh, l'avrebbe ammesso probabilmente solo sotto tortura, ma si sentiva persino fiero di aver raggiunto l'obiettivo di lavorare per la migliore squadra della scientifica di Manhattan. Manhattan? Dì pure New York intera. C'erano giorni in cui ancora si domandava perché mai Mac Taylor lo avesse assunto - lui, che a volte si sentiva così esitante e tremante - ma le cose stavano migliorando. In maniera lentissima, certamente, ma gli piaceva sempre di più la nicchia che si era ritagliato all'interno del laboratorio. Si sentiva a casa . 

E, perfettamente in linea con la sua intimità, Adam non poteva negare di avere paura. Se qualcuno fosse entrato nella stanza e gli avesse chiesto come si sentiva, lui avrebbe prontamente risposto: "Spaventato". Senza alcuna esitazione. Perché non era lui quello specializzato a fare la persona forte, quello che cercava di far mantenere la calma, quello che allontanava le crisi di panico di chi soffriva. No, no, so. Quella persona non sono proprio io. Quella persona sei tu... Ed era quell'inversione di situazione a terrorizzarlo.

***

Quasi contro ogni aspettativa, un puntino verde cominciò a lampeggiare sullo schermo del PC di Adam.

"Mac!", chiamò il giovane senza distogliere lo sguardo. Il capo lo raggiunse in un nano secondo, quasi si fosse appostato dietro la porta, giusto in attesa di una chiamata del suo tecnico.

"Il cellulare di Flack! Qualcuno lo ha acceso!", Adam esclamò incredulo: chi poteva essere tanto stupido da derubare un poliziotto e poi usarne il cellulare?

Mac aveva già preso nota dell'indirizzo e si tava dirigendo verso l'uscita, al telefono con il resto della squadra. Ad Adam non dispiacque essere stato praticamente ignorato: sapeva che non c'era tempo da perdere. Alla fine, concluso tutto, Mac gli avrebbe detto qualcosa. Ne era certo.

Continuò a controllare il segnale del telefono, immaginando i possibili scenari del recupero del cellulare e gli eventuali arresti. Lui non era un poliziotto, ma sapeva quanto a cuore gli agenti prendessero la cattura di chi aveva ferito un collega. Il tempo, mentre lui era perso nelle sue elucubrazioni fantasiose, passò velocemente e presto lo raggiunsero le voci di Mac, Jo e Danny. Entrarono in laboratorio. Adam li guardò senza dire nulla.

"Quel decerebrato stava usando il cellulare di Flack per piazzare la sua pistola... hai presente?"

"Il vincitore dei Darwin Awards!", sorrise Ross. Tutto sommato, la situazione era piuttosto ridicola.

Danny continuò: "Sì, ma il premio gli sarà assegnato postumo... ha provato a colpirci con la Glock di Don", il giovane scosse la testa. Adam poteva quasi leggere nella mente di Messer: 'almeno nessuno di noi è stato colpito, Flack ne sarebbe stato distrutto.'

Jo appoggiò una busta sul tavolo: "Abbiamo recuperato anche il distintivo... una bella pulita e poi può tornare al suo legittimo proprietario"

Mac guardò tutti i suoi uomini con intensità, soffermandosi per qualche istante su ciascuno di loro: "Ottimo lavoro, squadra. Il caso è chiuso"

Adam Ross, imbarazzato come sempre quando il suo capo lo elogiava, abbassò la testa ed arrossì.

***

"Sarebbe stato bello chiudere la giornata brindando da Sullivan's come facciamo sempre, ma nessuno si è sentito veramente felice di aver tolto un delinquente dalla strada. Perché che vittoria è se tu sei ancora qui?", Adam si mosse nervosamente sulla sedia, sorpreso di riuscire a parlare tranquillamente con Flack. Quasi s enza quel fondo di inadeguatezza che mi prende ogni volta che devo relazionarmi con qualcuno che non sento al mio livello.

"Lo sai cosa mi sorprende dei delinquenti? Non il crimine in sé - so quanto la natura umana possa essere terribile - ", eccome se lo so, "... ma la loro faccia da schiaffi nel mentirti. Come possono voler mentire a te? Ma non lo sanno che lo capisci? Io non ti mentirei mai... io non l'ho mai fatto...", e mi fa paura la sola idea di poterlo fare. Perché io e te non siamo molto amici, e probabilmente è colpa mia, perché mi intimorisci e ti tengo a distanza, come se, in qualche modo a me troppo familiare, tu potessi farmi del male. Ma so che non è così, in verità. Sono solo insicuro, e forse tu lo sai. Danny si diverte alle mie spalle per questa cosa, fa la tua imitazione solo per farmi spaventare...

Adam stoppò il flusso dei suoi pensieri, del tutto certo che non poteva sperare di aiutare Don senza far sentire la sua presenza in modo vocale. Ma lo posso comunque aiutare? Se sente che sono qui, cosa potrà mai pensare? Io sono solo Adam Ross.  

"Detect... Flack... insomma... Don", fece una smorfia, il nome quasi alieno alle sue orecchie, "Vorrei dire che è stato terribile sapere cosa ti era successo, ma... oh no... non volevo dire che... ecco, certo che è stato terribile! È solo che... che io non ero lì nel momento esatto in cui in centrale è arrivata la chiamata; io arrivo sempre dopo, in ritardo"

***

Adam, ancora mezzo stordito dai postumi della sbornia del lunedì precedente, non fece molto caso al silenzio teso che sembrava aleggiare su tutto il campus. Affrettò il passo per raggiungere l'edificio in cui si sarebbe tenuta la lezione per cui era già in ritardo quando incontrò due suoi compagni. Gli corsero incontro, gesticolando come impazziti:

"Adam!"

A Ross sembrò che la loro reazione fosse un po' sopra le righe: va bene, il professor Brooks odiava i ritardatari, ma insomma...

"Sì, lo so, ma ieri sera ho davvero esagerato. Ragazzi, veramente, basta festini in settimana...", si passò una mano tra i capelli, sapendo già che al prossimo party non si sarebbe tirato indietro.

I suoi compagni spalancarono gli occhi, scuotendo la testa: "Ma cosa... non lo sai?"

"Non so cosa?", Adam deglutì.

Venne trascinato nella vicina caffetteria e piazzato davanti allo schermo della televisione "È New York. In questo momento"

Adam si sentì morire: era peggio di tutti gli scenari apocalittici dei suoi videogiochi.

***

"Non sono mai lì nel momento esatto in cui succede qualcosa, sono sempre a dormire o perso in chissà quale altro impegno. Ed anche questa volta, quando sono arrivato in laboratorio, ignaro, ed ho percepito l'aria tesa non mi sono fatto troppe domande. Non me ne faccio mai, al contrario di te, o di Mac. Me ne stavo lì, beato come uno stupido, a pensare alla ragazza carina conosciuta la sera prima e poi è arrivata Lindsay. Aveva uno sguardo terribile... cupo... mi ha guardato, ha visto la mia faccia un po' ebete ed allora ha sganciato la bomba... ops, scusa... Mi sono sentito stupido, perché non solo non ci sono mai nei momenti clou, ma non ho nemmeno l'istinto che mi mette in allerta. A volte ho paura che anche gli altri mi considerino un po' fatuo, sai, il tecnico di laboratorio un po' superficiale che non sa mettere in fila due frasi senza balbettare. E può essere anche vera la questione del balbettio, ma non sono stupido. È solo l'autorità a spaventarmi. Trovarmi di fronte a chi emana un forte senso di autorità mi annichilisce. Per via di mio padre, sai... non vi ho mai detto nulla di lui, ma so che sospettate qualcosa. E chissà se tu vorresti farmi delle domande tu che hai dovuto gestire la totale assenza di controllo di tua sorella. Ma non sono conversazioni da bar, queste. Sono segreti da tenere nascosti, sono cicatrici, ed ognuno si porta le proprie. Fino alla fine"

Ross si zittì un momento, riflettendo su quanto appena detto. Non aveva parlato ad alta voce, piuttosto il suo tono era stato simile ad un bisbiglio. Una parte di lui - una grossa parte di lui - si sentiva a disagio per le parole che, quasi senza controllo, stavano uscendo dalla sua bocca. Trovarsi in quella stanza d'ospedale, col solo ascolto dell'orecchio addormentato di Flack, lo spingeva ad essere meno controllato. Forse perché, caro il mio detective, mi sembri meno autoritario in questo modo. Ma vorrei che tu tornassi ad essere quello di prima, quello che con una battuta ti mette a tacere, quello che non ha alcuna paura di inseguire un delinquente armato lungo un vicolo buio.

"Sai una cosa?", mormorò il giovane, quasi preso da un'improvvisa ispirazione, "Tu mi ricordi uno dei super eroi dei videgames. Qualcuno uscito da Call Of Duty. L'eroe senza macchia e paura che va a salvare il mondo. Hai persino l'aspetto fisico di uno di loro. Sai qual è la cosa bella dei videogiochi? Che c'è sempre un'altra possibilità. Che puoi impersonificare l'eroe, anche se sei un Adam Ross qualunque, che fa fatica a non sentirsi intimorito davanti allo sguardo inquisitore del proprio capo. Tutti possono essere eroi nei videogiochi. E la cosa ancora migliore è la seconda possibilità. Non importa quante volte muori, quante feriti mortali ti infligge il nemico. Puoi sempre cominciare una nova partita e sperare in miglior fortuna.

Ma qui, adesso... questo non è un videogioco, non c'è nessunissimo tasto "salva", e nemmeno uno per ricominciare la partita ed augurarsi un finale diverso. I deboli in attesa dell'eroe attenderanno ancora e chissà se l'eroe mai arriverà...", Adam abbassò la testa, sentendosi profondamente depresso: se gli eroi del mondo finivano intubati ed in coma in un triste ospedale qualunque chi poteva salvare il mondo?

Nessuna risposta. E nessuna possibilità di ricominciare la partita.   

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 08: Sid Hammerback ***


08 - Capitolo 08: Sid Hammerback

 

 

Capitolo 08: Sid Hammerback

Flack: "Okay, who's up for the Rangers game?"

Sid: "Did you bring any beer?"

Flack: "I wish I did"

Hawkes: "How about we pour you some water, instead?"

Sid: "All right. Chips and water. That's like pizza and milk. You're kidding about the beer, right?"

Episodio 05x02: Page Turner

 

"... e così, abbiamo scoperto che il paziente non era morto, ma solo in un coma molto profondo causato dal morso si un rarissimo serpente velenoso, introdotto chissà come in America. Il poveretto sul tavolo autoptico ha avuto un'avventura che mai scorderà nella vita"*, Sid Hammerback scosse la testa, ridacchiando, ricordando ogni dettaglio del caso assurdo di cui era stato testimone quand'era ancora uno studente. La sua voce era l'unico suono umano presente nella stanza; dal letto di fronte a lui, nessuna risata o commento scandalizzato. Eppure le mie storielle ti sono sempre piaciute e le hai sempre ascoltate volentieri; fai il difficile proprio adesso, eh, Don?

***

Il corpo steso sul lettino della sala autopsia era stato ricucito con cura. Anche di fronte ad un delinquente che aveva spedito in ospedale uno dei suoi amici, Sid non riusciva a non essere meno che professionale. Sospirò stancamente, segnando le ultime annotazioni sulla cartella: era stato facile scoprire la causa del decesso - colpo di arma da fuoco - ed ancora di più terminare l'autopsia. Quello non era sicuramente uno dei casi in cui Sid avrebbe voluto sprecare più tempo possibile. Anche perché Mac gli aveva comunicato che l'uomo, poco prima della sparatoria che l'aveva ucciso, aveva confessato di esere stato proprio lui ad aggredire e rapinare Flack. 'Caso chiuso, vecchio mio. Ora te ne puoi andare a casa a riposare'.

Appoggiò la cartella completata sul lettino accanto al cadavere, dandogli un'ultima occhiata: sembrava un pinco pallino qualunque. Altezza media, carnagione bianca, capelli castani. Un uomo medio come se ne incontrano mille per la strada. Sid pensò a quanto erano stati fortunati - nella sfortuna - che il ladro avesse provato ad utilizzare il cellulare del detective. Quell'uomo era talmente banale che non sarebbe stato possibile catturarlo con un semplice identikit. 'A meno che a tracciarlo non fosse stato proprio Don'. Sid si immaginò la scena nella sua testa, una scena ricca di dettagli: Flack che descriveva l'uomo, fin nel più piccolo dettaglio riguardante i pori della pelle, l'identikit che veniva diffuso ovunque con il conseguente arresto. E poi, l'identificazione fisica: oh, Flack non l'avrebbe fatto da dietro un finto specchio, l'avrebbe affrontato a viso aperto nella sala d'interrogatorio.

Solamente che, Sid constatò tristemente, non era andata così e non sarebbe andata così. Perché l'uomo era morto e Flack, ed era il particolare peggiore di tutta la vicenda, era in coma in ospedale. E nessuno sapeva se mai si sarebbe risvegliato.

'Quella sì che sarebbe un'autopsia interessante. Capire quale parte del cervello si è danneggiata in maniera così irreparabile da rendere impossibile il recupero. Il cervello umano: un organo così misterioso e fondamentale. Quasi un rompicapo voler capire a fondo il cervello umano usando cervelli umani. Ma se...', Sid tremò, una lunga scossa dolorosa e violenta che attraversò tutto il suo corpo. Sospirò di nuovo, stiracchiandosi. Non doveva lasciare che certi pensieri prendessero forma. Pensare certe cose poteva essere pericoloso. 'E, comunque', si disse per convincersi usando la sua parte affettiva, 'io, mai e poi mai, vorrei su uno dei miei tavoli il corpo del detective dagli occhi blu. Mai'

***

"Avrei tante altre storielle divertenti da raccontarti, non solo di autopsie, ma non mi va. Non mi va perché non è giusta la circostanza. Mi è capitato, durante gli anni, di lamentarmi - scherzosamente - con Mac perché mi sento lasciato solo nel silenzio del mio Obitorio. Credo di averne parlato anche a te. Io lo so che non è bello il posto in cui lavoro, ma mi farebbe piacere una vostra visita, di tanto in tanto. I morti non ti fanno niente. Sono morti. È dei vivi di cui bisogna avere paura, e tu lo sai fin troppo bene.

Parentesi: non so se te l'hanno detto, ma il colpevole sta momentaneamente soggiornando in una delle mie stanze del piano interrato. Non che migliori le cose dal punto di vista delle persone che fanno avanti ed indietro in questa stanza, ma ho la certezza che le migliora dal tuo punto di vista. Perché un'altra persona pericolosa non è più sulla strada e la Città è un pochino più sicura, vero?

Credo che Mac abbia usato parte del suo potere per permetterci di esserti accanto. Perché è la Terapia Intensiva e solo i parenti possono entrare. Perché c'è chi è ancora convinto che solo il legame di sangue crea vero affetto e partecipazione. Grosso errore, in questo caso. E così Mac ha insistito, perché non voleva che tu rimanessi qui solo. Ed è giusto che tutti noi siamo passati a tenerti compagnia e credo che, finché ci sarà il più flebile dei battiti registrato dai macchinari, noi continueremo a fare avanti ed indietro, sospinti dalla speranza che tu ti sveglierai, proclamandoti affamato e chiedendo un panino imbottito.

Prima pensavo all'ultima volta in cui siamo stati in ospedale insieme e..."

***

Sid chiuse l'ultimo punto con grande precisione ed affetto. Guardò il volto, sempre bello anche nella morte, della detective Jessica Angell e sentì che una parte di lui se ne stava andando per sempre. Era stata un'autopsia terribile e ne avrebbe portato i segni per moltissimo tempo. Le spostò i capelli dagli occhi, in un gesto paterno, e poi si allontanò. Raccolse il suo cellulare, appoggiato sul bancone poco distante.

"Don... sono io"

Silenzio dall'altra parte. Il silenzio pesante di chi si stava aspettando quella telefonata.

"L'autopsia è finita. Tranquillo, è andato tutto bene"

Sid poteva immaginare l'espressione affranta dell'uomo all'altro lato della comunicazione. Gli occhi bassi, le labbra tremanti, il volto pallido. Quasi con un aspetto più cadaverico della giovane adagiata sul suo tavolo.

Chiuse la comunicazione. È andato tutto bene, gli aveva detto. Come se le parole autopsia e bene potessero mai convivere nella stessa frase.

***

"La morte di Jessica l'ho vissuta come una grossa ingiustizia; non solo perché era una persona splendida, ma perché mi ricordava una donna amata e perduta. Non so se hai mai letto I tre moschttieri, ma durante la morte della giovane Costanza, l'amata di D'Artagnan, Athos pronuncia questa frase, riferendosi alla giovane: "Ella fu un angelo sulla terra prima di essere un angelo in cielo". E così era Jessica, e non solo per la questione del nome. Perché era così davvero. La cosa che mi ha fatto più male è stato vedere te dover affrontare la solitudine che ti divorava. Non era solo un flirt il vostro, credo che sia partito già come una relazione seria. Avete avuto poco tempo, ma l'avete usato al meglio. E questo vecchio è stato felice di esserne il testimone nascosto. Ogni volta che qualcuno di voi ragazzi si innamora io ne sono contento: è un mondo così arido e triste, il nostro. E vedere l'amore che sboccia è come ridargli colore.

I vivi... i vivi vivono ed amano e soffrono e si odiano. I vivi sono difficili. È per quello che ho scelto di fare il patologo, perché i cadaveri non mentono. Non possono. Non parlano, non usano l'astuzia della parola, non hanno maschere. Sono corpi. Corpi immobili. I loro cuori, ormai fermi, non possono mentirmi. Le loro intenzioni, ormai dissolte, non possono essere torbide. Chiarire perché qualcuno è stato ucciso ed aiutare voi a scoprire l'assassino mi permette di dare dignità al defunto. Mi permette di onorare quel corpo che qualcuno, prima di me, ha violato con cattiveria. Ma buoni o cattivi, colpevoli od innocenti che siano stati non importa: davanti alla morte si è tutti uguali. È il vivo a soffrire. Sono stato io ad aver paura del corpo bianco ed innocente di Jessica, quel corpo che era solo tuo e che solo tuo avrebbe dovuto restare. Le ho ridato giustizia? Forse. È sicuro, e credimi, che l'ho rispettata, che l'ho trattata con cura. Non le ho fatto del male.  

Don, io non voglio. Quando scherzavano su una tua presunta autopsia era semplice. Ma era uno scherzo. Non farmelo fare. Non farmi portare qui il sacco nero, chiudere la cerniera ed usare il mio bisturi preciso ed affilato su di te. Non farmi stilare rapporti, disquisire di cause della morte con Mac. L'unica cosa che voglio associare a te è la tua voglia di vivere, non la causa del tuo decesso. Non mi sono mai tirato indietro, mai, e tu lo sai, ma stavolta rifiuterò. Perché non posso vederti sul mio tavolo, perché ho già pagato con Jess, la metà del tuo cuore e lo schiantarsi dei vostri sogni felici. Se mi puoi sentire, se vuoi stare a sentire questo tuo collega un po' squinternato ma a cui stai a cuore, lotta, resisti e svegliati.

Non c'è ancora nulla per te dove sei adesso. È troppo presto. Troppo.", e Sid rimase a sperare che Flack non avesse già preso la decisione sbagliata.

 

--

* Liberamente ispirato da Autopsia 4, un racconto di mister King, contenuto nella raccolta Tutto è fatidico (2002)

 

NdA: Chi si è spaventato quando ha visto a chi era dedicato il capitolo? La crudeltà...

Grazie per aver letto.    

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 09: Jessica Angell ***


09 - Capitolo 09: Jessica Angell

 

Capitolo 09: Jessica Angell

Angell: "Tonight... you, me... a bottle of wine... I'll wear that black neglige I know you like..."

Flack: "Jess! Jess! Jess! Hey, babe. Hey, hey, will you look at me? Hey, I'm here. Whre's the ambulance? You're going to be alright, ok?"

Flack: "... She's gone"

Episodio 05x25: Pay Up 

 

La luce era quasi abbagliante. Tutto intorno, fin dove il suo sguardo si perdeva, fiori. Campi vasti ed immensi di corolle al massimo del loro splendore, rigogliose sotto il cielo dei più tersi, dipinto di un azzurro tale da non sembrare nemmeno reale. Nell'aria, oltre al profumo inebriante dei fiori, l'olfatto era ammaliato dall'odore un po' salmastro e pungente del mare. Don Flack si guardò intorno, timoroso quasi di quel giardino da sogno in cui era capitato chissà come. Il suo respiro, comunque già un po' irregolare, si paralizzò quasi del tutto non appena i suoi occhi si posarono sulla figura femminile a pochi metri di lui. Una silhouette indimenticabile, impressa nella sua memoria. 

Jessica Angell, la sua Jess, sedeva su un'altalena di legno, appesa chissà dove, le cui corde erano intrecciate di boccioli colorati e perfetti. Lo vide e gli sorrise. L'intensità della luce sembrò aumentare.

Le si avvicinò, titubante, sentendo i suoi polpacci accarezzati dolcemente dagli steli dei fiori. Di fronte a lei, bevve la sua immagine perfetta e bellissima: i capelli scuri sotto le spalle, gli occhi - enormi - contornati da lunghissime ciglia e quel suo incredibile sorriso. Non sapeva cosa dire né pensare.

"Chi l'avrebbe mai detto?", ruppe il silenzio lei, usando la voce che lui aveva avuto tanta paura di dimenticare. Ma non appena la sentì parlare, capì che non sarebbe mai successo.

Flack scosse la testa, incerto ed un po' intontito. 

"Un detective grande e grosso come te...", lei scosse appena la testa senza smettere di sorridergli, "... che si immagina questo", staccò la mano destra dalla corda dell'altalena indicando le immensità fiorite attorno a lei.

Lui corrucciò la fronte: non riusciva a capire. "Questo è...?", la sua voce uscì un po' flebile e tremante, come quella di un uomo che è stato troppo a lungo in silenzio. E, comunque, era già un progresso essere riuscito a pronunciare quelle due parole. 

"... il Paradiso? Non esattamento. È come tu te lo immagini, sai, per renderti più a tuo agio, in questo momento difficile. Ed è una bella versione del Paradiso, se posso essere onesta. I fiori, il profumo del mare, i miei capelli che fluttuano nel vento. Però questo...", indicò il lungo vestito bianco che l'avvolgeva, "Non fraintendermi, è bellissimo, molto elegante, ma da te..."

"... ti aspettavi il negligé nero, vero?", lui terminò la frase al suo posto, un sorriso giocoso sulle labbra. A parte la stranezza della situazione in cui si trovavano era esattamente come anni fa, quando Jess era ancora viva. E lei non era un'estranea con le fattezze di Jessica era proprio lei. Lei. E la cosa gli ridava forza. 

"Sono morto?", ma Flack non poteva fingere che fosse tutto come sempre. Dopotutto molte cose drammatiche erano successe. 

"Oh, cominciano con le domande adesso, detective...", lei inclinò il capo. Lui rimase incantato dal movimento ipnotizzante dei suoi capelli e sentì l'impulso di passarci le dita dentro. Era un impulso reale, fisico. Qualcosa di impossibile vista la situazione. Jess non smise di sorridere, anche se i suoi occhi assunsero un'espressione più profonda, consapevole: "No, non lo sei"

"Allora perché sono qui?", Flack era confuso.

"Perché puoi scegliere. Non so come funziona, ma qualche fortunato ha questa possibilità"

"Posso scegliere? Cioè, se vivere o morire?"

Lei annuì.

"Sicura?"

"La botta in testa ha fatto più danni del previsto, evidentemente. Sì, la scelta sta a te. È un grande privilegio, non sprecarlo"

Lui si guardò intorno, sentendosi avvolto dalla dolce pace di quel luogo magico, lontano dalle sofferenze del mondo reale, lontano dal dolore e dal rischio di vivere ogni giorno per le strade di New York. Lontano dalla fatica inesorabile di respirare senza di lei.

"Mi stai chiedendo se preferirei stare con te o senza di te? Allora è subito detto: io..."

"Aspetta!", Jess sollevò una mano, palmo rivolto verso di lui, per bloccarlo: "Ci devi pensare bene!"

"Ma...", cercò di contraddirla. Per lui non era una scelta difficile.

"Vieni qui", Jess gli indicò il posto accanto a lei, "Siediti con me"

Lui le si avvicinò, incespicando nei piedi e sentendo il suo cuore accelerare i battiti. Era indubbiamente emozionato nell'avere la possibilità di sederle accanto, di nuovo, e, chissà, magari sfiorare la sua pelle morbida. Si sedette ed il suo profumo, così familiare da fare male, gli fece venire un capogiro. La guardò, da vicinissimo, si perse nella sua perfezione, nella bellezza che mancava alla sua vita da quando lei gli era stata ingiustamente strappata: "Posso...?", tese una mano tremante verso il suo volto, quasi spaventato.

Lei distolse lo sguardo, il bel sorriso semi-nascosto dalla massa fluente dei capelli. Scosse il capo per allontanarli ma, di fronte all'espressione ferita di Flack, capì di essere stata fraintesa. Si affrettò a parlare: "Certo! Non è che mi farai del male, no?"

Le dita di Don si posarono lievi sulla guancia di Jess e ne percorsero lo zigomo per seguirne il profilo definito. Come se possedute da volontà propria scesero lente a disegnare, quasi a memoria, il contorno della mascella ed il mento. Lui le lasciò fare, tenendo gli occhi chiusi e respirando piano. Sentiva tutto, la trama regolare della sua pelle, la forma delle ossa. Lei era esattamente com'era stata in vita, inclusa la minuscola e quasi invisibile cicatrice sul labbro superiore. Aprì gli occhi. Lei lo stava fissando.

"Non è una scelta difficile per me", il suo tono era determinato.

"Don..."

"Se tu sei qui, con me... la scelta è fatta"

"Non ti sei chiesto perché io sono qui? Prima ti ho detto che questo posto è una proiezione della tua mente e..."

"... anche tu lo sei?", allontanò le dita dal suo viso, come se avesse preso la scossa.

Jess gli afferrò la mano e la strinse tra le sue, posandosela in grembo. Si sentì sollevata quando le loro dita si intrecciarono con naturalezza. "Non esattamente. Io sono esistita, no? Sono qui perché tu avevi bisogno di me. Ti serviva qualcuno che ti aiutasse a capire cosa fare"

"Ed hanno mandato te?", fece una mezza smorfia che la fece sorridere.

"Ma mi stai ascoltando? Tu mi hai immaginata qui!"

"Be', allora la scelta è fatta: se devo scegliere tra laggiù, o lassu o in fondo a destra o come accidenti si chiama paragonato a qui, io allora dico qui. Nessun mondo è degno di essere vissuto senza di te. E nessun mondo sarà peggiore senza di me". Aveva parlato un po' di fretta, quasi senza riflettere. E soprattutto senza guardarla negli occhi.

"Don! Come puoi dire una cosa del genere? Come puoi anche solo pensarla? Ti devo elencare le persone a cui mancherai, le persone che piangeranno perché tu non ci sei più? Il mondo di qualcuno sarà peggiore perché tu non ci sarai. Credimi. È solo che adesso sei sconvolto... e forse spaventato...", terminò lei con sincerità. 

Lui non rispose. Il discorso di Jess aveva senso, e lui lo sapeva. E cominciava a capire anche perché aveva avuto bisogno di immaginarsi qualcuno che lo aiutasse a capire. Qualcuno che, in vita, aveva sempre saputo tenergli testa e non aveva mai dipinto scenari lieti solo per fargli piacere. Sospirò, guardando i prati pieni di fiori.

"Detective...", nessun movimento, "Hey... sei ancora qui?"

Lui si voltò di scatto, gli occhi azzurri in preda a sentimenti indicibili. Una nube scura passò sul sole. "Vuoi che ti dica che ho deciso ma che ho paura? Ebbene sì! Persino io, che tutti ritraggono come l'eroe senza macchia e paura... sono terrorizzato. Come posso andarmene e lasciarti qui? Come posso essere sicuro che sia giusto? E che non farà male di nuovo?"

"Don, io non vado da nessuna parte. Non più. E, comunque, non mi lasci qui. Mi porti con te. Non mi senti che ti sono accanto tutti i giorni?", gli appoggiò la mano sul torace, "E non farà male, perché io non lo permetterò. Tu sei mio, proprio come io sono tua, ed io ho cura di ciò che mi appartiene. Il male che proverai sarà solo passeggero, superabile. Poi, sarai più forte... e non puoi nemmeno immaginare quante cose hai ancora da raggiungere. Ed io sarò lì con te. Sempre. Vedi? Non c'è più molto tempo... si sta guastando", in effetti, il cielo si andava coprendo di nuvoloni scuri ed anche i fiori sembravano appassire a vista d'occhio.

"Mi sento sull'orlo di un precipizio, aggrappato con le dita ed ho paura a lasciarmi cadere perché chissà cosa c'è alla fine", appena pronunciate, le sue parole si tramutarono in realtà Soltanto che c'era Jess a reggerlo, stringendogli forte la mano. "Forse lasciarti cadere è la cosa giusta da fare, ci ha mai pensato?"

"E se morirò?"

Lei sorrise.

"Va bene, saputella, non voglio morire"

"Ed allora così sarà. Lascia la mia mano, Don. Io non posso lasciarti cadere, devo farlo tu"

Nella sua scomodissima posizione, Flack si sentì tremare, e non solo per la preoccupazion e l'incertezza, ma perché, d'improvviso, aveva iniziato a soffiare un vento gelido e sferzante. Nell'aria, volteggiavano come impazziti petali strappati dai boccioli che, solo poco prima, sembravano pieni di vita.

"Io...", la guardò, con i capelli che mulinavano nel vento e gli occhi tragici, ma splendidi, ed il respiro affannoso. Sembrava una dea di un mondo lontano. "... ti amo, Jess"

Lei chiuse gli occhi, il cuore in tumulto. Nonstante tutto, faceva male lasciarlo andare. Anche se lei, forse, non era nemmeno lì. "Anch'io. Tanto. Ora, vai", non voleva guardare, ma non riusciva a distogliere lo sguardo.

Lui contò mentalmente fino a tre, proprio come faceva prima di un qualsiasi raid, e poi, deciso, lasciò la mano calda di Jess, lasciandosi cadere nel vuoto.

 

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NdA: Ok, forse ho esagerato in questo capitolo...

Ancora un capitolo ed è tutto finito.  

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Donald Flack Junior ***


10 - Capitolo 10: Donald Flack Junior

 

 

Non potevo proprio non dedicargli un capitolo... Buona lettura a tutti.

 

Capitolo 10: Donald Flack Junior

Mac: "We'll get you through this, Don"

Episodio 02x24: Charge Of This Post

 

La caduta prese subito velocità. Flack si lasciava cadere senza cercare nemmeno di opporsi - cosa del tutto inusuale per lui - tenendo gli occhi chiusi e sentendo le lacrime sfuggire ai suoi occhi per perdersi nel vortice che lo avvolgeva. La sua mente suggeriva che non sarebbe finita bene: si sarebe sfracellato al suolo e stop. Tuttavia il suo cuore gli diceva che avrebbe dovuto fidarsi di Jess, lei non l'aveva mai tradito e mai gli aveva raccontato storielle per prenderlo in giro. E lei è la tua Jess, la donna con cui avevi scelto di stare, quella del rischio, quella che avrebbe potuto danneggiare la tua carriera. Lei. La tua personale Ottava Meraviglia del Mondo.

***

Entrò in casa con circospezione, i sensi all'erta. C'era qualcuno nel suo appartamento, ne era matematicamente certo. Si mosse lento, guardando a destra ed a sinistra, i muscoli tesi pronti a reagire. Dalla camera da letto balzò fuori, in un turbinio di follia e risate, Jess, che si scaraventò a tutta forza tra le sua braccia. Flack perse l'equilibrio e, insieme, caddero sul tappeto. Lui la tenne stretta, sospirando di sollievo, sentendosi finalmente solo Don e non più detective Flack.

"Sei matta... e se avessi avuto la pistola?"

Lei gli toccò una guancia, per nulla spaventata dalla sua ipotesi: "Nahh... so che non potresti mai farmi del male"

***

Ma non fidarsi della sua parola, mettere in dubbio ciò che gli aveva detto, non era forse farle del male? Lei si era sempre fidata di lui. Perché lui non poteva fare la stessa cosa? E, se anche lei si fosse sbagliata, non per ferirlo, ma per un semplice errore di valutazione, sarebbe stato così terribile morire con il suo sorriso come ultimo ricordo? Sarebbe stato agghiacciante spegnere la propria vita con il suono del suo Ti amo ancora nelle orecchie? No. Non è quello che gli uomini cercano da sempre? Qualcuno che ti ama e ti fa sentire speciale, unico?

Continuava a cadere, solo in parte stupito del corso filosofico dei suoi pensieri, lui che di filosofia non ci aveva mai capito niente. Ma era tutto molto strano, doveva ammetterlo, e cadere non faceva poi così paura. Non con la mente focalizzata sul volto di Jess e le mani ancora scaldate dal suo calore.

E così sia, allora... allargò le braccia, a mo' di angelo e sognò di volteggiare leggero, pronto e deciso. Che poi lui mai aveva amato l'indecisione. Sarò fedele a me stesso fino alla fine, fino all'ultimo momento che ho a disposizione.

Solo in quel momento, con la testa finalmente sgombra dai dubbi e dalle paure, riuscì a percepire una serie di voci che sussurravano attorno a lui. Erano dialoghi smozzicati, mezze risate, calde preghiere imbevute di speranza. Ed erano tutte per lui. Fosse stato uno di quegli uomini che si commuovevano per un nonnulla si sarebbe certo commosso, si disse fingendo di non notare le lacrime che, ancora, si impigliavano momentaneamente nelle sua ciglia prima di scappare e perdersi nel nulla in cui stava precipitando.

Si concentrò; le voci sembravano avvicinarsi.

Danny, il suo accento di Staten Island a sporcare le parole, le frasi solo per lui, solo nel nome della loro amicizia:"Io sono qui, con e per te, e non me ne andrò stavolta. Starò qui e quando ti sveglierai ti racconterò tutte le ultime notizie sportive dei tue Rangers, ok?"

***

"Ma tu...", Flack si bloccò a guardare quel giovane - mezzo bandito, suggerì il suo cervello - che aspettava non troppo paziente di parlare col capo della scientifica.

"Sì, Danny Messer", allungò la mano verso Flack che gliela strinse. Doveva ammettere che, tolto lo sguardo da pazzo dell'undici settembre, i suoi occhi riflettevano onestà e voglia di fare. Don sorrise: "Benvenuto, allora... giochi a basket, per caso? Ci manca un elemento per formare la squadra..."

***

Jo, che non riusciva a non mettere una sfumatura materna in tutto quello che diceva. L'ex-profiler praticamente fuggita dal FBI per finire nel covo di matti che era la loro squadra: "Non si gioca con i cuori infranti. Ho visto una sua foto, una volta... mi dispiace. Non so quanto valga, non so se servirà, ma mi dispiace" 

***

Nella sala break della scientifica c'era un piccolo frigorifero che qualche anima gentile soleva riempire con squisitezze varie. Voci di corrirdoio sostenevano fosse proprio il capo ad occuparsene, anche se nessuno aveva mai trovato la forza di chiederglielo. A Flack poco importava: se non etichettato col nome di qualcuno, quel cibo era lì per chi aveva bisogno. E lui, da quel punto di vista, era sempre bisognoso. Doveva fare attenzione, però: si trattava pur sempre di un furto tra dipartimenti. 

"Aehm..."

Flack si girò di scatto, sentendosi morire per l'imbarazzo davanti all'espressione divertita di Jo Danville, l'ultima arrivata.

"Io..."

"L'ultima volta che ho controllato non c'era nulla di molto appetibile, ma se vuoi...", appoggiò su uno dei tavolini un contenitore di plastica pieno fino all'orlo di biscotti.

Don ne afferrò uno, ringraziando di cuore la donna. Lei lo osservò per qualche secondo: "Detective Flack, vero?"

Lui sorrise, inghiottendo: "Solo Flack"

***

Sheldon, che con la sua cultura, a volte, riusciva a metterlo in soggezione, ma che comunque sapeva di poter considerare un amico: "Noi scienziati abbiamo bisogno di calma per lavorare al meglio; e tu non fai altro che garantirci in ogni modo la tranquillità necessaria." 

***

Flack entrò un po' titubante nell'obitorio. Non riusciva a capire perché doveva andarci proprio lui, che tanto dei paroloni del medico non ci avrebbe capito niente. "Dottor Hawkes?", chiamò, non sapendo bene quale aspetto avesse il nuovo patologo.

Da una delle barelle giunse alle sue orecchie una specie di mugugno ed il detective non poté fare a meno di guardare, paralizzato dal terrore, l'uomo che spostava il lenzuolo che lo copriva e che, alzatosi, camminava verso di lui. Sorridendogli. "Detective Flack? Sono Sheldon Hawkes, il patologo"

Flack strinse la mano al medico, ancora un po' scosso. "Dormiva?"

"Solo un riposino..."

"Intendo: dormiva... qui?"

"Che c'è di strano?"

***

Mac, che sembrava dire molto di più di quello che stava dicendo a voce, come se ogni frase, in verità, ne racchiudesse altre mille con significati talmente profondi da non poter essere pronunciate:“Io ti capisco, Don, più di quanto tu possa immaginare. Capisco il tuo dolore, ed il senso di vuoto causato dalla perdita”

***

Lo vide da lontano, intento ad osservare un cadavere. Flack ancora non poteva saperlo, ma la posa del tenente sarebbe diventata per lui molto familiare. Avvicinandosi, cercò di sembrare sicuro ed a proprio agio, mettendo da parte le voci sulla grandezza di Mac Taylor, la leggenda. 'Concetranti, Don, non vorrai fare la figura del giovane inesperto...' 

"Detective Taylor, sono il detective Flack", Don allungò la mano, augurandosi di non tremare. 

Mac guardò il poliziotto che aveva di fronte, sembrava così giovane, ed alzò un sopracciglio - un altro gesto che avrebbe fatto parte della sua quotidianità: "Piacere. Cosa può dirmi della vittima?", dritto al punto, senza un minimo accenno all'altra leggenda presente, anche se non fisicamente, sulla scena: Donald Flack Senior. Il giovane detective apprezzò all'istante l'atteggiamento di Taylor, così come apprezzò lo sguardo serio, ma gentile, che vide nei suoi occhi. Decise che gli sarebbe piaciuto lavorare con lui.

***

Lindsay, la dolce e gentile Lindsay. La ragazza venuta dal nulla che aveva fatto sembrare una robetta da niente cambiare vita e gestire amorevolmente - e con passione - Danny Messer: "Ti volevo bene anche prima, vorrei che fosse chiaro. E te ne vorrò sempre, non dubitare. Ma non lasciarmi qui" 

***

"Mi scusi?".

Il detective Flack si voltò, trovandosi davanti un faccino carino su cui spiccavano due enormi occhi castani. "Sì?"

"Lei è un poliziotto?", chiese la giovane con una vocetta un po' incerta, ma per nulla intimorita.

"Detective Flack. Posso aiutarla?", lui sorrise un po' strafottente, pensando si trattasse di una giormalista.

"Lindsay Monroe, inizio oggi a lavorare col detective Taylor. Me lo può indicare?"

Solo in quel momento Don notò il distintivo agganciato al fianco magro della giovane. Si sentì arrossire, ma non perse lo smalto: "Sempre dritto, fino alla gabbia circondata dai nastri gialli"

Lei annuì e si incamminò. Dopo pochi passe la raggiunse la voce del detective: "Mi raccomando, non confonderti tra le due belve: il detective Taylor è quello senza strisce nere"

***

Stella... Stella? La sua voce giungeva come una sorpresa inaspettata e bellissima: "Il punto è, mi dispiace per Jess. Per la sua morte assurda e per non esserti stata vicina come avrei dovuto. Sapevo che non stavi bene, ma non ho fatto nulla. Nulla." 

***

Era una dea. Una meravigliosa, incredibile, inimmaginabile dea. Flack osservava la donna sul tapis roulant senza poter credere di essere tanto fortunato. Non gli era mai successo di andare in palestra e di riuscire ad unire in quel modo l'ultile al dilettevole. Che fisico snello, e che gambe...

"Guarda che la cyclette funziona meglio se usi i pedali...", lei commentò senza quasi degnarlo di uno sguardo. Lui non disse nulla, limitandosi a scrollare le spalle e cominciando a pedalare. Chi avrebbe potuto biasimarlo per avere ammirato una donna tanto bella? 

La sconosciuta, nel frattempo, era scesa dall'attrezzo e stava camminando verso di lui, i ricci vaporosi che cercavano di sfuggire dall'elastico col quale li aveva legati. Non rallentò quando gli fu accanto ma, prima di uscire, si girò verso di lui, che, chiaramente, stava studiando la sua uscita. 

"Ci vediamo su qualche scena... detective Flack", e, con un sorriso strabiliante, abbandonò il palcoscenico.

Don era troppo sbalordito per ribattere: donna misteriosa 1 - Don Flack 0

***

Adam, persino lui, che neppure nell'intimità del momento abbandonava l'insicurezza che sembrava essere un suo tratto distintivo:"Tu mi ricordi uno dei super eroi dei miei videogiochi. Qualcuno uscito da Call Of Duty. L'erore senza macchia e paura che va a salvare il mondo. Hai persino l'aspetto fisico di uno di loro."

***

Flack era abbastanza basito, e non era una cosa che accadeva molto spesso. Stava di fronte alla parete trasparente del laboratorio ad occhi sgranati, intento a non perdersi nulla di quello di cui era testimone involontario. All'interno del laboratorio, un giovane dall'aspetto un po' hippie - camicia colorata fuori dai pantaloni, jeans un po' sdruciti, bracciali di pelle ai polsi ed anello vistoso al dito - si stava esibendo in una specie di coreografia al ritmo della musica sparata dagli auricolari ficcati nelle sue orecchie. 

Il detective aveva tanto sentito parlare di Adam Ross, il mezzo genio informatico assunto dalla scientifica, che si era sentito persino un po' intimorito dal doverlo incontrare. Tutto si sarebbe aspettato tranne che un tipo del genere. Tipo che, in quel preciso istante, stava arrossendo furiosamente per essere stato scoperto. Flack entrò nel laboratorio, sorridendo.

"Ross... Adam Ross"

Flack sorrise ancora di più, allungando una mano e scuotendo la testa, divertito. Non poteva non notare che il rosso delle gote del tecnico era diventato più inteso dopo la sua battuta di presentazione.

***

Sid e, stranemente, la voce del patologo non lo spaventò: se poteva sentirlo allora non poteva essere troppo male: "È sicuro, e credimi, che l'ho rispettata, che l'ho trattata con cura. Non le ho fatto del male."

***

"Probabilmente ci saranno anche ingenti danni agli organi interni...", il nuovo patologo, Sid Hammerback, commentò guardando il corpo semi maciullato della vittima. Flack si limitò ad annuire, cercando di controllare la nausea. Non era la prima volta che si trovava davanti ad una scena del genere, ma non gli era mai successo un macello tale il giorno del suo rientro dopo aver combattuto contro una brutta gastrite.

"Se ti può mettere più a tuo agio", il medico continuò, occhieggiando il pallore della pelle del dtective, "I suoi organi non sono per nulla diversi dai tuoi... che, in questo esatto momento, stanno facendo il loro lavoro all'interno del tuo corpo..."

Flack non fu mai più felice di doversi allontanare per rispondere ad una telefonata del suo Sergente.

***

Sempre cadendo, Flack tese l'orecchio aspettando l'ultima voce che avrebbe voluto sentire. Dai, piccola, ho bisogno che mi parli... ma lei non c'era più, relegata ancora in quella specie di Paradiso che lui si era immaginato. Capì che era un posto che aveva disegnato per loro due, un posto dove passare giornate a spingerla sull'altalena solo per sbirciare le sue caviglie sottili che si svelavano quando l'orlo della gonna si alzava. E, per quanto volesse tornare lì da lei, Flack sapeva che non era il momento. Perché le voci dei suoi amici lo attiravano, perché loro erano lì ad aspettarlo, pieni di speranza. E lui non voleva deluderli. Sapeva che, in un eventuale e futuro altro Paradiso, poi non avrebbe più avuto il coraggio di guardarli negli occhi.

Allora smise di pensare, tenendo sempre gli occhi sigillati e tenendo a mente lo stupendo sorriso che Jess aveva regalato a lui, ed aspettò. Sentiva che la caduta era alla fine. 

Toccare il terreno non fu per niente come si era aspettato. Aveva immaginato uno schianto soloroso e mozza-respiro; aveva pensato di provare male. Ed invece atterrò leggero, come se fosse precipitato in un altissimo covone di grano morbidissimo e caldo. Non c'era dolore, solo dolcezza ed un buonissimo profumo di cose buone ed affettuose. Aprì piano gli occhi, per nulla preoccupato, pronto a tutto quello che ci sarebbe stato. Sperava in qualcosa di bello, comunque. Ma la lucentezza del sorriso dei suoi amici, tutti lì attorno a lui in quella che era palesemnete una stanza d'ospedale, quella era una bellezza che mai avrebbe potuto immaginare o descrivere a parole. Era amore, affetto, speranza. I suoi amici.

 

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E così è finita. Vedete? Sono stata ancora buona!

Un grazie immenso a tutti coloro che hanno letto, commentato e messo la storia tra le preferite/seguite (Avah, zarinaeka). Un grazie ancora più grosso a margheritanikolaevna per il suo costante supporto, soprattutto in una storia così particolare e lontana dai soliti canoni di CSI: NY.

      

                 

 

 

 

 

 

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